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Lo sapevate? Anche il quartiere Marina era circondato da possenti mura medievali
Da vistanet.it del 31 gennaio 2022

I quartieri storici e alcuni dei colli di Cagliari nel Medioevo erano circondati da possenti mura di difesa, nelle quali erano sistemate diverse porte e torri, alcune delle quali si sono conservate. Solo il quartiere Castello ha conservato tratti di queste mura (che furono abbattute nel corso dei secoli con l'avvento delle armi più moderne e con il cambio delle esigenze di difesa) ma anche Villanova, Stampace e Marina avevano i loro bastioni e le proprie torri (a Stampace c'è ancora la torre dell'Alberti). Ecco come appariva la Marina (nei secoli passati "Lapola") in questa ricostruzione (autore Michele The Sea), apparsa sul gruppo Facebook Calaris. Gli ultimi tratti di mura del quartiere Marina, ormai molto malandati, furono eliminati nella seconda metà dell'Ottocento per far posto alla palazzata di via Roma (allora via San Francesco al Molo). I palazzi hanno rimpiazzato le fortificazioni, già fondate sui bastioni di Sant'Agostino (odierno incrocio con largo Carlo Felice) e della darsena (ad angolo con il viale Regina Margherita) demoliti nel 1863.

Torri e bastioni imponenti servivano per difendere la città dalle invasioni, fortificazioni impenetrabili e inespugnabili, che hanno attraversato i secoli. I pisani avviarono la costruzione nel quartiere di Castello e lo stesso fecero sul colle del castello di San Michele. Catalani, aragonesi e sabaudi completarono l’opera, modificando le difese a seconda delle evoluzioni tecniche: dai bastioni a strapiombo pisani a quelli leggermente obliqui degli spagnoli, sino alle strutture complesse piemontesi. Oggi si notano rilevanti tracce del sistema difensivo che cingeva Castello e dominava gli altri tre quartieri storici di Villanova, Stampace e Marina.
Parte della cinta muraria fu demolita dopo che Cagliari cessò di essere una roccaforte (fine XIX secolo). Di molte porte rimangono solo i nomi, mentre delle quattro torri rimaste in piedi la più antica, eretta dai pisani nel 1293, è la torre dello Sperone (o degli Alberti). Poco più recente è la torre dell’Aquila (in origine del Leone), incorporata nel palazzo Boyl. C’è poi la torre di san Pancrazio, edificata nel 1305. Due anni dopo fu eretta la torre dell’Elefante, detta così per la statua del pachiderma, posto su un peduccio nella parte rivolta verso il mare. Le due torri ‘gemelle’ sono opera di Giovanni Capula, costruite con conci squadrati su vestigia più antiche e suddivise in livelli da ripiani in legno.

In questo documento straordinario possiamo vedere il Largo con baracche e altre strutture, quando ancora non esisteva il mercato e c’erano le mura che circondavano la Marina. Pochi anni dopo le strutture difensive vennero abbattute, fu costruita piazza Yenne e venne edificato il mercato, poi abbattuto nel 1957. Qui altre rare foto della seconda metà dell’Ottocento, opera di Édouard Delessert.

Durante il viceregno di Dusay (1491-1508), di fronte alla basilica di Santa Croce, fu eretto un baluardo, il bastione di Santa Croce. Nel XVI secolo a cortine e torri si sostituirono pareti a scarpa e mura bastionate. Più in basso rispetto a Santa Croce, furono innalzati bastioni che arrivavano fino al baluardo dello Sperone. Dallo spianamento di quest’ultimo e del baluardo della Zecca sorse a inizio XX secolo il maestoso bastione di Saint Remy, scenografica porta d’accesso tra Villanova e Castello. Le rampe del suo scalone si snodano fino alla terrazza Umberto I. Verso nord, a difesa dell’attuale belvedere di Buon Cammino, fu creato un fronte carenato con mura verticali. Qui, fra 1552 e 1571, il nuovo assetto difensivo fu progettato dall’architetto cremonese Capellino: a lui si deve la celebre ‘tenaglia’, che rafforzò le difese di san Pancrazio. Le sue opere furono completate da Jacopo Fratino, cui si deve l’attuale aspetto del baluardo pentagonale di Santa Croce.

Pisani prima e spagnoli poi intervennero anche sugli quartieri storici. Nel 1638 le difese pisane di Villanova furono rinforzate da una muraglia che dalla torre di san Pancrazio giungeva fino all’odierno bastione di Saint Remy. Dalla torre dell’Elefante la cinta muraria scendeva sino al quartiere Lapola (oggi Marina), nei pressi dell’odierna piazza Yenne. Al centro della Marina stava la porta del molo, ovvero l’ingresso al porto, che già nel 1535 era protetto dai bastioni di Levante e di sant’Agostino. L’ultimo intervento spagnolo riguardò proprio il molo e il fortino di San Giacomo, poi arrivarono le significative modifiche dei Savoia. L’architetto de Vincenti, su ordine di Amedeo II, diede corpo a un imponente progetto di ristrutturazione con nuove muraglie, altri due bastioni e il riassetto di San Pancrazio, dove furono rimossi fossato e ponte levatoio e nel 1727 sorse l’arsenale regio, oggi sede della Cittadella dei musei.

 

Russia - a volte ritornano...
Da aresdifesa.it del 29 gennaio 2022

Di Giampaolo Sordini

La compagnia statale russa Roscosmos ha annunciato lo sviluppo di un nuovo tipo di missile balistico basato sull'RSM-56 Bulava ICBM (InterContinental Ballistic Missile) che può essere lanciato dalle piattaforme ferroviarie.

Durante la Guerra Fredda, la Russia aveva sviluppato una variante su rotaia dell'RT-23 Molodets, un missile balistico intercontinentale a tre stadi a propellente solido lanciato a freddo. Un missile su rotaia dava la possibilità di spostarsi lungo l'immensa rete ferroviaria russa e quindi essere difficile da rilevare e tracciare.

L'esercito sovietico schierò il suo primo missile portatile a lungo raggio su rotaia nel 1987 e ne aveva 12 nel 1991. I missili mobili su rotaia sono stati rimossi dal servizio nel 2002 e l'ultima base è stata smantellata nel 2007 nell'ambito del trattato di riduzione degli armamenti START II con gli Stati Uniti Stati.

Come per la versione ferroviaria RT-23 Molodets, il nuovo missile balistico può essere immagazzinato in un vagone standard trainato da una locomotiva. Il treno può spostarsi a una velocità compresa tra 80 e 120 km verso tutte le reti ferroviarie russe. Secondo il disegno pubblicato su Internet, l'intero sistema comprende una locomotiva, un vagone del treno di comando e controllo, un vagone del serbatoio del carburante e l'unità di lancio con il missile all'interno del vagone.

Nel febbraio 2016, Army Recognition ha riferito che la Russia aveva pianificato di ricevere una nuova generazione di treni di lancio ICBM (missili balistici intercontinentali) chiamati Barguzin che saranno in grado di trasportare sei missili balistici intercontinentali RS-24 Yars (missili balistici intercontinentali).

Citando le informazioni dall'account Twitter di Mike Mihajlovic, il missile della nuova unità di lancio ferroviario è basato sul missile lanciato dal sottomarino RSM-56 Bulava.

L'RSM-56 Bulava (NATO: SS-N-32) è un missile balistico a propellente solido lanciato da sottomarino a portata intercontinentale sviluppato per la Marina russa. Il missile ha completato i test di lancio della prima fase alla fine del 2004 ed è ora schierato nel 2013 sulla nuova classe Borei di sottomarini nucleari con missili balistici.

Secondo le informazioni tecniche pubblicate sul disegno, il nuovo missile ferroviario ICBM dovrebbe trasportare da 8 a 10 testate nucleari MIRV (Multiple Independent Reentry Vehicle) e sarà in grado di raggiungere un obiettivo a una distanza massima di 8.000 km.

Gia nel settembre 2020, circolavano voci su un ritorno al treno missilistico per rispondere al riarmo nucleare USA...

Nelle foto "un treno della morte" conservato in un museo.

 

L'arte della guerra. Trattati e manuali di architettura militare e milizia
Da arte.go.it del 28 gennaio 2022

“L’abilità creativa del genere umano è sempre stata messa in primo luogo al servizio dell’aggressione e della difesa dall’aggressione. Fin dalle prime testimonianze che abbiamo, le mani e le menti dei nostri antenati hanno dedicato tanto o più impegno alla fabbricazione di punte di freccia di selce quanto alla raffigurazione della caccia ai mammut sulle pareti delle caverne. Visto in una luce positiva, tutto ciò che è stato toccato dalla mano della mente della nostra specie richiede bellezza: equilibrio, eleganza, precisione e infine decorazione”.

James M. Bradburne direttore della Pinacoteca di Brera e della Biblioteca Braidense Lla Biblioteca Braidense, attingendo alla ricchezza straordinaria delle sue collezioni antiche, espone nella Sala Maria Teresa oltre un centinaio di volumi nella mostra “L’Arte della guerra. Trattati e manuali di architettura militare e milizia nelle collezioni della Biblioteca Nazionale Braidense”.
La rassegna, che mette in luce un patrimonio inestimabile mai esposto al pubblico, aiuta a comprendere il mondo delle armi, l’impatto di una componente tutt’altro che marginale della società, della storia e della cultura europea dell’Età moderna. L’Arte della guerra è infatti dedicata alla trattatìstica militare sviluppata fin dal XV secolo nell’Italia del Rinascimento, un periodo che, anche in guerra, è stato un eccezionale laboratorio d’avanguardia dal quale si svilupparono le successive novità prodotte nell’Europa del Seicento.

A cura di Fausto Lanfranchi, Guido Zavattoni e Aldo Coletto, con il contributo di importanti studiosi di queste tematiche, la rassegna espone oltre a un centinaio di testi di architettura militare, artiglieria, tecnica di assedio e difesa delle piazzeforti, dati alle stampe tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Settecento in Italia e in Europa, selezionati da un’attenta ricognizione del patrimonio della Biblioteca Nazionale Braidense, provenienti in gran parte dal Fondo del Collegio dei padri Gesuiti di Milano, un tempo presso il palazzo di Brera, una decina tra cannoni, bombarde e altri strumenti di artiglieria in uso nelle scuole di addestramento militare tra XVI e XVIII secolo e dieci rari trattati di fortificazione militare provenienti da un’importante collezione privata.

Quattro vetrine saranno dedicate all’esposizione di una cartella con le piante del Castello Sforzesco e delle altre fortezze del Ducato di Milano eseguite dall’ingegnere militare milanese Gaspare Beretta, al servizio della Corte Spagnola dal 1639 alla fine del Seicento, provenienti dalla Biblioteca di José Álvarez de Toledo, XIII duca d’Alba, acquisite recentemente dalla Braidense e da due manoscritti del generale modenese Raimondo Montecuccoli al servizio degli Asburgo contro gli Ottomani e i Francesi di Luigi XIV.

 

Valorizzazione del bunker posto nei pressi di piazza Foro Boario
Da laguida.it del 27 gennaio 2022

Firmata la convenzione tra Demanio, Conservatorio di Cuneo e Associazione All 4U

Cuneo – L’associazione All 4U ha stipulato una convenzione con Demanio e Conservatorio di Cuneo per la valorizzazione del bunker posto nelle vicinanze di piazza Foro Boario, per lo sviluppo del progetto “Cuneo sotterrane”, finalizzato alla alorizzazione di tutto ciò che è al di sotto della città: cunicoli, rifugi antiaerei, bunker, cripte, passaggi, cantine… Il progetto nasce nel 2013, ma in forma ufficiale nel 2015, quando viene richiesto al Comune di Cuneo il patrocinio e il sostegno per mappare, mediante l’uso di georadar, diversi siti culturali nella città, da Palazzo Chiodo a San Francesco, Santa Chiara, passando per rifugi antiaerei e bunker… L’obiettivo del progetto è verificare e scoprire le diverse aree sotterranee, recuperarle e renderle aperte al pubblico valorizzando un patrimonio culturale e storico di grande interesse, indirizzato alla realizzazione di un circuito turistico e didattico attraverso la città.

Il bunker di piazza Foro Boario ha una profondità di 20 metri e una lunghezza di circa 50, con collegamenti ancora ostruiti che potrebbero celare nuovi passaggi e collegamenti. Un primo progetto di recupero è stato presentato alla Soprintendenza che ha già eseguito un sopralluogo per verificarne la fattibilità.

Da destra: Mattia Sismonda (Presidente Conservatorio di Cuneo), Maurizio Forneris (Presidente Ass. ALL 4U), Michelangelo Silvestro (consigliere Ass. ALL 4U), Matteo Blengino (consigliere Ass. ALL 4U)

Recentemente è stata stipulata anche una convenzione con la Provincia per il recupero del rifugio antiaereo posto al di sotto del liceo classico di Cuneo e sono in corso le valutazioni tecniche per il suo recupero.
Diversi i partner del progetto: Comune e Provincia di Cuneo, Regione Piemonte, Atl, Fai delegazione di Cuneo, con il sostegno della Fondazione Crc.

Informazioni: www.cuneosotterranea.it e social fb @cuneosotterranea.

 

I castelli meno noti d’Italia, meraviglie sottovalutate
Da siviaggia.it del 26 gennaio 2022

La bellezza si cela spesso in luoghi meno conosciuti, dove l'occhio talvolta non arriva: ciò vale anche per alcuni splendidi castelli d'Italia, lontani dalle rotte turistiche e tuttavia ricchi di un fascino che ci lascia senza fiato. Dimentichiamo per una volta quelle incantevoli fortezze che tutti abbiamo visto almeno una volta nella vita (fosse anche solo incrociando una foto online), per dedicare le nostre attenzioni ai gioielli meno famosi della penisola: ecco i castelli che meritano assolutamente una visita. (

Castello del Boccale

Abbarbicato sulle scogliere livornesi e splendidamente affacciato sul mare, il Castello del Boccale gode di un fascino incredibile - e non solo per la sua vista mozzafiato.

