IN CAMPANIA Blitz all' ex base Nato. Casarini: poliziotti nazistelli DAL NOSTRO INVIATO SANT' ANGELO A SCALA (Avellino) - Un blitz, una messa, un' azione dimostrativa, qualche aggressione verbale. Così i campeggiatori no global di Sant' Angelo a Scala ieri hanno commemorato Carlo Giuliani, a trenta giorni dalla sua morte. Di primo mattino erano un centinaio, sul piede di guerra, pronti a partire in torpedone per raggiungere una destinazione top secret. Si trattava di unirsi ad altri, organizzati a Napoli, per mettere a segno una «provocazione creativa» contro la Nato. Ma qualcuno non si è tenuto il segreto e i leader del movimento, per cogliere di sorpresa le forze dell' ordine, hanno deciso d' improvvisare un' azione a ranghi ridotti. Alle nove si sono mossi dal campeggio, una decina, compreso un portavoce delle tute bianche, Luca Casarini, e uno della rete no global, Francesco Caruso. Obbiettivo: il cucuzzolo del monte Vergine, 1490 metri, sede di una base Nato abbandonata pochi anni fa dalle truppe americane, ma tuttora attiva, col suo ripetitore, nel circuito di difesa internazionale. Attorno alla base, un reticolato impenetrabile, che i no global definiscono «zona rossa», circondato da due chilometri di area militare, anche quella proibita, che gli assalitori battezzano «zona gialla». Come in un videogame, o in un gioco di ruolo, bisogna raggiungere il cuore della base. «Noi rivendichiamo il diritto alla disobbedienza, mettiamo in gioco i nostri corpi e le nostre fedine penali», dice Caruso. Poi, malgrado la presenza di una decina di carabinieri (che evidentemente hanno deciso di usare la mano morbida), riesce a scavalcare la prima rete. Nella zona gialla lo segue Mauro, del centro sociale Officina 99, cranio rasato, un bottone automatico stampato nel lobo a mo' di orecchino. Casarini cerca d' intortare i carabinieri: «E va be' - cantilena con la sua cadenza veneta - se entra uno nella base che sarà mai». Mauro cerca di sgattaiolare sotto la rete che delimita la zona rossa, viene afferrato per i piedi, ma riesce a sgusciare dentro. Giovanna, anche lei del centro sociale, strattonata dai carabinieri urla a più non posso: «Mi avete scrocchiato. Siete pazzi» . Caruso si scava un varco sotto rete. Entra anche lui in zona rossa. Game Over. I due provocatori soddisfatti strisciano fuori e, insieme agli altri, fissano al reticolato uno striscione con la scritta: «Nato per uccidere». Il commando rientra al campeggio per raccontare nel dettaglio le mosse del gioco. Qualcuno ha anche registrato un video che mostra agli sfortunati rimasti al campo. Alla mezza tutti nella bella chiesa di Sant' Angelo, con il parroco zapatista, don Vitaliano, che celebra messa. La seconda spedizione della giornata è verso Napoli, questa volta coi torpedoni, per raggiungere la Prefettura in piazza del Plebiscito. Anche qui un cambiamento di programma. «Avevamo preparato una corona di fiori - dice Caruso - da consegnare al prefetto, che condivide, come rappresentante del governo, la responsabilità morale della morte di Carlo. Ma poi abbiamo sentito suo padre, Giuliano, che ci ha chiesto di non fare proteste di piazza. Abbiamo anche rinunciato a cambiare i nomi delle strade: avevamo già pronte le targhe intestate a Carlo. Il padre ci ha chiesto di metter da parte bandiere, slogan, striscioni. Non vuole che il nome del figlio venga accostato a un gruppo o a una parte politica». Questa volta i no global obbediscono: due ore di presidio silenzioso in piazza, prima di rientrare al campeggio. Ma in una lettera inviata al padre rivendicano Carlo come uno di loro: «Ha utilizzato il suo corpo dandosi scelleratamente per le nostre comuni utopie». Il ricordo composto prevale, alla fine di un giorno teso, costellato da esplosioni verbali. Sono «nazistelli in divisa», per Casarini, i dirigenti dei sindacati di polizia che chiedono la sua incriminazione. «Nel loro documento fanno i nostri nomi, ci indicano come bersagli - attacca Casarini -. Proprio come il ministro degli Interni Scaloja. I suoi metodi stanno facendo scuola». Si scalda anche don Vitaliano: «Da questo campeggio viene un messaggio di pace, ma non una pace senza coglioni. La pace si conquista anche con azioni simboliche, andando in Serbia sotto i bombardamenti, come abbiamo fatto noi». Claudio Lazzaro