Di Federico Giuliani
Il documento si intitola “Making Uneven
Progress on Overseas Basing Efforts” ed è
una sorta di aggiornamento sullo stato delle
basi all’estero dell’Esercito Popolare di
Liberazione cinese (Epl)”. L’immagine
raffigura una cartina geografica, a colori,
comprendente parte dell’Europa, Africa, Asia
e Oceania.
Una legenda distingue i Paesi per i quali
esiste “un interesse confermato a partire
dal 2014”, in lilla, e quelli, in giallo,
nei quali sono state osservate non meglio
specificate “negoziazioni”. Vengono inoltre
indicate le nazioni dove sono presenti
strutture in costruzione e altre nelle quali
esistono “probabili contratti approvati”,
mentre dei numeri mettono in risalto alcuni
Stati strategici, inseriti in una tabella
che ne sintetizza gli “sviluppi recenti”.
Dai Pentagon Leaks è emersa una nuova
soffiata top secret sulla Cina, a pochi
giorni di distanza dalla diffusione delle
informazioni relative al super drone spia
ipersonico WZ-8 cinese, e alle notizie
relative ad armi informatiche che il Dragone
starebbe costruendo nel tentativo di
dirottare i satelliti nemici. Adesso i
riflettori sono puntati sulla possibile
ragnatela di basi militari che il gigante
asiatico avrebbe intenzione di realizzare in
giro per il mondo.
La rivelazione è contenuta in un report
presumibilmente facente parte dei numerosi
file altamente classificati condivisi online
da Jack Teixeira, un ex aviere della
Massachusetts Air National Guard, adesso
arrestato.
Il Project 141
Secondo quanto riportato da un recente
documento, la Cina starebbe perseguendo
un’ambiziosa strategia militare globale che
prevede, da qui al 2030, la creazione di
almeno cinque basi all’estero e dieci siti
di supporto logistico. Il file presenta
anche una mappa che delinea altre strutture
pianificate in diverse regioni, tra cui
Medio Oriente, Sud-est asiatico e Africa.
I funzionari militari cinesi avrebbero
chiamato questa iniziativa “Project 141”
(ovvero “Progetto 141”). La scoperta ha
fatto risuonare non pochi campanelli
d’allarme a Washington, sempre più convinto
dei continui sforzi di Pechino per espandere
la sua presenza militare in posizioni
strategiche in tutto il mondo.
Attenzione, inoltre, alla tempistica della
rivelazione visto che la divulgazione del
presunto progetto del Dragone è arrivata nel
momento in cui il gigante asiatico stava
cercando di espandere il suo ruolo di attore
globale. La telefonata tra Xi Jinping e
Volodymyr Zelensky, le visite dei leader
europei a Pechino, la mediazione per il
disgelo tra Iran e Arabia Saudita, gli
incontri con Vladimir Putin, la diplomazia
crescente con i governi latinoamericani e
africani: queste sono soltanto alcune delle
recenti mosse effettuate dalla Repubblica
Popolare Cinese, che adesso rischiano di
essere offuscate da un loro ipotetico
secondo fine.
Stando al documento trapelato sul web, l’EPL
prevede di sfruttare il Progetto 141 per
stabilire una rete mondiale di avamposti
militari e navali in Guinea Equatoriale,
Gibuti, Emirati Arabi Uniti, Cambogia e
Mozambico; due di questi sarebbero
attualmente in costruzione, altrettanti si
troverebbero in attesa di approvazione e uno
soltanto (quello di Gibuti) è operativo.
Gli Usa avevano da tempo covato il dubbio
che la Cina volesse dare vita ad una rete
militare globale attraverso la Belt and Road
Initiative (BRI), un progetto parallelo
volto al rafforzamento di legami economici e
commerciali tra Pechino e i membri
dell’iniziativa. Sempre secondo il contenuto
del documento riservato, il governo cinese
considererebbe il Progetto 141 una leva per
favorire la BRI, nonché un piano
fondamentale per contrastare gli Stati Uniti
e aumentare la propria influenza in alcune
aree specifiche, compreso il Medio Oriente.
Gli Emirati Arabi e il Medio Oriente
È interessante dare un’occhiata alla mappa.
Il dossier più caldo riguarda gli Emirati
Arabi, dove la Cina starebbe costruendo, in
gran segreto, una struttura militare. La
stessa, tra l’altro, che già un anno fa
aveva allertato Washington, spingendo
l’amministrazione Biden a lanciare un
avvertimento ad Abu Dhabi.
Sembrava che la questione fosse chiusa, e
invece, stando ad alcune informazioni
riservate, lo scorso dicembre i servizi di
spionaggio americani avrebbero rilevato,
sempre negli Emirati Arabi, la ripresa delle
costruzioni della stessa “presunta base
militare cinese”.
I funzionari statunitensi sono
particolarmente concentrati sul porto di
Khalifa, a circa 50 miglia a nord della
capitale emiratina, dove opera un
conglomerato marittimo cinese. “Abbiamo
interrotto i lavori sulle strutture”, aveva
detto Anwar Gargash, consigliere diplomatico
della leadership degli Emirati Arabi Uniti,
ad un evento del think tank di Washington
tenutosi nel 2022.
