CALCINAIA
— E' uno dei pochissimi rifugi antiaerei della provincia in ottimo stato
di conservazione. Si tratta del bunker risalente al 1943 che si trova a
Fornacette e che è stato reso visitabile a ci si vuol letteralmente
calare nell'atmosfera della seconda Guerra Mondiale.
La
struttura, che il Comune ha scelto di recuperare e riaprire al pubblico,
è stata adesso anche "targata". Nell'insegna, realizzata in plexiglass
in modo da non risultare troppo impattante per questo sito di grande
interesse storico, si legge chiaramente che l'associazione Aiuta Molunga si
è presa l'impegno di gestire il bunker.
L'edificio, situato in piazza Bambini Caduti di Sarajevo a Fornacette e
datato 1943, presenta due accessi. Considerato che le due scalinate che
portano alla parte sotterranea del bunker sono piuttosto ripide, Nilo
Ricci, titolare dell’omonima ditta con sede a Fornacette, ha offerto la
sua disponibilità per realizzare e installare i corrimano necessari a
facilitare salita e discesa. La struttura è composta da 3 vani interni,
capaci di contenere fino a circa 50 o 60 persone.
Le origini
del bunker restano ancora avvolte nel mistero, mentre grazie alla
disponibilità dell'Associazione Aiuta Molunga risulterà molto facile
visitarlo. E' sufficiente infatti contattare il Comune di Calcinaia allo
0587 265442 per concordare successivamente con il gestore della
struttura data e orario della visita gratuita.
Il Cammino 100 torri: 1.284 chilometri attraverso la Sardegna
Da
siviaggia.it del 28 dicembre 2016
Quasi
1.300 chilometri in
45 giorni di cammino, oltre 500 fotografie
e 22 ore di riprese video: ecco i numeri
dell’avventura di
Nicola Melis, ingegnere cagliaritano di 33
anni che ha percorso il
“Cammino 100 torri” intorno alla Sardegna.
Lo racconta
Sardiniapost che ha seguito l’avventura passo
dopo passo.
Il
progetto non è una semplice passeggiata a piedi da
un capo all’altro dell’isola. Per realizzarla ci
sono voluti tre mesi di studio e ricerca su luoghi,
percorsi e servizi. Il risultato è
un percorso testato in ogni suo dettaglio,
pronto per essere affrontato da pellegrini e
camminatori che scelgono la Sardegna non soltanto
per il mare e per le spiagge, ma anche per un
viaggio tra natura e spirito.
“L’idea di ideare un ‘Cammino delle 100 torri’ che
toccasse tutte le torri costiere dell’isola –
ha racconta Nicola Melis al giornale – è nata circa
tre anni fa, al ritorno dal cammino di Santiago che
ho affrontato con mio padre. Insieme a Roberto Contu
e Stefano Paderi abbiamo pensato di studiare
un itinerario tra storia e natura: abbiamo
messo in piedi un’associazione culturale sportiva e
creato un sito web con tutte le indicazioni sul
percorso. Il viaggio, per un totale di 1.284
chilometri, è organizzato per tappe tenendo sempre
presenti le torri lungo le coste sarde: io ho scelto
di affrontarlo tutto ma si può percorrere solo in
parte, in base al proprio tempo e alle proprie
forze”.
Un’impresa non per tutti: 30-35 km al giorno, con
una media di dieci ore di cammino quotidiano. In
spalla solo uno zaino:
“All’inizio ne portavo anche un secondo con la
tenda: era troppo pesante e così l’ho lasciato per
strada e ho proseguito solo con l’amaca e il sacco a
pelo. Ho dimostrato che
in tutta la Sardegna si può dormire su un’amaca”.
Lo zaino
conteneva cibo, accessori personali e per l’igiene e
sei, otto litri d’acqua al giorno. Il viaggio gli ha
consentito anche di
mappare le sorgenti e le fontane lungo
tutto il percorso. Ha mappato anche
campeggi e luoghi dove dormire a prezzi che
vanno da 5 a 25 euro a notte.
Sul sito
web
Cammino100Torri si trova traccia del percorso
affrontato da Melis e che descrive così:
“Spiagge
granitiche e quarzose formate da piccoli
cristalli ci accompagnano per lunghi tratti
dune incontaminate guidano il viaggiatore
in
un viaggio fantastico. Paesaggi ancora non
antropizzati lasciano il posto a
fantastici scorci oramai diventati veri e
propri
simboli della Sardegna. Si cammina dalle
strade sterrate fino a piccole carrarecce, avendo al
nostro fianco sempre il mare. Lungo il cammino si
incontrano le torri costiere della Sardegna, che fin
dal medioevo hanno costituito il sistema difensivo,
di avvistamento e di comunicazione della fascia
costiera dell’isola. Le torri dominano
i paesaggi più belli della costa della Sardegna
rendendolo caratteristico e unico”.
Nei quasi
1.300 km di costa Nicola ha camminato su 450 km di
sabbia, 140 di asfalto e il resto su sentieri
sterrati. Ha toccato 100 delle 105 torri costiere di
avvistamento costruite nei secoli passati come
difesa dell’isola: le cinque che non ha raggiunto si
trovano all’interno di servitù militari
inaccessibili ai civili tra Teulada, Capo Frasca,
Alghero e Quirra.
Palmanova: la
Città Perfetta a forma di stella a nove punte
Da vanillamagazine.it
del 28 dicembre 2016
L‘intraprendente Repubblica di Venezia, che agli inizi del ‘500 era in
fase di espansione nelle terre limitrofe la città a causa dei continui
attacchi ai propri territori dello “Stato da Mar” lontani dalla patria,
accolse con entusiasmo i nuovi sistemi di costruzione per le
fortificazioni erette a difesa delle città, quando l’uso dei cannoni
rese poco sicure le mura in pietra usate fino ad allora.
La
maggiore espressione di questo nuovo sistema difensivo è rappresentata
dalla magnifica Palmanova, in provincia di Udine, un capolavoro assoluto
di fortificazione a stella. La prima pietra della città fu posta il 7
ottobre del 1593, per celebrare la vittoria contro gli Ottomani nella
battaglia di Lepanto, avvenuta ventidue anni prima, e per onorare Santa
Giustina, divenuta poi patrona della città. La città stellata non fu
costruita solo come baluardo contro i Turchi, ma anche per avere un
luogo fortificato in un territorio che era quasi un’enclave nell’impero
austriaco, nemico storico della Serenissima. La città, pensata come una
vera “macchina da guerra”, ha una forma geometrica perfetta: una stella
a nove punte, con al centro una piazza perfettamente esagonale, da cui
partono le sei principali strade, poste a raggiera. Tre di esse
conducono alle porte della città orientate verso Udine, Aquileia e
Cividale.
Fu
considerata la città più inespugnabile d’Europa, con le sue mura
mimetizzate dalla vegetazione, quasi invisibile perché costruita sotto
la linea dell’orizzonte, e con sistemi difensivi all’avanguardia. Cinque
provveditori generali si occuparono dei piani esecutivi della città, ma
i disegni delle fortificazioni si devono principalmente a Marcantonio
Martinengo e Giulio Savorgnan, anche se qualcuno ha ipotizzato il
coinvolgimento di Leonardo da Vinci. Palmanova doveva essere un’utopia
realizzata, il prototipo della “città ideale” rinascimentale: i designi
della fortificazione e degli edifici sono geometricamente perfetti, i
percorsi accuratamente ideati, e ogni parte della città aveva uno scopo
particolare.
Le persone
che avessero scelto di vivere lì, dove precedentemente sorgeva l’antico
borgo di Palmata, avrebbero condiviso esattamente la stessa quantità di
terra e di responsabilità. Ma questa città fortezza, capolavoro di
architettura militare veneziana, non attrasse alcun colono, vale a dire,
nessuno voleva andarci a vivere. Il governo della Serenissima non trovò
altro rimedio che inviare, nel 1622, un certo numero di prigionieri, che
furono i primi cittadini, non militari, di Palmanova. Per una strana
ironia del destino, questa affascinante fortezza non è mai stata
protagonista di clamorose battaglie: fu governata dalla Repubblica di
Venezia per quasi 200 anni, e in tutta la sua storia, fu assediata solo
tre volte. Dopo la caduta della Serenissima, Palmanova passò agli
austriaci e ai francesi, conquistata da Napoleone Bonaparte, che fece
costruire un ulteriore muro difensivo. Nel 1866 fu annessa al Regno
d’Italia, e dal 1960 è diventata Monumento Nazionale.
Apple vuole
trasformare ex bunker in Apple store a Stoccarda
Da macitynet.it del
20 dicembre 2016
Apple non
ha negozi fisici a Stoccarda (Germania): il negozio più vicino si trova
a Sindelfingen, a 20 km, e diversi approcci che la Mela aveva tentato,
individuando locali adatti allo scopo, non sono andati finora a buon
fine. Stando a quanto riporta il sito iFun.de l’azienda vorrebbe ora
investire in un ex bunker situato vicino la famosa Marktplat (piazza del
mercato) su cui si affaccia il palazzo del municipio. Dopo la seconda
guerra mondiale, il bunker in questione fu trasformato in albergo,
struttura che è esistita fino al 1985. Dieci anni più tardi è stato
presentato un progetto che avrebbe dovuto trasformare la struttura in
centro commerciale, ma l’idea non si è concretata. Da quanto si vede in
foto, lo store (sempre ammesso che si farà) potrebbe diventare simile a
quello sulla 5th Avenue di New York,. Secondo la testata tedesca, Apple
sarebbe disposta a pagare 100 milioni di euro. Sembra però che le
autorità locali, non siano molto propense ad accordare i permessi e
questo nonostante l’attrazione turistica che lo store consentirebbe,
come già dimostrato in altre parti del mondo.
«I bunker sono un
patrimonio da salvare»
Da corriereromagna.it
del 21 dicembre 2016
RAVENNA.
Il turismo non vive solo di monumenti Unesco, mosaici e spiagge; il
Comitato ricerche belliche 360° propone la realizzazione e la promozione
di un Bunker Tour Ravenna che porterebbe alla realizzazione di un
percorso storico attraverso l’individuazione, lo studio, la divulgazione
e la preparazione di una guida illustrata completa di tutti i reperti
della Seconda Guerra Mondiale.
«Abbiamo
un museo a cielo aperto - dicono dal comitato -. Una volta realizzato il
percorso, potrebbero essere formate apposite guide per una fruizione
stabile di queste risorse storico-culturali che meritano di essere
sfruttate turisticamente. E’ la storia del nostro territorio nel periodo
della Seconda Guerra Mondiale che emerge con imponenti manufatti
seminascosti lungo il litorale. Il versante adriatico della Linea Gotica
può essere considerato la nostra Normandia, anche se lo sbarco non ci
fu. E’ rilevante il fatto che tutti questi manufatti siano stati
costruiti da operai italiani precettati sul lavoro dall’organizzazione
Todt».
Il
comitato ha realizzato un vero e proprio report dei resti bellici. Nella
sola Punta Marina si trovano sette bunker tedeschi del secondo conflitto
mondiale ben conservati e una fila intatta di sbarramenti anticarro
detti “denti di drago”. «Un altro gruppo di quattro bunker si trova
davanti a Villa Marina, l’ex Colonia Cri e un altro paio di bunker unici
sono in centro a Marina di Ravenna dimenticati ma sicuramente da
salvare; per quel che riguarda Marina, i bunker sono molti di più ma per
la maggior parte sono in proprietà privata.
Sono molto
interessanti anche i manufatti presenti a Porto Corsini e a
Casalborsetti (sei bunker: tre privati e tre demaniali) e Lido di Savio
(sei in proprietà privata, quattro facilmente visibili) mentre nel
Comune di Cervia ce ne sono almeno un’altra decina di cui uno, in area
demaniale, presenta all’interno un murales originale tedesco che va
sicuramente tutelato e valorizzato quale testimonianza
dell’occupazione».
Passeggiata nella
Cremona Fascista Le trasformazioni urbanistiche del centro città
Da welfarenetwork.it
del 16 dicembre 2016
All’inizio
del ventesimo secolo, Cremona è ancora completamente
racchiusa dalla cinta muraria ed è accessibile
esclusivamente attraverso quattro passaggi obbligati. Le
mura e le porte caratterizzano la fisionomia della
città, ma rappresentano un ostacolo alla comunicazione
con i sobborghi e alla sua espansione, ormai
indispensabile dato l’aumento della popolazione degli
ultimi anni. La soluzione a questi problemi pare essere,
quindi, l’abbattimento della cinta muraria ed il
successivo accorpamento delle circoscrizioni di Corpi
Santi e Due Miglia per permettere al Comune di avere a
disposizione una vasta zona in cui erigere nuovi
fabbricati ad uso residenziale. L’Ingegner Remo
Lanfranchi viene incaricato, pochi anni dopo, di
redigere il piano regolatore cittadino che avrebbe
sancito la scomparsa di questo simbolo del passato e
l’inizio di un cambiamento radicale del volto cittadino.
Per Cremona inizia così un periodo di modifiche che ne
cambieranno per sempre il volto, realizzate utilizzando
il piccone risanatore, protagonista assoluto delle
vicende urbanistiche e architettoniche del Ventennio in
tutt’Italia. Da questo momento l’attività edilizia
pubblica e privata è inarrestabile. L’amministrazione
fascista compie scelte che segnano in modo irreparabile
il costruito storico, adottando la politica degli
sventramenti con motivazioni di risanamento igienico.
L’attività edilizia, nei quindici anni successivi, è
molto intensa: vengono realizzati numerosi edifici
pubblici e privati, tra cui il palazzo della
Confederazione Agricoltori in piazza Duomo su progetto
dell’ingegner Nino Mori, il palazzo INA (l’attuale
Galleria XXV Aprile), il palazzo RAS in Piazza Cavour,
il palazzo INFPS, il Palazzo delle Corporazioni (attuale
Camera di Commercio), quello del Regime Fascista
(residenza di Roberto Farinacci) e, ultimo in ordine
temporale, il Palazzo dell’Arte, attuale sede del Museo
del Violino.
Ritrovo alle
ore 15.00 davanti all'ufficio turistico IAT di Piazza
del Comune. Costo a persona: € 10.00 pre-iscritti entro
venerdì 16 dicembre (inviare sms o email), € 15.00
iscritti in loco il giorno della visita, € 8.00
possessori di Welcome Card, Informazioni e prenotazioni
a Target Turismo di Elena Piccioni: Cell. 347 6098163,
info@targetturismo.com
Bunker di Fornacette, al via le
visite guidate
Da gonews.it
del 14 dicembre 2016
Calarsi, nel vero senso della
parola, nella storia locale, scoprendo un gioiello storico sotterraneo,
tenuto nascosto dalla vegetazione e da anni di disuso. Dalla prossima
settimana, quella di Natale, sarà infatti possibile regalarsi, in modo
del tutto gratuito, una visita al bunker di Fornacette. Una struttura
datata 1943, le cui origini restano avvolte nel mistero, recuperata e
riaperta al pubblico grazie all’impegno dell’associazione Aiuta Molunga,
in collaborazione con il Comune di Calcinaia.
“Sono
ormai alcuni anni che la nostra associazione si interessa di questo
reperto storico fornacettese – spiega il Presidente, Massimo Pardossi -,
uno dei pochissimi rifugi antiaerei ben conservati in tutta la
Provincia. Prima di iniziare il suo recupero, ho fatto una personale
ricerca storica, attingendo alle testimonianze orali di chi quel bunker
lo ha vissuto in prima persona, trovando in esso riparo dai
bombardamenti. La paternità della struttura non è chiara. La maggioranza
dei testimoni propende per una realizzazione tutta italiana, effettuata
dalla fanteria stazionata in un podere a poca distanza.
Altri sostengono invece che i
costruttori siano stati i Tedeschi, stazionati al Cottolengo. Qualunque
sia la verità, il bunker è poi stato usato dalla popolazione locale come
riparo temporaneo, a cui ricorrere ogni qual volta iniziava a risuonare
la sirena che preannunciava un nuovo attacco aereo”. L’edificio, situato
in Piazza Bambini Caduti di Sarajevo, presenta due accessi. Poiché le
due scalinate sono piuttosto ripide, Nilo Ricci, titolare dell’omonima
ditta con sede a Fornacette, ha offerto la sua disponibilità per
realizzare e installare i corrimano necessari a facilitare salita e
discesa. La struttura è composta da 3 vani interni, capaci di contenere
fino a circa 50 o 60 persone. “Aiuta Molunga – prosegue il Presidente –
ha deciso di intervenire proprio in virtù del suo attaccamento al
territorio. La nostra associazione, infatti, oltre a occuparsi di
solidarietà internazionale, in particolare del villaggio di Molunga,
nella Repubblica Democratica del Congo, si impegna anche in attività di
cura, aiuto e attenzione a km zero. Basti pensare alla nostra
convenzione con l’amministrazione comunale per mantenere pulita la pista
ciclo – pedonale di Fornacette”. “Il rilancio del bunker rientra quindi
in questo “solco” – conclude Pardossi.
A partire da Lunedì 19
Dicembre, io e gli altri membri dell’associazione saremo dunque a
disposizione per tour guidati gratuiti su prenotazione all’interno del
rifugio. La procedura sarà semplicissima: basterà infatti contattare il
Comune al numero 0583 265 442 ed esprimere la propria preferenza in
termini di data e orario. Una volta concordata la visita, basterà
recarsi sul posto: l’associazione sarà pronta ad accogliere tutti gli
interessati”. Fonte: Comune di Calcinaia – Ufficio Stampa
Le fortificazioni di San Marino:
conclusi i rilievi murari alla Prima Torre
Da
smtvsanmarino.sm del 13 dicembre 2016
La storia della Repubblica di
San Marino affonda le sue radici nell’Alto Medioevo, quando sul Monte
Titano si è formato un castrum, cioè un insediamento fortificato.
Nel corso dei secoli i Sammarinesi hanno conquistato e mantenuto con
determinazione e abilità diplomatica l’autonomia della loro comunità;
nel 2008 il centro storico di San Marino e il Monte Titano sono stati
riconosciuti dall’UNESCO come patrimonio inalienabile dell’umanità in
quanto “unica Città Stato che sussiste” e “testimonianza eccezionale di
una tradizione culturale vivente che perdura da settecento anni”.
Segno tangibile ed evidente dell’impegno profuso nei secoli passati dai
Sammarinesi a difesa della comunità sono le fortificazioni di San
Marino: le tre Torri e le diverse cinte murarie, un poderoso apparato
difensivo con un notevole potenziale archeologico, solo in minima parte
indagato.
In seguito ad un protocollo d’intesa siglato tra gli Istituti Culturali
della Repubblica di San Marino e l’Istituto di Tecnologie Applicate ai
Beni Culturali (ITABC) del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche),
nella settimana dal 28 novembre al 2 dicembre u.s. l’ITABC ha eseguito
una serie di rilievi murari alla Prima Torre e alle mura del secondo
girone.
I rilievi (rilevamento topografico, laser scanning e rilievo fotografico
anche con l’ausilio di droni) sono stati finalizzati allo studio
archeologico delle fasi costruttive della Torre e delle mura e
costituiscono utili strumenti di conoscenza per la conservazione e la
tutela ma anche per finalità didattiche e divulgative.
Le Fortezze di Sarzana in mostra
al MUdeF
Da
cittadellaspezia.com del 12 dicembre 2016
Val di Magra - Domenica 18
Dicembre alle ore 11.00 presso la Fortezza Firmafede di Sarzana avrà
luogo l’inaugurazione della mostra fotografica “L’occhio del
visitatore”, un evento in collaborazione con il circolo fotografico
sarzanese. Le foto in mostra sono state scattate durante un week end di
Novembre, una due giorni di porte aperte alle fortezze di Sarzana e al
MUdeF al quale hanno partecipato oltre 40 fotografi del Circolo
fotografico sarzanese e simpatizzanti fotoamatori che hanno cercato di
catturare il punto di vita del visitatore. Le foto in mostra sono
dedicate alle Fortezze di Sarzana e al nuovo Museo delle Fortezze,
Domenica 18 Dicembre l’entrata alla mostra e alla Fortezza Firmafede
sarà gratuito, in seguito la mostra fotografica entrerà a far parte del
percorso visite della Fortezza Firmafede fino a Domenica 8 Gennaio.
L’evento è realizzato in collaborazione con la Earth scrl, il Circolo
fotografico Sarzanese, il Polo Museale della Liguria e l’Assessorato
alla cultura del Comune di Sarzana.
La storia del Delta, giovane terra
contesa
Da
il gazzettino di rovigo del 11 dicembre 2016
Nella sala convegni del Museo della bonifica Cà Vendramin di Taglio
di Po, la Fondazione scolastica Carlo Bocchi di Adria e la
Fondazione Cà Vendramin hanno inaugurato il Ce.Ri.Do. (Centro di
ricerca e documentazione del Delta), con una preziosa mostra sul
tema:"Giovani terre contese. Tre secoli di fortificazioni nel Delta
del Po". La mostra è il frutto di un gruppo di lavoro dei maggiori
esperti di storia locale: Luigi Contegiacomo, direttore
dell'Archivio di Stato di Rovigo, Maurizio Tezzon, esperto di
grafica, Luciano Chiereghin, ricercatore dei dati storici e
ambientali, Raffaele Peretto e Luciano Scarpante, <Giovani terre,
contese, quelle del Delta - ha detto Contegiacomo - per tre secoli,
dapprima da Stato pontificio e Serenissima di Venezia, poi da
Napoleone e dall'Austria dopo>. La storia è raccontata da ventidue
pannelli, con testo in italiano e inglese, che illustrano come il
Delta del Po per secoli abbia rivestito un ruolo straordinario non
solo nell'assetto idrogeologico del territorio padano. Ma ora,
grazie alla ricerca attenta di Luciano Chiereghin, viene messa a
conoscenza della popolazione, di studenti dei diversi ordini di
scuole, dei turisti e visitatori, la collocazione esatta di tali
siti, e mostrato quel che resta visibile, affidando alla
ricostruzione virtuale, con il supporto della cartografia esistente
all'Archivio di stato di Ferrara, la biblioteca Ariostea di Ferrara,
l'Archivio di stato di Venezia, una visione più immediata degli
stessi. <Sono pagine importanti di storia - ha detto Antonio Giolo,
presidente della Fondazione scolastica Bocchi - recuperate e rese
vive dall'interesse di uno storico del territorio deltizio, Luciano
Chiereghin, coadiuvato nella sua opera da tutto il gruppo del Cerido>.
Il direttore della Fondazione Cà Vendramin, Lino Tosini, ha
informato che la sede del Ce.Ri.Do. sarà il Museo di Cà Vendramin e
si è soffermato sugli scopi del nuovo Centro Culturale. Adriano
Tugnolo, presidente della Fondazione Cà Vendramin, Davide Marangoni,
assessore all'urbanistica del Comune di Taglio di Po, Maurizio
Tezzon del progetto grafico Tema, il direttore del Parco regionale
Veneto Marco Gottardi, il sindaco di Adria Massimo Barbuiani hanno
sottolineato l'importanza di fare squadra per realizzare progetti.
Ha concluso l'assessore regionale al territorio Cristiano Corazzari,
complimentandosi per la mostra, ha ricordato che la Regione appoggia
progettualità forti:" Questa iniziativa va in questa direzione: da
un'opportunità in più per conoscere la ricca e complessa storia di
questo giovane ma splendido territorio".
Le terre
contese e le Fortificazioni
Da
lavocedirovigo.it.it
del 11 dicembre 2018
Taglio di
Po. - La Fondazione scolastica Carlo Bocchi di Adria e la Fondazione Cà
Vendramin hanno inaugurato ieri, all'idrovora di Cà Vendramin, il Centro
di ricerca e documentazione sul Delta del Po (Cerido), con
un'interessante mostra sul tema "Giovani terre contese. Tre secoli di
fortificazioni nel Delta del Po". Una mostra che, messa a punto da un
gruppo di lavoro composto dai maggiori esperti di storia locale, quali
Luigi Contegiacomo, direttore dell'Archivio di Stato di Rovigo, Maurizio
Tezzon, esperto di grafica, Luciano Chiereghin, ricercatore dei dati
storici e ambientali, Raffaele Peretto e Luciano Scarpante, già nel
titolo contiene la sintesi. "Giovani terre, quelle del Delta - ha detto
Contegiacomo - che furono contese per tre secoli, dapprima da Stato
pontificio e Serenissima di Venezia, poi da Napoleone e dall'Austria
dopo". Ventidue pannelli che la compongono, divisi per colore, testo in
italiano e inglese, che illustrano come il Delta del Po per secoli abbia
rivestito un ruolo straordinario non solo nell'assetto idrogeologico del
territorio padano, ma anche nelle strategie politiche e militari di
potenze contrapposte che vi trovavano terreno fertile, per quanto
instabile, per la predisposizione di difese militari terrestri e
marittime, spesso abbandonate dopo pochi anni e di cui era persino
complesso fino a ieri individuare sul terreno la collocazione esatta. Ma
ora, grazie alla ricerca attenta di Luciano Chiereghin, viene messa a
conoscenza della popolazione, di studenti dei diversi ordini di scuole,
dei turisti e visitatori, la collocazione esatta di tali siti, e
mostrato quel che resta visibile, affidando alla ricostruzione virtuale,
con il supporto della cartografia esistente all'Archivio di stato di
Ferrara, la biblioteca Ariostea di Ferrara, l'Archivio di stato di
Venezia, una visione più immediata degli stessi. "Pagine vive di storia,
dunque - ha sottolineato Antonio Giolo, presidente della Fondazione
scolastica Bocchi - strappate per sempre all'oblio del tempo e rese vive
dall'interesse di uno storico del territorio deltizio, Luciano
Chiereghin, coadiuvato nella sua opera da tutto il gruppo del Cerido".
Presenti all'evento Lino Tosini, direttore della Fondazione Cà Vendramin,
che ne ha spiegato le finalità, anche come sede, da ieri, del Cerido;
Adriano Tugnolo, presidente della Fondazione Cà Vendramin, Davide
Marangoni, assessore all'urbanistica del Comune di Taglio di Po,
Maurizio Tezzon del progetto grafico Tema, il direttore del Parco
regionale Veneto Marco Gottardi, il sindaco di Adria Massimo Barbuiani e
l'assessore regionale al territorio Cristiano Corazzari che,
complimentandosi con gli organizzatori per la mostra, ha ricordato che
la Regione è tra i soci della Fondazione Cà Vendramin e che appoggia
progettualità forti per dare avvio a un territorio appetibile per
investimenti. "E l'iniziativa di oggi - ha chiosato Corazzari - va in
questa direzione".
Storia e
tecnologia delle fortificazioni dell’isola Palmaria
Da
laspezia.cronaca4.it del 9 dicembre 2016
LE
GRAZIE – La storia e tecnologia delle fortificazioni dell’isola Palmaria
saranno l’argomentodella conferenza, la prima di un ciclo su questo tema, che si
terrà domani, sabato 10, organizzata dall’associazione Dalla Parte dei
Forti con il patrocinio del Comune di Porto Venere.
L’incontro tematico sarà tenuto dall’esperto dell’associazione Stefano
Danese, alle ore 16.30, presso il refettorio dell’ex convento Olivetano
delle Grazie (PortoVenere). Il titolo già descrive l’interessante
argomento: isola Palmaria cardine della difesa del golfo, infatti Danese
racconterà lo sviluppo della fortificazione e della militarizzazione
dell’isola, con spunti inediti e documenti rari.
L’associazione Dalla Parte dei Forti, dopo il riuscito esperimento di
fruibilità turistica sviluppato inPalmaria la scorsa estate, sta portando avanti una serie di
progetti di valorizzazione e fruizione delle principali fortificazioni
del golfo spezzino.
Mostra, tre secoli di fortificazioni nel Delta del Po
Da
ilrestodelcarlino.it del 7 dicembre 2016
Taglio
di Po (Rovigo), 7 dicembre 2016 - Nell’ambito della XXII Settimana dei
beni Culturali in Polesine, sabato 10 dicembre alle ore 10 sarà
presentato al Museo Regionale della Bonifica di Ca’ Vendramin il
neocostituito Centro di Ricerca e Documentazione del Delta con sede
presso la Fondazione Ca’ Vendramin, finalizzato alla raccolta e
valorizzazione di fonti e memorie relative alla storia di un territorio
che nel corso dei secoli ha visto avvicendarsi e scontrarsi diverse
potenze e in cui si sono realizzate opere idrauliche fondamentali per la
sistemazione della variabilissima area lagunare.
In tale occasione sarà inaugurata la Mostra “Giovani terre contese - Tre
secoli di fortificazioni nel Delta del Po”, straordinaria e
assolutamente inedita esposizione itinerante, primo esito delle lunghe
poderose indagini di un appassionato ricercatore, Luciano Chiereghin,
sulla presenza di forti, batterie, postazioni militari tra il sec. XVII
e il primo conflitto mondiale: bellissime cartografie, spesso inedite,
provenienti da diversi Archivi di Stato e Biblioteche, affiancano
immagini di reperti, fotografie, ricostruzioni moderne di siti spesso
dimenticati e che si credevano persi. Il tutto accompagnato da testi
bilingue che permetteranno di inserire tali siti in itinerari turistici
non convenzionali.
No alla «riforma» bellicista
Da
comedonchisciotte.org del 7 dicembre 2016
La
maggioranza degli italiani, sfidando i poteri forti schierati con Renzi,
ha sventato il suo piano di riforma anticostituzionale. Ma perché ciò
possa aprire una nuova via al paese, occorre un altro fondamentale No:
quello alla «riforma» bellicista che ha scardinato l’Articolo 11, uno
dei pilastri basilari della nostra Costituzione. Le scelte economiche e
politiche interne, tipo quelle del governo Renzi bocciate dalla
maggioranza degli italiani, sono infatti indissolubilmente legate a
quelle di politica estera e militare. Le une sono funzionali alle altre.
Quando giustamente ci si propone di aumentare la spesa sociale, non si
può ignorare che l’Italia brucia nella spesa militare 55 milioni di euro
al giorno (cifra fornita dalla Nato, in realtà più alta). Quando
giustamente si chiede che i cittadini abbiano voce nella politica
interna, non si può ignorare che essi non hanno alcuna voce nella
politica estera, che continua ad essere orientata verso la guerra.
Mentre era in corso la campagna referendaria, è passato sotto quasi
totale silenzio l’annuncio fatto agli inizi di novembre dall’ammiraglio
Backer della U.S. Navy:
«La stazione terrestre del Muos a Niscemi, che copre gran parte
dell’Europa e dell’Africa, è operativa». Realizzata dalla General
Dymanics — gigante Usa dell’industria bellica, con fatturato annuo di 30
miliardi di dollari — quella di Niscemi è una delle quattro stazioni
terrestri Muos (le altre sono in Virginia, nelle Hawaii e in Austra-lia).
Tramite i satelliti della Lockheed Martin — altro gigante Usa
dell’industria bellica con 45 miliardi di fatturato — il Muos collega
alla rete di comando del Pentagono sottomarini e navi da guerra,
cacciabombardieri e droni, veicoli militari e reparti terrestri in
movimento, in qualsiasi parte del mondo si trovino. L’entrata in
operatività della stazione Muos di Niscemi potenzia la funzione
dell’Italia quale trampolino di lancio delle operazioni militari
Usa/Nato verso Sud e verso Est, nel momento in cui gli Usa si preparano
a installare sul nostro territorio le nuove bombe nucleari B61-12.
Passato sotto quasi totale silenzio, durante la campagna referendaria,
anche il «piano per la difesa europea» presentato da Federica Mogherini:
esso prevede l’impiego di gruppi di battaglia, dispiegabili entro dieci
giorni fino a 6 mila km dall’Europa. Il maggiore, di cui l’Italia è
«nazione guida», ha effettuato, nella seconda metà di novembre,
l’esercitazione «European Wind 2016» in provincia di Udine. Vi hanno
partecipato 1500 soldati di Italia, Austria, Croazia, Slovenia e
Ungheria, con un centinaio di mezzi blindati e molti elicotteri. Il
gruppo di battaglia a guida italiana, di cui è stata certificata la
piena capacità operativa, è pronto ad essere dispiegato già da gennaio
in «aree di crisi» soprattutto nell’Europa orientale. A scanso di
equivoci con Washington, la Mogherini ha precisato che ciò «non
significa creare un esercito europeo, ma avere più cooperazione per una
difesa più efficace in piena complementarietà con la Nato», in altre
parole che la Ue vuole accrescere la sua forza militare restando sotto
comando Usa nella Nato (di cui sono membri 22 dei 28 paesi dell’Unione).
Intanto, il segretario generale della Nato Stoltenberg ringrazia il
neo-eletto presidente Trump per «aver sollevato la questione della spesa
per la difesa», precisando che «nonostante i progressi compiuti nella
ripartizione del carico, c’è ancora molto da fare». In altre parole, i
paesi europei della Nato dovranno addossarsi una spesa militare molto
maggiore. I 55 milioni di euro, che paghiamo ogni giorno per il
militare, pre-sto aumenteranno. Ma su questo non c’è referendum. Manlio
Dinucci Fonte: www.voltairenet.org
Lo
schieramento militare Usa
Da
limesonline.com.it del 7 dicembre 2016
“Gli
Stati Uniti sono superpotenza sui generis, «impero senza impero» e
«senza imperatore», fondato non tanto sull’espansione territoriale
quanto sul controllo dei domini strategici: mari, cieli, cosmo e spettro
elettromagnetico. Nei primi tre spazi, specie quello marittimo,
l’impronta americana e robusta, anche se non mancano sfidanti in ascesa;
il quarto è troppo anarchico e multiforme per essere soggetto a
qualsiasi autorità sovrana. Inoltre, lo strumento securitario a stelle
e strisce, incardinato nelle formidabili Forze armate e nel meno
performante sistema di intelligence, vale più in potenza che in atto.
Le disastrose, inconcluse campagne militari in Afghanistan e in Iraq
stanno a confermarlo.
E la fine della deterrenza, erosa dalla guerra ibrida
alla russa, dalla proliferazione delle armi atomiche (Corea del Nord
docet) e dalla «guerra senza limiti» dei terroristi ma anche degli
hackers, rende meno cogente la prevalenza strategica a stelle e strisce.
[…] La peculiarità storica dell’impero americano e il suo irradiamento
ideologico. […] Quando tale fascino imperiale sembra stemperarsi, come
in questo avvio di secolo, gli americani inclinano prima a sovrareagire
(la sciagurata «guerra al terrorismo»), dunque a sovraesporsi in aree
strategiche di scarso rilievo, poi a ritrarsi nel proprio guscio.
Ripiegamento che però le ramificazioni dell’economia, degli interessi e
della rete di sicurezza americana declinata su scala globale – si pensi
solo alla partizione dell’intero pianeta in sei macroregioni strategiche
rette da comandanti dotati di poteri vicereali – contribuiscono a
stemperare.” Carta e citazione da “L’America americana”, l’editoriale di
Limes 11/2016 L’agenda di Trump.
Il forte
al Bus de Vela riapre giovedì per un mese
Da
trentinocorrierealpi.it del 6 dicembre 2016
TRENTO.
Da giovedì fino all’8 gennaio il forte di Cadine, al Bus de Vela,
riaprirà al pubblico dalmartedì alla domenica, dalle 10 alle 18 e sarà possibile
visitarlo gratuitamente. Rimarrà chiuso solo il giorno di Natale e l’1
gennaio. Si ripete così l’iniziativa già sperimentata lo scorso inverno
e durante la primavera per permettere, a chi lo vorrà, di entrare in una
delle fortificazioni ottocentesche dell’Impero asburgico costruita tra
il 1860 e il 1862 e che, dopo i lavori di restauro e di allestimento
degli anni scorsi, è stata data in gestione alla Fondazione Museo
storico del Trentino. Sono inoltre previste alcune visite guidate
gratuite, della durata di circa un’ora. Non servirà prenotarsi. Basterà
presentarsi nel piazzale esterno al forte nei giorni prefissati, pochi
minuti prima delle 14,30. Le visite sono in calendario l’11, il 18, il
28 dicembre e l’8 gennaio. Inoltre, c’è anche la possibilità di
prenotare delle visite guidate per gruppi di almeno 10 persone (per 2
euro a partecipante). In questo caso è necessario mettersi in contatto
con la Fondazione Museo storico del Trentino, con almeno una settimana
d’anticipo, telefonando al numero: 0461 230482. Durante la Prima guerra
mondiale, il forte, che era stato realizzato a difesa delle vie di
collegamento verso Trento, non sparò neanche un colpo. Fu disarmato e le
artiglierie posizionate nelle vicinanze. Nel dopoguerra l’Esercito
italiano lo usò come polveriera. La Provincia di Trento, che ne è
proprietaria, ha avviato il restauro conservativo nel 2006. Terminati i
lavori, la riapertura è del 2010. All’interno, strumenti interattivi,
pannelli, tavoli multimediali. In sintesi, un quadro d’insieme del
sistema fortificato trentino allestito a suo tempo dall’Austria-Ungheria
fin dall’Ottocento. (pa.pi.)
E nel bunker si degustano i formaggi d'alpeggio
Da repubblica.it
del 6 dicembre 2016
LUCERNA.
Quando parla della sua passione, a Roland Lobsiger s’illuminano gli
occhi perfino sotto le spesse lenti, perfino nella penombra Sapori
formaggi prodotti A Lucerna le affascinanti serate organizzate dal "cheese
scout" Roland Lobsiger: sotterraneo affina e fa assaggiare (a piccoli
gruppi) prodotti unici dalla nostra inviata DONATELLA CHIAPPINI della
sua cantina proprio al centro di Lucerna. Un cunicolo stretto e lungo
dove l’odore di formaggio è acre, penetrante eppure particolarissimo
come una buona fragranza che ti resta sul palato e sulle labbra. Lui,
nato a Lucerna 55 anni fa e cheese scout da un quarto di secolo,
affinatore specializzato sulle qualità a latte crudo degli alpeggi
svizzeri, ha voluto a tutti i costi portare a nuova vita questa specie
di bunker sottoterra dove custodisce le sue selezionatissime forme. Ha
individuato la cantina dismessa – utilizzata prima come bunker e fino
agli anni Cinquanta per conservare vino, birra e altro - se ne è
innamorato e poi l’ha testata: tre mesi per capire se il tasso di
umidità e il microclima si confacessero ai suoi gioielli. Non troppo
caldo, non troppo freddo, pareti da grottino, scaffali di legno,
pagliette a protezione delle tome. Ci sono voluti altri quattro anni per
sanificare la “galleria”, attrezzarla come da regola commerciale,
renderla piacevole per una serata di degustazioni. Limare quel vecchio
progetto, insomma, che tanto si era agitato nella sua testa. E che aveva
preso corpo pian piano, mentre Roland di alpeggio in alpeggio sceglieva
le forme da commercializzare o affinare per fattorie, caseifici e
produttori vari. C'è voluto tempo per imparare quale erba facesse più
dolce, più amaro o più aspro il latte di mucca, ingrediente primo della
gran parte dei formaggi svizzeri. “Perché il latte di capra è usato solo
in misura minima da queste parti”, spiega lui adesso. Ci è voluta
esperienza per scegliere l’appezzamento in quota, nei villaggi del suo
cantone (ma anche nel ticinese o nei grigioni), fosse più vocato al
pascolo. Un giorno sull’altro è maturata l’idea che si è concretizzata
(dall’autunno del 2014) nel Chäs Chäller (Gibraltarstrasse 25a, tel.0041-
79-8431940, Lucerna) – che vi accoglie con un tavolino lungo e stretto
al centro dove, in piedi, degustando si scopre un mondo. Qui si assaggia
– in lucidi piattini bianchi da dessert - la Leventina, il Sennenmutach,
l’Urneralpkäse, il Weichkäse, il Blaukäse o il più stagionato Etivaz
(per quasi tutti il migliore). Con un pezzetto di pane nero (o alla
frutta secca) e un calice di vino bianco bio (in questo caso il Solaris)
in mano si cerca di capire che formaggio c’è nel piatto: dietro lo
spessore della pasta, la sua elasticità, la muffa o il retrogusto.
S’intuisce subito che “l’età” fa la differenza. E Roland Lobsiger è
pronto a confermare: “Bisogna stare molto attenti alla stagionatura, c’è
una muffa buona e una cattiva. Non tutte le forme e le tipologie di
formaggi sopportano lo stesso invecchiamento. In fondo la riuscita di
un’eccellenza è sempre una scommessa. Non c’è mai una forma uguale
all’altra o, almeno, non identica”. E per illustrare meglio non c’è
niente di meglio che fare un salto nel caveau: una passeggiata tra gli
scaffali di legno su cui riposano i formaggi, una spiegazione di muffa
in muffa che sorprende anche i più scettici. La cantina può accogliere
otto persone alla volta, ma eccezionalmente si può arrivare a venti
assaggiatori. C’è un sito su cui scegliere cosa provare e quanto
spendere (dai 20 franchi svizzeri in su) secondo tipologie e pregio
delle forme. Bisogna arrivare a Lucerna. Prenotare è indispensabile, a
tutto il resto pensa Roland.
Intesa
tra Comune e Marco Polo su Forte Marghera: "Ca' Farsetti ora ha le sue
aree"
Da veneziatoday.it
del 5 dicembre 2016
La
querelle si era contraddistinta anche per un intervento della polizia
municipale, che aForte Marghera una mattina si è presentata intimando alla Marco
Polo System di lasciare gli spazi che sarebbero dovuti finire in mano
alla Fondazione che, dopo il cambio di gestione, ora dovrà amministrare
l'ex compendio militare mestrino. Ora, dopo incontri e riunioni, si è
finalmente giunti a una soluzione. Almeno secondo una nota di Ca'
Farsetti, che dichiara di essere "rientrato in pieno possesso degli
immobili facenti parte del compendio immobiliare denominato 'Ex Forte
Marghera'". Non che la Marco Polo System non volesse lasciare i locali
alla nuova realtà. La sua richiesta a Ca'Farsetti era di trovare una sede alternativa per portare avanti
le loro attività, visto che nello statuto della società sarebbe stato
messo nero su bianco che sarebbe dovuto essere compito del Comune, socio
di Marco Polo System. "A seguito delle intese formalizzate con verbale
del 25 novembre 2016, con cui la Marco Polo System non si è opposta
all'immissione in possesso da parte del Comune degli immobili in
questione, sono stati sottoscritti in data odierna (lunedì, ndr) i
verbali di consegna tra il Comune, la Marco Polo System e le
associazioni presenti al Forte, con contestuale consegna al Comune delle
chiavi degli immobili", sottolinea la nota. Si è trovata una soluzione
di compromesso per sbloccare la situazione: "La Marco Polo System
G.E.I.E., così come sottoscritto nel verbale del 5 dicembre 2016,
manterrà l'uso dell'edificio 'n. 27' e di porzione dell'edificio 'n.
56', fino alla data del 30 giugno 2017 e comunque non oltre la
definizione della controversia sullo scioglimento del G.E.I.E. avanti al
giudice ordinario", conclude Ca' Farsetti.
Bunker Antiaereo n.87: Seconda Guerra Mondiale sotto la Scuola
Elementare Leopardi di Milano
Da
vanillamagazine.it del 5 dicembre 2016
Benvenuti
nel bunker antiaereo n. 87. Numero 87, perché? Perché si tratta
dell’ottantasettesimo su 135 ricoveri di fortuna ad uso pubblico
allestiti dal Comune di Milano durante la Seconda Guerra Mondiale. Nato
il 5 ottobre 1940, il nascondiglio fu realizzato nel seminterrato della
scuola elementare Giacomo Leopardi. Capienza 440 persone, affluenza
media 350. Segni particolari: museo di se stesso. L’ambulacro
sotterraneo della scuola “leopardiana” è progettato a ferro di cavallo.Se
metà di quest’area è occupata dal rifugio, completamente puntellata con
delle travi in legno per sostenere il peso delle macerie sovrastanti,
l’altra metà è priva di puntellatura e si presenta come uno spazio
abbandonato a se stesso e mai ripulito. Fa sicuramente effetto pensare a
quando questa finestra sul passato, dotata di riscaldamento, cucina,
bagni e docce, fosse un luogo riservato all’insegnamento. Soprattutto
durante la guerra quando il pericolo incombeva. “La mia grande passione
sono gli acquedotti antichi. Ai rifugi antiaerei ci sono arrivato un po’
per caso, forse anche perché da dieci anni a questa parte ci stanno
conducendo verso un clima di guerra e vorrei terminare la mia carriera
con l’elmetto da speleologo e non con quello metallico”. Queste sono le
parole di Gianluca Padovan, presidente della federazione nazionale
cavità
artificiali. Lui, uno dei guru indiscussi della Milano sotterranea,
autore di diversi libri, grande cultore di bunker, quello di Mussolini
nel cuore della città di Milano non fa eccezione, domenica, con il
supporto della professoressa Maria Antonietta Breda, docente del
politecnico di Milano, ha messo al servizio di Neiade – realtà milanese
specializzata nella promozione dell’arte e della cultura – i suoi studi
sui cosiddetti rifugi antiaerei. “Non chiamateli rifugi ma ricoveri
perché alle orecchie della gente suona meno sinistro – precisa lo
speleologo – Si tratta di una raccomandazione ricorrente quando ci si
imbatte nelle diverse fonti che i documenti d’epoca riportano”. Insomma,
chi meglio di Padovan avrebbe potuto accompagnare il folto gruppo di
persone incontratesi alle 15.00 nel piazzale della scuola Giacomo
Leopardi, con la speranza di toccare con mano episodi e vicende
insudiciate di terrore e macchiate di sangue, interpellabili in
alternativa soltanto sui libri di scuola. Per troppo tempo questi luoghi
abbandonati a se stessi sono stati ingiustamente e ingiustificatamente
muti testimoni di un passato, che se non fosse stato per queste visite
guidate, non avrebbe mai potuto esser degnamente ricordato. Voci, che
l’attuale dirigente scolastico dell’istituto Leopardi, Laura Barbinato,
ha voluto ascoltare a grandi orecchie prendendosi l’onere di riportarle
in vita. Come quella de “Il ragazzo di Bovisa”, libro autobiografico di
Ermanno Olmi. Siamo negli anni ’40 del Novecento, Ermanno è studente
alla Leopardi e come molti bambini della sua età vive la guerra, o come
scherzo giocando alle bombe contraeree, oppure giocando a nascondino
nelle cantine della propria abitazione, il tutto per sfuggire
all’attacco dei “cattivissimi” ordigni bellici. Da allora la Barbinato,
fortemente stigmatizzata dalle parole del ragazzo di Bovisa, si proporrà
come fermo intento quello di far rivivere questo spazio caduto per quasi
un secolo nell’oblio. Tanto che l’ambulacro aprirà i battenti nel 2010.
“Insieme a Lega Ambiente abbiamo ripulito settant’anni d’abbandono
riempiendo l’intera ribalta di un camion. Lega Ambiente si occupa di un
progetto chiamato “Puliamo il mondo”, il nostro progetto noi l’abbiamo
chiamato “Puliamo il buio”” dice con aria compiaciuta Padovan. La scuola
che oggi porta il nome Leopardi (nata nel ’27) ai tempi di Olmi, si
chiamava Rosa Maltoni Mussolini. La maestra Maltoni era la mamma del
Duce. Solo terminata la Seconda Guerra Mondiale l’edificio scolastico “a
prova di bomba” opterà per il titolo che oggi veste con grande fierezza.
Anche se è utopia pensare che il rifugio n. 87 fosse a prova di bomba. A
confessarlo è lo stesso Padovan: “Un vero rifugio antiaereo è realizzato
in cemento armato, deve possedere impianti antigas, porte e serramenti
blindati. Questo ricovero, insieme agli altri 134 che il Comune di
Milano adibì a riparo per la popolazione civile, non possiede nessuna di
queste caratteristiche”.Insomma, 135 ricoveri di fortuna di nome e di
fatto:“Era tutto un si sperava che: – continua lo speleologo – si
sperava che la bomba cadesse perpendicolarmente al terreno, si sperava
che non fosse pesante, si sperava che esplodesse prima di arrivare a
piano scantinato. Come non bastasse, durante la Grande Guerra una
pratica molto diffusa era il terror bombing, che si prefiggeva di
gettare letteralmente nel panico la popolazione, soprattutto attraverso
l’incessante suono della sirena”. Non appena ci si accinge a varcare la
porta del refettorio “leopardiano”, a catturare immediatamente
l’attenzione è una stanza in particolare, allestita con una lavagna,
delle sedie e delle panchine. E’ in quest’“aula” che le maestre insieme
ai loro bimbi amano trattare i temi più scottanti della guerra. Per una
memoria che non deve rimanere sotterrata.
Il ‘treno
nucleare’ russo Barguzin spaventa la stampa tedesca
Da sputniknews.com
del 3 dicembre 2016
La
stampa tedesca è allarmata per le notizie sul superamento dei test del
sistema missilistico ferroviario russo ‘Barguzin’.
Il Die
Welt, per esempio, scrive che la decisione della NATO di inviare un
contingente internazionale in Polonia e nei Pesi Baltici ha provocato
una dura reazione da parte di Mosca. Tra le altre cose, la Russia è
ricorsa alla modernizzazione del ‘treno nucleare' sovietico: il sistema
missilistico ferroviario ‘Barguzin' dotato di missili intercontinentali.
I giornalisti della rivista Focus temono che il ‘Barguzin', rimanendo
nelle retrovie e cambiando continuamente posizione, sia pronto in ogni
momento a colpire obiettivi strategici in Occidente.
«Difficilmente i moderni mezzi dell'intelligence saranno in grado di
individuare il ‘Barguzin' in quanto è identico agli altri treni
convenzionali», scrive Focus. La stessa opinione è condivisa dalla
rivista Stern. Nel mese di novembre i media russi hanno riferito il
superamento dei test di lancio del sistema missilistico ferroviario. Il
‘Barguzin' sarà dotato di 6 missili balistici intercontinentali e, a
differenza del suo predecessore sovietico, esteriormente avrà l'aspetto
di un comune treno passeggeri.
L'ex base
Nato diventa di proprietà del comune
Da larena.it del 1
dicembre 2016
West
Star il più grande bunker antiatomico d’Europa, scavato nelle viscere
del MonteMoscal, diventerà di proprietà, a costo zero, del Comune di Affi.
L’approvazione della presa in carico dell’ex base Nato West Star a
titolo gratuito mediante il Federalismo demaniale è infatti tra gli
argomenti che saranno discussi nel prossimo consiglio comunale in
programma lunedì prossimo alle 20.30. West Star, è una struttura di 13
mila metri quadrati suddivisa in 110 stanze, tre ingressi e gallerie
d’accesso. Nel 2010 la Regione Veneto stipulò una convenzione con il
ministero della Difesa per un progetto di valorizzazione turistica del
rifugio antiatomico, con uno stanziamento di 100 mila euro per 3 anni
fino al 2012. Fino al 2013 il sito era frequentato da dipendenti del
ministero della Difesa addetti ai controlli. Poi fu abbandonata del
tutto e, a causa delle incursioni dei vandali, lo Stato maggiore
dell’esercito non rilasciò più autorizzazioni per visite. Nel 2015
l’Agenzia del demanio del Veneto avrebbe dovuto esprimersi se ci fossero
stati elementi ostativi alla cessione del bunker in favore del Comune di
Affi che ne ha chiesto l’acquisizione senza oneri di spesa, in base alle
normative, sul «federalismo demaniale», che consentono alle
amministrazioni pubbliche di richiedere aree demaniali a costo zero. Da
qualche anno l’ex base Nato è entrata nel mirino di ladri e vandali che
hanno portato via tutto quello che era asportabile. Buona parte della
struttura, quella protetta dalle porte blindate, però è in ottime
condizioni, come spiega Mauro VittorioQuattrina regista, documentarista, consulente storico per fiction
e film di guerra, che la realtà dell’ex base militare di Affi la conosce
bene perché in questo luogo ha girato il documentario «West Star,
polvere di una stella». «Il cuore della base custodisce ancora, tra
l’altro, attrezzature come i filtri Nbc, grandi motori marini, le vasche
per l’acqua potabile e per quella che serviva al sistema di
raffreddamento», dice. Le intrusioni si sono verificate dall’entrata
secondaria, dove i ladri hanno fatto saltare e sostituito il lucchetto
originale con uno che si sono procurati loro. Sono entrati anche
dall’uscita di sicurezza che si trova sulla sommità del Monte Moscal. A
marzo il sindaco Roberto Bonometti si è incontrato a Roma con il
generale di divisione aerea Alberto Rosso vice capo di gabinetto del
ministro della Difesa per discutere della possibilità dell’acquisizione
da parte del Comune di Affi del bunker che allora era sotto la
responsabilità e la gestione del demanio militare e che poi è passato a
quello civile. «Inquell’occasione ci è stato suggerito di inoltrare una nuova
richiesta non appena l’agenzia del Demanio avesse pubblicato sul suo
sito istituzionale le relative modalità di acquisizione», ha spiegato il
sindaco Bonometti, «senza attendere l’eventuale pubblicazione di un
nuovo elenco di infrastrutture militari cedibili alla pubblica
amministrazione. E così abbiamo fatto proprio per accorciare i tempi di
concessione di West Star». Durante il consiglio comunale di lunedì si
discuterà anche di nuove e urgenti opere per la depurazione del lago di
Garda. Luca Belligoli
Da corriere.it del
30 novembre 2016
Se
ne parla da almeno settant’anni. Senza alcun costrutto, però se ne
parla. L’ultima in ordine di tempo a tirare fuori questa storia è stata
Giorgia Meloni, durante la campagna elettorale perduta contro Virginia
Raggi. «Il centro di Roma va decongestionato da uffici e ministeri, che
devono andare in periferia. Io sposterei anche gli uffici del
Campidoglio in altri luoghi», ha detto davanti alle telecamere del
Corriere Tv la ex candidata di Fratelli d’Italia a sindaco di Roma.
Spostare i ministeri, trasferire le funzioni amministrative, traslocare
perfino la politica: idea tanto semplice quanto geniale, probabilmente
risolutiva per una città disastrata come la capitale d’Italia. Peccato
che sia sempre stato soltanto un sogno. Eppure anche noi avevamo la
nostra piccola Brasilia, organizzata, accogliente e spaziosa: l’Eur. Una
città satellite dove avremmo potuto agevolmente collocare tutte le
funzioni direzionali pubbliche di uno stato moderno. Ben collegata al
centro urbano con una strada a grande scorrimento, la Cristoforo
Colombo, e con una linea di metropolitana. Di più: dagli anni Sessanta
anche vicina all’aeroporto intercontinentale di Fiumicino. Questo è l’Eur.