E' stato costruito in tempi relativamente recenti, attorno ad una torre medievale di cui non si conosce l'esatta origine. Rimasto abbandonato per un lungo periodo, è stato poi ristrutturato ed è oggi sede di diversi appartamenti.

 

 

Rocca di Montefiorino

Assolutamente visitabile è invece la Rocca di Montefiorino, situato nell'omonimo borgo emiliano.

Costruito a partire dal X secolo in stile romanico, vanta persino una leggenda: si narra che nei suoi sotterranei esistesse un lungo tunnel che permetteva di passare inosservati da un lato all'altro del paese. Di questo cunicolo, tuttavia, non sono mai state trovate tracce.

Oggi, all'interno del castello si possono ammirare reperti della Seconda Guerra Mondiale e salire sulla vetta della sua splendida torre.

 

Castello di Saint-Pierre

La Valle d'Aosta è una regione ricchissima di castelli, e uno dei più antichi offre un panorama da sogno.

Stiamo parlando del Castello di Saint-Pierre, arroccato su uno sperone roccioso da cui domina l'intera vallata sottostante e il borgo da cui prende il nome.

Tra le sue mura ospita un suggestivo Museo di scienze naturali, tuttavia è la sua splendida vista l'attrazione sicuramente da non perdere.

 

Castello Murat

Situato in una posizione pressoché inespugnabile, il Castello Murat sorge a ridosso di un ampio fossato che lo cinge alle spalle e si affaccia a picco sul mare.

Deve il suo nome al celebre Re di Napoli che proprio tra queste mura venne imprigionato e fucilato.

Per gli appassionati di storia, è il luogo ideale: un museo ripercorre gli ultimi giorni di vita di Gioacchino Murat, e ospita persino un frammento di una preziosissima scultura di Antonio Canova.

 

Castel Toblino

Tra tanti manieri antichi affacciati sul mare, ce n'è uno che ha invece una splendida vista sul lago.

Si tratta di Castel Toblino, arroccato su un piccolo promontorio circondato dalle acque smeraldo dell'omonimo bacino.

Alcune leggende lo vedono protagonista di romantiche (e ovviamente travagliate) storie d'amore, la maggior parte delle quali avrebbe un finale tragico. Attualmente ospita un albergo e un ristorante, ma su appuntamento è possibile visitarlo.

 

Castello della Rancia

Imponente fortificazione che si erge tra le campagne marchigiane, il Castello della Rancia è una delle bellezze della città di Tolentino.

Le sue tre torri angolari e i merli accuratamente conservati ne fanno un vero capolavoro architettonico.

Potrete perdervi tra i suoi suggestivi saloni e le stanze arredate con gran lusso, oppure andare alla ricerca della misteriosa galleria che, secondo tradizione, dovrebbe congiungere la fortezza alla Basilica di San Nicola.

 

Castello di Mussomeli

Somiglia ad un nido d'aquila, abbarbicato su uno sperone roccioso e mimetizzato nel panorama calcareo che lo circonda: il Castello di Mussomeli è una vera meraviglia, situata nell'omonimo borgo siciliano.

Eretto su una rupe a quasi 800 metri di altezza, è stato più volte restaurato (anche di recente), tuttavia non ha perso il suo fascino antico.

Si narra che qui siano avvenuto fatti molto sanguinari, come l'uccisione di un combattente spagnolo il cui fantasma vagherebbe ancora tra le mura.

 

Castello di Arzignano

È nella deliziosa città veneta di Arzignano che svetta l'omonimo castello, un gioiello medievale tutto da scoprire.

Sulle sue origini non vi è ancora chiarezza: probabilmente la fortezza risale al '300, e nel corso dei secoli visse fortune alterne, passando di mano in mano.

È ancora possibile ammirare la cinta muraria che parzialmente si è conservata, le sue affascinanti torri e naturalmente l'imponente Rocca.

 

Castello di Torri del Benaco

Il Castello Scaligero di Torri del Benaco, nell'omonimo borgo veneto, si trova lungo la passeggiata affacciata sul lago di Garda.

Rimasto abbandonato per molto tempo, solo qualche decennio fa è stato finalmente ristrutturato: al suo interno è ospitato il Museo etnografico che ripercorre le tradizioni dei pescatori del luogo, ma anche una bellissima serra di limoni che ha fatto da sfondo ad un celebre video musicale di Francesco Renga.

 

La Batteria San Felice è pronta per essere riaperta al pubblico
Da chioggianews24.it del 25 gennaio 2022

Dopo quasi tre anni di chiusura la Batteria San Felice è ormai pronta per essere riaperta al pubblico. Lo annuncia il comitato del Forte San Felice che, in questi tre anni, si è battuto affinché si potesse nuovamente usufruire di uno spazio pubblico che ora fa parte di una società privata che, tuttavia, deve garantire l’accesso al pubblico in alcuni orari della giornata. “Dopo lunghi tira e molla – spiega Erminio Boscolo Bibi, del comitato Forte San Felice – dovuti a difformità, ripristini, varianti, i lavori iniziati nel maggio 2019 e che dovevano durare solamente tre mesi, sono finalmente conclusi ed è in via di approvazione anche il collaudo delle opere su incarico dell’Amministrazione Comunale. Il momento tanto atteso è finalmente arrivato“.

Ci sono però ancora da stabilire gli orari di accesso alla batteria. “Ricordiamo – prosegue Bibi – che l’apertura al pubblico con custodia e manutenzione è un obbligo che incorre alla società Mosella, proprietaria del bene, dichiarato di interesse culturale ancora nel 2010. Atti, tra l’altro, sottoscritti dalla società davanti al notaio e che comprendono l’atto aggiuntivo che prevedeva gli orari di apertura stabiliti dalla delibera di GM n. 52 del 27/03/2015″. “Noi – continua ancora il presidente del comitato – ribadiamo con forza le nostre richieste, che sono state avanzate da tantissimi cittadini e che prevedono l’apertura al pubblico di tutti i 4949 mq. del compendio, compreso la parte monumentale prospiciente la laguna, tra l’altro mai interessata dai lavori. Devono inoltre essere ristabiliti gli orari di apertura stabiliti dall’atto aggiuntivo alla convenzione, mentre il Comune aveva, con una delibera di Giunta nel 2020, inspiegabilmente dimezzato, come aveva anche stabilito la Soprintendenza. Deve essere garantita la possibilità di visitare la parte monumentale ottocentesca della Batteria, utilizzando la servitù di passaggio verso la riva, per garantire ai cittadini di usufruire di questo bene di grande valore storico e paesaggistico”.

(Nella foto: l’area della Batteria di San Felice)

 

LA VIA DEI FORTI, UN'INCREDIBILE RETE DI 200 STRUTTURE BELLICHE A CAVALLINO-TREPORTI DOCUMENTA COME È STATA PROTETTA VENEZIA DURANTE LA GUERRA
Da turismoitalianews.it del 23 gennaio 2022
Giovanni Bosi, Cavallino-Treporti / Veneto

Un sistema incredibile di fortificazioni, bunker, torri di avvistamento, depositi che raccontano momenti cruciali della nostra storia e di azioni messe in campo per tutelare un patrimonio insostituibile: Venezia e la sua costa. Tutto comincia con la GrandeGuerra, quella   che doveva essere un conflitto lampo e che invece ben presto si sarebbe trasformata in una tremenda guerra di posizione, di logoramento. Oggi nel territorio di Cavallino, in Veneto, un percorso storico, un vero e proprio circuito museale diffuso a cielo aperto che collega le fortificazioni appartenenti al periodo 1845-1920, consente di vedere con i propri occhi come la follia della guerra ha spinto a creare accorgimenti difensivi e soluzioni tecniche che un secolo fa erano all’avanguardia. Tra queste la Batteria Vettor Pisani con il suo museo, la Batteria Amalfi e il Forte Treporti, a Punta Sabbioni.

(TurismoItaliaNews) Sì, una follia. La guerra non porta mai nulla, se non morte e devastazioni. La Via dei Forti voluta dal Comune di Cavallino-Treporti, è una rete di 200 fortificazioni belliche tra batterie, bunker, forti, torri telemetriche realizzati fra prima e  econda guerra. Una straordinaria testimonianza del periodo bellico e addirittura anche prima, fin dal 1845: un museo all’aria aperta che punta a valorizzare e collegare le fortificazioni dislocate lungo la costa di Cavallino-Treporti attraverso un percorso tra natura e ricordi del territorio, il cui fulcro è la Batteria Vettor Pisani. Realizzata fra il 1909 e il 1921, così chiamata in onore del comandante veneziano che sul finire del quattordicesimo secolo sconfisse i genoversi nella guerra di Chioggia, questo fortino oggi svela tutti i suoi segreti, a partire da una constatazione pratica: quando fu costruito sorgeva a pochi metri dal mare (adesso molto più distante) e la parte verso la spiaggia era mimetizzata con un terrapieno di sabbia, una duna artificiale che ne nascondeva i fianchi e il fronte d’attacco verso l’Adriatico.

Quando ti trovi davanti al muraglione che lo circonda e varchi il cancello, hai la sensazione di compiere un salto indietro nel tempo, complici persino i rumori sordi delle esplosioni di bombardamenti simulati che all’interno del bunker principale, ora trasformato in museo, fanno rivivere i momenti convulsi che durante la guerra – quella vera - dovevano affrontare i soldati riparati al suo interno. Una sirena ogni 15 minuti segnala infatti l’arrivo di una bomba che sta per esplodere: per nostra fortuna è solo una finzione, ma possiamo assicurarvi che fa venire comunque la pelle d’oca. Non dimentichiamoci che il primo conflitto mondiale fu una tragedia immane: in breve avrebbe portato alla mobilitazione di 65 milioni di soldati, costretti a vivere per quasi cinque anni nel fango delle trincee, nella sporcizia, esposti agli effetti di armi micidiali: artiglierie e mitragliatrici, lanciafiamme, gas letali, aerei, carri armati. E i bombardamenti provocarono milioni di morti anche tra la popolazione civile. Realizzata in cemento armato, la batteria è composta da un corpo centrale ad unico livello lungo più di 80 metri; due corridoi paralleli con la volta a botte, conducono alle torrette telemetriche alte 11 metri e alle ali laterali, lunghe 30 metri. A ben gaurdare, era una vera e propria macchina da guerra: le torrette erano dotate di goniostadiometri che servivano a stimare le distanze dei bersagli mediante triangolazione e di telemetri a cannocchiale panoramico. Perché poi c’erano sei obici 280 L, che avevano una gittata di oltre 10 km; le artigliere erano disposte in barbetta su piazzole e quando le canne erano orientate verso il mare, gli spari sfioravano gli spalti dell’edificio. Durante il confltto, l’armamento ormai obsoleto fu sostituito da quattro cannoni antiaerei da 76/40 per proteggere Venezia dalle incursioni degli idrovolanti e bombardieri austroungarici. La batteria fu attiva anche durante la Seconda Guerra Mondiale con una postazione di artiglieria contraerea e presidiata dal comando tedesco.

Tutto questo, come detto è oggi un museo che rappresenta la sua rinascita. Sede museale e incubatore di manifestazioni, eventi e centro studi secondo le intenzioni del Comune di Cavallino-Treporti, fulcro del percorso che lega tra loro le numerose fortificazioni del territorio. I lavori di restauro sono stati infatti studiati non solo per un recupero del patrimonio che rappresenta, ma anche per renderla porta d’accesso alla Via dei Forti. Al suo interno una ricchissima documentazione e una serie di materiali originali raccontano in modo tangibile quella guerra devastante e la quotidianità dei soldati.
Ma ci sono altri luoghi straordinari da non perdere. Come la Batteria Amalfi, tra le più importanti opere militari costruite nel litorale a difesa di Venezia, edificata in soli diciassette mesi tra il 1915 e il 1917: comprende ben 14 edifici tra cui il corpo principale, la cui sommità era dotata di una torre corazzata girevole a 360° di tipo navale, armata con due cannoni in grado di sparare granate da 875 kg a quasi 20 km di distanza, con una cadenza di un colpo al minuto.

E poi il forte TrePorti, chiamato Forte Vecchio, edificato sui resti di un preesistente fortino francese, dagli austriaci nella seconda metà del diciannovesimo secolo (1845 – 1851) allo scopo di controllare il territorio lagunare e la bocca di porto di Punta Sabbioni. Non meno interessanti sono le tantissime torri telemetriche che ancora svettano lungo la fascia litoranea: costruite in posizione arretrata rispetto alle batterie sulla costa, erano destinate all’osservazione e a fornire alle batterie dettagli sui bersagli, a partire dalle coordinate per aggiustare i tiri dell’artiglieria. Partendo da Punta Sabbioni verso Cavallino e poi ritornando da Cavallino verso Punta Sabbioni, percorrendo prima la via Pordelio e poi la via Fausta, si possono vedere Torre Lio Grando, le due Torri del Forte Vecchio, Torre dell'ex Caserma Ca' Pasquali, Torre Crepaldo, Torre Ca' Padovan, Torre Radaelli, Torre Ca' Bodi, Torre Sassonio, Torre Vignotto, Torre Ca’ di Valle, Torre San Marco detta anche “Caffettiera”, Torre Ca’ Scarpa, Torre Ca’ Savio e Torre Via Hermada.

Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.

mail: direttore@turismoitalianews.it (mailto:direttore@turismoitalianews.it) – twitter:@giornalista3

 

Nasce l’associazione che vuole salvare le antiche fortezze
Da iltirreno.it del 21 gennaio 2022

Di Luca Meconi

Lucca. Recuperare e valorizzare le antiche rocche e fortificazioni dello Stato di Lucca. Con questo obiettivo è nata l’associazione “Offizio sopra le fortificazioni”, costituitasi con un’assemblea dei soci fondatori che si è riunita nella sala convegni della Fondazione Cassa di Risparmio il 9 luglio scorso. Tante le personalità del mondo lucchese e non solo che ne fanno parte. Il professor Raffaello Nardi, l’avvocato Marco Brancoli Pantera già presidente dell’Opera delle Mura, il professor Gabriele Matraia già sindaco di Borgo a Mozzano, Giovanni Pierami, Piero Andreucci, Palmiro Filippo Bini direttore della sezione Valfreddana dell’Istituto Storico Lucchese e Bruno Micheletti, direttore della sezione di Bagni di Lucca dell’Istituto Storico Lucchese, Angelo Frati fondatore del Museo del Castagno di Colognora, Massimo Giambastiani, l’avvocato Pier Federico Berrettini, Alvaro Pardini di Camaiore, Enrico Bustaffa di Ripafratta, Elda Carlotti di Nozzano, Walter Incerpi di Pescia e molti altri. Presidente è stato eletto Palmiro Filippo Bini, vice Marco Brancoli Pantera mentre Nardi è il presidente onorario. Il lavoro partirà da un censimento di tutte le fortificazioni ancora presenti e visibili, molte delle quali sono in rovina o in mano a privati. Poi si cercheranno i fondi necessari per l’acquisto o la ristrutturazione e l’apertura al pubblico di queste strutture, con le amministrazioni comunali.

Uno dei desideri dei membri dell’associazione, è anche arrivare ad avere una legge nazionale che tuteli le fortificazioni dello Stato di Lucca, così come già è stato fatto per le fortificazioni estensi. Un progetto ambizioso con il fine di valorizzare il patrimonio storico culturale e artistico dell’antica Repubblica di Lucca, rievocandone i segni distintivi attraverso giornate di studio, ricerche, seminari e promuovendo iniziative di comunicazione e campagne finalizzate a ottenere sostegno dalle istituzioni. A Cune, sopra Borgo a Mozzano, recentemente è stato restaurato l’Occhio di Lucca sul monte Bargiglio. Punto importante per la difesa, da cui si può vedere dalla Corsica fino all’Appennino. Qui è nata l’associazione Acunia, dall’antico nome del paese. Un esempio di quanto può essere fatto nelle altre fortificazioni presenti e oggi spesso dimenticate. Si tratta di un patrimonio edilizio funzionalmente collegato alle Mura di Lucca e rappresentato da un insieme strategico di strutture edilizie costituenti la rete di difesa della città e terre di confine. L’amore per il proprio territorio è il filo conduttore che lega tutti coloro che già fanno parte dell’associazione ma essa è aperta a tutti. Per informazioni, contattare il segretario Stefano Fazzi scrivendo a offiziofortificazioni@gmail.com o tel. 328 2170004.

 

Le magnifiche rocche di Francesco di Giorgio Martini, archistar del Rinascimento
Da corriere.it del 20 gennaio 2022

In un territorio ancora integro, il «soccorso coverto» di Cagli, di nuovo percorribile, ripropone l’itinerario tematico legato alle fortificazioni firmate da un genio dei sistemi di difesa

Di BEBA MARSANO

È di nuovo percorribile la scala nella roccia.  Quei 367 gradini fatti a mano, che formano il «soccorso coverto» di Cagli, spettacolare passaggio nel cuore della collina, scavato per collegare in tutta segretezza i fulcri dell’antico sistemadifensivo: la Rocca sulla sommità del colle e il Torrione (oggi Centro di Scultura Contemporanea) a guardia della città. Su 80 metri di dislivello, il «soccorso» fu uno dei tanti lampi di genio di Francesco di Giorgio Martini, il più grande architetto militare del Rinascimento, che a metà Quattrocento rivoluzionò con intuizioni d’avanguardia i sistemi di difesa del ducato di Federico da Montefeltro. Liberato da secoli di detriti, illuminato, messo in sicurezza, il «soccorso» completa l’itinerario tematico delle formidabili Rocche martiniane (ideato da Confcommercio Pesaro Urbino/Marche Nord), inchiavardate in un’affascinante geografia minore. Sentinelle possenti, intimidatorie di un territorio ancora integro, molto vicino a quello in cui più di cinque secoli fa le progettò il senese Francesco di Giorgio, archistar ante litteram, ma anche pittore, scultore e teorico dell’architettura, autore di un trattato sul quale studiò persino Leonardo.

TUTTE DIVERSE, OGNI FORTEZZA È UNA STORIA.

La più misteriosa? La Rocca Ubaldinesca di Sassocorvaro (borgo degli innamorati, custode del cranio di San Valentino). Una fortificazione compatta, dalla forma a tartaruga, presa a modello da Frank Lloyd Wright per il Guggenheim Museum di New York, che ne riprende la struttura aggettante, le bordature avvolgenti, la chiocciola della scala. È una costruzione doppia, enigmatica, esoterica, di cui è possibile carpirne i segreti solo con visite guidate. Durante l’ultima guerra, con l’Operazione Salvataggio, accolse 10mila opere d’arte da tutta Italia per sottrarle ai pericoli dei bombardamenti; capolavori universali come la Tempesta di Giorgione, lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, i Caravaggio di San Luigi dei Francesi, arrivati su camion stipati all’inverosimile attraverso l’Appennino innevato. La rocca più bella? Quella di Mondavio, emblema della fortezza perfetta, con il suo poderoso mastio ottagonale dalle facce irregolari, i prospetti sfuggenti, gli spigoli affilati per eludere l’impatto dei proiettili; una complessa macchina da guerra, studiata per resistere a ogni tipo di attacco sferrato sia con armi a getto sia con armi da fuoco. Se Mondavio è arrivata intatta fino a noi, perfetta come fosse stata fatta ieri, la rocca di Fossombrone — fatta saltare in aria da Guidobaldo da Montefeltro, figlio di Federico, perché non cadesse nelle grinfie di Cesare Borgia — è una grandiosa rovina in via di recupero. Vale comunque la pena arrampicarsi fin quassù per la vista sul borgo e sul Metauro, antico confine del Ducato. Ducato che aveva la sua capitale a Urbino, dove Francesco di Giorgio Martini mise mano a Palazzo Ducale, splendida residenza di Federico da Montefeltro. Oggi quella «città in forma di palazzo» è museo di se stesso e insieme scrigno di capolavori che valgono un viaggio. Uno per tutti? Quella Città ideale (attribuita, tra i tanti, anche a Francesco di Giorgio), simbolo di perfezione del Rinascimento italiano.

Il «soccorso coverto» di Cagli è aperto nei weekend su prenotazione presso Riviera Incoming di Pesaro (www.rivieraincoming.net)

 

La Storia rivive: 450° Anniversario della casamatta del Pastiss della Cittadella
Da iltorinese.it del 20 gennaio 2022

IL PASTISS. STORIA E PROSPETTIVE

L'area visitabile

La costruzione del Pastiss fu voluta da Emanuele Filiberto e avviata nel 1572 come esteso progetto, poi non completato,di integrare la difesa dei tre bastioni della Cittadella più esposti alle offese rispetto a quelle lato Dora e Po.

Il contratto per l’esecuzione della casamatta, progettata da Ferrante Vitelli dentro il fossato del bastione San Lazzaro,risale al 25 gennaio 1572. L’opera, conclusa nel 1574, risultò molto complessa, tanto da meritare la denominazione di“Pastiss” (pasticcio).
Il suo fronte esterno a profilo trilobato era formato da una spessa muraglia nella cui fondazione era ricavata una galleria di contromina con funzione di dispersione dell’onda d’urto di una mina lungo i suoi 140metri di sviluppo ed espulsione dei relativi prodotti gassosi attraverso 15 pozzi aperti nella volta. Presentava all’interno vari ambienti operativi, posti su due livelli e autonomamente difendibili, da cui eseguire le azioni di fuoco a 360°, con la stessa tecnica dei moderni capisaldi. Il fronte di gola era,inoltre, dotato di cannoniere per il tiro rovescio per la difesa vicina del fossato e delle muraglie del bastione San Lazzaro,col quale comunicava per mezzo di un’ampia galleria che integrava la difesa del fossato con apposite feritoie per fuoco di fucileria. Dopo la demolizione della Cittadella nel secondo Ottocento,il Pastiss è stato utilizzato come discarica per i materiali di risulta dei cantieri edili dell’epoca. Fu riattivato nella parte più profonda durante la 2^ G.M. come rifugio di protezione antiaerea per gli isolati di corso Matteotti compresi fra corso Galileo Ferraris e via Amedeo Avogadro e nuovamente abbandonato nel dopoguerra. Riscoperto nel marzo 1958 da Guido Amoretti e Cesarino Volante, dal 1976, dopo i primi interventi di recupero di alcune parti in maniera autonoma da parte dell’allora capitano Amoretti e i primi volontari del gruppo ricerche e scavi, a seguito di autorizzazione del Comune di Torino è oggetto di un cantiere permanente di scavo e recupero gestito dall’Associazione Amici del Museo Pietro Micca, coordinato per oltre 30 anni dallo storico Piergiuseppe Menietti e dalla Direzione del Museo Pietro Micca.
Nel 2014 i principali settori recuperati e ripuliti sono stati restaurati su progetto dello studio di architettura Sonia Bigando e Roberto Nivolo a merito di contributo ministeriale favorito dal Consiglio regionale del Piemonte. Una buona parte degli ambienti recuperati sono stati messi in sicurezza e dotati degli impianti adeguati alla visita.

Nel 2018 è stato realizzato un regolare ingresso sul marciapiede di via Papacino 1 al posto dell’originario tombino precedentemente utilizzato come ingresso di fortuna. Dotata di una scala a chiocciola a norma di sicurezza, contestualmente con altri complementari lavori dimessa in sicurezza di un delimitato percorso interno dotato di pannelli didattici, la fortezza è oggi periodicamente aperta alla visita pubblica su diretta gestione dell’Associazione Amici del museo Pietro Micca su prenotazione presso il museo stesso ai recapiti info@museopietromicca.it e 011 01167580.

Attraverso un nuove contributo della Regione Piemonte in occasione del 450° anniversario di costruzione della cinquecentesca casamatta, è stato progettato un nuovo intervento di ricerca archeologica e di restauro funzionale che permetterà di valorizzare ulteriormente il percorso di visita sia inglobando un altro settore della galleria di contromina nella fondazione con uno dei pochi pozzi di aerazione ancora efficienti sia permettendo uno straordinario sguardo d’insieme delle gallerie di contromina del 1706 e, soprattutto, l’ingresso della camera di combattimento bassa dalla quale entrò per la prima volta nel marzo 1958 il generale Amoretti alla scoperta del Pastiss.
Un interessante e nuovo sguardo sul patrimonio archeologico sotterraneo di Torino e su una struttura unica al mondo nel suo genere, che merita di essere valorizzata e soprattutto di diventare area museale permanente rientrando a pieno titolo nel museo Pietro Micca e dell’assedio di Torino del 1706 assieme all’altra area archeologica del Rivellino degli Invalidi venuta alla luce nel 2015 durante i lavori del nuovo parcheggio sotterraneo di corso Galileo Ferraris e unica parte salvaguardata del patrimonio sacrificato alle esigenze della modernità.
Per dare evidenza alla significativa ricorrenza del 450° anniversario di costruzione del Pastiss, il generale Franco Cravarezza, direttore del museo Pietro Micca, è orgoglioso di annunciare che quest’anno il museo Pietro Micca proporrà un nutrito programma di eventi a partire dal 25 gennaio per celebrare l’anniversario e valorizzare il patrimonio sotterraneo della Città con eventi, conferenze, progetti di restauro e tecnologici e, si spera, anche significativi passi per la istituzionalizzazione museale del Pastiss.

Tra i progetti già programmati, di seguito due particolari.

Il primo a inizio febbraio sarà la realizzazione di una speciale visita virtuale del Pastis nell’ambito del progetto VADUS, collaborazione tra Comune di Torino (Torino City Lab), ESA, TIM, ENEA e Università La Sapienza di Roma. Il secondo progetto, relativo al recupero archeologico e funzionale del pozzo di aerazione all’interno del percorso di visita, andrà in porto entro aprile pv. La prima attività, il 25 gennaio 2022.
Dopo una breve inaugurazione dell’anniversario, dalle ore 11 alle 17,30 la  cinquecentesca fortezza del Pastiss sarà aperta alle visite gratuite. Obbligatoria prenotazione a eventi@museopietromicca.it e 011 01167580 e necessario green pass rafforzato e mascherina indossata. Non idoneo per portatori di disabilità motoria.

IL DIRETTORE DEL MUSEO PIETRO MICCA Gen. Franco Cravarezza

 

Torre Paola: la storia, cosa vedere, le origini del nome
Da ilgiornaledilatina.org del 19 gennaio 2022

Di Emanuela Dente

Le torri di avvistamento sono da sempre uno degli strumenti di difesa più utilizzati. Questi edifici si trovano solitamente a picco sul mare, in posizione strategica, e nei secoli sono state uno strumento fondamentale per garantire la sicurezza delle coste e prevenire l’invasione da parte dei pirati o dei popoli vicini. Lungo le coste del Centro e del Sud Italia questi edifici fortificati sono sparsi un po’ dappertutto, ma i pionieri nell’utilizzo di questo sistema difensivo sono stati i Romani, che costruivano questi imponenti edifici di mattoni e pietra per difendersi dagli attacchi dei pirati che imperversavano nel Mediterraneo. Anche le coste del Lazio sono puntellate da queste torri difensive, il promontorio del Circeo, in particolare, ne conserva ben sei. Una delle torri che ha mantenuto meglio il suo aspetto originale è Torre Paola, una costruzione forificata posta al confine con la spiaggia di Sabaudia. Scopriamo insieme la storia della splendida Torre Paola Sabaudia.

Torre Paola San Felice Circeo

Torre Paola è una delle 6 costruzioni fortificate poste a difesa del promontorio del Circeo, ed è l’unica che conserva ancora la sua superba e imponente forma originale. Le altre torri presenti nella zona sono: Torre Moresca, Torre Fico, Torre Cervia, Torre Vittoria e Torre Olevola. L’edificio venne eretto negli anni a cavallo tra XV e XVI secolo, ma per ordine di Papa Pio VI, nel 1563 la torre venne ulteriormente potenziata e rinforzata. Questa zona della costa, infatti, era soggetta a continue incursioni da parte dei Saraceni e per evitare che queste cessassero definitivamente, l’edificio venne modificato e acquisì una forma “a
testuggine”, che è ancora visibile oggi.