Ma un anno dopo, si legge in uno dei report
dell’intelligence Usa trapelati, la
struttura dell’Epl “probabilmente era
collegata all’elettricità e all’acqua
municipali” ed “è stato completato un
perimetro murato per un sito di stoccaggio
logistico dell’Epl”. Un secondo documento
avverte che “la struttura dell’Epl”
costituisce “una parte importante” del piano
di Pechino per stabilire una base militare
negli Emirati Arabi Uniti.
Esaminando il sito di Abu Dhabi Ports si può
notare come la Cina abbia fin qui investito
circa 1 miliardo di dollari nello sviluppo
del porto, con diverse società cinesi
coinvolte nel processo di costruzione e
gestione. Uno dei più importanti investitori
cinesi nel porto è China Ocean Shipping (Group)
Company (COSCO), e cioè una delle più grandi
compagnie di navigazione del mondo. Gestisce
un terminal container in loco, ampliato
negli ultimi anni per ospitare navi più
grandi.
Il porto di Khalifa, inoltre, è
strategicamente importante per diversi
motivi. In primo luogo, si trova sulla costa
del Golfo Persico, dove si snoda una rotta
marittima vitale per le esportazioni di
petrolio e gas dal Medio Oriente. In secondo
luogo, il porto è situato vicino a diverse
basi militari chiave, tra cui la base aerea
di Al Dhafra dell’esercito americano e la
base navale degli Emirati Arabi Uniti a Mina
Zayed. Infine, il porto si trova vicino allo
Stretto di Hormuz, uno stretto corso d’acqua
che rappresenta un punto di strozzatura
critico per le spedizioni mondiali di
petrolio.
Tra gli altri affari, ha evidenziato il WP,
a ovest di Fujairah la Cina si è resa
protagonista di profonde incursioni
economiche al porto di Khalifa. Una filiale
del suddetto gigante marittimo COSCO ha
siglato un accordo da un milione di dollari
con la società Abu Dhabi Ports e ha
stipulato una concessione di 35 anni nel
dicembre 2018, che ha consentito alla
società cinese di gestire e sviluppare un
terminal per container nel porto di Khalifa.
Come riportato dal media cinese People’s
Daily, le aziende cinesi sono coinvolte
anche nella costruzione dell’adiacente rete
ferroviaria Etihad che passerà per
Khalifaport e collegherà i cinque emirati di
Abu Dhabi, Dubai, Sharjah, Fujairah e Ras Al
Khaimah, il sistema di trasporto arteria che
va da est a ovest degli Emirati Arabi Uniti.
CRRC Qingdao Sifang Co Ltd, una consociata
di China Railway Rolling Stock Corp con sede
nella provincia dello Shandong, dovrebbe
invece fornire treni passeggeri diesel
multipli a Etihad Rail. Affari economici,
sostengono gli 007 Usa, che in realtà
avrebbero profonde implicazioni nel settore
militare.
Le nuove basi della Cina
Il Medio Oriente, dunque, è diventato un
particolare punto focale nella competizione
tra Usa e Cina. Eppure, Pechino avrebbe
messo nel mirino anche altre regioni. Al
momento, Gibuti è l’unico luogo all’estero
nel quale la Repubblica Popolare ha una base
riconosciuta, aperta ufficialmente nel 2017
dalla marina dell’Epl. Lì, secondo un’altra
rivelazione classificata, lo scorso febbraio
l’esercito cinese era “quasi certamente
vicino al completamento di un edificio per
le operazioni di antenna a Doraleh” per lo
spionaggio satellitare su Africa, Europa e
Medio Oriente.
In ogni caso, lo scorso giugno era
rimbalzata la voce secondo cui la Cina stava
procedendo con piani segreti per costruire
una struttura navale ad uso esclusivo del
proprio esercito in Cambogia, nel Golfo
della Thailandia. Dal canto loro, i
funzionari cambogiani spiegavano che la Cina
stava semplicemente finanziando
l’aggiornamento della base cambogiana
esistente, la base di Ream, e aiutando ad
addestrare i cambogiani nella riparazione
navale.
Nel frattempo, da altri documenti è emerso
che, a febbraio, un team inviato da Pechino
avrebbe visitato sia la Guinea equatoriale
che il Gabon, per assistere ai preparativi
per la costruzione di un centro di
formazione congiunto e per addestrare il
personale guineano sulle apparecchiature di
comunicazione.
Un appoggio in Gabon e in Guinea Equatoriale
consentirebbe a Pechino di piantare una
preziosa bandierina sulla costa occidentale
dell’Africa, con vista sull’Oceano
Atlantico, mentre la struttura negli Emirati
potrebbe essere il perfetto trait d’union
per unire il sito di Gibuti al cuore della
regione mediorientale. Il Mozambico, invece,
potrebbe agevolare, in futuro, l’espansione
cinese nell’Oceano Indiano, così come
eventuali strutture nel sudest asiatico.
L’espansione della Cina nei porti del mondo
facilita la raccolta di informazioni di
Pechino sui movimenti e le attività militari
statunitensi in quelle aree, ha sottolineato
Camille Lons dell’International Institute
for Strategic Studies. In base a una legge
cinese approvata nel 2017, infatti, le
società commerciali cinesi sono obbligate a
condividere informazioni con i militari, se
chiamate a farlo. “È difficile sapere se ciò
accadrà, ma è motivo di preoccupazione”, ha
concluso l’esperta.