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ANNO 2014

CROAZIA - Alla scoperta di Forte Monte Grosso
Da Adrifort 4 dicembre 2014

Lo scorso novembre la biblioteca comunale di Pola ha ospitato la conferenza Exploring Monte Grosso. L’evento è stato organizzato per presentare alla cittadinanza il primo studio professionale, mai realizzato finora, sulla staticità e il recupero di Forte Monte Grosso. Il documento, che include ipotesi di restauro, statistiche e approccio di design concettuale in modo da determinare nuovi strumenti di riutilizzo del forte, è stato realizzato in collaborazione con l'università Juraj Dobrila e la Regione Istriana. La conferenza ha visto la partecipazione di esperti accademici ed architetti, con esperienza in materia di valorizzazione del patrimonio culturale locale . Focus dell'evento è stata l'analisi delle difficoltà e le proposte per la conservazione del patrimonio architettonico e storico.

 

FORTE MARGHERA - Open Days e Arte Contemporanea
Da Adrifort 4 dicembre 2014

Forte Marghera è stata la cornice di due iniziative Adrifort in ambito culturale. Il 3 e 4 ottobre l’area della fortezza ha ospitato gli Adrifort Open Days: due giorni di incontri, spettacoli teatrali, degustazioni e brevi percorsi di esplorazione fluviale attorno alle mura. Protagonisti il rinnovato Museo delle Imbarcazioni Tradizionali (MIT) e il nuovo Laboratorio del Gusto Mediterraneo, che ha come finalità quella di far conoscere i prodotti tipici dei territori storicamente legati a Venezia, come Istria, Croazia e Albania. Giovane ed innovativa la seconda iniziativa ospitata a Forte Marghera: lo Schiume Festival, piattaforma internazionale di performing arts rivolta a giovani artisti. Il Festival, ormai alla sua quarta edizione, si propone di favorire l’incontro tra il pubblico veneziano e una comunità di artisti emergenti attraverso un calendario di spettacoli gratuiti.

 

CASTELLO DI GALLIPOLI - Uno studio della Regione Puglia
Da Adrifort 4 dicembre 2014

E' in corso di realizzazione una indagine conoscitiva, sotto forma di caso-studio, dedicata all'esperienza di gestione del castello di Gallipoli. Scopo dell'iniziativa è identificare possibili realtà economiche, sociali e finanziarie da coinvolgere in un nuovo percorso di utilizzo del Castello che sia in linea con gli obiettivi di sviluppo e coesione territoriale promossi dal progetto Adrifort. Lo studio applica tre paradigmi d'analisi: l'attrattività turistica dell'edificio, la disseminazione di beni e servizi culturali e l'attenzione al territorio come luogo di diffusione di valori.

 

I Forti di Pola - Croazia
Da Adrifort 4 dicembre 2014

Il Comune di Pola è presente in Adrifort con un insieme di 5 fortezze che fanno parte del sistema di difesa austro-ungarico della baia di Pola, una delle più importanti basi navali dell’Impero in Adriatico nel XIX secolo. Punta Christo è una fortezza costruita alla fine del 19° secolo su una piccola penisola ed offre uno sguardo mozzafiato sulla baia di Pola.

Il complesso è molto ben conservato, anche grazie all’impegno delle associazioni locali, e dispone di circa 270 ambienti diversi per una superficie totale di oltre 10.000 mq. E’ sede di diversi eventi culturali: concerti, festival, mostre e seminari. Il secondo forte del sistema di difesa di Pola è Forte Monte Grosso, una grande fortezza semicircolare situata sopra la baia di Zonchi ad un'altitudine di 67 metri. Insieme a Punta Christo e Munide, rappresenta uno dei più importanti e scenografici ingressi alla baia di Pola.

La batteria d’artiglieria Valmaggiore, situata presso la baia Zonchi è un edificio in pietra, con ampio parapetto, e dispone ancora di quattro cannoni. Sul versante est della baia, si trova la batteria Zonchi: costruita tra il 1823 ed il 1830, venne equipaggiata con dieci cannoni, per proteggere l'entrata a nord del porto di Pola. E’ famosa per essere stata, nel 1915, una delle due batterie ad aver fronteggiato la Marina francese nel tentativo di assedio a Pola. Infine Forte Munide è situato sul lato est della Baia Zonchi, sulle colline ad un'altezza di 52 metri. Dotato di 18 cannoni, il forte proteggeva la facciata nord del porto di Pola fino a quando non venne distrutto da un bombardamento nel 1944.

 

Ufo, missili e sottomarini nazisti Il tunnel del lago e le armi di Hitler
Da corriere del veneto 26 novembre 2014

Tra il 1943 e il 1944 la galleria era una fabbrica. I racconti sul disco volante

VERONA Lago di Garda: correva l’anno 1944. Nella galleria Caproni, a Torbole (nata come opera idraulica per far defluire nel lago il corso del fiume Adige in caso di piena), si costruivano le armi segrete di Adolf Hitler. Un pezzo di storia non molto conosciuta e «sviscerata» dal noto regista Mauro Vittorio Quattrina, profondo conoscitore degli accadimenti locali durante la Seconda guerra mondiale. È stato lui, nei giorni scorso, a guidare e raccontare l’epopea delle circa 70 gallerie dislocate lungo la strada «meandro » (dopo il fascismo ribattezzata «gardesana»), che circumnaviga il lago di Garda alla Ntv, il terzo canale televisivo a diffusione nazionale di Mosca, che manderà in onda una serie di documentari sulle fine di Hitler in prossimità del 9 maggio, festa nazionale della vittoria in Russia. Tra le più importanti gallerie- bunker gardesane vi è proprio la Caproni, che prende il nome dall’ingegnere che fondò le industrie aeronautiche e che, 70 anni fa, vi trasferì la fabbrica per costruire pezzi di armi potentissime per l’epoca. Armi segrete naziste, accertate dai piani di costruzione tedeschi ritrovati e depositati a Torbole.

Nel bunker si costruivano principalmente turbine di missili V1, pulso reattori con testata esplosiva (una specie di ibrido tra un piccolo missile e un aeroplano), e V2, razzi lanciati nella stratosfera capaci di inseguire gli obiettivi a quattromila chilometri l’ora, impossibili da contrastare; ma anche V3 e V4 e aerei da caccia, come il Me262 e Me163. «Pezzi che venivano, poi, spediti alle fabbriche di assemblaggio del campo di concentramento di Dora-Mittelbau in Germania. Intorno alla galleria sono stati trovati anche pezzi di aerei dalle fatture molto strane: testimoni raccontano di raggi verdi misteriosi che si vedevano nel cielo, per testare questi nuovi aerei che si progettavano », spiega Quattrina. A Riva del Garda, infatti, esisteva il centro di ricerca sperimentale aeronautica Herman Goering. E la letteratura degli ultimi 50 anni si è sbizzarrita anche nel raccontare e descrivere con disegni i progetti di prototipi volanti di quelli che vengono definiti gli «ufo di Hitler ». Quattrina ha scovato al museo dell’Aeronautica Caproni di Trento una bobina avvolta in una scatola con la scritta «Ufo pista Breda 1938». «La cosa curiosa è che il termine ufo è stato coniato molto dopo, negli anni ’50 – spiega il regista -. Nel filmato si vede un disco bianco per dieci secondi su una pista da volo a Breda, nel milanese». Ma tra Torbole e Riva si progettavano pure mini sottomarini, come i tre prototipi propulsione a reazione, unici al mondo, realizzati con motori turbo jet per lanciare i siluri a 35 nodi, quasi 70 km all’ora, velocità impossibili per quel tempo da raggiungere.