Sabaudia Torre Paola

La Torre San Felice Circeo vantava un arsenale di tutto rispetto. Secondo un documento conservato all’Archivio di Stato Vaticano, Torre Paola era stata armata con “un cannone da 10 con 15 palle, 15 casse di mitraglia e 15 di polvere, 1 cannone da 3/4 con 15 palle, 15 cassa di mitraglia e 70 di polvere; 1 cannone da 1 con 15 palle, 15 casse di mitraglia e 7 di polvere”. E’ forse per merito di questo arsenale potenziato che la fortificazione è riuscita a sopravvivere a guerre e invasioni. Agli inizi dell’800 i soldati che facevano parte della guarnigione di stanza presso Torre Paola, riuscirono a ricacciare indietro le navi inglesi e ad impedire che la torre venisse presa. Ma le altre costruzioni fortficate della zona non seguirono lo stesso destino.

La fine delle torri difensive del Circeo

Durante l’assedio degli inglesi, le altre torri della zona non sopravvissero agli attacchi e vennero distrutte o gravemente danneggiate. Torre Moresca venne rasa al suolo completamente, mentre Torre Fico e Torre Cervia furono gravemente compromesse. Gli invasori inglesi riuscirono nell’intento grazie a un becero inganno: essi giunsero alle porte delle torri e si presentarono come soldati francesi, alleati e dunque amici. Non appena ebbero palesate le loro intenzioni, fu la fine per i soldati che occupavano le guarnigioni delle torri. In particolare Torre Moresca venne abbandonata dall’intero contingente, dal momento che i soldati della guarnigione erano corsi in aiuto dei compagni di stanza presso le altre torri. Questo permise agli inglesi invasori di distruggere completamente la fortificazione, che non venne più ricostruita. Torre Paola riuscì a salvarsi grazie al capitano della sua guarnigione, che non si lasciò ingannare e riuscì a limitare i danni. La torre purtroppo versa in uno stato di profonda incuria, ma l’Amministrazione Comunale di San Felice Circeo ha avviato le procedure per l’esproprio, allo scopo di riqualificare l’edificio e dare vita al Museo delle Torri Costiere, un’esposizione permanente che possa raccontare la storia del Circeo attraverso quella delle sue meravigliose costruzioni fortificate.

 

Verona, recupero Arsenale: lavori per i nuovi tetti
Da veronanetwork.it del 19 gennaio 2022

Alla corte ovest dell'ex arsenale di Verona si lavora per i nuovi tetti antisismici, in parallelo alla ristrutturazione interna.

Cantiere vivo all’ex Arsenale, dove i lavori per i nuovi tetti antisismici alla Corte Ovest vanno avanti, in parallelo alla ristrutturazione interna. Tre le gru presenti nell’area, i cui lunghi bracci permettono di lavorare su più fronti accelerando l’iter complessivo. Come da cronoprogramma, i lavori sono attualmente concentrati sulla Corte Ovest, quella con le coperture più ammalorate e che, una volta restaurata, ospiterà l’Accademia di Belle Arti. Una volta messi in sicurezza i tetti e i parametri antisismici, si interverrà sugli interni. Nello specifico si tratta di mettere mano ad una mole di coperture pari a 22mila metri quadrati di superficie. Che, nello specifico, significa che verranno rifatti tutti i tetti delle palazzine dell’ex Arsenale, ad eccezione della palazzina di Comando, l’unica che non necessita di tale intervento.

Il valore di queste prime opere è di oltre 5 milioni di euro, affidate ad un’associazione temporanea di impresa di Padova che si è aggiudicata la gara. Per i lavori successivi l’Amministrazione conta sui fondi del Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza legati al bando sui progetti di rigenerazione urbana. La proposta progettuale presentata dal Comune sull’ex Arsenale del valore di 18 milioni di euro è stata ammessa al finanziamento ed è in attesa di un successivo provvedimento da parte del Governo per finanziare tutti i progetti in graduatoria, compresi quelli di Verona.

Cantiere in corso

Nella palazzina della Corte Ovest a ridosso della Centrale, la vecchie coperture sono state completamente rimosse. Ora si lavora a cielo aperto per dotare l’edificio di un tetto antisismico, che non può prescindere dalla realizzazione di nuovi cordoli fino ad oggi inesistenti, ulteriormente rafforzati dall’inserimento di reti e barre in acciaio che vengono fissati ai mattoni, a loro volta puliti ad uno ad uno e sostituiti se non più conformi.
Nel frattempo avviene anche la riparazione-ricostruzione delle  murature maggiormente degradate-dissestate a seguito di fenomeni di crollo delle coperture e/o di altri elementi strutturali; gli interventi verranno eseguiti mediante ristilatura dei corsi di malta con impiego di malta di calce idraulica a composizione chimica controllata e, se necessario, ricostruzione localizzata della muratura con mattoni di recupero e elementi lapidei con caratteristiche similari alla costruzione originaria.
Quindi si proseguirà con la ricostruzione delle orditure lignee principali (capriate) e secondarie riproponendone la forma originaria; verrà irrigidito l’impalcato di copertura con l’installazione di doppio tavolato in legno massiccio disposto sulle travature lignee e nastri in acciaio chiodati e al rifacimento del pacchetto di copertura con manto in coppi opportunamente impermeabilizzato e coibentato. Il progressivo avanzare del cantiere è visibile, oltre che ad occhio nudo sul posto, anche via web, scansionando il QrCode presente nei cartelli del cantiere.

Pnrr

Il bando prevedeva che ogni Comune presentasse interventi per un massimo di 20 milioni di euro. Da qua la scelta dell’Amministrazione comunale di chiedere finanziamenti per due importanti opere: Arsenale e Parco della Cultura urbana. Interventi in grado di rispondere a tutti i requisiti del bando, tra cui l’essere già inseriti nel Piano Triennale delle opere pubbliche e realizzabili nei tempi stretti previsti dal Pnrr, entro il 2023 aggiudicazione lavori ed entro il 2026 fine cantieri.
Per la riqualificazione del cuore dell’Arsenale, destinata a diventare ‘ARS District’, il finanziamento richiesto è di circa 18 milioni di euro. L’intervento prevede la ristrutturazione della Palazzina di Comando, per potenziare il sistema museale del Comune (biblioteche museali integrate, depositi visitabili del Museo di Storia Naturale dotati di laboratori, aule per studio e didattica, sale riunioni, servizi di accoglienza per il pubblico), così come l’ufficio marketing territoriale. E la Corte Centrale, dove sono previsti spazi per i giovani e le famiglie, uffici di co-working, incubatore di start-up, laboratori d’arte tecnologici e creativi, sale per riunioni e incontri, spazi dedicati al gioco. Infine il parco pubblico urbano all’esterno destinato al tempo libero, allo svago, allo sport e alle attività ricreative.

Il sopralluogo

Gli aggiornamenti sul cantiere sono stati illustrati questa mattina direttamente sul posto dal sindaco Federico Sboarina e dall’assessora alla Pianificazione urbanistica Ilaria Segala. Presenti gli ingegneri Micaela Goldoni di Politecnica e Fabio Carretta di F&M Ingegneria. «Prosegue spedita la messa in sicurezza dei tetti e la ristrutturazione degli edifici, un lavoro a 360 gradi che comprende anche l’antisismica – ha detto il sindaco –. Il cantiere procede come da programma, ricordo che questo compendio è stato trasferito al Comune nel 1995, con le chiavi consegnate nel 2009, e in tutti questi anni è stato oggetto solo di un grande abbandono. Questa è la prima volta che si interviene per metterlo in sicurezza, passaggio propedeutico per le destinazioni d’uso già indicate e che lo restituiranno finalmente alla comunità».

«Quanto ai fondi del Pnrr, sono ottimista – ha aggiunto il sindaco –, sia per la bontà progettuale di una delle più corpose proposte presentate a livello nazionale, sia per gli impegni presi dagli esponenti del Governo a tale proposito dopo le insistenze dei sindaci del Veneto e dell’Anci regionale».

«In questo momento la ditta è concentrata sulla realizzazione di nuovi cordoli attorno al cornicione dell’edificio – spiega l’assessora Segala –. Si tratta di elemento strutturale fondamentale dal punto di vista sismico e quindi fondamentale per la sicurezza dell’edificio. In parallelo si lavora sul altri fronti, la presenza di tre grandi gru contemporaneamente permette infatti di spaziare da un punto all’altro dell’area, anticipando opere come l’eliminazione di materiale di riserva dalle altre palazzine e dalla superficie destinata a parco pubblico».

La replica del consigliere Ferrari

Replica il consigliere comunale di Traguardi Tommaso Ferrari: «Dal sopralluogo al cantiere dell’Arsenale non emergono novità sostanziali sullo stato d’avanzamento dei lavori di recupero, ma intanto si continua a parlare degli interventi dandoli per certi, mentre, di fatto, i milioni del PNRR sono appesi ad una trattativa puramente politica con il Governo centrale, rispetto alla quale non ci sono certezze». «La prospettiva è quella di un cantiere infinito, perciò una volta terminato il rifacimento dei tetti il Comune faccia in modo di rendere fruibili gli spazi esterni dell’Arsenale che non sono interessati dalla bonifica, per evitare ai veronesi di trascorrere un’altra estate tra l’erba alta e le reti da cantiere».

 

I missili di Rivolto
Da rainews.it del 19 gennaio 2022

Rivolto La base ospita un sistema di difesa aerea di ultima generazione, impiegato anche in occasione del G7. Ma già si pensa a un ulteriore sviluppo per nuove attività

di Giovanni Taormina

Si chiama Sirius il nuovo sistema missilistico di difesa operativo alla base di Rivolto in provincia di Udine. Un sistema di ultima generazione di difesa aerea in grado di integrarsi con tutte le reti missilistiche sia Nato che di altri Paesi. Presso la base del secondo stormo il sistema si sta ulteriormente sviluppando su nuove capacità  Un sistema in grado di rilevare dai grossi target a velivoli di piccole dimensioni come quelli a pilotaggio remoto. Già utilizzato in diverse occasioni come il G7 di Taormina o il compleanno delle frecce tricolori. i Oltre 13 tonnellate facilmente trasportabili, due operatori di equipaggio affiancati da una squadra di tecnici variabile a seconda del luogo di schieramento.

Due i sistemi operativi a Rivolto ma già previsto un incremento a dimostrazione dell'importanza e delle molteplici attività della base aerea Friulana

 

Cantieri ancora fermi al Forte San Felice Si attende il concordato
Da nuovavenezia.it del 19 gennaio 2022

Lavori bloccati dopo i problemi delle ditte legate al Cvn Armelao: «Avanti con le indagini sulla blockhaus austriaca»

Di Elisabetta B. Anzoletti

CHIOGGIA A marzo un sopralluogo ai cantieri aperti, ma sospesi, del Forte San Felice, mentre si stanno già realizzando le indagini per avviare il recupero anche della blockhaus austriaca e della polveriera. Pochi giorni fa è tornato a riunirsi il tavolo tecnico istituito per dar seguito al protocollo d’intesa siglato esattamente quattro anni fa (18 gennaio 2018) in municipio per la smilitarizzazione, il recupero e la valorizzazione del Forte. Era previsto anche un sopralluogo, ma è stato rinviato a marzo. La riunione, a cui hanno preso parte tutti gli enti coinvolti (ministero della Difesa, ministero delle Infrastrutture, ministero dei Beni Culturali, Demanio, Provveditorato alle opere pubbliche, Regione, Comune, Difesa spa, Soprintendenza, Istituto dei castelli), ha ribadito la necessità di riprendere i lavori, legati però alla risoluzione dei problemi di liquidità del Consorzio Venezia Nuova, da cui dipendono le ditte appaltate.

«Nell’anniversario della firma del protocollo era doveroso fare il punto sul recupero», spiega il presidente del comitato del Forte Erminio Boscolo Bibi, «Da quel momento il processo è andato avanti, seppur con difficoltà e lentezza. Un cantiere per il restauro del portale monumentale del Tirali e i percorsi di visita sui bastioni è già ben avviato, pur se ora i lavori sono sospesi. Si stanno predisponendo altri progetti con indagini e sondaggi in corso. Noi continueremo a chiedere e a vigilare, con molta pazienza e tanta perseveranza, finché il Forte non sarà davvero patrimonio di tutti».
I primi lavori, finanziati con sette milioni di euro stanziati come opere compensative al Mose, si sono interrotti in autunno quando le ditte hanno avuto problemi di liquidità consequenziali a quelli del Consorzio. Per ripartire con i lavori si attendono gli effetti del concordato. Nel frattempo il 13 gennaio è tornato a riunirsi, dopo mesi, il tavolo tecnico. «Ci siamo ritrovati in videoconferenza con tutti gli enti coinvolti nel progetto per dar corso al protocollo», spiega il sindaco Mauro Armelao, «I cantieri sono al momento sospesi, ma a metà marzo ci aggiorneremo in attesa della risoluzione delle problematiche del Consorzio e programmeremo un sopralluogo che ora non è stato possibile organizzare. Nel frattempo stanno procedendo i passaggi burocratici che interessano il Demanio e stanno andando avanti le indagini archeologiche sulla blockhaus austriaca e la polveriera per avviare specifici interventi di recupero. La collaborazione istituzionale va avanti, come l’impegno dell’amministrazione comunale per valorizzare l’area perché diventi finalmente patrimonio di tutti». —

 

Giochi di potere in Sicilia, la base militare di Comiso e la Guerra Fredda
Da editorialedomani.it del 18 gennaio 2022

Ha annotato Arrigo Levi, un giornalista estraneo ai sensazionalismi, a proposito della scelta di insediare in Sicilia la base per gli euromissili: «Non credo siano molti gli italiani consapevoli del fatto che quella nostra decisione [...] contribuì in modo straordinario, forse perfino decisivo, alla caduta dell’impero sovietico e alla fine del comunismo»

Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata all’omicidio di Giuseppe Insalaco, sindaco di Palermo ucciso il 12 gennaio del 1988 dopo aver denunciato a più riprese le collusioni tra politica e mafia.