Un posto perfetto per metterci i ministeri, gli uffici delle
amministrazioni periferiche, il quartier generale del Comune. Perfino il
Parlamento. Sarebbe stata l’evoluzione naturale del piano urbanistico
voluto da Benito Mussolini per il ventennale della marcia su Roma con
l’occasione dell’Esposizione universale del 1942: che non si sarebbe mai
svolta. Una vetrina clamorosa della città eterna, capace di sbalordire i
visitatori con la citazione in chiave razionalista dei due simboli
universali di Roma come il Colosseo e San Pietro. Quel piano del 1938,
affidato a Marcello Piacentini, si rivelò un’opera immane. Impossibile
non sospettare una velata voglia di competizione con quello che stava
accadendo in Germania, dove Adolf Hitler aveva incaricato Albert Speer
di progettare la nuova Berlino: il cui simbolo sarebbe stata la
gigantesca Sala del popolo con una cupola di 250 metri di diametro e
alta più di 300 metri che avrebbe rappresentato l’estremità di un asse
viario largo 120 metri. Sappiamo di sicuro che quando Mussolini vide il
progetto dell’Eur criticò il fatto che l’attuale Cristoforo Colombo,
strada di collegamento con la città, fosse «troppo stretta». Ma mentre
la nuova Berlino di Speer non avrebbe mai visto la luce, il quartiere
dell’Eur invece sì. Completato, anzi, dopo la fine della seconda guerra
mondiale al pari di altre iniziative urbanistiche del fascismo (in
questo caso assolutamente micidiali) come via della Conciliazione. Ed è
proprio in quel momento che si è persa la grande occasione. L’Eur
sarebbe stato dunque il posto perfetto per modernizzare una capitale già
intasata in modo sconclusionato dai ministeri e dalla politica. Senza
alcun disegno logico se non quello, fermamente perseguito fin
dall’inizio dai Savoia, di sovrapporre i segni del nuovo dominio a
quelli del vecchio potere temporale. Segni forti e indelebili, come
l’asse dei ministeri che da Porta Pia arriva ancora oggi fino al
Quirinale. Ma che non hanno mai fatto i conti con il trascorrere del
tempo. Basta dire che al momento del trasferimento della capitale da
Firenze a Roma gli apparati ministeriali del Regno d’Italia contavano
poco più di 4 mila dipendenti. Oggi sono quaranta volte tanto. Un posto
tanto perfetto, l’Eur, che si era anche pensato a una rete viaria
sotterranea per collegare i vari palazzi. Una rete sorprendente e
misteriosa, completata anch’essa nel dopoguerra, che misura qualcosa
come 19 chilometri. Oggi quelle gallerie ospitano le condotte che
portano l’acqua pompata dal laghetto antistante il grattacielo dell’Eni
al serbatoio sopraelevato conosciuto come il Fungo e da qui la
distribuiscono per l’irrigazione delle zone verdi e una serie di utenze.
Negli anni Sessanta fu progettata anche una linea di trasporto interna
su rotaia: una microscopica metropolitana di quartiere, anch’essa
sotterranea, utilizzabile da piccoli gruppi di persone per trasferirsi
da una zona all’altra dell’Eur. L’avevano battezzata «traslatore», ma
restò un disegno sulla carta. Anche perché nel frattempo si era pensato
di fare lo Sdo: il Sistema direzionale orientale, una specie di Défense
all’amatriciana dove collocare tutte le funzioni amministrative. Peccato
soltanto che la nostra Défense esistesse già, all’Eur. E che lo Sdo non
sia mai nato, su quei terreni poi sbranati dall’abusivismo e
dall’incuria urbanistica. Non che qualche ministero non sia poi arrivato
all’Eur. Ci avevano portato quello delle Finanze, e poi anche quello
delle Poste. Sempre, però, con iniziative del tutto estemporanee mai
inserite in un disegno complessivo e soprattutto organico. E comunque in
una situazione di disordine totale, che ha trasformato l’Eur in un
ibrido: un po’ direzionale, un po’ residenziale, un po’ non si sa. Non
si sa, appunto. Ma questa, ahimè,non è una costante solo romana. L’
Italia intera è il Paese del «non si sa»...
La quiete dopo la battaglia
Da
nationalgeographic.it del 29 novembre 2016
Nel
1916 la guerra di movimento era un lontano ricordo che aveva ceduto il
passo ad una teoria infinita di trincee, di fortini e di filo spinato
che dalla costa belga attraversava la Francia fino alla Svizzera: il
Fronte Occidentale era l'incarnazione della guerra di posizione e di
logoramento. In questo contesto il generale tedesco von Falkenhayn
decise un attacco alla città di Verdun, in Lorena. L'obiettivo non
consisteva nel conquistare territori ma "dissanguare goccia a goccia"
l'esercito francese. Tutto il progresso e lo sviluppo industriale
maturati nella Belle Epoque furono messi al servizio della cosiddetta
"guerra di materiali": "non vere e proprie battaglie, ma catene di
montaggio della distruzione", come sostiene lo storico Antonio Gibelli.
Il tritacarne di Verdun non fece distinzione tra le divise blu francesi
e quelle grigie tedesche, perché l'unica finalità sembrò essere
l'annientamento dell'essere umano. Una cosa simile avvenne sulle pianure
ondulate della Somme, in Piccardia. Il 1° luglio 1916, inizio
dell'offensiva anglo- rancese che intendeva sfondare le linee nemiche ed
alleggerire il fronte di Verdun, si trasformò nel giorno più sanguinoso
della storia dell'esercito britannico, con 19.240 morti e oltre 35 mila
feriti. Il massacro proseguì per tutti i successivi cinque mesi, finché,
tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre del 1916, entrambe le
offensive si esaurirono. Ispirandomi ai racconti dei testimoni
dell'epoca ho intrapreso un viaggio alla scoperta dei due campi di
battaglia, parte di un progetto più ampio dedicato al Fronte Occidentale
e proseguendo quelli già realizzati sulle tracce della guerra d'alta
montagna in Trentino, dove vivo. Progetti che nascono quindi dai libri,
per voler capire cosa è successo in Italia ed in terra di Francia,
esplorando ciò che rimane ma anche quello che in cento anni è cambiato.
Ora quei campi di battaglia sono luoghi immersi nel silenzio, lontani
nel tempo dal frastuono delle bombe e nello spazio dai frenetici ritmi
della vita contemporanea. Vi si respira quella particolare quiete della
natura che avanza e che tenta di immergere nella sua bellezza un
paesaggio tuttora dilaniato. E' qui che affiora il passato, con i suoi
frammenti di vita e di morte: i contadini della Somme ogni anno mietono
un raccolto di barbabietole e di acciaio, nei boschi di Verdun i monconi
di una chiesa sono tutto ciò che resta della vita bucolica di un paese
d'anteguerra, mentre le mura sbrecciate delle fortezze evocano la
potenza delle tempeste di fuoco. È qui che le nazioni del dopoguerra
opposero alla spersonalizzazione della morte seriale le croci, i
monumenti e gli ossari. E le lanterne di questi ultimi, come fari nella
notte, ricordano all'umanità il buio che ha pervaso il mondo all'alba
della modernità. In questa foto. Un faro nella notte: la lanterne des
morts (lanterna dei morti) dell'Ossario di Douaumont veglia sui caduti e
sul campo di battaglia. "Verdun uccise circa 305.440 uomini, su un
totale di 708.777 perdite. Quasi un morto al minuto, giorno e notte, per
tutti i dieci mesi in cui durò la battaglia", ha scritto Ian Ousby.
Negli ultimi decenni l'Ossario è diventato luogo di celebrazione della
riconciliazione franco-tedesca, come gli incontri tra Francois
Mitterrand ed Helmut Kohl nel 1984 e tra Francois Hollande e Angela
Merkel nel 2016. di Andrea Contrini
Un bunker
sotto Palazzo Civico, aprirà al pubblico a gennaio
Da torinotoday.it
del 28 novembre 2016
Il
rifugio antiaereo che si trova sotto il cortile centrale del Municipio
riaprirà al pubblico.Dopo un primo recupero dei locali, nel 2015, con la definitiva
conclusione degli interventidi messa in sicurezza e risanamento, il rifugio sarà aperto alle
scolaresche e ai cittadini dal gennaio 2017. Alla presentazione sono
intervenuti Felice Tagliente, presidente associazione onlus“Nessun uomo è un’isola”, che gestisce il rifugio delle carceri
Nuove, Bruno Segre, presidente dell’associazione nazionale perseguitati
politici italiani antifascisti, sezione di Torino, e direttore del
periodico “L’Incontro”, Jessica Spagnolo, architetto, intervenuta a nome
di Artes Aps che ha contribuito al restauro del rifugio, Renzo Suppo, in
rappresentanza del Dirigente Scolastico nell’ambito territoriale della
Provincia di Torino, Antonio Catania. Tagliente ha ripercorso la storia
che ha portato alla nascita di questo tipo di luoghi a partire dalla
legge promulgata nel 1936 che obbligava alla costruzione di rifugi in
tutte le nuove edificazioni pubbliche o private. BrunoSegre ha ricordato il primo bombardamento della Città, nel giugno
del ’40, in viaPriocca, zona Porta Palazzo, ad opera di un aereo inglese. I
morti furono 17. Il rifugio, almeno per il momento, non è accessibile
alle persone con disabilità o difficoltà motorie. Le visite,
accompagnate dalle guide volontarie di Palazzo Civico, si svolgeranno
ogni quarto martedì del mese. Le prenotazioni (obbligatorie) dovranno essere fatte attraverso i
numeri telefonici011011.24012/23384/22063, e-mail: iniziative.istituzionali@comune.torino.it.
RUSSIA,
ESEGUITI PRIMI TEST PER I TRENI NUCLEARI
Da difesaonline.it
del 23 novembre 2016
(di
Franco Iacch) 23/11/16 - I primi test sui missili balistici
intercontinentali che equipaggeranno i treni nucleari russi, hanno avuto
successo. È quanto riporta Interfax. I test si sono svolti nel
cosmodromo di Plesetsk, a nord ovest della Russia. Le prove di volo
dovrebbero iniziare tra la fine dell’anno ed i primi mesi del 2017. I
test dovranno convalidare le soluzioni progettuali adottate e l’impatto
dei missili sulla piattaforme di partenza. Nel 1969 l’Unione Sovietica,
in risposta alla potenza nucleare dei sottomarini USA, schierò
sull’intero territorio treni atomici perfettamente camuffati e che, di
fatto, annullarono la rilevazione satellitare militare americana.
Gli RT- 23 Molodets (foto) chiamati Combat Railway Missile Complex erano
equipaggiati con tre lanciamissili balistici RS-22. I Molodets sono
stati radiati dal servizio nel 1993. Dei 12 treni missilistici di epoca
sovietica, 10 sono stati distrutti e due sono stati ceduti ad un museo.
Il Cremlino, lo scorso settembre, ha dato il via alla produzione dei
nuovi treni della morte. A differenza dei precedenti, i nuovi Barguzin
dell’Institute of Thermal Technology di Mosca, saranno in grado di
lanciare da qualsiasi punto della sterminata ferrovia russa. Da rilevare
che lo stesso istituto ha progettato tutti i missili strategici a
combustibile solido del paese, come il Topol-M, Bulava e Yars. Ogni
treno, nettamente più leggero rispetto al Molodets, dovrebbe trasportare
sei missili RS-24, ognuno in grado di trasportare quattro testate MIRV
(verosimilmente MARV dal sesto treno in poi). Un solo convoglio potrebbe
lanciare 24 testate termonucleari a rientro multiplo indipendente.
Ciò significa che un solo treno potrebbe essere in grado di bersagliare
24 città. L’RS-24 Yars (nome in codice Nato SS-29) è un missile
balistico intercontinentale di quinta generazione. È una versione
aggiornata del missile balistico Topol-M ed è stato testato ed
ufficialmente presentato nel 2007, in risposta all’installazione dello
scudo missilistico della Nato in Polonia. L’RS-24 è in grado di colpire
bersagli ad una distanza massima di dodici mila chilometri con un errore
di 50 metri.
E’ uno degli ICBM più veloci del mondo, con un’accelerazione finale di
oltre 20 mach. I nuovi treni dovranno resistere all’onda d’urto di una
testata nucleare e saranno in grado di percorrere fino a mille
chilometri al giorno alla velocità di 100 chilometri con un’autonomia di
un mese. Sarebbero già in produzione cinque nuovi convogli, mentre
l’intero supporto logistico è stato mantenuto operativo dai russi.
Funzionanti tutte le infrastrutture necessarie, comprese le profonde
gallerie dove i treni non possono essere rilevati da qualsiasi forma di
ricognizione o distrutti da un attacco nucleare. Ogni divisione su
rotaia sarà formata da cinque treni, ognuno dei quali considerato alla
stregua di un reggimento. La stima iniziale prevedeva l’entrata in
servizio dei Barguzin entro il 2019, ma è stata posticipata di un anno.
Ogni treno nucleare dovrebbe restare in servizio per venti anni con
pattugliamenti di trenta giorni. Anche gli Stati Uniti, infine,
pensarono ad una propria flotta di sistemi balistici su rotaia formata
da 25 treni. Il progetto risale al 1986 per un costo complessivo di 30
miliardi di dollari. I treni sarebbero stati equipaggiati per lanciare i
missili LGM-118 Peacekeeper. Il programma è stato annullato nel 1991.
(foto: Panther)
Convegno
“Fortificazioni del Golfo, dal passato al futuro”
Da
laspezia.cronaca4.it del 25 novembre 2016
La LE GRAZIE – Le fortificazioni che caratterizzano il Golfo spezzino,
simbolo di un passato bellico che risale alla Repubblica Genovese, con
particolare attenzione alla realtà dell’isola Palmaria, saranno oggetto
di un momento di studio e congressualità che si terrà sabato pomeriggio,
alle Grazie (ore 16.15) nella sala del refettorio dell’ex convento
Olivetano. Si tratta del convegno “Fortificazioni del Golfo, dal passato
al futuro” organizzato dall’associazione “Dalla parte dei Forti”con il
patrocinio del Comune di Porto Venere. Le fortificazioni del golfo
spezzino, ed in particolare della Palmaria, possono essere la chiave di
volta per sviluppare, se pur con ritardo rispetto a ciò che è stato
fatto in Europa, una nuova forma di turismo che unisce la passione
storica e l’escursionismo, ma che è aperto ad ogni altra contaminazione.
È questo il messaggio che arriva dall’associazione “Dalla parte dei
Forti” che per investire sullo sviluppo culturale di questo concetto
urbanistico ha invitato un gruppo di giovani tecnici che svilupperanno
una serie di studi legati all’esperienza svolta negli ultimi anni
dall’associazione. La giornata, ospiti del sindaco Matteo Cozzani che
farà gli onori di casa, è stata pensata dopo che l’esperienza di questo
giovane ente è stata portata ad esempio durante l’ultimo convegno
internazionale FortMed di Firenze, uno dei più importanti punti di
incontro per il dibattito urbanistico in ambito mediterraneo. Si tratta
dell’esperimento fatto dall’associazione “Dalla parte dei Forti” la
scorsa estate, in convenzione con l’amministrazione comunale di Porto
Venere, per verificare la possibilità di creare un programma turistico e
di fruibilità delle fortificazioni sull’isola Palmaria. In meno di 3
mesi, garantendo solo aperture durante i fine settimana, senza
organizzare particolari eventi, ma soltanto recependo un turismo
passivo, l’associazione è riuscita a testare circa duemila presenze
nella sola Torre corazzata Umberto I. Saranno quattro gli interventi
tecnici dei relatori inviatati dagli organizzatori, si inizierà con
l’architetto Enrica Maggiani che porterà l’esempio studio della
fortificazione di Santa Maria, quindi sarà la volta dell’architetto
Ludovica Marinaro che svilupperà il concetto dello sviluppo del futuro
delle fortificazioni sull’isola Palmaria, poi la parola passerà
all’architetto Fabio Borghini che proseguirà sul tema delle prospettive
e delle criticità del riuso degli spazi fortificati sull’isola, chiusura
della fase prettamente accademica con l’intervento dell’architetto
Giorgia Ottolini, a capo dell’area urbanistica del Comune di Porto
Venere, che parlerà del concetto di fortificazione dentro gli strumenti
urbanistici. All’associazione il compito di introdurre le tematiche e di
tirare le conclusioni. Dal 2011, anno della sua fondazione,
l’associazione “Dalla parte dei Forti” ha lavorato per far comprendere
agli enti locali ed agli addetti ai lavori il valore e le potenzialità
di questi luoghi, non solo come volumi in cui ricollocare qualcosa, ma
come strutture urbanistiche che possono garantire interesse ed occasione
di sviluppo. L’esempio arriva proprio dalla Palmaria, oggi il più
importante laboratorio urbanistico, dove “Dalla parte dei Forti” ha
gestito per qualche mese con successo l’apertura sperimentale del sito:
Torre corazzata Umberto I
Rocche e
fortificazioni in provincia di Verona: Forte San Marco a Caprino
Da veronasera.it
del 23 novembre 2016
Risultano
sempre più famosi quelli costruiti dagli austriaci nel territorio
veronese, ma anche il Regno d'Italia li ha costruiti negli anni
successivi al passaggio di Verona dall'Austria-Ungheria. Un esempio è
Forte San Marco, situato sull'omonima altura in località Lubiara a
Caprino Veronese. Lo costruì l'esercito italiano dal 1888 e lo completò
nel 1913. Ebbe quindi modo di combattere solo marginalmente con gli
austriaci durante la prima guerra mondiale.
Pare infatti che da questo
forte siano partiti dei colpi diretti ai bombardieri austriaci diretti a
Verona. Al di là di questo episodio non ci furono altri eventi bellici
che riguardarono questo forte, comunque ben equipaggiato per ospitare
centinaia di soldati e due dozzine di cannoni, oltre a fungere come
deposito per le munizioni. Non essendo di proprietà pubblica, non è
liberamente visitabile. Lo si può solo vedere dall'esterno e le
condizioni in cui si trovano non fanno intuire un particolare cura per
un forte comunque ben fatto. La sua pianta doveva essere rettangolare,
ma non potè essere regolare a causa delle caratteristiche del terreno. È
protetto da mura e da un lungo fossato su tre lati, mentre un lato è
naturalmente protetto da un precipizio. Solo in uno spigolo della
struttura è presente una torre che permetteva la visione e la difesa del
forte da un punto rialzato.
Sulle
orme di Federico II" in giro per castelli e fortezze
Da lasicilia.it
del 22 novembre 2016
PALERMO
- Un viaggio affascinante sulle tracce di Federico II, tra castelli
carichi di storia e tracce di cultura e di leggende. Lo propone la
Fondazione Federico II che ha preparato e presentato un itinerario con
22 siti siciliani: diventeranno una nuova offerta turistico-ulturale che
partirà da Castelvetrano il 25 novembre e arriverà in questa prima fase
a Cefalù il 16 dicembre. In collaborazione con l’assessorato regionale
al turismo, è stata creata una rete di comuni, da Palermo a Catania, da
Messina a Montalbano Elicona. «Coinvolgeremo le scuole, le comunità e
gli studiosi» ha sottolineato il direttore della Fondazione, Francesco
Forgione, che ha illustrato il carattere culturale dell’iniziativa già
presentata alla Bit di Londra e di Milano. L’obiettivo è quello di
recuperare la memoria ma anche la fruibilità di molti siti rimasti a
lungo chiusi come il castello di Scaletta Zanclea, vicino a Messina,
difficile da raggiungere dopo l’alluvione del 2009. Durante il suo regno
siciliano, Federico II, oltre a una visione illuminata e multiculturale,
si impegnò in varie campagne militari per la completa conquista della
Sicilia. E per questo fece costruire castelli e fortezze per il
controllo del territorio. L’architettura federiciana assunse caratteri
stilisti molto specifici che hanno lasciato tracce molto significative.
In tanti casi l’imperatore conosciuto come "Stupor mundi» fece
abbattere e confiscare strutture feudali per fondare nuove città e per
costruire castelli ispirati alla sua visione politica e destinati a
diventare anche contenitori di opere d’arte. Il programma architettonico
federiciano ha creato in Sicilia una vera e propria catena di castelli
che ora sono stati inseriti nella rete chiamata «Sulle orme di Federico
II». L'iniziativa è stata accolta con interesse dai sindaci e dagli
amministratori dei comuni interessati, alcuni dei quali hanno
sottolineato l’importanza di un’offerta culturale destinata a stimolare
anche il mercato turistico siciliano.
In
vendita il Dosso dei Galli: la Guerra Fredda "bresciana" costa 1.000.000
di euro
Bagolino: il Dosso dei Galli in vendita a 1.000.000 di euro
„In vendita il Dosso dei Galli: la Guerra Fredda "bresciana"
costa 1.000.000 di euro
Dalla
pagina Facebook “Dosso dei Galli Maniva Bagolino Brescia”, in doppia
lingua: “Properties for sale for € 1.000.000”, proprietà in vendita a 1
milione di euro.
Praticamente tutta la montagna, ma con un cucuzzolo molto interessante:
una ex base Nato da oltre 80mila metri quadrati, abbandonata ormai da
più di 20 anni (era il 1995) e con due antenne paraboliche da 30 metri
(di diametro) ciascuna.
La proprietà fa riferimento a Ettore Marchina, e con lui altre tre
famiglie, e la società appunto si chiama “Dosso dei Galli”.
La montagna si trova al confine tra Bagolino e Collio, tra il Maniva e
Crocedomini. E' stata acquistata all'asta, ora è di nuovo in vendita. E
ci sarebbe pure un progetto per la riqualificazione dell'area: “Per chi
vuole farlo”, si legge ancora su Facebook.
Alla scoperta di uno dei più grandi bunker del mondo
Da swissinfo.ch
del 20 novembre 2016
Nel
sottosuolo della città Lucerna si trova l’ex bunker civile più grande
del mondo. Costruito per proteggere fino a 20'000 persone da un attacco
nucleare, è ancora pronto ad essere utilizzato in caso di catastrofe.
Tra i condomini, una porta spunta da un muro di cemento coperto da un
cumulo erboso vicino a un parco giochi. Tramite essa, si accede a 40
anni di storia e a un edificio sotterraneo di 7 piani. Zora Schelbert,
la mia guida all’interno del bunker, apre la porta che poi sbatte alle
nostre spalle. Fa freddo, e un lungo tunnel grigio leggermente in
discesa appare di fronte a noi. Ci troviamo nella struttura che nel
1976, anno della sua apertura, era il più grande rifugio del mondo,
studiato per mettere al sicuro 20'000 persone dalle esplosioni atomiche.
Nel 1963, all’apice della Guerra Fredda, la Svizzera ha varato una legge
unica nel suo genere: ogni residente avrebbe dovuto avere un posto in un
bunker in caso di catastrofe. Questi dovevano essere costruiti sotto
case e condomìni. In caso contrario, il proprietario dell’immobile
avrebbe dovuto pagare per garantire agli inquilini il loro posto in un
rifugio pubblico, come a Sonnenberg. I due tunnel autostradali di
Sonnenberg (parte dell'autostrada A2) sono stati costruiti con un doppio
scopo. Quotidianamente vi scorre il traffico, ma se necessario potevano
essere sigillati e utilizzati come rifugio d’emergenza per decine di
migliaia di persone. Attorno alle gallerie è stato costruito un edificio
di 7 piani, soprannominato “la Caverna”, che avrebbe dovuto fungere da
unità di comando tecnico e logistico. "L’Erdgeschoss” (piano-terra) in
questa illustrazione si riferisce al livello del bunker attraversato
dalle gallerie stradali. Il “vero” pianterreno è sopra il quarto piano.
“Nell’ala est [a sinistra] del bunker c’erano tre generatori diesel per
la fornitura di elettricità”, spiega Schelbert. “Nell’ala ovest
avrebbero lavorato i 700 membri dello staff. Vi si trovano le stanze che
sarebbero state adibite alla stazione di sicurezza per gestire chi crea
disturbo nel tunnel, le celle di detenzione, il pronto soccorso, la
cucina, la lavanderia e il centro operativo.” Nel 2006 il bunker è stato
ridimensionato e modificato per essere utilizzato come rifugio civile
per 2'000 persone, anziché per le 20'000 per le quali era stato
inizialmente progettato.
Vivere sotto terra
Il bunker era suddiviso in svariate aree e stanze. Date un’occhiata
all’interno cliccando e spostando il cursore all’interno di questo video
a 360 gradi oppure inclinando il telefono. I quartieri abitativi
sarebbero stati rumorosi, affollati e senza privacy. “Erano preparati a
molte cose, ma credo che il problema sarebbero stati gli esseri umani”,
dice Schelbert. Per gestire le potenziali difficoltà che avrebbero
potuto sorgere mettendo migliaia di persone stressate in uno spazio
ristretto sono state installate anche delle prigioni. Nel 2006 è stato
incrementato il numero di celle, che la polizia lucernese ha
recentemente iniziato a utilizzare come spazio di detenzione aggiuntivo.
Difetti disastrosi
L’”Operazione formica”, nel 1987, è stato l’unico test su larga scala
per valutare il funzionamento del bunker. Le due gallerie sono state
chiuse per una settimana, e una è stata allestita come parte abitativa.
“Per trasportare tutti i letti sono stati usati dei carretti, ma è stato
difficile farli passare attraverso gli stretti corridoi”, spiega
Schelbert. “La comunicazione era difficoltosa – non c’erano telefoni
portatili e sembra non ci fosse neanche nessun contatto radio. Per
comunicare si doveva correre avanti e indietro per i tunnel”. Alla fine
solo un quarto dei preparativi ha potuto essere completato. Le porte che
servivano a sigillare le gallerie sono spesse 1,5 metri e pesano 350'000
chilogrammi. Anche se ufficialmente questa parte del test ha funzionato,
Schelbert ha incontrato diverse persone presenti, secondo le quali le
porte non si chiudevano bene. “Sarebbe stato fatale”. Il test ha avuto
luogo poco dopo il disastro di Chernobyl e ci si è resi conto che il
bunker avrebbe dovuto essere pronto molto più velocemente.
Uno scenario più attuale
Oggi una persona e due assistenti si occupano della gestione
dell’edificio. Tour guidati sono organizzati diverse volte al mese. La
parte che avrebbe dovuto essere adibita a ospedale è stata riadattata
nell’ambito del ridimensionamento del 2006 ed è qui, e non nei tunnel,
che i civili alloggerebbero in caso di emergenza. È uno spazio
sufficientemente grande per 2'000 persone? “Ho ancora qualche dubbio”,
dice Schelbert. “Adesso è facile dire: ‘io non ci andrei’, perché so in
che condizioni si vivrebbe, ma se capitasse il peggio, magari cambierei
idea e verrei qui comunque. Spero di non dover mai prendere una
decisione simile”. Il tipo di disastro che renderebbe necessario
l’utilizzo del rifugio differisce da quelli preventivati quando è stato
costruito. “Gli scenari ipotizzati al momento sono catastrofi naturali
come frane o terremoti…. Se ci fosse un disastro nucleare non avrebbe
senso trasferirsi sottoterra per alcune settimane [l’effetto delle
radiazioni dura molto più a lungo]”. Traduzione dall'inglese, Zeno
Zoccatelli, swissinfo.ch
«Fortificazioni in Busa risorsa da sfruttare»
Da
trentinocorrierealpi.it del 20 novembre 2016
RIVA. «La nostra zona custodisce un immenso tesoro. E' una terra in cui
vicende che crediamo lontane sono, invece, ancora ben presenti, e
rappresentano un enorme patrimonio che rischia di essere condannato
all’oblio». Elvio Pederzolli, appassionato ricercatore storico e
presidente dell’associazione culturale Trentino Storia Territorio, ha
utilizzato la “location” della libreria Colibrì, al Blue Garden di Riva,
per lanciare un appello rivolto alle istituzioni “colpevoli” di non
tenere nella giusta attenzione il patrimonio storico (castelli e forti)
di cui è ricco il nostro territorio. Un ammonimento emerso durante la
presentazione del libro “Saxa Fracta. Storia e itinerari tra le
fortificazioni dell’Alto Garda”, testo scritto a quattro mani, assieme a
Renzo Saffi, per la Casa editrice Panorama di Trento. Pederzolli ha
recuperato vicende e luoghi importanti quanto sconosciuti ai più ma,
soprattutto, trasmette il suo grande amore per le escursioni e per la
storia della propria terra. «Se tutti iniziamo a pensare che ciò ha un
valore, anche economico, allora si creeranno le risorse per far sì che
questi posti non rimangano solo un cumulo di rovi – ha spiegato l’altra
sera Elvio Pederzolli - spesso le istituzioni faticano a cogliere tutto
ciò, e a trovare i fondi necessari per valorizzare la cultura così come
si dovrebbe. È importante tutelare questi reperti, per poterli
restituire alla ricerca ma, soprattutto, perché ci rammentano la nostra
storia, quella che fa parte di ognuno di noi». “Saxa Fracta” è un
viaggio trasversale nell’Alto Garda, attraverso secoli e territori, a
volte non così noti nella loro importanza nonostante si trovino a pochi
passi dalla consuetudine, a ritroso nel tempo fino alla Preistoria.
Luoghi stratificati in molteplici forme i cui echi non sono solo nei
libri, ma anche nelle leggende e nei racconti. Il testo accompagna il
lettore lungo 15 itinerari virtuali e tre millenni di vicende su una
terra di confine, qual’è l’Alto Garda trentino: dai castellieri
preistorici alle fortificazioni della seconda guerra mondiale, passando
attraverso castelli medioevali ricchi di fascino e leggende, trincee e
caverne della Grande Guerra. Da castel Sejano, sopra Bolognano, al
castello Vecchio di Riva, dalla chiesa di Santa Maria Maddalena, sulla
strada millenaria che collegava via terra l’Alto Garda al bresciano,
alle chiese di San Tomè e di San Rocco, a Pannone. Dall’eremo di San
Brizio, sopra Riva, al castello di Castellino, sul Monte Velo, luogo che
ha restituito antichissimi segni alfabetici e storie di fantasmi. Il
tutto incorniciato dal lago di Garda, l’antica “autostrada” costellata
di vedette fortificate medievali e precedenti. «Le nostre montagne sono
come un pettine – conclude Pederzolli – su cui è finito tutto, e ove
tutto ha lasciato traccia. E di questo abbiamo una grande
responsabilità».
Roma, il
20 novembre apertura speciale del bunker dei Savoia a Villa Ada
Da repubblica.it
del 19 novembre 2016
Un'apertura
speciale, domenica 20 novembre, per il bunker della famiglia Savoia a
Villa Ada. Il bunker, infatti, sarà visitabile dalle 10.00 alle 15.00,
con un biglietto d'ingresso a 5 € e gratis per i bambini sotto i 10
anni.
Non serve
prenotazione e non verranno effettuate visite guidate: il bunker potrà
essere visitato liberamente, alla scoperta della sua storia e delle
tante curiosità illustrate dai numerosi pannelli e dalle informazioni
contenute nel documento che sarà consegnato all'ingresso.
Dopo
settant'anni di abbandono, il bunker dei Savoia, realizzato con ogni
probabilità fra il 1940 e il 1942 nel cuore di Villa Ada, come rifugio
anti-aereo per i Reali durante la guerra, era stato riaperto al pubblico
lo scorso marzo grazie all'intervento di recupero realizzato
dall'associazione Roma Sotterranea, con la supervisione della
Sovrintendenza.
Per
raggiungere il bunker è consigliabile accedere a Villa Ada da Via
Panama, altezza Bar Panamino, e seguire le frecce.
Albania:
bunker antiatomico della dittatura diventa un museo
Da ansa.it del 19
novembre 2016
E'
stato aperto al pubblico il rifugio antiatomico sotterraneo
costruito dalla dittatura comunista in Albania, negli anni ottanta,
nel centro della capitale albanese.
La struttura si trova sotto il ministero dell'Interno su una
superficie di oltre mille metri quadrati, ed ospita 24 stanze ed una
sala riunioni. Il rifugio, la cui entrata e' rappresentata da un
bunker, e' un museo dedicato alla storia delle forze dell'ordine
albanesi, dal 1913.
Un grande spazio occupa l'esposizione di documenti e materiali
relativi ad uno dei periodi più bui della storia del paese, quella
della polizia segreta del comunismo. Il rifugio era nato per
proteggere il ministro dell'Interno ed il suo staff dirigenziale in
caso di attacchi chimici o atomici. Si tratta di una delle ultime
grandi opera del genere costruite dal comunismo, oltre ai 170 mila
bunker sparsi in tutto il paese a partire dagli anni '70. La
struttura non e' mai stata utilizzata.
I forti e
le mura, anche questo è turismo
Da
cittadellaspezia.com del 19 novembre 2016
La Spezia - Modello Genova ma anche Arte Sella, il percorso in cui
natura ed arte si fondono a Borgo Val Sugana. E Spezia, prendendo
esempio da due modelli diversi, prova a concretizzare l'idea di un
percorso che valorizzi le tante fortificazioni del golfo dei Poeti. Nei
giorni scorsi, infatti, il vice Sindaco Cristiano Ruggia ha firmato un
importante accordo per la valorizzazione delle “fortificazioni del Golfo
della Spezia” (clicca qui). A Genova, il numero due di palazzo civico,
ha incontrato Roberto Reggi, direttore Generale dell’Agenzia del
Demanio, dal direttore regionale della stessa agenzia Ernesto Alemanno e
da Elisabetta Piccioni, Segretario regionale MiBACT Liguria.
Un'operazione che definisce strategie e obiettivi comuni dei vari enti
per la valorizzazione di beni straordinari in collaborazione con
l’Agenzia del Demanio e la Soprintendenza per la fattiva collaborazione.
I forti e trenta ettari da valorizzare. Si tratta di un complesso di
immobili del patrimonio storico culturale e infrastrutturale di grande
pregio, che può diventare occasione di sviluppo dell’economia legata al
turismo, alla promozione della conoscenza del patrimonio culturale
assicurando le migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione
pubblica. Il Comune grazie a questo accordo acquisisce 4 importanti
strutture che facevano parte del sistema difensivo collinare: Forte
Parodi, Forte di Montalbano, ex Polveriera Caporacca, la ex Batteria
Valdilocchi e le mura di cinta di sicurezza dell’Arsenale Militare
ottocentesche con relative caponiere. L’acquisizione, a titolo gratuito,
da parte del Comune arriva dopo anni di trattativa e alla fine di un
iter burocratico che ha visto coinvolta anche la Soprintendenza in
quanto beni vincolati e un percorso nella II Commissione Consiliare e
del Consiglio Comunale che ha nei mesi scorsi deliberato l’accordo.
Ruggia: "Un passato da riscoprire". "Questa operazione si inserisce nel
piano di valorizzazione delle colline che va dalla variante al Puc che
impedisce nuove edificazioni, al rilancio dell'Alta via del golfo
attraverso il progetto l'Arco e le frecce, al progetto campagna urbana,
agli interventi diretti di mitigazione del rischio idrogeologico, alla
realizzazione del Parco delle Mura". L’attenzione a questi beni era
stata innescata alla fine degli anni settanta da una importante
pubblicazione "Fortificazioni nel golfo della Spezia" di Franco Marmori.
"Oggi, dichiara Ruggia, dopo diversi decenni si può dire che una parte
della storia spezzina concorrerà rigenerata al futuro della nostra
città. Queste costruzioni rivestono un importante rilievo urbanistico,
architettonico, culturale e paesaggistico e storico. Da capisaldi
militari potranno passare ad essere capisaldi civili, possono rivivere
con destinazioni d’uso da definire in funzione delle peculiarità dei
singoli immobili. Le funzioni potranno essere di carattere
ricettivo-turistico, storico–culturale inserendosi anche nel settore del
turismo escursionistico, ecc.. Finanziamento nazionale per l'ex batteria
Valdilocchi. Una doppia operazione dunque di recupero e di
valorizzazione con la realizzazione di ulteriore elemento di richiamo
per i turisti. Lo stato di abbandono e degrado di queste strutture
fortificate è avanzato e uno degli obbiettivi primari è quello di
interrompere questo degrado. Nell’accordo si prevede un investimento
minimo annuo per cinque anni di 500 mila euro per la manutenzione delle
fortificazioni, in vista di un affidamento in concessione o di una
valorizzazione diretta che possa recuperare la funzionalità dei beni.
"L'ex Batteria Valdilocchi rientra in un piano legato alle periferie per
il quale è stato accordato un finanziamento all'interno dei cosiddetti
fondi Por-Fesr" - conclude Ruggia.
Cosimo al lavoro, via le erbacce dalle fortezze
Da iltirreno.it
del 16 novembre 2016
PORTOFERRAIO. Sono iniziati ieri i lavori di sfalcio e di pulizia
straordinaria all’interno delle fortezze medicee di Portoferraio. Da
alcune ore il personale in forza alla partecipata Cosimo de’Medici ha
iniziato un’importante opera di manutenzione straordinaria e di decoro
all’interno del sito culturale, chiuso al pubblico dal 7 novembre scorso
(riaprirà solo per Pasqua). Un intervento di sfalcio di tale portata –
ha spiegato il presidente della Cosimo de’ Medici, Vittorio Campidoglio
– era stato compiuto nel 2011. Siamo intervenuti perché in alcuni punti
gli arbusti rischiavano di danneggiare in modo pesante le mura delle
fortezze». Da ieri gli operai della Cosimo sono partiti con i lavori di
pulizia, a partire dall’ingresso di Forte Falcone e proseguendo verso il
lazzeretto, per poi arrivare fino alla Batteria degli Spagnoli e a Santa
Fine. Una zona per la quale il Comune di Portoferraio ha recentemente
approvato un progetto destinato a recuperare le emergenze culturali e
scoprire il passaggio “segreto”, fino ad oggi non fruibile dai
visitatori. Un progetto su cui il Comune punta molto e per il quale
l’amministrazione guidata da Mario Ferrari conta di reperire dei
finanziamenti. Il decoro delle fortezze è una priorità per la giunta.
«Tutto secondo programma. Abbiamo dato incarico alla Cosimo de' Medici –
dice Roberto Marini, vicesindaco del Comune di Portoferraio – perché
eseguisse il secondo lotto dei lavori che riguardano la sistemazione
delle Fortezze medicee ecomprende lo sfalcio dell'erba infestante e
anche i pini che si trovano in prossimità delle mura e che, con le loro
radici mettono a serio rischio la consistenza dell'impianto fortificato.
Si tratta di un programma - continua ancora il vicesindaco - che ci
siamo dati come amministratori per quanto riguarda la conservazione e lo
stato in cui versano il patrimonio arboreo che ricade sotto la nostra
responsabilità. I pini marittimo sono stati piantati in diversi periodi
ma che non hanno nessuna attinenza con il primitivo progetto di erigere
delle mura attorno alla città di Cosimo; per cui andremo alla loro
estirpazione. Il nostro obiettivo - conclude Roberto Marini - è rendere
il patrimonio delle Fortezze sempre più accattivante e interessante per
tutti coloro che vorranno conoscerlo da vicino».
"L'occhio del visitatore", le fortezze si mettono in posa per i
fotoamatori
Da
cittadellaspezia.com del 16 novembre 2016
Sarzana - Sabato e domenica le fortezze di Sarzana e il MUdeF Museo
delle Fortezze saranno invasi dagli obiettivi del Circolo fotografico
sarzanese e da simpatizzanti fotoamatori, che vorranno partecipare alla
prima mostra fotografica del MUdeF
Nell’orario di apertura saranno presenti anche gruppi in costume d’epoca
per un vero tuffo nel passato. I fotografi, registrandosi presso la
biglietteria, potranno accedere ai siti gratuitamente, ogni autore potrà
presentare un massimo di tre opere, una del Museo e due delle Fortezze
che saranno poi esposte nelle sale della Fortezza Firmafede a partire
dal 18 dicembre fino al 6 gennaio 2017 per la prima Mostra Fotografica
del MUdeF Sarzana. Le opere scattate il 19 e 20 novembre dovranno essere
consegnate a mano, unitamente al modulo di partecipazione scaricabile
dal sito www.fortezzafirmafede.it , debitamente compilato e la quota di
partecipazione entro le ore 22,00 di martedì 13 dicembre 2016, presso la
sede del Circolo Fotografico Sarzanese, in via dei Molini n. 150/A al
Centro Sociale Arci Bradia o telefonando al n. 3200243907 (Tiziano) per
contatti. L’evento è realizzato in collaborazione con la Earth scrl, il
Circolo fotografico Sarzanese, il Polo Museale della Liguria e
l’Assessorato alla cultura del Comune di Sarzana. Informazioni: Mail:
info@circolofotograficosarzanese.it Tel. 3200243907
Fortificazioni austriache in provincia di Verona: il Forte Benedek
Da veronasera.it
del 16 novembre 2016
Deve il
suo primo nome a un generale ungherese, poi con il passaggio al regno
d'Italia prese il nome dal monte su cui si trova e diventò Forte Monte
Folaga. È conservato anche bene e si trova all'interno di un parco.
Peccato che attualmente è di proprieta privata e non è possibile
visitarlo. Il Forte Benedek deve il suo primo nome al generale ungherese
Ludwig von Benedek, poi con il passaggio sotto il regno d'Italia prese
il nome dal monte su cui si trova e diventò Forte Monte Folaga.
Costruito nel 1861, fa parte del gruppo dei forti di Pastrengo, tra di
loro molto simili, anche se il Forte Benedek sembra il più piccolo.
Comunque, come gli altri forti della zona, aveva ampi spazi per
permettere alle truppe di viverci per lunghi periodi. Conteneva ben 15
cannoni che potevano tenere sotto tiro un ampio territorio, da
Bussolengo a Sandrà fino a Lazise.
Ascom
dona alla città di Castelfranco il plastico delle Mura
Da trevisotoday.it
del 15 novembre 2016
CASTELFRANCO
VENETO Un omaggio alle mura attraverso la donazione alla città di un
plastico tridimensionale in scala che riproduce la cinta muraria.
L’iniziativa parte dall’Associazione Mura Castelfranco in sinergia con
Ascom, che attraverso il presidente Pierluigi Sartorello consegnerà il
modello al sindaco Stefano Marcon venerdì alle 17.30 nella sala
consiliare del Municipio, durante una cerimonia pubblica. Il plastico,
di dimensioni 102 per 102 cm di larghezza per 107 cm di altezza,
realizzato attraverso le modalità di stampa 3D, resterà visibile alla
città e ai turisti, nella sala consiliare. “Si tratta del primo plastico
rappresentante il centro storico e le sue mura, che oggi versano in
condizioni di estrema criticità-sottolinea Grazia Azzolin, presidente
Associazione Mura Castelfranco, promotrice dell’iniziativa. “Abbiamo già
inoltrato come Associazione una segnalazione al Governo
(bellezza@governo.it), invocando lo stanziamento di risorse per il
restauro, che non può più essere procrastinato”. L’Ascom, attraverso la
donazione del modello, intende spronare l’Amministrazione: “è uno
stimolo affinchè i lavori di restauro, più volte annunciati, finalmente
prendano il via -spiega Sartorello- il mondo del commercio ma anche
l’intera città trarrebbe grandi benefici dal restauro delle mura, grazie
all’attrattività del manufatto storico, che andrebbe reso fruibile
richiamando i turisti nel nostro territorio”. Il plastico, infatti,
rappresenta le mura con tutte le opportunità che potrebbero offrire ai
turisti, a partire dal ripristino di un camminamento. “L’evento offre
l’occasione per fare chiarezza sullo stato in cui versano oggi le
mura-aggiunge Azzolin-interverrà nell’occasione l’architetto Patrizia
Valle, che ha eseguito lo studio di fattibilità per il restauro delle
mura castellane”. Servono circa sei milioni di euro per il restauro
globale della cinta muraria. La campagna di raccolta fondi lanciata
attraverso l’Artbonus ha racimolato sinora 2mila euro. “Il plastico sarà
uno stimolo per continuare nella ricerca di fondi, attraverso i bandi
europei e regionali, o i fondi ministeriali- hiarisce Sartorello-ma allo
stesso tempo Castelfranco avrà finalmente, come ogni altra città, un
plastico che rappresenta il suo monumento più importante”. L’evento è
organizzato in sinergia con SanMarco Terreal, leader nella produzione di
materiali laterizi, che ha partecipato al restauro della Mura di
Cittadella.
Le
fortezze sul Danubio in mostra a Bruxelles
Da
serbianmonitor.com del 15 novembre 2016
La mostra “The Danube – Artist, Traveler and Witness”, che esibisce
fortificazioni situate sulle rive del Danubio in Serbia, sarà
inaugurata nella sede del Parlamento europeo a Bruxelles oggi: lo ha
annunciato l’impresa pubblica della Fortezza di Belgrado. La
Ministra serba per l’Integrazione europea, Jadranka Joksimovic,
aprirà la mostra, che sarà ospitata dal deputato Andor Deli. Le
fortificazioni, oggetto dell’esibizione, furono costruite dai
governanti serbi, ungheresi e turchi: le più monumentali furono
edificate sulle rive del Danubio e vengono considerate tra i
monumenti più significativi dell’architettura militare europea. La
mostra presenterà sette fortificazioni sulle rive del fiume che
attraversa l’Europa centroorientale, e rappresenta il secondo più
lungo del continente: Bac, Petrovaradin, Smederevo, Ram, Kladovo (Fetislam)
e le fortezze di Belgrado e Golubac.
Torri
civiche, restauro in vista
Da tusciaweb.eu
del 12 novembre 2016
Viterbo
– (g.f.) – Dopo le mura, le torri.Il recupero della cinta muraria, non tutta, ma le parti più
bisognose d’interventi, è iniziato datempo. Non ancora quello sulle torri civiche.
Le scosse di terremoto avvertite anche a Viterbo hanno generato
preoccupazione. Su qualche crepamagari finora non notata, adesso l’occhio ci cade. Qualche torre
ne ha. Una è stata notata al San Simeone, vicino porta della Verità. “Si
tratta di qualcosa di già esistente in precedenza – spiega l’assessore
ai Lavori pubblici Alvaro Ricci – comunque, questa e altre torri fanno
parte degli interventi di restauro già programmati. Con un milione e
trecentomila euro. Un milione è servito per le mura. I rimanenti
trecentomila euro sono già destinati alle torri. Non tutte, ma questa è
è fra quelle comprese, ci rientra”. Servirà un nuovo bando rispetto a
quello delle mura. “Abbiamo richiesto l’autorizzazione al ministero e i
soldi ci sono già. Non appena avremo il via libera partiremo con
l’affidamento dei lavori. È tutto programmato. Sarà una gara diversa
rispetto alla prima e che ha interessato la cinta muraria” Una
lettera aperta e una serie di domande. Quelle che il comitato Arsenale
di Verona ha voluto rivolgere al sindaco Flavio Tosi, alla sua giunta e
al consiglio comunale. "Siamo particolarmente preoccupati per la
situazione in cui versa attualmente il complesso dell’Arsenale - scrive
il comitato - Ormai da moltissimo tempo la gran parte degli edifici è
inutilizzabile ed il Comune ha posto in opera presidi passivi a tutela
della pubblica incolumità, senza peraltro, purtroppo, provvedere,
invece, agli interventi manutentivi necessari sia per la pubblica
incolumità che per la conservazione del bene". "Ampi spazi dei cortili
sono stati transennati e così esclusi dall’uso pubblico, senza che ne
fosse chiara la motivazione - continua il comitato Arsenale - Abbiamo
poi appreso che il motivo di tale intervento è la presenza di terreno
inquinato da minerali pesanti, probabile eredità delle lavorazioni
connesse alla funzione di arsenale militare, durata quasi un secolo e
mezzo. La situazione desta in noi ed in chiunque abbia frequentato
l’Arsenale, specie con i propri bambini, un forte sentimento di
preoccupazione. Riteniamo, dunque, di porre all’amministrazione alcune
domande per capire a quali rischi gli utenti dell’Arsenale siano stati
esposti nel passato ed a quali lo siano attualmente, ma per capire anche
come l’amministrazione comunale intenda risolvere il grave problema, con
l’obiettivo della salvaguardia della salute, ma anche della massima
fruibilità del bene". Piombo, cadmio e antimonio. Questi sarebbero i
metalli pesanti rilevati sul terreno dell'Arsenale transennato. Il
comitato Arsenale vuole conoscere "quando e come è stata appurata la
presenza di metalli pesanti e come mai l’amministrazione comunale non si
sia subito attivata direttamente e perché l’esame di un tema così
delicato è stato affidato ad Amia. In che data - continua il comitato -Amia ha affidato alla ditta Tesi l’incarico di indagini
esplorative ed analitiche sul terreno potenzialmente inquinato?". I
dubbi del comitato Arsenale non finisco e riguardano anche la
percentuale dei superamenti dei limiti di legge dei singoli parametri e
i pericoli connessi ai metalli individuati. Il comitato cittadini vuole
anche conoscere quale parte dell'Arsenale si può ritenere sicura e che
tipo di bonifica si intende attuare e quando farla partire. "E chi si
farà carico delle spese di bonifica? - chiede ancora il comitato -
L’amministrazione comunale o l’eventuale concessionario che venisse
individuato al termine della procedura di progetto di finanza che
l’amministrazione sembra voler perseguire? Contiamo in una pronta
risposta dell’amministrazione comunale, tale da consentire a tutti di
comprendere meglio il fenomeno e tale anche da tranquillizzare tutti in
tema di sicurezza della salute".
Demanio,
firmati accordi per cessione e valorizzazione Villa Hanbury e
fortificazioni Spezia
Da
ligurianotizie.it del 11 novembre 2016
GENOVA.
11 NOV. Il recupero delle “Fortificazioni del Golfo della Spezia” e il
trasferimento dialcuni spazi della storica “Villa Hanbury” a Ventimiglia sono
occasioni di sviluppo economico e culturale per il territorio ligure.
Questo, in breve, il messaggio del Direttore dell’Agenzia del Demanio,
Roberto Reggi, nel corso della conferenza per la firma di due importanti
accordi tra istituzioni per la valorizzazione e il recupero di un
patrimonio di grande pregio storico e artistico. Alla conferenza, che si
è tenuta a Genova presso la sala di rappresentanza del Palazzo Reale,
sono intervenuti anche Elisabetta Piccioni Segretario Regionale MiBACT
Liguria, PaoloComanducci Rettore dell’ Università degli Studi di Genova,
Vincenzo Tiné Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la
città metropolitana di Genova e le province di Imperia, La Spezia e
Savona e da Cristiano Ruggia Vice Sindaco della Spezia. Nei dettagli
l’Agenzia del Demanio, il Mibact, la Soprintendenza e il Comune di La
Spezia hanno firmato l’accordo di valorizzazione dell’intero sistema
difensivo spezzino, che comprende le e Batterie Caporacca Valdilocchi, i
Forti Parodi e Montalbano e la Cinta Muraria, grazie al federalismo
demaniale culturale. Il progetto di recupero prevede una destinazione
legata al mondo del “turismo escursionistico” che promuova il patrimonio
culturale e garantisca un miglior utilizzo del bene, anche da parte
delle persone diversamente abili. Successivamente il sistema dei forti
diventerà di proprietà dell’amministrazione comunale e nella piena
disponibilità della comunità locale. “Il federalismo demaniale – ha
dichiarato Roberto Reggi – è una grande opportunità per la crescita
economica e sociale di tutto il territorio. A livello nazionale dal 2013
ad oggi abbiamo trasferito 4000 beni agli Enti territoriali per un
valore di 1,5 miliardi di euro”. Altro accordo è stato per una porzione
di Villa Hanbury a Ventimiglia che è stata consegnata dall’Agenzia del
Demanio all’Università di Genova che la utilizzerà per realizzare uno
spazio espositivo e una sala per incontri didattici. “Grazie a questa
consegna”- ha aggiunto Reggi – l’università avrà a disposizione nuovi
spazi per didattica e cultura contribuendo a valorizzare il patrimonio
immobiliare pubblico”. La storica Villa parteciperà inoltre al progetto
europeo ‘Natura e Cultura per tutti che ha l’obiettivo di sperimentare
la costruzione di una rete locale d’offerta di un prodotto turistico
sostenibile applicato al tema integrato della visita a giardini
monumentali e a percorsi escursionistici in siti di elevato pregio
naturalistico. Con questo passaggio, dopo la ripresa in consegna dalla
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città
metropolitana di Genova e le province di Imperia, La Spezia e Savona, si
concretizzerà una importante operazione di ottimizzazione degli spazi e
di risparmio di spesa pubblica.”
Le
Fortificazioni del Golfo della Spezia restituite alla comunità
Da byliguria.it
del 11 novembre 2016
Le
Fortificazioni del Golfo della Spezia vengono restituite
alla comunità locale. Con la firma siglata oggi a
Palazzo Reale a Genova, l’Agenzia del Demanio, il
segretariato regionale del Mibact e il Comune della
Spezia mettono nero su bianco l’intesa raggiunta per la
valorizzazione del complesso di beni, intesa che si
inserisce all’interno del federalismo culturale ex art.
5 comma 5. Un complesso monumentale rilevante, come ha
sottolineato Elisabetta Piccioni, segretario regionale
del Mibact Liguria, «per ampiezza e importanza», dato
che si tratta di quattro fortificazioni (Batteria
Caporacca, Forte Parodi, Forte Montalbano e Batteria
Valdilocchi) e della cinta muraria. Il Comune della
Spezia è pronto a mettere a bilancio 500 mila euro annui
nel prossimo quinquennio. Il programma di valorizzazione
prevede l’utilizzo del compendio con destinazione
“turismo escursionistico” per rafforzare l’intera rete
escursionistica ligure anche attivando le misure
necessarie a garantire la sicurezza ai frequentatori e
la cartellonistica informativa e divulgativa. <Questi
forti sono rilevanti per l’arte, la storia, il
paesaggio, l’urbanistica – commenta Cristiano Ruggia,
vicesindaco della Spezia – Da capisaldi militari devono
diventare capisaldi civili, collegati anche a tutta
l’area del golfo dei Poeti>. L’intenzione è quella di
restituire alla comunità locale spazi che possono
diventare occasione di sviluppo dell’economia legata al
turismo, alla promozione della conoscenza del patrimonio
culturale e assicurare le migliori condizioni di
utilizzazione e fruizione pubblica dell’intero
compendio, anche da parte delle persone diversamente
abili. «Voglio sottolineare l’importanza di questa
operazione – afferma Roberto Reggi, direttore generale
Agenzia del Demanio – che sancisce l’impegno di tutte le
parti nel valorizzare un patrimonio pubblico,
indipendentemente dalla sua proprietà. Oggi firmiamo
l’accordo e diamo avvio al passaggio concreto del
complesso monumentale dallo Stato al Comune della
Spezia, un passaggio che si completerà nei prossimi sei
mesi». Dal 2010 a oggi il federalismo demaniale ha
trasferito ai Comuni italiani circa 4 mila beni statali,
per un valore di 1 miliardo e mezzo di euro. In Liguria
i numeri parlano di 276 beni negli ultimi sei anni, per
un valore di 78 milioni di euro.