Di quei tre prototipi, uno è stato fatto esplodere e un altro è stato affondato dagli stessi tedeschi in ritirata nelle acque del Garda (dove si trova ancora oggi a 300 metri di profondità), per non farli finire nelle mani degli americani. Ma i soldati americani trovarono comunque i progetti delle «armi segrete » di Hitler e se li portarono via, tanto che nel 1950 in una base americana si testava il lancio di un V2. Le industrie di armi furono realizzate in molte altre gallerie della costa occidentale del Garda. E anche a Verona, nei quartieri di Quinzano e Avesa. Una cinquantina i siti trovati nel Veronese, veri e propri bunker per l’industria bellica in tempo di guerra. «Molte gallerie erano già presenti - spiega Quattrina – e poiché le forze angloamericane bombardavano pesantemente le fabbriche in Germania, ai tedeschi servivano siti alternativi per continuare a costruire armi». Le grotte del Garda, così, divennero località molto ricercate dai nazisti, perché erano naturalmente protette dai bombardamenti e non troppo distanti dalla linea ferroviaria che conduceva al Brennero.

Tra l’autunno del 1943 e il giugno del 1944, in questo dedalo di gallerie -bunker, furono decentrate la Breda (che produceva mitragliatrici), la Fabbrica Nazionale Armi, l’Armaguerra, la Fiat motori aeronautici e altre industrie italiane di un certo peso strategico. Fu per questo che una parte delle industrie aeronautiche Caproni venne spostata, durante l’autunno del 1943 fino al giugno del 1944 all’interno della galleria Adige – Garda. C’è la certezza che in quelle gallerie vennero costruite le armi naziste perché sono stati ritrovati i piani di costruzione segreti, tradotti in italiano e riportati nelle relazioni dei servizi segreti tedeschi. E c’è anche la testimonianza dell’ingegner De Pizzini, il professionista che diresse i lavori interni alla galleria.

 

I russi sul Garda per svelare gli ultimi misteri di Hitler
Da larena.it del veneto 23 novembre 2014

Dall'archivio di Mauro Quattrina: la galleria Caproni nel tunnel Adige-Garda

Il lago di Garda nasconde molti misteri sul Terzo Reich.

E ora la più importante televisione russa, Ntv, è decisa a svelarli. Domani arriverà una troupe per girare un documentario sugli ultimi segreti legati a Hitler. Tre in particolare. Il primo: capire dove sono nascosti i tesori sotterrati dai tedeschi in fuga. Il secondo: saperne di più sulle armi segrete, i sottomarini a reazione costruiti nelle gallerie dell'alto Garda e su un disco volante immortalato nel 1938 in un video militare tedesco. Infine: accertare se lo straniero altero e schivo che per qualche tempo visse in una grotta nascosta sopra Toscolano, potesse essere Hitler, come ipotizzarono anche i servizi segreti americani che nel 1945 mandarono i loro 007 a cercarlo. Nel frattempo, però, l'«eremita» si era volatilizzato. Ad aiutare i giornalisti russi a fare chiarezza saranno Mauro Quattrina, regista e storico, scopritore delle fabbriche segrete di armi sul Garda, e Armando Bellelli, ricercatore di Desenzano, collaboratore della trasmissione «Mistero» di Italia Uno e dell'omonima rivista. Partiamo dall'«oro dei nazisti». «Il favoleggiato tesoro nascosto dalla Wehrmacht in ritirata non esiste», spiega Bellelli. «Esistono invece vari tesori nascosti, frutto delle razzie fatte durante l'occupazione. In ritirata i tedeschi si guardarono bene dal portare oro e gioielli, perché se catturati a mani vuote sarebbero stati considerati nemici in fuga, col bottino, invece, dei predoni e sarebbero stati subito fucilati». Così nel dopoguerra furono molti i militari tedeschi a tornare sul lago di Garda fingendosi turisti e chiedendo ai residenti dove fosse il tal bunker o costruzione, non riconoscendo più il paesaggio nel frattempo cambiato. «È chiaro che cercavano quello che avevano nascosto», continua Bellelli. «Si dice, e ne ho la certezza, che nel castello di Desenzano qualcosa di prezioso venne trovato nel dopoguerra. Ma non dai tedeschi, da un italiano.

Si racconta che nel castello il carico d'oro fosse stato diviso in tre nascondigli, uno dietro un muro, che fu appunto trovato, e altri due nei sotterranei». Facendo ricerche, raccogliendo testimonianza, intervistando i reduci, Bellelli è riuscito a scoprire le zone dove potrebbero essere stati sepolti oro, gioielli e denaro. «Il problema è che su molte sono state costruite abitazioni, alberghi e alcune sono in zona militari», continua il ricercatore. «A Villa Duca Acquarone, a Gardone Riviera, c'era la sede della Ortskommandantur e si racconta che arrivarono sei casse di lingotti d'oro dalla Francia occupata. Nel dopoguerra i tedeschi contattarono i proprietari della villa per fare ricerche, ma loro li minacciarono di chiamare i carabinieri e i tedeschi, forse criminali di guerra, fuggirono. E all'aeroporto di Ghedi», prosegue, «alcuni residenti, arruolati dai tedeschi come manovali, avevano denunciato ai carabinieri di aver visto sotterrare un pullmino Volkswagen pieno di casse d'oro. Peccato che ora sopra quell'area ci sia una pista».
Poi ci sarebbero i forzieri immersi nel lago prima della fuga al largo di Gargnano e il tesoro nascosto sull'isola del Trimelone. «Ci sono tantissime voci, come quella della cassa gettata nel Garda davanti a Salò e quella nascosta nella cantina di una casa privata a Toscolano», racconta Bellelli. «Voci in alcuni casi, ma in altri c'è più di un fondamento di verità. Tutto il lago di Garda», continua, «era di fondamentale importanza per i nazisti. Basti pensare che Villa dei cedri a Colà di Lazise dopo l'armistizio, diventò il comando generale tedesco dell'Italia del Nord e fu affidato al feldmaresciallo Erwin Rommel».
Bellelli ha anche fatto approfondite ricerche sui bunker, scoprendone una decina. «Il più grande che ho trovato è quello del comando supremo delle SS a Gardone: ha dieci stanze, un bel sistema di ventilazione, una sala operatoria. All'interno ho visto lattine di birra aperte con la baionetta e altro materiale. Purtroppo è invaso dall'acqua a causa di lavori edili fatti sopra la costruzione. Trovare bunker non è difficile», rivela Bellelli. «Ci sono tracce chiare da seguire, la prima sono i camini di ventilazione. Una volta mi sono accorto che uscivano da un parco pubblico. Io sono in continua ricerca. Il mio sogno sarebbe trasformare almeno uno dei bunker scoperti in museo fruibile dal punto di vista didattico».
Chiara Tajoli

 

Sulla Gardesana si costruivano i missili
Da larena.it del veneto 23 novembre 2014

Mauro Quattrina intervistato da Marco Berry di «Mistero»

È stato Mauro Quattrina, regista e storico, a rivelare ciò che pochi sapevano, ovvero che nelle gallerie del Garda lavoravano le fabbriche che costruivano le armi segrete per Hitler. E sarà proprio lui domani ad accompagnare la troupe televisiva russa di Ntv a visitare la galleria Caproni, una delle sedi delle fabbriche belliche, a Torbole, e un bunker nazista scoperto nelle vicinanze.
«I tedeschi usarono due chilometri della galleria Caproni di Torbole per fabbricare i pulsori V-1 (a Ghedi c'era la rampa di lancio, ndr) e i razzi balistici V-2, usati dalla Germania durante le ultime fasi della seconda guerra mondiale contro Gran Bretagna e Francia. Inoltre venivano costruite parti degli aerei a reazione Messerschmitt Me 262 ed Me 163, come turbine, alette direzionali e lamierati, spedite poi alle fabbriche di montaggio del campo di concentramento Dora-Mittelbau». Nelle gallerie i macchinari erano protetti dai bombardamenti e questo salvò parte dell'industria italiana: all'interno dei cunicoli furono trasferite Caproni, Fiat, Alfa Romeo, Ducati e Beretta. «Gli italiani erano costretti a lavorare per i tedeschi», continua lo storico. «Tra gli operai specializzati c'erano anche alcuni partigiani e ciò spiega l'alto numero di sabotaggi».
Su questo «pezzo di storia» Quattrina ha girato un documentario, «Tunnel Factories», dove racconta per la prima volta in video l'esistenza delle fabbriche di armi segrete tedesche nelle gallerie sulla sponda occidentale e orientale del Garda. Cercando informazioni per il suo documentario al museo dell'Aeronautica Caproni di Trento, ha fatto anche un'altra scoperta. «Una scoperta che mi ha sconvolto», confessa. Ha trovato una bobina, contenuta in una scatola gialla con la scritta a pennino «Ufo pista Breda 1938». «Peccato si sia iniziato a utilizzare il termine Ufo solo negli anni '50», continua lo storico, la cui scoperta ha richiamato la troupe della trasmissione «Mistero». «Il filmato è originale e la scritta pure: li abbiamo fatti analizzare e non ci sono dubbi.