Qualcosa di straordinario, in quel fatale anno 1979, sta davvero per succedere in Sicilia. Per capirlo, bisogna andare a 7.596 chilometri da Palermo: in una piccola isola delle Antille, Guadalupa. Lì, il 5 e il 6 gennaio 1979, si riuniscono le grandi potenze d’Occidente. Al summit partecipano il presidente Usa, Jimmy Carter, il premier inglese James Callaghan, il presidente della Repubblica francese, Valéry Giscard d’Estaing e il cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, Helmut Schmidt. L’Italia manca: non è stata invitata. Ufficialmente il vertice è stato convocato per discutere di economia. In realtà si parla di tutt’altro. Di missili.

La ragione vera dell’incontro è che la Nato è allarmata dallo squilibrio di forze con l’Urss sul teatro europeo. Già dal 1977 i servizi segreti occidentali hanno segnalato che Mosca sta schierando sul suolo sovietico missili SS20 a testata nucleare, capaci di raggiungere qualunque bersaglio nell’Europa occidentale. Le analisi dell’intelligence convergono nell’indicare quei missili come un cuneo destinato a dividere l’Europa dagli Usa.

Per riequilibrare i rapporti di forza, la Nato vuole schierare in risposta una nuova generazione di missili: il punto è decidere quale paese dovrà accoglierli. Il cancelliere Schmidt chiede che la Germania non sia la sola nazione europea a ospitare le basi missilistiche; teme rappresaglie; ha paura che Mosca piloti eventuali azioni terroristiche, come del resto suggeriscono i servizi occidentali.
Ma se la Germania non li vuole, chi si prende gli euromissili? Quella riunione nell’esotico scenario di un’isola dei Caraibi è il primo atto della trasformazione della Sicilia nella sede della base militare nucleare più grande d’Europa. Bisognerà aspettare il novembre 1979 perché il presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, dichiari ufficialmente che l’Italia ha accettato di installare i missili – gli euromissili – sul proprio territorio e addirittura l’agosto 1981 perché il governo della Repubblica italiana – il primo nel dopoguerra guidato da un non democristiano – spieghi che il luogo scelto per ospitare la base è Comiso, nella Sicilia sudorientale. Ma la scelta è stata fatta molto tempo prima. E a rivelarlo è il diplomatico che l’Italia designò a rappresentarla nel «gruppo di esperti ad alto livello» che doveva elaborare il programma degli euromissili. Quest’uomo, Antonio Ciarrapico, ha pubblicato nel 2012, in un saggio dal titolo suggestivo, Le ombre della storia, una ricostruzione della vicenda euromissili che merita di essere letta con attenzione.
Nel luglio del 2013 la rivista Affari esteri ha ristampato quella ricostruzione con un titolo ancora più accattivante: La storia poco conosciuta degli euromissili. Con l’accuratezza del testimone e la disinvoltura di chi si sente ormai svincolato dall’obbligo di segretezza sugli eventi cui ha partecipato, Ciarrapico spiega come la scelta di puntare sulla Sicilia gli venne anticipata dagli americani nei primi mesi del 1979.
E indica la data e il luogo in cui venne informato delle preferenze Usa.
Seguiamo il racconto dell’ambasciatore Ciarrapico. La data: mercoledì 28 febbraio e giovedì 1 marzo 1979. In quelle quarantott’ore, a Colorado Springs, contea di El Paso, nello stato americano del Colorado, l’Hlg (High Level Group), il gruppo degli esperti che da due anni si incontrano periodicamente, si riunisce per continuare a discutere degli euromissili.

LA BASE AMERICANA A SIGONELLA

Prima di partire per gli Usa, l’ambasciatore Ciarrapico, che è profondamente convinto della necessità che l’Italia si candidi a ospitare la nuova base ma conosce le perplessità dello stato maggiore della Difesa, ha consultato il governo.
Non ha parlato con il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, ma con due ministri di primo piano, entrambi democristiani. Uno è il responsabile degli Esteri, Arnaldo Forlani.
L’altro è un mantovano eletto nella Sicilia Occidentale, il ministro della Difesa Attilio Ruffini, nipote di un famoso cardinale di Palermo, Ernesto Ruffini, celebre per aver definito la mafia un’invenzione dei comunisti. A sorpresa, nei suoi colloqui riservati, l’ambasciatore ha ottenuto dai due ministri un cautissimo, segreto benestare.
Senza consegnargli nulla di scritto, Forlani e Ruffini hanno autorizzato Ciarrapico a far trapelare nella riunione di Colorado Springs l’interesse italiano a intestarsi la titolarità della nuova base. Con le cautele del caso, l’ambasciatore lo accenna al vicesegretario alla Difesa americano David E. McGiffert. Bostoniano e democratico, McGiffert ha un curriculum di tutto rispetto. Il suo primo incarico nell’amministrazione Usa risale al 1962. Ha lavorato con il presidente John Kennedy e con il suo successore, Lyndon Johnson.
Dalla plancia di comando del Pentagono, nel 1968 ha fronteggiato in patria le proteste pacifiste contro la guerra in Vietnam. Quando il neopresidente Carter o richiama in servizio, ha una robusta conoscenza della macchina militare Usa.

Ciarrapico racconta che il negoziatore americano, appena informato delle cautissime avances italiane, lo prende in disparte per parlargli con maggior franchezza: «A titolo di anticipazione aggiunse che, nelle prospettive del Pentagono, si escludeva di utilizzare una base nel Veneto, come forse ci si attendeva da parte italiana, e si pensava alla possibilità di schierare un certo numero di missili di crociera basati a terra in Sicilia, preferibilmente a Sigonella, ove gli Stati Uniti erano già presenti ed ove esistevano già delle infrastrutture aeroportuali adeguate». Dunque, il disegno del Pentagono era chiarissimo – e bell’e pronto.
È bastato che da parte italiana si manifestasse un barlume di disponibilità perché gli americani svelassero un piano già definito, che riguardava la Sicilia. «Preferibilmente», Sigonella. Sarà Comiso, invece, a settanta chilometri di distanza. Nel pieno della guerra fredda, con la decisione di puntare sull’isola per installare i missili che, nelle intenzioni dell’Alleanza atlantica, dovranno riequilibrare il rapporto Est-Ovest sul fronte delle armi di teatro, la Sicilia torna a essere decisiva sullo scenario geostrategico mondiale.
È un ruolo che l’isola non riveste dai giorni dello sbarco alleato, nel luglio 1943, nel pieno della Seconda guerra mondiale. Nella valutazione dell’ambasciatore Ciarrapico, quella scelta «avrebbe indotto qualche anno più tardi il governo sovietico [...] ad accogliere la proposta occidentale di totale azzeramento, da entrambe le parti, delle armi di teatro a lungo raggio». Come dire che i missili di Comiso hanno influito in maniera determinante sulle trattative per il disarmo, segnando una svolta per l’Occidente.
Nella storia della fine della guerra fredda, un capitolo è stato scritto in Sicilia.

Curioso che se ne parli così poco. Ha annotato Arrigo Levi, un giornalista estraneo ai sensazionalismi, a proposito della scelta di insediare in Sicilia la base per gli euromissili: «Non credo siano molti gli italiani consapevoli del fatto che quella nostra decisione [...] contribuì in modo straordinario, forse perfino decisivo, alla caduta dell’impero sovietico e alla fine del comunismo». Il primo ad ammetterlo, del resto, è stato un americano, Richard Gardner,ambasciatore a Roma dal 1977 al 1981: l’installazione dei missili a Comiso, ha scritto nelle sue memorie, «avrebbe avuto un peso decisivo nel convincere Gorbaciov ad adottare una politica estera più illuminata e di conseguenza nel determinare il crollo del comunismo e la caduta del Muro di Berlino». E viene da pensare ai timori tedeschi: che accogliere i nuovi missili sul proprio territorio esponesse al rischio di dover affrontare esplosioni di terrorismo. In quei primi mesi del 1979, dunque, la Sicilia si avvia a diventare uno snodo fondamentale della strategia difensiva della Nato, candidandosi a ospitare la sede della più grande base nucleare d’Europa. È un progetto che gli americani perseguono non senza preoccupazioni. Secondo l’ambasciatore Ciarrapico, due sono le ragioni più forti di inquietudine per gli Usa: la presenza dei movimenti pacifisti e la forza del partito comunista in Italia. Ha scritto l’ambasciatore Gardner che, negli anni della presidenza Carter (gennaio 1977- gennaio 1981), l’Italia era «considerata dagli Stati Uniti “il problema politico potenzialmente più grave in Europa”».
Le ragioni sono presto dette: tra le elezioni amministrative del 1975 e le politiche del 1976 il Pci ha segnato una straordinaria avanzata elettorale. Nel 1976 il settimanale americano Time ha dedicato una copertina al segretario comunista Enrico Berlinguer, bollandolo come «Pericoloso».
Se non è un Wanted, come nei vecchi manifesti western per la caccia ai criminali, poco ci manca. E proprio la Sicilia è stato il laboratorio politico dove, a partire dal 1975, si è sperimentata in anteprima, con la formula dell’unità autonomista, la politica del compromesso storico tra la Dc di Aldo Moro e il Pci di Enrico Berlinguer.
Dal 1976 al 1978, per il governo dell’isola si sono varate le «larghe intese», formula che periodicamente riemerge nella politica italiana.

IL MISTERIOSO CASO SINDONA

Sarà un caso ma è nel 1979, in estate, che il banchiere Michele Sindona, in fuga da New York – dove è stato arrestato con l’accusa di bancarotta – arriva in Sicilia, scortato da mafiosi e massoni, e si nasconde a Palermo, dove incontra Stefano Bontate e gli espone il progetto di un golpe anticomunista, sostenendo di parlare a nome di ambienti americani. Tommaso Buscetta attribuisce a Bontate una rude replica a quell’offerta: «Gli disse: “Lei mi sembra pazzo, sono stanco di colpi di Stato. Se li vada a fare lei”». Aggiunge: «L’hanno mandato via, l’hanno cacciato. Gli hanno detto: “vai via”». E val la pena di notare che, se la storia è vera, è la seconda volta in meno di dieci anni che qualcuno chiede l’appoggio della mafia per un golpe: i congiurati del principe Borghese nel 1970, Sindona nel 1979. C’è un altro personaggio legato a Cosa Nostra che sostiene di aver saputo nel 1979 di un progetto separatista per la Sicilia.
È Angelo Siino, il geometra di San Giuseppe Jato che si professa amico d’infanzia di Insalaco. Il 14 luglio 1997, Siino, da collaboratore di giustizia, riferisce di un piano separatista, organizzato dalla masso neria d’intesa con la mafia nei tardi anni Settanta, con l’appoggio degli Stati Uniti, in funzione anticomunista.
Ma dice di aver saputo di quel progetto prima della venuta di Sindona e ne parla come se si trattasse di un piano differente. Notizie campate in aria? Nel giudizio corale dei magistrati, Siino è un collaboratore di giustizia più che attendibile. E in tema di massoneria, può vantare una certa competenza. A ventott’anni, nel 1972, è stato ammesso nel Grande Oriente d’Italia, nella loggia Dante Alighieri. Poi è passato alla Camea, il misterioso Centro di attività massoniche ed esoteriche accettate che incrocerà il cammino della P2. Siino, che è un massone di grado 33, sostiene di aver conosciuto «in quell’ambiente» Licio Gelli. Suo fratello di loggia, nella Camea, era Bontate.

 

Torre Mileto, tra mare cristallino e fascino romantico
Da puglia.com del 17 gennaio 2022

“A pochi chilometri da San Nicandro Garganico un angolo recondito di bellezza.”

Tra i laghi di Lesina e Varano, e a pochi chilometri da San Nicandro Garganico, è presente Torre Mileto, affascinante struttura (probabilmente) di origine aragonese che sembra lì posta come sentinella del meraviglioso e cristallino mare sottostante.
Dal fascino romantico, oltre alla bellezza architettonica di Torre Mileto, ciò che affascina e conquista sono le sue spiagge, composte da una lunga distesa di fine sabbia dorata. Frequentata località balneare, questo luogo è frequentato durante tutte le stagioni dell’anno. Il merito, sicuramente, è da attribuire alla sua lontana e preziosa storia, le cui origini si perdono nella notte dei tempi e alla rigogliosa macchia mediterranea, oltre che ad una scogliera ricca di anfratti e sorgenti di acqua dolce.
Se il suo nome si rifà al periodo dell’avanzata turca, non distante da questa torre di avvistamento, nei fondali più profondi, giace il relitto di una marsiliana affondata nel 1600 in circostanze mai identificate.
Punto di terraferma in assoluto più vicino alle Isole Tremiti, dalle quali dista sole 11 miglia, Torre Mileto è circondata in ogni suo punto da storia e natura affascinanti: oltre al limpido Adriatico, questo sito è in una zona di notevole interesse archeologico e naturalistico.

Torre Mileto, qual è la sua storia

La costruzione di Torre Mileto, invece, dovrebbe risalire al XIII secolo. All’interno dei documenti ufficiali, infatti, ci sono riferimenti sulla possibilità voluta da Carlo II d’Angiò, re di Napoli, di porre la guardia sulle torri marittime comprese nel territorio dell’attuale di San Nicandro. Inizialmente chiamata Maletta, in riferimento al camerario del Regno di Sicilia Manfredi Maletta, il nome della torre è stato poi corretto in Miletto, fino ad arrivare all’attuale Mileto.
Di base quadrangolare, con i lati posti in ordine ai punti cardinali, Torre Mileto presenta nella sua parte superiore la piazza d’armi: da qui è possibile ammirare tutte le altre torri costiere per un orizzonte che si perde fino alla costa del Molise.
Grazie a un progetto a cura del Parco Nazionale del Gargano, a partire dal 2005 questa struttura ha nuovamente goduto di decoro e fruibilità. In attesa che venga aperto uno sportello informativo per le visite al Parco, Torre Mileto resta una delle più affascinanti località di mare dello Sperone d’Italia.