Sorrento
| Giornata di studi sulle incursioni barbaresche e la difesa costiera
Del 10 novembre
2016
Incursioni
barbaresche e difesa costiera tra i secoli XVI-XVII”: questo il tema
della giornata di studi organizzata dall’Istituto Italiano dei Castelli,
che vedrà la presenza e l’intervento di personalità di rilievo e che si
terrà sabato al Comune di Sorrento . Dopo i saluti, introdurrà l’evento
l’Arch. Luigi Maglio, presidente dell’Istituto e successivamente
interverrà l’Arch. Nicolina Ricciardelli del MiBACT su “Il sistema
fortificato della città di Sorrento: storia e restauro”; prenderà poi la
parola il prof. Giovanni Muto dell’Università di Napoli Federico II sul
tema “Esercito terrestre e armata di mare: la difficile difesa del golfo
napoletano”. L’Archeoclub di Massa Lubrense annovera tra i relatori
l’Avv. Antonino Cuomo, su “1558: le incursioni di Sorrento e Massa
Lubrense”; Prof. Arch. Valentina Russo dell’Università Federico II sul
tema “Architetture in difesa: magisteri costruttivi e questioni di
conservazione delle torri costiere tra Sorrento e Positano”; Dott.
Stefano Ruocco, presidente dell’Archeoclub di Massa, il quale presenterà
“Il castello di Massa Lubrense”. Interverranno anche: l’Arch. Lorenzo
Santoro del MiBACT sulle caratteristiche architettoniche delle torri
costiere vicereali; il Dott. Riccardo Iaccarino sulla difesa delegata;
l’Arch. Rosario Fiorentino e l’Arch. Daniele De Stefano in merito ad
interventi eseguiti per il restauro delle antiche mura di Sorrento; la
prof. Arch. Marina Fumo e il prof. Arch. Domenico Tirendi
dell’Università Federico II rispettivamente su “Torri non sempre ancora
visibili: dalla rete segnaletica territoriale della penisola sorrentina
alla ricerca delle torri” e sulla “Valorizzazione delle fortificazioni
ed esperimenti di scelta per la fruizione culturale”. Moderatore sarà il
giornalista de La Repubblica Carlo Franco. Ingresso libero fino ad
esaurimento posti. Luisa Gargiulo
I ricordi
della guerra lungo il Delta del Po
Da lastampa.it del
10 novembre 2016
Il
Delta del Po è una zona dai paesaggi malinconicamente straordinari, ma
nessuno si aspetterebbe di trovare qui, dove il grande fiume disegna una
ragnatela di canali prima di perdersi nell’Adriatico, delle
fortificazioni della Regia Marina italiana risalenti al primo conflitto
mondiale. Eppure fra Scardovari, Porto Levante e l’isolotto della
Batteria sono ancora ben visibili, anche se non si sa per quanto tempo
ancora, i resti in cemento armato su cui cent’anni fa poggiavano i
cannoni della nostra artiglieria puntati contro il mare aperto, a
scongiurare le incursioni austriache. Se la linea di difesa è venuta
alla luce lo si deve all’impegno di Luciano Chiereghin, ex tecnico Enel
in pensione con una passione per la storia locale, che da almeno 15 anni
si dedica all’esplorazione di questi reperti e oggi è il principale
ispiratore della mostra «Giovani terre contese, tre secoli di
fortificazioni nel Delta», in programma al Museo della bonifica Ca’
Vendramin di Taglio di Po dal 10 dicembre. «La mia ricerca è iniziata
nel 2001, durante una passeggiata lungo la spiaggia del delta, detta del
Bastimento, dove ero quasi inciampato in una piattaforma di cemento con
sopra una corona di bulloni - racconta Chiereghin -. Sapendo che in quei
paraggi era stata eretta una batteria costiera della Regia Marina
durante la Grande guerra, batteria che non era mai stata ritrovata, mi
resi conto che era necessario intensificare le ricerche». E così, grazie
anche al lavorio delle onde che a ogni mareggiata liberavano i resti
dalla sabbia, sono affiorati prima una piattaforma dov’era installato un
cannone di medio calibro, poi una seconda e infine un fortino in
muratura, tutto nel raggio di 22 metri. Da quando le fortificazioni
italiane, secondo Chiereghin le uniche di quell’epoca e con quelle
caratteristiche rimaste sull’Adriatico, sono riemerse dalle nebbie della
storia, sono cominciate anche le visite guidate, rigorosamente in barca,
perché sono raggiungibili solo dal mare: «Queste scoperte sono di
inestimabile valore anche per il turismo ambientale», dice Isabella
Finotti, dell’Associazione italiana guide ambientali escursionistiche.
Il ricercatore spiega che i baluardi in cemento per l’artiglieria furono
progettati nel 1915, quando l’Italia entrò in guerra contro l’Austria
dopo essersi schierata contro i suoi vecchi alleati della Triplice
alleanza, e che vennero costruiti fra il 1916 e il 1917: «L’Adriatico
era in mano agli austriaci, ma dal momento che abbiamo smesso di esserne
alleati c’è stata la necessità di proteggere le nostre coste proprio da
loro, realizzando manufatti che dovevano impedire eventuali sbarchi.
Fortificazioni furono costruite fra Chioggia e Goro, ma quelle del delta
sono uniche e purtroppo le stiamo perdendo, perché il mare sta erodendo
le basi e le sta inghiottendo. Se non si interviene, fra qualche anno
non si vedrà più niente, ma in realtà potrebbe non essere troppo tardi
per salvare questi reperti». Per proteggerle dall’assalto dei marosi
basterebbe piazzare delle putrelle metalliche in prossimità dei blocchi,
con una spesa non eccessiva che permetterebbe di salvaguardarle.
La mostra
In attesa che qualcuno si
muova, documenti, foto e carte geografiche saranno esposte a Ca’
Vendramin per la prima mostra italiana incentrata, oltre che sui resti
della I Guerra Mondiale, anche su reperti ben più antichi: «Andando a
ritroso, mi sono interessato delle fortificazioni austriache e
napoleoniche, individuando i siti nelle vecchie cartografie - dice il
ricercatore -. Di alcuni rimangono le tracce ancora oggi, di altri solo
il toponimo ’batteria’. Ho rintracciato una linea del telegrafo ottico
“chappe” installata da Ancona a Venezia per volere di Napoleone». Sempre
nello stesso territorio, tracce ancora più remote come i resti dei forti
Donzella e Bocchetta narrano guerre e scaramucce fra Repubblica di
Venezia e Stato Pontificio su quella che, a cavallo fra XVII e XVIII
secolo, era la linea di confine fra i due stati. «Nell’immaginario
collettivo, sembra non si sia mai combattuto da queste parti, questa
esposizione (promossa da Archivio di Stato, fondazione Ca’ Vendramin,
fondazione Carlo Bocchi e Parco regionale del Delta del Po, ndr)
dimostra il contrario».
Rocche e fortificazioni di Verona e provincia: Forte Nugent a Pastrengo
Da veronasera.it
del 9 novembre 2016
Costruito
dagli austriaci tra il 1859 al 1861 e inizialmente intitolato ad un loro
generale, successivamente (1866) cambiò nome e divenne Forte Poggio Pol,
dal nome della località di Pastrengo su cui sorge. Fa parte del gruppo
di fortificazioni volute dal maresciallo Radetzky per difendere la zona
ovest di Verona, da cui anni prima era partito un attacco proveniente da
Peschiera.
Rimase per cinque anni in
mano agli austriaci, poi con l'annessione di Verona al Regno d'Italia
divenne una fortificazione italiana ben equipaggiata, con 16 cannoni con
cui si poteva tenere sotto tiro l'Adige e le altre vie di comunicazione
della zona.
Fra i forti ottocenteschi
del veronese è probabilmente il più elegante, con una pianta pentagonale
e una cura per i particolari pregevole per una struttura militare. Tanti
i locali interni, non solo per alloggiare i soldati, ma anche per
immagazzinare le provviste e permettere così a chi viveva nel forte di
essere autonomo per lunghi periodi. Queste ultime caratteristiche hanno
favorito ai giorni nostri il recupero del manufatto, rendendolo un
ristorante.
Mura crollate, un bando per ripararle
Da quinewspistoia.it del 7
novembre 2016
PISTOIA — Ripristinare tutta la terza cinta muraria, compreso il tratto
di muro di viale Arcadia crollato nel 2011 e realizzare un sistema di
percorsi informativi sullo sviluppo storico della città. Questo
l'obiettivo con il quale il Comune partecipa al bando della Regione
"Città murate della Toscana” per intercettare fondi a sostegno del
proprio progetto. Il progetto. Predisposto dalla Soprintendenza
archeologia belle arti e paesaggio per le città di Firenze, Pistoia e
Prato, in collaborazione con gli uffici del Comune di Pistoia, prevede
il restauro e il consolidamento della parte di mura adiacente al crollo
avvenuto nel 2011, in modo da evitare possibili ulteriori dissesti e al
tempo stesso impostare un corretto metodo operativo per un successivo e
più ampio progetto di restauro del tratto murario lungo viale Arcadia, e
poi dell’intero perimetro della città murata. E’ stata prevista anche la
riqualificazione del tratto urbano prospiciente le mura, con la
realizzazione di un sistema di percorsi informativi che diano vita ad un
racconto della città, della sua storia, del suo progressivo prender
forma attraverso la successione di cinta murarie, della edificazione
delle mura e delle vicende che in quei luoghi hanno segnato la vita
della città, dagli assedi medievali alle devastazioni dell’ultimo
conflitto mondiale. Il progetto, per una spesa complessiva di 250mila
euro, prevede anche la realizzazione di un tratto di percorso attrezzato
per persone diversamente abili e pannelli informativi con sistemi di
comunicazione per persone ipovedenti o non vedenti. Sarà studiato anche
un sistema di illuminazione che valorizzi le mura.
A
Sorrento un incontro sulle fortificazioni a difesa della città
Da
sorrentopress.it del 6 novembre 2016
SORRENTO.
l’Istituto dei Castelli in collaborazione con Il Comune, con la
Fondazione Sorrento, e l’Ordine degli architetti di Napoli e provincia
promuove una giornata di studi sulla città di Sorrento e la difesa
costiera della penisola sorrentina tra i secoli XVI –XVII. Scopo
dell’iniziativa è focalizzare l’attenzione su un tema che ha
contraddistinto in modo intenso la visione del mare nei secoli scorsi da
parte di molti, ovvero il fenomeno della pirateria che imperversò per
lunghissimo periodo lungo le coste del Mediterraneo, e gli strumenti
adottati per fronteggiarlo. Le incursioni di Sorrento e Massa Lubrense
del 1558 segnarono profondamente la penisola sorrentina e tra l’altro
diedero impulso alla costruzione di una rete di torri difensive e
fortificazioni, direttamente sulla costa ma anche all’interno, che
ancora oggi, con la loro presenza, caratterizzano il paesaggio. La
giornata di studi, che si terrà sabato 12 novembre presso la sala
consiliare del Comune di Sorrento, a partire dalla ore 10:30, vedrà la
partecipazione di rappresentanti delle istituzioni, docenti
dell’Università Federico II di Napoli, di rappresentanti dell’Istituto
Italiano dei Castelli, di funzionari delle Soprintendenze competenti,
nonché delle sssociazioni locali. Interverranno, tra gli altri, il
sindaco di Sorrento, Giuseppe Cuomo, l’assessore alla Cultura della
Regione Campania, Corrado Matera, l’assessore alla Cultura del Comune di
Sorrento, Maria Teresa De Angelis, il consigliere della Città
Metropolitana di Napoli, GiuseppeTito, l’amministratore delegato della
Fondazione Sorrento, Gaetano Milano, il presidente dell’Ordine degli
Architetti Arch. Pio Crispino, il presidente regionale dell’Istituto
Italiano dei Castelli, Luigi Maglio.
Ci saranno poi gli interventi dei relatori: Giovanni Muto (Unina),
Lorenzo Santoro (MiBACT), Riccardo Iaccarino (archeologo), Valentina
Russo (Unina), Marina Fumo (Unina), Massimo Tirendi (Unina), Daniele De
Stefano (Comune di Sorrento), Nicolina Ricciardelli (MiBACT), Rosario
Fiorentino, Stefano Ruocco (Archeoclub di Massa Lubrense), Antonino
Cuomo. Agli architetti iscritti all’albo provinciale saranno
riconosciuti crediti formativi.
Forte
Leone Girotto ne parla all’Ana Lamon
Da corrierealpi.it
del 4 novembre 2016
LAMON. Sarà la storia di forte Leone l’argomento della serata culturale
organizzata per oggi a Lamon dalle penne nere del gruppo Ana. Lo storico
Luca Girotto sarà infatti presente nella sede degli alpini guidati da
Italo Poletti per presentare il libro “Un Leone tra Brenta e Cismon. La
triste storia di Cima Campo 1906-1917”. Si tratta della minuziosa
ricerca effettuata dall’esperto di vicende militari per ricostruire la
storia della fortificazione arsedese. L’appuntamento è alle 20,45 nella
sede degli alpini.
Un
rifugio antiaereo sotto la Prefettura di Padova
Da
mattinopadova.it del 4 novembre 2016
PADOVA. Un mondo sotterraneo che si snoda tra cunicoli, gallerie e spazi
angusti. Una realtà cheseppur buia, umida, arrugginita e impolverata, ti catapulta in
quell’indescrivibile fascino che solo iluoghi che sanno di storia e di passato riescono ad evocare.
Molti probabilmente non lo sapranno, ma sotto a Palazzo Santo Stefano,
maestosa sede di Provincia e Prefettura, in piazza Antenore, si articola
una delle più grandi opere di ingegneria civile del passato. Una Padova
sotterranea con rifugi di guerra dove uomini, donne, bambini trovavano
salvezza durante le incursioni aeree della seconda guerra mondiale. Un
patrimonio storico per la nostra città che ora, grazie al finanziamento
di 300 mila euro stanziato dalla Provincia, potrà diventare un percorsomuseale pubblico fruibile da tutti i cittadini. Si chiamerà
“Museo della memoria-MdM. I rifugi antigas e antiaereo della Seconda
Guerra Mondiale”. Il progetto, già approvato in via preliminare, e che a
breve verrà approvato anche in via definitiva, comprende una serie di
lavori che permetteranno per settembre 2017 di godere della visita di
questi camminamenti sotterranei. In particolare a diversi metri di
profondità, protetti da porte blindate e muri di cemento armato, si
trovano il rifugio antigas e il rifugio antiaereo. Dall’entrata
principale di palazzo Santo Stefano basta tenere la destra, infilarsi in
un cortile interno e farsi largo tra una serie di porte che si trovano
proprio al piano terra. Poi si comincia a scendere. Diventa sempre più
buio finché ad un certo punto non ci si trova di fronte alla prima porta
a tenuta stagna. Sopra una targhetta “Impianto antigas universale per 70
persone”. Si tratta del rifugio antiaereo, ricavato nel 1934 nei
sotterranei del palazzo provinciale. Un bunker protetto da muri di
calcestruzzo armato dallo spessore di oltre un metro e da un solaio di
un metro e settantacinque. Dal primo locale, sempre tramite porta
blindata, si accede a un secondo dove sono ancora ben visibili i sistemi
di ventilazione: la batteria di filtri, le relative tubature e
l’impianto di pompaggio dell’aria realizzato con un meccanismo azionato
da una bicicletta. Collegato al rifugio antigas c’è poi un rifugio
tubolare costruito successivamente, nel 1942, sotto piazza Antenore.
Vicino alla tomba ci sarebbe un punto sul terreno cementato che un tempo
era un accesso al bunker. L’obbiettivo della Provincia è quello di
riaprire questi accessi che sono tre e di ripristinare i percorsi
sotterranei. Il terzo ingresso, dopo quello di piazza Antenore e del
palazzo della Provincia si trova all’interno della galleria del liceo
Tito Livio. I lavori prevedono di rifare l’entrata della scuola, creando
di fianco quella che sarà una via d’accesso al museo. I visitatori in
questo modo, accompagnati da guide, ripercorreranno la storia della
Padova sotterranea, arricchendosi anche grazie a percorsi multimediali e
racconti di memorie e testimonianze storiche. Un progetto ambizioso che
verrà collegato anche alla visita dell’area verde del giardino del
“Palazzo del Prefetto” e delle sale più prestigiose del palazzo della
Provincia.
Il Muos di Niscemi è ufficialmente operativo "Le
antenne del MUOS trasmettono regolarmente. Le controversie con i
residenti che hanno bloccato l'attivazione delle tre stazioni di terra a
Niscemi, in Sicilia, sono state risolte"
Da
ilgiornale.it del 3 novembre 2016
Di
Franco Iacch - Dopo sette anni di lavori ed una spesa complessiva
di 7 miliardi di dollari per i quattro terminali terrestri, la MarinaMilitare degli Stati Uniti ha attivato anche la stazione MUOS di
Niscemi, ritenuta in una posizione chiave per le comunicazioni nel
Mediterraneo e nel Medio Oriente. Costruita nella riserva della
Sughereta, l’impianto sorge nella stessa zona sono attive le 46 antenne
del Naval RadioTransmitter realizzate nel 1991.
Ad annunciare l’attivazione delle tre stazioni terra dell’asset MUOS in
Sicilia, l’ammiraglio Christian Becker, responsabile del Comando e
Controllo delle Comunicazioni e dell'Intelligence del Pentagono, durante
una conferenza del Center for Strategic and International Systems sul
Ruolo dello Spazio nelle operazioni marittime. Ad una precisa domanda,
Becker ha risposto che “le controversie con i residenti che hanno
bloccato l'attivazione delle tre stazione di terra a Niscemi, in
Sicilia, sono state risolte. Le antenne del Mobile User Objective System
sono operative e trasmettono regolarmente”.
La Costellazione Muos
Il Mobile User Objective System è stato progettato per fornire ai
militari maggiori capacità di comunicazione rispetto ai sistemi
esistenti. I quattro satelliti (più uno di riserva) MUOS in orbita
geostazionaria, sono dotati di Code DivisionMultiple Access a banda larga (WCDMA), con una velocità di
trasmissione 16 volte maggiore rispetto l'attuale sistema satellitare
Ultra High Frequency (UHF). Ogni satellite MUOS è pienamente compatibile
anche con le precedenti frequenze utilizzate così da assicurare una
transizione fluida nella tecnologia WCDMA, mandando in pensione il
sistema UFO (UHF Follow-On). Il Mobile User Objective System si basa su
quattro stazioni di terra associate ad un satellite. stazione ospita tre
antenne paraboliche alte come un palazzo di dieci piani e larghe venti
metri.
Le stazioni MUOS nel globo
La prima stazione sorge presso l'Australian Defence Satellite
Communications Station, a Kojarena, circa 30 km a est diGeraldto. La seconda nella SATCOMFacility, Northwest, Chesapeake nel Sud-Est della Virginia, la
terza nelle Hawaii. Il quarto sito si trova a Niscemi, in Sicilia, a
circa 60 km dalla Naval Air Station di Sigonella.
Come funziona il MUOS
Il MUOS è stato concepito come un sistema onnipresente. Ogni satellite
si interfaccia costantemente con due stazioni di terra. La seconda
opzione riduce un’improvvisa interruzione di trasmissione causata dalla
possibile perdita del segnale di un satellite con una delle due
stazioni. E’ come se soldati e piattaforme sul campo disponessero sempre
ed in qualsiasi parte del mondo di una connessione stabile ad alta
velocità, senza la necessità fisica di una cella, così come avviene per
i cellulari. Tutte le piattaforme sono quindi collegate alla stessa rete
geostazionaria. In questo modo, secondo le specifiche del Mobile User
Objective System, si dovrebbero prevenire errori e decisioni sbagliate
causate dalla mancanza di informazioni in tempo reale provenienti dal
campo di battaglia. Poche ore fa, anche il MUOS-5 è stato dichiarato
operativo. L’unità di riserva è in orbita geostazionaria a 22.000 miglia
sopra le Hawaii. Il MUOS-5 è stato lanciato il 24 giugno scorso. Una
successiva anomalia nel satellite ha richiesto una manovra di
trasferimento in orbita intermedia per consentire alla squadra MUOS di
valutare la situazione e determinare le soluzioni da adottare. L’intera
flotta sottomarina statunitense, dopo i test con i boomer, è
interfacciata con la costellazione MUOS.
La decisione del Tribunale del riesame
Lo scorso agosto, la quinta sezione del Tribunale del riesame di Catania
ha dissequestrato l'impianto del Mobile UserObjective System disponendo “la revoca del decreto di sequestro
emesso il 31 marzo del 2015 dal Gip di Caltagirone e la restituzione
dell’impianto al ministero della Difesa”. I giudici hanno accolto la
tesi dell'avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Ministero della
Difesa. Quest’ultimo aveva presentato ricorso avverso la decisione del
Tribunale diCaltagirone, emessa il 6 giugno scorso, nel mantenere i sigilli
alla struttura militare. Il MUOS, per il Tribunale del riesame, non è
più abusivo.
In mostra
le fortezze militari degli Antonelli
Da
ilcittadinoonline.it del 31 ottobre 2016
SIENA. Oltre cento persone hanno
affollato il Bastione della Madonna
della fortezza medicea diSiena, sabato 29 ottobre, per
l’inaugurazione della mostra “Le
fortezze militari degli Antonelli:
XVI-XVII secolo”, promossa
dall’Ordine degli Architetti PPC
senese, in collaborazione con la
Fondazione Amigos del Castillo de
Montjuich di Barcellona, il
dipartimento di Architettura
dell’Università di Firenze e il
Comune di Siena. L’esposizione, ad
ingresso gratuito, resterà aperta
per tutto il mese di novembre (dal
lunedì al venerdì dalle ore 10 alle
ore 16) e permetterà ai visitatori
non solo di conoscere l’opera degli
ingegneri militari Antonelli ma
anche di scoprire o riscoprire, dopo
tanti anni di chiusura, il Bastione
della Madonna che grazie ad alcuni
interventi di manutenzione da parte
dell’Ordine degli Architetti è
tornato fruibile. Grazie ad una
serie di pannelli espositivi, il
visitatore potrà conoscere l’opera
della prestigiosa dinastia di
ingegneri militari degliAntonelli, originari di
Gatteo, che al soldo dei re di
Spagna disseminarono di bellissime
costruzioni militari il centro e il
sud America, ma anche la Spagna, il
Marocco e le frontiere orientali
dell’impero spagnolo, portandosi
dietro la traduzione costruttiva
delle fortezze medicee.
L’inaugurazione della mostra è stata
preceduta, sabato mattina, da un
interessante convegno
internazionale. “Gli architetti
italiani della famiglia Antonelli –
spiega Milagros Flores Romàn,
presidente IcoFort Icomos –
lavorarono al servizio dei re di
Spagna nel sedicesimo e
diciassettesimo secolo costruendo
varie fortezze in America latina.
Oggi possiamo trovare le loro opere
in Porto Rico, Repubblica
dominicana, Cuba, Florida (Usa),
Panama, Venezuela fino ad arrivare
al Brasile”. “Queste fortezze degli
Antonelli, disseminate in molti
Paesi, nonostante siano ben visibili
– sottolinea Carmen Fusté Bigorra,
presidentessa della Asociacìon
Amigos del Castillode Montjuich – spesso non
sono così conosciute come
dovrebbero. La nostra speranza è che
vengano maggiormente apprezzate non
solo dagli esperti del settore ma da
tutta la popolazione in generale”.
Il professor Michele Paradiso
dell’Università di Firenze, durante
il suo intervento al convegno ha
sottolineato come: “questa sia
l’occasione per costruire una rete
di sinergie prima di tutto italiana
e poi internazionale perché si ponga
sempre più attenzione a questo
particolare aspetto
dell’architettura militare. E’ vero
– prosegue Paradiso – che queste
fortezze contenevano soldati
impegnati nella distruzione delle
etnie precolombiane in America
latina, ma è altrettanto vero che
poi c’è stato il momento della,
seppur discutibile, pacificazione e
quindi della contaminazione tra la
cultura delle persone mandate là per
gestire militarmente il territorio e
la cultura locale. Questo è
sicuramente un valore importante che
deve provare a trasformare questi
edifici, che inizialmente possono
dare un messaggio negativo di
guerra, facendoli diventare, in un
mondo che ne ha sempre più bisogno,
veicoli di messaggi di pace per la
bellezza che comunicano attraverso
la loro architettura”. Durante il
seminario inaugurale di sabato, si è
parlato anche delle contaminazioni
che il capostipite degli Antonelli,
Juan Bautista, ebbe intorno alla
metà del XVI secolo con Siena,
essendo uno degli ingegneri militari
impegnati, per conto di Cosimo I,
nella guerra tra Firenze e Siena:
senza questo contatto con Siena,
occasione in cui approfondì le sue
conoscenze in ambito di strutture
militari, probabilmente non si
sarebbe sviluppata questa importante
dinastia di ingegneri militari, come
ha spiegato uno dei relatori del
seminario, Iglis Bellavista,
amministratore di Gatteo, paese
originario degli Antonelli. “Questo
evento – sottolinea Elisabetta
Corsi, presidentessa dell’Ordine
degli Architetti PPC di Siena – è di
portata internazionale perché
presuppone un gemellaggio con
l’Università di Firenze e con
esponenti stranieri di istituzioni
legate all’Unesco, impegnate nella
tutela e valorizzazione dei
monumenti di architettura civile e
militare. La fortezza di Siena vede
oggi un inizio della sua
rivalorizzazione come monumento
storico e come luogo culturale: non
solo quindi un luogo di svago o di
eventi ludici, ma un posto in cui
portare approfondimenti su temi che
ci stanno a cuore per sensibilizzare
la pubblica amministrazione e i
cittadini”. Sabato mattina, sono
intervenuti il sindaco di Siena
Bruno Valentini, il vicesindaco
Fulvio Mancuso, l’assessore ai
lavori pubblici Paolo Mazzini e
l’assessore alla cultura FrancescaVannozzi. “Era mia
intenzione, insieme alla giunta,
valorizzare questo straordinario
luogo che è la fortezza medicea.
Quindi – evidenzia Vannozzi – quando
gli architetti, sei mesi fa, mi
hanno proposto questa mostra mi è
sembrata un’opportunità preziosa che
però deve rappresentare l’inizio di
un percorso. Vorrei davvero
stringere con l’Ordine una
collaborazione perché la fortezza
medicea diventi un luogo di
riflessione, di divulgazione e di
formazione su temi e progetti
relativi all’urbanistica e
all’architettura”. L’Ordine degli
Architetti PPC di Siena è
particolarmente soddisfatto
dell’iniziativa anche perché è
riuscito a coinvolgere un gruppo di
giovani del dipartimento di
Architettura. “Abbiamo lasciato
campo libero – spiega la consigliera
dell’Ordine, Marina Gennari – a
giovani neolaureati e laureandi
senesi della facoltà di Architettura
di Firenze che hanno realizzato il
progetto di allestimento e grafico
della mostra, arricchendo
l’esposizione con approfondimenti
video e grafici sulla fortezza di
Siena, ospitati in due strutture
video in legno separate.” Non
mancheranno nelle prossime settimane
iniziative collegate
all’esposizione. “Questo evento è
fondamentale per la città – afferma
Nicola Valente, consigliere
dell’Ordine – perché apre degli
spazi fino ad oggi non visitabili.
Per tutto il mese di novembre questo
Bastione sarà aperto achiunque voglia visitarlo.
Inoltre, abbiamo due nuovi
appuntamenti, il 18 e il 25, in cui
parleremo di recupero e di
riconversione di spazi urbani. Il
compito di noi architetti è infatti
quello di aprire un dibattito in
città con l’obiettivo che qualcuno,
a cominciare dagli amministratori,
colga l’opportunità offerta da
questi eventi di riflessione e
approfondimento”. Sul canaleYouTubedell’Ordine degli Architetti
di Siena è possibile vedere una
sintesi degli interventi dei
relatori al convegno del 29 ottobre,
oltre che le immagini della mostra.
Sarzana
seicentesca, una città fortificata dal sentimento religioso
Da
cittadellaspezia.com del 31 ottobre 2016
Sarzana - Il Centro Culturale "Don
Vincenzo Musso" di S. Lazzaro di
Sarzana ospita venerdì 4novembre, alle 21 presso la
chiesa di S. Lazzaro, Sarzana,
il sesto incontro dell'AnnoFiasellesco dal titolo "Sarzana
ai primi del '600: amministrazione
politico-militare e vita interna".
Uno sguardo d'insieme sugli aspetti
più curiosi dell'amministrazione
interna, dei confini, delle
fortificazioni, delle milizie e del
sentimento religioso a Sarzana nei
primi del seicento.
55 anni
dopo: come la “Tsar Bomba” sovietica ha salvato il mondo dalla guerra
Da sputniknews.com
del 30 ottobre 2016
La
necessità della SuperbombaPerché era stato necessario
creare e testare una bomba dalla
potenza distruttiva senza precedenti
diventa comprensibile tenendo conto
sia del contesto geopolitico di quel
periodo nel mondo e considerando il
valore dell'arsenale nucleare
dell'Unione Sovietica e degli Stati
Uniti in quel momento. Il disgelo
registratosi all'inizio degli anni
'50 nei rapporti tra l'Urss e gli
Stati Uniti, anche attraverso la
visita del leader sovietico Nikita
Crusciov in America e il suo
incontro con il presidente Dwight D.
Eisenhower nell'autunno del 1959, in
pochi mesi venne spazzato
dall'escalation delle tensioni per
colpa di Washington. Il motivo fu il
volo di ricognizione di FrancisPowers sul territorio
sovietico, compresi il cosmodromo di
Baikonur, le installazioni militari
e le centrali nucleari.
L'aereo spia venne abbattuto il 1°
maggio 1960 nei pressi di Sverdlovsk
(oraEkaterinburg,ndr), Powers
venne catturato vivo e confessò la
sua missione. I rapporti tra l'Urss
e Stati Uniti si aggravarono
ulteriormente a seguito dei fatti di
Cuba, in particolare al tentativo di
invasione nella Baia dei Porci
nell'aprile 1961 da parte di esuli
cubani provenienti dagli Stati
Uniti. Il gruppo antirivoluzionario
venne annientato. Inoltre gli
interessi di Urss e Usa si
scontravano in Africa. Il problema
principale nei rapporti tra Mosca e
Washington emerse nella risoluzione
pacifica della questione tedesca,
quando venne conferito lo status di
Berlino Ovest, fatto che fu poi
chiamato la crisi di Berlino,
accompagnata da minacce palesi
contro l'Urss da parte degli Stati
Uniti. Allo stesso tempo era in
vigore dal 1958 su iniziativa di
Mosca la moratoria sui test
nucleari.
Montozzo
e Corno d’Aola, realizzati i rilievi delle fortificazioni
Da diregiovani.it
del 28 ottobre 2016
ROMA – Sono 30 gli studenti che hanno preso parte al progetto per il
rilievo delle fortificazioni del Montozzo e del Corno d’Aola, in Val
Camonica. Per due settimane i ragazzi, accompagnati dai loro docenti,
hanno fatto il rilievo di tutte le fortificazioni esistenti per
realizzare una cartografia attuale con l’obiettivo di salvagardare la
memoria storica della Prima Guerra Mondiale. A raccontare i dettagli
Riccardo Mariolini, docente di topografia dell’Istituto Teresio Olivelli
di Darfo Boario Terme.
Repubblica Ceca, un parco naturale nell'ex bunker della Guerra Fredda
Da repubblica.it
del 28 ottobre 2016
Il
sito è proibito ai civili dal 1926, quando fu istituita l'area militare,
a sudovest della città di Kafka. Novanta anni in cui l'area è stata di
fatto ai margini delle attività umane correnti. Il risultato è una
biodiversità non comune nel Vecchio Continente. Bunker a parte, gli
edifici si contano sulle dita di una mano se si escludono le rovine di
un castello medievale. Al momento non ci sono alberghi né ristoranti, le
auto non entrano all'interno e in alcune delle vallate non c'è campo per
i cellulari. L'idea è di mantenere le cose come stanno. L'edificio più
significativo è quindi una struttura di cemento, nota a suo tempo con il
nome in codice Javor (acero) 51. Si ritiene fosse un deposito top secret
dell'Armata Rossa, destinato a ospitare - se necessario - fino a
sessanta testate nucleari da impiegare in caso di attacco alla Germania
Occidentale. Il sito era talmente segreto che neanche gli ufficiali
della Repubblica (Socialista) Cecolslovacca vi misero mai piede nel
periodo tra quando, nel 1968, l'Armata Rossa occupò il Paese, fino a
quando lo lasciò nei primi anni novanta. Il sito adesso è aperto al
pubblico come museo della Guerra Fredda. L'Atom Museum è parte di una
particolare struttura di bunker "doppio", di cui si pensa Brdy sia
l'unico esempio creato al di fuori dell'Unione Sovietica. Benché le
attività militari siano un ricordo, i loro strascichi non sono spariti
ancora del tutto. Dal 2012 a oggi i militari impiegati nell'opera hanno
rinvenuto oltre 7mila tipi di munizioni delle diverse armi
(dall'artiglieria ai carri armati ai missili) e dei diversi eserciti che
hanno calpestato quella campagna. "Le si possono trovare praticamente
ovunque, anche dove meno ce le si aspetta, parola di chi le sta cercando
da tempo - ha raccontato all'agenzia Associated Press il sergente
maggiore Vlastimil Kalivoda, che fa parte del team di bonificatori. Per
questa ragione, il cuore del parco resterà chiuso fino a fine 2017. Chi
volesse visitare e attraversare a piedi il sito, ricordi che per
evidenti ragioni di conservazione del territorio, è proibito accendere
fuochi, come è vietato campeggiare in tenda. E' invece possibile
trascorrere la nottata all'interno del parco in un sacco a pelo. Il sito
del parco per ora è soltanto in ceco: dovrebbe arrivare presto la
versione inglese. E' invece possibile prenotare visite guidate in
inglese dell'Atom Museum,
Chiude il
bunker di Mussolini Il Comune interrompe visite
Da ilgiornale.it
del 25 ottobre 2016
Il
31 di questo mese, come ricorda il messaggero, scade la convenzione
senza possibilità di rinnovo. Di fatto dal 2014 il bunker è stato
visitato da 12mila persone e da più di 2500 studenti. Cifre che
dovrebbero convincere l'amministrazione a tenere aperto il sito. Bisogna
ripartire da capo. Un nuovo bando, una nuova gara e infine una nuova
assegnazione. Un iter lungo che porterà alla chiusura del sito per un po
di tempo. A pesare probabilmente sulle scelte del Comune sarà stata la
campagna elettorale e lo stallo della precedente amministrazione e anche
di quella attuale. Il percorso del bunker di fatto è stato riconosciuto
come "sito d'eccellenza" da Tripadvisor come "primo bunker in Italia con
visite sistematiche e ad hoc". L'apertura del bunker di fatto ha
riportato all'attenzione dei visitatori anche la stessa villa Torlonia.
Migliaia di romani e di turisti si sono recati nel parco per visitare la
residenza del Duce e il rifugio antiaereo. Ma adesso c'è spazio solo per
lo smontaggio dell'ultimo allestimento. Nell'attesa che il Comune faccia
la sua parte e restituisca ai romani un pezzo di storia che rischia di
essere perduto.
Riapertura bastione della Madonna della Fortezza Medicea: accordo tra
Comune e Ordine Architetti
Da sienafree.it
del 25 ottobre 2016
Il Bastione della Madonna della Fortezza medicea di Siena verrà riaperto
grazie ad un accordo tra il Comune di Siena e l’Ordine degli Architetti
PPC senese che sta allestendo proprio in quegli spazi una mostra che
sarà inaugurata sabato 29 ottobre (ore 12:30) Questa mattina si è
tenuta in Comune la conferenza stampa di presentazione del progetto a
cui hanno preso parte il vicesindaco Fulvio Mancuso, l’assessore alla
Cultura Francesca Vannozzi, la presidentessa dell’Ordine degli
Architetti di Siena Elisabetta Corsi, la consigliera dell’Ordine degli
Architetti di Siena Marina Gennari e il professor Michele Paradiso
dell’Università di Firenze. In tutti gli interventi è stata sottolineata
l’importanza di questa iniziativa che permetterà ai cittadini di
riappropriarsi di uno spazio chiuso da tempo. Il Bastione della Madonna,
infatti, era già stato ristrutturato ma necessitava di alcuni lavori di
manutenzione per la riapertura al pubblico. Ecco che l’Ordine ha deciso
di farsi carico degli ultimi lavori di ripristino, organizzando
all’interno l’esposizione “Le fortezze militari degli Antonelli:
XVI-XVII secolo”. L’inaugurazione della mostra, sabato mattina, sarà
preceduta da un interessante convegno al Bastione San Filippo della
fortezza medicea (ore 9). “Questa convenzione che abbiamo stipulato con
il Comune – spiega Elisabetta Corsi - ci permette di ospitare la mostra
in un luogo sconosciuto a tanti senesi. L’esposizione, ad ingresso
gratuito, si aprirà con un seminario che vedrà vari relatori parlare
delle fortezze della dinastia degli Antonelli e quindi delle
contaminazioni tra la tradizione tecnologica dell’architettura militare
rinascimentale toscana e l’architettura militare del nuovo mondo”. Il
convegno di sabato mattina e la mostra si concentreranno sulla più
prestigiosa dinastia di ingegneri militari dei secoli XVI e XVII, gli
Antonelli, originari di Gatteo, che al soldo dei re di Spagna
disseminarono di bellissime costruzioni militari il centro e il sud
America, ma anche la Spagna, il Marocco e le frontiere orientali
dell’impero spagnolo, portandosi dietro la traduzione costruttiva delle
fortezze medicee. In particolare si parlerà delle contaminazioni che il
capostipite degli Antonelli, Juan Bautista, ebbe intorno alla metà del
XVI secolo con Siena, essendo uno degli ingegneri militari impegnati,
per conto di Cosimo I, nella guerra tra Firenze e Siena. L’esposizione è
promossa dall’Ordine degli Architetti senese, in collaborazione con il
Comune di Siena, la Fondazione Amigos del Castillo de Montjuich di
Barcellona e il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze.
Bunker di
Mesola dimenticati dal turismo
Da estense.com del
24 ottobre 2016
Mesola.
Mentre il Delta del Po restituisce reperti della grande guerra in
Veneto, al di là del fiume le testimonianze della seconda guerra
mondiale sono nascoste in mezzo a una fitta pineta. La recente scoperta
di fortificazioni militari emerse da una mareggiata a Porto Tolle, in
provincia di Rovigo, rimette in discussione la valorizzazione dei
reperti dei suoi ‘vicini di casa’: i bunker di Mesola. Non tutti sanno
che nel territorio mesolano ci sono una trentina di fortini, chiamati in
gergo ‘furtin’, costruiti dai tedeschi nel 1943-44. Anche se alcuni sono
stati sotterrati, ne rimangono ancora 22 visibili: 7 nella pineta delle
Motte, 9 nella pineta del Fondo e 6 all’interno di proprietà private nel
centro del paese.
La vegetazione custodisce queste costruzioni in cemento armato quasi
come voler far dimenticare una triste pagina della nostra storia. Ma la
memoria ha bisogno di essere protetta. Negli anni, Comune e associazioni
hanno cercato di rivalutare queste importanti strutture storiche, ma la
strada per una reale promozione turistica è ancora in salita.“Riscoprire
le batterie aree risalenti al 15-18 sullo scanno di Bonelli, a poca
distanza dall’antica tenuta degli Estensi a Mesola, ha riportato la
nostra attenzione anche sui fortini antibombardamento mesolani” annuncia
Isabella Finotti, guida ambientale escursionistica e consigliere
nazionale dell’Associazione Italiana Guide Escursionistiche Ambientali.
“Questi rifugi sono ben conservati e meriterebbero maggior attenzione –
prosegue la Finotti -. Dopo il lavoro di recupero dei bunker per
renderli visibili e fruibili alle persone, è il momento di concentrarsi
su una vera e propria campagna di promozione per farli conoscere a tutti
i turisti”. “I fortini sono una buona proposta turistica per Mesola –
ribadisce la Finotti – non solo perché ci restituiscono un triste
momento della nostra storia, ma anche perché sono immersi in un ambiente
naturalistico di pregio, all’interno di una pineta protetta sopra le
dune. Il nostro obiettivo, come guide ambientali, è promuovere questi
luoghi inconsueti, poco conosciuti ma dall’incredibile rilevanza storica
e geologica”.
Torna
alla luce il passaggio segreto degli antichi bastioni dei Medici
Da iltirreno.it
del 24 ottobre 2016
PORTOFERRAIO.
Torneranno alla luce entro il 2017 le segrete delle fortezze medicee. Il
Comune ha approvato il progetto definitivo ed è pronto a dare il via, a
gennaio, a un imponente intervento di recupero delle mura storiche della
città, rendendo inaccessibili i bastioni finora accessibili nella zona
di Santa Fine e della Batteria degli Spagnoli. Sarà riaperto il
camminamento sotterraneo e messe in sicurezza parti della fortificazioni
pericolanti, tra cui una garitta del 700, che rischia di precipitare in
mare e la Torre della Linguella. Un rilancio che farebbe piacere a
Cosimo dei Medici, il “padre” dell’ampio complesso che domina il centro
storico. Con l’intervento si potranno scoprire stanze e luoghi nascosti,
attraverso un percorso militare antico rimasto chiuso per secoli. Si sa
di un tunnel del genere che parte dalle Ghiaie, arriva al Forte Falcone
e poi prosegue fino al Grigolo, passando anche internamente al bastione
di Santa Fine e la Batteria degli spagnoli. Una parte del percorso
rinascimentale sta per rivivere quindi, con specifici lavori disposti
dal Comune di Portoferraio, con una spesa di 340 mila euro di cui
200mila finanziati con fondi regionali. «Il restauro partirà ad anno
nuovo e i lavori dovranno durare 300 giorni – spiega l’architetto
comunale Elisabetta Coltelli, la progettista- Un piano culturale
importante, che darà nuovo impulso
alla fruizione delle fortezze medicee». Una parte di camminamento è già
esistente, per cui sarà scoperto un altro tratto creato, dentro i
bastioni, dagli specialisti pagati dal Signore di Firenze, i vari
Bellucci, Camerini e poi Buontalenti, in azione dal 1548 in poi. Si
ricongiungerà la zona delle Ghiaie fino al Falcone, con il tunnel che
nasce dalla base del bastione di Santa Fine e va poi alla Batteria degli
Spagnoli, come si legge nella relazione della Coltelli, un cammino
coperto, dotato anche un passaggio segreto sotterraneo che va alla parte
alta delle fortificazioni a mare.
Il tragitto è voltato e pavimentato con calcare locale rosa, come era
stato fatto nelle altre parti della città. Purtroppo, oggi, molte aree
del centro storico, sono state ricoperte con asfalto, nascondendo la
storica pavimentazione. Il passaggio da restaurare è dotato di una
piccola scala nell'area bastionata, ma ogni cosa è semi nascosta da
altre opere che si sono sovrapposte (superfetazioni) addossate al
bastione, nella zona della caserma della Guardia di Finanza. La
vegetazione ha ricoperto tutto e, si legge nel documento comunale, gran
parte dei resti dei bastioni sono andati perduti per la scellerata
gestione urbanistica della zona.
A Santa Fine la "foresta" impedisce l'accesso e mette in pericolo la
stabilità della zone fragili della struttura medicea, come i resti della
base di una garitta settecentesca che stanno per crollare
definitivamente in mare. «Saranno fatti – dice ancora Coltelli –
interventi di sfalcio e pulizia della vegetazione per rintracciare il
piano di calpestio e rimettere in luce le “panchiere” (rilievi
difensivi,ndr) e sarà fatto il restauro dell'antico passaggio segreto
interno, per accedere ad altri bastioni». Esiste pure un locale a volta
a crociera, malandato, nel quale piove ed andranno eliminati i pini ai
piedi della Batteria degli spagnoli e pure le opere avulse dalle
fortezze originarie. Tutto dovrà essere messo in sicurezza, ci saranno
illuminazioni ed anche delle recinzioni con cancello verso via Senno. Il
progetto di riqualificazione prevede anche interventi alla Linguella,
ritenuto punto di eccellenza storica, col restauro della Torre del
Martello, detta anche Torre di Passannante o Torre Pertini. Sono
precarie le condizioni, con ossidazione dei ferri di armatura e
problematiche nella scala interna al maniero ottagonale mediceo. Sarà
ristrutturato il grosso portone di accesso in legno e ferro e colmati i
fori a le cavità nelle aree limitrofe. I segreti di Cosimo quindi
saranno svelati e i portoferraiesi, forse, si interesseranno di più a
queste preziose fortezze medicee, realizzate prima di quelle fiorentine
dai Medici, strutture maltrattate e ignorate per secoli. Senza dubbio,
oltre le segrete, urge una manutenzione generale, attesa da decenni.
San Vero
Milis, le torri costiere del Sinis si sgretolano: interviene Italia
Nostra
Da unionesarda.it
del 23 ottobre 2016
Si
sgretolano come castelli di sabbia. Le torri costiere del Sinis,
costruite ai margini di dirupi argillosi ormai consumati da vento, sale
e pioggia, potrebbero crollare da un momento all'altro. Tesori
architettonici risalenti al XVI secolo abbandonati da tutti: Comuni,
Regione e Soprintendenza. Finiti anche nella famosa "lista rossa" di
Italia Nostra, l'ultimo censimento del patrimonio culturale italiano in
pericolo realizzato dall'associazione che si occupa della salvaguardia
dei beni culturali. Dall'ultima mappatura risulta che in tutta Italia ci
sono quaranta siti in pericolo, e tra i primi 5 più a rischio ci sono
appunto tutte le torri del Sinis.
di Sara Pinna
Alla
scoperta di Monteriggioni: la città fortificata più bella d’Italia
Da unionesarda.it
del 23 ottobre 2016
L’Italia
vanta alcuni dei borghi più belli d’Europa ed una delle regioni che
conserva tantissimi tesori e testimonianze di un passato importante è la
Toscana. Qui immerso in una campagna da sogno, quella di Siena, sorge un
piccolo paese che conserva intatto tutto il suo fascino medioevale:
Monteriggioni. Entrare a Monteriggioni è fare un tuffo nel Medioevo. E’
l’unico borgo in Italia rimasto completamente intatto: la sua ellittica
cinta muraria, le sue alti e magnifiche torri – citate perfino da Dante
nella sua Divina Commedia (nell’Inferno, canto XXXI)- e i suoi edifici
sono esattamente come erano allora, circa 800 anni fa. Camminare per
questi vicoli, osservare Monteriggioni da lontano – il cui splendore
della cinta muraria è più visibile – vuole dire toccare con mano la
Storia. Non a caso questo piccolo borgo è visitato ogni anno da oltre
90mila persone.
Guida di Monteriggioni: il borgo del Medioevo La Storia
Monteriggioni sorge per difendere Siena. Intorno alla metà del 1200 la
Repubblica di Siena decide di costruire un castello ed il relativo borgo
sul punto strategico di Monte Ala. Questo avrebbe permesso di difendere
la città dalla rivale Firenze e di controllare la via Francigena e le
valli le valli dell’Elsa e dello Staggia. Da allora per secoli Firenze
ha cercato di impadronirsi di Monteriggioni e ci riuscì nel 1554. Il
castello ed il borgo passarono alla famiglia De’Medici. Nei secoli
successivi il castello passò a varie famiglie nobili fino alla famiglia
Griccioli, che tuttora ha possedimenti nel borgo. Monteriggioni sulla
via Francigena Oltre che per la sua bellezza, Monteriggioni è sempre più
meta di viaggiatori in quanto è una delle tappe della via Francigena,
ossia il percorso di pellegrinaggio che da Roma arriva a Canterbury,
riscoperto in anni recenti. Monteriggioni è la 32esima tappa del cammino
e dalla piazza del paese dopo 20.6km si arriva a piazza del Campo a
Siena.
Cosa vedere: itinerario per Monteriggioni
Il principale accesso al borgo è Porta Franca o Romea ed è quella
orientata verso Siena. La porta ad arco acuto si apre alla base di una
delle alti 11 torri che si elevano sopra le mura ed è probabile che in
passato ci fosse un ponte levatoio o una pesante cancellata. Sotto
l’arco nel muro è riportata la data di fondazione di Monteriggioni e
dalla parte opposta una lapide celebra l’Unità d’Italia del 1861. Dalla
Porta si arriva alla principale piazza del borgo: piazza Roma. Fino agli
anni ’70 la piazza non era pavimentata e tuttora conserva orti e
giardini ai suoi lati. La presenza degli orti all’interno del borgo
erano necessari in quanto in caso di assedio la popolazione poteva
sopravvivere. Sulla piazza si affaccia la Chiesa di Santa Maria Assunta,
uno degli edifici del borgo che meglio conservano i caratteri
medioevali. La chiesa fu costruita nel XIII secolo e presenta una sola
navata con volte a vela e conseva una Madonna del Rosario del XVII
secolo. Esternamente la facciata in pietra con un portale con arco. La
campana risale al 1299. Da qui poco più avanti c’è il piccolo museo
‘Monteriggioni in Arme’ che racconta le vicissitudini militari del
borgo, i suoi tanti assedi e le strategie difensive. Inoltre è possibile
ammirare reperti di epoca medioevale e riproduzioni di armi ed armature
che si possono perfino indossare. Le mura e le torri sono senz’altro ciò
che più colpisce di questo borgo ed uno degli elementi che lo rende
unico. La cinta muraria si estende per 570 metri, ricoprendo interamente
la sommità del monte Ala, ed spessa 2 metri. Delle 15 torri oggi solo 11
si elevano per 6,5 metri sopra le mura, le altre 4 sono state ridotte
alla stessa altezza delle mura. Dal 2005 è stato riaperto parte del
camminamento da cui è possibile ammirare dei panorami mozzafiato sulla
campagna senese del Chianti e della Valdelsa. Le mura si possono anche
costeggiare esternamente per ammirare un bellissima vista e toccare con
mano le possenti mura.
Regalo di Natale
per gli amanti dell’archeologia: riapre la Torre Matta
Da unionesarda.it del
23 ottobre 2016
OTRANTO –
Otranto si riprende un altro pezzo di storia: con la magia di Natale
restituisce al pubblico la Torre Matta. Dal prossimo venerdì, 23
dicembre, dopo numerosi interventi di restauro, riaprirà il monumento
della piazzetta sottostante Porta a Mare, a Otranto. La torre è
collocata nella parte di bastione verso mare presente sul lato sud della
cortina e prospiciente il porto. A seguito della guerra del 1480,
l’intera cinta muraria medievale di Otranto fu devastata e rasa al
suolo. Dopo la liberazione della città, nel 1481, fu avviato un grande
cantiere di ricostruzione della cinta muraria.
Otranto visse, nella sua cinta muraria, questa evoluzione tecnica
importante, tant’è che nei primi anni del 1500 le originarie rondelle
sul lato mare furono tutte rivestite con cortine murarie idonee a farne
puntoni. In particolare, proprio la Torre Matta cilindrica della prima
fase fu inglobata all’interno di un bastione quadrangolare nel “500, per
migliorare l’efficienza balistica dell’intero sistema difensivo. Dal
vano superiore si accede direttamente ad un ambiente a tutt’altezza, che
rappresenta la chiusura della cortina muraria attorno alla torre
cilindrica originaria.
Della
torre originaria si intravede la parte cilindrica sporgente con una
serie di bellissimi beccatelli, decorati con motivi tipici dell’epoca.
All’interno di questo spazio era presente una grande quantità di detriti
e materiale da riporto, riversato in epoca storica. All’esterno del
torrione è presente la porta di accesso originaria, anch’essa totalmente
colma di materiale da riporto all’avvio dei lavori. Gli ambienti ora
sono perfettamente idonei per ospitare mostre, convegni, incontri, anche
con le attività previste nel vicino Castello Aragonese. Il progetto è
finanziato con fondi del ministero dei Beni e delle Attività culturali e
del Turismo.
Dal Po
possibili altri rinvenimenti storici: nasce il Centro di Ricerca e
Documentazione sul Delta
Da meteoweb.it del
23 ottobre 2016
“Il Delta del Po, terra
giovane, si sta rivelando ricco di storia. Nell’immaginario collettivo
si sente dire spesso che il Delta è una terra giovane senza un passato.
Io sto cercando di dimostrare il contrario. Non mi fermo. Dopo aver
scoperto sul Delta del Po, le Fortificazioni militari della Grande
Guerra, ma anche quelle Austriache e Napoleoniche, dopo aver
rintracciato una linea del telegrafo ottico “Chappe” che per volere di
Napoleone era stata installata da Ancona a Venezia lungo il litorale
adriatico, vado avanti e con ogni probabilità la mia ricerca porterà ad
altri risultati importanti e scoperte sensazionali”. Lo ha dichiarato
Luciano Chiereghin, ricercatore che da più di 15 anni sta conducendo
intense attività di ricerche storiche sul Delta del Po . Fino ad oggi i
risultati sono stati straordinari con il ritrovamento delle
Fortificazioni Militari risalenti alla Grande Guerra ma anche quelle
austriache, napoleoniche e addirittura “sono riuscito a rintracciare –
ha proseguito Luciano Chiereghin – una linea del telegrafo ottico
“Chappe” che Napoleone fece installare da Ancona a Venezia lungo il
litorale Adriatico”. E la novità c’è. “Ho scoperto anche i fortini
militari delle guerre tra la repubblica di Venezia e lo Stato
Pontificio. Immagini e documenti in mostra il 10 Dicembre per la prima
volta”.
“Mi sono concentrato sulle tante guerre avvenute tra il 1600 ed il 1700
tra la repubblica di Venezia e lo Stato Pontificio, allora
confinanti – ha proseguito Luciano Chiereghin – che si
contendevano i nuovi territori che il Po formava davanti alla sua foce.
Ecco che con le nuove tecnologie, come immagini satellitari e la
georeferenziazione e quant’altro, un po’ alla volta ho ritrovato le
tracce di alcune delle fortificazioni militari usate in queste guerre.
Il più interessante ritrovamento è stata la scoperta sul terreno dei due
forti del 1632, “Bocchetta”, papalino, e “Donzella”, veneziano, che
coincidono esattamente con la pianta di questi e, dopo aver ritrovato in
loco reperti di fittili compatibili con quella data, è stato possibile
stabilire con assoluta certezza da parte di alcuni esperti che le tracce
da me ritrovate erano proprio esatte. Ora sto scrivendo un libro su
tutto quanto ho sinteticamente descritto. La mia ricerca continua, le
sorprese non mancheranno”.