Neppure gli esperti del Centro italiano di ufologia che hanno studiato la pellicola hanno però saputo dare una risposta. Chi ha scritto la parola “Ufo”», conclude il regista, «era sicuramente una persona che teneva in ordine gli archivi militari». Ma cosa c'è nel filmato di così sconvolgente? «È una ripresa fatta da un aereo in volo che mostra il paesaggio sottostante e vicino a un hangar si nota un grande disco bianco, ripreso per dieci secondi», spiega Quattrina. Un'arma misteriosa? Un mezzo sperimentale? Un disco volante? «Sono cauto, ma possibilista», risponde. «Forse si trattava di studi di ali lenticolari, ma ci sono anche teorie supportate da alcuni documenti del fascismo che riportano la caduta nel '33 di un oggetto volante alieno nel Nord Italia a Vergiate, vicino a dove è stato girato il filmato. Forse un giorno riusciremo a scoprire il mistero». Sempre meno misterioso, invece, il reticolo di bunker presente nel Veronese. Ne sono spuntati ovunque. Lungo la Statale 11, a San Martino Buon Albergo, sui bastioni di Verona, perfino all'istituto Agli Angeli. «A Verona erano cinquanta quelli operativi tedeschi, poi saccheggiati alla fine della guerra», ricorda Quattrina.

«In alcuni, però, si trovano ancora stufe, bottiglie, medicinali, pezzi di elmetti. Servirebbe l'intervento di qualche politico lungimirante per recuperare e valorizzare questi reperti storici. Sono dieci anni che tento di convincere qualcuno a farlo, senza esito. Eppure ci sarebbe molto interesse. Quando ho allestito all'Arsenale la mostra sui bombardamenti a Verona con foto, reperti e la ricostruzione di un rifugio antiareo ho avuto 13.500 visitatori in 15 giorni, oltre alle scuole. Più persone, in percentuale, che alle più note mostre allestite in città». C.T.

 

Un bunker per vivere

Da ansa.it del 17 novembre 2014

I rifugi di sicurezza Nucleari, Batteriologici e Chimici non sono più solo roba da ricchi. Alcuni italiani, piccoli imprenditori e commercianti, hanno deciso di difendersi da malattie e disastri comprando ripari blindati, dichiarati come 'cantine' nei piani regolatori

C'è chi scava nel terreno per seppellire la paura in superficie. Migliaia di chilometri quadrati di tane sparse anche in Italia, al riparo dal terrore dell'atomica, dalle guerre e dalle epidemie. Il senso comune la chiama paranoia. Molti psicologi la definiscono una tendenza estrema dell'istinto di sopravvivenza. Di sicuro è qualcosa che è da sempre nel dna umano, ieri come oggi. Prima, a costruirsi i bunker erano i dittatori, i capi di Stato ed i criminali. Poi i personaggi dei fumetti, da Batman a Diabolik o Zio Paperone. Con una costante: la grossa disponibilità di denaro. Oggi in Italia, invece, sono anche piccoli imprenditori e persone della media borghesia - soprattutto del Centro Nord del Paese - che rinunciano all'auto nuova per quella scatola di cemento blindata, al riparo del resto del mondo.

Una cellula il più inattaccabile possibile: dalla 'porta beton' con uno spessore di 30 centimetri di cemento (quelle per i rifugi militari arrivano ad un metro), agli impianti di ventilazione schermati contro le detonazioni nucleari, le cisterne d'acqua da mille litri ognuna, sistemi radio per contatti con l'esterno, i letti con materiali ignifughi o le vernici senza sostanze organiche volatili. Un modello 'svizzero' che sta facendo scuola: nello Stato elvetico è obbligatorio disporre della possibilità di un rifugio in caso di emergenze. Chi ha una villa ha anche un bunker, mentre chi non l'ha costruito può usufruire di quelli collettivi, messi a disposizione dallo Stato sotto pagamento. In Italia, costruirsi un rifugio antiatomico non è previsto dai piani regolatori. Perciò queste strutture, nonostante abbiano pronte blindate e quei parametri previsti dalla sigla 'Nbc' (Nucleare, Batteriologico, Chimico) vengono dichiarate come cantine. Ma al posto del vino invecchiato ci sono maschere antigas.

Dalla Nato alla Batcaverna

Cambia la storia, muoiono le profezie, ma le paure sopravvivono. E si trasformano. "Due o tre anni fa, in occasione del 12 dicembre 2012, quando si parlava dei calcoli dei Maya e della fine del mondo, abbiamo avuto un picco di richieste. Poi il cliente ha cambia punto di vista. Adesso c'è Ebola...", spiega Giulio Cavicchioli, proprietario della Minus Energie, un'azienda specializzata nella realizzazione di bunker 'Nbc', che costruisce anche impianti di ventilazione civile per ottimizzare le prestazioni di comfort con il minimo consumo di energia. La Minus Energie dispone di un settore destinato solo ai rifugi ed ha lavorato per la Nato e l'Aviazione italiana. "Il bunker dà sicurezza psicologica - spiega Cavicchioli - . I timori sono i disastri di natura chimica, quindi incidenti nucleari o pandemie. I clienti non sono persone molto facoltose, la gente ricca non ha queste paure e spesso dispone di jet o elicotteri che per loro costituiscono già una valida via di fuga". Si tratta invece di titolari di piccole ditte, commercianti, informatori sanitari. Basti pensare che un piccolo bunker può costare circa 30mila euro, con costi che vanno dai 1.200 euro ai 2mila euro a metro quadro. Ovviamente spesso la grandezza è direttamente proporzionale al periodo di autonomia e sopravvivenza all'interno. Tutto è comunque certificato secondo le norme svizzere. La società di Cavicchioli, infatti, produce a Lucerna ed assembla e costruisce per i clienti italiani. "Il rifugio sicurezza è l'ultima ratio. Se siamo lì è perché fuori la vita è impossibile - spiega -. Purtroppo le persone credono di trovare una soluzione alla morte". E la suggestione del cinema e delle serie tv soffiano sul fuoco del catastrofismo e della fantasia. "Ho visto progetti che definirei al limite del creativo. E inutili da realizzare. Come bunker con due accessi attraverso un tubo tondo dove la persona deve infilarsi. Oppure un sistema - che esiste davvero - regolato sui parametri del calendario astronomico, che illumina il soffitto interno creando una sorta di luce solare artificiale, per conoscere la posizione del sole in quel momento, anche sottoterra. La gente sogna di realizzare caverne ultraprotette come quelle di Batman". Ma non hanno il portafogli di Bruce Wayne.