Foto di: @torracodenis03 (Instagram)

 

Le caponiere del Parco delle mura cercano gestori. Martedì si riunisce la Commissione
Da cittadellaspezia.com del 17 gennaio 2022

Un anno fa il bando andò deserto, così il Comune ne ha emesso un altro a novembre e questa volta spera in buone nuove. Continuano intanto le visite guidate gratuite al Parco delle mura, organizzate dall’amministrazione in collaborazione con AGTL – Associazione Guide Turistiche della Liguria, dal titolo “Bellezza da vivere”. Appuntamento a domenica prossima.

Le sette caponiere dislocate lungo le mura ottocentesche cercano uno o più gestori. Già nel 2020 l’amministrazione comunale spezzina aveva tentato la strada del bando, senza tuttavia trovare manifestazioni di interesse per il recupero e la gestione delle sette ex strutture militari. La prima procedura di evidenza pubblica risale al settembre 2020 ma non trovò riscontri nonostante le potenzialità dei beni emerse nell’ambito di una consultazione svolta a novembre 2019. Così a novembre 2021 Palazzo civico ha deciso di riprovarci pubblicando un bando che ricalcava in tutto e per tutto quello di 12 mesi fa. Le caponiere disponibili, come detto, sono sette e il Comune, pur non precludendo la possibilità di recuperare singole strutture è intenzionato a favorire il recupero complessivo degli immobili al fine di un più completo possibile recupero della cinta muraria nata per difendere la città e l’arsenale.

Le domande di partecipazione dovevano essere presentate entro le 12 del 14 gennaio scorso e il canone a base di gara era differente per ogni caponiera: adesso ci penserà la commissione giudicatrice nominata, a vagliare le eventuali proposte, sempre che ce ne siano state: dovrebbe essere una questione di giorni per sapere come è andata questa volta. Le attività inserite negli indirizzi di utilizzo degli immobili dalla giunta comunale sono di accoglienza e promozione turistica, ricettiva e agrituristica, di inclusione sociale, di valorizzazione del territorio e della rete escursionistica, culturali, formative oppure di punto ristoro, bar o ristorante. Come detto la durata della concessione è stata fissata in 12 anni, con la possibilità di rinnovo non tacito per un periodo di 6 e il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economica più vantaggiosa e prevede l’assegnazione di 79 punti per l’offerta tecnica e di 21 per quella economica. Della commissione faranno parte Massimiliano Curletto, direttore del Dipartimento II, in qualità di presidente, Andrea Marmori, direttore del Museo Lia e Luciano Callegari, funzionario responsabile Cdr Edilizia privata come membri interni e Jessica Bertilorenzi, del C.d.R. Patrimonio, in qualità di segretario verbalizzante.

L’esperimento della gara avrà luogo in seduta pubblica, presso la Sala Multimediale di Palazzo civico, il prossimo 18 gennaio alle 10 ed in sedute successive convocate con un anticipo minimo di due giorni, nella quale si procederà secondo i seguenti passaggi: la Commissione sarà chiamata a verificare, in primo luogo, che le buste pervenute siano conformi alle modalità indicate nel presente Bando di Gara e procederà all’esclusione di quelle non conformi. Successivamente la Commissione procederà all’apertura delle buste contenenti la documentazione amministrativa, procedendo all’esclusione dei concorrenti la cui documentazione non sia conforme a quanto stabilito nel presente bando.

Esaurita la fase di ammissione delle offerte, la Commissione aprirà le offerte tecniche al fine di constatarne il contenuto e proseguirà in seduta riservata con la valutazione delle offerte tecniche sulla base degli elementi indicati nel presente bando. Poi verrà il momento dell’apertura delle offerte economiche dei concorrenti non esclusi ed alla redazione della graduatoria di gara e infine si arriverà all’atto finale, quello dell’aggiudicazione della gara.
Continuano intanto le visite guidate gratuite al Parco delle mura, organizzate dall’amministrazione in collaborazione con AGTL – Associazione Guide Turistiche della Liguria, dal titolo “Bellezza da vivere”. Il prossimo appuntamento è previsto per domenica 23 gennaio con partenze ogni ora dalle 10 alle 15.
L’appuntamento è presso l’ingresso “Piazzale Giovanni XXIII” (Cattedrale), le visite sono gratuite e per partecipare è obbligatorio prenotare telefonicamente al numero 0187.727220 (Museo “A. Lia”) dal martedì al venerdì alle ore 10 alle 18.

 

Le parole del castello nelle opere di Dante
Da informazione.it del 17 gennaio 2022

Sabato 29 gennaio 2022 alle ore 16,00 presso la Sala Conferenze del Civico Museo Archeologico di Milano (Ingresso gratuito, posti limitati con prenotazione obbligatoria inviando una mail a: info©italiamedievale.org,) l’Associazione Italia Medievale con l’Istituto Italiano dei Castelli è lieta di invitarvi alla presentazione del saggio “Le parole del castello nelle opere di Dante” (Mauro Pagliai Editore, 2021) di Maria Cristina Ricci con la partecipazione dell'autrice.

Nell’immaginario collettivo castelli, torri, città murate, assedi, scontri armati, trovano nel secolo di Dante, caratterizzato dai conflitti tra Chiesa e Impero e rivalità di potere tra i Comuni, uno scenario reale quanto ideale. Infatti a partire dall’ XI secolo si verifica il fenomeno dell’incastellamento del territorio, operato non solo dal potere centrale ma anche da signori, laici ed ecclesiastici, che preferiscono arroccarsi anziché affrontare gli invasori in campo aperto. Così una fitta e ingombrante presenza di castelli rurali, rocche di passo, città e borghi murati, case forti, torri di avvistamento sono gli edifici che maggiormente denotano l’Età di Dante e il Medioevo comunemente inteso; sono anche il lascito più solido e visibile degli uomini di quella Età.

Il breve saggio di Maria Cristina Ricci commenta e contestualizza i versi del poeta che presentano precisi riferimenti all’architettura fortificata e alla sua giovanile esperienza di uomo d’armi; questi sono presenti soprattutto nella prima cantica della Commedia, dove l’Inferno è rappresentato come un continuo e sterminato campo di battaglia. Una gran dovizia di termini relativi alle fortificazioni è presente anche in un’opera giovanile minore, Il Fiore, sorta di dramma amoroso in versi, dove Dante ricorre a uno dei più antichi stereotipi letterari: l’assedio alla donna amata rinchiusa nel castello.

Il libro, pubblicato nel 2021 da Mauro Pagliai editore, ha avuto l’avallo della Società dantesca di Firenze e la presentazione di Franco Cardini.

Maria Cristina Ricci è nata a Sondrio nel 1951. Laureata in Filosofia all’Università degli studi di Padova, si occupa di conservazione di beni culturali dell’Est milanese. È stata consigliera e segretaria della sezione Lombardia dell’Istituto italiano dei Castelli dal 2002 al 2015. Ha pubblicato Castelli e luoghi fortificati in Martesana (2002), Le fortificazioni del Basso milanese (2006), oltre ad altri studi riguardanti l’architettura religiosa e civile di Gorgonzola, dove risiede.

 

Alla scoperta delle antiche torri d’avvistamento del trapanese
Da primapaginatrapani.it del 16 gennaio 2022

Di Pietro Vultaggio

Nel XIV secolo inizia un processo di costruzione difensiva in tutte le coste della Sicilia

Tra il 1313 ed 1345 Federico III re di Sicilia fece costruire un sistema di 40 torri costiere di avvistamento e difesa, per lo più di forma cilindrica. Nel 1405 il re aragonese Martino I di Sicilia, detto il Giovane, diede ordine di restaurare le 40 torri esistenti e di costruirne di nuove. Ma anche l’impero spagnolo di Carlo V investì ingenti risorse nella difesa delle coste mediterranee.

Nel trapanese ritroviamo molte testimonianze di questo passato difensivo: lungo il litorale di Marausa si trova una torre di guardia del XVI secolo, la cui denominazione è “Torre di Santo Stefano di Alcagrossa”, perché sovrasta i bassi fondali marini, anche detta “Torre di Mezzo”, per la sua posizione geografica che la vede situata tra la torre di Nubia e quella di San Teodoro a Marsala; la torre di Nubia costruita nel secolo XVI; la Torre della Colombaia o Torre Peliade risalente al periodo di Amilcare Barca; Torre di Ligny tra i due mari, Tirreno e Mediterraneo; la Torre della Tonnara di San Giuliano; la Torre di Martognella e la Torre di Pizzolungo che si trovano sul litorale nord in direzione Bonagia; anche all’interno della tonnara di Bonagia si trova una torre d’avvistamento e che adesso invece ospita il museo della Tonnara; la torre della Tonnara di Cofano, che si trova già sul golfo di Macari ma ricade nel territorio del comune di Custonaci, ha una pianta quadrata stellare a quattro punte e rappresenta un impianto unico per la Sicilia per le sue pareti concave, che servivano a fare rimbalzare le palle dei cannoni durante gli attacchi; sul Golfo di Castelluzzo-Macari si può ammirare la Torre Isulidda, da poco restaurata, mentre andando verso lo Zingaro si incontrano la torre ‘Mpisu (o ‘Impisu, impiccato) e la Torre dell’Uzzo.

 

Crema, le fortificazioni veneziane come «volano» per i turisti
Da laprovinciacr.it del 15 gennaio 2022

È via libera dalla Sovrintendenza alla seconda fase del recupero.Ora è caccia ai fondi regionali

CREMA - Scatta la fase due del restauro conservativo delle mura venete. Dopo aver completato a dicembre i lavori di recupero di oltre 1.600 metri quadrati dell’antica cinta, nel tratto tra Porta Serio e l’omonimo parco, l’amministrazione comunale punta ora sui fondi regionali destinati alla «valorizzazione del  patrimonio pubblico lombardo a fini culturali». Il progetto per candidare Crema al bando è pronto. Prevede di intervenire su tre parti diverse: il tratto di via Stazione partendo dal Torrion Castello ma escludendo il Torrion Foscolo di proprietà privata. Quindi, la porzione affacciata sul parcheggio del complesso residenziale «Mura venete». Infine il tratto del Campo di Marte, uno dei meglio conservati della città, tanto da mantenere ancora il fossato. Tutto già approvato dalla Sovrintendenza, dunque senza ulteriori passaggi legati ad autorizzazioni. Un restauro conservativo che significa l’eliminazione della vegetazione spontanea e la sistemazione delle fughe dove mancano piccole parti in muratura. Insomma, interventi che non vanno certo a modificare l’esistente, ma sono stati pensati nell’ottica di un consolidamento delle impronte veneziane per far guadagnare bellezza estetica e salute a questi tratti. E rappresentare un ulteriore punto di atrrattiva da offrire ai visitatori.

Il Comune chiede dunque alla Regione un cofinanziamento di 364 mila euro. «Il recupero — chiariscono i progettisti — è l’occasione di liberare la potenzialità di una componente fondamentale del patrimonio storicoarchitettonico distribuito a contorno della città, mediante il quale possono essere incentivati i servizi, il turismo e l’economia».

L’assessore ai Lavori pubblici Fabio Bergamaschi (https://www.facebook.com/fabio.bergamaschi.85) aggiunge: «Il restauro e la valorizzazione delle mura rappresentano per Crema una grande opportunità: la cinta caratterizza la città, la nobilita. Contribuisce a renderla affascinante e attrattiva.

Si tratta di un patrimonio storico di inestimabile valore, di cui non sempre siamo riusciti a cogliere pienamente il significato ed il potenziale. Ma la prospettiva sta cambiando: da alcuni anni la consapevolezza è diffusa e il Comune ha avviato una serie di interventi di valorizzazione».

 

Da tempo alcuni tratti, come quelli di Campo di Marte e via Stazione, sono stati messi in risalto da un’illuminazione artistica.

«Ora la prospettiva si allarga — conclude l’assessore —: abbiamo elaborato un progetto di recupero complessivo, concentrandoci sui tratti di proprietà pubblica.

Confidiamo molto nel buon esito della candidatura al bando regionale per proseguire in quest’opera. Finora — la precisazione — abbiamo fatto ricorso a risorse comunali e a un contributo del ministero della Cultura.

 Spero che anche la Regione possa sostenere un impegno che la città avverte come importante, sia per onorare la propria storia, sia per dare slancio al proprio futuro e a una vocazione turistica».

 

Romolo Ercolino a un mese dalla scomparsa e il libro sulle Torri Costiere
Da positanonews.it del 15 gennaio 2022

Di Lucio Esposito

Un mese fa ci lasciava l’architetto Romolo Ercolino, grande è il senso di vuoto nell’animo , non solo dei positanesi, ma anche in tutti quelli che appassionati di cultura e storia del territorio, hanno visto nelle sue pubblicazioni un faro. Lo ricordiamo con l’editore Nicola Longobardi, il quale nell’ultimo anno di vita di Ercolino è stato con lui , insieme a lui a fotografare tutte le Torri Costiere da Vietri allo Scoglio del Rovigliano, per completare e arricchire un volume già pronto, meticoloso e puntuale come nello stile dell’ingegnere. Con un sistema iconografico innovativo, immagini dall’alto. Lavoro di grande pregio che speriamo di poter editare al più presto, cercando di coinvolgere amministrazioni comunali. Volume che, il prof Ercolino, ha avuto la possibilità di vedere sul letto di morte , dice Nicola Longobardi nella cortese intervista rilasciata in anteprima esclusiva agli inviati di Positanonews. Facciamo nostro l’augurio di Longobardi e invitiamo tutti quelli che possono fare qualche cosa ad attivarsi ,per la pubblicazione di questo libro di Romolo Ercolino sulle torri costiere.