Il tutto per la prima
volta in mostra in Italia il 19 Novembre – “Giovani terre contese,
tre secoli di fortificazioni nel Delta”. Per la prima
volta in Italia , Presso la Fondazione Museo della Bonifica “Ca’
Vendramin“, si potranno vedere le immagini delle fortificazioni
militari scoperte da Chiereghin sul Delta del Po, a difesa dei confini
tra stati, tra il finire del XVII° secolo e gli inizi del XX° , l’intera
documentazione inedita con le carte studiate da Chiereghin il quale
illustrando anche la rete costiera del telegrafo ottico fatto installare
da Napoleone. La mostra, inedita, promossa dall’Archivio di Stato di
Rovigo, dalla Fondazione Ca’ Vendramin, dalla Fondazione Scolastica
“Carlo Bocchi”, dal Parco Regionale Veneto del Delta del Po , sarà
aperta al pubblico il 10 Dicembre presso le sale del Museo Regionale
della Bonifica “Ca’ Vendramin” a Taglio di Po in provincia di Rovigo .
Con “Giovani terre contese, tre secoli di fortificazioni nel Delta”,
questo è il titolo della mostra si inaugurerà per la prima volta il
Centro di Ricerca e Documentazione sul Delta. Gli enti interessati e
coinvolti nella realizzazione del Centro e della Mostra sono: l’Archivio
di Stato di Rovigo, la Fondazione Museo della Bonifica di Ca’ Vendramin,
la Fondazione Scolastica “Carlo Bocchi” di Adria, più il Parco del Delta
e i Comuni del Parco.
“Le scoperte di
Chiereghin sono di inestimabile valore anche per il turismo ambientale.
Questa è l’Italia raccontata dalle guide AIGAE – ha dichiarato
Isabella Finotti, Guida Ambientale Escursionistica AIGAE del
Veneto – a ben 3 milioni e 400.000 turisti l’anno. L’Italia da Nord
al Sud e viceversa, di catene montuose, laghi, coste, borghi, foreste,
boschi e campagne. Noi narriamo l’Italia. AIGAE è l’Associazione
Italiana delle Guide Ambientali Escursionistiche, l’unica riconosciuta
ufficialmente dal MISE nel campo dell’escursionismo. Rappresentiamo i
professionisti del territorio. Le nostre Guide Ambientali
Escursionistiche sono geologi, biologi, archeologi, naturalisti, esperti
di storia, operatori turistici. Viviamo e facciamo vivere ogni giorno il
territorio italiano con centinaia di escursioni l’anno. Siamo già sul
territorio e sempre” a cura di Monia Sangermano
Le basi
militari in Calabria, la mappa
Da wecalabria.it
del 21 ottobre 2016
Che
l’Italia sia una nazione costellata di basi militari Nato è noto a
tutti. Esistono ufficialmente oltre 120 basi sparse nello stivale, oltre
a quelle totalmente segrete. Vi è soprattutto una presenza massiccia di
basi statunitensi, in seguito alla sottoscrizione di un accordo di
collaborazione militare Usa-Italia firmato nel 1951. Ma quante e dove
sono le basi militari in Calabria? Andiamo a scoprirlo.
Basi militari in Calabria: i
misteri di Monte Mancuso, Crotone e Sellia Marina
La base militare più importante presente in Calabria è quella che si
trova sul Monte Mancuso in provincia di Catanzaro. Dove si ritiene che
nel passato i militari americani avessero alcune testate nucleari da
utilizzare in caso di aggressione e invasione sovietica.
Sul territorio regionale
insistono poi le stazioni di telecomunicazioni-radar a Crotone e Sellia
Marina in provincia di Catanzaro. Superata la Guerra Fredda, molte delle
basi militari in Calabria e nel resto dell’Europa furono dismesse o
riconvertite.
Base Monte Mancuso,
abbandonata da oltre 20 anni
Nome in codice “Immz” faceva parte della rete “Ace-High”, sistema
strategico di telecomunicazioni e ponti radio che collegava oltre 80
radar posti in 9 stati europei.
Ultimata nel 1960, la base è
posta ad oltre 1300 metri di altezza nella foresta del monte Mancuso,
ricadente nei comuni di Lamezia Terme, Falerna, Nocera Terinese e
Martirano Lombardo. La “Immz” fu chiusa ufficialmente il 25 novembre
1995.
Gli ultimi militari visti
attorno alla base risalgono agli anni ’90 durante la guerra in Iraq.
Si ritiene fossero nascoste
bombe atomiche all’interno di un rifugio sotterraneo esistente
all’interno della base, alcuni parlano di fusti tossici. Ma ora, immerse
nella vegetazione e nel mistero, rimangono solo le sue grandi antenne.
Nel 2015, nonostante la base
risulti abbandonata da oltre 20 anni (Guarda video su YouTube), i comuni
hanno firmato il rinnovo di servitù militare per il quinquennio
2016-2020.
Centro
radar di Crotone
Una unità di difesa aerea
situata all’interno dell’aeroporto di Crotone comincia a operare il
primo novembre 1982.
Attualmente la 132ª
Squadriglia Radar Remota è inserita nella catena di Difesa Aerea Nato.
Le infrastrutture sorgono su quella che era stata la zona logistica e
operativa dell’aeroporto di Crotone lungo la SS106 jonica nei pressi di
Isola Capo Rizzuto.
Passando per l’aeroporto si
può notare un’enorme “palla” bianca”. Una parte della struttura è stata
ceduta. Attualmente ospita il più grande campo di accoglienza profughi
d’Europa. Nel 1990 il Pentagono sospese la costruzione di nuove base
aeree, quindi anche quella che doveva nascere a Crotone.
La base avrebbe ospitato
aerei F-16 dell’aeronautica statunitense che la Spagna non voleva più.
La classe politica e la popolazione, comunque, si oppose a quella che
sarebbe stata sicuramente una pioggia di miliardi e migliaia di posti di
lavoro per il territorio.
Stazione
Loran a Sellia Marina
La stazione Loran di Sellia
Marina, in provincia di Catanzaro, era una stazione master di un gruppo
che comprendeva i centri radio di Lampedusa, Estartit (a nord-est della
Spagna), Kargabarum (Turchia) e Matratin (Libia).
La catena “Loran” (LOng RAnge
Navigation System), precursore terrestre delle reti satellitari alla GPS,
vide la sua costruzione nel dicembre del 1958.
Dopo i test fu attivata
nell’agosto dell’anno successivo.
L’impianto di Sellia Marina,
fu gestito dalla Guardia Costiera Americana fino al 1995 quando fu
spento. Il centro radio fu poi ceduto alla Guardia Costiera Italiana. La
base comprendeva una torre radio alta 190.5 metri con una potenza di
oltre 150 kw.
Il sito fu smantellato nel
luglio 2008.
Sul monte Giovo ripulite le fortificazioni della Grande Guerra
Da ildolomiti.it
del 20 ottobre 2016
BRENTONICO.
Aveva proprio ragione quel tale che diceva "bisogneva nar sul Zof per
veder qualcos de nof". Infatti proprio sul monte Giovo, in dialetto Zof,
qualcosa di nuovo c'è: le fortificazione della Grande Guerra sono state
ripulite e quel luogo brullo è diventato un punto panoramico che
permette allo sguardo di abbracciare tutto il circondario. L'accesso è
da Castione, da lì si può percorrere il sentiero che porta alla sommità
e scoprire un luogo ha rivestito un ruolo importante nelle strategie
belliche della Prima Guerra mondiale. Conquistato nel novembre del 1915,
l’esercito italiano ha iniziato le opere di fortificazione nei primi
mesi del 1916 con opere di trinceramento e posizionamento di piccole
artiglierie sul dosso. Le sue particolari caratteristiche consentivano
di controllare i movimenti sul fronte austriaco, sul fondovalle sia
lagarino sia della valle del Cameras e poteva servire come punto base
per incursioni di piccola/media artiglieria e di fanteria. Risultava
strategico per la difesa da eventuali incursioni austriache.
L’esercito italiano ha
quindi iniziato a scavare alcune gallerie di cui una
molto lunga all'interno del dosso che ad un certo punto si biforca in
altre due gallerie dotate di uscite verso la base nord. Tutta l’area era
collegata con camminamenti e trincee prima
dell’abbandono al termine del conflitto.
Quasi un secolo più tardi,
per le rievocazioni del centenario della Grande Guerra ne è
statoavviato il recupero e ora, grazie anche
a un indicatore delle cime, si può salire e osservare lo skyline
della Vallagarina. Il dirigente Mauro Viesi,
nel giorno dell’inaugurazione ha guidato il gruppo dalla chiesa di
San Rocco di Castione fino al luogo storico dove si è
esibito il coro Soldanella e sono stati letti alcuni
passi provenienti dalle lettere e testimonianze dei soldati
dell’esercito italiano. “In questa zona – ha spiegato il sindaco
Christian Perenzoni – è stato fatto un importantissimo lavoro di
recupero partito ancora tre anni fa, ora è importante che venga eseguita
una manutenzione altrettanto attenta. Mi auguro che la comunità di
Castione riesca ad appropriarsi di questo luogo, a
prenderlo a cuore e prendersene cura nel tempo”.
I lavori di recupero
rientrano nel progetto “Un territorio due fronti” e il primo
intervento risale al giugno 2013 da parte degli Alpini di
Saccone e di Brentonico oltre che della Sat locale. Per sei
mesi si sono occupati di tagliare gli arbusti che invadevano il piazzale
sud e la sua ripulitura, far emergere e rendere visibile la
lunga e imponente trincea circolare che circonda il dosso e
disboscare la sommità del dosso, mettendo in luce tutto il trinceramento
esistente nonché le uscite dalle gallerie sottostanti.
Il servizio ripristino e
Valorizzazione Ambientale ha effettuato le ultime
pulizie e nel corso di quest’anno è stato installato sulla sommità del
caposaldo un indicatore delle cime circolare in sassi,
molto utile ai fini didattici, mentre è stato riprodotto sui pannelli
informativi il rilievo dell’intera zona, elaborato dagli
studenti del Fontana.
Moena,
riportate alla luce le cannoniere di Colvere
Da
trentinocorrierealpi.it del 19 ottobre 2016
MOENA.
Sono state riportate alla luce e offerte all’attenta curiosità dei
visitatori le cannoniereaustroungariche di Colvere. Con un lungo e impegnativo lavoro le
maestranze della ditta Edilvanzo, del Comune di Moena, della Promo Vanoi
e i volontari dell’associazione “Sul fronte dei ricordi” hanno liberato
il terreno boscoso per far emergere dopo 100 anni interessanti tracce
del primo conflitto mondiale. Il rilievo boscato di Colvere (1870 metri)
domina l’intera lunghezza della valle di San Pellegrino. A partire
dall’estate del 1915 i comandanti austroungarici decisero di spostare in
questa zona sopraelevata parte delle artiglierie prelevate dal
sottostante forte di Someda e dal vicino forte Dossaccio. I pezzi da
fuoco furono sistemati in apposite strutture in cemento armato,
denominate cannoniere e successivamente in postazioni campali scavate
nella roccia nel vicino colle sovrastante (Spiz de Colvere). Una strada
con pendenza regolare serviva il colle dove erano stati allestiti al
riparo baraccamenti mentre sul versante rivolto al nemico una serie di
finestre e feritoie tenevano sotto controllo il passo San Pellegrino
dove iniziava il fronte italiano.
Sull’architrave di un’apertura si legge “erbaut 1917” (costruito nel
1917). Il ritardo di costruzione della seconda parte delle strutture
difensive in roccia si spiega con la presa di coscienza che la guerra
non sarebbe stata breve e quindi era opportuno creare delle
fortificazioni più solide. La zona di Colvere non fu mai interessata dai
combattimenti (a differenza delle creste di Costabellae dell’area di Bocche) e fu abbandonata con lo spostamento del
fronte dopo la rotta italiana diCaporetto. I lavori sono stati finanziati dalla Soprintendenza ai
beni culturali della Provincia di Trento (107mila 324 euro) e dal Comune
di Moena (22mila 583 euro). La località di Colvere è facilmente
raggiungibile con gli impianti dell’Alpe Lusia e potrebbe costituire, in
un prossimo futuro, un interessante itinerario ad anello capace di
cogliere gli aspetti botanici, faunistici e storici di quella parte di
montagna.
Parco
delle Mura di notte, l'illuminazione architettonica del sistema
bastionato
Da padovaoggi.it
del 18 ottobre 2016
Martedì mattina, la giunta
comunale di Padova ha approvato il progetto definitivo relativo
all'illuminazione architettonica del Parco delle Mura. L'opera rientra
nel primo stralcio del piano di recupero e valorizzazione turistica e
culturale delle mura rinascimentali della città.
LA SPESA. Un milione e
mezzo è la spesa prevista per la realizzazione dell'intervento, che avrà
lo scopo - come si legge nel testo della delibera - di "rendere visibile
e fruibile alla cittadinanza, anche nelle ore notturne", il sistema
bastionato della città, "esaltandone le peculiarità e incrementandone la
frequentazione".
L'INTERVENTO. L'impianto
di illuminazione interesserà tutti gli 11 chilometri della cinta muraria
cinquecentesca, per la quale sono previste tre distinte tipologie di
lampada, a seconda del genere di terreno sul quale si dovrà intervenire:
il primo tipo è il cosiddetto "palo a sbraccio"; ci saranno, poi, dei
piccoli faretti, che illumineranno dal basso e saranno installati dove
c'è del prato, ad esempio davanti ai bastioni, per un effetto di
illuminazione diffusa oppure concentrata su particolari che si intenderà
valorizzare; infine, delle lampade incassate nel terreno.
I TEMPI. "Tra
quattro-cinque mesi inizieranno i lavori - dichiara l'assessore Paolo
Botton - l'intervento durerà circa 8 mesi e dovrebbe concludersi entro
un anno a partire da oggi".
Tour culturale a Siracusa, in cinquecento fino alla torre dell'Aquila
Da gds.it del 17
ottobre 2016
SIRACUSA.
Oltre 500 appassionati, tra residenti e turisti, sono stati coinvolti
ieri mattina a Siracusa nel tour culturale dai magazzini della Torre
dell'Aquila fino al foro Vittorio Emanuele.
Un percorso che ha incluso
non solo i resti delle antiche fortificazioni come nel caso di Torre
dell' Aquila o del Castello Maniace, ma anche le mura e le porte, di
grande interesse artistico, rase al suolo in epoca risorgimentale.
"Un viaggio attraverso la
storia delle fortificazioni greche fino ad arrivare all'epoca moderna -
ha spiegato il volontario Sergio Cilea - non ci siamo limitati a
raccontare quello che c' è ma abbiamo voluto mostrare ai partecipanti,
tramite reperti come immagini e disegni, le mura e le bellezze
artistiche che arricchivano l' isola oltre che proteggerla dai nemici in
caso di guerra".
Le
Fortezze Militari degli Antonelli: XVI-XVII secolo
Da elzeviro.eu del
14 ottobre 2016
L’esposizione promossa e
voluta dall’Ordine degli Architetti di Siena e ideata dalla dottoressa
Carmen Fusté, direttrice della Fondazione Amigos del Castillo de
Montjuich di Barcellona (Spagna), dopo avere percorso varie città della
Spagna e del Caribe, avrà in Siena una tappa importante per le
contaminazioni che il capostipite degli Antonelli, Juan Bautista, ebbe
intorno alla metà del XVI secolo, con Siena, essendo uno degli
ingegneri militari impegnati, per conto di Cosimo I, nella guerra tra
Firenze e Siena.
La manifestazione ha
ottenuto il patrocinio di ICOFORT, del Dipartimento di Architettura
dell’Università di Firenze, dell’Università di Siena, oltre che del
Comune di Siena e dell’Ufficio UNESCO di Siena.
L’evento espositivo, a
ingresso gratuito, si terrà per l’intero mese di novembre 2016, negli
ambienti del “Bastione della Madonna” della Fortezza Medicea di Siena.
Nuova vita all'ex polveriera di Mompiano
Da
giornaledibrescia.it del 14 ottobre 2016
Innanzitutto
il via ai lavori di risanamento e sistemazione. E poi spazio a un nuovo
confronto - e, perché no anche ad un nuovo bando – per delinearne il
futuro. Si è riaperto giovedì sera, durante l’incontro pubblico, il
dibattito sulla nuova vita della ex Polveriera di Mompiano.
L’assemblea è stata
convocata dopo il sì della Giunta all’ultimo restyling rimasto in
sospeso (dalla bonifica delle coperture in amianto alla ricostruzione
delle strutture danneggiate), un progetto che “vale” oltre 362mila euro
e che dovrebbe completarsi in 120 giorni. Al netto del bando di gara,
quindi, lo spazio dovrebbe essere riconsegnato alla città a fine marzo
2017. Proprio per quella data, l’Amministrazione comunale vorrebbe avere
anche le idee chiare su quali attività troveranno casa in quella che è
considerata “la porta d’ingresso” al parco delle Colline.
E se non ci sono veti a
eleggere le strutture a dimora delle diverse associazioni sul
territorio, l’obiettivo punta però a rintracciare anche un’attività che
possa rivitalizzare l’area. La lunga storia che ha portato la ex
Polveriera nella piena disponibilità del Comune è riassunta, tappa dopo
tappa, nelle slide proiettate giovedì sera dall’assessore all’Ambiente,
Gianluigi Fondra.
Escursioni e incontri sulla Grande Guerra
Da
trentinocorrierealpi.it del 14 ottobre 2016
VALSUGANA.
Si intitola "La Grande Guerra. Testimonianze degli uomini e nelle
pietre" ed è il ciclo di incontri sul territorio promossi da Sistema
culturale, Associazione storico culturale Valsugana Orientale e Tesino e
Provincia, con la collaborazione di Comuni e dell'Ecomuseo Valsugana.
Sei
incontri, a cui si aggiungono tre escursioni guidate, che ad ottobre e
novembre accompagneranno gli appassionati -fisicamente ed attraverso
racconti ed immagini- attraverso i luoghi e le storie che hanno segnato
il grande conflitto in Valsugana. Si comincia oggi, alle 20.30, nella
sala riunioni della Cassa Rurale di Grigno, con "Testimonianze della
guerra nella pietra e nel cemento". Una serata nel corso della quale
Alberto Burbello e Lucia Dellagiacoma presenteranno il progetto di
ricerca e catalogazione delle epigrafi militari nel gruppo montuoso di
Cima d'Asta e nei territori di Valsugana e Tesino. Domenica prossima
quindi è in programma la prima passeggiata con accompagnatore di media
montagna a Sasso Gambarile (ritrovo alle 14 in località Oltrebrenta di
Villa Agnedo, rientro per le 17.30. Prenotazione obbligatoria in
biblioteca a Borgo Valsugana 0461754052). Venerdì 21 ottobre alle 20.30
in teatro a Torcegno Luca Girotto presenterà "Il Lago della Morte 15
maggio 1916 -Massacro a monte Còlo" mentre il 28 nella sala dei Volti di
Carzano Guido Aviani illustra "1915- 1916. Dall'Isonzo al Carso- Il
sangue ed il reticolato".
Il giorno
successivo, sabato 29, seconda visita guidata, questa volta a Forte Busa
Granda (ritrovo alle 14 al Compet di Vignola Falesina) mentre domenica
30 si andrà alla scoperta del Col del Fortin, una passeggiata a due
passi dalla ciclabile della Valsugana per scoprire le gallerie di
guerra, con ritrovo alle 14 nel piazzale sotto la chiesa di Villa Agnedo.
Si proseguirà quindi con le serate venerdì 4 novembre alle 20.30 in
teatro a Scurelle: Luca Girotto interviene su "Il Leone di Valsugana -
La triste storia del forte di Cima Campo". Infine due appuntamenti a
Borgo, nella saletta della biblioteca alle 20.30: venerdì 18 novembre
Renato Callegari parlerà in merito a "L'aviazione del Grappa", mentre il
martedì successivo 22 novembre si proietterà il documentario sulla vita
del politico trentino "Battisti 16.16. Trento e Cesare Battisti nel
centenario della morte", scritto e condotto da Elena Tonezzer per la
regia di Andrea Andreotti. (m.c.)
La
Fortezza del Priamar, l'imponente baluardo di Savona
Da turismo.it del
13 ottobre 2016
La
ceramica e l’arte vetraia, le spiagge da Bandiera Blu, le botteghe
artistiche e i vicoli caratteristici: cosi si presenta Savona, rinnovata
meta turistica che si colloca tra il mare e l’entroterra ricco di boschi
verdi. E a tutto questo si affianca il patrimonio artistico che non
manca di interesse e itinerari verdi come quello della Valle del
Letimbro che conduce al celebre Santuario di Nostra Signora di
Misericordia. A svettare su tutto è il Priamar, la fortezza
cinquecentesca annoverata tra le più imponenti fortificazioni affacciate
sul Mar Mediterraneo. La storia del Complesso monumentale del Priamàr è
strettamente legata a quella del promontorio di cui occupa una posizione
strategica per il controllo dell'alto Tirreno e dello sbocco a mare.
Quando Savona divenne un libero comune il promontorio divenne il centro
della città medievale, ospitando i palazzi comunali, il palazzo del
vescovo e l'antica cattedrale di Santa Maria Maggiore poi dedicata a
Santa Maria di Castello ed eretta fra l'anno 825 e l'anno 887, andata
successivamente distrutta per far posto alla nuova fortezza. Oggi
continua ad ergersi nella sua posizione dominante il centro storico ma è
diventata la cittadella d'arte e di cultura. Il Palazzo degli Ufficiali
ospita il Civico Museo Archeologico e il Museo "Sandro Pertini e Renata
Cuneo"; il Palazzo del Commissario è adibito a sede di rassegne,
laboratori e performance artistiche così come il suggestivo ambiente
delle Cellette. Il Palazzo della Sibilla, dotato di tecnologie
d'avanguardia, è diventato un Centro Congressi di rilevanza
internazionale. Nel Piazzale del Maschio viene allestito ogni estate un
teatro all'aperto con oltre 600 posti numerati, per un cartellone ricco
di eventi. Grazie alla valorizzazione degli spazi è capace di offrire al
pubblico un insieme di "contenitori culturali" di alto prestigio. A
questo si aggiunge il grande
interesse paesaggistico grazie ai suoi camminamenti, agli spalti e alle
balconate che offrono al visitatore una passeggiata aperta su un
panorama mozzafiato che abbraccia, in un colpo d'occhio, il mare e i
monti, la città e il suo porto. Si erge con la sua grande mole e vi si
può accedere da una sola grande rampa d’accesso. Due le piazze
principali: il Piazzale del Maschio che è anche il punto più alto del
complesso e il Piazzale della Sibilla dove si trovano gli scavi
archeologici riguardanti l'antica cattedrale demolita nel 1595.
Fortificazioni e rocche di Verona e provincia: il Castello di Illasi
Da veronasera.it
del 11 ottobre 2016
Restauro
Il primo documento che ne attesta l'esistenza è datato 971, ma alcuni
ritrovamenti relativamente recenti fanno pensare che fosse anche più
antico e che proteggesse un villaggio. La cinta muraria esterna ha una
forma circolare e al suo interno sono presenti il mastio e il cassero,
il primo era l'abitazione dei signori del castello, mentre il secondo
era una sorta di caserma per le forze armate. Sono presenti anche i
resti di una chiesa e di un cimitero, di cui è stata accertata la
presenza anche grazie ad alcuni documenti. La sua storia ricalca un po'
quella di altre fortificazioni del territorio, nate come strutture
difensive e poi passate di mano in mano, diventando delle residenze
senza più scopi militari. Castello scaligero dalla fine del '200, grazie
ad una donazione, fu proprio sotto i della Scala che questo manufatto
conobbe il massimo splendore, poi offuscato dai Visconti e dai veneziani
e infine incendiato all'inizio del '400.
Attualmente è
proprietà della famiglia Sagramoso-Pompei e proprio i Pompei furono
i feudatari che dal '500 in poi vissero nel castello fino all'arrivo di
Napoleone. Purtroppo, non essendo pubblico, il castello non è
visitabile e lo si può ammirare solo da fuori. Particolarmente
suggestiva poi è la leggenda che vuole che il castello di Illasi sia
infestato da un fantasma, di cui si possono sentire i lamenti in un
particolare periodo dell'anno.
Fortificazioni dal mare a porto Tolle
Da larena.it del
10 ottobre 2016
(ANSA)
- VENEZIA, 10 OTT - Il Delta del Po dopo un secolo,
restituisce reperti della Grande Guerra. Sullo scanno di
Bonelli a Porto Tolle (Rovigo) sono emersi i resti di
fortificazioni militari, denominati "batterie" che la
sabbia per molti anni ha custodito.
Lo ha annunciato Isabella Finotti, Guida Ambientale
Escursionistica e Consigliere Nazionale
dell'Associazione Italiana Guide Escursionistiche
Ambientali. "Dalle dune vive, alle dune fossili,
entrambi testimonianze di un territorio in continua
evoluzione - ha detto Finotti - ecco che sotto le chiome
dei pini, come dei fantasmi abbiamo ritrovato i fortini,
liberati da radici che li imbrigliavano, ora sono lì a
ricordarci dell'ultimo conflitto mondiale. In questo
caso su antiche spiagge oggi arretrate, a poca distanza
dall' antica tenuta degli Estensi a Mesola".
Con le Guide Ambientali Escursionistiche, figure
professionali in grado di raccontare il territorio in
tutte le sue caratteristiche, è possibile recarsi in
questi luoghi vederli, conoscerli e capire la storia.
Paura del
terrorismo, negli Usa è “corsa al bunker” (per i ricchi)
Da interris.it del
27 settembre 2016
In
America la paura fa novanta e – chi può – corre a ripari
acquistando… un bunker. Le divisioniinterne causate da elezioni presidenziali controverse, le
sparatorie di massa e – soprattutto – gli attentati terroristici
dentro e fuori gli Stati Uniti, stanno spingendo i ricconi di Los
Angeles (in California) a costruirsi dei ripari antiatomici sotto i
giardini delle ville di Bel Air o Beverly Hills, tanto che il
mercato del settore sta vivendo – è il caso di dirlo – un vero e
proprio “boom”.Gary
Lynch, general manager di Rising S Bunkers, società texana
specializzata nella realizzazione dei famigerati bunker delle star
del cinema (e non solo), ha spiegato ai giornalisti del magazine
Hollywood Reporter che le vendite nel segmento del lusso sono
aumentate in un anno del 700%, e in generale del 150%. In
particolare, chi ne usufruisce sono soprattutto attori, sportivi e
politici. “Ogni volta che c’e’ un panorama politico turbolento,
conclude, il settore registra un picco nelle vendite”. “Bill Gates
ha enormi rifugi sotto ognuna delle sue case, a Rancho SantaFe e Washington. Per questi ricchi, qualche milione non è
nulla, è solo una nuova forma di assicurazione”, ha rivelatoRobert Vicino, fondatore di una società’ che costruisce
bunker in Indiana. Il prezzo per assicurarsi sonni tranquilli? Dai
“miseri” 39 mila dollari agli oltre 8 milioni. Un po’ troppo, dopo
tutto.
Fenestrelle: meraviglie della grande muraglia piemontese
Da europinione.it
del 6 ottobre 2016
Costruita
a partire dal 1728 per ordine del re Vittorio Amedeo II, la fortezza è
la seconda costruzione militare più lunga del mondo (preceduta dalla più
famosa Muraglia Cinese). Ma la lunghezza non è la sua unica peculiarità:
essa è costituita da otto opere difensive, ognuna progettata con uno
scopo miliare ben preciso, e la sua superficie complessiva occupa uno
spazio di circa 1,350,000 metri quadri. Un’ampiezza tale da renderla la
più grande fortezza alpina d’Europa. Tutte le otto strutture sono
attraversate da collegamenti sia interni che esterni; tra questi ultimi
si distingue la cosiddetta “scala coperta”, un percorso di 4000 scalini
protetti da mura spesse che s’inerpicano sul pendio della montagna per
oltre due chilometri, fino ad arrivare al punto più alto della
struttura: il Forte delle Valli a quota 1800 metri. Una vera e propria
maestosità architettonica la cui storia è interessante almeno quanto la
sua particolare costruzione. Nasce come forte francese voluto nel 1692
dal Re Sole a causa del fatto che la Val Chisone e il suo restringimento
nella zona di Fenestrelle mettevano in una situazione di svantaggio
l’esercito francese, intento a proteggere il confine con il Ducato di
Savoia. Nell’agosto del 1708 le truppe di Vittorio Amodeo II
conquistarono il forte francese (chiamato Fort
Mutin) che, tuttavia, fu ritenuto
insufficiente a causa delle sue dimensioni ridotte. Tutto attorno
alla struttura il re incaricò l’ingegnere militare Ignazio Bertola di
progettare un complesso di fortificazioni che proteggesse la pianura
torinese da eventuali contrattacchi francesi. Durante il fascismo
il complesso venne usato come prigione e dopo la seconda guerra mondiale
venne abbandonato. Solo a partire dal 1990, grazie all’Associazione
progetto San Carlo Onlus, è iniziato il recupero della struttura che, al
giorno d’oggi, può essere considerata
uno dei maggiori luoghi d’interesse della zona.
Al suo interno vengono organizzate visite guidate, eventi culturali e lo
spettacolo teatrale itinerante “Antiche
Mura”, una suggestiva rievocazione
notturna per raccontare la storia e i segreti della grande fortezza.
Apertura
al pubblico del bunker anti-aereo
Da
ilgiornaledivicenza.it del 7 ottobre 2016
Dal
Un'apertura al pubblico per presentare il bunker
"Albergo Savoia". É in programma domenica dalle16 alle 18. Il bunker è stato recuperato
a fine agosto dagli alpini di Recoaro con le
associazioni "Le Guide" e “ViviRecoaro” e la
collaborazione della pro loco. La galleria in
cemento armato, lunga 85 metri, fu costruita nel
1944 a servizio del quartier generale tedesco
del gruppo di armata "C" in Italia e utilizzata
fino al bombardamento aereo del 20 aprile 1945.
Il rifugio antiaereo si trova in corrispondenza
dell'albergo Savoia ed è uno dei tanti bunker
antiaerei realizzati a Recoaro. Il più celebre è
quello di Kesserling che si trova alla terme
centrali e durante l'estate è visitabile. Il
bunker è stato ripulito dal materiale che si era
accumulato per 70 anni e che aveva parzialmente
coperto gli ingressi. La struttura al momento
non potrà essere visitabile liberamente perché
non è stata messa in sicurezza.
Per quello si dovrà aspettare
il finanziamento del Gal che dovrebbe consentire
l'apertura del bunker e della galleria Gaspari
pulita lo scorso anno sempre da volontari.
L.CRI.
Russia: USA affila armi nucleari contro Mosca. Al via mega esercitazione
nei bunker antiatomici
Da mainfatti.it del 6 ottobre 2016
La tensione tra Stati Uniti e
Russia continua a salire. Il Ministero francese della Difesa ha infatti
reso noto attraverso un comunicato che il 22 settembre scorso due
bombardieri russi Blackjack sono stati intercettati da 4 Paesi membri
della NATO mentre volavano sulla costa atlantica, dalla Norvegia alla
Spagna e viceversa. I caccia di Norvegia, Gran Bretagna, Francia e
Spagna (due per ogni Paese) si sono alzati in volo, ma solo quando i jet
russi erano ormai in prossimità dei rispettivi spazi aerei. Anche se in
pochi lo fanno notare, il problema è che i due bombardieri russi sono
stati intercettati solamente quando erano già vicini a Norvegia, Gran
Bretagna, Francia e Spagna il che vuol dire che, in caso di guerra, la
Russia molto probabilmente sarebbe riuscita a bombardare, perlomeno, le
coste di questi Paesi. L'incursione dei due caccia è inoltre avvenuta lo
stesso giorno in cui il Ministero degli Esteri islandese si è lamentato
per il fatto che dei bombardieri Tupolev (nome russo dei Blackjack)
hanno voltato tra i 1.800 e i 2.700 metri sotto un aereo di linea in
volo da Reykjavik a Stoccolma. L'Islanda denunciò inoltre che i caccia
avevano spento i loro transponder, il che li rende invisibili ai radar
degli aerei di linea. Questo clima considerato finora da guerra fredda
rischia però di arroventarsi. La scorsa settimana Zvezda, un media a
livello nazionale gestito dal Ministero della Difesa russo, ha infatti
riferito che "gli schizofrenici americani stanno affilando le armi
nucleari contro Mosca". In sostanza, il Cremlino ha avvertito i
cittadini che una guerra contro l'Occidente potrebbe essere imminente
tanto che venerdì scorso è stato ricordato che la Russia possiede rifugi
sotterranei (bunker antiatomici) in grado di ospitare 12 milioni di
persone, un numero sufficiente per tutta la popolazione di Mosca. E
tanto per non arrivare impreparati, dal 5 al 8 ottobre la Russia sta
evacuando più di 40 milioni di persone nel corso di una esercitazione in
vista di una guerra nucleare. Il ministero della Protezione Civile
spiega infatti che l'esercitazione sarà suddivisa, in questi 4 giorni,
in tre fasi e coinvolgerà oltre a 40 milioni di persone anche 200.000
specialisti della unità di soccorso oltre a 50mila attrezzature.
Interessante ricordare come anche la Germania sia pronta ad attuare il
primo Progetto di Protezione Civile (Civil Defense Concept) dai tempi
della guerra fredda. In base a questo piano, i cittadini tedeschi
saranno invitati per esempio a mettere da parte scorte di cibo ed acqua
potabile, e ad avere a disposizione un generatore di corrente, del
denaro contante ma anche medicine e attrezzature di primo soccorso.
Tutto questo per mettere in sicurezza la popolazione "in caso si
diffonde una nuvola radiottiva" o ci fosse un attacco biologico o
chimico. La Germania inoltre starebbe pensando anche di ripristinare la
coscrizione. Sante Mapelli Morro
Cosa
vogliono farne dei Bunker
Da elzeviro.eu del
6 ottobre 2016
E' annosa la questione della
salvaguardia di queste opere di difesa militari (della II guerra
mondiale), ma ci sono novità...negative! A Siracusa, sulla costa della
splendida Riserva Naturale del Plemmirio, degli appassionati di
archeologia militare hanno segnalato (al fine di un intervento pubblico
che ne tutelasse la salvaguardia) alla locale Soprintendenza la
paventata, prossima demolizione di tre bunker prospicienti alla costa.
La risposta, secondo quanto riportato dai canali d'informazione online,
sarebbe stata: "è stato avviato il procedimento per il riconoscimento di
interesse culturale, ma non ci sono altre soluzioni al di fuori
dell'abbattimento dei bunker pericolanti, perchè c'è alto rischio per
l'incolumità pubblica. Altrimenti bisognerebbe effettuare interventi
altamente invasivi sulla costa." Siamo nel 2016, e "stiamo avviando il
procedimento"? Logico che parecchi bunker, dopo 73 anni dalla fine della
guerra in Sicilia, diventino "pericolanti", specie quelli che si trovino
"a mollo". Perdonino però i tecnici: non si potrebbero consolidare le
basi per mantenerli (non certo "raddrizzarli") nelle attuali condizioni
di equilibrio statico? Non si tratta di uno sfregio alla natura visto
che ormai fanno parte (sono pure mimetizzati ed esteticamente gradevoli)
del paesaggio costiero (in questo specifico caso).
Peraltro i costi
per "tenerli su" non possono essere tanto superiori a quelli
della demolizione, considerando la difficoltà di accesso ai siti ed il
"peso" di queste opere in calcestruzzo. La vicenda dei bunker in
pericolo nel Plemmirio è indicativa. Non è vero, inoltre, che si fanno
"sparire" solo quelli "pericolosi": ogni appassionato sa che non è cosi
e cerca come può di porre rimedio. In conclusione: queste opere di
archeologia militare, altrove salvaguardate e sfruttate
per fini storico-ambientali con evidenti ricadute turistiche, da noi (in
Sicilia specialmente) sono abbandonare a se stesse, si spera "solo" per
incuria delle competenti autorità ed istituzioni. Si dica una volta per
tutte, mezzo stampa od ufficiale, cosa se ne intende fare!
40
Milioni di Russi alle “Prove di un Disastro Nucleare” … qualche giorno
dopo che gli USA hanno parlato di Guerra con Mosca
Da
comedonchisciotte.org del
5 ottobre 2016
Ecco
come si sgretolano le relazioni tra Russia e USA per effetto della
escalation di una guerra per procura in Siria, che oggi ha raggiunto il
suo apice con lo stop dato da Putin al negoziato con gli USA per lo
smaltimento del Plutonio, poco prima che il Dipartimento di Stato USA
annunciasse che avrebbe bloccato i negoziati , con la Russia, sulla
Siria: Domani, per la prima volta, 40 milioni di cittadini russi, oltre
a 200.000 specialisti delle ”divisioni della protezione civile” e di
50.000 macchinari prenderanno parte ad una dimostrazione della
protezione civile su evacuazione in caso di disastri, come si legge sul
sito Web del Ministero della Protezione Civile russo.
Secondo il ministero, una
esercitazione della protezione civile coinvolgerà tutte le autorità
esecutive federali, regionali e dei governi locali di tutta la Russia
con il nome “dimostrazione della protezione civile in caso di grande
disastro naturale o causato dall’uomo nella federazione russa”, che avrà
luogo da domani, fino al 7 ottobre. Dato che il Ministero non specifica
a che tipo di “disastro causato dall’uomo” si stia riferendo, da dover
movimentare ben 40 milioni di russi e da farli prendere parte ad una
esercitazione di emergenza, cercheremo di comprendere – dalle linee
guida della emergenza – a cosa si stia “preparando” la Russia.
Il sito aggiunge che
“l’obiettivo principale dell’esercitazione è mettere alla prova
l’organizzazione della gestione degli eventi della protezione civile e
della gestione delle emergenze degli incendi, per verificare il grado di
preparazione delle istituzioni e delle forze della protezione civile a
tutti i livelli, in caso di disastri naturali o artificiali e per
mettere in atto le misure di protezione civile”.
Oleg Manuilov, Direttore
del Ministero della Difesa Civile ha spiegato che questa esercitazione
sarà una prova di come la popolazione dovrà rispondere ad un “disastro”
in una situazione di “emergenza”. Maggiori dettagli sull’esercitazione ,
sulle Fasi 3- 4:
Fase I :
Organizzazione delle azioni di difesa civile In questa fase di notifica
saranno convocati gli alti funzionari esecutivi delle autorità federali,
regionali, dei governi locali e delle forze di protezione civile, per
implementare il sistema di gestione della protezione civile a tutti i
livelli e per stabilire il metodo di comunicazione e notifica della
protezione civile. Dopo che il Centro Nazionale di Gestione Crisi avrà
dato l’allarme a tutti gli organi di gestione, verranno allertate le
autorità statali, le forze e le strutture di servizio e la popolazione
utilizzando tutti i sistemi di notifica disponibili.
Fase II : Programmazione e
l’organizzazione delle azioni di difesa civile. Preparazione di una
squadra di difesa civile e delle strutture necessarie per rispondere a
grandi calamità e incendi La fase prevede di implementare una
inter-agenzia mobile multifunzionale tra le forze di protezione civile e
le strutture di ogni distretto federale, per portare soccorsi e altre
operazioni urgenti, per mettere in atto azioni di protezione civile e
per dislocare speciali unità di protezione civile nei territori
costituenti; mettendo in stand-by unità militari di soccorso, divisioni
del servizio antincendio federale e unità di soccorso. Questa fase
prevede di costituire una squadra, di attivare centri di controllo di
backup e di raccogliere e scambiare informazioni nel settore della
protezione civile.
Fase III : Organizzazione
della gestione di azioni della protezione civile e delle altre forze per
rispondere a grandi disastri e incendi. Questa fase si occuperà di
gestire l’utilizzo delle squadre di protezione civile che contrasteranno
grandi calamità e incendi, creeranno centri di controllo aerei e mobili,
controlleranno lo stato delle strade per permettere l’evacuazione della
popolazione, organizzeranno i servizi vitali; daranno il via alle unità
di soccorso dei vigili del fuoco federali e dirigeranno le operazioni di
monitoraggio nei siti potenzialmente pericolosi, lavorando a stretto
contatto con le amministrazioni territoriali.
Fase IV : L’esercitazione
metterà alla prova le protezioni dalle radiazioni, chimiche e biologiche
a cui potrà essere esposto il personale e la popolazione in caso di
emergenza presso strutture vitali e potenzialmente pericolose. Saranno
controllati anche i sistemi di sicurezza antincendio, di protezione
civile e di protezione umana delle istituzioni sociali e degli edifici
pubblici. Saranno allestite unità di risposta e centri di monitoraggio
radiologico, chimico e biologico e testati i messaggi igienico-sanitari
da inviare alle aree di emergenza e alle reti di controllo dei
laboratori in stand-by.
Il fatto che tra le misure
preposte sia prevista una squadra di protezione civile per “disastri e
incendi” e dei test per le “radiazioni, chimiche e per la protezione
biologica”, è come una dichiarazione che la Russia sta mettendo in atto
la sua più importante esercitazione di guerra nucleare, mai avvenuta
dopo la fine della guerra fredda. Perché ora? Forse perché, oltre al
forte deterioramento delle relazioni tra la Russia e l’Occidente – le
tensioni sono ormai ai livelli della guerra fredda – un’altra risposta
può venire da Joseph Dunford, Presidente del Joint Chiefs of Staff, che
la settimana scorsa ha lanciato un monito al Congresso sul fatto che una
No Fly Zone in Siria, come proposta recentemente da John Kerry, e il
voler mettere al centro di tutto la strategia di politica estera di
Hillary, si tradurrebbe in una terza guerra mondiale.
Durante una sua
testimonianza al Senate Committee on Armed Services, la scorsa settimana
il Gen. Joseph Dunford ha suonato l’allarme sul fatto che il cambiamento
politico che sta guadagnando consensi all’interno delle sale di
Washington, dopo la fine del cessate il fuoco mediato degli Stati Uniti
e della Russia, in Siria, potrebbe tradursi in una grande guerra
internazionale e che per questo motivo (lui) non sarebbe disposto ad
appoggiare la proposta per una No.Fly Zone, chiesta dal Sen. Roger
Wicker, del Mississippi, su proposta di Hillary Clinton, come risposta
alle dichiarazioni della Russia e della Siria che hanno intensificato i
bombardamenti aerei dei ribelli della zona orientale di Aleppo, dopo la
dichiarazione del cessate il fuoco.
«E che cosa ne pensa della
possibilità di controllare tutto lo spazio aereo per evitare che si
buttino altre bombe? Cosa ne pensa di questa opzione?” – ha chiesto
Wicker – “In questo momento, Sig. Senatore, per noi controllare lo
spazio aereo della Siria vorrebbe dire andare in guerra contro la Siria
e contro la Russia. Si tratta di una decisione abbastanza determinante
che certamente io non ho intenzione di prendere”, ha detto il Presidente
dei Capi di Stato Maggiore, intendendo che quel tioi di politica è
sembrata troppo aggressiva, anche per i capi militari.
Tanto per ricordare,
Hillary Clinton ha sostenuto fortemente una NO-Fly Zone sin da ottobre
2015, subito dopo l’iniziato della campagna di bombardamenti aerei russa
per mantenere la stabilità del governo siriano. “Io personalmente
sosterrei fin d’ora una No Fly Zone e corridoi umanitari per cercare di
fermare la carneficina da terra e dal cielo, per cercare di capire che
cosa sta accadendo e per cercare di arginare il flusso di profughi ”
disse la Clinton in un’intervista alla NBC a ottobre 2015. Nonostante
questi moniti, l’ex Segretario di Stato – e ora candidata presidenziale
-mantiene la sua nota posizione aggressiva verso un cambio di regime e
tutto ciò che riguarda la Russia ed ha continuato a sostenere questi
punti, che stanno guadagnando consensi, nelle ultime settimane, fra i
più alti diplomatici USA.
Ma la Clinton non è la
sola: come ha scritto il WSJ a giugno, più di 50 diplomatici USA hanno
firmato una nota di dissenso, chiedendo che l’amministrazione Obama si
impegnasse in opzioni militari contro Assad, come ad esempio proclamando
una NoFlyZone, se non addirittura un attacco diretto contro il regime
siriano. La motivazione dei diplomatici è che la situazione in Siria
continuerà a peggiorare senza un’azione diretta da parte dei militari
USA, una argomentazione di dubbia legalità, se intrapresa
unilateralmente, senza nessuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite. Come scrive Sputnik, però l’ambasciatore americano
all’ONU Samantha Power ha già buttato le basi per far applicare il
“diritto di proteggere”, la controversa teoria di diritto
internazionale, in cui si sostiene che l’opposizione russa a questa
risoluzione dovrebbe essere ignorata, in quanto la Russia è una parte
nel conflitto. La Russia, a sua volta, ha replicato che, se il regime di
Assad dovesse cadere sarebbero i gruppi terroristici, tra cui l’ ISIS e
al-Nusra che, probabilmente, colmerebbero il vuoto di potere che
scenderebbe sul paese e lo trasformerebbe ancor di più in un grande
porto del terrorismo internazionale.
In ultima analisi, il
conflitto siriano è fondamentalmente dovuto al passaggio e al trasporto
dell’energia, e se la Russia debba mantenere – o no – il suo dominio
sulle importazioni di gas naturale verso l’ Europa, o se – una volta
deposto il regime siriano – si potrà costruire una conduttura di gas
naturale del Qatar – attraverso la Siria – per arrivare in Europa. Per
quanto riguarda l’esercitazione per la guerra nucleare in Russia,
possiamo solo sperare che certe idee su una guerra nucleare rimangano
solo nel regno della pura teoria. Fonte:
http://www.zerohedge.com/
traduzione di Bosque Primario
Castel
Gandolfo: il torrione della Via Appia perde i pezzi, area delimitata
Da ilcaffe.tv del
5 ottobre 2016
Sul posto qualche giorno
fa sono intervenuti i tecnici e gli operai dell'Anas per delimitare
l'area pericolante per caduta massi.
Alla problematica si è
interessato anche l'assessore all'ambiente e decoro urbano di
Castelgandolfo Alberto De Angelis, che ha fatto un sopralluogo sul posto
per esaminare la situazione e prendere le dovute precauzioni al riguardo
per la sicurezza dei cittadini, automobilisti e passanti.
Il Torrione di via Appia
risale al secondo secolo dopo Cristo ed è una delle tante tombe romane
disseminate sulla via Appia, di interesse storico ed archeologico.
E' stato anche interessata
la soprintendenza alle Belle Arti del Lazio. L.S.
Ordigni
bellici nel cantiere del Mose: off-limits un area di un chilometro di
diametro
Da veneziatoday.it
del 5 ottobre 2016
Tutti
schierati in laguna mercoledì mattina per le operazioni di rimozione di
due residuati bellici ritrovati nell'area dei cantieri del Mose, nei
pressi di forte San Felice, tra Ca' Roman e Sottomarina. La rimozione
degli oggetti pericolosi era stata disposta nei giorni scorsi e
programmata a partire dalle 11 del 5 ottobre, con durata prevista di due
ore: sul posto si sono portati uomini dell'esercito, della capitaneria
di porto, polizia, carabinieri e personale sanitario. Per l'occasione la
guardia costiera ha emanato un'ordinanza per la necessità di prevenire
eventuali incidenti e "a salvaguardia della sicurezza della navigazione
e della pubblica incolumità". Le operazioni di recupero, spostamento e
successivo brillamento degli ordigni sono avvenute tramite mezzo nautico
del nucleo S.D.A.I. (sminamento difesa antimezzi insidiosi) di Ancona,
assistito da un ulteriore natante segnalato con lampeggiante blu e altre
unità appartenenti alle forze dell’ordine. Dalle 11 alle 13, di
conseguenza, nell'area interessata le imbarcazioni devono procedere alla
minima velocità necessaria per la manovra di governo, comunque tale da
non creare movimenti ondosi che disturbino le operazioni. Inoltre
durante le operazioni di brillamento lo specchio acqueo di forma
circolare e raggio di 500 è interdetto a navigazione, sosta, ancoraggio
edesercizio di qualsiasi attività di pesca, immersioni o mestiere
marittimo.
Il
Demanio chiede al Comune una lista dei presidi da salvare
Da
cittadellaspezia.com del 4 ottobre 2016
La Spezia - Una ricognizione
per aprire la strada verso nuovi finanziamenti che potrebbero arrivare
dallo Stato e dall'Europa. E' per questo motivo che il Demanio ha
chiesto una lista di beni sul territorio comunale della Spezia e
l'Amministrazione, attraverso l'assessore e vicesindaco Ruggia, ha già
fatto la sua lista. Le realtà messe in evidenza dal Comune sono molto
conosciute ma quella che spicca su tutte è la storica Pieve di Marinasco.
Questo storico presidio lotta con il tempo dal Decimo secolo e negli
ultimi anni la sfida è stata quella di strapparla alla rovina totale.
Trattandosi di uno degli edifici più antichi del territorio è stata la
prima ad essere messa in lista dal Comune che nel censimento ha inserito
anche le fortificazioni Parodi, Montalbano, le batterie Valdilocchi e
Caporacca e le mura ottocentesche. La redazione di questa lista apre per
la città nuove prospettive che con la riqualificazione di queste zone
potrebbe puntare ad una nuova spinta anche per il turismo. "L'agenzia
del Demanio - ha spiegato Ruggia che ha seguito tutta l'operazione ai
taccuini di CDS - ha chiesto una ricognizione di quei beni che hanno
rilevanza anche culturale nel territorio. Con questa richiesta il
Demanio sta conducendo una schedatura per, speriamo, attingere ad una
serie di finanziamenti". Attualmente per la Pieve di Marinasco sono già
stati finanziati dalla Curia 400mila euro anche se il valore dell'intero
progetto di riqualificazione ammonta a 1milione e 300mila euro. In
particolare, costituisce uno dei più importanti poli di attrazione
situati lungo l'Alta Via dei, Golfo, percorso collinare che partendo
dalla foce del Magra consente di raggiungere Porto Venere situato
all'altra estremità del Golfo della Spezia, e connesso al sistema di
fortificazioni collinari. La chiesa attualmente è chiusa a causa di
dissesti e crolli parziali, ma è oggetto di un un intervento di
consolidamento generale che, una volta ultimato, ne consentirà la
riapertura al pubblico. CHIARA ALFONZETTI
"La
Grande Guerra da ponte a Ponte": all'insegna della scoperta del
paesaggio sulla Piave
Da trevisotoday.it
del 4 ottobre 2016
Domenica 9 ottobre 2016 i Comuni di Sernaglia, Vidor,
Moriago e Susegana saranno uniti in un evento che
promuove il percorso storico-emozionale "La Grande
Guerra da Ponte a Ponte". Il percorso "La Grande Guerra
da Ponte a Ponte" è un progetto finanziato dalla Regione
Veneto nel 2012 e dai quattro comuni in occasione della
commemorazione del Centenario della Grande Guerra:
trincee, bunker, gallerie, e grotte presenti lungo la
Piave sulla prima linea Austro-Ungarica dal Ponte della
Priula al Ponte di Vidor sono stati recuperati, messi in
sicurezza e collegati attraverso un percorso segnalato.
L'Associazione Da Ponte a Ponte, nata allo scopo di
promuovere il percorso, organizza l'evento "La Grande
Guerra Da Ponte a Ponte", invitando tutte le
associazioni presenti nei 4 comuni ad accogliere i
visitatori e spiegare loro le peculiarità del
territorio. Ogni anno l'epicentro dell'evento cambia di
comune in comune: quest'anno il centro della
manifestazione sarà il Comune di Sernaglia della
Battaglia, a Falzè di Piave presso il parco al passo
barca. Qui si troverà l'info point per la distribuzione
di materiale informativo, ed avranno luogo diversi
appuntamenti durante tutta la giornata: spiegazioni
storiche sulla Grande Guerra, cerimonia istituzionale
con coro degli alunni delle scuole elementari, pranzo
sulle rive della Piave,, passeggiate sul Passo Barca, le
Volpere, le ex fornaci, il monumento agli Arditi, i
bunker della Prima Guerra Mondiale. Un vecchio
laboratorio di giunco ospiterà la mostra "Pezzi" in un
percorso espositivo su due livelli: le testimonianze del
passato come la produzione di oggetti ritrovati quasi
casualmente in questo luogo, e la rilettura in chiave
moderna dei monumenti storici del Comune da parte degli
studenti della scuola secondaria, un esempio di come i
giovani elaborino e vedano
il
tema della Grande Guerra
, proponendo opere totalmente diverse e originali. Nel
pomeriggio ci saranno laboratori didattici per bambini,
riflessioni sul tema della Piave e sul futuro di questo
fiume così fragile e maltrattato, insieme a coloro che
da anni si prodigano per farlo sopravvivere. A chiusura
dell'evento ci sarà la proiezione di "Chiamala Piave" un
breve documentario che raccoglie le interviste alle
persone che vivono ed hanno vissuto la Piave, e di come
questo fiume sia cambiato negli anni. A Fontigo il
Centro di Educazione Ambientale "Media Piave" sarà
aperto alla mattina dalle 9 alle 11,30, con spiegazioni
sui reperti raccolti nella parte di museo dedicata alla
Grande Guerra. A Colfosco di
Susegana la
passeggiata dalla chiesa di Sant'Anna partirà alle 9,00:
tra i punti nascosti e suggestivi, in un bosco, si trova
una grotta usata dall'esercito Austro-Ungarico come area
di ricovero per i militari. Un'escursione in mezzo alla
natura che riporta indietro nel tempo. In zona villa
Jacur vi sono inoltre ponti dell'epoca romana, a
testimonianza di una storia ancora più antica A Vidor alle 9,00 si
partirà da Piazza Zadra alla scoperta del Col Castello,
Col Marcon con storie del castello e della grande guerra
e l'abbazia di Santa Bona con visite al parco, alla
chiesa ed al chiostro . A Moriago dalle 9,00 alle
11,30 presso il parco dell'Isola dei Morti verranno
raccontate le vicende che hanno reso sacro questo luogo
e le storie dei monumenti che si trovano all'interno. Si
consiglia di attrezzarsi con abbigliamento sportivo e
scarpe da trekking. Questa Iniziativa viene realizzata
con il contributo della Regione del Veneto, ai sensi
della legge regionale 1/2008, art. 102, nell'ambito del
programma per le commemorazioni del centenario della
Grande Guerra. Per maggiori informazioni potete
consultare il sito:
www.ww1daponteaponte.com o la pagina fb ww1 da
ponte a ponte
La Terra Santa delle fortezze
Da avvenire.it del
2 ottobre 2016
Tanti
visitatori moderni attraversano la Terra Santa
privilegiando giustamente i luoghi biblici strettamente
intesi, per poi tuttavia ripartire senza avere colto
tanti aspetti della storia di questa regione fra il 1099
e il 1291 (dalla conquista di Gerusalemme alla caduta di
S. Giovanni d’Acri, ultimo baluardo della cristianità
latina orientale), date di inizio e fine della presenza
crociata, ricca di significati e personaggi straordinari
pur essendo stata resa possibile da un’idea della
'guerra santa' che la Chiesa ha da tempo ripudiato.