Nel bunker: in 50 mq si sopravvive 2 mesi e mezzo

Un cubo di cemento ad una manciata di metri di profondità, di cui sono a conoscenza solo una decina di persone. E dove non scenderanno neppure i fratelli. Un piccolo imprenditore, attivo nel settore agricolo, si è fatto costruire in Toscana qualche anno fa il suo bunker. La sua è una filosofia nello stile di serie televisive come The Walking Dead. Pensa che di fronte alla necessità di sopravvivenza ognuno deve pensare alla sua famiglia, quella stretta. "Nel mio rifugio entreranno solo i miei figli e altre due persone, in tutto otto - spiega l'imprenditore, che preferisce restare anonimo - Credo che il rischio di doverlo utilizzare esista, soprattutto per le pandemie. Per esempio Ebola, anche se al momento il pericolo mi sembra ancora lontano. Io e la mia famiglia abbiamo già dormito nel bunker, ma solo come esercitazione". All'interno del rifugio si entra attraverso una porta beton in cemento armato, ci sono scorte di medicinali e viveri a lunga scadenza e maschere antigas sugli scaffali coperti da un telone. Ma anche letti a castello, radio per contattare l'esterno, un contatore geyger, tre cisterne di acqua da mille litri l'una, un piccolo generatore di energia esterno a benzina che parte in automatico e che può essere avviato manualmente in caso di esplosione nucleare. C'è anche una leva per la ventilazione meccanica in caso di mancanza di energia, che viene mantenuta costantemente in funzione da ogni persona a turno e che potrebbe essere attivata anche da un bambino. Il bagno è un secchio con un sacco di plastica. C'è un'uscita di sicurezza ed un 'autoliberatore' per aprire la porta beton portello nel caso in cui dovesse essere bloccata dai detriti accumulati all'esterno: grazie ad un perno si fa leva con un'enorme chiave e si spinge la porta. Tutto studiato per affrontare la catastrofe. Ed uscirne, entro un tempo limite di 80 giorni di autonomia. "Conosco altre persone che hanno il bunker - spiega l'imprenditore - ma loro non sanno del mio. L'ho pagato, ma non voglio mica utilizzarlo". Insomma, di fronte a tante precauzioni, un dilemma c'è : nessuno dei possessori di bunker 'Nbc' ha dovuto mai testarli finora. Per fortuna.

Un nascondiglio antico

In principio erano (solo) i dittatori. A Roma Benito Mussolini ha preceduto Diabolik.

E aveva più di un bunker, all'epoca quasi all'avanguardia come quelli oggi. Il rifugio sotto la sua residenza a Villa Torlonia, aperto al pubblico nel mese di ottobre e diventato un museo, secondo gli esperti sarebbe stato capace di sopportare anche un attacco atomico solo con piccoli aggiornamenti tecnologici. Ricavato dalle vecchie cantine di vino dei Torlonia, quel primo rifugio pur ben attrezzato (aveva tre uscite: accanto al teatro, al Campo dei Tornei dove il Duce giocava a tennis e in un pozzo) e ''nascosto'' sotto il laghetto del Fucino, non era però davvero sicuro.

L'entrata, confusa tra gli alberi, portava ad un corridoio lungo oltre 60 metri. C'era già un impianto di aerazione e filtraggio, in grado di garantire ossigeno a 15 persone per 3-6 ore, più porte antigas e antisoffio per evitare un attacco chimico.

Che siano tiranni o gente comune pronta a dar pace alla propria ansia, la soluzione è quella di sempre: un nascondiglio. Una manciata di metri lontano dalla luce del sole. Per loro, la giusta distanza dalla paura.

 

Ancona, web reporter denunciato: ha violato il bunker atomico della Nato

Da ilmessaggero.it del 28 ottobre 2014

ANCONA - Avrebbe violato il bunker atomico della base Nato sul Conero il web reporter di Castelfidardo Matteo Montesi, denunciato dai carabinieri. Violando i divieti militari e sfidando le leggende metropolitane che parlano di missili, bombe atomiche o addirittura basi Ufo nel cuore di pietra del monte, il blogger è finito nei lacci di carabinieri e Aeronautica.

In aggiunta a quanto già trapelato, ovvero la violazione della Base Nato, emerge che Montesi, a sua insaputa, è riuscito a penetrare nel bunker atomico della struttura militare, percorrendo un lungo tunnel con binari sul pavimento, fermando però la sua esplorazione davanti ad una porta corazzata.

Notificata ieri dai carabinieri a, noto web reporter e videomaker di Castelfidardo la denuncia per essersi introdotto con altri due giovani di Recanati, in un cunicolo sotto il Monte Conero, luogo di interesse militare, e aver filmato durante il percorso le sue cavità. A darne notizia è stato lo stesso protagonista. «I carabinieri contattati dall'Aereonautica Militare – ha scritto su in post di facebook - mi hanno richiamato per la rimozione immediata del video che ho creato con Italianghosts nel bunker del Monte Conero, ora ho un udienza in corso per aver oltrepassato una zona militare e una denuncia molto grave». di Maria Paola Cancellieri

 

A Lampedusa sbarcano RADAR

Da askavusa.com del 16 ottobre 2014

Questa mattina sono sbarcati dalla nave di linea a Lampedusa, tre camion militari. Trasportavano i pezzi dei radar che sostituiranno quelli già presenti a capo Ponente. Sembra anche che si stiano svolgendo dei lavori di ripristino della ex Base Nato, nella stessa zona dei radar, e che stiano arrivando sull’isola altri militari. La storia si ripete ovviamente, o sarebbe meglio dire che siamo dentro lo stesso percorso, quello della servitù militare alla NATO/USA, da decenni. La cosa ancora più grave è che nessuno ha interpellato o informato gli isolani sui nuovi radar. Qualcuno dice che i radar nuovi fanno meno male di quelli di prima, ma nessuno si è preso la briga di fare una verifica rispetto alle onde elettromagnetiche emesse a Lampedusa, non solo dai radar a capo Ponente, ma relativamente alle varie antenne e radar mobili e fissi presenti su tutta l’isola e nessuno ci ha mostrato i documenti che attestano la reale potenza dei nuovi radar. Ci stanno schiacciando, si stanno prendendo l’isola per farne una grande piattaforma militare, spesso con la scusa delle politiche sulle migrazioni.

Ripetiamo : è un processo che dura da decenni e nessuno ha fatto niente per impedirlo: chi si è venduto per trenta denari, chi per ancora meno, chi semplicemente non aveva capito, chi ha fatto finta di non capire. Ma ognuno di noi ha le proprie responsabilità. Ora bisogna chiederci “che cosa vogliamo fare ?” Vogliamo continuare a restare passivi fino a quando ci toglieranno: le case, i terreni e con un calcio nel sedere, ci trasformeremo noi in migranti ? Noi non ci rassegnamo e ci rivolgiamo agli isolani dicendo che ognuno può fare la propria parte e che non bisogna aspettare nessun pastore che pascoli il gregge, ognuno deve rendersi attivo in questa protesta, se vogliamo avere una speranza. Diciamo anche di non contrapporre i migranti ai Lampedusani, questo è uno scontro che fa comodo a chi vuole fare di Lampedusa una piattaforma militare e un grande carcere per migranti, colpevoli solo di scappare dal proprio paese e spesso da bombe, proprio della NATO. Prima li bombardano, poi li ingabbiano o li rendono schiavi. Ricordiamoci poi che siamo a sud di Tunisi e che stiamo subendo lo stesso trattamento che hanno avuto i paesi africani nel processo della colonizzazione e dell’imperialismo. Per chi governa l’Italia, l’Europa e per gli apparati bellici noi siamo solo un punto strategico militarmente. Crediamo che l’assenza di servizi basilari sull’isola, non siano dovuti solo alle politiche delle amministrazioni locali, ma che facciano parte di un disegno che dura da decenni e che vuole rendere la vita di chi abita sull’isola, impossibile. Magari qualche albergo e ristorante per le forze dell’ordine lo lascieranno e forse sanno già quale potrebbe essere..

 

Apre il forte del monte Bernadia. Si parte con una mostra sulla Libia. I lavori cominciati nel 2006 sono costati oltre due milioni di euro

Da il Messaggero Veneto - giovedì 09 ottobre 2014

TARCENTO. Il Forte del Monte Bernadia domenica, dopo anni di attesa, sarà nuovamente aperto al pubblico. Non un’inaugurazione, che l’amministrazione comunale vorrebbe fare la prossima primavera, ma una mostra evento per ridare, anche se solo temporaneamente, nuovamente vita a uno dei posti più conosciuti ed apprezzati di Tarcento, dal panorama mozzafiato.

I lavori per la sistemazione della struttura, infatti, erano cominciati nel 2006: dopo uno sprint iniziale, le opere sono avanzate in maniera meno precisa, dilatando i tempi che hanno portato alla chiusura del cantiere, compresa l’impiantistica, solo poche settimane fa. All’appello, infatti, mancava il collegamento con la corrente elettrica, elemento indispensabile per svolgere al suo interno qualsiasi tipo di attività.