 

Tre forti uniti da 452 gradini: la Fortezza che custodì l’oro della Banca d’Italia
Da corriere.it del 13 gennaio 2022

Di Luca Bergamin

L’opera di architettura militare, chiamata Franzensfeste in onore di Francesco, permette di ammirare panoramici mozzafiato lungo i camminamenti. Oggi ospita mostre temporanee di arte contemporanea

Si trova proprio laddove la Valle Isarco si incrocia con la Val Pusteria, a pochissimi chilometri dal confine con l’Austria. Rappresenta una possente e mirabolante opera di architettura militare posta su tre livelli di altitudine: in pratica vi sono tre forti in una superficie di 16 ettari, con altrettanti accessi. La sua costruzione avvenne tra il 1833 e il 1838 e vi abitarono centocinquanta soldati. Non potette mai realizzare le finalità militari che avevano indotto gli austriaci a costruirlo, però quello di Fortezza resta un Forte bellissimo e pieno di meraviglie tali da stregare anche chi non è appassionato di bunker e strutture belliche.

La sua posizione, infatti, sopra un lago artificiale, è davvero scenografica e la sua vicinanza a molti bunker, alcuni dei quali creati anche in previsione di quella guerra fredda che poi fortunatamente non si verificò, acuiscono la curiosità di scoprirlo. Fatto di blocchi massicci di granito, chiamato Franzensfeste in onore di Francesco I, dopo la firma del concordato tra Germania, Austria e Italia, vide svanire la sua funzione di proteggere l’Impero Austroungarico dalle invasioni provenienti da sud. Oggi è sede di installazioni artistiche permanenti, ospita mostre temporanee di arte contemporanea che interessano anche il cortile e la chiesa, mentre un camminamento spettacolare proprio sopra il lago artificiale permette di goderne la silhouette anche da una prospettiva davvero ardita.

La sua gemma architettonica più sorprendente è rappresentata dalla scala interna che collega a quello dei tre forti che si trova in posizione più elevata: bisogna scalare ben 452 gradini, tutti al coperto, infatti, per arrivare in cima e poi godere la vista della Valle Isarco dalla piattaforma. Inoltre, è possibile entrare anche nel caveaux naturale che custodì le riserve auree della Banca d’Italia, fatte riparare qui dall’esercito tedesco. Una parte fu poi fatta confluire in Germania durante l’anno 1944, di cui solo una parte, a conflitto terminato, sarebbe stata riporta, con un grosso dispendio di energie per recuperarla, in Italia. Gestito dall’associazione locale Oppidum, il Forte di Fortezza pullula di iniziative non soltanto culturali: possiede un bar ristorante che riaprirà dopo la pandemia, e un negozio interno nel quale sono vendute borse realizzate riciclando i materiali plastici e cartacei impiegati per la pubblicizzazione delle mostre.

 

Bunker H, letteralmente underground
Da rock.it del 12 gennaio 2022

Di Claudia Mazziotta

Era un rifugio antiaereo durante la Seconda guerra mondiale, oggi è uno dei luoghi vitali per la cultura a Bolzano. Il racconto di un posto pazzesco che racchiude storia e geologia, musica e arte. E che potrebbe fare da sfondo al tuo prossimo videoclip

Un labirinto sotterraneo di 7000mq corre nelle viscere del Guncina, nella zona di Gries, borgo medievale inglobato nel comune di Bolzano durante il ventennio fascista: si chiama Bunker H, lo hanno scavato i soldati tedeschi durante la Seconda guerra mondiale, e oggi è un posto fighissimo preso in gestione dalle ragazze e dai ragazzi di Cooperativa Talia. Un gruppo di otto persone – il presidente Gino Bombonato e i soci Martino Bombonato, Manuel Unterkofler, Ginevra Dusini, Daniel Von Johnston, Irene Lombardi, Sebastiano La Sala, Davide Del Prete – che crea e organizza eventi culturali sia in regione, in Alto Adige, che fuori.
Attualmente, la Cooperativa Talia (che prende il nome dalla musa della commedia greca) è impegnata in un progetto: Bunker Clip, un contest di video musicali che coinvolge videomaker, band e artisti nella realizzazione di un videoclip nella cornice unica del Bunker H (il primo bando, dedicato ai musicisti, parte il 14 gennaio e si conclude il 23. Tutte le info per partecipare sulla pagina IG di @bunkerclip e in fondo a questo articolo. In palio un premio di 2500 euro).
Bunker H Siamo in via Fago 14, non lontano dal centro storico di Bolzano. Il Bunker H è un posto incredibile, basta guardare le foto e immaginare di ritrovarcisi dentro, tra stalattiti, stalagmiti, rocce laviche, coralli di grotta, cascate calcaree, specchi d'acqua dove sguazzano le anguille. Un luogo pieno di fascino che racchiude storia e geologia, vulcanologia e arte, reso vivibile e visitabile a partire dal 2013 grazie all'opera della Cooperativa, che in quell'anno fa richiesta al demanio per poter prendere in gestione il bunker. "In Alto Adige la parola 'bunker' è ben nota e crea poco stupore. Classificati come 'bunker' contiamo più di 300 luoghi", spiega Martino Bombonato, motion e graphic designer 27enne bolzanino (che ora vive a Milano) ed è il vice presidente della Cooperativa Talia. "Il Bunker H, però, è diverso. Innanzitutto, grazie alla sua area di 7000mq, è considerato uno dei più grandi. Poi, è uno dei pochi che non è stato utilizzato come rifugio antiaereo dalla popolazione di Bolzano durante la guerra, bensì solo dai militari tedeschi. Che, dopo l'armistizio, hanno invaso la regione e hanno utilizzato il bunker come riparo dai bombardamenti alleati, ma anche come deposito di munizioni, viveri e beni razziati". Sono stati i soldati tedeschi ad averlo scavato, dopo l’8 settembre 1943, a colpi di dinamite e piccone nella roccia compatta, tirando fuori il porfido di una montagna "piena". O meglio: "I soldati tedeschi hanno infilato la dinamite nella roccia (si vedono ancora i fori dei candelotti). Ma il lavoro duro, portare fuori le tonnellate di porfido sbriciolato, lo hanno fatto i prigionieri del lager di via Resia. Per sgomberare un metro cubo di materiale servivano 25 carriole. Se si fanno due calcoli, un lavoro durato almeno sei mesi, h24".

"Dopo la fine della guerra", racconta Martino, "sappiamo che il bunker è stato riutilizzato negli anni '60 probabilmente come magazzino, per poi essere abbandonato e dimenticato come la maggior parte dei rifugi antiaereo che abbiamo in provincia. Quando l’abbiamo preso in gestione era in condizioni disastrose, distrutto e in degrado. Essendo un luogo aperto, negli anni sono entrate tantissime persone: da chi voleva semplicemente trovare una sfida di coraggio a chi lo utilizzava per riti, chi come deposito, eccetera". Il grande lavoro svolto dalla Cooperativa Talia è stato rendere vivibile e visitabile il Bunker: "Negli ultimi anni sono state fatte tante modifiche, o meglio, tanto ordine. Il prossimo passo sarà mettere un impianto elettrico", promette Martino. E chissà cosa ne uscirà fuori, se serate pazzesche di musica techno, un rave sotterraneo o un'opera sperimentale, tra installazioni e luci psichedeliche che confondono il buio. Noi ci saremo, speriamo.

Martino e gli altri soci della Cooperativa si sono occupati per diversi anni di realizzare sul territorio (e al di fuori del Bunker) mostre, principalmente di arte incisoria. Oltre a delle bellissime esposizioni di opere originali di Albrecht Dürer, realizzate in più spazi all'interno della provincia: "Avevamo anche portato una mostra di 80 opere all'ultima Expo a Milano", ricorda.
Con il Bunker H l’obiettivo è stato sin dall'inizio quello di prendere in mano un luogo che ormai aveva raggiunto il suo scopo e ridargli una vita: "Abbiamo iniziato semplicemente organizzando visite guidate per raccontare la storia del luogo, di Bolzano e della guerra", racconta Martino. "Purtroppo, spesso a scuola si studia molto frettolosamente la Seconda guerra mondiale e, per quanto riguarda il nostro territorio, non ci si sofferma mai sul fatto che la guerra sia passata anche qui. Data la natura bilingue dell'Alto Adige, il tutto ha avuto delle conseguenze anomale", dice. E il Bunker è un pretesto per riflettere e ricordare.
Dopo alcuni anni di visite e racconti nel Bunker, i ragazzi e le ragazze di Talia hanno iniziato a creare eventi, spettacoli di teatro, concerti e mostre in questo luogo straordinario che, nonostante la sua storia drammatica, è molto versatile per organizzare qualsiasi tipo di evento, soprattutto culturale. L’ultimo, è stato il Bunker Walls: "Quando abbiamo invitato, per due edizioni di fila, 20 artisti del mondo della street art e assegnato ad ognuno una stanza da dipingere". In corso, c’è il progetto Bunker Clip: un contest di video musicali che coinvolge, attraverso un bando nazionale, band/solisti e videomaker. Dopo le iscrizioni e una selezione, passeranno alla fase di realizzazione cinque gruppi, che avranno a disposizione il Bunker come location principale del videoclip musicale e che gareggeranno per il premio finale di 2500 euro.
Per partecipare è molto semplice. Dal 14 al 23 gennaio sarà aperto il bando per i musicisti: dovranno inviare un loro brano già registrato e una piccola quota di 25 euro a persona. Dopodiché, verranno selezionati da una giuria esterna 10 di questi, annunciati il 28 gennaio. Dal 1 al 13 febbraio si apre il bando per i videomaker: gruppi di ragazzi da 1 a 10 persone avranno accesso ai 10 brani selezionati per proporre la propria idea di video.

 

Bunker e batterie, il Comune cerca un gestore per rilanciare il “compendio del Monte Moro”
Da genova24.it.it del 11 gennaio 2022

Pubblicato il bando per le manifestazioni d'interesse. Tra le ipotesi sentieri, percorsi ginnici e messa in sicurezza dei ruderi ma si parla anche di recuperare l'antica hostaria Belvedere

Di G.M.

Genova. Non sarà un lavoro da poco, per chi deciderà di farsene carico, ma potrebbe portare a risultati importanti per la storia e l’ambiente cittadino. Il Comune di Genova sta cercando – con un avviso di pubblico di manifestazione d’interesse – uno o più soggetti, associazioni, imprese, onlus, comitati, che siano disposti a gestire in concessione il cosiddetto “Compendio di Monte Moro”, un complesso di bunker, batterie, ruderi e bastioni, oltre a un ex ristorante distrutto e abbandonato, con una delle viste panoramiche più spettacolari di Genova. Il Compendio del Monte Moro si trova a circa 500 metri di quota alle pendici del Monte Fasce, nel levante cittadino.

Il bando dell’amministrazione pubblica – che scadrà il 28 febbraio – vuole verificare la sussistenza di eventuali operatori economici in possesso di adeguata qualificazione, interessati a presentare proposte di project financing per la riqualificazione urbanistica e ambientale rendendo gli spazi maggiormente fruibili e sicuri.
“L’area del Monte Moro, essendo punto panoramico, attrattiva turistica e memoria storica, potrebbe tornare a esprimere tutta la sua potenzialità di parco del levante genovese e, se collegata sapientemente al sistema dei forti, potrebbe costituire un’evidenza tangibile sull’evoluzione dell’ingegneria difensiva della città di Genova – si legge nel bando – il sito, privo di inquinamento luminoso, sonoro e atmosferico, è un parco di interesse naturalistico e di emergenza paesaggistica che gode anche di una vista suggestiva sul mare“.

Le proposte per la riqualificazione dovranno essere a spese dei concessionari, che potranno coprire i costi con le attività proposte. Si tratterà di ripristinare e mettere in sicurezza i sentieri, realizzare lastricati, balaustre o altre interventi di ingegneria naturalistica per migliorare il collegamento tra Monte Moro e la sentieristica dei forti.

Poi, costruire aree picnic e prevedere sistemi di trasporto sostenibili per facilitare l’accesso anche a persone con mobilità ridotta. I bunker potrebbero diventare piccoli musei o poli didattici sul tema della difesa della città durante la grande guerra.

Ma nel bando si prevede, da parte di chi otterrà il compendio in gestione, anche la riqualificazione urbanistico-edilizia dell’Antica Hostaria Belvedere con attività ricettiva in termini ambientali e storici.
L’antica osteria, uno spazio ridotto a un ammasso di detriti e rifiuti, aperta dopo la seconda guerra mondiale in una ex casa matta destinata ai soldati, era stata distrutta totalmente da un incendio nel 2009. Qui potranno essere valorizzati, venduti e degustati anche i prodotti tipici del monte Moro come i liquori di ginepro, i mieli o le marmellate. La riqualificazione delle aree libere potrà avvenire anche attraverso la creazione di aree fitness, ludiche, cinofile.

E si invitano i gestori a ipotizzare il rimboschimento delle aree degradate attraverso la messa a dimora di essenze a bassa infiammabilità, potatura del verde esistente e apertura di coni ottici attraverso la vegetazione.
La valutazione della proposta, ai fini dell’eventuale individuazione del promotore e della dichiarazione di pubblico interesse, potrà aver luogo anche in presenza di un solo operatore economico partecipante.

 

Lazzaretto Vecchio (VE) - Il primo nella storia
Da nauticareport.it.it del 11 gennaio 2022

Il Lazzaretto Vecchio di Venezia come appariva a metà del XVIII secolo, in una incisione di Francesco Zucchi

Il Lazzaretto Vecchio è un'isola della Laguna Veneta, situata molto vicino alla costa occidentale del Lido di Venezia. Ospitò un ospedale, che curava gli appestati durante le epidemie.
Fu in seguito adibita, come altre isole, a postazione militare. La sua superficie è di 2,53 ettari e conta fabbricati sviluppati per 8.400 m².

Dalle origini alla fondazione dell'ospedale

Fu abitata inizialmente dai Padri Eremitani, che vi avevano eretto una chiesa consacrata a Santa Maria di Nazareth ed un ricovero per i pellegrini che andavano o tornavano dalla Terrasanta (1249).
In seguito (1423), su consiglio di San Bernardino da Siena, il Senato della Repubblica deliberò di destinare l'isola a ricovero di persone e merci provenienti da paesi infetti e di provvedere i ricoverati di vitto, medicine e assistenza. Sembra che il termine lazzaretto derivi proprio dalla chiesa di Santa Maria di Nazareth, con sovrapposizione del nome del patrono degli appestati, San Lazzaro.