Eppure i Luoghi Santi oggi visitati da pellegrini e
turisti hanno quasi tutti l’aspetto creato nel Medioevo,
soprattutto durante i due secoli di occupazione
crociata; anche dove edifici di epoche precedenti hanno
conservato una parte rilevante dell’aspetto originario,
o altri di epoche successive sono stati sovrapposti, il
dominio della cristianità occidentale nei secoli XII e
XIII ha lasciato tracce di varia profondità e ben
visibili, alle quali si aggiungono quelle che la ricerca
archeologica riporta continuamente alla luce. Dalla
conquista di Antiochia alla fine dell’XI secolo, fino al
termine della presenza latina, l’attività costruttiva o
anche di semplice riparazione e manutenzione degli
edifici ha dato un’impronta indelebile a questa terra,
grazie a un’opera incessante svolta dai crociati veri e
propri ma anche dagli altri cristiani (soprattutto
pellegrini), i quali spesso si vedevano promettere
benefici spirituali in cambio anche di semplice
manovalanza nelle fortezze. Merito condiviso nel campo
avverso, dove nemmeno i sultani disdegnavano di farsi
manovali per onorare la propria fede nei cantieri dei
castelli, propri o tolti al nemico. Il castello
medievale dei secoli XI-XIII non è generalmente
rappresentato in maniera realistica nell’arte del suo
tempo, che è simbolica e stilizzata: infatti l’edificio
eretto a scopo militare è spesso raffigurato mediante
una semplice torre, talvolta poche di più, e con una
singola cortina muraria. Inoltre, fra noi e il castello
medievale si interpone il luogo comune che lo fa spesso
immaginare come una reggia fortificata con accenni
stilistici 'disneyani', ricca di arredi e ornamenti
pregiati fra i quali si aggirano personaggi agghindati
alla moda del tempo. Abbigliamento degli occupanti a
parte, in realtà questi castelli erano severe macchine
da guerra: sobrie e funzionali, appena ingentilite dalle
inevitabili dotazioni di edifici sacri e botteghe
artigianali, per le necessità spirituali e materiali
della guarnigione e delle relative famiglie. Rarissimi
gli abbellimenti scultorei e i mosaici, poco frequenti
gli affreschi, almeno a giudicare dalle scarse parti
sopravvissute: qualcosa di più si è conservato nel
siriano Crac des Chevaliers, il quale però era poco meno
che una città fortificata e ospitava attività variegate,
soprattutto servizi per la guarnigione. Per conoscere
meglio questa realtà conviene allora partire dalle
cronache e dalle opere letterarie anteriori al più
delicato mondo cortese, nelle quali sono rarissimi i
riferimenti alla bellezza e alle comodità dell’edificio,
giudicato piuttosto per la sua efficienza militare. Ed è
proprio la severa, marziale sobrietà a rendere
affascinanti questi castelli, anche oggi quando sono
ridotti a rovine. Nell’Oriente dei crociati, in
inferiorità numerica rispetto alle inesauribili risorse
demografiche dei popoli arabo-turchi, il castello era
un’arma indispensabile sia per la difesa sia per dare
sostegno logistico alle campagne di conquista di
territori a loro volta bisognosi di sicurezza: era
infatti impossibile, una volta delimitata una frontiera
con l’islam, presidiare un confine continuo e le poche
truppe disponibili avevano bisogno di punti fortificati
sparsi dai quali controllare il nemico, effettuare
qualche puntata esplorativo-offensiva e, in caso di
minaccia, accogliere dietro solide mura le popolazioni
del territorio invaso e le necessarie scorte di acqua,
viveri (anche per il bestiame) e armi. La strategia del
regno crociato prevedeva che i grandi eserciti nemici,
quasi sempre superiori nel numero, fossero semplicemente
tenuti a bada evitando lo scontro campale che, in caso
di sconfitta cristiana, avrebbe causato la caduta di
innumerevoli città e castelli; infatti, mentre i signori
musulmani di Egitto e Siria disponevano di riserve umane
e materiali illimitate, oltre che di linee di
comunicazione più brevi e sicure, i cristiani erano a
corto di tali risorse e ogni perdita di uomini, cavalli,
armi e fortificazioni era difficilmente compensabile,
considerata la difficoltà di far affluire rinforzi lungo
le rotte mediterranee o le vie dei Balcani e dell’Asia
Minore, queste ultime progressivamente chiuse. Inoltre,
quando si trattava di affrontare il nemico in battaglia
campale, le guarnigioni dovevano raggiungere l’esercito
del regno; e quando questo venne annientato ad Hattin
presso il lago di Tiberiade nel 1187, i castelli,
rimasti pressoché indifesi, caddero l’uno dopo l’altro
come pedine del domino, spesso per fame o dopo aver
accettato l’ultima offerta del nemico, che prometteva la
libera e sicura evacuazione in cambio della fortezza. Fu
ciò che accadde a La Fève, poco prima di Hattin: allo
sgomento esploratore che cercava compagni e notizie sui
movimenti del nemico, apparvero un portone spalancato,
un edificio abbandonato e una guarnigione costituita da
appena due uomini, che giacevano malati in una stanza.
Nei quasi 200 anni di permanenza crociata, la necessità
di costruire edifici militari o religiosi (spesso non
facilmente distinguibili tra loro, dati i tempi) oppure
di ripararli per eliminare i danni inflitti durante gli
assedi fu la causa principale di un fervore edilizio
raramente eguagliato nella storia.
«1906-1918, un Leone fra Brenta e Cismon» - Di Luca Girotto
Da ladigetto.it
del 2 ottobre 2016
Agli
inizi dello scorso mese di giugno era uscito il libro «La regione
fortezza», decisamente monumentale, scritto da Nicola Fontana ed editato
dal Museo della Guerra di Rovereto, che riportava tutte le
fortificazioni erette in Trentino Alto Adige dall’Impero Austro Ungarico
a difesa dei propri confini sud occidentali, non tanto dall’Italia
quanto dalla Francia. Un totale di 700 pagine che riportavano tutto
quello che c’era da sapere sulle fortificazioni costruite «di qua» del
vecchio confine. Un mese prima veniva presentato un altro volume,
intitolato «1906-1918 Un leone fra Brenta e Cismon», scritto da Luca
Girotto ed editato da Edizioni DBS. Abbiamo citato le due pubblicazioni
perché presentano le evidenti analogie di un medesimo argomento visto da
chi stava al di là e al di qua del vecchio confine. La differenza
sostanziale delle due opere sta nel fatto che la prima raccoglie in
maniera dettagliata «tutte» le fortificazioni del Trentino Alto Adige,
senza però riportare alcun fatto d’arme in cui siano state coinvolte. La
seconda invece parla di una sola fortificazione ma ne riporta tutto ciò
che c'è da sapere. Vale la pena ricordare in proposito che un altro
libro, intitolato «Tappe della disfatta» e scritto dall’ex ufficiale
austriaco Fritz Weber che aveva passato metà della Grande Guerra in uno
dei forti degli altopiani di Folgaria -Lavarone, rappresenta una pietra
miliare per conoscere la guerra tra i forti. Ma poco o nulla si sapeva
dei forti eretti dall’altra parte del confine. Il libro «Un leone fra
Brenta e Cismon» è una grande opportunità per colmare parte di questo
vuoto. A monte di tutto sta il fatto che sia l’Italia che l’Impero
Asburgico, ipocritamente impegnati nella alla Triplice Alleanza,
avevano costruito dei forti a difesa dei propri confini in comune. Ha
cominciato prima l’Impero Austro Ungarico, sia ben chiaro, per i motivi
che abbiamo detto. Ma a fine 800 appariva chiaro ormai a tutti che prima
o poi qualcosa di grosso sarebbe accaduto. Di qui l’iniziativa del Regno
d’Italia che, cercando di non farsi notare (come se fosse stato
possibile), aveva costruito dei forti opposti a quelli austriaci sugli
altopiani. La logica era quella di impedire un’invasione, non
quella di attaccare. Tuttavia, allo scoppio della guerra, i comandanti
non esitarono un solo momento per scatenare i reciproci bombardamenti.
A quale scopo? Nessuno, se non quello di ricoprirsi di gloria come, al
contrario, riuscivano a fare i colleghi impegnati sul fronte
dell’Isonzo. Gli Italiani provarono anche a sfondare la linea dei forti
e quasi ce le fecero, anche se le fasi successive – quelle di avanzare
nel territorio trentino – non erano neanche prese in considerazione
dagli uffici predisposti a pianificare le operazioni. Anche gli
austriaci provarono a sfondare la linea dei forti italiani con l’Offensiva
di Primavera, la Strafexpedition. E loro riuscirono a
mettere in crisi il Regio Esercito Italiano per poco più di un mese,
sfondando le linee per alcune decine di chilometri. Non di più neanche
loro, perché la Grande Guerra non era una guerra di movimento. Solo a
Caporetto vennero cambiate le regole di attacco per iniziativa degli
strateghi tedeschi. Quello che non sapevamo è ciò che accadde nei due
periodi più critici per l’Italia (Strafexpedition e Caporetto, appunto)
sui fronti meno importanti, come quello dove era sorta la serie
«minore» di fortificazioni italiane di cui al libro di Luca Girotto. Tra
la fine dell’800 e il primo decennio del 900, il Regio Esercito aveva
costruito una serie di «tagliate» nei fondovalle dei fiumi Brenta e
Cismon. Poi aveva avviato i lavori per la costruzione di fortificazioni
sulle cime principali dei monti che si trovano tra i due fiumi. Queste
ultime erano costituite da una serie di fortezze finalizzate a resistere
agli attacchi austriaci e sparare con i cannoni da postazioni sicure.
Le costruzioni avvennero in funzione alle disponibilità di bilancio del
Regno d’Italia e secondo le indicazioni del Genio militare
dell’esercito. Nacquero delle opere belle sotto tutti i punti di vista,
dotate ci camminamenti, casematte, depositi di tutti i generi,
generatori di energia elettrica, elevatori per i proiettili, torri
girevoli e torrette a scomparsa. Ma alla fine il tutto era ormai
superato. I nostri militari non avevano potuto tener conto della
capacità devastante dei nuovi giganteschi obici austriaci, i cui
proietti erano in grado di penetrare anche per cinque metri prima di
esplodere. A fronte dei nostri cannoni da 149/35 il nemico
disponeva di mortai da 210, 240, 305, 380 e 420. Gli effetti di queste
armi mostruose vennero alla luce solo al bombardamento di Liegi e Namur,
quando le fortezze belghe (peraltro più resistenti delle nostre) vennero
devastate nel vero senso della parola. Ma altri due errori, uno tattico
e uno strategico, avevano accompagnato le costruzioni fortificate. Il
primo era un errore di concetto. Portare in montagna dei cannoni a tiro
teso e non parabolico rendeva praticamente inutile l’utilizzo
dell’artiglieria, perché non era in grado di sparare oltre le montagne
come invece possono fare i mortai e gli obici. Il secondo era un errore
propriamente bellico. Atteso che le fortificazioni erano per propria
natura difensive, in quanto non in grado di spostarsi, erano
nate sul presupposto che in quel tratto il fronte non sarebbe stato mai
impegnato i grandi battaglie. Quello che non era stato valutato è che
con lo scoppiare del conflitto i due eserciti adeguarono i propri
confini per portarsi in posizioni più difendibili. L’Austria
arretrò le proprie linee e l’Italia avanzò per occupare i territori
abbandonati dal nemico. La conca del Tesino fu occupata dal
Regio Esercito senza colpo ferire, proprio per questo assestamento del
fronte. Ma proprio questo aveva messo fuori gioco i forti eretti tra il
Brenta e il Cismon. La gittata dei cannoni e le tavole di tiro portavano
a postazioni dove ormai c’erano i nostri militari. Resi praticamente
inutili fin dall’inizio, il comando d’armata iniziò pian piano a
disarmare i forti, perché i cannoni da 149 erano indispensabili altrove.
La Stafexpedition della primavera 1916 accelerò i tempi, per cui
mitragliatrici e cannoni vennero trasferiti per far fronte al nemico
sugli altipiani. Un lavoro ciclopico peraltro, perché si trattava di
installazioni fisse, con materiali che pesavano anche tonnellate e
incastonati nelle postazioni. Da notare che al posto dei cannoni, per
trarre in inganno gli austriaci, vennero messi dei tronchi. E, a quanto
pare, il bluff era riuscito.
Quando poi l’emergenza degli altopiani rientrò, le fortificazioni non
vennero riarmate per i motivi che abbiamo visto. Servirono da caserme,
magazzini, stalle e quant’altro. E si arriva al 1917, l’anno di
Caporetto.
Cadorna, superato lo shock iniziale e reagito all’impreparazione allo
sfondamento dell’ala sinistra del fronte isontino, riuscì a impedire che
la ritirata divenisse una rotta, portando l’esercito al riparo sulle
linee naturali del Piave e delle montagne del Grappa e degli altipiani.
Come si può capire, la divisione che occupava la Valsugana, il Tesino e
il Bellunese, dovette ritirarsi in pianura dietro le nuove linee
stabilite dal Comando supremo. E qui si rivelò strategico il sacrificio
di un battaglione comandato dal maggiore Olmi che affrontò l’incalzare
delle truppe austro ungariche per consentire alla massa di manovra di
defilarsi senza perdite eccessive.
Con questa ritirata fu necessario abbandonare i forti tra il Brenta e il
Cismon. Alcuni vennero fatti brillare, altri, come Forte Leone,
venne lasciato intatto perché i nostri soldati avevano opposto
resistenza fino all’ultimo.
A quel punto gli austriaci si accorsero che i cannoni erano finti e che
il forte era utilizzato a caserma.
Ciò non toglie che la conquista del forte fu pubblicizzata al massimo
della stampa austro ungarica. E, in una fotografia destinata a passare
alla storia (foto qui
sopra), è stato immortalato l’Imperatore Carlo che osserva
una torre del Forte, con tanto di tronco d’albero a imitazione del
cannone da 149.
Quando poi gli austriaci, a fine ottobre 1918, dovettero «risalire le
valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza», prima di
abbandonare Forte Leone lo fecero brillare.
Ma non fecero troppi danni. Il forte è ancora lì ed è visitabile.Tutto
ciò che abbiamo raccontato in questo servizio può essere letto nei
dettagli riportati nelle 300 magnifiche pagine scritte da Luca Girotto
nel libro Un Leone tra Brenta e Cismon, arricchite da
altrettante fotografie inedite e da disegni originali della costruzione
del forte. Non solo, alla fine l’autore dà opportuni consigli a chi
desidera andare a visitare ciò che resta del forte, che un po’ alla
volta viene restaurato dal comune cui appartiene. Insomma, si tratta di
un libro decisamente importante per chi ama studiare la Grande Guerra. G.
de Mozzi
Bunker in
Sicilia – Ma riguarda tutta l’Italia
Da
lavalledeitempli.net del 2 ottobre 2016
Riprendo ancora una
volta l’annosa questione della salvaguardia di queste opere di difesa
militari della II guerra mondiale perché ci sono novità…negative !! A
Siracusa, sulla costa della splendida Riserva Naturale del Plemmirio,
degli appassionati di archeologia militare hanno segnalato al fine di un
intervento pubblico che ne tutelasse la salvaguardia alla locale
Soprintendenza la paventata, prossima demolizione di tre bunker
prospicienti la costa. La risposta, secondo quanto riportato dai social,
sarebbe stata: “è stato avviato il procedimento per il riconoscimento di
interesse culturale, ma non ci sono altre soluzioni al di fuori
dell’abbattimento dei bunker pericolanti, perchè c’è alto rischio per
l’incolumità pubblica. Altrimenti bisognerebbe effettuare interventi
altamente invasivi sulla costa“. Signori miei… siamo nel 2016 e “stiamo
avviando il procedimento” ? Logico che parecchi bunker, dopo 73 anni
dalla fine della guerra in Sicilia, diventino “pericolanti“…specie
quelli che si trovino “a mollo” (vedi foto allegata). i scusino però i
tecnici: non si potrebbero consolidare le basi per mantenerli, non dico
certo
"raddrizzarli”, nelle attuali condizioni di equilibrio statico? Non
ritengo sia uno sfregio alla natura visto che oramai fanno parte, sono
pure mimetizzati ed esteticamente gradevoli, del paesaggio costiero (in
questo specifico caso). Peraltro ritengo che i costi per “tenerli su”
non possano essere tanto superiori a quelli della demolizione,
considerando la difficoltà di accesso ai siti ed il “peso” di queste
opere in calcestruzzo. La vicenda dei bunker in pericolo nel Plemmirio è
indicativa. E poi non è vero che si fanno “sparire” solo quelli
“pericolosi“, ogni appassionato sa che non è cosi e cerca come può di
porre rimedio. Ribadisco in conclusione: queste opere di archeologia
militare, altrove salvaguardate e sfruttate per fini storico-ambientali
con evidenti ricadute turistiche da noi, in Sicilia specialmente sono
abbandonare a se stesse, spero “solo” per incuria delle competenti
autorità ed istituzioni. Si dica una volta per tutte, sulla stampa, cosa
se ne intende fare! Vincenzo Mannello
Atomic
hunters! – gli incredibili scatti delle reliquie militari della guerra
fredda americana
Da
dagospia.com del 1 ottobre 2016
ATOMIC
HUNTERS! – TRE FOTOGRAFI RISCHIANO LA GALERA (E LA VITA) PER
INTRUFOLARSI NELLE RELIQUIE MILITARI DELLA GUERRA FREDDA – ECCO DECINE
DI BASI AMERICANE IMMORTALATE PRIMA DI VENIRE DISTRUTTE PER SEMPRE
Durante la Guerra Fredda, la sola spesa dell’America per le armi
nucleari è stata di 5,5 trilioni di dollari. Eppure, la maggior
parte materiale bellico di quegli anni è quasi impossibile da vedere, a
differenza delle centinaia di fortini e reperti degli altri conflitti… -
"Bianco e nero!" urla mestamente Stephen Freskos dal sedile del
passeggero. È un cattivo segnale per il piano che lui ei suoi due
compagni hanno fatto per la serata. Hanno scelto “Sage Ranch”, nella
periferia nord-ovest di Los Angeles, come punto di partenza per
infiltrarsi illegalmente nel laboratorio di Santa Susana, una gigantesca
ex area militare chiusa al pubblico. Il loro obiettivo: fotografare il
sito prima che, come gran parte del patrimonio della guerra fredda negli
Stati Uniti, venga demolito e spazzato via per sempre.
I tre uomini -
Freskos, un robusto capocantiere; Scott Haefner, un informatico
occhialuto seduto al posto di guida, e Jon Haeber seduto di dietro –
sono anni che esplorano insieme spazi abbandonati. Hanno cominciato con
cinema dismessi e piste da bowling, per poi passare alla roba grossa:
resort di lusoo, il Neverland Ranch di Michael Jackson e una villa di
Steve Jobs. Ora, sorpassata la trentina, i tre hanno deciso di puntare
sulle installazioni militari pensando di poter fornire un importante
servizio pubblico. Nel corso degli scorsi 5 anni, i tre hanno visitato
una sorprendente gamma di luoghi segreti, da un centro di controllo di
lancio “Minuteman” in South Dakota a un sito missilistico “Titan II” a
Marana, Arizona. Dal “Naval Air Warfare Center” di West Trenton, nel New
Jersey, a una base di lancio “Atlas E” fuori Topeka, nel Kansas.
Nello
Stato della California, si sono intrufolati all'interno di numerose ex
basi dell’aeronautica, quattro siti missilistici e innumerevoli altre
zone militari proibite. Questo sarà il loro ultimo e ottavo viaggio alla
base di Santa Susana, che ha testato sistemi di missili balistici e
veicoli spaziali per l'Esercito, l'Aeronautica, e la NASA dal 1947 al
2006.
Gli investimenti che
l’America ha fatto durante la guerra fredda ridicolizzano quelli di ogni
altro tipo di conflitto. In dollari di oggi, la guerra di secessione
sarebbe costata $ 2,5 miliardi, la guerra civile 84miliardi, la prima
guerra mondiale $ 350miliardi, la seconda 4,3 trilioni di dollari.
Durante la Guerra Fredda, la sola spesa dell’America per le armi
nucleari è stata di 5,5 trilioni di dollari. Eppure, la maggior parte
materiale bellico di quegli anni è quasi impossibile da vedere, a
differenza delle centinaia di fortini e reperti degli altri conflitti.
Haeber, Haefner, e
Freskos hanno visitato più di mille siti in tutto. Sono stati presi una
manciata di volte, ma sono sempre sfuggiti al carcere. Una delle loro
imprese più rischiose è stata quella al porto di Los Angeles, quando i
poliziotti hanno catturato Haefner mentre esplorava un ex terminal per
l’export del carbone. È stato ammanettato, fatto entrare a forza in una
macchina della polizia e interrogato per tre ore. In seguito è stato
accusato ed era anche stata fissata la data per l’udienza. Ma la notte
prima del processo Haefner aveva telefonato al procuratore distrettuale
è, pregandolo in ginocchio, era riuscito ad ottenere il ritiro delle
accuse.
Recco:
statua di San Francesco posta ieri sul bunker tedesco
Da levantenews.it
del 1 ottobre 2016
Domenica
2 ottobre, con due giorni di anticipo rispetto alla festa in omaggio al
Patrono d’Italia, San Francesco, Recco rinnova la tradizione.
Durante la Messa cantata
delle 11.00 presso la chiesa di San Francesco, il sindaco Dario Capurro
accenderà la lampada della pace presso l’altare del santo.
Al termine della
celebrazione liturgica ci sarà la benedizione della statua di San
Francesco posizionata ieri mattina con una potente gru della ditta
Vernazza, sul bunker, costruito nel giardino del convento dai tedeschi
durante l’ultima guerra mondiale, quando si temeva uno sbarco
angloamericano in Liguria.
Un gesto altamente
simbolico dove San Francesco, santo della pace, sovrasterà un simbolo
della guerra.
La statua del santo è
stata realizzata con la collaborazione del Comune.
Rocche e
fortificazioni della provincia di Verona: il Castello di Zevio
Da veronasera.it
del 29 settembre 2016
A
guardarlo adesso sembra più una villa e in effetti nel castello di Zevio
la famiglia Sagramoso ha ricavato nel '600 una dimora. Ma prima era
stata una fortezza, di origine incerta e antica, probabilmente già
presente nel territorio ai tempi di Re Teodorico, magari non proprio con
le fattezze di un castello. Successivamente diviene una roccaforte
longobarda contro le invasioni barbariche provenienti da ovest. Il primo
documento che accerta la presenza del castello è del 920 e due secoli
dopo la costruzione ha rischiato di essere distrutta durante una
sommossa. Passa poi di mano agli scaligeri, ai Visconti e infine a
Venezia. L'incuria durante la dominazione veneziana portò alla rovina
parziale del manufatto che dopo il '500 fu progressivamente spogliato
della sua funzione militare. Si arriva così al XVII secolo e quindi ai
Sagramoso che trasformarono il castello in una villa dove la nobile
famiglia soggiornava. Non era la loro residenza, ma veniva utilizzata
come dimora per lo svago oppure per organizzare eventi importanti.
Divenne un'abitazione vera e propria nel '700, su disegno di Adriano
Cristofoli. Dal 1868 il castello di Zevio diventa proprietà comunale,
cambiando nel tempo la sua funzione.
Passò da
essere sede di un asilo a caserma dei carabinieri e poi ancora sede
scolastica. Adesso, dopo il restauro di fine anni '80 è sede del Comune,
vicino a un bellissimo parco e ancora circondato dal fossato.
FAI, In
testa ai Luoghi del Cuore il forte San Felice di Chioggia
Da lapiazzaweb.it
del 28 settembre 2016
Grande
successo per il forte San Felice nel censimento dei
“Luoghi del Cuore”, organizzato dal Fondo Ambiente
Italiano. La raccolta firme, che si concluderà il 30
novembre, sta procedendo positivamente e, per ora, ci
sono tutte le premesse affinché il sito storico di
Chioggia possa beneficiare dei finanziamenti concessi ai
primi cinque classificati. Con i suoi 8 mila 321 voti,
il sito di Chioggia è risultato il secondo più votato
in Italia, dopo l’area archeologica di Capo Colonna, a
Crotone. Esprime soddisfazione il presidente del
comitato per il recupero del forte, Erminio Boscolo Bibi,
storico, strenuo promotore della causa, che adesso fa un
appello ai cittadini, i soli che possono contribuire,
senza alcun costo, al recupero della fortificazione. ll
complesso, che occupa un’area di 21 mila metri quadrati
e risale ai tempi successivi alla Guerra di Chioggia
(1379-1381) e sistemato nel Sedicesimo secolo ad opera
della Serenissima nel quadro del potenziamento difensivo
delle bocche lagunari e di porto, versa attualmente in
uno stato di forte degrado. Tanti i progetti di recupero
prospettati che, però, sono rimasti lettera morta, a
causa della mancanza di fondi. La speranza, adesso, è
che il Fai, fondazione senza scopo di lucro, possa
ammettere il sito tra quelli beneficiari dei
finanziamenti. Tutto, però, dipenderà da quanto i
cittadini si spenderanno per la loro città, accedendo
al sito internet iluoghidelcuore.it e dando la propria
preferenza al forte. Tra le intenzioni dei sostenitori
del recupero, considerato l’attuale stato di abbandono,
vi è quella di far
diventare l’area verde del forte un parco pubblico.
Tanti, nel tempo, sono stati i progetti avanzati dalle
varie amministrazioni comunali. Ultimo, in ordine di
tempo, quello relativo all’istituzione di un parco a
carattere storico – naturalistico, con percorsi
turistici che comprenda, oltre al Forte San Felice e
alla sua area verde, anche l’isola di Ca’ Roman, con
Forte Barbarigo e l’ottagono di Ca’ Roman. Ma la
priorità assoluta è quella di procedere alla messa in
sicurezza, al restauro e al consolidamento degli edifici
decadenti e al recupero delle strutture parzialmente
crollate. “Non smettiamo di raccogliere e far
raccogliere firme per il forte — dice Erminio Boscolo
Bibi, soddisfatto del risultato raggiunto finora —
allargando il campo anche a persone fuori Chioggia, con
cui abbiamo rapporti di amicizia, parentela, lavoro. Nel
2014 abbiamo avuto uno strepitoso successo: circa 18000
firme raccolte tra persone di ogni età, di ogni ceto
sociale, di ogni livello culturale, di ogni orientamento
politico, hanno collocato il nostro Forte al
quindicesimo posto nella classifica nazionale, al primo
posto nel Veneto. Nonostante questo non si è ancora
riusciti a spingere gli enti competenti ad agire
seriamente, al di là di buoni propositi che finora non
si sono tradotti in risultati concreti. La strada per la
salvaguardia e il recupero del forte è ancora lunga”.
Andrea Varagnolo
Ponti, un
regno di arte e creatività a Forte Ardietti
Da
gazzettadimantova.it del 27 settembre 2016
PONTI SUL MINCIO. Il forte
Ardietti di Ponti sul Mincio sabato e domenica sarà il regno della
creatività ready-made. Durante la due giorni una quarantina di
espositori da tutta Italia mostreranno l’arte di ridare nuova vita agli
oggetti. L’iniziativa, dal titolo Ricreazione contemporanea, parte da
un’idea di Maurizio Righetti in collaborazione con Anna Bulgarini, Lara
Fezzardi e Corrado Bocchi. «È una mostra- dice Bocchi - dedicata alle
idee innovative». Arte, moda, design, architettura e cucina: sono questi
gli elementi cardine dell’iniziativa. Anche Mantova parteciperà
all’evento mettendo in campo alcuni suoi artisti che esibiranno il loro
talento e la loro fantasia. Troviamo, ad esempio, Francesco Cozzani e
Stefano Baraldi, due dei responsabili del negozio Circus di via Calvi
dove si è tenuta la presentazione del programma. Francesco si occupa di
biciclette d’epoca restaurandole o personalizzandole. La passione di
Stefano invece sono le scarpe, sia nuove che usate, che rende uniche
lavorandole con borchie, disegni, ruggine, foglie in oro. La ruggine poi
può essere impressa anche su t-shirt e felpe che si trasformano in pezzi
originali ed esclusivi. E poi Lara Fezzardi porterà i suoi abiti di
carta, Corrado Bocchi lampade e lampadari rivisitati, mentre i ragazzi
del laboratorio floreale Alter Ego di Castiglione prepareranno
installazioni con i fiori. Presente anche Roberto Pedrazzoli, ex
assessore provinciale alla cultura, che presenterà il suo lavoro
artistico su dei manichini. Lo spazio gastronomia sarà gestito poi dalle
pro loco di Castel Goffredo e Ponti sul Mincio e si potranno assaggiare
piatti sempre ready-made come potrebbero essere i capunsei che nascono
grazie al pane grattuggiato. Il prezzo del
biglietto è di 5 euro ed è valido per entrambe le giornate. Barbara
Rodella
La base
del Conero è davvero della Nato?
Da
e-cronaca.blogspot.com del 27 settembre 2016
Continuano a sorgere dei
dubbi circa il fatto che il monte Conero sia tuttora una base
della Nato. Negli elenchi delle oltre cento basi definite Usa e
Nato, cioè controllate dalla coalizione atlantica o direttamente dagli
Stati Uniti, il Conero non compare. Abbiamo visionato i siti
kelebekler.com, disarmiamoli.org, disinformazione.it e anche
byebyeunclesam.files.wordpress.com, nei quali viene segnalata nelle
Marche la sola base di Potenza Picena, dotata di un "Centro radar Usa
con copertura Nato." Come mai pertanto a così breve distanza, visiva e
chilometrica, la Nato avrebbe installato un'altra stazione di controllo
radar? In realtà in qualche sito come nogeoingegneria.com il monte
Conero viene segnalato e ne viene indicato lo stesso scopo che si può
leggere su Wikipedia. Il Conero avrebbe orientato i suoi radar, "forse",
precisa il compilatore dell'elenco, sul Medio Oriente. Cosa impedisce ai
radar di Potenza Picena di assolvere la stessa funzione? Le colline
dell'ascolano? E' un fatto che, durante le recenti guerre degli Stati
Uniti, del Conero non si è mai parlato, neanche nelle cronache locali.
Dalla parte dei forti
Da
laspezia.cronaca4.it del 26 settembre 2016
PORTO
VENERE – La scorsa domenica è stata una giornata
importante e “campale” per l’associazione “Dalla parte
dei forti”, che è riuscita a gestire più iniziative
contemporanee in luoghi diversi, con un numero elevato
di presenze. Infatti mentre i grosso dell’Associazione
stava operando in Palmaria per la manifestazione legata
alla rievocazione della trasmissione radio di soccorso
del dirigibile Italia, oltre a garantire l’apertura
della torre corazzata Umberto I a due numerosi gruppi di
escursionisti (uno dell’associazione Mangia Trekking e
un altro del CAI), altri volontari dell’associazione
garantivano consulenza e spiegazioni tecniche ad
un’altra escursione (organizzata dal il Labter) che si
teneva lungo i sentieri del Monte Santa Croce. Il cuore
della giornata è stata comunque l’attività in Palmaria,
circa 400 presenze registrate a fine giornata, dove si
sono svolti due distinte conferenze seguite da un folto
pubblico, in entrambi i casi la buona capienza delle
sala non è bastata a soddisfare tutti gli intervenuti.
L’evento internazionale, organizzato dall’associazione
“Dalla parte dei forti” e dal Museo Tecnico Navale della
Spezia, con il patrocinio del Comune di Porto Venere,
era quello della rievocazione della mitica trasmissione
radio che portò al salvataggio dell’equipaggio del
Dirigibile Italia schiantatosi al Polo Nord. “Rispondete
via ido 32. L’ondina del Dirigibile Italia torna a
trasmettere”, questo il titolo della giornata prevista
in Palmaria, dove saranno effettuate trasmissioni radio
con gli apparati radio originali recuperati dal
dirigibile Italia nel 1928 (Ondina Campale S), ci si
metterà in comunicazione con il Cssn (Centro di supporto
e sperimentazione navale della Marina Militare), con il
Museo della scienza e della tecnica di Milano (dove è
conservata la Tenda Rossa) e con il rompighiaccio
Krassin (la nave che salvò i superstiti della
spedizione) conservato a San Pietroburgo e con chiunque
al mondo capterà i messaggi. In due mesi di progetto
sperimentale di apertura della torre corazzata Umberto
I, dopo aver ottenuto una convenzione dal Comune di
Porto Venere _ spiega il presidente Saul Carassale _
siamo riusciti a garantire una costante frequenza di
visitatori, il tutto senza ancora promuovere in modo
pressante le attività svolte in questa struttura. Ma
cosa più importante siamo riusciti a far conoscere la
reale destinazione di questo luogo, spiegando che
cos’era, perché era stata costruita e come stata
trasformata nel tempo. Questo è un luogo vivo, può
essere utilizzato, così come ogni altra fortificazione,
per mille iniziative. Ma è anche un qualcosa che ci
racconta una storia, che è patrimonio del nostro passato
e del nostro presente, con importanti aspetti tecnici.
Il nostro obiettivo è quello di raccontare la storia,
parlando anche di tecnologia di architettura e della
piccola storia dei singoli personaggi che hanno vissuto
e lavorato in queste fortificazioni, del sistema
fortificato del Golfo della Spezia”. L'Associazione
"Dalla parte dei forti” opera in tutto il golfo della
Spezia con progetti, diversi collaborando con enti ed
istituzioni storiche culturali, con associazioni
ricreative, con privati e con realtà scientifiche. Nei
prossimi mesi verranno sviluppate altre attività di
recupero e valorizzazione di siti fortificati, anche in
città, mentre sono in programma alcune conferenze per
raccontare eventi suggestivi della storia spezzina.
Una domenica da record, Palmaria superstar
Da
cittadellaspezia.com del 26 settembre 2016
Golfo dei Poeti - Un evento che ha
portato in un sol colpo tantissimi
amanti dell’alpinismo lento sulla
Palmaria. Tanto che i residenti
dell’isola raccontano di non aver
mai visto “un biscione” così grande
in movimento . “L’isola che c’è” si
è letteralmente riempita di
escursionisti. Sul “Sasso Piatto”
non vi era posto per contenerli
tutti Parchi di Mare e della
Montagna Appenninica si è confermato
ancora una volta, un progetto di
notevole successo. Possono quindi
esser ben felici i promotori
dell’evento, Parco Regionale
Naturale di Porto Venere, Parco
Nazionale dell’Appennino Tosco
Emiliano ed associazione Mangia
Trekking. A far da guida e
determinare il successo della
significativa giornata attraverso le
meraviglie dei sentieri, delle coste
e dei panorami che si osservano
dall’isola, sono stati diversi
elementi. Il libro “Progetti
integrati per le antiche
fortificazioni costiere”, dove l’Ing.
Piero Pesaresi descrive le opere
fortificate della Palmaria, che ha
guidato i presenti all’iniziativa,
infatti si sono soffermati presso
tutte le fortificazioni, soprattutto
presso la Torre Umberto I – dove i
presenti sono stati accolti
dall’associazione “Dalla parte dei
forti” che organizzava la
rievocazione del dirigibile. Le
piante osservate con le
illustrazioni della dott.ssa Chiara
Piaggio, gli interventi del dottor
Marco Cuttica, di Gian Paolo Camolei,
che hanno descritto la storia del
lavoro nelle cave di marmo nero
e portoro, e le
grotte dell’isola. L’osservazione
della fauna dell’isola, una bella
degustazione di prodotti tipici
offerta dall’associazione presso la
Batteria Semaforo, oggi adibita ad
ostello, la descrizione costruttiva
e di funzionamento del faro
dell’isola del Tino, ed una
piacevole sosta alla Baia del
Pozzale, hanno completato la
bellezza della interessante
giornata.
Così l’associazione Mangia Trekking
che da anni opera a favore della
rete sentieristica (manutenzione –
segnatura - escursioni) mentre
ringrazia gli Enti, gli Associati, e
il signor Silvano Barbieri
(riferimento sull’isola Palmaria)
per aver contribuito fattivamente al
risultato della manifestazione sulla
più bella isola del Mar Ligure, tra
i luoghi italiani più frequentati
dal turismo-escursionistico, lancia
l’invito a tutti gli amanti della
natura, di venire a conoscere questa
bellissima realtà, annoverata tra i
patrimoni dell’umanità.
Soddisfazione anche da parte
dell'associazione Dalla Parte dei
forti: "Oggi è stata una giornata
importante e campale per
l'associazione "Dalla parte dei
forti", siamo infatti riusciti a
gestire due iniziative contemporanee
in luoghi diversi con un numero
elevato di presenze. Infatti mentre
i grosso dell'Associazione stava
operando in Palmaria per la
manifestazione legata alla
rievocazione della trasmissione
radio di soccorso del dirigibile
Italia, oltre a garantire l'apertura
della torre corazzata Umberto I a
due numerosi gruppi di escursionisti
(uno dell'Associazione mangia
trekking e un altro del CAI), altri
volontari dell'associazione
garantivano consulenza e spiegazioni
tecniche ad un'altra escursione che
si trovava lungo i sentieri del
Monte Santa Croce". In due mesi di
progetto sperimentale di apertura
della torre corazzata Umberto I i
volontari sono riusciti a garantire
una costante frequenza di
visitatori, il tutto senza ancora
promuovere le attività svolte in
questa struttura: "Ma, cosa più
importante, - spiegano gli
organizzatori - siamo riusciti a far
conoscere la reale destinazione di
questo luogo, spiegando che cos'era,
perché era stata costruita e come
stata trasformata nel tempo. Il
nostro obiettivo è quello di
raccontare la storia, parlando anche
di tecnologia di architettura e
della piccola storia dei singoli
personaggi che hanno vissuto e
lavorato in queste fortificazioni,
del sistema fortificato del Golfo
della Spezia".
CAMPOMARINO – Pulizia delle dune e di una casamatta stamattina a
Campomarino
Da manduriaoggi.it
del 25 settembre 2016
La pulizia volontaria di un tratto costiero della zona
S.I.C. occidentale delle dune di Campomarino e, in
particolare, di un’area poco conosciuta, dove insiste
una costruzione bellica, risalente alla seconda Guerra
Mondiale. I volontari della sezione di Maruggio di
Legambiente aderiscono a “Puliamo il Mondo”, l’edizione
italiana di “Clean up the World”, il più grande
appuntamento di volontariato ambientale del mondo.
Questa mattina, alle ore 10,30, si sono ritrovati a
Campomarino per ripulire il tratto di dune e la
casamatta, costruzione bellica diversa dai bunker per
struttura e per funzioni, rappresenta uno spaccato di
storia locale e nazionale. «La creazione delle casematte
è normalmente attribuita ai tedeschi, durante la Seconda
Guerra mondiale» ricorda Legambiente Maruggio. «In
realtà, fu un decreto regio (quindi italiano) del 1941 a
ordinarne la costruzione, per dotare le città,
soprattutto quelle costiere, di un particolare sistema
di avvistamento e protezione. Le casematte invece erano
adibite alla protezione dell’artiglieria come
mitragliatrici e cannoni, che potevano anche esercitare
la loro funzione in caso di emergenza attraverso le
finestre rettangolari presenti subito al di sotto del
tetto. Le costruzioni garantivano tra l’altro una buona
panoramica circostante, grazie proprio alla forma
circolare dell’edificio. A seconda delle dimensioni,
potevano ospitare quattro, sei oppure otto soldati. Un
sito di notevole importanza storica che cercheremo
(anche in futuro con interventi
mirati) di recuperare,
garantendo la giusta attenzione e valorizzazione che il
sito di rilevanza storica impone».
Il Polo
di Mantenimento Nord aperto per la mostra su Bot
Da ilpiacenza.it
del 24 settembre 2016
In
occasione delle Giornate Europee del Patrimonio,
l’iniziativa del Ministero dei Beni e delle Attività
culturali e del Turismo nata nel 1991 con l’intento di
favorire lo scambio culturale fra le Nazioni europee, il
Polo di Mantenimento Pesante Nord, in concerto con la
Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le
province di Parma e Piacenza, ha organizzato nella
mattinata di sabato 24 settembre, visite guidate
esclusive presso i bastioni dl cinquecentesco castello
farnesiano e le sale museali dello stabilimento,
normalmente chiusi al pubblico. Con l’occasione è stato
presentato l’inedito carteggio del pittore futurista
Osvaldo Barbieri “BOT”, che con fotografie storiche e
articoli d’epoca, documenta le decorazioni murali
eseguite dal pittore piacentino nei locali portineria e
refettorio dell’ex Arsenale Regio Esercito negli anni
1937/38. Bot al Regio Arsenale Esercito di Piacenza Il
ritrovamento del carteggio personale di Osvaldo Barbieri
dettosi il Terribile, in arte Bot, presso i numerosi e
non classificati documenti presenti nell’archivio
storico del Polo di Mantenimento Pesante Nord, scioglie
finalmente ogni dubbio sull’attività artistica svolta
fra il 1937 e il 1939 dal pittore futurista piacentino
nei locali dell’Arsenale del Regio Esercito di Piacenza.
Questo carteggio riempie un piccolo vuoto in una
biografia pregna di avvenimenti, cambi di residenza,
intuizioni, volubilità creative e, soprattutto, opere.
Finora l’impegno di Bot presso lo stabilimento militare
piacentino era documentato esclusivamente da alcuni
articoli apparsi nel 1937 sulle pagine dei quotidiani
locali La Scure e Il Nuovo Giornale, riportati da Carlo
Gazzola nel volume “Bot”, Silvia ed., 2011. Un
precedente articolo apparso il 4 giugno 1936 sulle
pagine de La Scure, firmato g.b. e intitolato ”I
pannelli
decorativi di
Osvaldo Bot”, raccontava le tempere murali realizzate in
quel periodo dall’artista nella sala mensa del
Laboratorio Caricamento Proiettili, più conosciuto come
Pertite. Purtroppo di questo impegno creativo pare non
rimanere nient’altro. Il Laboratorio Caricamento
Proiettili subì una violenta esplosione l’8 agosto 1940,
che costò il tragico bilancio di 47 morti. Ricostruita
nel 1943, la Pertite il 18 gennaio 1945 venne bombardata
dagli Alleati perché occupata dai tedeschi. (Nel numero
di settembre 2009 dedicata al “Parco Pertite” della
rivista della locale scuola media “I. Calvino” è
riprodotta una foto aerea proveniente dall’Air Photo
Library Departement of Geography University of Keele,
GB, che documenta i bombardamenti subiti nell’area).
L’edificio che ospitava la
sala mensa è quindi verosimilmente andato distrutto,
tanto che nel 1948 iniziarono i lavori di ripristino dei
fabbricati adibiti a cucina e refettorio maestranze.
Altrettanto verosimilmente paiono essere andati
distrutti anche tutti i documenti riguardanti
l’esecuzione da parte di Bot di pannelli decorativi
nello stabilimento di via Emilia Pavese. Fortunatamente,
la medesima sorte non è toccata alle sale adibite a
portineria e refettorio dell’ex A.R.E.P., ora sede del
P.M.P.N. e neppure al carteggio comprovante l’attività
artistica ivi svolta. Il carteggio riguarda il rapporto
di lavoro intercorso fra l’Arsenale Regio Esercito e
l’operaio temporaneo Osvaldo Barbieri, assunto dal 28
aprile 1937 al 11 febbraio 1938 e dal 09 novembre del
1939 al 15 dicembre del 1939. La dichiarazione di
eseguito lavoro di saggio quale “Disegnatore”, datata 7
aprile 1937, permette l’assunzione in data 28 aprile 37
in qualità di “Disegnatore giornaliero” con la paga
oraria di lire 5,00. Circa un mese e mezzo dopo, il 21
maggio 1937, è assunto l’amico pittore Emilio Ballani,
nato a Piacenza il 09 gennaio del 1909, in qualità di
“Disegnatore” con la medesima paga oraria del compagno
d’arte. Per la coppia di disegnatori il rapporto di
lavoro si interrompe l’11 febbraio 1938 giorno nel quale
sul foglio matricolare civile di entrambi è riportata la
dicitura: “Licenziato per termine contratto”. Il 12
settembre 1937 esce su La Scure l’articolo: ”Visitando i
pannelli decorativi di Osvaldo Bot al R. Arsenale”, di
argo,
il quale illustra “un ottimo lavoro decorativo” svolto
nel locale portineria e nel refettorio, teso ad esaltare
le recenti vittorie belliche e la fondazione
dell’Impero. L’articolo ricorda i collaboratori di Bot:
il decoratore Ballani e l’operaio intagliatore
Pizzimiglia, quest’ultimo trattasi, con forti
probabilità, di Lodovico Pizzimiglia, capo operaio dello
stabilimento. Il 1° ottobre successivo Il Nuovo Giornale
pubblica l’articolo “Le decorazioni nel Regio Arsenale”
(firma C.P.), in cui sono esaltate le composizioni di
Bot realizzate nelle sale portineria e refettorio: “(…)
con plastica nuova il Bot ha creato una atmosfera dove
tutto parla di ardimento, di battaglia, di vittoria e di
possibilità dell’Italia Imperiale”.
Coerenti con queste
descrizioni sono le immagini che emergono dalle
fotografie d’epoca che documentano i dipinti parietali
creati da Bot. Attualmente l’ex portineria del Regio
Arsenale è adibita a Sala Museale e presenta decorazioni
successive, realizzate in occasione di interventi di
recupero eseguiti nella seconda metà degli anni
Settanta. Nell’ex refettorio le decorazioni murali di
Bot, quasi certamente a causa delle forti connotazioni
politiche delle stesse, furono ricoperte di tempera
bianca già nel 1948, come dimostra una foto presente
nell’archivio storico del P.M.P.N.. Il carteggio
ritrovato attesta, inoltre, un ulteriore breve periodo
di assunzione compreso fra il 9 novembre del 1939,
giorno di esecuzione del saggio quale “Pittore Spec.
Tecnico” e di assunzione come “Specialista dis.
giornaliero”, al 15 dicembre dello stesso anno. Stavolta
il motivo di cessazione del rapporto di lavoro è
decisamente un altro: “Licenziato a sua domanda”. Il
documento è coerente con la nuova partenza di Bot per la
Libia, indicata nella citata biografia di Carlo Gazzola
negli ultimi giorni di dicembre 1939. Il nulla osta
rilasciato dall’ufficio di collocamento della
Confederazione Fascista dei lavoratori dell’industria,
Unione provinciale di Piacenza, in data 11 novembre 1939
e trasmesso in pari data all’Arsenale Regio Esercito,
riguarda l’assunzione temporanea dei decoratori Barbieri
Osvaldo e Albertelli Ugo. Nato a Piacenza il 19 dicembre
del 1904, Albertelli, pittore di professione, è assunto
come aiuto tecnico giornaliero. Sulla domanda di
licenziamento “per motivi di famiglia “ presentata da
Albertelli il 23 aprile 1940 e accolta il giorno stesso,
è apposto a penna il seguente appunto: ”E’ stato assunto
il 17.04.1939 temporaneamente per l’esecuzione di
decorazioni a stabili (?) dell’Arsenale”. Il motivo
dell’assunzione di Bot e Albertelli alla fine del 1939
rimane oscuro, la parola interpretata come “stabili” non
apporta certamente chiarezza sui motivi che hanno
condotto la Direzione del Regio Arsenale ad affidarsi
nuovamente alla creatività di Bot. Speriamo che altri
carteggi d’archivio ancora da vagliare possano fare luce
sulle ragioni di questo secondo rapporto d’impiego. Le
carte rinvenute portano in superficie altri particolari
e altri episodi. Le capacità professionali di Bot sono
ben retribuite. La paga di 5 lire all’ora attribuita nel
1937 appare superiore a quella di altri dipendenti
assunti come disegnatori pagati mediamente 2,20 lire
all’ora. Albertelli Ugo è assunto con Bot nel 1939 con
la paga di 3,15 lire orarie. Barbieri Osvaldo risulta
iscritto al partito nazionale Fascista dal 28 ottobre
1932, come titolo di studio nel ’37 vanta la 3°
elementare mentre nell’assunzione del 1939 è citato il
diploma della Regia Accademia delle Arti di Genova.
Citate anche particolari benemerenze di tutto rispetto
come “due croci di guerra”. Dai documenti contabili
possiamo trarre notizie anche sulle condizioni
economiche in cui versava la famiglia di Osvaldo
Barbieri, che appaiono non certo facoltose. Osvaldo
Barbieri figura più volte fra i dipendenti che chiedono
un anticipo di paga: nel maggio e nel giugno del ’37
sono 100 e 150 lire, nel gennaio del ’38 sono 242,35
lire. Il 7 agosto 1937 il Giornale di Cassa riporta il
pagamento di 149 lire alla ditta Barbieri Bot per
fornitura di modello in legno. Per finire, ecco il tocco
di colore, la pennellata che conferma il caratteraccio
di Bot: in data 02 dicembre 1937 sul foglio matricolare
civile di Bot e nella raccolta degli Ordine del Giorno è
riportata la seguente punizione :
7 giorni di sospensione
all’operaio giornaliero 48g Barbieri Osvaldo perché
“Udendo che un compagno di lavoro indirizzava ad altro
operaio una frase lesiva al suo amor proprio d’artista,
reagiva in modo violento, passando immediatamente alle
vie di fatto, con insulti ai parenti del compagno
stesso, al quale lanciava oggetti contundenti che
avrebbero potuto seriamente ferirlo.
”
I pannelli decorativi di
Osvaldo Bot al Regio Arsenale Esercito di Piacenza
Al ricco
repertorio artistico di Osvaldo Barbieri “Terribile”, in
arte Bot, si aggiunge un nuovo importante tassello
rappresentato dal ritrovamento del carteggio personale,
delle fotografie e degli articoli d’epoca che
ricompongono la storia di un imponente lavoro creativo
sicuramente a lui attribuibile. Non è cosa da poco se si
considera che Bot è un pittore molto falsificato.
Speriamo che questo ritrovamento possa contribuire ad
approfondire la conoscenza dell’opera e dell’attività
dell’artista piacentino. Il ciclo di tempere parietali
illustrate dai rinvenuti documenti, non sono il primo
esempio di decorazioni murali realizzate dall’artista
piacentino in ampi spazi pubblici. Da settembre a
novembre del 1934 Bot è al lavoro nel salone del
Municipio di Carpaneto p.no, dove esegue le famose
aeropitture. Le tre tempere parietali dello scalone
Municipio sono invece commissionate con delibera del 9
aprile del 1937, subito dopo, dal 28 aprile dello stesso
anno, Bot è presente nel Regio Arsenale dove pare
approfondire le proprie capacità in materia di arte
pubblica. La presunta efficacia comunicativa di questa
forma di espressione artistica è piegata ai fini degli
aspetti celebrativi della personalità del Duce, delle
iniziative del regime e ad evidenti intenti educativi.
Dell’ex portineria esistono alcune foto d’epoca dalle
quali emergono decorazioni e scritte riportanti motti
del Duce. Su una parete laterale è leggibile parte di
una frase che ricostruita potrebbe citare: “E’ l’aratro
che traccia il solco ma è la spada che lo difende”, dal
discorso pronunciato in occasione dell’inaugurazione
della provincia di Latina il 18 dicembre 1934. Molto più
interessante, in quanto storpiata, appare la citazione
sulla trave principale del soffitto a capriate
pronunciata da Mussolini a Milano il 1° novembre 1936:
Noi siamo gli imbalsamatori di un passato, siamo gli
anticipatori di un avvenire. Bot attraverso l’aggiunta
di un “non” modifica in modo sostanziale il senso delle
parole : Noi non
siamo gli imbalsamatori di un passato,
scrive il pittore, salvaguardando e riabilitando tempi
andati e tradizioni, quasi annunciando la crisi che
pochi mesi dopo, il 18 novembre del 1938, lo porterà a
criticare dalle pagine de “La Scure” la tecnica pura e
la “santa macchina”. Passando alla sala che ospita il
refettorio, le fotografie offrono con generosità
numerosi dettagli. L’ampiezza del locale favorisce
l’impressione di trovarsi di fronte a un’esplosione di
creatività, nonostante i temi d’obbligo trattati.
Evidenti i motivi ornamentali e allegorici, in un
disegno è leggibile la scritta: “pane, studio, lavoro”,
mentre sulle pareti sono ben visibili “Rex” e “Dux”. Due
foto datate 1948 raffiguranti rispettivamente la
portineria e il refettorio del Regio Arsenale illustrano
il destino delle tempere di Bot nel primo dopoguerra. Le
scritte e le decorazioni dei timpani presenti in
portineria risultano cancellate o scialbate mentre sono
conservati i decori sulle travi e sulle pareti, il
refettorio appare tinteggiato di tempera bianca. Molto
utili risultano le indicazioni fornite dagli articoli
d’epoca per conoscere il lavoro pittorico realizzato da
Bot: Da “La Scure” del 12 settembre 1937, articolo di
argo
:
Visitando i pannelli
decorativi di Osvaldo Bot al R. Arsenale.
“(…) La prima visita è per la portineria. Una sala
seppur non molto ampia, ma pur abbonda di un ottimo
lavoro decorativo. Un plastico sulla parete di fronte a
chi entra , riproduce un grande medaglione sul quale si
staglia il profilo del Re e del Duce. Su di una parete
pure in rilievo il grafico dell’Etiopia sul quale è
riprodotto un brano dello storico discorso del Duce in
occasione della fondazione dell’Impero. Di fianco, in
sintesi ardita, Bot esalta l’industria bellica nello
sforzo ordinato del lavoro. Una fascia tricolore attorno
alle pareti su sfondo nero, tra motivi ornamentali
conferiscono nel loro assieme maggior vigore al
pannello. Sul soffitto indovinati motivi decorativi
avvolgono il trave superiore che attraversa la sala ,
sul quale l’artista ha voluto ricordare con i colore dei
nastrini, le tre vittorie: 1918, 1922, 1936. Passiamo
poi in un magnifico salone che verrà in seguito adibito
quale refettorio e luogo di riunione per gli operai. Qui
Bot ha avuto modo di dare libero sfogo al suo
temperamento artistico. Nella parete di centro un
plastico murale realizzato in legno, esalta i simboli
della sovranità e del Duce d’Italia, nel trionfo della
conquista imperiale. Da un lato spicca sempre in rilievo
su legno la figura di Giulio Cesare, riproduzione fedele
della statua che si trova in Campidoglio. Nelle due
pareti di fianco corrono in un festoso raduno di tinte e
di colori ben graduati, gagliardetti, labari ed insegne
del Littorio. Trofei di armi, simboli, figure di
scorcio, compendiano in una rapida ma pur significativa
rassegna, tutta l’epopea storico-politica che va
dall’intervento alla conquista africana, documentando
così tutta la storia gloriosa ed eroica della Patria
nella sua aspra ma irrompente marcia vero i suoi alti
destini. (…) Chiudiamo queste nostre note ricordando i
collaboratori di Bot, il decoratore Ballani e l’operaio
intagliatore Pizzimiglia (…).” Da “il Nuovo Giornale”
del 1 ottobre 1937, articolo di C. P.:
Le decorazioni del R.