Il sistema difensivo, negli anni, era stato vittima anche di alcuni atti vandalici che avevano indignato la popolazione e le varie amministrazioni che si sono succedute negli anni. L’investimento di oltre 2 milioni di euro, realizzato con fondi europei e no, riconsegnerà alla città il forte che risulta essere in ottimo stato di conservazione, perfetto per attirare turisti e curiosi.

«Abbiamo pensato di riaprire il Forte – ha commentato Lucio Tollis, assessore alla cultura di Tarcento – per dare vita ad un progetto serio e ben strutturato che darà spazio al mondo della cultura, collegato alla ricorrenza delle commemorazioni della Grande Guerra, ma anche del turismo e dell’enogastronomia. Il desiderio è quello di coinvolgere attivamente le associazioni e le attività imprenditoriali della zona. Il territorio del Bernadia, infatti, si caratterizza per la sentieristica già apprezzata da molti appassionati e sportivi, oltre ad essere collegato a frasche e punti di ristoro di Sedilis. La struttura, al suo interno, ospiterà anche una sala per presentazioni e conferenze, a cui manca solo l’arredo, e un bar che potrebbe completare l’offerta a chi sale in quota».

Il taglio del nastro per la mostra, curata da Enrico Folisi e Paolo Brisighelli, intitolata “1911/1914 dalle sabbie della Libia alla prima guerra mondiale”, è previsto per domenica alle 11. L’esposizione è dedicata alla Campagna di Libia, per molti storici ritenuta la vera scintilla dello scoppio della Prima guerra Mondiale, e sarà aperta fino al prossimo 4 novembre, solo nei giorni festivi. Sarà composta da oltre 40 pannelli fotografici che proporranno al loro interno anche fedeli riproduzioni di alcuni giornali dell’epoca, l’Illustrazione italiana e la Domenica del Corriere. di Luciana Idelfonso

 

Guerra simulata alla base Nato di Poggio Renatico
Da difesaonline.it del 7 ottobre 2014

Comando Operazioni Aeree Poggio Renatico

E’ cominciata oggi, e durerà due settimane, l’esercitazione interforze “Joint Eagle 2014” che vedrà impegnati a Lecce e a Ferrara, rispettivamente, il Corpo d’armata di reazione rapida di Solbiate Olona (il Nato Rapid Deployable Corps Italy -NRDC ITA) e il Joint force air component (JFAC) dell’Aeronautica militare.

La “Joint Eagle”, sviluppata sotto l’egida dello Stato Maggiore della Difesa e organizzata dal Comando operativo di vertice interforze (il Coi), è il risultato dell’integrazione di due distinte esercitazioni: la “Eagle Joker 14” per il Comando nato di Solbiate Olona (Varese) e la “Virtual Flag 14” per l’Aeronautica Militare. “Lo scopo – dicono alla Difesa – è quello di mantenere il necessario grado di efficienza per operare in scenari di crisi, cioè la capacità di operare insieme anche tramite l’uso di tecnologie comuni, di sistemi di comando e controllo delle diverse forze armate in ambito nazionale ed internazionale.”

Il Joint force air component dell’Aeronautica militare, invece, è impegnato dalla base aerea di Poggio Renatico nella principale esercitazione di simulazione digitale di comando e controllo delle operazioni aeree: tutto ciò in vista della certificazione Nato del 2015 relativa alla capacità di pianificare, coordinare e controllare tutti gli aspetti di una campagna aerea.

 

Lampedusa sentinella Nato del Mediterraneo

Da olivierobeha.it del 26 settembre 2014

di Antonio Mazzeo

Lampedusa torna a fare da avamposto delle forze armate italiane e Nato nel Mediterraneo. A dare nuova linfa ai processi di militarizzazione della piccola isola a sud della Sicilia, l’installazione di due potenti impianti di sorveglianza radar. Come rivelato dal settimanale L’Espresso, gli impianti di Lampedusa hanno ricevuto il primo via libera con la conferenza di servizio del 15 luglio scorso. Il primo di essi sarà predisposto dalla Marina militare nell’ambito del programma pluriennale di ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture nazionali (in tutto undici), facenti parte della Rete radar costiera (RRC) e della Centrale di Sorveglianza Marittima Associata (CSMA), la piattaforma fondamentale per la cosiddetta Consapevolezza della Situazione Marittima che consente di avere sotto controllo tutte le attività navali in corso nel Mediterraneo. Avviato dal ministro della Difesa nel maggio 2009, il programma prevede l’acquisizione di radar di nuova generazione per la sorveglianza Over the Horizon (cioè per l’individuazione di grandi obiettivi “nemici” oltre l’orizzonte ottico), prodotti da aziende del gruppo Finmeccanica.

I nuovi impianti saranno dotati di sensore di scoperta a compressione digitale d’impulsi con capacità ISAR (Inverse Synthetic Aperture Radar) e avranno un costo complessivo non inferiore agli 83 milioni di euro. Nella versione più soft fornita dai comandi della Marina, il programma di ammodernamento della Rete radar costiera “è stato voluto per incrementare la capacità di protezione e sorveglianza dei traffici mercantili; il controllo dei flussi migratori via mare; la lotta ai traffici illeciti quali narcotraffico, traffico d’armi e di esseri umani; la vigilanza sulla pesca; la ricerca e il soccorso; il controllo dell’inquinamento marino”. Ma più di tutto, i nuovi radar rispondono alle esigenze degli strateghi di guerra di potenziare le azioni di contrasto di “qualsiasi tipo di minaccia”, comprese quelle di “natura asimmetrica caratterizzanti lo scenario internazionale, come le eventuali attività svolte da organizzazioni terroristiche internazionali”. L’impianto di Lampedusa assicurerà la copertura in profondità fino a 100 miglia nautiche dalla costa; le informazioni raccolte saranno riportate alle due centrali di controllo della Rete di Taranto e Augusta, che trasmettono la situazione complessiva dell’area di pertinenza al Comando in Capo della Squadra Navale (CINCNAV) di Santa Rosa-Roma, per un’integrazione finale nel sistema di supporto al comando della Marina militare (il Marittime Command and Control Information System – MCCIS). Oltre ai dati forniti dalle diverse stazioni della Rete radar costiera, alla potenziata Centrale operativa di Sorveglianza Marittima convergeranno le informazioni raccolte dal Centro virtuale regionale del traffico marittimo V‐RMTC (il programma avviato su iniziativa della Marina militare italiana nel 2005 che prevede lo scambio di informazioni con una trentina di paesi Nato e della sponda Sud del Mediterraneo); dai sensori delle unità in navigazione e dei velivoli da pattugliamento e degli elicotteri imbarcati o impiegati da basi avanzate a terra; dai sistemi in dotazione della Guardia di Finanza (proprio a Lampedusa la Gdf ha installato il radar anti-migranti EL/M-2226 ACSR, acquistato in Israele dalla Elta Systems Ltd grazie al Fondi per le frontiere esterne Ue 2007- 13), della Guardia Costiera, delle forze di polizia e degli alleati Nato e Ue. “La Centrale Nazionale di Sorveglianza Marittima dovrà interfacciarsi con i sistemi di sorveglianza marittima di altre Nazioni e/o Organizzazioni internazionali”, aggiunge il ministero della Difesa. In particolare, i nuovi radar costieri funzioneranno in rete con gli impianti previsti dal Project Team MARSUR (WG1 o Maritime Surveillance Networking), il programma promosso dall’European Defence Agency con le Marine militari di Cipro, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Olanda, Polonia, Portogallo, Spagna e Svezia e la collaborazione di Frontex (l’agenzia europea d’intelligence anti-immigrazione), con lo scopo d’individuare “una soluzione comune per lo scambio d’informazioni sulla sorveglianza marittima”. Il secondo radar previsto nell’isola di Lampedusa sarà messo a disposizione della 134^ Squadriglia Radar Remota dell’Aeronautica italiana, il primo avamposto della Nato nel Mediterraneo meridionale, come spiega il portavoce della Difesa.