Le spese per la manutenzione dell'ospizio furono sostenute, nei primi sessant'anni, con una parte dei proventi dell'Ufficio del Sale, per passare poi sotto la gestione di un permanente Magistrato di Sanità, al quale si dovevano quei provvedimenti di precauzione, visite, controlli, quarantene. Dal 1468, l'isola ebbe il compito di ricevere gli ammalati che, sospettati di essere contagiati, erano stati visitati nella nuova costruzione del Lazzaretto Nuovo.

Lazzretto Nuovo

Il Lazzaretto Vecchio - Foto da www.lazzarettovecchio.it

Il complesso del Lazzaretto

Già allora, l'isola era divisa in due da un canale, attraversato da un ponte: nella porzione più piccola vi erano un deposito di polvere da sparo ed un alloggio per i soldati di guardia (il casello); in quella maggiore, a forma di rettangolo, era situato l'ospedale vero e proprio, che aveva ormai inglobato l'insediamento monastico preesistente, inizialmente integrato con baracche e capannoni in legname, gradualmente sostituiti da edifici in muratura.

Gli edifici erano allineati sui lati di una piazzetta e di due cortili. Sulla piazzetta si trovavano le abitazioni del priore e del suo assistente, i magazzini degli attrezzi, il serbatoio dell'acqua e le gallerie dove gli uomini sospetti di contagio passavano la quarantena. Intorno al primo cortile, in origine il chiostro del convento, si trovavano le abitazioni dei provveditori generali e dei rettori veneti che tornavano in patria. Intorno al secondo cortile c'erano cento cellette per i ricoverati. Dietro ai fabbricati si trovavano dei prati e delle tettoie - separati una dall'altra da cancelli di legno - in cui si praticava l'espurgo delle merci a seconda delle varie contumace.

 

Una postazione militare sul Castello di Termini Imerese durante la Seconda Guerra Mondiale
Da cefalunews.org.it del 8 gennaio 2022

Di Giuseppe Longo

Segnaliamo qui per la prima volta un’altra postazione militare, verosimilmente adibita a “Punto di osservazione”, localizzata sui resti del Castello di Termini (da alcuni storici definito anche fortezza), a circa 80 metri dal livello del mare.

Da fonti orali attendibili, veniamo a sapere che le vedette della suddetta struttura militare, al termine del loro turno di guardia, dopo aver ricevuto il cambio, rientravano nell’edificio adiacente, oggi non più esistente (Cfr. “La postazione militare del Belvedere di Termini Imerese”), poiché smantellato, probabilmente tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso.
Nello specifico, le incursioni aeree venivano segnalate da una rete di avvistamento: posti di vedetta, centri di raccolta notizie, comandi D.I.C.A.T.; collegamenti telefonici e radiofonici tra i suddetti elementi.

La sensibilizzazione e la salvaguardia verso le postazioni militari, ossia, le cosiddette Postazioni Circolari Monoarma (P.C.M.), Posti di Osservazione Costieri (P.O.C.), Posti di Blocco Costieri (P.B.C.), Posti di osservazione, Batterie Fronte a mare (F.A.M.), Fronte a terra (F.A.T.), Postazioni scoperte a pozzo e Nuclei fissi e mobili, è stata avviata nel territorio termitano, sin dal 2013, proprio in occasione del 70° anniversario dello sbarco anglo-americano in Sicilia.
Le sopracitate strutture militari, in particolar modo le P.C.M. sparse nell’entroterra e lungo le coste meridionali d’Italia avevano il compito di rallentare un eventuale sbarco nemico, nell’attesa di rincalzi.

Abbiamo chiesto al Dott. Geol. Donaldo Di Cristofalo (1) del “Comitato spontaneo per lo studio delle fortificazioni militari”, di parlarci di ciò che rimane dell’inedita struttura architettonica ricadente nel Castello di Termini Imerese.
«Salendo i molti gradini che dall’ingresso presso la gelateria “Cicciuzzo” conducono alla parte alta del “Castello”, a circa metà del percorso, è possibile osservare i resti di una costruzione, proprio a ridosso della scalinata, sul lato meridionale che guarda verso il S. Calogero.

Si tratta di pochi resti di almeno due ambienti, una porzione di pavimento di pochi metri quadrati, i monconi di spessi muri in pietra e malta cementizia, ancora visibile una intonacatura e una coloritura sia del pavimento che delle pareti.
Antonio Chiaramonte, classe 1947, attuale Presidente dell’Associazione Nazionale della Polizia di Stato (A.N.P.S.), sezione di Termini Imerese, ricorda di passeggiate con suo padre (Filippo Chiaramonte) al Belvedere, quando da piccolo (circa 7 anni di età) lo stesso gli faceva osservare la suddetta struttura, probabilmente a quell’epoca integra.

La sistemazione dell’area, così come la vediamo oggi, risalente verosimilmente agli anni ‘60, comportò la demolizione di tale struttura, così come la sostanziale modifica di tutto il rilievo. Purtroppo non si hanno ad oggi immagini antecedenti ai lavori, in un contesto che vide anche una certa attività estrattiva della roccia carbonatica per la produzione di calce e la successiva urbanizzazione del quartiere.
Ancora meno notizie si hanno sull’utilizzo militare del sito, fermo restando l’indubbio valore del fatto che tale “alto morfologico” consentisse un controllo visivo a 360 gradi del territorio circostante la città, compreso un tratto di mare con un orizzonte più lontano rispetto ai tratti di costa vicini.
E’ invece documentata da foto, l’esistenza di un edificio presso il Belvedere, ma anche qui non ne sono certe le funzioni militari.
In tale contesto Termini Imerese è sede di Comando di una unità di difesa costiera (136° Reggimento Territoriale Mobile – 207^ Divisione di Fanteria Costiera) coadiuvata, tra l’altro, da un treno armato (T.A. 152/1/T) dipendente dalla Regia Marina, nonché da 5 batterie contraerei (4 con pezzi da 90/53 ed 1 con mitragliere da 20mm) e da una piccola unità di mitragliatrici da postazione (519^ Cp. del 105° Btg).
E’ pertanto verosimile che la zona Belvedere – Castello fosse presidiata non foss’altro che per una basilare attività di avvistamento precoce di attività nemica, in particolare dal mare e dall’aria.

Mentre dal mare non arrivarono mai azioni dirette verso la città ed il suo porto, dall’aria le cose andarono diversamente, con almeno 8 incursioni documentate, con mitragliamenti e bombardamenti aventi come obiettivi principali il porto e la stazione ferroviaria.
Le stesse incursioni su Palermo ebbero talvolta Termini Imerese coma zona di “ingresso” verso il capoluogo, come accadde il 9 maggio 1943, quando diverse centinaia di caccia e fortezze volanti si raggrupparono sul cielo termitano prima di dirigersi sulla città, provocando distruzioni e centinaia di morti e feriti.

Si deve pertanto ritenere che i resti visibili sul Castello riconducano ad un utilizzo da parte di personale territoriale dell’Esercito per attività di osservazione dello spazio aeronavale, con possibilità di trasmissione telefonica e/o radiofonica ai comandi dipendenti. Non documentata l’eventuale presenza di apparati aerofonici, comunque di scarsa efficacia, e ancor meno di apparati radar, il cui modesto utilizzo sull’Isola era comunque appannaggio dei tedeschi.
Si tenderebbe infine ad escludere la presenza di armamento antiaereo, troppo esposto alla reazione nemica, che avrebbe coinvolto le vicine abitazioni civili».

(1) Geologo, già funzionario presso il Comune di Termini Imerese (PA), appassionato di storia militare e membro del “Comitato spontaneo per lo studio delle fortificazioni militari”.

Bibliografia e sitografia

Conferenza “Le fortificazioni militari della Seconda Guerra Mondiale nel territorio di Termini Imerese nel 70° anniversario dello sbarco angloamericano in Sicilia”. Cefalù (PA) il 13 luglio 2013, Caserma “Nicola Botta”.

Giuseppe Longo, “La postazione militare del Belvedere di Termini Imerese”. In “Pagine sul secondo conflitto mondiale in Sicilia e nel Distretto di Termini Imerese”. Istituto Siciliano Studi Politici ed Economici, Palermo 20213 3 agosto 2017.

Giuseppe Longo, “Le postazioni militari costiere siciliane nel quadro delle operazioni belliche del secondo conflitto mondiale”; “Un’iscrizione militare da salvaguardare nel bunker di contrada Marche a Termini Imerese”; Quando Termini Imerese negli anni Quaranta proteggeva le sue coste con il “Treno Armato”, “Una postazione contraerea in cima al Castello di Termini Imerese”, “Il campo di volo avanzato di Termini Imerese durante la 2^ Guerra Mondiale”. In “Pagine sul secondo conflitto mondiale in Sicilia e nel Distretto di Termini Imerese”, I.S.P.E. Palermo 2021.

Giuseppe Longo 2021, “Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.) – Milizia artiglieria marittima”, Cefalunews, 8 aprile.

Giuseppe Longo 2021, “Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.) – Milizia Artiglieria Controaerei”, Cefalunews, 30 marzo.

Foto a corredo dell’articolo: Postazione militare sul Castello di Termini Imerese Ph. Santo Galbo Giuseppe Longo giuseppelongoredazione@gmail.com @longo redazione

 

Fenestrelle e il suo forte usato da Napoleone come prigione
Da cronacaqui.it.it del 4 gennaio 2022

Di Giorgio Enrico Cavallo

La fortezza tra il ‘700 e l’800 era tra le più temute al mondo

«La condanna a Fenestrelle faceva in quei tempi tanto spavento in Italia, quanto sul farlo nelle parti settentrionali d’Europa la relegazione in Siberia. Penose sono le notti d’inverno per la loro lunghezza, durando in qualche tempo per sedici ore foltissime enebre: ed il tristo silenzio che regna in quella vasta solitudine non è interrotto che dai fischi de venti impetuosi, o talvolta dallo scroscio spaventevole di grandi massi di neve».

Così descriveva la fortezza di Fenestrelle il cardinale Bartolomeo Pacca, che vi fu rinchiuso per ordine di Napoleone Bonaparte dal 1809 al 1813. Napoleone, infatti, aveva valorizzato l’antica fortezza sabauda potenziando la sua funzione di bagno penale: Fenestrelle divenne, nel periodo francese, una delle più temute prigioni del mondo, specializzata nella reclusione degli oppositori del regime bonapartista. Strano destino, quello del forte di Fenestrelle, che fu – ed è ancora – la più estesa fortificazione europea, una specie di piccola muraglia cinese piazzata a cavaliere delle Alpi. Dal punto di vista strettamente architettonico, è un capolavoro dell’ingegneria alpina. Dal punto di vista militare, una fortezza inespugnata. Beninteso: inespugnata perché qui non si svolse nessun fatto d’armi degno di nota. Nessuno osò mai attaccare Fenestrelle, la cui imponenza era un deterrente sufficiente per sconsigliare gli eserciti nemici dal dare qui battaglia. Appena nel 1799 – con l’attacco dei cosacchi di Suvorov – ed alla fine della seconda guerra mondiale qui si sparò qualche colpo d’arma da fuoco, e nulla più.

Dunque, nessuno può dire come questa fortezza, capolavoro di Ignazio Bertola, avrebbe retto ad un assedio prolungato. Probabilmente, avrebbe dato filo da torcere all’eventuale esercito assediante. Un po’ come la fortezza Bastiani del capolavoro di Dino Buzzati, anche a Fenestrelle le giornate erano tutte uguali, in assenza di battaglie campali. E così, per la sua ubicazione particolare e per la sua imponenza, Fenestrelle fu destinata a prigione.
Nel Settecento i Savoia vi spedirono ciclicamente personaggi scomodi, Napoleone sfruttò notevolmente la fortezza per incarcerare i dissidenti. Ma fu specialmente nell’Ottocento che il forte divenne celebre come bagno penale, destinato in particolar modo ai cosiddetti briganti borbonici; c’è chi ha accusato per questo motivo i Savoia di aver reso Fenestrelle una specie di lager.

Nulla di ciò: Fenestrelle, prigione pur durissima, non accolse mai i numeri spaventosi di prigionieri che una certa propaganda ancora oggi denuncia. Numeri alla mano, altre fortezze sabaude ospitarono più detenuti politici di quelli che furono ospitati a Fenestrelle. Ma ormai su questa fortezza gravava una fama sinistra, che l’ha resa nota in Europa non per la superbia della sua architettura, ma per la durezza del suo carcere.

 

Mura e fortificazioni nel sestiere del Molo, visita guidata nei caruggi
Da mentelocale.it del 3 gennaio 2022

Mercoledì 5 gennaio 2022, con partenza alle ore 14.45, la Cooperativa Dafne organizza la visita guidata Mura e fortificazioni nel sestiere del Molo. Un'iniziativa del Patto di Sussidiarietà del Sestiere del Molo, nell'ambito del Progetto Caruggi del Comune di Genova.

Quante cerchia di mura aveva Genova? Ne sono rimasti resti in città?

Percorso alla scoperta delle porzioni di mura ed alle porte della Superba ancora presenti nel territorio del Sestiere: Porta Soprana, Porta Siberia, Mura del Barbarossa e molto altro. Si visita anche la Casa di Colombo, nella sua nuova veste.

Ritrovo: ore 14.45 presso l'Info Point di Piazza delle Lavandaie (Vico del Fico 84r); durata iniziativa: fino alle ore 17 circa. Costo della visita guidata: 14euro (incluso il biglietto di ingresso alle Mura del Barbarossa), pagamento in contanti direttamente all'Info Point. Difficoltà: visita adatta a tutti.
Prenotazione obbligatoria on-line entro martedi 4 gennaio ore 18; per informazioni (solo via whatsapp): tel. 3336904322 oppure e-mail Dafne.