Arsenale.
“Chiamato dalla direzione del R. Arsenale, il pittore
Bot sta decorando diversi locali dello Stabilimento. Ciò
si deve all’attuale direttore dell’Arsenale Colonnello
De Luca, uomo di larghe vedute, di grandi progetti e di
rapide realizzazioni. (…) Veniamo ora alle decorazioni.
Dire ciò che ha immaginato questo estroso pittore e come
ha realizzato i suoi concetti inimmaginabili, non è
facile. Chi vuol averne una idea del lavoro che è in
corso deve recarsi alla sala d’ingresso del R. Arsenale
e vedrà che con plastica nuova il Bot ha creato una
atmosfera dove tutto parla di ardimento, di battaglia,
di vittoria, e di possibilità dell’Italia Imperiale.
(…).”
Grande
Guerra, Pillola 93: la seconda spallata, a un passo da Trieste
Da bergamonews.it
del 25 settembre 2016
Quando,
il 10 ottobre 1916, la 3a armata del Duca d’Aosta andò
all’attacco delle linee austroungariche, tra Doberdò e
Kostanjevica, negli alti comandi si pensava a quell’ennesima
azione offensiva sul Carso come ad un episodio
interlocutorio, che logorasse le difese avversarie e
permettesse alle fanterie italiane di effettuare un
ulteriore piccolo progresso verso Trieste. Il recente
fallimento della settima offensiva isontina aveva
lasciato uno strascico di pessimismo, esattamente come,
precedentemente, la presa di Gorizia aveva influenzato
ottimisticamente le decisioni di Cadorna. Pertanto,
l’ottava battaglia dell’Isonzo non si prefisse
obbiettivi strategici risolutivi, ma venne pensata come
un’operazione di sbalzo intermedio, in vista della stasi
invernale, prima dello sforzo decisivo verso la città,
che appariva come un miraggio, nell’azzurro del suo
golfo. Invece, paradossalmente, la 5a armata
austroungarica di Boroevič si trovava in una fase
critica, ed era sul punto di crollare: in difetto di
organico dall’inizio del conflitto, i valorosi reparti
che difendevano il settore del medio e basso Isonzo
erano quasi allo stremo e il loro comandante aveva
sollecitato incessantemente il generale Conrad per
l’invio di rinforzi, ormai irrinunciabili. In effetti,
esisteva già un abbozzo di piano difensivo che prevedeva
una ritirata tattica di
qualche chilometro, per permettere il
rischieramento delle truppe sulla linea fortificata
dell’Hermada, tuttavia, le fortificazioni, che
avrebbero reso la collina carsica un baluardo
inespugnabile per tutto il resto della guerra, non erano
ancora state ultimate e, perciò, almeno per qualche
tempo ancora, la difesa di Trieste avrebbe dovuto
contare sulla capacità di resistenza dei soldati
schierati in prima linea. Quindi, quando le
artiglierie italiane iniziarono il consueto tiro di
distruzione, il 9 ottobre, i difensori del Carso si
trovavano in una situazione molto delicata, che, per
loro fortuna, non era stata percepita dai loro
avversari.
Il primo giorno, gli italiani
ottennero qualche successo locale, occupando alcune
trincee e il villaggio di Jamiano, che dovettero, però,
in seguito abbandonare, bersagliati dai fucilieri boemi,
che li colpivano dalla vicina quota 144 (lago di
Pietrarossa). Lo scontro proseguì violentissimo il
giorno 11, con le opposte artiglierie che tiravano
contemporaneamente sul campo di battaglia, in cui le
fanterie si affrontarono in feroci corpo a corpo: gli
austroungarici tentarono una serie disperati
contrattacchi il giorno 12, che fecero salire
esponenzialmente il numero delle loro perdite, finchè,
al termine della giornata, gli italiani si consolidarono
sulle proprie modeste acquisizioni, mentre
Boroevič dovette sospendere la battaglia perché le sue
file, già deboli, si erano assottigliate in maniera
preoccupante. Di fatto, la difesa di
Jamiano, ossia un episodio tutto sommato marginale,
tanto nel contesto dell’ottava battaglia dell’Isonzo,
quanto, a maggior ragione, nell’economia del conflitto,
permise alla linea austroungarica di non essere travolta
ed impedì, probabilmente, agli italiani di dilagare
verso Trieste, a riprova di come, a
volte, piccoli scampoli di battaglia siano decisivi per
l’esito di un’intera campagna.
Contemporaneamente, sul fronte della
2a armata, i difensori di Gorizia effettuarono a loro
volta un rischieramento, abbandonando in mano italiana,
in pratica, tutto il Vallone ed imperniando le proprie
difese sul Monte Santo, esattamente come, verso est,
si era scelto il massiccio dell’Hermada come caposaldo
di massima resistenza. Resta da fare una
considerazione sulla nuova tattica cadorniana
delle “spallate”, inaugurata con la settima battaglia
dell’Isonzo e proseguita con l’ottava: le brevi e
violente offensive, lungi dall’ottenere quell’effetto
sorpresa che si prefiggevano i comandi italiani, fecero
solo aumentare esponenzialmente il numero dei caduti,
rispetto ai giorni di battaglia, aumentando la già
sinistra fama dell’inferno del Carso. Nei tre giorni
dell’ottava battaglia dell’Isonzo, le perdite
italiane superarono le 24.000 unità e quelle
austroungariche raggiunsero la cifra iperbolica di oltre
40.000 uomini fuori combattimento.
Trieste era sempre più
vicina, ma, allo stesso tempo, si stava allontanando,
dopo l’occasione perduta: l’Hermada, una volta ultimati
i lavori di fortificazione, si sarebbe rivelata una
fortezza inespugnabile, nonostante gli sforzi
sanguinosi delle truppe della 3a armata.
Vibo
Valentia, tubi e cemento sulle mura greche dell’antica città
Da linkiesta.it
del 24 settembre 2016
L’antica
Hipponion era una delle città della Magna Grecia del
versante tirrenico calabrese. Nel suo perimetro
affondano le radici di quella che poi i romani
ribattezzarono come Vibo Valentia. Ora, quelle stesse
mura greche rischiano di essere coperte da tubi di 70
centimetri di diametro e da una colata di asfalto e
cemento. Sepolte sotto una strada che dal cimitero porta
verso il traffico della città. Lo scorso febbraio,
l’amministrazione comunale di Vibo Valentia ha avviato i
lavori su questa strada intitolata a Paolo Orsi,
l’archeologo che qui ritrovò i resti di Hipponion nel
1921. La strada si trova al centro del Parco
archeologico di Vibo, a cavallo tra due aree vincolate
dalla Soprintendenza: da un lato l’area sacra greca
scavata da Orsi; dall’altro quella del Trappeto Vecchio,
che comprende un tratto di mura di fortificazione di
circa 500 metri (che in alcuni casi raggiungono
un’altezza di quattro metri). I lavori di
riqualificazione prevedevano la posa di una grossa
condotta interrata per il deflusso delle acque bianche e
la sistemazione dell’asfalto. Costo dei lavori: 600mila
euro. L’autorizzazione preventiva data dalla
Soprintendenza (con la presenza di un archeologo) risale
al 2012. Tra ritardi e rinvii, si è arrivati allo scorso
febbraio, quando i lavori sono partiti nell’area vicina
alle mura scavate da Orsi, dove si trovano anche due
tombe e una torre. «Ad aprile, i cittadini – passando
nei pressi del cantiere – si accorgono che dai lavori di
posa del tubo erano venuti fuori i blocchi di arenaria
delle mura», racconta l’archeologa Anna Rotella. La
notizia finisce sui giornali locali e i lavori si
fermano. Da Roma arriva il Soprintendente pro tempore
della Calabria Gino Famiglietti. Che «non blocca i
lavori come ci aspettavamo», dice Rotella, «ma impone la
realizzazione di tre saggi archeologici per trovare un
percorso alternativo e collegare tra loro i diversi
tratti della condotta. Di fatto il Soprintendente non
vincola l’area, dove passano circa 350 metri di mura
greche, ma autorizza il completamento dei lavori con
salti e strutture a U». A luglio, poi, viene effettuato
il primo dei tre saggi di scavo stabiliti dal
Soprintendente. E da qui, come previsto, emergono i
resti della cintura muraria greca. Quarantadue nuovi
metri di mura, che si collegano a quelle del parco
accanto. Il che non era una novità perché nel 1993,
quando un privato in quell’area voleva farsi una casa,
la Soprintendenza aveva già accertato che il percorso
delle mura greche coincideva con la strada. A luglio,
comunque, i lavori si fermano di nuovo. Ma la zona non
viene vincolata, come tutti si aspettavano a questo
punto. La Soprintendenza decide solo di aspettare che il
Comune studi una variante del progetto per posare
comunque i tubi sulle mura e ripristinare la
pavimentazione stradale. In sostanza si prospetta una
deviazione delle tubazioni attorno alle mura, che poi
verranno comunque interrate. «I nuovi 350 metri di cinta
muraria greca presenti sotto la strada verranno
risotterrati, negando quindi la possibilità di unirli
agli altri 500 metri di cinta muraria già scoperti e
oggi visitabili nel parco archeologico», spiega Rotella.
«C'è da chiedersi come si possano tutelare le mura
greche rimettendoci sopra tubi, cemento e asfalto».
Senza dimenticare che in corrispondenza dell’inizio del
nuovo tratto di mura, qualche mese fa, nei lavori per il
parco archeologico uno scempio è già stato fatto, con la
costruzione di una rampa di cemento armato (un po’ come
è accaduto già a Capo Colonna). Proprio in
corrispondenza della torre numero otto, di cui sono
emersi i tratti di arenaria. Bisogna
fermarsi», ribadisce Rotella. «Non puoi continuare a
fare varianti solo per finire i lavori.
Lo sappiamo tutti che scavando lì sotto emergeranno i
resti: sei in pieno parco archeologico, l’area va
vincolata. Si potrebbe fare una strada pedonale o una
ciclabile per rendere interamente fruibile il parco. Per
arrivare al cimitero ci sono due strade alternative». Il
sindaco ha fatto sapere che non ci sono soldi per
tutelare le mura. Ma il Comitato di cittadini Pro mura
greche che si è creato e che ha anche lanciato anche una
petizione su Change.org rivolta al presidente della
Repubblica, si dice disponibile ad aiutare
l’amministrazione a cercare un finanziamento per
ripensare i lavori. Ora si attende una risposta del
Comune. I soldi al parco, tra l’altro, non mancano. Ad
agosto 2015 il parco archeologico ha ricevuto un
finanziamento di 3 milioni di euro per i nuovi lavori di
allestimento. Parte di questi soldi sono stati già spesi
l’anno scorso nell’area del Cofino, la parte più alta,
per riportare alla luce le fondamenta di un tempio
ionico, che avrebbe dovuto essere coperto da un tetto.
Ma una delle ditte coinvolte nei lavori ha ricevuto una
interdittiva antimafia e il cantiere si è fermato.
Lasciando il tempio esposto al vento e alla pioggia.
Muos in
Cassazione, guerra di carta Procura/Tribunale riesame
Da cataniaoggi.it
del 24 settembre 2016
C’è
da ammirare il coraggio dei magistrati che prendono in
esame il “Caso Muos” quando, soprattutto, entrano in
contrasto su decisioni già prese in “accordi”
internazionali, anche se “solo” bilaterali fra due
Paesi, come in questa circostanza USA/Italia. Ma la
legge è “legge”. Così si verifica che la vicenda
dell’impianto satellitare USA con finalità belliche,
impianto “straniero” in terra Italiana (o meglio, in
terra “siciliana”, a Niscemi) è finito in Cassazione su
ricorso della Procura Distrettuale di Catania avverso
alla decisione della Quinta sezione del Tribunale del
riesame (di Catania) che ne aveva disposto il
dissequestro. Il Tribunale del riesame, infatti, aveva
ritenuto di “non potere prescindere dalla valutazioni”
del Consiglio di giustizia amministrativa che il 6
maggio scorso ha accolto la richiesta del ministero
della Difesa e dichiarato inammissibile l’appello
incidentale proposto da Legambiente sui procedimenti
amministrativi riguardanti la realizzazione della
stazione di trasmissioni militare statunitense Muos. Un
“ostacolo” all’operatività del Muos in funzione da mesi?
No, almeno fino a quando la Cassazione non esprimerà il
suo verdetto. Da “ignoranti” in materia, la nostra
opinione è che non muterà nulla in quanto sarà difficile
far “rompere” un Trattato stipulato fra Governi, a meno
che la Cassazione non faccia riferimento a un Trattato
firmato in precedenza da Italia e Stati Uniti (e da
tutti i Paesi che avevano preso parte vittoriosamente al
secondo conflitto mondiale). Ci riferiamo al Trattato di
Pace fra l’Italia e le Potenze alleate sottoscritto il
10 febbraio del 1947 a Parigi firmato dall’Unione delle
Repubbliche Sovietiche Socialiste, dal Regno Unito di
Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, dagli Stati Uniti
d’America, dalla Cina, dalla Francia,
dall’Australia, dal Belgio, dalla Repubblica Sovietica
Socialista di Bielorussia, dal Brasile, dal Canada,
dalla Cecoslovacchia, dall’Etiopia, dalla Grecia,
dall’India, dai Paesi Bassi, dalla Nuova Zelanda, dalla
Polonia, dalla Repubblica Sovietica Socialista
d’Ucraina, dall’Unione del Sud Africa, dalla Repubblica
Federale Popolare di Jugoslavia e, ovviamente,
dall’Italia.
Noi non ci stancheremo
(augurandoci che non si stanchino i nostri lettori), non
ci stancheremo a fare riferimento a quel Trattato che
imponeva precisi limiti all’Italia in materia di
insediamenti bellici nel suo territorio, e non ci
stancheremo come abbiamo già fatto in precedenza a
ricordare l’articolo 50 – comma 2, 3, e 4 – di quel
Trattato che specificava:
In Sicilia e Sardegna,
tutte le installazioni permancnti e il materiale per la
manutenzione e il magazzinaggio delle torpedini, delle
mine marine e delle bombe saranno o demolite o
trasferite nell’Italia continentale entro un anno
dall’entrata in vigore del presente Trattato.
Non sarà permesso alcun miglioramento o alcuna
ricostruzione o estensione delle installazioni esistenti
o delle fortificazioni permanenti della Sicilia e della
Sardegna; tuttavia, fatta eccezione per le zone della
Sardegna settentrionale di cui al paragrafo 1 di cui
sopra, potrà procedersi alla normale conservazione in
efficienza di quelle installazioni o fortificazioni
permanenti e delle armi che vi siano già installate.
In Sicilia e Sardegna è
vietato all’Italia di costruire alcuna installazione o
fortificazione navale, militare o per l’aeronautica
militare, fatta eccezione per quelle opere destinate
agli alloggiamenti di quelle forze di sicurezza, che
fossero necessarie per compiti d’ordine interno.
Ebbene ci troviamo di
fronte a una situazione paradossale: un pericolosa
impianto bellico (ovviamente costosissimo) costruito da
una Potenza Straniera, gli USA, che è destinato a
rimanere in Sicilia senza alcun limite temporale, con
tutte le ricadute negative che ne derivano che non
riguardano soltanto l’ambiente ma la prospettiva di vita
dei Siciliani. Il Muos è una “struttura bellica” che può
essere adoperata per condizioni “offensive”, così come
la base autonoma statunitense di Sigonella e tutte le
installazioni “autonome” e “fisse” USA in territorio
“italiano”. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti, il
premier Matteo Renzi, il Governo attuale, saranno ben
consapevoli che il Muos, Sigonella, Augusta, Aviano,
eccetera, poco o nulla hanno a che vedere con la
“sicurezza” o la “difesa” (?) dell’Italia: ci si trova
nella situazione di avere forze militari “straniere” che
operano in basi “proprie” installate in territorio
italiano.
Scetticismo legittimo
sull’esito della “guerra di carta” delle Magistrature,
là dove lo stesso premier Matteo Renzi tace, preferendo
portare a casa la “benevolenza” degli USA sotto la forma
di un Global Citizen Award, consegnatogli direttamente
dal segretario di Stato americano John Kerry
nell’occasione della sua recente partecipazione
all’Assemblea dell’Onu.
Terreno
contaminato all'ex Arsenale. Il comitato: "A quando la bonifica?"
Da veronasera.it
del 22 settembre 2016
Una lettera aperta e una serie di domande. Quelle che il
comitato Arsenale di Verona ha voluto rivolgere al
sindaco Flavio Tosi, alla sua giunta e al consiglio
comunale. "Siamo particolarmente preoccupati per la
situazione in cui versa attualmente il complesso
dell’Arsenale - scrive il comitato - Ormai da moltissimo
tempo la gran parte degli edifici è inutilizzabile ed il
Comune ha posto in opera presidi passivi a tutela della
pubblica incolumità, senza peraltro, purtroppo,
provvedere, invece, agli interventi manutentivi
necessari sia per la pubblica incolumità che per la
conservazione del bene". "Ampi spazi dei cortili sono
stati transennati e così esclusi dall’uso pubblico,
senza che ne fosse chiara la motivazione - continua il
comitato Arsenale - Abbiamo poi appreso che il motivo di
tale intervento è la presenza di terreno inquinato da
minerali pesanti, probabile eredità delle lavorazioni
connesse alla funzione di arsenale militare, durata
quasi un secolo e mezzo. La situazione desta in noi ed
in chiunque abbia frequentato l’Arsenale, specie con i
propri bambini, un forte sentimento di preoccupazione.
Riteniamo, dunque, di porre all’amministrazione alcune
domande per capire a quali rischi gli utenti
dell’Arsenale siano stati esposti nel passato ed a quali
lo siano attualmente, ma per capire anche come
l’amministrazione comunale intenda risolvere il grave
problema, con l’obiettivo della salvaguardia della
salute, ma anche della massima fruibilità del bene".
Piombo, cadmio e antimonio. Questi sarebbero i metalli
pesanti rilevati sul terreno dell'Arsenale transennato.
Il comitato Arsenale vuole conoscere "quando e come è
stata appurata la presenza di metalli pesanti e come mai
l’amministrazione comunale non si sia subito attivata
direttamente e perché l’esame di un tema così delicato è
stato affidato ad Amia. In che data - continua il
comitato - Amia ha affidato alla ditta Tesi l’incarico
di indagini esplorative ed analitiche sul terreno
potenzialmente inquinato?". I dubbi del comitato
Arsenale non finisco e riguardano anche la percentuale
dei superamenti dei limiti di legge dei singoli
parametri e i pericoli connessi ai metalli individuati.
Il comitato cittadini vuole anche conoscere quale parte
dell'Arsenale si può ritenere sicura e che tipo di
bonifica si intende attuare e quando farla partire. "E
chi si farà carico delle spese di bonifica? - chiede
ancora il comitato - L’amministrazione comunale o
l’eventuale concessionario che venisse individuato al
termine della procedura di progetto di finanza che
l’amministrazione sembra voler perseguire? Contiamo in
una pronta risposta dell’amministrazione comunale, tale
da consentire a tutti di comprendere meglio il fenomeno
e tale anche da tranquillizzare tutti in tema di
sicurezza della salute".
Mura
patrimonio Unesco: esame dell’ispettore in Città Alta
Da bergamonews.it
del 22 settembre 2016
Nuova,
importante, tappa nel percorso che potrebbe portare le
Mura di Città Alta a diventare patrimonio dell’Unesco.
Giovedì 22 settembre si è tenuta la visita in città di
Nicolas Faucherra, l’ispettore incaricato di stilare il
rapporto per l’Icomos, l’organizzazione internazionale
che si occupa di beni culturali, organo consultivo dell’Unesco.
Un’ispezione meticolosa e approfondita quella di
Faucherre, docente universitario esperto di
fortificazioni, che è arrivato a Bergamo mercoledì sera
e ha alloggiato all’hotel San Marco di piazzale della
Repubblica, da dove ha potuto iniziare ad ammirare le
Mura e Città alta. L’ispettore ha il compito di
effettuare sopralluoghi nei siti italiani, croati e
montenegrini accomunati dal fatto di essere
fortificazioni veneziane realizzate tra il XV e il XVII,
allo scopo di verificare sul posto la corrispondenza tra
quanto contenuto nel dossier scientifico presentato all’Unesco
e la realtà. La sua relazione arriverà poi al Comitato
(formato dai rappresentanti di 21 Paesi) che dovrà
esprimersi sulla candidatura. a visita di Faucherre,
accompagnato da Giovanni Cappelluzo e Roberto Amaddeo,
si è quindi concentrata in Città Alta, in particolare
nella zona delle mura. Con fotocamera e taccuino, ha
osservato e relazionato ogni angolo della zona più
antica di Bergamo alla mattina, e di quella bassa nel
pomeriggio. Nel mezzo l’esperto ha pranzato con diversi
rappresentati comunali, tra i quali il sindaco Giorgio
Gori. Nessun commento sulla città da parte di Faucherre,
che comunque è sembrato entusiasta. Gli undici siti,
delle tre nazioni, che compongono la candidatura
complessiva sono: Palmanova, Peschiera del Garda e
Venezia, Sebenico, Hvar, Zadar e Curzola, Cattaro
(Croazia), Castel Nuovo e Dulcigno (Montenegro).
L'Aquila:
''Riaprire il camminamento della Cinta Muraria di Porta Leoni bloccata
da recinzioni''
Da abruzzoweb.it
del 22 settembre 2016
L'AQUILA
- Rendere nuovamente percorribile il camminamento
esterno nel tratto di mura che da Porta Leoni va in
direzione di Porta Castello, all'Aquila, ostruito da
recinzioni private. Lo chiedono a gran voce le
associazioni cittadine Archeoclub d’Italia, “Panta Rei”,
Compagnia Rosso d’Aquila, Fai, Fondo Ambiente Italiano,
gruppo aquilano di Azione Civica Jemo ‘nnanzi, Italia
Nostra, Legambiente Abruzzo Beni Culturali “Pro Natura”,
alla luce della recente ristrutturazione dell'intera
cinta muraria del capoluogo.
Le associazioni puntano alla " rimozione delle
recinzioni private che ora risultano ostruire tale opera
realizzata circa una quindicina d’anni fa dalla
Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici".
Chiedono inoltre "che sia rimesso pienamente in funzione
ed a norma il sistema allora installato di illuminazione
sul tratto di mura in questione; che, nell’ambito e in
ampliamento del richiamato intervento di valorizzazione
in corso sulla cinta muraria, tale tratto di
camminamento e la relativa illuminazione siano
proseguiti dal punto in cui risultano interrotti sino
alle pertinenze di Porta Castello".
I lavori si rendono necessari, "preso atto
dell’importante e meritoria opera in corso per il
restauro delle mura urbiche trecentesche e per la
contestuale riqualificazione dell’area del pomerio
mediante la realizzazione di un camminamento esterno e
di un impianto di illuminazione, in considerazione della
natura demaniale dell’area del pomerio e anche in
riferimento alla deliberazione della Giunta Comunale n.
179 del 5 maggio 2016 che istituisce e disciplina la
collaborazione delle Associazioni dei cittadini con
l’Amministrazione comunale nella sorveglianza e cura
delle Mura urbiche e delle annesse opere di
valorizzazione", concludono.
Biennale
di Venezia. Giornata studi sul rinnovo di zone industriali
Da artslife.com
del 22 settembre 2016
Venerdì
23 settembre nel contesto del Progetto Speciale della
Biennale Architettura 2016, Reporting from Marghera and
Other Waterfronts, allestito nel Padiglione di Forte
Marghera, si svolgerà in Venezia una giornata di studi
dal titolo Rinnovamento e riqualificazione di grandi
zone industriali e costiere, alla Ca’ Giustinian, sede
della Biennale.
Esperti direttamente coinvolti nei più interessanti e
innovativi processi di rigenerazione urbana di grandi
aree industriali–portuali dismesse, presentati nel
Padiglione di Forte Marghera, descriveranno le loro
esperienze che potranno costituire un utile riferimento
anche per i principali casi italiani che sono, come è
noto, l’area di Bagnoli e di Porto Marghera.
Sono previste tre tavole rotonde di discussione: la
prima la mattina, moderata da Maria Buhigas,
Fondatrice di Urban-Facts, già Direttrice del
Dipartimento di Strategia Urbana di Barcellona; le altre
due il pomeriggio, animate da Ricky Burdett, Direttore
di LSE Cities e Urban Age. Informazioni utili:
www.labiennale.org
Giornate
europee del Patrimonio
Da nuovavenezia.it
del 22 settembre 2016
LIDO. Le Giornate europee del patrimonio 2016 prevedono
sabato e domenica diciassette iniziative a Venezia, e
tra queste spicca la passeggiata nell'area militare
ottocentesca di via Pigafetta, nella quale si trovano la
batteria Casabianca e Forte Angelo Emo. Il luogo,
malgrado la sua semplicità, si adatta perfettamente alle
finalità di questa iniziativa intitolata «Camminare e
vivere i beni culturali». Pur trovandosi in un'area
baricentrica dell'isola, le strutture militari dismesse
sono quasi completamente scomparse dalla percezione dei
residenti, e anche di chi vive proprio nella zona di Ca'
Bianca. Solo di recente la pulizia parziale del giardino
ha svelato nuovamente ciò che resta del forte, e ora si
attende che la cittadinanza si riappropri di una delle
tante testimonianze del ruolo militare che ebbe il Lido
in un suo passato neppure troppo lontano. Domenica
mattina dalle 10 sono così previste le prime passeggiate
del patrimonio. Ci sarà la possibilità di scoprire
alcuni segreti delle fortificazioni di Ca' Bianca, come
ad esempio i due grossi cannoni montati attorno al 1910
e rimasti sino agli anni Cinquanta. L'iniziativa è
coordinata dal Consiglio d'Europa e organizzato dalle
associazioni locali: In Diversity, Faro Venezia, Lido
d'amare, Comitato ambientalista Altro Lido e il Cerchio.
(s.b.)
Fortificazioni in provincia di Verona: la Torre Scaligera di Isola della
Scala
Da veronasera.it
del 21 settembre 2016
Uno
dei simboli, insieme al riso, di Isola della Scala. Non
a caso alcuni produttori di riso l'hanno usata come
brand. Uno strumento usato oggi culturalmente a difesa
delle tradizioni, mentre in passato era una difesa
militare del territorio.
La torre, restaurata nel 1839, faceva parte di un
castello costruito nel XIV secolo dal Mastino II Della
Scala per difendersi dagli attacchi di Mantova. Erano
stati proprio i mantovani nel secolo precedente a
distruggere l'antico castello edificato intorno all'anno
1000. Quel che resta è solo una porzione dell'edificio
che non doveva essere tanto più grande. Per raggiungerla
c'erano due ponti levatoi che permettevano di passare
sopra il fiume Tartaro. Verticalmente, la torre si può
dividere in cinque piani, quello più basso e quello più
alto avevano un soffitto, mentre quelli intermedi erano
dei soppalchi di legno. L'unico modo per passare da un
piano all'altro era attraverso delle scale esterne,
ingegnosamente retrattili. In caso di invasione di un
piano basso, i soldati dei piani alti potevano così
togliere le scale e impedire l'ascesa dei nemici. In
cima alla torre, la merlatura a coda di rondine indicava
un'appartenenza ghibellina.
Palmanova
alla prova Unesco, l’esame dell’ispettore dal cielo
Da
messaggeroveneto.it del 20 settembre 2016
PALMANOVA.
Il giorno dell’ispezione è arrivato. Palmanova è stata
posta letteralmente sotto la lente d’ingrandimento da
parte di un componente dell’Icomos, l’organizzazione
internazionale che si occupa di beni culturali, organo
consultivo dell’Unesco. Il docente universitario Nicolas
Faucherre, esperto di fortificazioni, in questi giorni
sta visitando i luoghi inseriti nella candidatura Unesco
di cui anche Palmanova fa parte e che sono accomunati
dal fatto di essere fortificazioni veneziane realizzate
tra il XV e il XVII secolo. L’ispettore ha il compito di
effettuare sopralluoghi nei siti italiani, croati e
montenegrini di questa candidatura internazionale allo
scopo di verificare sul posto la corrispondenza tra
quanto contenuto nel dossier scientifico presentato all’Unesco
e la realtà riscontrata di persona. Relazionerà poi al
Comitato (formato dai rappresentanti di 21 Paesi) che
dovrà esprimersi sulla candidatura. Il suo parere
servirà anche per comprendere il valore della città
stellata, il suo corretto inserimento in questa
candidatura, le prospettive di mantenimento del bene
culturale, i progetti che mettono in rete gli undici
siti, il coinvolgimento in quest’operazione della
popolazione locale. Macchina fotografica al collo,
armato di quadernetto e penna per appuntarsi
osservazioni, curiosità o pensieri, l’ispettore non ha
commentato quanto da lui osservato, né ha rilasciato
dichiarazioni sull’esito della visita. Nel corso
dell’intera giornata ha sottoposto però a un fuoco di
fila di domande gli esperti e gli storici presenti,
andando a cogliere i particolari costruttivi, le
funzioni dei vari elementi difensivi, il contesto
storico, ma anche sociale in cui la realizzazione della
città stellata è avvenuta. Presenti al sopralluogo,
oltre al sindaco Francesco Martines, agli assessori
Adriana Danielis e Luca Piani e al dirigente del Comune
di Bergamo Giovanni Cappelluzzo, l’architetto Adele Cesi
del Ministero dei Beni culturali, i due architetti che
hanno curato il dossier Unesco per la parte relativa a
Palmanova, Barbara Pessina e Alessandra Quendolo, la
responsabile dell’ufficio cultura Gabriella Del Frate,
Stefania Casucci per la Soprintendenza, Pierluigi Di
Biasio e Adele Camassa per il Demanio, l’architetto
Elisabetta Chiodi di Siti, l’istituto di Torino che
segue la candidatura. L’ispettore è arrivato lunedì, nel
tardo pomeriggio, e ha potuto già dare un’occhiata a
Piazza Grande e alla zona delle fortificazioni nei
pressi di porta Udine, all’acquedotto settecentesco e a
quello più antico, liberato dalla vegetazione infestante
nella primavera dello scorso anno. Martedì invece il
sopralluogo è iniziato con il sorvolo della città
dall’alto con l’elicottero. È poi proseguito con la
visita a una lunetta napoleonica, alla galleria che la
collega al fossato e alle mine del rivellino. La
delegazione con l’ispettore si è dunque portata su porta
Cividale per osservare da vicino l’ingresso monumentale
alla fortezza e le mura di epoca veneta. Dopo la pausa
pranzo, il tour è proseguito ancora lungo le
fortificazioni, con la visita al belvedere collocato su
baluardo Garzoni, alla vicina riservetta delle polveri,
alla loggia, alla lunetta napoleonica tenuta in ordine
dagli Amici dei Bastioni. E poi ancora, all’interno
della città fortezza, è stato fatto un passaggio alla
caserma Piave per il quartiere di epoca veneta e alle ex
caserme napoleoniche “Filzi” e “Gamerra”.
Palmaria
l'isola che c'è
Da
laspezia.cronaca4.it del 21 settembre 2016
LA
SPEZIA – Sulla Palmaria, nell’isola ove da tanti anni
l’associazione Mangia Trekking cura la manutenzione e la
segnatura dei sentieri, prende vita la manifestazione
“L’isola che c’è “….un evento che rientra in un progetto
realizzato insieme ai Parchi di Mare e della Montagna
Appenninica. (Parco Naturale Regionale di Porto Venere e
Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano). E’ stata
scelta l’isola Palmaria, per organizzarvi la
manifestazione di alpinismo lento, in quanto ” esatto
punto d’intersezione geografico “; infatti nelle belle
giornate di sole, l’isola è visibile “come in cartolina”
da tutte le principali montagne dell’ Appennino Tosco
Emiliano. L’iniziativa comprende il periplo totale
dell’isola, la visita ad una fortezza, in realtà la
Torre Umberto I, che come ben descrive il più importante
esperto italiano di fortificazioni ed architettura
militare, Gen. Ing. Piero Pesaresi, nell’opera “Progetti
Integrati per le Antiche Fortificazioni Costiere” , ebbe
un’importanza di assoluto rilievo, prima di divenire un
carcere ed essere poi abbandonata. Il presidente di
Mangia Trekking che collaborò alla stesura di una parte
rilevante di quel libro, insieme all’associazione “Dalla
parte dei forti” ne racconteranno la sua storia. Durante
il periplo dell’isola l’associata Dott.ssa Chiara
Piaggio (scienze ambientali), racconterà e descriverà le
principali piante presenti sull’isola ( pini, lecci,
roverella, lentisco, corbezzolo, cisti, ginestre
spinose, ecc.ecc.). Altri associati (Dott. Marco Cuttica
e Gian Paolo Camolei) racconteranno circa le cave di
marmo nero con striature di “portoro” ed altre
particolarità storiche dell’isola. Dalla vetta
dell’isola il presidente di Mangia Trekking ( già vice
direttore di Maritecnofari ) racconterà la storia ed il
funzionamento del faro dell’isola del Tino. Tutti
insieme i partecipanti cammineranno sulle vie dei
Condannati, e faranno una piccola manutenzione ed
attività ambientale. Nel cammino vi sarà la possibilità
di avvistare tanta fauna che vive e fa riferimento
all’isola Palmaria; il tarantolino (il più piccolo dei
gechi europei), ma anche il gheppio, il falco, lo
sparviero, la pernice rossa, il gabbiano, il corvo
imperiale, il passero solitario, il cormorano, la capra
ed il coniglio. Sulla vetta dell’isola in prossimità
della batteria militare ristrutturata ad ostello,
avverrà il pranzo al sacco, e sarà assegnato un gadget
ad ogni presente. La partenza dell’intera attività è
fissata intorno alle ore 10.10 dalla baia del Terrizzo (
molo di attracco dei natanti che trasportano le persone
). Mezzi nautici per raggiungere l’isola (La Spezia e
Porto Venere ), comunque per ogni informazione
necessaria, i numeri telefonici attivati sono i
seguenti: Info 338 4248003 – 328 7053535 – 348 8807392.
Percorso facile-escursionistico ed aperto a tutti (
naturalmente con garanzie di responsabilità personale
relativamente all’idoneità fisica ed agli infortuni ).
Evento gratuito. Il 25 settembre 2016, “non importa come
o con chi”, chi lo desidera potrà camminare in
solitario, o in diversi gruppi, importante sarà essere
“sull’isola che c’è ” la più bella isola del Mar Ligure,
tra i luoghi italiani più frequentati dal turismo-
scursionistico.
Domenica
la marcia della liberta della Brancoleria
Da
luccaindiretta.it del 21 settembre 2016
Domenica
(25 settembre) il comitato Linea Gotica Brancoli
organizza la Marcia della liberta della Brancoleria;
proprio intorno a questo giorno di settembre del 1944,
la zona della Brancoleria fu liberata dall’occupazione
tedesca. Il ritrovo è previsto alle 9,30 alla chiesa
della Pieve di Brancoli. A seguire tutto il gruppo dei
partecipanti verrà accompagnato da guide locali lungo il
sentiero che porta fino alla Croce di Brancoli. Lungo il
percorso, di circa 5 chilometri, verranno fornite
informazioni storiche sui fatti avvenuti in quei luoghi
durante la seconda guerra mondiale e verranno visitate
delle fortificazioni che da poco sono state rese
accessibili. Ci sarà anche una sosta commemorativa, nel
punto in cui furono uccisi due soldati americani
appartenuti alla 92esima divisione della Buffalo, la
divisione che era composta da solo soldati neri.
All’evento saranno presenti rievocatori storici con
uniformi dell’esercito americano, tedesco, della Rsi ed
una cornamusa dell’esercito scozzese. A fine del
percorso il comitato organizzerà una merenda per tutti i
partecipanti all’evento. Il ritorno alla zona di
partenza sarà effettuato in autonomia dai partecipanti.
Per chi ne avrà necessità saranno disponibili mezzi per
effettuare il viaggio di ritorno. Nel giorno dell’evento
sarà possibile visitare il Museo della memoria di
Brancoli allestito nei pressi della chiesa di San Giusto
di Brancoli. Per informazioni 339.8854979 – 331.3155787
- 338.1400559 Email: lineagoticabrancoli@gmail.com
Al comune
di Oristano la torre spagnola di Torregrande
Da Da
cagliaripad.it del 20 settembre 2016
Con
le sue misure, 20 metri di diametro e quasi altrettanti
di altezza, quella di Torregrande, come del resto dice
il nome stesso, è la torre spagnola più grande della
Sardegna. Dopo aver ospitato cannoni e soldati, prima
spagnoli e poi piemontesi, e dopo lunghi anni di
abbandono che non ne hanno comunque compromesso la
stabilità, ora grazie a un accordo tra la Conservatoria
delle Coste ed il comune di Oristano si prepara a
ospitare un museo che racconterà la storia di tutte le
torri costiere dell'Isola e poi iniziative culturali e
di promozione turistica e forse anche un ristorante
sulla vecchia piazza d'armi a 17 metri di altezza con
vista mozzafiato sul Golfo di Oristano e sulla pineta
della borgata. L'accordo sottoscritto oggi dal sindaco,
Guido Tendas, e dal commissario della Conservatoria,
Giorgio Onorato Cicalò, consentirà al Comune di
utilizzare l'edificio per promuovere iniziative
culturali e di interesse pubblico che potranno
qualificare l'offerta turistica di Torre Grande. Punto
fermo dell'intesa è che la Torre ospiti l'allestimento
del museo regionale delle torri costiere della Sardegna
collezione "Monagheddu-Cannas" con i modellini in scala
1:40 di 22 torri costiere dell'Isola. Il resto è tutto
da inventare. Secondo quanto previsto dall'accordo il
Comune dovrà garantire l'apertura al pubblico della
torre da maggio a settembre e organizzare iniziative di
carattere culturale, didattico, divulgativo e
informativo-turistico, con particolare attenzione ai
temi della cultura locale, del turismo, della
sostenibilità ambientale e della valorizzazione del
patrimonio costiero. In questo quadro, si è parlato
negli anni scorsi anche di un punto ristoro nella
abitazione per il farista edificata in stile neoclassico
in cima alla torre nel diciannovesimo secolo.
Torrione
in “svendita” a piazza Castello Basta mezzo milione
Da
ilgiornaledivicenza.it del 20 settembre 2016
«Oh
che bel castello marcondirondirondello». L’euforia e la
filastrocca, in questo caso sì, sono concesse anche
all’interno delle stanze di palazzo Trissino. Perché, va
detto, un’offerta così è difficile da trovare. Un
torrione in vendita a poco più di 400 mila euro. Mica
uno qualunque. Quello che svetta in piazza Castello, che
è alto 9 piani e che è già finito nella lista dei
desideri dell’amministrazione comunale. Tempo fa
sembrava un sogno impossibile ma adesso la giunta
guidata da Achille Variati potrebbe davvero mettere a
segno un colpo da veri intenditori riuscendo ad
assicurarsi quell’edificio storico con mezzo milione di
euro.
IL CONSIGLIO. Intendiamoci, non è un gioco da ragazzi.
Ci sono quattrini da spendere e c’è una procedura da
seguire. Tuttavia la strada non sembra impossibile. E a
suggerirla è paradossalmente un consigliere di
opposizione che nella giornata di ieri si è messo
davanti al computer e ha scritto quattro righe
indirizzate alle mail del sindaco Achille Variati e del
vice Jacopo Bulgarini d’Elci:
«Mi rivolgo a voi - si legge - per segnalare che il
torrione di porta Castello, uno dei simboli della nostra
città, è in vendita all’asta in quanto la società
proprietaria è stata dichiarata fallita. Riterrei che
sarebbe opportuno valutare una partecipazione alla
procedura d’asta da parte dell’amministrazione comunale
considerato che, allo stato, la base d’asta è
interessante. Oppure, come penso, si può esercitare la
prelazione successiva ex lege prevista per gli immobili
di interesse storico/artistico». Il rappresentante di
Forza Italia guarda all’effettivo utilizzo: «L’immobile
potrebbe essere, pur nella particolarità degli spazi
interni, destinato a spazio espositivo o comunque messo
a disposizione della città di Vicenza. Certo di aver
fatto cosa gradita, cordialmente saluto».
DI COSA SI TRATTA. Difficile al momento sapere la
reazione della giunta. Solamente ieri è iniziato lo
studio delle carte. Ma di certo quella di Michele Dalla
Negra è stata «cosa gradita». Perché l’affare è da
prendere al volo. Il torrione di piazza Castello è stato
messo in vendita dal tribunale dopo il fallimento della
società proprietaria, la Pleiade 48 srl. Come si legge
nei documenti del curatore fallimentare è alto circa 30
metri ed è composto di nove piani, tre dei quali non
sono calpestabili. Al piano terra si trovano l’ingresso,
il vano scale e l’ascensore, al quarto una sala mostra
con ballatoio e terrazzino, al quinto un’altra sala
mostra così come al sesto. Al settimo ecco una sala
ghirlanda e un camminamento perimetrale. All’ottavo e al
nono è posizionata la torretta sommitale con scala. Il
tutto si sviluppa per una superficie lorda complessiva
di 432 metri quadrati. Certo, non un granché come spazio
ma considerato il valore storico dell’edificio e il
prezzo, palazzo Trissino potrebbe davvero valutare
l’acquisto. Secondo quanto scritto dal tribunale, il
prezzo base è di 550 mila euro ma l’offerta minima dovrà
essere di 412.500 euro. Ma non solo. Il palazzo
costruito nell’epoca medioevale è stato ristrutturato
nel 1995 nel 1998 e nel 2011. Nicola Negrin
Giornate
Europee del Patrimonio
Da
laspezia.cronaca4.it del 20 settembre 2016
SARZANA
– Tornano anche quest’anno le Giornate Europee del
Patrimonio, manifestazione promossa dal 1991 dal
Consiglio d’Europa e dalla Commissione Europea con
l’intento di potenziare e favorire il dialogo e lo
scambio in ambito culturale tra le Nazioni europee. Si
tratta di un’occasione di straordinaria importanza per
riaffermare il ruolo centrale della cultura nelle
dinamiche della società italiana. L’edizione #GEP2016
www.beniculturali.it/GEP2016, per iniziativa del
Consiglio d’Europa, sarà dedicata al tema della
partecipazione al patrimonio nella direzione tracciata
sin dal 2005 dalla Convenzione quadro del Consiglio
d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la
società. All’iniziativa, com’è ormai tradizione,
aderiscono anche moltissimi luoghi della cultura non
statali tra musei civici, comuni, gallerie, fondazioni e
associazioni private, costruendo un’offerta culturale
estremamente variegata, con un calendario che spesso
arriva a sfiorare i mille eventi! Anche Sarzana con le
sue fortezze parteciperà alla manifestazione proponendo
eventi e ingressi ridotti. Sabato 24 e Domenica 25
Settembre gli orari di accesso ai percorsi visita della
Fortezza Firmafede e del MUdeF– Museo delle Fortezze,
saranno prolungati fino alle 21.30 con ingressi scontati
e dalle 18 ingresso a solo 1€. Appuntamento da non
perdere, Sabato alle 18.00 al Museo delle Fortezze
all’interno della Fortezza Firmafede. Insieme a Giorgio
Rossini e Roberto Ghelfi, progettisti e curatori del
museo cercheremo di rispondere alla domanda “Come nasce
un museo?”, scoprendo il processo creativo che ha
portato alla realizzazione delle 27 sale interattive ed
emozionali del museo. (Ingresso e partecipazione alla
visita €1,00) L’iniziativa in breve: Orari apertura
MUdeF: Sabato 24 e Domenica 25 dalle 10:30 alle 21:30
Prezzi Ingresso MUdeF: €6,00 biglietto intero – Ridotti:
€5,00 sopra i 65 anni e sotto i 14 – insegnanti –
gratuito sotto i 6 anni Sabato 24 dalle 18:00 ingresso a
€1,00 Sabato 24 alle ore 18:00 presso MUdeF: “Come nasce
un museo?” Prezzo: 1€
X-files
russi: l’Unione sovietica avrebbe combattuto una Guerra Fredda con gli
alieni
Da
blastingnews.com del 19 settembre 2016
Quando si parla di #ufo e Alieni viene quasi in
automatico associare il mistero agli Stati Uniti
d’America, i suoi presidenti e i vari apparati dei
servizi segreti. L’Area 51, la Base di Dulce,
l’avvenimento di Roswell del 1947, sono solo alcuni dei
punti chiave rimasti nella storia di questa controversa
tematica. Ma gli Stati Uniti non sono gli unici a
possedere gli x-files. Meno plateali e molto più
riservati, i russi sono stati ben più attenti a rivelare
i loro oscuri segreti. Tra il 1940 e il 1950 (l’era del
boom di avvistamenti UFO), anche l’Unione Sovietica
avrebbe avuto moltissimi incontri ravvicinati con esseri
provenienti da altri mondi e, a quanto pare, non erano
poi così amichevoli. "I sovietici sono rimasti scioccati
del fatto che tanti UFO potessero penetrare le loro
frontiere e fare ciò che volevano, senza alcun controllo
da parte del Cremlino. Ci sono stati molti più casi di
incontri diretti che negli Stati Uniti, e tutto ciò che
stava volando sopra l'Unione Sovietica era molto
interessato a installazioni militari segrete", ha
dichiarato il ricercatore e autore Paul Stonehill al
tabloid Daily Star.
Gli scontri tra i russi e gli UFO
Stonehill investigando tra gli archivi dei russi del
periodo della Guerra Fredda ha scoperto che ci sono
stati molti incontri ravvicinati tra gli UFO e i
soldati, che avevano ricevuto l'ordine di abbatterli.
Senza successo, ovviamente. Il Cremlino è sempre stato
cauto e ha da sempre preso molto seriamente la questione
UFO,
cercando di convincere l'opinione pubblica che gli
avvistamenti fossero dovuti ad armi dell'occidente. Come
per il progetto Blue Book americano, i russi diedero il
via al segretissimo progetto SETKA per capire l'origine
di questi fenomeni, dopo un avvistamento massivo di 48
UFO avvenuto nel 1977 a Petrozavodsk. I sovietici
riguardo agli UFO ne sanno probabilmente molto di più di
qualsiasi altra nazione, e molti dei documenti super
segreti continuano ad essere non accessibili e forse non
vedranno mai la luce. Fatto sta che Stonehill ha
scoperto che gli scontri tra i soldati e questi oggetti
volanti non identificati sono stati frequenti.
I russi si arrendono agli UFO
Successivamente i russi capirono di trovarsi davanti a
qualcosa di incredibilmente forte e fuori dalla loro
portata, così decisero nel 1960, di emettere un
comunicato ufficiale che ordinava ai soldati di non
aprire il fuoco contro nessun oggetto non identificato.
Questa storia ha davvero dell'incredibile, ma i servizi
segreti russi del KGB potrebbero essere entrati
in contatto con esseri alieni e aver recuperato
informazioni di cui il mondo è ancora oggi completamente
all'oscuro.
Riscaldamento globale, la Groenlandia e quei relitti (inquinanti) della
Guerra Fredda
Da
ilfattoquotidiano.it del 19 settembre 2016
Un
recente editoriale di Lauren Lipuma su Earth & Space
Science News la più diffusa rivista di geofisica pone un
problema di politica ambientale abbastanza complicato.
Al culmine della guerra fredda, nel 1959 gli Stati Uniti
costruirono in Groenlandia Camp Century, una base
militare completamente racchiusa all’interno della
calotta glaciale. Lo scopo ufficiale della base era
quello di testare nuove tecniche di costruzione adatte
alla regione artica e di condurre ricerche scientifiche
dedicate all’ambiente artico. Poi il progetto si allargò
un po’ e quasi subito Camp Century si trasformò in un
sito top secret dove sperimentare la fattibilità di uno
schieramento missilistico per colpire meglio l’Unione
Sovietica in caso di guerra nucleare. La Groenlandia è
territorio danese. Anche se gli Stati Uniti avevano
l’approvazione della Danimarca per costruire Camp
Century, il programma missilistico, noto come Project
Iceworm, pare fosse stato tenuto segreto. Dopo alcuni
anni di operatività, il Progetto Iceworm fu accantonato
dal Pentagono, la base fu dismessa nel 1967 e il corpo
degli ingegneri dell’esercito rimosse il reattore
nucleare che alimentava il campo. Ma furono lasciate lì
tutte le infrastrutture e i rifiuti prodotti nel
frattempo, pensando che tutto sarebbe stato congelato e
sepolto per sempre dalle nevi perenni. Da alcuni
decenni, il cambiamento climatico sta scaldando l’Artico
più di ogni altra regione della Terra. Un inventario
aggiornato dei rifiuti abbandonati nel sito ha stimato
la presenza di200mila litri di gasolio, quanto basta a
un auto per fare 80 volte il giro del mondo. E non è il
solo residuo, perché ci sono anche240mila litri di acque
di scarico, comprese le acque
di scarico, comprese le acque reflue,
assieme a un volume sconosciuto di refrigerante a bassa
radioattività usato dal generatore nucleare, oltre a
un’imprecisata quantità di policlorobifenili (Pcb), un
inquinante tossico.
Le simulazioni climatiche indicano che,
già nel 2090, la calotta di ghiaccio che copre Camp
Century potrebbe passare da un regime di accumulo a un
regime di scioglimento nivale. La fusione del ghiaccio
comporterebbe la sicura mobilitazione dei residui e dei
rifiuti con un pericolo ambientale non trascurabile. In
tal caso, gli inquinanti sarebbero trasportati verso
l’oceano con gravi rischi per gli ecosistemi marini. Per
contro, bonificare oggi il sito sarebbe un’opera molto
difficile, poiché i rifiuti sono sepolti sotto decine di
metri di ghiaccio; e l’operazione sarebbe non solo
costosa, ma anche tecnicamente assai impegnativa se non
quasi impossibile.
Chi sarà però responsabile della bonifica
quando i rifiuti emergeranno? Sebbene Camp Century fosse
una base statunitense, è in terra danese. La Groenlandia
è sì un territorio danese, ma è ora in regime di
auto-governo. Nessuno ha mai preso in considerazione le
implicazioni del cambiamento climatico sui rifiuti
abbandonati in siti politicamente ambigui. E forse ci
sono altre situazioni simili in giro per il mondo, per
fortuna non tutte in ambienti così estremi.
I borghi
fortificati più belli d'Italia
Da siviaggia.it
del 17 settembre 2016
In merito alla presenza di borghi e fortezze l’Italia
vanta sicuramente il più vasto patrimonio storico,
artistico e culturale dell’intero pianeta. Sulla
penisola italiana sono avvenute diverse vicende molto
curiose. Qui si sono sviluppate molte guerre e
battaglie. Per non citare la presenza della mura e di
borghi fortificati che servivano per proteggere il
territorio italiano dalle invasioni dei popoli
settentrionali. Durante le guerre tra gli imperatori del
Sacro Romano Impero e gli eserciti del Papa sono stati
costruiti molti forti, sopravvissuti fino ai giorni
nostri. Molti piccoli luoghi custodiscono gelosamente le
proprie storie e delle opere artistiche di valore
universale. Le leggende millenarie, le curiose
tradizioni, che spesso variano molto anche da una zona
italiana all’altra, fanno nascere una diversità unica
nel suo genere. Gli antichi borghi e le fortezze rimaste
in piedi nonostante siano trascorsi molti anni, hanno
molto da offrire sia sul punto di vista architettonico,
che su quello culturale. I borghi fortificati, che hanno
visto mille assedi, posseggono delle mura con bastioni,
belli non solo da vedere dall’esterno, ma anche da
visitare all’interno. Molti di essi sono stati insigniti
della Bandiera Arancione del Touring Club, per via della
loro accoglienza turistica e dell’impegno preso nei
confronti della sostenibilità ambientale. Uno dei più
bei borghi fortificati in Italia è sicuramente quello di
Candelo. Esso possiede delle grandi, maestose mura che
si estendono per un perimetro totale di circa 500 metri.
Agli angoli ci sono delle immense torri cilindriche che
regalano a questo borgo medievale un’atmosfera
particolare. Candelo è situato in Piemonte, sul percorso
che intercorre tra Biella e la Riserva Naturale delle
Baragge. Esso fu eretto nel XIV secolo per volere dei
popolani locali, che così volevano difendersi dagli
attacchi dei popoli dalle Alpi. Un altro dei importanti
borghi italiani è quello di Sabbioneta, che si trova
vicino al fiume Po, nel pieno cuore della Padania.
Questo borgo ospita una cinta muraria esagonale, la
quale fa da difesa al centro urbano. La ricostruzione
del borgo, effettuata per mano del principe Vespasiano
Gonzaga, ha fatto guadagnare a questa cittadina il
curioso appellativo de l’Atene della Pianura Padana, o
semplicemente la Piccola Atene. Dentro al borgo si
devono visitare molti monumenti importanti, tra cui il
maestoso Palazzo Ducale, il Giardino del Palazzo, la
Galleria degli Antichi e il Teatro Olimpico dello
Scamozzi, risalente alla fine del XVI secolo. Scoprendo
i borghi fortificati del Nord, non ci si deve
dimenticare della cittadina di Glorenza, situata
nell’estrema parte settentrionale italiana. La Glorenza
si trova in Trentino-Alto Adige, al centro della Valle
Venosta, a una manciata di chilometri dal confine con la
Svizzera. Ai tempi dell’Impero Romano era una crocevia
commerciale, mentre nel Trecento ha monopolizzato il
commercio del sale. Per via dell’evoluzione commerciale
di questo centro urbano, esso è sempre stato una chicca
per gli eserciti che volevano impadronirsi delle sue
ricchezze. A tal proposito intorno a Glorenza è stata
costruita una possente cinta muraria, con 7 torri
rotonde e 7 quadrate. Nel Veneto, invece, sorge Soave,
uno dei borghi più affascinanti non solo in Italia
settentrionale, ma persino in tutta l’Europa. Trovandosi
qualche chilometro da Verona, questa cittadina si è ben
conservata anche grazie alla presenza della grande città
vicina. Le mura di Soave proteggono dei vitigni
particolari e nel punto più alto della città si trova un
grande e maestoso castello. In epoca medievale questa
città è stata fortificata per resistere agi attacchi di
possibili nemici. Le 24 torri e il castello risalgono al
XIV secolo, mentre la fondazione di questo borgo risale
ai tempi dell’Impero Romano. Dentro alla cittadina vi
sono molti edifici storici, tra cui il Palazzo di
Giustizia, quello Scaligero e il Palazzo Pieropan.
Volendo, si può
entrare dentro al castello locale. Del lato artistico di
questa città non bisogna dimenticarsi di vedere i
dipinti risalenti al XVI secolo realizzati da
Orellano da Ravenna e custoditi nella chiesa di San
Lorenzo. Soave è anche famosa per il suo vino bianco.