In una nuova torre di alloggiamento a Cala Ponente, l’impianto ospiterà il Fixed Air Defence Radar (FADR) RAT31- DL, acquistato dall’Aeronautica per la sorveglianza aerea a lunga portata e il potenziamento della rete operativa integrata nella catena di comando, controllo, comunicazione ed intelligence dell’Alleanza Atlantica. Con un contratto del valore di 260 milioni di euro sottoscritto con Selex Es (Finmeccanica), la Difesa ha ordinato dodici impianti radar FADR per altrettanti siti italiani (oltre a Lampedusa, le stazioni siciliane di Noto-Mezzogregorio e Perino-Marsala; Mortara, Pavia; Borgo Sabotino, Latina; Capo Mele, Savona; Crotone, Jacotenente, Foggia; Lame di Concordia, Venezia; Otranto; Poggio Renatico, Ferrara; Potenza Picena, Massa Carrara), più due sistemi configurati nella versione mobile (DADR – Deployable Air Defence Radar). Il FADR può essere controllato anche da centri posti a notevole distanza e la configurazione meccanica con cui è stato disegnato consente facilità di assemblaggio e smontaggio nei campi di battaglia. “Il RAT31-DL è stato sviluppato per rispondere ai futuri bisogni della difesa, dove la superiorità delle informazioni e dei comandi giocherà un ruolo sempre maggiore”, spiegano i manager di Selex-Finmeccanica. “Il sistema ha eccellenti capacità di scoprire e tracciare i segnali radio a bassa frequenza di aerei e missili, può supportare diverse funzioni come la difesa da missili anti-radiazione e da contromisure elettroniche. In Italia il FADRconsentirà di controllare anche la presenza di missili balistici e comunicherà con gli altri punti di controllo nazionali e della Nato”. Grazie alla nuova rete radar, l’Aeronautica militare potrà pure avviare la sostituzione dei propri sistemi di sorveglianza aerea e rendere disponibili le frequenze necessarie all’introduzione della nuova tecnologia Wi-MAX (Worldwide Interoperability for Microwave Access) di accesso internet ad alta velocità in modalità wireless. Il ministero della Difesa non ha inteso fornire i dati relativi alle emissioni elettromagnetiche del nuovo impianto radar di Lampedusa, affermando che “il programma è sottoposto a secretazione”. Scarne pure le informazioni sulle caratteristiche tecniche e di funzionamento del sistema FADR rese dall’azienda produttrice. La brochure di Selex ES rivela solo che il Fixed Air Defence Radar opererà in banda D e avrà una portata sino a 470 km di distanza e 30 km in altezza, una potenza media irradiante di 2,5 kW e una potenza dell’impulso irradiato di 84 kW. L’antenna opererà in una frequenza compresa tra 1,2 e 1,4 GHz (L-band), all’interno dello spettro delle cosiddette “microonde”. Il 10 gennaio 2012, rispondendo a un’interrogazione parlamentare che stigmatizzava i rischi per l’uomo e l’ambiente delle emissioni elettromagnetiche del radar RAT31-DL di Marsala- Perino, l’allora ministro della difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola, affermava che “il nuovo radar, grazie al tipo di realizzazione e ad una tecnologia molto avanzata, presenta caratteristiche migliori rispetto al radar già esistente e sito nella medesima area, sia in termini di efficienza che di livelli di emissione elettromagnetica, riducendo la potenza di picco di trasmissione del 50% circa”. I dati, sempre insufficienti o incompleti, sulle emissioni riscontrate nel territorio marsalese erano in verità tutt’altro che tranquillizzanti. Sempre per Di Paola, “il valore massimo (picco) del campo elettrico prodotto dal radar attualmente in uso e riscontrato lungo la contrada Bufalata (a circa 1 chilometro dall’installazione militare) è di circa un quarto del limite previsto di 1952 V/m, mentre il valore massimo (medio) del campo elettrico (sempre a circa 1 chilometro dall’installazione militare), è di circa 7 millesimi del limite previsto di 61 V/m.”. Nessun rischio in futuro, dunque, per gli abitanti di Lampedusa? A Borgo Sabotino (Latina), dopo l’entrata in funzione del FADR RAT31-DL presso il locale centro radar dell’Aeronautica militare, i residenti hanno denunciato l’insorgenza di anomale interferenze che impediscono il buon funzionamento degli strumenti elettronici d’utilizzo quotidiano.

Con un’interrogazione parlamentare, alcuni senatori del Movimento 5 Stelle hanno chiesto ai ministri della Difesa e della Salute “se siano a conoscenza dei problemi registrati a Borgo Sabotino e del corretto svolgimento degli atti e fatti che abbiano portato all’istallazione di antenne e apparecchiature simili, sia del grado dell’affidabilità di tale procedimento e dell’impianto funzionante per la salute dei cittadini residenti”. Ad oggi, però, il governo non ha voluto rispondere. Con il nuovo impianto radar, l’Aeronautica militare rafforzerà ulteriormente il proprio dispositivo a Lampedusa. L’Ami è presente sull’isola dal 1958 con il “Teleposto Telecomunicazioni” e la “Stazione di Meteorologia”. Tale presenza si è ulteriormente evoluta negli anni successivi; nel 1986, con lo scoppio della crisi Usa-Libia e l’ancora misteriosa vicenda relativa al (presunto) lancio di due missili “Scud” contro la stazione trasmittente Loran C, gestita dal 1972 a Lampedusa da personale del Servizio Guardia Coste Usa, fu costituita la 134^ Squadriglia Radar, dotata prima del Sistema AN-FPS-8 e, nel 1989, del sistema MRCS (Mobile Radar Combat System), allo scopo di “garantire la sorveglianza e il controllo dello spazio aereo nazionale e Nato da eventuali minacce provenienti dall’aerea del Nord Africa”, come riporta il sito ufficiale dell’Aeronautica italiana. Sempre a Lampedusa, nel 1993, fu costituito il “Distaccamento Aeronautico” adiacente all’aeroporto (scalo classificato come “civile” pur se utilizzato spesso da aerei ed elicotteri militari), con la funzione di fornire il supporto logistico, tecnico e amministrativo a tutti gli enti dell’Aeronautica militare presenti sull’isola. A fine 1994, la 134^ Squadriglia prese possesso della stazione Loran C, dismessa dagli Stati Uniti d’America; quattro anni più tardi il reparto assunse la configurazione di “sensore remoto” con riporto dati al sito master di Noto-Mezzogregorio, sede del 34° Gruppo Radar. Nel 2004 venne installato nella ex base Loran il sistema radar a lungo raggio RAT-31 SL di Slex-Finmeccanica. A partire del 5 agosto 2008, con l’entrata in vigore del cosiddetto “decreto sicurezza” volto a contrastare la criminalità e l’immigrazione clandestina, il contingente dell’Aeronautica militare fu destinato alle attività di vigilanza interna ed esterna del Centro di identificazione ed espulsione / Centro di primo soccorso ed accoglienza migranti di Lampedusa. Gli avieri sono stati poi utilizzati a supporto degli interventi del personale dell’Esercito, della Polizia di Stato, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera, giunto in massa nell’isola con le crescenti “emergenze-sbarchi” di migranti e richiedenti asilo. Gli uomini della 134^ Squadriglia Radar e del Distaccamento Aeronautico hanno pure fornito l’assistenza ai velivoli militari C-130J “Hercules”, utilizzati per trasferire i migranti in altri centri italiani, e agli automezzi della Protezione civile adibiti a Lampedusa al trasporto tende, bagni chimici, letti e derrate alimentari. Nel gennaio 2008, dopo la decisione del governo di allestire un nuovo CIE nei locali della ex base statunitense Loran C, gli avieri hanno curato i lavori di allestimento del centro- ager di 200 posti letto e le relative “operazioni minime di messa in sicurezza”. L’infrastruttura, carente di servizi medico-sanitari e spazi di socializzazione e del tutto isolata dal contesto isolano, è stata poi classificata eufemisticamente come “Centro di prima accoglienza migranti” e utilizzata dopo il 2011 anche per la detenzione di donne e minori non accompagnati. Nei mesi scorsi, le autorità governative hanno decretato la fine della missione del personale dell’Esercito italiano, presente stabilmente a Lampedusa dalla primavera del 1986. “L’operazione Strade Sicure che garantirà la vigilanza del Centro di Soccorso e Prima Accoglienza continuerà comunque sull’isola sotto il comando del Raggruppamento Sicilia Occidentale (Reggimento Lancieri d’Aosta con sede a Palermo) e verrà condotta da un plotone di venti uomini dell’Aeronautica Militare”, ha chiarito il ministero della Difesa. La componente terrestre utilizzò originariamente come base operativa una struttura a Contrada Imbriacola, passata al demanio nel 2006 e successivamente divenuta sede del CIE/Centro migranti. “I compiti principali dell’Esercito sono stati quelli della vigilanza in concorso alle forze dell’ordine del Centro di soccorso e prima accoglienza e la vigilanza del deposito di barconi impiegati dagli scafisti”, ricorda la Difesa. “L’Esercito ha impiegato sull’isola anche alcuni militari di origini africane, con compiti di mediazione culturale, per facilitare i rapporti tra Istituzioni e migranti e interpretarne le esigenze utilizzando la loro lingua madre”. La migliore narrazione per trasformare agenti e 007 in samaritani…

 

 

Inaugurazione ufficiale del Forte delle Benne

Da L'Eco delle Valli - 21 settembre 2014

LEVICO TERME  -   L’Amministrazione comunale di Levico Terme, presieduta dal Sindaco dott. Michele Sartori, e l’Assessorato alla Cultura della Provincia autonoma di Trento, in collaborazione con la Soprintendenza per i beni culturali, sono lieti di invitare all’inaugurazione del Forte San Biagio Colle delle Benne, dopo i recenti lavori di riqualificazione e restauro.

La cerimonia avrà luogo sabato 20 settembre 2014 alle ore 10.00 a Levico Terme, presso il Colle delle Benne. Dopo il saluto delle Autorità comunali e provinciali, interverranno gli esperti, Prof. Arch. Gino Malacarne e Arch. Renzo Acler, che hanno curato e seguito da un punto di vista tecnico i lavori di restauro. Seguirà un intermezzo musicale da parte del Coro Cima Vezzena. Sarà possibile inoltre visitare la struttura grazie a visite guidate curate da alcuni storici dell’Associazione culturale Chiarentana.

Ad eccezione dei mezzi addetti al servizio, sarà possibile accedere al Forte o a piedi, partendo dal Capitello nei pressi del Parco Belvedere (25 minuti di cammino), o con il bus navetta. Per l’occasione infatti l’Amministrazione comunale metterà a disposizione un servizio di bus navetta gratuito a partire dalle ore 8.00, con partenza dal piazzale della Piscina comunale (Piazza G. Dalla Chiesa).

Il Forte San Biagio – Werk Colle delle Benne, è un forte militare austroungarico, che si trova su un’altura a 660 m.s.l.m. in Valsugana nei pressi del lago di Levico. Fu costruito tra il 1880 e il 1882; la sua funzione, assieme al Forte di Tenna, era di presidiare la Valsugana ed il passaggio potenziale per Trento. Si trattava di un’opera in casamatta con pianta poligonale, circondato da un fossato lungo tutto il suo perimetro. Il progetto aveva seguito il classico schema dell’epoca: costruito su 4 piani era presente un lungo corridoio protetto da dove si aprivano dei grandi stanzoni laterali. L’infrastruttura poteva ospitare circa 200 militari; in essa vennero montati 4 cannoni a media gittata e 2 obici in casamatta rinforzata. La piazzaforte possedeva energia elettrica, una linea telefonica, una postazione per segnalazioni luminose e un ingegnoso sistema per convogliare acqua. L’evoluzione tecnologica degli armamenti e il ripensamento dei piani marziali durante la Prima Guerra Mondiale portarono al completo disarmo del fortilizio che, di fatto, non fu mai usato in azioni guerresche.

 

Prometheus, per difendere i cieli

Da rbth.com del 15 settembre 2014

Il comandante delle Forze aeree russe, Viktor Bondarev, ha annunciato che il sistema missilistico antiaereo di ultima generazione S-500 Prometheus dovrebbe essere adottato dall’esercito russo gia tra due anni. Nel 2015 partiranno i test di Prometheus e quindi verrà dato in dotazione all’esercito e si avvierà la produzione in serie.

In grado di arrivare nello spazio

S-500 e un sistema missilistico antiaereo di ultima generazione che applica il principio della separazione finalizzato a distruggere obiettivi balistici e aerodinamici. Il compito principale del nuovo complesso e quello di fronteggiare le testate dei missili balistici di medio raggio nella sezione finale della traiettoria e in alcuni casi anche nella sezione intermedia. Com’era stato precedentemente annunciato dal comandante delle Forze aeree russe, Viktor Bondarev, il nuovo sistema sarà in grado non solo di annientare i missili di medio raggio, ma anche obiettivi nello spazio vicino: razzi e missili balistici. Vale a dire che il sistema potrà colpire qualunque “equipaggiamento” aereo a qualsivoglia altezza dai missili da crociera, la cui velocità e pari a 5500 chilometri orari e anche superiore e persino gli aerei autopilotati e i razzi nemici in orbita. Tale funzione non era prevista per i sistemi missilistici della generazione precedente, mentre il nuovo sistema consente per la prima volta di svolgerla. A detta degli esperti militari, gli S-500 non saranno solo uno sviluppo dell’attuale sistema S-400, ma dispositivi qualitativamente diversi dove sono state applicate nuove soluzione tecniche.

Il portabandiera del nuovo sistema di difesa antiaerea e antimissilistica

Il direttore del sito della difesa missilistica “Vestnik Pvo”, Said Aminov, ritiene che il nuovo sistema utilizzerà le tecnologie gia applicate nei sistemi missilistici antiaerei S-300 e S-400, ma con l’aggiunta di componenti del tutto nuovi. Nel sistema S-500 sono stati potenziati il raggio d’azione, la velocità di intercettazione e la lunghezza della distanza di intercettazione dell’obiettivo. Per ottimizzare gli ultimi due parametri S-500 si avvale di un’antenna attiva a schiera fasata che costituisce il principale componente del sistema radar della nuova arma di difesa. Grazie a un radar cosi potente il sistema missilistico potrà intercettare gli obiettivi fino a una distanza di 800 chilometri. Secondo i piani del Ministero della Difesa, i sistemi S-500 Prometheus saranno in dotazione alle Forze della Difesa aerospaziale russa e occuperanno tutto il territorio del paese. Si prevede che S-500 sarà alla base del nuovo sistema di difesa antiaerea e antimissilistica. Il programma statale degli armamenti per il 2011-2020 prevede l’acquisto di dieci divisioni S-500 per le forze di difesa aerospaziale russe. Attualmente a costituire la base del sistema di difesa antiaereo russo sono collegamenti e unita delle forze terrestri e dell’aeronautica militare della difesa antiaerea dotati di sistemi S-300 nella versione migliorata e sistemi S-400, Buk-M1, Top-M1, Osa-Akm e Tunguska-M1.

Componenti del sistema di difesa antiaerea e antimissilistica russo

Dal 2008 la Russia si sta dedicando alla costruzione di un unico sistema di difesa antiaerea e antimissilistica che dovrebbe in futuro accorpare anche i sistemi dei paesi della Csi (al riguardo esistono gia degli accordi con Kazakhstan e Bielorussia). La sua concezione contempla la costruzione di un sistema di difesa antiaerea e antimissilistica a più livelli, mentre la differenza tra i componenti tattici e strategici si neutralizza. In tal modo questo sistema a più strati e in grado di intercettare qualunque obiettivo aereo al punto che la distanza e l’altezza d’intercettazione dell’obiettivo non costituiscono più un problema. Per la creazione di un sistema aereo a più “anelli” il complesso di difesa antimissilistica utilizza una tecnologia militare diversa a seconda del raggio d’azione. Il raggio d’azione più corto e di 30-40 chilometri. I sistemi missilistici sono finalizzati alla difesa di piccoli obiettivi. Tali compiti vengono svolti con l’aiuto di missili della famiglia dei Buk e con i sistemi missilistici antiaerei Pantsir-S1 e Morfej. Il raggio d’azione medio va dai 40 ai 200 chilometri. I sistemi sono finalizzati alla difesa di importanti obiettivi industriali, amministrativi e militari. La dotazione comprende i sistemi terrestri della famiglia degli S-300, inclusi gli S-300B4 e Vitjaz. Il raggio d’azione lungo va oltre i 200 km. I sistemi sono in grado di intercettare gli aerei spia e le forze aeree strategiche del nemico e anche di respingere attacchi missilistici mediante l’impiego di armi balistiche a ultrasuoni. A raggiungere gli obiettivi a una simile distanza sono per ora i sistemi S-400, mentre in futuro toccherà agli S-500.