Un’altra delle fortezze italiane si trova nella
provincia di Padova.
Si tratta della Cittadella, una
cittadina le cui radici risalgono all’anno 1220.
Essa fu fondata per difendere il territorio di Padova
dagli attacchi trevigiani. Le mura di questo centro
urbano hanno una forma particolare, ellittica. Si
tratta di un’esclusiva di pochi borghi in Italia. Le
torri posizionate a difesa della piccola città sono ben
32, in modo da difendere il borgo dagli attacchi
esterni. Altresì Cittadella ha ben 4 porte realizzate a
tripla arcata. Dentro si consiglia di vedere la Chiesa
costruita in stile neoclassico. Vi sono gelosamente
custoditi i dipinti di Jacopo de Bassano. Nella
Pinacoteca del Duomo locale, invece, ci sono le tele dei
maestri del XVI e del XVIII secoli. In questo borgo si
consiglia anche di visitare il Museo Civico per saperne
di più sulla sua storia.
Il cielo
sotto Milano
Da milanotoday.it
del 17 settembre 2016
Buongiorno,
sono la Prof.ssa Liberata Grasso, docente presso la
scuola secondaria "G. Falcone" di Cassina de' Pecchi
(Milano). Recentemente ho visitato alcuni Bunker
presenti a Milano, siti oggi accessibili e non molto
conosciuti.
L' oggetto ma già le immagini - di forte impatto emotivo
- dicono tutto.... Viaggio tra le Memorie Nascoste di
Milano attraverso i Bunker Breda. I Bunker si trovano
all'interno del Parco Nord e furono costruiti durante la
II Guerra Mondiale per difendere gli operai dai
bombardamenti.
Chiuse le porte, gli uomini sapevano di avere a
disposizione due ore di ossigeno. Una tomba salvifica,
quindi, costruita per sfuggire al cielo trasformato in
un patibolo dal rombo di un aereo. Oggi è importante
conservare la memorida della Nostra Storia e di tutta la
Storia, anche quella meno remota e molto più vicina a
noi. "Un popolo che ignora il proprio passato non saprà
mai nulla del proprio presente" (Indro Montanelli)
Muro
crollato, nessun colpevole
Da
messaggeroveneto.it del 15 settembre 2016
PORDENONE.
Il muro perimetrale della caserma Mittica è collassato
naturalmente per la sua vetustà. La Procura non ha
trovato elementi che possano ricondurre a delle
responsabilità. Su queste basi il pm Federico Facchin
intende chiedere l’archiviazione del procedimento
penale, aperto a carico di ignoti per l’ipotesi di reato
di disastro colposo. Gli inquirenti avevano già inviato
una diffida al Demanio civile e militare, chiedendo la
messa in sicurezza del muro perimetrale, paventando il
rischio di ulteriori crolli. Era quanto aveva stabilito
la consulenza tecnica, disposta dal pm Facchin:
sussistevano i rischi statici, che avrebbero potuto
mettere a repentaglio l’incolumità pubblica.
A livello locale tutti si sono mossi poi per provvedere
alla messa in sicurezza dell’area militare. La procura
aveva disposto l’accertamento proprio per individuare le
cause del cedimento. Il crollo parziale della cinta
muraria della caserma, edificata nel 1912, era avvenuto
il 6 novembre dell'anno scorso. D’improvviso si era
aperto un varco lungo una dozzina di metri. In una
manciata di minuti, i detriti avevano investito il
cartellone vicino alla fermata degli autobus e il
marciapiede. Solamente per un puro caso in quel momento
nessuno stava costeggiando la cinta muraria della
Mittica. Restano ora da individuare le eventuali
responsabilità nel crollo.
Domenica
il giro dei forti con "My trekking per Emergency"
Da genovapost.com
del 13 settembre 2016
Genova - Tornano, nell’ambito delle iniziative di
valorizzazione del Parco delle Mura e delle
Fortificazioni genovesi, le escursioni guidate aperte al
pubblico degli spazi di Forte Begato nel fine settimana.
La prossima, con un programma arricchito e diversificato
e denominata “Giro dei Forti di Genova”, avrà luogo
domenica 18 settembre in occasione dell’evento benefico
“MyTrekking per Emergency“. L’escursione prenderà il via
alle ore 9 dalla stazione Righi della funicolare
Zecca-Righi, il termine è previsto alle 15,30 circa con
un percorso sotto le Mura Nuove che toccherà i Forti
Puin, Due Fratelli, Diamante e la conclusione a Forte
Begato con visita dell’area fortificata.
Complessivamente il percorso impegnerà circa 5 ore, con
un dislivello in salita di 350 metri circa. Si tratterà
di una escursione- visita guidata su sterrati e sentieri
dissestati, è quindi raccomandato un abbigliamento
escursionistico con particolare attenzione alle
calzature (scarponcini o robuste scarpe da ginnastica) .
E’ indispensabile munirsi di acqua e pranzo al sacco. A
Forte Begato si accederà all’area fortificata, gli altri
Forti saranno illustrati dall’esterno.
L’escursione è a numero chiuso sino ad un massimo di 120
partecipanti (divisi in 3 differenti gruppi) e le
prenotazioni sono gestite dall’Associazione tramite
l’evento Facebook “My Trekking Gruppo”. Trattandosi di
una manifestazione di beneficenza, alla partenza potrà
essere fatta una donazione libera che contribuirà al
sostegno del Programma Italia di Emergency. Nel
pomeriggio sono in programma visite guidate (aperte a
tutti, gratuite, senza prenotazione) dell’area
fortificata di Forte Begato, con partenza all’ingresso
del Forte alle ore 16,30 e alle 17,30
Il Radar
della Nato di Capo Mele sostituito con un impianto più moderno, nessun
pericolo derivante dai campi elettromagnetici per la popolazione
Da
savonanews.it del 12 settembre 2016
Un
nuovo radar Nato è in
arrivo a Capo Mele. In
questi giorni,infatti,
sono in atto i lavori di
smantellamento del
vecchio impianto ( RAT
31 SL ) che monitorava
il traffico aereo
dell'Italia Nord
Occidentale, che verrà
sostituito con con con
il sistema d’ arma di
nuova generazione –
Radar RAT 31-DL FADR (Fixed
Air Defence Radar) .
Questa operazione, che
si inserisce in un
processo di
ammodernamento delle
Forze armate, è
importante per
potenziare la rete
operativa
dell’Aeronautica
militare italiana ed
integrarla ancora di più
nella catena di comando,
controllo, comunicazione
ed intelligence
dell’Alleanza atlantica
della Nato.
I lavori di
ammodernamento, sono
iniziati a febbraio 2016
e dovrebbero terminare
auspicabilmente
nell’estate 2017.
Completata la fase di
installazione del nuovo
radar, allo scopo di
tutelare la salute e la
sicurezza dei luoghi di
lavoro e degli abitanti
delle località limitrofe
verranno effettuate
apposite misurazioni dei
campi elettromagnetici
generati, a cura del
C.I.S.A.M. di Pisa
(Centro Interforze Studi
e Applicazioni
Militari).
Precedenti
misurazioni effettuate
dal C.I.S.A.M. presso
altri enti in cui è
stato installato il
medesimo Radar RAT
31-DL, hanno evidenziato
valori di campo
elettromagnetici
inferiori ai valori di
azione previsti per i
lavoratori in aderenza
al D.Lgs. 81/2008 e per
quanto riguarda la
popolazione all’ esterno
del sedime, inferiori ai
valori previsti dalle
linee guida della
International Commission
on Non Ionizing
Radiation Protection (I.C.N.I.R.P.)
fattore decisamente
importante per la
garanzia della salute
dei cittadini e per
dissipare eventuali
dubbi circa la
pericolosità di onde a
bassa frequenza che
potrebbero essere
dannose alla salute.
Ricordiamo che il
radar sorge nel sedime
della 115ª Squadriglia
Radar Remota di Capo
Mele sito sul
promontorio di Capo
Mele, tra le località
turistiche di Alassio e
Diano Marina ed è posto
a 224 m sul livello del
mare. Le informazioni
sulle caratteristiche
tecniche e di
funzionamento del nuovo
sistema, tutavia, sono
in gran parte coperte da
segreto militare.
Tuttavia come riportato
dalla brochure di Selex
E.S. si apprende che il
Fixed Air Defence Radar
(FADR) opera in banda D.
La 115ª Squadriglia
Radar Remota di Capo
Mele è inserita, sin dal
tempo di pace, nella
catena di Difesa Aerea
NATO/Nazionale e ha il
compito di contribuire
alla sorveglianza e alla
sicurezza dello spazio
aereo di competenza
senza soluzione di
continuità, attraverso
il corretto
funzionamento e il
mantenimento in
efficienza del sistema
d’arma e, con la
Stazione Meteo, fornendo
dati e bollettini
meteorologici.
Il nuovo sistema
d’arma in dotazione alla
Squadriglia sarà
collegato con le Sale
Operative dell’ ARS (Air
Control Centre,
Recognised Air Picture
Production Centre,
Sensor Fusion Post) di
Poggio Renatico (FE) e
del 22° Gruppo Radar
A.M. di Licola (Napoli)
alle quali trasmetterà i
dati di avvistamento e
tracciamento dei
velivoli acquisiti. La
Squadriglia è posta alle
dipendenze gerarchiche
della 4ª Brigata
Telecomunicazioni e
Sistemi DA/AV di Borgo
Piave (Latina) e riceve
il supporto logistico -
amministrativo dal Q.G.
1^ R.A. di Milano.
Ultimi
giorni per visitare il bunker
Da
ilgiornaledivicenza.it del 12 settembre 2016
Fino
a giovedì 15 settembre 2016 è possibile visitare il
bunker di Kesserling alle terme, un importante
testimonianza storica della seconda guerra mondiale.
Durante la settimana l'orario di apertura va dalle 16
alle 17.
Musei e
fortezze della Cosimo, visite in aumento
Da iltirreno.it
del 11 settembre 2016
PORTOFERRAIO.
Una stagione turistica (ancora in corso) da circa 30mila
visitatori nei siti museali gestiti dalla Cosimo de'
Medici. Con un aumento di circa il 25% rispetto all'anno
precedente. Sono i numeri che l'assessore alla cultura e
vice sindaco di Portoferraio Roberto Marini fornisce
circa l'attività dei siti culturali gestiti dalla
partecipata Cosimo de' Medici. Stiamo parlando delle
Fortezze medicee, Forte Falcone e museo civico della
Linguella. Rispetto alla stagione passata il movimento
nei siti culturali della città è aumentato. Merito,
secondo il vice sindaco Roberto Marini, della crescita
di Portoferraio in chiave turistica, ma anche della
valorizzazione dei siti da parte della società gestore.
«I dati sono confortanti - commenta il vice sindaco di
Portoferraio - a partire dal presidio di informazione
che la Cosimo ha allestito, in orari strategici, alla
Gattaia. I numeri che ho in mio possesso parlano di
circa 3500 utenti che si sono rivolti al personale della
Cosimo, il servizio ha funzionato. Ma sono i musei a
rappresentare la nota lieta. Trentamila utenti da aprile
maggio ad oggi, per un +25% rispetto alla scorsa
stagione». Marini ritiene che siano due i fattori che
hanno inciso sull'aumento dei visitatori. «Credo che
Portoferraio si stia trasformando gradualmente da mero
centro servizi a un luogo di interesse culturale,
turistico e anche in una chiave di produzione di posti
di lavoro. Il secondo fattore va ricercato invece nel
buon lavoro della Cosimo che, secondo me, ha apportato
delle migliorie ai siti museali e alla loro fruizione».
Il vice sindaco rende noti anche i primi dati relativi
all'attività del porto turistico. «I numeri relativi
agli incassi della Darsena sono positivi - racconta
Marini - dai posti barca la Cosimo ha incassato 800mila
euro circa, con un aumento di circa il 3% rispetto alla
stagione passata, con una presenza complessiva di circa
60mila persone. Un dato interessante è anche quello
fornito dalla nuova area di sosta delle Ghiaie, che ha
accolto qualcosa come 3600 automobili, per un incasso di
circa 20mila euro da parte della Cosimo. Anche in questo
caso ci siamo mossi per garantire un servizio in più
all'utenza, fornendo a chi utilizzava il parcheggio
anche un servizio bagno e doccia». Il 2016 è stato anche
l'anno della riapertura della Villa romana delle
Grotte.«Alcuni giorni fa abbiamo allestito alle Grotte
il concerto di Elba Isola musicale d'Europa - spiega
Marini - è stata una scelta vincente. In generale la
Villa ha funzionato bene, grazie anche al buon dialogo
con la proprietà. Ha totalizzato circa 1500-1600
presenze paganti, a cui si aggiungono le persone che
hanno raggiunto il sito durante gli eventi a ingresso
gratuito. Insomma, per la cultura è stata un'estate
positiva».
Castelli
di Sicilia – luoghi senza tempo
Da
inchiestasicilia.com del 9 settembre 2016
Non
ci sono regole architettoniche per un castello fra le
nuvole.
G.K. Chesterton
Castelli erranti, castelli per aria, castelli
immaginari, castelli fatati, castelli infestati e così
via alla fantasia. Ci sarà capitato, qualche
volta, di sognare di possedere una fortezza, di
primeggiare su tutto e tutti o di godere della bella
vista dall’alto di una torre!
La storia della nostra Isola è millenaria e altrettanto
millenaria è la storia dei suoi castelli. La lista è
estesa! Ci sono almeno quarantacinque fortezze da poter
ammirare alla scoperta di una Sicilia arcaica e
immortalata per l’eternità come in uno scatto
fotografico nella bellezza di una vecchia istantanea.
Con l’intento di attirare la vostra attenzione e di
invitarvi a proseguire con la scoperta, abbiamo scelto
per voi cinque castelli da visitare assolutamente,
circondati da panorami mozzafiato e anfratti suggestivi,
antiche dimore e memoria storica, e chissà, anche
memoria di antichi segreti… Cominciamo il nostro piccolo
viaggio indietro nel tempo attraverso le province di
Palermo, Trapani, Catania, Ragusa e Caltanissetta.
Castelli di Sicilia – Castello di Caccamo
Pillole di storia
Traccia
di una lunga parentesi della storia siciliana, questo è
uno dei luoghi più prestigiosi e attrattivi della
Sicilia, e va detto, forse il più grande e il meglio
conservato d’Italia.
Risalente al periodo normanno, le prime notizie storiche
accertate risalgono al 1.160. Nasce come fortezza. Le
prime importanti trasformazioni le dobbiamo alla
famiglia Bonello che lo resero maggiormente
inespugnabile. Tra il 1302 e il 1392, per volontà degli
illustri Chiaramonte, il suo scopo difensivo venne
rafforzato attraverso la costruzione di alcune torri.
I De Spuches sono stati gli ultimi inquilini del maniero
i quali e, grazie alla poetessa Giuseppina Turrisi
Colonna, resero il Castello centro di cultura e di
fasto.
Il terremoto del 1923 ne ha distrutto alcune aree.
Dal 1965 la Regione Sicilia ‘ha preso il comando’,
occupandosi del restauro e della riapertura di alcune
aree messe in sicurezza.
Uno sguardo fuori E’ situato su una ripida roccia calcarea, a metà
strada fra Palermo e Cefalù, ed è incredibile come
sembri quasi un naturale prolungamento delle pareti
pietrose, sormontando con la sua imponenza il paese. Al
di sotto troviamo la meravigliosa vallata creata dal
fiume San Leonardo, le cui acque alimentano il lago
artificiale di Rosmarina, e il pendio del Monte
Calogero.
Vi si accede percorrendo una lunga salita a gradoni che
quasi possiamo immaginare di percorrere a cavallo! Dal
muraglione merlato che troviamo sulla destra possiamo
ammirare il paese dall’alto, sulla sinistra, invece,
godiamo della visuale del castello adagiato sulla
roccia. E questo è solo l’inizio!
Uno sguardo dentro
Facendo un giro virtuale all’interno, dopo l’ingresso
che porta alle antiche scuderie, dopo i corpi di guardia
a sinistra e a destra, attraverso un arco, giungiamo al
terrazzo che ci regala il bellissimo panorama sulla
vallata e in cui troviamo la piccola cappella di corte.
A seguire le stanze della servitù, la Sala della
Congiura e la Sala delle Armi con i tetti lignei e le
sue possenti armature. Si giunge alle carceri un arco
più avanti. In alcune celle le pareti sono gremite di
graffiti e dipinti forse testimonianza della vita che i
detenuti conducevano tra quelle mura.
Vi è anche una stanza con una botola al cui interno
dovevano esserci delle lame che infliggevano la morte al
malcapitato.
La vista si perde tra sale da pranzo affrescate, mosaici
sui pavimenti, scuderie, la sala del teatro, le logge,
gli atrii, gli alloggi per i soldati, i ballatoi e le
innumerevoli merlature a testimoniare il lusso delle
diverse famiglie nobiliari. Beh, un modo originale per
trascorrere il proprio tempo.
Tra storia e leggenda
Ogni
tanto leggenda e storia s’incontrano a metà strada.
Il salone ‘della congiura’ racchiude in sé la parte più
interessante del Castello di Caccamo. Stiamo parlando
della leggenda del fantasma che, si dice, si aggiri per
le sue stanze. Matteo Bonello, uno dei primi proprietari
del castello, è stato nemico accanito del re Guglielmo I
detto Il Malo. Ingannato da false promesse politiche
dallo stesso re, il ricco proprietario è stato catturato
e torturato atrocemente. La terribile morte dell’uomo ha
dato vita all’idea che il suo altrettanto terribile
fantasma vaghi tra le stanze e le sale del suo castello.
Sembra girovagare pure il fantasma di una giovane
monaca, figlia di uno dei tanti proprietari della rocca,
che si innamorò di un valente soldato. Il padre della
fanciulla, contrario all’unione, fece di tutto per
separare i due amanti, uccidendo il soldato e
rinchiudendo in un convento la povera figlia. Consumata
dal dolore la giovane visse solo poco tempo dopo la
forzata separazione.
Castelli di Sicilia – Castello di Venere
Attraversando
la nebbia e l’atmosfera rarefatta del delizioso borgo
medievale di Erice, in provincia di Trapani, si svela
davanti a noi come per incanto il Castello di Venere.
È stato edificato dai Normanni sul monte Giuliano nel
XII secolo, e sorge sopra le rovine di un antichissimo
santuario a cui in epoca romana si sovrappose un tempio
dedicato alla
Venus Erycina romana, ovvero la fenicio-cartaginese
Astarte e la greca Afrodite.
Qui le sacerdotesse praticavano l’antica arte della
prostituzione sacra con i pellegrini che si recavano sul
picco roccioso per omaggiare la dea.
La fortezza
ab origine fungeva anche da carcere e un ponte
levatoio la collegava alle tre Torri del Balio. Oggi il
ponte è stato sostituito da un viadotto gradinato, uno
dei maggiori e caratteristici tra i castelli siciliani.
Fino al XVI secolo, la struttura fu presidio militare
spagnolo.
Grazie al conte A. Pepoli, nel XIX secolo, dopo un lungo
periodo di decadenza, venne creato un bel giardino
pubblico all’inglese e venne fatta ricostruire la torre
pentagonale distrutta nel XV secolo.
Uno sguardo fuori
Ma è il panorama di cui si può godere il punto di forza
di questo posto.
Dalla punta della torre, lo sguardo spazia da Trapani
alle isole
Egadi, verso la torretta Pepoli in basso, poi verso
la Chiesa di S. Giovanni, proseguiamo verso la costa con
Bonagia, il monte Cofano e, se c’è bel tempo, scorgiamo
anche Ustica. Si ha quasi la sensazione di poter
sfiorare le nuvole che viaggiano alla velocità della
luce!
L’ambiente si presta a foto dall’inquadratura unica, si
presta al relax e le passeggiate attraverso il giardino
adiacente al castello sono davvero piacevoli. Lunghi
silenzi e magiche atmosfere per un luogo che è al
contempo gotico, luminoso e vivo!
Tutt’oggi il maniero normanno, pur conservando il suo
fascino quasi surreale e un po’ sinistro è un
interessante centro di scambio culturale. In estate,
l’ascolto di versi poetici, con l’accompagnamento di
canti antichi, delizia le orecchie e rinfresca il corpo
e lo spirito dal fastidioso caldo. Un cielo stellato
picchiettato da piccoli
pois nebbiosi danno l’impressione di trovarsi
immersi in un posto magico e fiabesco. Approfittatene
finché potete
Castelli di Sicilia – Castello Ursino
Se vogliamo una
full immersion matta e disperata nella storia della
Sicilia o partecipare a stimolanti mostre d’arte, è
d’obbligo visitare il
Castello Ursino di Catania.
È l’edificio più imponente della città e risale al XIII
secolo (dal 1239 al 1250). Costruito per volere di
Federico II di Svevia, più volte è stato danneggiato e
restaurato, baluardo difensivo voluto proprio dal
sovrano. Fino al 1400 fu sede reale degli Aragona. Nel
XVI secolo è stato anche una prigione e ne sono
testimonianza le iscrizioni dei detenuti ritrovate. A
causa di due considerevoli eruzioni del vulcano Etna e
con l’introduzione della polvere da sparo, lo scopo
militare fu definitivamente compromesso, divenendo
dimora di viceré e del castellano.
Uno sguardo fuori
Dalle linee geometriche semplici, la pianta quadrata è
sempre stato un esempio di linearità poiché delimitata
da quattro torrioni di volume cilindrico ad ogni angolo
e da torri semicilindriche situate a metà di ciascun
lato.
Durante i Vespri fu sede del Parlamento Siciliano.
Uno sguardo dentro
Nel periodo in cui il maniero federiciano venne
utilizzato come carcere furono apportati cambiamenti
strutturali per avere un numero di locali sufficienti
che si potesse prestare ad uso prigione. Le grandi sale
del piano terra furono ridotte in piccoli ambienti, i
dammusi, per ospitare i prigionieri. Erano luoghi
tetre e infestati da topi, tarantole e scorpioni e la
traccia sono le centinaia di graffiti nei muri e negli
stipiti di porte e finestre.
Curioso che la lingua di queste iscrizioni è per lo più
il siciliano, ma con uso anche del latino, dello
spagnolo e di un misto di siciliano e latino.
Oggi
Dopo il suo restauro, è stato adibito a Museo Regionale.
Il Castello si pone infatti come perfetto connubio e
incontro tra presente e passato, un vero angolo di
storia passata e odierna perché la
location medievale ben si confà all’utilizzo per
mostre itineranti di rilevanza nazionale ed
internazionale che senz’altro offrono importanti spunti
di riflessione
Castelli di Sicilia -Castello di Donnafugata
Lo
sapete il perché proprio del nome “Donnafugata”? Chissà
che non abbia a che vedere con la leggenda secondo la
quale si narra la fuga di Bianca di Navarra da Bernardo
Cabrera che la chiese in sposa per acquisirne il titolo.
Questa fonte, in effetti, non ha nessun riscontro
storico ma a noi piace immaginarlo ugualmente.
Un’altra interpretazione farebbe risalire l’origine del
nome da una parola araba che significa ‘fonte della
salute’.
Tuttavia, la denominazione di castello può trarre in
inganno perché più che altro si tratta di una dimora
baronale del tardo Ottocento. Ma la residenza elegante,
sontuosa, suggestivamente immersa in uno dei giardini
più belli di tutta la Sicilia, non ha nulla da invidiare
ai più grandi e sfarzosi dei castelli.
Pillole di storia
Chiaramonte,
conti di Modica, nel XIV secolo avrebbero fatto
costruire il castello. Probabile sede di Bernardo
Cabrera. Nel 1648 V. Arezzo-La Rocca ne fece una
masseria fortificata. Nel tempo si trasforma da
alloggio neoclassico a castello neogotico.
Dopo anni di abbandono totale, nel 1982 il Comune di
Ragusa decide di acquistare la residenza, rendendolo di
nuovo agibile.
Uno sguardo fuori
A circa venti chilometri dal centro di Ragusa, la
residenza ha una grande facciata in stile gotico, una
bella loggia e due torri ai due lati.
Un parco di otto ettari circonda la magione e la
impreziosiscono di un’infinità di specie di vegetali a
aree di svago per divertire e allietare le ore degli
ospiti come la Coffee House, le grotte artificiali con
finte stalattiti e il già citato labirinto di pietra.
Uno sguardo dentro
Ci si perde al suo interno tra le centoventi e più
stanze su tre piani diversi di cui solo una ventina,
ahimé, sono aperte al pubblico.
Si deve assolutamente entrare nella Sala degli Stemmi,
nel Salone degli Specchi e nella Sala della musica con i
caratteristici
trompe-l’oeil alle pareti. Il
fumoir e la sala delle signore con i loro raffinati
decori vengono arricchiti di temi ispirati alla funzione
delle pipe. Al suo interno lo stile gotico-veneziano e
il tardo-rinascimentale sono perfettamente accostati.
Cosa state aspettando? Un gioiello di questo tipo va
goduto appieno!
Castelli di Sicilia – Castello di Falconara Butera
Concludiamo
il nostro itinerario nel Comune di Butera con la
romantica
location dell’unico maniero della provincia di
Caltanissetta e l’unico che si affaccia sul mare dal
momento che si erge su un promontorio roccioso sulle
acque del Golfo di Gela.
Il nome richiama l’originario allevamento di falconi che
si praticava nel 1362 circa, quando la torre era
concessa ai Santapau di Butera prima di passare ai
principi Branciforti.
Pillole di storia
Nel Quattrocento è stato fondato per difendere la costa
dalle scorrerie dei pirati. Più che altro era una torre
in origine quadrata detta
della Falconara appunto. All’interno possiamo
ammirare dipinti, ceramiche e trofei di caccia, eco del
lusso di un tempo. Dopo i lavori di ampliamento di metà
Ottocento, per volontà del conte tedesco
Giorgio Wilding, fu
edificata un’intera ala, con un grande
salone ed un terrazzo a picco sul mare e il
castello perse il suo aspetto di baluardo difensivo
diventando un’elegante residenza nobiliare.
Oggi
Il
punto panoramico su cui troneggia a picco sul mare è una
vista degna dei film più romantici che fanno da scenario
alle più belle storie d’amore.
Non è un caso che il castello sia scelto anche come
luogo di ricevimento per i matrimoni. L’ambientazione è
un’ottima cornice per festeggiare e per ricordare nel
tempo un giorno importante e unico come quello del
matrimonio.
Non resta che visitarlo e sognare letteralmente ad occhi
aperti!
Le mura
greche di Vibo vanno difese, non deturpate
Da
corrieredellacalabria.it del 8 settembre 2016
Da
febbraio l'amministrazione comunale di Vibo Valentia sta
eseguendo con le relative autorizzazioni dalla
Soprintendenza archeologica della Calabria i lavori di
"riqualificazione" della via Paolo Orsi, comprensivi
della posa di una grossa condotta interrata per il
deflusso delle acque bianche oltre che della
risistemazione dell'asfalto. Il tratto di strada in
questione lungo circa 600 metri è di fatto extraurbano –
sono due le case servite dalla via - è un percorso di
straordinaria valenza archeologica, com'è indiziato da
una serie di fattori inequivocabili acquisiti nel tempo.
Il tracciato viario confina con due vaste zone
sottoposte a vincolo archeologico una sul lato Sud-Ovest
della via: la località Cofino ovvero l'area sacra greca
indagata nel 1921 da Paolo Orsi e l'altra quella del
Trappeto Vecchio a Nord- Est della strada in questione
che comprende il lungo e monumentale tratto delle mura
greche al Trappeto Vecchio, circa 500 metri lineari di
fortificazione greca che in alcuni punti raggiunge i
quattro metri di elevato. Il sistema difensivo al
Trappeto Vecchio, con la sua estensione e le sue sei
fasi costruttive, rappresenta il più importante
monumento della costa tirrenica calabrese. Esso riveste
una particolare importanza non solo per la storia locale
ma anche per le ricerche sulla costruzione delle
fortificazioni in generale. L'architetto Thomas Aumüller,
che ha studiato la fortificazione per conto
dell'Istituto Germanico di Roma con queste incisive
parole descrive l'importanza che il monumento ha per la
comunità scientifica internazionale con l'articolazione
delle sue fasi costruttive inquadrabili tra il VI e il
III sec. a.C.. Come si è detto i lavori di allestimento
del Parco archeologico urbano avviati nell'agosto 2015
grazie ad un finanziamento di circa tre milioni di euro
e gli attuali 600 mila euro che si stanno investendo in
questi mesi per lo stesso progetto interessano anche i
500 metri di cinta muraria al Trappeto Vecchio. Il parco
archeologico di Vibo Valentia ha infatti nelle mura
greche il suo fiore all'occhiello e da questo monumento
oltre che dalla suggestione dei luoghi che sono attirati
i molti turisti e gli studiosi soprattutto stranieri che
vengono a visitare la città. L'allestimento del parco ha
come obbiettivo primario quello di ricostituire la
leggibilità dell'insieme delle diverse aree
archeologiche anche e soprattutto attraverso un sistema
di percorsi viari pensati per collegare e valorizzare le
potenzialità archeologicopaesaggistiche dei siti. In
questo senso la via Paolo Orsi costituisce una
"cerniera" archeologica fondamentale tra tre delle
diverse aree del parco (Cofino, Trappeto Vecchio e
Belvedere) anche perché lungo i 600 metri del suo
percorso si apre l'accesso al tratto di fortificazione
al tratto di mura indagate dall'Orsi. L'interesse
archeologico per la via in questione è da sempre chiaro
ai cittadini data la presenza lungo il margine Ovest
della strada di una serie di porzioni del monumentale
sistema di difesa della città greca ancora mai indagate.
A questo si aggiunga che sul margine Nord-Est della
stessa via, alla fine degli anni settanta del secolo
scorso, in uno sbancamento per la costruzione di un muro
di recinzione sono stati evidenziati 15 metri della
stessa fortificazione sempre in blocchi d'arenaria. Che
il percorso delle mura greche della città coincida con
lo stesso asse viario è stato sancito poi nel 1993 da
una campagna di prospezioni geofisiche volute dalla
stessa Soprintendenza grazie alla quale è emerso che
esse sono presenti subito sotto il manto stradale. A
questo si aggiunga che studi recenti hanno permesso di
ipotizzare la presenza della torre IX a metà circa del
tracciato viario, come indicato in uno schizzo di
Rosario Carta disegnatore dell'Orsi ritrovato negli
archivi della Soprintendenza.
Lungo i 600 metri della via Paolo Orsi il Comune di Vibo
Valentia in accordo con la Soprintendenza nello scorso
mese di febbraio-marzo hanno iniziato ad eseguire lavori
di riqualificazione della strada che hanno interessato
in un primo tempo la sezione presso la torre IX con la
messa in evidenza dei blocchi relativi alla struttura.
Risale al mese di Aprile la segnalazione fatta da alcuni
residenti della presenza degli stessi blocchi di
arenaria delle mura greche in tre punti
(complessivamente 35 metri circa) di una lunga trincea
per la posa di una condotta eseguita nel corso dei
lavori di riqualificazione della via e questo ha creato
molto sconcerto nella cittadinanza. Constatata
l'emergenza archeologica, segnalata al Comune e alla
Soprintendenza si è atteso il fermo lavori utile alla
rimodulazione dell'intervento iniziato evidentemente su
basi non funzionali alla tutela dei monumentali resti
archeologici emersi ma nulla è avvenuto in tal senso,
anzi l'unico risultato ottenuto è stato quello di
minimizzare la portata del rinvenimento.
Alla segnalazione dei cittadini è invece seguita una
inchiesta giornalistica portata avanti da "Il Quotidiano
del Sud", alla quale si è aggiunto l'appello pubblico
alla salvaguardia fatto dall'ispettore onorario. Anche
dopo questi interventi i lavori di scavo della condotta,
la realizzazione dei pozzetti in cemento e la posa del
grande tubo in PVC, non sono stati fermati, anzi quanti
hanno dimostrato interesse per i continui rinvenimenti
sono stati allontanati dal cantiere, giornalisti
compresi.
Alla fine di aprile la protesta dei cittadini,
l'inchiesta giornalistica, tre interpellanze
parlamentari alla Camera e al Senato e un esposto alla
Procura della Repubblica di Vibo, hanno determinato un
fermo lavori temporaneo per consentire l'ispezione del
"Soprintendente Avocante" della Calabria pro tempore
dottor Gino Famiglietti. Purtroppo l'esito del
sopralluogo, rilevando la presenza dei tre lunghi tratti
di cinta muraria in blocchi di arenaria (35 metri circa)
lungo la carreggiata, non ha portato alla sospensione
dei lavori autorizzati dalla Soprintendenza nel 2012
come ci si attendeva bensì ha imposto la realizzazione
di saggi archeologici tesi a trovare un percorso
alternativo per collegare i diversi tratti di condotta
già posata.
L'operato del Soprintendente che con i dati acquisiti
fino al momento del sopralluogo non pone in essere la
pratica di vincolo sul tracciato della via Orsi
interessato dalle mura, 350 metri circa, come era
auspicabile ma autorizza di fatto il completamento dei
lavori preoccupa e stupisce la cittadinanza.
Tra luglio e agosto viene effettuato il primo dei tre
saggi di scavo archeologici stabiliti dal Soprintendente
in corrispondenza del cancello d'accesso al tratto di
mura al Trappeto Vecchio. Nel corso dell'indagine sono
emersi in tutto il saggio i monumentali resti
archeologici riferibili alla cinta muraria greca, e a
questo punto la Soprintendenza ha comunicato di essere
in attesa, del progetto del Comune per posare la
condotta e ripristinare il fondo stradale.
La constatazione di quanto accade in questo primo saggio
di scavo preoccupa non poco e per più ragioni, sia di
ordine storico archeologico che di sicurezza del
sottoservizio idraulico da realizzarsi sulla base delle
quote imposte dal presenza dei blocchi.
I cittadini guardano ai nuovi 350 metri lineari di cinta
muraria greca presenti sotto la Via Paolo Orsi con
apprensione perchè la scelta operata dalla
Soprintendenza e dal Comune di risotterrare i resti
impedirà definitivamente la possibilità di trasformare
in 850 metri lineari il percorso complessivo di cinta
muraria oggi visitabile nel parco archeologico.
Ci si chiede perché deve essere tolta alla città la
possibilità di vedere valorizzata in tutta la sua
specificità tale zona di parco archeologico di una
specificità tale da diventare identitaria e tutto questo
mentre per lo stesso parco si stanno giustamente
spendendo tre milioni e seicento mila euro di
finanziamenti pubblici? Questo grave danno per il
patrimonio può essere perpetrato solo perché i
meccanismi burocratici si sono inceppati?
A tutto questo si aggiunga che, nei giorni passati,
nello stesso luogo, presso l'accesso al Trappeto Vecchio
in corrispondenza dell'inizio del nuovo tratto di mura
su via Paolo Orsi, nell'ambito dei lavori di
allestimento del parco archeologico cittadino
supervisionati dalla Soprintendenza è stata eseguita una
pesante rampa in cemento sensibilmente sopraelevata
(circa m. 2) rispetto al piano circostante, e posta a
ridosso della cinta muraria greca indagata dall'Orsi.
Il materiale utilizzato, l'ingombro e le modalità della
sua messa in opera pongono seri interrogativi sulla
correttezza dell'intervento.
Il margine interno della rampa insiste direttamente
sulla torre VIII la prima delle torri presenti nel
tratto vincolato al Trappeto Vecchio, fino a coprirne
parte della circonferenza, ancora oggi chiaramente
indicata solo da alcuni frammenti d'arenaria residui.
Oltre che sulla corretta visibilità del monumento e sul
contesto archeologico generale, l'elevato della rampa
produce effetti nocivi sulla stessa conservazione dei
resti, frapponendosi come sbarramento al naturale
deflusso delle acque meteoriche e quindi aumentandone la
forza erosiva che nel tempo accelererà il definitivo
sbriciolamento di quel che resta della torre VIII.
Se da un lato l'uso irrazionale del cemento è contro
ogni più elementare regola di esecuzione dei lavori in
ambito archeologico, come dimostrano i noti fatti di
Capo Colonna, dall'altro il rischio di danni immediati e
futuri alla struttura della torre VIII è elevatissimo,
fino a farne temere, in tempi brevi, la completa
scomparsa.
La granitica volontà dell'ente appaltante nel proseguire
i lavori come da progetto, la debole posizione di
controllo e di tutela della Soprintendenza, fa intuire
che siamo dinanzi al tracollo della valorizzazione e
della tutela del patrimonio all'interno di un'area di
parco archeologico urbano. Sicuramente si riuscirà a
raccattare qualche dato qua e là tra i tubi, i pozzetti,
i marciapiedi e rampa ma appare evidente che
l'imperativo categorico non è quello di valutare i
rinvenimenti in funzione della tutela e della
valorizzazione ma solo quello di completare alla meno
peggio i lavori previsti e soprattutto al più presto
procedere al ripristino della carreggiata su via Orsi e
al completamento della rampa nell'area vincolata senza
porsi troppe domande, perché i rinvenimenti archeologici
disturbano e non inorgogliscono.
Per restituire dignità storica e archeologica alla
situazione sulla via Paolo Orsi si auspica un'inversione
totale delle procedure amministrative. Sanare il vulnus
procedurale: il nuovo tratto delle mura greche rinvenute
deve essere finalmente vincolato secondo le norme
previste dal Codice dei Beni culturali, cosa della quale
a sei mesi del primo indizio non si ha alcuna notizia.
Si promuova al contempo ogni intervento utile, al
reperimento delle risorse finanziarie necessarie
all'avvio della ricerca sull'area della strada
interessata dai rinvenimenti, al fine di operare il
restauro e quindi il progetto di valorizzazione e
fruizione dell'intero tratto della fortificazione greca
ipponiate presente tra il Trappeto Vecchio (500 metri) e
la via Paolo Orsi (350 metri) che diventerà di 850
metri. Alternative alla Via Paolo Orsi, per il percorso
carrabile verso il cimitero sono da subito praticabili.
Si può scegliere tra il ripristino della viabilità sulla
strada che dal cimitero cittadino procedendo verso
Nord-Est in direzione del carcere. Oppure si può
rimodulare il percorso che dalla Croce della Nivera
procede verso il cimitero senza pensare di intervenire
con opere invasive in quest'area così importante dal
punto di vista archeologico.
Per quanto concerne i lavori di esecuzione della rampa
sull'accesso al Trappeto Vecchio si chiede la rimozione
di quanto sin qui realizzato e la corretta
riprogettazione del percorso in funzione anche e
soprattutto dei nuovi rinvenimenti effettuati su via
Orsi per una corretta fruibilità di tutto l'insieme.
La nuova
frontiera delle fortificazioni da campo
Dadifesaonline.it del 6 settembre 2016
I
sacchi di sabbia, utilizzati per centinaia di anni per
creare rapidamente delle fortificazioni, potrebbero
essere un Realizzata dalla Dynamic Defense Materials, la
McCurdy’s Armor è stata concepita sulla modularità,
traendo ispirazione I pannelli possono essere installati
su qualsiasi terreno: un posto di guardia corazzato con
postazioni di tiro, rapidamente.
I vari pannelli possono essere trasportati anche da una
roulotte per uso civile.
La McCurdy’s Armor (prima chiamata "Evaloch") è in grado
di resistere al fuoco diretto dei razzi RPG, schegge
un’esplosione pari a 14,5 chili di TNT.
La tecnologia sviluppata prende il nome da Ryan McCurdy,
un marine ucciso da un cecchino, il 5 gennaio del 2006,
I blocchi corazzati sono già stati consegnati
all’esercito degli Stati Uniti che li utilizza in
Afghanistan. Anche il Corpo È attualmente utilizzato
come misura di protezione aggiuntiva nelle ambasciate
degli Stati Uniti localizzate in aree sensibili.
Vladimir
Putin, bunker segreti per prepararsi a guerra con Occidente
Da
blitzquotidiano.it del 6 settembre
2016
“ROMA
– Secondo alcuni reports, sembrerebbe che Putin abbia
investito in una serie di bunker top secret, sparsi
nella città di Mosca, per prepararsi ad un’eventuale
guerra con l’Occidente.
Nelle relazioni, emerse lo scorso mese, e riportate dal
Daily Mail, si dice che la Russia abbia già iniziato
parecchi anni fa a costruire “decine” di bunker
sotterranei.La Russia si sta preparando a una grande
guerra, ed è conscia del fatto che sarà nucleare, perchè
il primo attacco partirà proprio da lì”, ha riferito al
Washington Free Beacon, Mark Schneider un ex ufficiale
del Pentagono per le politiche nucleari. “Non siamo
pronti per affrontare una grande guerra, ancor meno una
guerra nucleare”. Le indiscrezioni trapelate sui bunker
sono poche, ma i media russi affermano che sono stati
costruiti a Mosca come parte di una nuova strategia per
la sicurezza nazionale. Oltre a Mosca, la Russia ha
costruito dei bunker anti atomici anche sul monte
Yamantau, negli Urali. Il rapporto tra Occidente e
Russia si è inasprito negli ultimi anni, ovvero da
quando è stata annessa la Crimea ed è cominciato il
conflitto in Siria. Le tensioni sono poi aumentate a
causa delle esercitazioni NATO nei Paesi Baltici
dell’Europa orientale, dove sono stati utilizzati 6.000
uomini, 50 navi, 60 aerei e un sottomarino. All’inizio
di quest’anno sono emersi dei rapporti, dove veniva
detto che la Russia si stava preparando a testare un
missile nucleare talmente avanzato da annullare le
difese NATO e decimare una larga fetta d’Europa a pochi
secondi dal lancio. Il missile RS-28 Sarmat, chiamato
anche Satan 2, ha una velocità massima di 7 chilometri
al secondo, ed è stato progettato per annullare i
sistemi di scudi anti-missile. Il Sarmat può trasportare
una testata da 40 megatoni, 2.000 volte più potente
delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki
nel 1945 e distruggere un’area vasta come la Francia o
il Texas. Grazie al raggio da 10.000 km, permetterebbe a
Mosca di attaccare Londra, così come altre città
europee, e di raggiungere le costa dell’America
meridionale ed occidentale.
Le
fortificazioni seicentesche in città
Da
cittadellaspezia.it del 4 settembre 2016
La Serenissima Repubblica di Genova, vaso di ferro nei
confronti delle città liguri, lo era di coccio nel
contesto europeo. Signora di un territorio di ridotte
dimensioni, non era in grado di competere con le potenze
europee, prossimi Stati nazionali. Di uno di questi, la
Spagna, Genova era alleata, ma l’intesa era precaria.
Troppo smaniosa d’ingrandimenti territoriali quella per
non suscitare la giustificata diffidenza della Lanterna
che ben sapeva l’importanza strategica della Lunigiana,
appetita perché lì si muovevano le truppe in caso di
guerra da uno scacchiere all’altro. Così, a inizio
Seicento Genova munisce tutto il Golfo di fortezze e
batterie. In questo piano rientrano l’ingrandimento di
un piano del castello e l’allargamento della cinta
muraria che da più o meno un paio di secoli chiudeva la
città. La modifica maggiore è lo spostamento verso mare
del braccio meridionale che adesso corre lungo l’attuale
via Cavallotti. Di quelle mura resta un bel tratto di
muro inclinato che dall’incrocio di via Prione va verso
piazzetta del Bastione. Dove le vie s’incontravano stava
una porta la cui presenza è ricordata da una targa che
un’Amministrazione (chissà quale) ha apposto dove si
aprivano le sei aperture nelle mura. Le insegne iniziano
tutte dicendo che “nelle mura urbane del XIV secolo qui
si apriva la porta” e a seguire il nome. Però, c’è un
errore che a proposito della porta di via Cavallotti ho
già denunciato, in questa rubrica e in un libro del
2005. Ho però sempre dimenticato (mea maxima culpa) di
dire della porta del Carmine che si apriva grosso modo
all’incrocio di via Colombo, la direttrice lungo la
quale camminava il braccio occidentale delle mura, con
via Cavallotti, la linea lungo la quale si fece il nuovo
braccio meridionale nell’allargamento cominciato nel
1607. Quindi, anche per questa porta vale lo stesso
discorso: la porta non può essere del XIV secolo come
recita la targa, la data va spostata di un paio di
secoli in avanti. Fra l’altro, il cartello è di
difficile individuazione, tutto bianco nella facciata
bianca del CAMeC, alla sinistra dell’ingresso, in alto:
devi puntarci gli occhi per distinguerlo. Però, il
problema, secondo me, non è tanto una data sbagliata
(ormai, l’errore è stato fatto e amen), quanto il fatto
che sarebbe bene chiedersi quanti Spezzini sanno che la
città che abitano una volta era circondata da un
quadrilatero murato, e quanti ne conoscono il perimetro.
Una volta il Comune faceva percorsi per le scuole per
far sapere ai bimbi la storia cittadina, ma era l’epoca
dello pterodattilo. Oggi viviamo tempi moderni.
Forte
Busa Grande oggi due esperti ne spiegano la storia
Da
trentinocorrierealpi.it del 3 settembre 2016
VIGNOLA. In vista dell’inaugurazione, si terrà oggi una
conferenza illustrativa. Si fa riferimento al Forte Busa
Grande recentemente restaurato e recuperato a cent’anni
dalla Grande Guerra, dove, alle 15, i ricercatori
storici Volker Jeschkeit e Marco Gramola parleranno
della linea difensiva austroungarica e del ruolo del
Forte costruito nei pressi del Compet (strada per la
Panarotta). L’inaugurazione sarà domenica 18 con ritrovo
alle 9.30, messa alle 10.30 e cerimonia (e visita al
forte) alle 11.30. Completerà rinfresco e concerto di
musica classica. (r.g.)
Inaugurato il Museo delle Fortezze, la storia diventa multimediale
Da
cittadellaspezia.it del 3 settembre 2016
Sarzana - Taglio del nastro e primi sguardi incuriositi
e soddisfatti hanno accompagnato questa sera
l'inaugurazione del MUdeF – Museo delle Fortezze che da
oggi ha sede all'interno della Cittadella di Sarzana.
Attraverso un percorso interattivo che si snoda fra le
sale e gli affascinanti sotterranei della costruzione
medievale è infatti possibile scoprire vicende e
caratteristiche della Lunigiana con particolare
attenzione proprio a castelli e dimore che ne sono state
parte integrante attraverso i secoli. Usi, costumi e
soprattutto storia di un territorio importantissimo sono
stati ricostruiti attraverso elementi multimediali con
contenuti attivabili grazie a particolari braccialetti
che saranno forniti ai visitatori al posto del consueto
biglietto. Mappe interattive, voci ed immagini pensate
per raccontare, sia in italiano che in inglese, non solo
le vicende di Sarzana ma anche quelle di tutti i borghi
circostanti facendo rivivere così un'epoca intera.
“Questo importantissimo progetto è nato un'intuizione di
un grande esperto di architettura come Stefano Milano –
ha detto il sindaco Alessio Cavarra aprendo la cerimonia
davanti a giunta, esponenti del consiglio comunale,
operatori culturali e rappresentanti delle forze
dell'ordine – ed unisce Val di Magra, Val di Vara e
tutta la Lunigiana storica. Oltre a rendere fruibili ai
visitatori aree mai utilizzate – ha aggiunto – offre
anche tecnologie che consentono di avere uno sguardo di
insieme sui castelli del territorio. Con le nostre due
fortezze possiamo contare su un complesso unico a
livello europeo e ringrazio tutti coloro che hanno
contribuito alla realizzazione di quest'opera che ci
consente di aggiungere un altro tassello al nostro
patrimonio culturale e all'offerta turistica di Sarzana”.
Fra questi c'è anche la Regione Liguria, rappresentata
dall'assessore alla cultura Ilaria Cavo: “Quella di oggi
è una giornata importantissima perché questa apertura
segna una sinergia importante fra la storia della città
ed un valido progetto multimediale. Da parte della
Regione – ha sottolineato – c'è grande vicinanza e
partecipazione, abbiamo ritenuto giusto cofinanziare
l'opera ed offriamo la massima disponibilità per fare in
modo che la fruizione del museo possa essere rilevante.
Si tratta di un'altra bella tappa nel percorso di
valorizzazione della Liguria che stiamo portando avanti
e che qui può contare anche sul Festival della Mente che
si aprirà domani, siamo disponibili a progettare e
costruire ancora qualcosa di importante e sono sicura –
ha concluso – che il MudeF sarà un viaggio bello e
sorprendente per chi verrà a vederlo”. Curato da ETT Spa
nell'allestimento multimediale il museo è stato
realizzato dai progettisti Roberto Ghelfi, Giorgio
Rossini e Daniela Scarponi e seguito dal direttore delle
due fortezze Raffaele Colombo e dalla direttrice del
Polo Museale Serena Bertolucci. “Sono contenta di essere
qui nel primo luogo dove sono arrivata nel giorno del
mio insediamento – ha affermato – questo è un punto di
partenza perché il vero lavoro per tutti inizia oggi.
Dovete fare di questo spazio un luogo vostro e di tutto
il territorio" Un museo all'altezza di una città che
punta con decisione sul turismo e sulla promozione del
proprio patrimonio storico e culturale, e che come tale
dovrà essere promosso e curato.
Fari e
torri costiere aperti al pubblico
Da norbaonline.it
del 31 agosto 2016
Dalla Torre d'Ayala a Taranto al faro di Torre Preposti
a Vieste. In tutto 20 le strutture che saranno aperte al
pubblico a settembre e ottobre nell'ambito del progetto
Valore Paese-Fari. L'iniziativa dell'Agenzia de Demanio
punta a recuperare fai ed edifici costieri situati in
contesti di assoluta bellezza. Il bando di gara partirà
il 15 settembre. Si potranno visitare anche Torre
Castelluccia Bosco Caggioni a Pulsano e il Convento di
San Domenico Maggiore Monteoliveto a Taranto. Le
giornate Open Lighthouse sono organizzate dal Demanio e
da Difesa Servizi Spa in collaborazione con WWF e
Touring Club Italiano.
Aumentano
capacità russe in Europa
Da
occhidellaguerra.it
del 31 agosto 2016
L’Institute
for the Study of War, think tank di Washington, ha
rilasciato un grafico informativo che evidenzia la
crescente copertura missilistica terra-aria della Russia
in Europa. Dagli Stati baltici a gran parte dell’Ucraina
e del Mar Nero, dalla Polonia settentrionale alla Siria
e parte della Turchia, senza tralasciare il Joint Air
Defense Network che Mosca gestisce in cooperazione con
in Bielorussia ed Armenia.
La Russia ha poi alterato l’equilibrio delle forze nel
Mar Nero, nel Mediterraneo orientale e nel Medio Oriente
attraverso la definizione di grandi zone A2D2,
anti-access area-denial, nell’ambito di una precisa
strategia di negazione.
Nel grafico sono mostrati i principali asset difensivi
di Mosca che, in un ipotetico scontro con la Nato,
potrebbero ostacolare la capacità delle forze aeree
statunitensi di accedere nelle zone operative. Le aree
di difesa create dai russi – scrivono dal think tank –
negherebbero la supremazia aerea nelle aree di rilevanza
strategica.
L’Institute for the Study of War conferma i timori del
Pentagono per la crescente capacità SAM di Mosca.
L’esempio di Kaliningrad L’enclave russa tra Polonia e
Lituania con accesso diretto al mar Baltico è
fondamentale nello scacchiere strategico russo.
Se scoppiasse una crisi tra l’Europa e la Russia, Mosca
potrebbe instaurare una no-fly zone che si estenderebbe
da Kaliningrad fino a coprire un terzo dello spazio
aereo polacco. I russi hanno schierato a Kaliningrad
probabilmente il meglio della loro attuale tecnologia
militare: dagli S-400 Triumph ai missili balistici
Iskander-M.
Sistemi integrati quindi, per un asset A2 / AD
(anti-accesso/area di diniego). Il sistema stratificato
ed integrato di difesa aerea e missilistica schierato
prevede radar di allarme precoce e battaglioni armati
con sistemi S-300/S400. Il Cremlino ha schierato a
Kaliningrad tre brigate d’élite completamente
equipaggiate Forze meccanizzate supportate
da una brigata di artiglieria, basata come potenza
primaria su 54 sistemi di grosso calibro. La 7054 Air
Base ospita in turnazione quasi cinquanta velivoli tra
elicotteri pesanti e caccia.
A Kaliningrad, Mosca schiera anche la 152a brigata
missilistica del Distretto Occidentale equipaggiata con
i missili balistici Iskander-M. Il sistema missilistico
Iskander–M, prodotto dalla Kolomna KBM, è stato
ufficialmente adottato dall’esercito russo nel 2006. La
versione interna o M ha una gittata massima dichiarata
di 480 km (in fase di test la possibilità di estendere
il raggio ben oltre i 500 km) con una CEP o probabilità
di errore circolare di 10 metri. L’Iskander è stato
progettato per eludere i più avanzati sistemi di difesa
aerea, compreso lo scudo spaziale americano.
Capace di una velocità massima di 7mila km/h, l’Iskander
nella fase terminale del volo si affida ad una guida
optoelettronica, compiendo brusche manovre per eludere
le difese aeree e rilasciando esche per ingannare i
radar nemici. E’ corretto definire il sistema
missilistico Iskander come una delle armi più letali
dell’arsenale russo: progettato come un sistema
balistico ad alta precisione, ma ottimizzato per
l’utilizzo a distanza ravvicinata, sotto le 500 miglia.
I missili possono essere lanciati in 16 minuti ed in
quattro minuti in caso di prontezza operativa.
Il secondo missile (solo per la versione interna) può
essere lanciato in meno di 50 secondi. Isolata dalla
Russia se non per via mare (in caso di conflitto i
collegamenti ferroviari sarebbero inaffidabili),
Kaliningrad è stata fortificata per arrecare il massimo
delle perdite ad un attacco preventivo della NATO.
Fortificazioni medievali
Da baritoday.it
del 31 agosto 2016
Sabato 03 ore 20.00 appuntamento con l'itinerario "Le
Fortificazioni Medievali". Le fortificazioni medievali
Scopriremo insieme i resti delle
antiche mura della nostra Bari. Punto d'incontro: Piazza
del Ferrarese
Piazza del Ferrarese. In questa
piazza sorgeva una delle due porte principali della
città, denominata "di mare", "australe", "di Lecce",
Lungomare Imperatore Augusto. La cinta muraria seguiva
il tracciato dell'odierno lungomare in direzione dei
fortini di Sant'Antonio e Santa Scolastica. Fortino di
Sant'Antonio. Questo era uno dei quattro baluardi di
difesa della città. Fortino di Santa Scolastica. Il
nostro viaggio continua all'estrema punta settentrionale
dell'abitato antico, dove si trova un altro dei quattro
baluardi di difesa anche questo di costruzione molto
antica risalente al X secolo. Costo: 8 euro -
Prenotazione a info@pugliarte.it
Rocche e
fortificazioni della provincia di Verona: il Castello di Sanguinetto
Da veronasera.it
del 30 agosto 2016
Un gioiello da valorizzare, ancora poco conosciuto, come
i tanti monumenti che arricchiscono i piccoli paesi
italiani. La storia del Castello di Sanguinetto comincia
nel 1375, costruito dagli scaligeri per difendersi da
Mantova e subito donato ai Dal Verme. Nel corso dei
secoli cambiò spesso casata fino ad essere conquistato
in armi nel 1509 dalla Lega di Cambrai, un insieme di
forze europee che si era unito per arginare lo
strapotere della Repubblica di Venezia. Già prima del
Cinquecento però la struttura era stata modificata e
aveva perso molte delle sue caratteristiche militari. Si
presenta però ancora come un classico castello
medioevale, un fossato attorno e mura merlate per
proteggere il cortile interno. La cinta muraria è
intervallata da 8 torri, di cui una rappresenta
l'ingresso. Nel corso dei secoli il castello perse la
sua ragione d'essere e passò di mano in mano fino a
quando il Comune di Sanguinetto non riuscì ad
acquistarne una buona parte e trasformarla in municipio.
Gli interni sono visitabili e spicca per bellezza un
camino in stucco eseguito da Erasmo Da Nardi.
Il forte
veneziano tra i Balcani
Da
corrieredelveneto.it del 29 agosto 2016
Andrea Cornaro era uno dei migliori ingegneri veneziani
del XVII secolo. Originario di Candia (l’attuale Creta),
era grande esperto di opere difensive. A Belgrado, nella
fortezza che è anche il polmone verde della città, c’è
una porta che ha il suo nome, quella sul lato Sudest,
sovrastata dalla torre dell’orologio. Nel 1688, dopo due
secoli di dominio ottomano, Massimiliano II Emanuele di
Baviera espugnò la capitale serba. Fece così chiamare
Cornaro per creare un sistema moderno di fortificazioni,
a cominciare da Kalemegdan, la fortezza turca (kale
significa fortezza, megdan battaglia) sorta sul vecchio
castrum romano di Singidunum, alla confluenza tra i
fiumi Danubio e Sava. Cornaro si mise all’opera e
disegnò una fortezza che doveva essere inespugnabile. Ma
due anni dopo, mentre i lavori stavano cominciando, i
turchi assediarono Belgrado e ripresero possesso della
città. Cornaro accettò di terminare il lavoro per i
turchi e mise a disposizione i progetti. Ma, come
riporta due secoli più tardi Girolamo Ferrari nel suo
libro Delle notizie storiche della Lega tra l’Imperatore
Carlo VI e la Republica, «gli uomini d’intelligenza
stabilirono, che quelle opere fossero con falsa regola,
e con visibile difetto, e perciò ne fu il Cornaro in
premio decapitato». La fortezza fatta costruire con i
suoi disegni è ancora oggi una delle più belle
attrazioni della capitale serba, che sta riscoprendo un
grande interesse fra i turisti. Nell’area di Kalemegdan,
oltre a un panorama unico sui grandi spazi verdi di
Belgrado, c’è la chiesetta delle rose con i lampadari
costruiti con proiettili e granate della Prima guerra
mondiale o la cappella dove scorre l’acqua che donne e
uomini bevono per aumentare la fertilità. Di chiese
Belgrado ne ha tantissime, soprattutto di rito
ortodosso. La più vecchia risale al 1830. La capitale fu
distrutta 27 volte in 252 battaglie. Le ultime
distruzioni risalgono ai bombardamenti della Nato negli
anni Novanta e sono ancora evidenti in alcuni quartieri.
Oggi in molti dal Nordest scelgono di visitare Belgrado
non solo perché ha rappresentato e rappresenta un
crocevia fondamentale nella storia dei Balcani ma perché
in un’unica città rivivono più stili e più atmosfere: le
strade eleganti del centro storico; quelle «bohémien »
di Skadarlija, la «Montmarte di Belgrado» con i suoi
ristoranti e la musica dal vivo; l’antico quartiere
turco di Dorcol; i palazzoni grigi dell’epoca comunista;
il quartiere della nuova Belgrado, raggiungibile anche
attraverso le belle piste ciclabili dal centro; Savamala
e il distretto del design con i locali notturni e poi,
lungo il fiume, gli splavovi, le zattere che diventano
club. E le tante chiese come quella di San Sava, dove,
una volta entrati, è facile essere sorpresi dalla
presenza, all’interno dell’edificio di culto, di ruspe o
macchine di movimentazione. E tanti operai, come accade
alla Sagrada Família di Barcellona. L’itinerario che
parte dall’anima più veneziana di
Belgrado, Kalemegdan, non può non passare attraverso lo
«Yugo Tour», un percorso attraverso i luoghi simbolo
della Jugoslavia di Tito, che culmina con la visita del
mausoleo dell’uomo che per quasi 40 anni riuscì a unire
i Balcani in un unico Stato federale.
Un anno
di viaggi nella storia nel bunker di Opicina
Da ilpiccolo.it
del 29 agosto 2016
TRIESTE Il 30 agosto 2016 il Gruppo escursionisti
Triestini festeggerà un anno di visite ai bunker di
Opicina. La ricorrenza verrà celebrata domani con una
visita speciale a offerta libera previa prenotazione.
Nell’occasione, al consueto percorso verranno aggiunte
due nuove zone di interesse storico: il bunker dietro la
linea tranviaria e il cimitero di guerra germanico. Il
pubblico potrà visitare il bunker ad H e quello del
generatore (così detto in quanto si suppone contenesse
un generatore elettrico) per poi salire al cimitero
monumentale e infine ridiscendere al bunker sotto
l’Obelisco, dove si stanno svolgendo degli scavi per
riportare alla luce alcuni manufatti risalenti alla
Seconda guerra mondiale. «Siamo partiti con 36
partecipanti e siamo davvero felici di aver raggiunto
questo traguardo - spiega Fabio Mergiani degli
Escursionisti triestini -. In un anno abbiamo
oltrepassato la notevole cifra di 3mila visitatori.
Molte persone ci hanno confessato di non conoscere la
battaglia di Opicina nè l’esistenza dei bunker. Siamo
lieti che la nostra passione possa contribuire alla
diffusione della conoscenza dell’ultima grande battaglia
su suolo italiano. È allo studio – anticipa - un
percorso per trasformare la zona in parco tematico della
Seconda guerra mondiale: pochi lo sanno, ma per quantità
e qualità di bunker, trincee e osservatori, l’area che
permette di dominare Trieste si potrebbe paragonare a
una piccola Normandia. Crediamo fortemente in questo
progetto e speriamo di riuscire a portarlo a termine».
Il ritrovo è fissato alle 17.45 al quadrivio di Opicina,
nel parcheggio sulla statale per Banne. La visita
inizierà alle 18 e durerà due ore e mezza. Alla fine ci
sarà una sorpresa per tutti. «Sarà - anticipano gli
organizzatori - un viaggio tra passato, presente e
futuro. Illustreremo il percorso che abbiamo intrapreso
per valorizzare i bunker di Opicina: è stato un anno di
visite, lavori, pulizie e manutenzioni, ma iniziamo a
vederne i frutti. Per tutto l’inverno proseguiremo con
la campagna di scavi. Valuteremo se scavare anche
all’esterno, perché pensiamo che anche al di fuori si
possano trovare postazioni di artiglieria o di
contraerea e anche nuove cisterne d’acqua sotterranee».
La visita non presenta alcuna difficoltà: il percorso si
snoda su 2 chilometri con un dislivello di circa 50
metri. Ma chi non se la sentisse potrà andare
direttamente al bunker dell’Obelisco dove si concluderà
la visita. La raccomandazione è di portare con sé una
torcia e calzare un paio di scarpe adatte. L’attività
del Gruppo proseguirà anche in autunno. Il 17 settembre
si terrà una visita in notturna con ritrovo alle 19.45 e
partenza alle 20. Per Autunno a Opicina, in concomitanza
con la Barcolana, il 1° ottobre sono in programma due
visite: una alle 9 e l’altra alle 16. Dal 2 al 7 ottobre
si terrà una visita giornaliera alle 16.30. L’8 ottobre
si effettueranno due visite (alle 10 e alle 16.30);
infine il 9 ottobre ci sarà la possibilità di assistere
alla partenza della regata dalla galleria panoramica.
Per prenotazioni e informazioni:
gruppoescursionistitriestini@gmail.com.
Tuffo tra
vita e guerra dell'Ottocento. Ritorno al passato a Forte Ardietti
Da larena.it del
26 agosto 2016
Un tuffo nel passato immersi nella storia e nelle
ambientazioni di metà Ottocento. È «Opera Sesta»,
rievocazione storica che si tiene da oggi a domenica a
Forte Ardietti, collocato tra Peschiera e Ponti sul
Mincio. Come l’anno scorso il motto della manifestazione
è «Vivi la storia»: i visitatori non avranno infatti un
ruolo passivo, ma saranno coinvolti nelle attività
proposte. Un centinaio di rievocanti in abiti storici
proporranno spaccati di vita militare e civile,
inscenando battaglie ed episodi di vita quotidiana.
Quest’anno saranno ricordate in particolare le vicende
legate alla Terza guerra d’indipendenza (1866) che segnò
la fine del dominio austriaco in Italia e l’annessione
del Veneto al nascente regno d’Italia. Oggi alle 17
cannonata di apertura seguita dalla prima visita guidata
a cura del Fai Giovani di Verona (le visite
proseguiranno per tutta la giornata di domani e
domenica). Alle 18 il sindaco di Ponti Giorgio Rebuschi
unirà in matrimonio Serena Castelletti e Diego Pradella,
una coppia di rievocanti di Peschiera che ha scelto
l’ambientazione ottocentesca celebrare il proprio
matrimonio. L’evento, aperto al pubblico, mostrerà usi e
costumi dei matrimoni di epoca risorgimentale. In serata
musica e danze in stile balcanico. Domani e domenica il
Forte sarà aperto dalle 9 con attività didattiche e
militari: alle 15.30 verranno rievocati gli episodi
salienti della battaglia di Custoza combattuta 150 anni
fa. Ogni angolo del Forte sarà allestito con arredi
d’epoca: tra le ambientazioni uno spazio dedicato alla
stamperia e alle incisioni, un altro alla fotografia e
poi l’ospedale militare, la sala da scherma, il
panificio, il comando austriaco e quello garibaldino, il
salotto borghese e gli spazi della servitù. Attivi anche
diversi stand gastronomici sempre «a tema». L’evento è
stato organizzato dall’Associazione Cultura e
Rievocazione Imperi e dalla Pro loco di Ponti in
collaborazione col Comune di Ponti e il Fai Giovani di
Verona. L’ingresso alla manifestazione costa 5 euro ma è
gratuito fino ai 14 anni.K.F.
Forti,
appello al sindaco per ricevere fondi
Da nuovavenezia.it
del 25 agosto 2016
«Il Comune partecipi al bando per al riqualificazione
delle periferie, che scade il 30 agosto. Potrebbe
ottenere risorse preziose per restaurare e rendere
fruibili i forti della laguna e della terraferma».
Comincia così l’appello inviato al sindaco Luigi
Brugnaro da una quindicina di enti e associazioni
culturali, comitati e associazioni tra le più importanti
del territorio. La Legge di Stabilità 2016 ha stanziato
500 milioni di euro per il «Fondo per l’attuazione del
Programma per la riqualificazione urbana e la sicurezza
delle periferie». Manutenzione e rigenerazione urbana,
occasione di lavoro e di riuso di beni storici da aprire
alla cittadinanza. Ideale, secondo le associazioni, per
chiedere il finanziamento dei restauri del sistema dei
forti. Così i forti Gazzera, Carpenedo e Mezzacapo in
terraferma, Lido e Pellestrina, Sant’Erasmo, il Forte di
Sant’Andrea. «Un modo per rigenerare bene preziosi e
sottrarli alla privatizzazione», scrivono le
associazioni, «il sistema difensivo storico della laguna
conta su decine di edifici e fortificazioni dal XIV
secolo alla Seconda guerra mondiale che vanno
valorizzati e reinseriti nella vita moderna della
città». Gli esempi non mancano, come l’uso del
Lazzaretto Nuovo per campi e visite, la Torre
Massimiliana di Sant’Erasmo restaurata e recuperata, il
forte di San Felice a Chioggia. Alcuni dei forti sono di
proprietà del Demanio, altri in concessione al Comune.
«Un’occasione storica», dice il portavoce delle
associazioni Andrea Grigoletto, «il Comune si muova
perché alla scadenza del bando mancano pochi giorni»,
Hanno firmato l’appello Italia Nostra, Istituto italiano
dei Castelli, Fai, Archeoclub, Centro studi storici di
Mestre, Coop Forte Carpenedo Onlus, Forte alla Gatta di
Zelarino, comitato Forte Gazzera, Faro, Venezia cambia,
Comitato Certosa, Amico albero, Altro Lido, Tessera
calcio, San Felice, Forte Sant’Andrea. (a.v.)
All'interno del bunker segreto costruito nel ponte di Brooklyn, in
attesa della "fine del mondo"
Da idealista.it
del 26 agosto 2016
Si dice che nei momenti più difficili della Guerra
Fredda siamo stati a un passo dalla “fine del mondo”.
erano solo pochi minuti al giorno del giudizio '. Anche
gli scienziati nucleari dell’Università di Chicago
avevano creato il cosiddetto orologio dell’apocalisse,
che raffigurava in tempo reale la minaccia di una guerra
nucleare globale. La paura dei missili russi ha spinto
gli Stati Uniti a cotruire migliaia di rifugi atomici,
molti dei quali incorporati in luoghi simbolo del Paese.
Uno degli ultimi ad essere scoperto si trova nel ponte
di Brooklyn a New York, esattamente nella parte che è a
Manhattan. Nel 2006 un gruppo di ispettori del
Dipartimento dei Trasporti della città lo ha trovato per
caso durante un controllo della base del ponte. Dopo una
spessa porta di metallo hanno scoperto 140 scatole pieno
di cibo per la sopravvivenza – tra cui oltre 350.000
barrette energetiche ipercaloriche – e 50 barili di
acqua potabile, oltre a pile e materiale di primo
soccorso.
Da
caserma a stazione di posta
Da
messaggeroveneto.it del 24 agosto 2016
PALMANOVA. La caserma napoleonica Filzi come un’antica
stazione di posta, adattata ai giorni nostri, dove
offrire tutto il necessario ai viaggiatori e ai loro
mezzi di locomozione che, visto il crescente sviluppo
del cicloturismo, non sono certo cavalli e carrozze, ma
bici da corsa e mountain bike, che sempre più numerose
arrivano a Palmanova seguendo la ciclovia Alpe Adria.
L’idea è venuta a tre studenti di architettura
dell’Università di Udine che, quando si sono trovati a
studiare una nuova destinazione per la caserma
napoleonica, si sono interrogati su come conciliare una
struttura storica alle moderne esigenze della città e
del richiamo turistico elaborando una proposta che
guarda alla Filzi come a un luogo dove ospitare i
visitatori, offrire servizi legati sì alla loro
permanenza in fortezza, ma anche al loro passaggio e al
mezzo di trasporto. E così, accanto alle stanze dove
riposare, alla cantina dove degustare vini e prodotti
tipici della zona, è stato pensato anche un vano per il
ricovero, la riparazione e la manutenzione delle
biciclette. Il progetto è stato elaborato da Andrea
Raffaelli, Chiara Pietrini e Gianmarco Mattiola,
nell’ambito di un percorso di studio e progettazione
proposto dall’ateneo a 37 studenti del primo anno della
laurea magistrale in architettura, all’interno del
Laboratorio di restauro architettonico tenuto da
Alessandra Biasi, Andrea Cortesia e Domenico Visintini.
Gli allievi hanno lavorato su ipotesi di restauro e di
nuove destinazioni per la caserma Filzi, la polveriera
veneta Barbaro e le fortificazioni. Tra coloro che hanno
lavorato attorno alla Filzi, il gruppo
Raffaelli-Pietrini-Mattiola ha guardato alla struttura
di inizi Ottocento in chiave turistica. «L’idea
progettuale – precisa Raffaelli – nasce dalla
consapevolezza che Palmanova è sorta per essere in
posizione dominante e strategica nel territorio e dalla
volontà di riassegnare questo ruolo alla città. Il
progetto mira a fare dell’ex caserma Filzi un luogo di
sosta, di scambio o di passaggio per i ciclisti che
percorreranno la ciclovia Alpe Adria tra Grado e
l’Austria». E così al piano terra è ipotizzata un’area
commerciale, al primo piano un bed and breakfast, al
piano interrato una cantina e, nel sottotetto, il
passaggio della ciclovia attraverso le arcate storiche.
Il piano sottotetto presenta infatti l’accesso allo
stesso livello della cinta bastionata e potrebbe
costituire una sorta di passaggio coperto della via
ciclabile, a ridosso delle fortificazioni, un passaggio
attrezzato con zone dove custodire le bici, effettuare
piccole riparazioni, ospitare attività economiche legate
a questa clientela, dal negozio di articoli sportivi al
baretto con menu dedicati. «Con questo percorso – spiega
la professoressa Biasi dell’ateneo friulano – gli
studenti hanno potuto scoprire un’architettura
straordinaria, misurarsi con la complessità del progetto
di conservazione e ipotizzare una concreta destinazione
per il futuro di Palmanova. Ciò grazie anche alla
sensibilità del Comune, che ha apprezzato il loro lavoro
ed entusiasmo».
Buon
compleanno alla Torre Normanna di Casalbore: da 800 anni a guardia del
paese
Da repubblica.it
del 23 agosto 2016
Otto secoli di storia per la Torre Normanna di Casalbore,
simbolo del borgo irpino. E Il 27 e il 28 agosto
l’intera popolazione casalborese festeggerà il
compleanno della torre. La data convenzionalmente
assunta per la fondazione dell’edificio è il 1216: oltre
mille anni fa i Normanni si stabilirono in Irpinia
costruendo edifici e fortificazioni per difendere il
loro nascente regno, e tra questi vide la luce anche
l’originaria torre di Casalbore, la cui esistenza è
attestata sicuramente da ottocento anni. La Torre
Normanna rappresentava un punto di difesa e osservazione
strategico per il controllo dei traffici commerciali che
interessavano la Valle del Miscano e attorno ad essa, in
epoche successive, si sviluppò un complesso
architettonico più articolato, difeso da bastioni e
caratterizzato dal colore grigio chiaro della tipica
pietra locale. La struttura si sviluppa attorno ad
un’ampia piazza d’armi cui si accede attraverso la
cosiddetta Porta Beneventana, ricavata proprio nella
parte bassa della torre. Nel Cinquecento, la struttura
fu trasformata ad opera dei Caracciolo in dimora
signorile, aggiungendovi il palazzo posto sul lato Sud
della corte e altre tre porte di accesso. Per
festeggiare l’atteso anniversario l’intera comunità
casalborese, riunita nelle associazioni locali, si è
impegnata nella organizzazione di una due giorni volta a
raccontare la vita, la quotidianità e gli eventi che si
sono dipanati in secoli di storia e di cui la Torre
Normanna è stata muta testimone. Per l’occasione, nella
piazza d’armi saranno allestiti un campo d’arme e
un’area di tiro con l’arco, oltre a uno spazio dedicato
ai giochi in armatura cui potranno partecipare anche i
visitatori presenti. Si assisterà, inoltre, a
rievocazioni degli antichi mestieri, come la merlettaia,
il calzolaio, il fabbro, lo scalpellino, il cestaio, il
maestro del ferro battuto e il falegname, tramandati per
generazioni di padre in figlio. Saranno protagonisti gli
artigiani locali. La corte si arricchirà di un'altra
importante e caratteristica esposizione, quella dei
prodotti locali naturali e lavorati: banchi espositivi
saranno allestiti con salumi, formaggi, legumi, ortaggi,
conserve e erbe aromatiche. Anche il gusto avrà la sua
parte grazie alle produzioni tipiche e alla gastronomia.
Ricco il menù scelto per l'occasione: cicatielli al sugo
di carne, porchetta, panino e salsiccia, insalata
dell’orto, caciocavallo impiccato e per dissetarsi
birra, vino e acqua. Le due serate saranno allietate
dalle esibizioni del gruppo folkloristico di Casalbore e
dal gruppo folkloristico “la Takkarata”; momenti di
animazione e spettacolo a cura della compagnia “il Cervo
Bianco” faranno rivivere lo spirito medievale dell'epoca
in cui la Torre fu fondata. Durante l’intero week-end il
Museo dei Castelli, unico percorso didattico-espositivo
dedicato ai castelli e alle fortificazioni della
provincia di Avellino, ospitato presso i locali
adiacenti la Torre Normanna, sarà aperto e visitabile
grazie ai volontari che terranno speciali visite guidate
Il libro
sulle fortificazioni fa tappa alla Fondazione Museo Storico
Da
trentinocorrierealpi.it del 23 agosto 2016
Quando gli edifici parlano (in realtà sono gli studi che
permettono loro di raccontare...) di contesti
socio-economici, mentalità, società e di guerra: è il
caso del ponderoso volume (si sviluppa su 700 pagine)
scritto dallo studioso del Museo Storico di Rovereto,
Nicola Fontana, che illustra la storia dei forti
costruiti fra il 1815 e il 1916 in Trentino Alto Adige.
«La regione fortezza: il sistema fortificato del Tirolo»,
questo il titolo del volume, frutto di vent’anni di
ricerche e oltre otto di stesura, che ora, come abbiamo
anche avuto modo di annunciare nelle scorse settimane è
in “tour” per il territorio provinciale insieme al suo
autore. Domani (inizio alle ore 17.30) arriva in
biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino a
Trento, dopo la presentazione avvenuta domenica sera al
Museo della geologia di Predazzo. Le tappe delle
presentazioni si inseriscono nell'ambito della rassegna
intitolata “Sentinelle di pietra: di Forte in Forte sul
Sentiero della pace”. Il libro di Nicola Fontana
(pubblicato nel 2016 dal Museo Storico Italiano della
Guerra, € 47,00) ricostruisce le fasi della
pianificazione, progettazione e costruzione delle
fortezze del Tirolo meridionale tra Ottocento e
Novecento. All’incontro sarà presente l'autore, che è
responsabile dell’archivio storico e della biblioteca
del Museo della Guerra di Rovereto e ha già pubblicato
altri libri sui forti trentini. La ricerca di Fontana è
davvero complessa e articolata. Ricostruisce la storia
delle opere di fortificazione permanente costruite
dall’Impero austroungarico nella contea del Tirolo
esaminando l’interessante dimensione sociale e politica
nella quale sono state concepite. Il volume si compone
di tre parti: nella prima parte si presenta il processo
di pianificazione del sistema fortificato dalle origini
(inizio Ottocento) fino alla mobilitazione generale del
1916, dunque allo scoppio della Guerra. Qui compare il
concetto be noto di popolazione del Tirolo come
potenziale “fortificazione vivente” della Patria. La
seconda parte racconta l’iter di costruzione dei forti
(progetti, acquisto dei terreni, eventuali espropri,
pratiche di collaudo di strutture e armamenti) e altri
aspetti sociali (ad esempio la mentalità del corpo
ufficiali del genio militare oppure l’iter
burocratico-amministrativo seguito per arrivare
all’apertura dei cantieri). Nella terza parte il libro
affronta la questione di quanto e come il paesaggio sia
stato forgiato dalla logica della fortificazione del
territorio e gli impatti su società ed economia
locali.(m.d.t.d.)
Una
conferenza sulle fortezze d'altura elbane
Da tenews.it del
22 agosto 2016
Nel suggestivo contesto medioevale di Piazza del Cantone
(Piazza delle Magnolie) a Marciana, martedi 23 agosto p.
v. alle ore 21,30 Laura Pagliantini, direttore
scientifico della Fondazione Villa Romana delle Grotte,
tratterà per residenti e ospiti che vorranno essere
presenti, la seguente tematica: “ Il paesaggio delle
fortezze d'altura dell'Isola d'Elba tra la tarda età
etrusca e la conquista romana” La conferenza scaturisce
dal lavoro di ricerca, studio e comunicazione al più
vasto pubblico della storia e dell’archeologia
dell’Elba, condotto nell’ultimo quinquennio della
relatrice, dottore di ricerca archeologica. Oggi i
paesaggi del passato possono essere visti in una nuova
luce. L’archeologia moderna, infatti, mira a ricostruire
i paesaggi del passato con le loro forme, con le loro
attività, con le comunità di donne e di uomini che di
quei paesaggi fecero parte e che quei paesaggi
costruirono. In questo particolare incontro si
affronterà il tema cruciale dell’assimilazione
dell’Isola d’Elba nel territorio di Populonia nel
periodo etrusco. Per molti secoli l’Elba fu uno dei
piccoli grandi centri del Mediterraneo. Lo era anche
quando, per fare fronte all’aggressività della grande
nemica Cartagine, Roma inserì l’Arcipelago Toscano e la
Corsica nei propri domini. Di questi remoti eventi e di
quell’antico paesaggio militarizzato il territorio
elbano conserva ancora tracce straordinarie e
significative. Il futuro dell’isola si identifica nella
valorizzazione di quel passato imponente, di quelle
strade, di quelle memorie. L’incontro è il terzo di “ È
Marciana Storia”, serie di eventi dedicati soprattutto
alla storia locale dell'Elba per conoscerla,
riscoprirla, condividerla, valorizzarla come identità
culturale del luogo. Tra le varie fortezze individuate
all’Elba il riferimento a Monte Castello in questo caso
è d’obbligo, visto che una stanza del museo Archeologico
di Marciana è dedicata all’esposizione di reperti
etruschi recuperati in tale località dalla
Soprintendenza Archeologica di Firenze negli scavi del
1977. Si sottolinea come per realizzare questo incontro
(e non è né il primo, ne sarà l’ultimo) si sia coniugato
il nostro apporto con la preziosa collaborazione
dell'Associazione “Italia Nostra Arcipelago Toscano”, il
tutto patrocinato dal Comune di Marciana. In
considerazione della particolare tematica trattata si
auspica una adeguata presenza di pubblico. Associazione
Marciana Aurea
Base
militare sul Monte Stella, nel Cilento: scie chimiche e complotti
Da
wired.it del 16 agosto 2016
La
cupola bianca utilizzata per il monitoraggio radar è
diventata, secondo una teoria del complotto, il cuore di
una base sotterranea segreta in Campania da cui partono
gli aerei che alterano il clima
Dall’inizio del mese di agosto ha ricominciato a
circolare in rete una vecchia storia che contiene tutti
gli ingredienti per un perfetto mix da complotto
Una base militare segreta, collocata in un’area montuosa
non molto frequentata, sulla quale compaiono misteriosi
grovigli di scie chimiche
(//www.wired.it/scienza/lab/2014/02/28/labufala-delle-scie-chimiche/):
come farsi sfuggire una simile occasione per gridare
allo scandalo e tesserci sopra una bufala
(//www.wired.it/scienza/2014/11/14/scie-chimiche-
ominabufale-vip/) in piena regola? Siamo nel Cilento in
Campania, in un’area montuosa della provincia di
Salerno, per la precisione sulle pendici del massiccio
del Monte Stella (https://it.wikipedia.org/wiki/Monte_Stella_(Cilento)).
Sulla vetta più alta si trovano una piccola chiesa del
1100, dedicata alla Madonna del Monte Stella e
restaurata poco più di vent’anni fa, e una base militare
utilizzata per il controllo del traffico aereo.
Si tratta di un centro
costruito per sfruttare la tecnologia Loran (https://it.wikipedia.org/wiki/LORAN)
(LOng RAnge Navigation), che tramite onde radio a bassa
frequenza controlla gli spostamenti aerei in tutta la
parte est del Mar Tirreno centrale e meridionale. Dalle
immagini satellitari si nota come il cuore della base
consista ancora oggi di una grande cupola bianca posta
sulla cima del massiccio, in modo da poter monitorare il
traffico aereo a 360 gradi. Peccato che già tra il
novembre e il dicembre del 2008 alcuni siti come
Heymotard News (https://heymotard.blogspot.it/2008/11/ripresa-delleattivit.
html) (per primo) e Tanker Enemy
(http://www.tankerenemy.com/2008/12/lo-strano-caso-delmonte-stella.html)
abbiano costruito a partire da quella base una
fantasiosa storia di operazioni militari occulte. La
stessa notizia, arricchita di nozioni storiche ad hoc,
ha continuato a comparire negli anni successivi su altri
siti, fra cui ad esempio Cilento Reporter
(http://www.cilentoreporter.it/2015/04/10/lostrano-
caso-della-base-sul-monte-stella/) nel marzo del 2015.
Al di là delle solite scie chimiche “solitarie di prova”
seguite da “un’immensa ragnatela di scie in continua
formazione” responsabili di una fantomatica alterazione
del clima della regione, una delle peculiarità
sottolineate dei bufalari sarebbe la presenza di un
traffico aereo molto intenso (dichiarato ma non
documentato) nei pressi della vetta, in particolare di
domenica. L’altra stranezza che dimostrerebbe il
complotto sarebbe il fatto che due delle scie in una
delle giornate sembravano provenire da uno stesso punto,
grossomodo sulla cima del Monte Stella – che
“stranamente” pare coperta da una “misteriosa” foschia –
come documentato dall’immagine qui di seguito. Tali
indizi sarebbero sufficienti, secondo gli ideatori di
questa teoria, a dimostrare la presenza di una base
militare sotterranea segreta costruita potenziando le
tecnologie della base originaria. Come se non bastasse,
vengono forniti molti altri elementi a sostegno della
storia, tutti ovviamente privi di fonti, di dati
scientifici o di prove di qualsiasi tipo. Si parla ad
esempio di “colonne militari nottambule che scompaiono
all’interno della montagna”, di “personale civile e
militare della base a cui è fatto divieto di
familiarizzare durante la libera uscita con la gente del
posto” e di una “impressionante casistica di noduli alla
tiroide e altre forme di cancro tra gli abitanti di San
Mauro Cilento”. Secondo gli stessi siti, inoltre, sulle
pendici del Monte Stella ci sarebbe un campo elettrico
così forte da essere “sufficiente da solo a tenere
acceso una lampada a fluorescenza”. Senza elementi
concreti queste sembrano solo informazioni messe lì per
alimentare il mistero e confondere le idee. Chi avrebbe
visto questi militari? Quali sarebbero le persone schive
che restano rintanate nella base sotterranea? Quale
studio scientifico dimostra un’anomalia statistica nei
casi di tumore proprio a San Mauro Cilento (un piccolo
comune che conta meno di mille abitanti (https://it.wikipedia.org/wiki/San_Mauro_Cilento))?
Chi ha misurato questo intenso campo elettrico? Sul
resto delle informazioni, poi, è possibile verificare
direttamente che si tratta di falsità. Secondo la
bufala, infatti, ci sarebbe un divieto di accesso sulla
strada che conduce alla vetta introdotto pochi anni
prima (del 2008), impedendo ai turisti di raggiungere la
cima. In realtà non è affatto così, tanto che – come
verificato anche da Butac (http://www.butac.it/le-sciechimiche-
cilento/) – persino la Google Car è recentemente
riuscita ad arrivare sulla sommità del monte e
riprendere la zona incriminata. Un’area, tra l’altro, in
cui ancora oggi le immagini satellitari mostrano le
panchine e i tavolini destinati ai visitatori. Basta
dare un’occhiata alle attuali immagini di Google Maps
per vedere un’automobile e alcuni turisti proprio nei
pressi della chiesa e a pochi metri dalla base. Insomma,
una raccolta quasi esemplare di elementi misteriosi e
acchiappa click, ideale per chi ancora crede
(//www.wired.it/play/cultura/2015/04/24/scie-chimiche-2/)
alla storia delle scie chimiche nonostante sia stata
smontata (//www.wired.it/scienza/2015/10/02/perche-smontare-bufale/)
ormai innumerevoli volte. Ah, la fonte originale delle
informazioni parrebbe essere il “sotto-forum” Scie
Salerno del sito sciechimiche.org
(http://www.sciechimiche.org/scie_chimiche/), che anche
tutti gli antivirus consigliano di evitare.
"Museo
Storico a cielo aperto di Punta Marina Terme": visita ai bunker della
Seconda Guerra Mondiale
Da
ravennanotizie.it del 16 agosto 2016
È nato nel 2015 a Ravenna il Comitato Ricerche Belliche
360° che sta portando avanti il progetto no profit
"Bunker Tour Ravenna“. Obiettivo del Comitato è quello
di creare un percorso storico attraverso
l'individuazione, lo studio, la divulgazione e la
preparazione di una guida illustrata completa di tutti i
reperti della Seconda Guerra Mondiale presenti sul
territorio e in questo ambito vengono organizzate visite
ai bunker tuttora presenti. Come spiega il Comitato
Ricerche Belliche 360°: "A Punta Marina in 700m lineari
di costa ci sono ben 7 bunker tedeschi della seconda
guerra mondiale, ben conservati, ed una fila intatta di
sbarramenti anticarro detti "Denti di Drago", altri 4
bunker si trovano in proprietà privata ed alcuni altri
sono stati demoliti, praticamente un museo a cielo
aperto. Un altro gruppo di 4 bunker si trova poco più a
nord davanti a Villa Marina, la ex Colonia CRI ed un
altro paio di bunker unici sono in centro a Marina di
Ravenna dimenticati ma sicuramente da salvare ; per quel
che riguarda Marina di Ravenna, i bunker sono molti di
più ma per la maggior parte sono in proprietà privata.
Molto interessanti anche i bunker presenti a Porto
Corsini. La presenza di bunker prosegue a nord ed a sud
del territorio comunale fino a Casalborsetti (6 bunker:
3 privati e 3 demaniali) e Lido di Savio ( 6 in
proprietà privata 4 facilmente visibili), nel Comune di
Cervia - Milano Marittima ce ne sono almeno un'altra
decina di cui uno , in area demaniale, presenta
all'interno un murales originale tedesco che va
sicuramente tutelato e valorizzato quale testimonianza
dell'occupazione". Il censimento e la manutenzione sono
svolti dai volontari del Comitato Ricerche Belliche 360º
in collaborazione con il Corpo Forestale Dello Stato UTB
di Punta Marina. I prossimi appuntamenti promossi dal
Comitato sono con le visite guidate al “Museo Storico a
Cielo Aperto di Punta Marina Terme” venerdì 19 e venerdì
26 agosto. La partenza è prevista alle ore 20 dalla sede
dell'Ufficio Informazioni di punta Marina (via della
Fontana 4). Per l'adesione è necessario compilare un
apposito modulo che troverete allo IAT di Punta Marina
oppure scaricabile qui
https://www.dropbox.com/s/4rnaadt6iajhza0/Esonero%20responsabilita.pdf?dl=0
Durata di ogni visita 1 ora e 30 minuti, durante la
quale Luca Cavallazzi spiegherà, per filo e per segno,
le fortificazioni di Punta Marina. Visita molto
semplice, servono normali scarpe da ginnastica, liquido
repellente le zanzare, eventuale maglioncino. Percorso
quasi completamente in piano ed adatto anche a
diversamente abili che saranno accompagnati da
componenti il Comitato Bunker Tour Ravenna CRB 360°.
Info 3357826640 Enrico o IAT Punta Marina per saperne di
più https://www.facebook.com/groups/BunkerTourRavenna
Sant’Anna
di Vinadio e la Seconda Guerra Mondiale
Da
laguida.it del 12 agosto 2016
di Massimiliano Cavallo Sant’Anna di VinadioL’Associazione
per lo studio delle fortificazioni alpine occidentali (Asfao)
organizza una mostra dedicata alla 2ª Guerra Mondiale
nel Vallone di Sant’Anna di Vinadio dal 13 al 18 agosto
presso la sale espositiva del Rifugio San Giuseppe, al
santuario di Sant’Anna di Vinadio. Grazie a numerosi
pannelli illustrati con materiale documentario, foto
d’epoca, disegni, carte topografiche, spaccati, piante
etc. sarà possibile rivivere la drammatica epoca
bellica, dalle operazioni contro la Francia del giugno
1940 fino al periodo resistenziale e all’occupazione
della valle da parte delle forze francesi nell’aprile
1945. Saranno illustrate sia le numerose opere di
fortificazione costruite nel vallone e sulle creste
circostanti, sia la vita e le attività dei reparti
militari operanti nella zona, dalla divisione di
fanteria “Livorno” alle truppe del III settore della
Guardia alla Frontiera. La mostra permetterà di ammirare
anche numerosi reperti materiali, quali uniformi
d’epoca, equipaggiamenti, armi, apparecchiature e
strumentazioni in uso nelle opere fortificate.L’Asfao è
nata nel 2013 con lo scopo di promuovere lo studio, la
conoscenza e la salvaguardia del patrimonio fortificato
costruito nei secoli XIX e XX sul confine italofrancese,
e di custodire la memoria degli eventi storici ad esso
legati. L’associazione, con sede a Boves, conserva un
ricchissimo archivio documentale e iconografico, il cui
nucleo è costituito da un lascito del dottor Pier
Giorgio Garrone, noto studioso di storia ed architettura
militare recentemente scomparso, che è stato nel tempo
arricchito con apporti dei singoli soci; l’archivio, con
l’annessa biblioteca, è liberamente accessibile agli
studiosi. Così come è visitabile l’ampia collezione di
reperti materiali debitamente restaurati
(equipaggiamenti, apparecchiature, armi, uniformi)
legati alla storia delle fortificazioni alpine e dei
reparti militari che hanno operato sul confine. L’ASFAO,
oltre alla conservazione, catalogazione e studio della
documentazione d’archivio, opera attivamente
nell’allestimento di mostre a soggetto storico-militare,
nell’organizzazione di convegni e manifestazioni
culturali, nella pubblicazione di studi e ricerche. A
tal proposito vanno ricordate due mostre sull’Italia
nella Grande Guerra allestite a Boves nel 2015 e a
Demonte nel 2016, una mostra sulle fortificazioni della
Valle Stura con relativo convegno di studi, nel 2014 a
Demonte, e una analoga manifestazione tenutasi a
Chianale a fine luglio 2016, dedicata alle
fortificazioni dell’alta Valle Varaita.Non ultima
attività dell’associazione è quella della rievocazione
storica: in occasione di particolari manifestazioni ed
eventi, una squadra di rievocatori, in uniforme e con
equipaggiamenti d’epoca, ricrea e fa rivivere le
operazioni che si svolgevano all’interno delle opere
fortificate. Ricordiamo a tale proposito la recentissima
partecipazione alla rievocazione della battaglia delle
Alpi (giugno1940), tenutasi a Cesana Torinese e sulla
vetta del monte Chaberton (metri 3.130 s.l.m.) a fine
giugno di quest’anno.
In
cammino sulle orme della Storia: trekking lungo la linea Gustav voluta
da Hitler
Da ilmessaggero.it del
11 agosto 2016
La
“tana di volpe” si svela all’improvviso, una breccia
mimetizzata nella radura di rocce e foglie. La storia è
uno squarcio nella vegetazione. Qui si armavano le
mitragliatrici e i mortai dei tedeschi in quell’assurdo
inverno del 1943. Una posizione strategica per l’infida
trappola umana, incastonata su una cresta tra le vette
del Parco Nazionale della Majella. Un tetto del mondo a
perdita d’occhio. Ma è solo un tassello di un puzzle di
memoria bellica molto più grande. Quello di una linea
fortificata difensiva che attraversa gli Altopiani
maggiori d’Abruzzo e le cime della Majella, solcando
quel punto “più stretto” della penisola italiana tra
l’Adriatico e il Tirreno, sfruttando la grande muraglia
naturale delle montagne appenniniche. LA STRATEGIA È la
Linea Gustav voluta dalla follia di Hitler nel cuore
dell’Italia per bloccare, sfiancare, demoralizzare la
risalita degli Alleati dopo lo sbarco in Sicilia del 10
luglio del ‘43, la successiva destituzione di Mussolini
del 25 luglio e l’armistizio dell’8 settembre. È la
“sorella” sconosciuta della più nota Linea Gotica al
Nord, che ora è al centro di un ambizioso progetto di
riscoperta e valorizzazione come innovativa opportunità
turistica tra storia e natura. Ci hanno lavorato fior di
associazioni (in prima linea l’Associazione Linea Gustav
presieduta da Domenico Parravano), istituzioni e singoli
studiosi e storici. Una “impresa” che sta coinvolgendo
tre Regioni (Abruzzo, Lazio, Molise) e un centinaio di
Comuni. Il punto di partenza è la realizzazione di un
trekking a tappe sulla Linea Gustav, seguendo a pieni
polmoni la suggestione di un percorso in quota, senza
dimenticare i paesi, sulle tracce della storia della
Seconda guerra mondiale. Un’autentica riscoperta. IL
PIANO Perché il 16 agosto saranno presentati a
Pescocostanzo (L’Aquila) i risultati di una ricerca
inedita che ha portato alla documentazione con mappatura
e censimento georeferenziato di oltre 300 postazioni
tedesche. Non altro che una strada della guerra tra
cielo e terra che sarà gradualmente resa nota al
pubblico sul sito www.lineagustav.org curato da Lorenzo
Grassi.
Dalla foce del Garigliano, passando per Cassino, le
Mainarde e la Majella sino ad Ortona. Le esplorazioni
degli ultimi mesi hanno ritrovato tutte le “tane di
volpe” scavate nel terreno, e i “nidi d’aquila” ossia
gli osservatori in cresta aperti nella roccia e con
spazi per un solo soldato tedesco. Sono stati
identificati i posti di ricovero, che i tedeschi
cercavano di rendere il più confortevoli possibili,
rivestendo gli interni di tronchi e isolandoli dal
terreno con coperte razziate nei paesi. In una
postazione Lorenzo Grassi ha persino ritrovato una
caffettiera. «La Gustav abruzzese vide gli schieramenti
fermi in una terribile stagione invernale - racconta lo
storico - quella tra il ‘43 e il ‘44 fu gelida con
tantissima neve, tanto che molti soldati morirono
congelati in quelle trincee in cima ai monti». Solo nel
maggio del ‘44 la Gustav fu superata dagli Alleati. Il
tributo di sangue fu pesantissimo, sulle ali laterali
costiere, con le famose battaglie prima di Ortona e poi
di Montecassino. Rimase inviolata la tratta centrale
montana. Qui tra razzie, rastrellamenti ed eccidi (il
più noto quello di Pietransieri, frazione di Roccaraso,
con 128 civili trucidati nel novembre del 1943 quando i
nazisti attuarono la tattica della “terra bruciata”
radendo al suolo 16 paesi) vide la luce anche la
Resistenza partigiana, con la formazione della rinomata
Brigata Majella che inseguirà gli invasori nazisti sino
al Nord Italia. INTERESSE Il percorso della memoria è al
centro di un rinnovato interesse. Il progetto è
all’attenzione degli Assessorati regionali al Turismo di
Lazio e Abruzzo, e potrebbe fare capolino in extremis
anche al tavolo istituito quest’anno presso il Ministero
per i Beni culturali in occasione dell’Anno dei Cammini.
Intanto la Soprintendenza alle Belle arti e paesaggio
del Lazio ha avviato il procedimento per la
dichiarazione d’interesse culturale di 18 luoghi delle
battaglie di Montecassino. Il progetto punta anche a
rilanciare il trekking della memoria in sinergia con la
storica ferrovia Transiberiana d’Abruzzo tra Sulmona e
Carpinone. Si respira anche aria internazionale lungo la
Linea Gustav. A questo patrimonio sono rivolti alcuni
progetti. Il primo, “The Red Devils’ Legacy”, mira alla
riqualificazione storico-turistica del paesaggio di
guerra con l’identificazione dei principali campi di
battaglia in Abruzzo lungo la Gustav da inserire in un
circuito europeo di promozione turistica. Il secondo è
il progetto “L.U.N.F. Let Us Not Forget - Non
dimentichiamo)” per aumentare la consapevolezza del
ricordo (coinvolte nove organizzazioni di quattro paesi,
Italia, Lituania, Lettonia e Malta). Infine, la
“Liberation Route Italy” seguita dal Comune di Cassino,
per inserire i luoghi storici e culturali della Linea
Gustav nella rete internazionale delle “Strade della
Liberazione” dell’Europa dal nazismo. Insomma,
attraverso il turismo innovativo, la memoria di lutti e
violenze diventa un’occasione di riscatto per i
territori. Buon viaggio.
Il
suggestivo occhio del soldato che guarda il mare: la street art
trasforma un bunker in Normandia
Da greenme.it del
10 agosto 2016
In principio era un bunker della Seconda guerra
mondiale, uno scenario sanguinario sulla spiaggia di
Siouville-Hague, vicino alla punta della penisola di
Cotentin, in Normandia. Da anni si era trasformato in un
edificio abbandonato e semidistrutto che deturpava il
paesaggio circostante. L’artista francese Cece ha però
rivoluzionato questo blocco di cemento grigio attraverso
la street art, riuscendo così a incastonare il bunker in
un contesto davvero mozzafiato. L'idea di base era
quella di rivitalizzare un luogo abbandonato, ma pieno
di storia. Una parte del bunker era infatti, crollata e
non potendola rimuovere era necessario pensare a
qualcosa che potesse cambiare lo scenario desolante. La
parete dell’edificio diventa così la tavolozza di Cece.
"L’obiettivo è stato quello di disegnare qualcosa che
avesse un valore simbolico. Ho pensato ad un occhio con
una doppia valenza: prima era l’occhio dei soldati che
guardavano durante la guerra i morti in mare, adesso è
un occhio blu che guarda alla vita, alla natura, al
mare", ha spiegato l'artista.
Gran
Bretagna, il fascino delle fortezze abbandonate sul Tamigi
Da quotidiano.net
del 9 agosto 2016
Siamo al largo della costa della regione del Kent, in
Gran Bretagna, alla foce del fiume Tamigi. La fotografa
polacca Marzena Grabczynska Lorenc firma un reportage
che ritrae le postazioni di difesa costruite in mezzo al
mare nel 1943, per difendere il Regno Unito dalle
incursioni dei nazisti tedeschi durante la Seconda
Guerra Mondiale. Queste costruzioni hanno terminato di
essere utilizzate nel 1956 e da allora giacciono in
mezzo al mare come insetti dalle lunghe gambe color
ruggine.
Oggi l'Asval
riaprirà le porte del bunker di Vievola: un'operazione di restyling a
Tenda che parte dalla provincia di Imperia
Da sanremonews.it
del 7 agosto 2016
Ci fu un tempo in cui i confini italiani erano tutelati
e ben difesi. L’Italia addirittura aveva una “sua” linea
Maginot. Che nulla aveva da invidiare a quella originale
Made in France. Tanto possente, quanto inutile. Mentre
diverso fu il destino della fortificazione italiana, di
cui pochi sanno. Perché tutto è stato dimenticato. Per
l’oblio della memoria storica (voluto) e l’inesorabile
trascorrere del tempo. Oggi però, come il Titanic, una
piccola parte di questa ciclopica opera di difesa
riemergerà in tutto il suo realismo. “Stamattina
finalmente andremo a inaugurare il restauro dell’opera
261 a Vievola, nei pressi del Colle di Tenda. Si tratta
di uno degli oltre 400 bunker divisi in 27 settori
fortificati che componevano il Vallo Alpino. Una
ciclopica opera di difesa militare che iniziava poco
sopra Ventimiglia e si estendeva, in maniera organica,
fino al confine orientale, in Friuli” Lo dice Antonio
Fiore, capo di un manipolo di volontari che compongono
l’Associazione per lo Studio del Vallo Alpino. L’ASVAL è
costituita da circa 500 soci sostenitori e attivi.
Questi ultimi, non più di una quindicina, tutti
residenti in provincia di Imperia, da alcuni anni
lavorano al ripristino del bunker che era stato
costruito negli anni trenta, per controllare la statale
del Colle di Tenda, allora totalmente in territorio
italiano. “In questa nostra opera di recupero siamo
stati molto aiutati dalle locali autorità comunali
francesi, che ci hanno dato in concessione l’area per un
periodo di venti anni, rinnovabili, e ci hanno concesso
rapidamente autorizzazioni e permessi. Il comune di
Tenda ci ha anche dato un cospicuo contributo per
l’allacciamento elettrico. All’inaugurazione sarà
presente anche il Sindaco di Tenda Jean Pierre Vassallo,
con altre autorità locali francesi” L’inaugurazione
avverrà intorno alle dieci e trenta. Dopo, verso le due
del pomeriggio, eccezionalmente verrà aperta la ex
struttura militare alla visita da parte del pubblico.
Poi le porte del bunker si apriranno solo una volta al
mese, fino a quando, prevedibilmente nel Gennaio 2017,
non saranno completati i lavori di rifinitura. E’ chiaro
l’obiettivo turistico, museale dell’intera operazione
che dovrebbe consentire di recuperare presto i 30 mila
euro che sono stati anticipati da soci e sostenitori.
“Noi abbiamo voluto ricostruire all’interno dell’opera
261 una sorta di quadro d’insieme, esemplare, di quella
che era la vita reale in un qualsiasi bunker del Vallo
Alpino, per questo abbiamo fatto una ricognizione molto
approfondita nelle altre strutture, lungo le Alpi, per
reperire arredi e strumenti originali dell’epoca. Così
sono state recuperate armi, disattivate, ma restaurate
nei minimi dettagli, divise dell’epoca, gli attrezzi
della vita quotidiana, come le gavette, le cucine da
campo, i gruppi elettrogeni, gli impianti di
comunicazione ed areazione, i letti a castello della
piccola guarnigione” E’ stata un’opera di ricostruzione
appassionante e difficile svolta nei fine settimana e
nei periodi di ferie. Perché ognuno dei soci attivi
dell’ASVAL ha svolto l’opera di restauro nel tempo
lasciato libero dalla professione. Tra di loro ci sono
geometri, elettricisti, impiegati. Uniti da un comune
denominatore, una passione, riportare alla luce una
pagina semi sconosciuta della storia d’Italia. “Abbiamo
avuto molte difficoltà nel reperire i materiali, perché
molte cose erano state volutamente distrutte davanti
alle stesse opere militari. Come se ci fosse stata al
termine della guerra una volontà di distruggere ogni
cosa del recente passato. Ma ci hanno aiutato molti
privati che avevano conservato gelosamente arredi
dell’epoca e tanti altri oggetti che hanno ancora una
storia da raccontare. Una storia che peraltro è andata
avanti fino ai giorni nostri. I bunker realizzati negli
anni trenta , nel settore orientale delle alpi, vennero
mantenuti attivi, dal nostro esercito fino agli anni
novanta.” Negli anni trenta il compito di difendere i
confini della Patria venne affidato ad un corpo speciale
del Regio Esercito. Si trattava della Guardia alla
Frontiera (GAF).
“Era un corpo speciale in gran parte derivato dagli
Alpini. La loro divisa si distingueva per la mancanza
della penna sul cappello. Il corpo venne creato nel 1934
e nel 1937 divenne autonomo. Gli uomini della GAF
ricevevano un addestramento austero e difficile.
Dovevano resistere a condizioni estreme.
Solitamente in ogni bunker alloggiavano una ventina di
uomini. Le armi in dotazione al bunker venivano portate
di volta in volta dai reparti che venivano attivati
secondo l’esigenza di difesa in un fronte così vasto
come la cerchia delle Alpi. In taluni caposaldi,
strategici per settore, erano presenti anche armi
pesanti” Il Vallo Alpino aveva un compito soprattutto
difensivo. Non venne mai completato nella sua interezza,
secondo quanto previsto dai piani del Genio Militare.
Perché l’Italia non si dovette mai difendere da forze
che venivano d’oltralpe. Il Vallo alla fine fu un’opera
inutile come la Maginot. A Vievola, in un bunker
riemerso dal passato rivivrà in duecento metri,
percorribili sotto terra, lo spaccato di un tempo che
non c’è più. I bunker in fin dei conti erano
rassicuranti, perché prevedevano un fronte ben preciso.
Le
antenne radio spariscono per sempre dall’orizzonte
Da
larena.it del 6 agosto 2016
Via
le antenne radio da Sant’ Anna d’Alfaedo. A marzo se
n’era andato il personale militare di guardia, ora una
ditta di Roma,specializzata nel settore sta smontando le
antenne radio. Un addio dopo 55 di piena attività.
Cambia così volto la collina che sovrasta il cimitero
dopo avere ospitato per due decenni una sede Nato, un
centro radar e di telecomunicazioni Usa con antenne
circolari del tipo Wullenberg. Smantellata anche questa
base, una delle 120 ufficialmente dichiarate in Italia,
oltre a venti basi Usa totalmente segrete e a un numero
variabile (al momento una sessantina) d’insediamenti
militari o semplicemente residenziali con la presenza di
militari americani.
Quelle antenne radio che sfidavano le nuvole erano le
sentinelle di una zona logistica militare importante.
Con un colpo di spugna è stato decisa la loro rimozione,
decretando così un addio al paese di Sant’Anna d’Alfaedo
che lo ha ospitato e che ricorda i tanti visi, di
giovani e maturi militari, che in quella panoramica
collina, luogo logistico militare di alta qualità, vi
hanno operato. Sant’Anna d’Alfaedo è una delle 31
località del Veneto, dislocate in sei delle sue sette
province, che ha ospitato questo tipo di base. Ma è
sempre un buon segnale quando spariscono le strutture
militari.
C'è un
missile sul Monte Conero?
Da
e-cronaca.blogspot.com del 4 agosto 2016
Una
nuova sensazionale foto scattata via satellite dal sito
gosur.com mostra forse un missile in fase di collaudo.
Siamo sulla vetta del monte Conero, vicino Ancona, nel
pieno della zona militare. Come si vede nella foto di
sinistra, dove prima (foto a destra di qualche anno fa)
c'erano delle specie di rampe, ora si nota un telone
bianco, o forse una copertura fotografica imposta dai
servizi segreti.
E' trasparente al punto che si
intravedono le linee del finto campo di calcetto. Finto
perché in realtà su quel campetto non si gioca.
Probabilmente il terreno non è pianeggiante, ma in
pendenza e non ci sono le porte. Il telone ha una forma
che tradisce la natura dell'oggetto che vi è nascosto.
Si tratta forse di un missile in fase di collaudo? Su
quel campo si sta certamente lavorando. I due
rettangoli, che sembravano altre rampe di lancio pronte
ad aprirsi, per far salire magari dei missili dal
sottosuolo, in realtà si sono mossi. Uno in particolare
ha cambiato posizione e si è avvicinato alle presunte
rampe.
La base è attiva anche nel 2016. Lo
si nota da alcune macchine parcheggiate, due nella parte
a ovest, più il famoso pick-up, che è sempre nella zona
sud della base, ma in un'area diversa. L'asfalto
stradale sembra sia stato rifatto e la segnaletica è
stata ridisegnata da poco. Il verde è aumentato
sensibilmente, rispetto al paesaggio brullo che si
vedeva prima. E la base torna a far paura.