 

GROSSETO: NUOVO SISTEMA RADAR DELL’AERONAUTICA A POGGIO BALLONE

Da firenzepost.it del 9 settembre 2014

Il nuovo impianto radar a Poggio Ballone

GROSSETO – Nuovo assetto radar per la Difesa aerea nazionale anche in Toscana. Si sta completando la «remotizzazione» degli impianti dell’Aeronautica di Poggio Ballone, sulle alture di Grosseto. Un nome storico. Salì in particolare alle cronache in occasione della strage di Ustica del 1980, quando i tracciati del volo Itavia IH 370 Bologna-Palermo (inabissatosi poco prima dell’arrivo con 81 persone a bordo) furono seguiti anche da quella postazione toscana. Anche le sue registrazioni entrarono nelle numerose inchieste giudiziarie sulla tragedia. Da tempo l’Aeronautica Militare sta ridimensionando tutte le strutture logistiche degli impianti radar presenti sul territorio nazionale.

Non più controllori e sale operative presso ogni struttura, ma una gestione «in remoto» dei dati raccolti. Di fatto il radar di Poggio Ballone continua a funzionare, anzi è stato recentemente ammodernato – come precisano all’Aeronautica – ma da oggi i suoi tracciati verranno letti direttamente «in remoto» dalla sala operativa del centro di controllo nazionale di Poggio Renatico a Ferrara. A Poggio Ballone rimarranno solo gli addetti alla sicurezza e i tecnici dell’impianto. Il restante personale del controllo aereo sarà ricollocato presso altre strutture dell’Aeronautica. Sui bastioni ripuliti dall’erba, ecco i basamenti delle garitte

 

Da Il Messaggero Veneto - 6 settembre 2014

PALMANOVA. I lavori di pulizia sui bastioni liberano la cinta fortificata dalla vegetazione infestante e permettono agli storici di osservare la fortezza in modo più approfondito, trovando conferma a quanto scritto sui documenti o disegnato sulle mappe.

Racconta Alberto Prelli, appassionato storico della città, che sui baluardi e sulle cortine della cinta veneta sono apparsi con chiarezza, dopo la rimozione della vegetazione, i basamenti di sostegno delle garitte, chiamate anche “caselli di guardia”.

«Si tratta – spiega - di pietre, anche di grosse dimensioni, che reggevano queste torrette di guardia, il cui scopo era quello di dominare lo spazio circostante per un maggiore controllo di ciò che avveniva nei pressi della fortezza». Erano inoltre assai ravvicinate allo scopo di rendere efficace anche la comunicazione tra una garitta e l’altra. Inizialmente furono costruite in legno, poi in muratura, ed erano coperte in piombo («tanto che – aggiunge Prelli - i Provveditori si lamentano nei loro dispacci perché i soldati sottraevano il piombo per fabbricarsi le pallottole»).

Le sentinelle occupavano le garitte probabilmente giorno e notte se in un regolamento del 1624 si parla di turni di 3 o 5 ore. «I documenti – precisa ancora lo storico - parlano di una sessantina di questi caselli. E la pianta del Verneda, della metà del 1600, rileva le loro posizioni, proprio nell’esatta collocazione in cui oggi si possono vederne i basamenti.

Un casello si trovava sulla punta di ogni baluardo, due in prossimità dell’orecchione e 2 o 3 lungo la cortina». Una passeggiata sulle fortificazioni, magari proprio in questi giorni in cui la città rivive la propria storia attraverso la Rievocazione, regala al visitatore queste e altre perle d’ingegneria militare. di Monica Del Mondo

 

 

Sainte Agnes e il Fort della Linea Maginot da rifugio antiatomico a meta turistica

Da Riviera24.it - 5 settembre 2014

Sainte- Agnès sorge a 780 metri di altezza sul mare,è il più alto villaggio litoraneo d'Europa , a soli 3 km in linea d'aria dal mare di Mentone, offre ai visitatori uno scenario più alpino che che balneare. Il vecchio castello in appollaiato sopra il borgo sembra galleggiare sopra la costa azzurra. Dal borgo bisogna salire per circa 200 gradini prima di arrivare alle rovine del castello, ma una volta giunti sulla cima della torre sembra di essere in volo sulla baia di Mentone. Il paese sottoposto a un severo vincolo militare fino agli anni 90 che praticamente vietava nuove costruzioni si presenta come se il tempo si fosse fermato ai primi del 900 , un vincolo che derivava dal fatto che qui fu costruito tra il 1932 e il 1938 uno dei armati e potenti forti della linea Maginot. Una vera e propria città sotterranea scavata sotto 55 di rocce , il bunker si sviluppa per circa 2000 metri quadrati e permetteva di vivere a una guarnigione di circa 300-400 uomini in perfetta autonomia circa 3 mesi senza contatti con il mondo esterno. La visita al forte fa vivere dei momenti forti , specialmente dopo aver visto il breve firmato introduttivo che sovrappone momenti di vita militare passata ad quelli di oggi. Un sito militare eccezionale per lo stato di conservazione in cui si trova, che in parte deriva dal fatto che fino verso la fine degli anni 80 fu usato come rifugio antiatomico. di Pierluigi Balestra

 


Base missilistica e campo prigionia: Murgia teatro di una guerra nascosta

Da barinedita.it del 5 settembre 2014

BARI – La sperduta e isolata Murgia, che da sempre immaginiamo calpestata unicamente da contadini e pastori transumanti, ha rappresentato un punto nevralgico nella nostra più recente storia, dalla seconda guerra mondiale alla guerra fredda. L’ex base missilistica atomico-nucleare di Altamura in località Murgia del Ceraso e l’ex campo di prigionia della Seconda Guerra Mondiale collocato sulla statale 96 presso Lama Sambuco, sono i due siti inattesi fattici scoprire da due guide che stanno lottando affinchè non si perdano le ultime tracce esistenti. (Vedi ampia galleria fotografica) Gabriella Falcicchio, referente del “Movimento Nonviolento Puglia” e di Giuseppe Carlucci, guida ambientale ed escursionistica del Parco dell’Alta Murgia ci hanno accompagnato in questo viaggio nel passato, quando la Murgia rappresentava un vero e proprio teatro di una guerra nascosta. L’ex-base missilistica - Imboccando la statale 98 per Altamura, in direzione località Ceraso, si giunge all’aerostazione Ceraso, una base missilistica sorta alla fine degli anni 50, in piena Guerra Fredda.

«Nel 1959 - ci spiega Gabriella – sull’altopiano carsico delle Murge, da Gioia del Colle a Matera furono installate una decina di basi missilistiche con Jupiter a testata nucleare da oltre un megatone, tutte con lo stesso schema: la forma era quella di un triangolo equilatero con gli angoli arrotondati nei quali erano piantati rispettivamente tre missili. Al centro protetto da un terrapieno si trovava il carro comando per effettuare il count down del lancio e nei pressi i trailer di rifornimento: uno per il cherosene e uno per l’ossigeno. Lungo il perimetro erano dislocate sei torrette in cemento armato per le vedette di sorveglianza, ancora ben visibili». Ma perché furono costruite e perché proprio qui? «Siamo in piena Guerra Fredda – ricorda Giuseppe -. Il 1° marzo del 1957 viene lanciato il primo missile Jupiter dalla Difesa statunitense e il 4° ottobre la Russia sancisce la sua supremazia con il primo satellite orbitale russo Sputnik 1. Il 30 luglio 1958 il presidente del Consiglio italiano Amintore Fanfani si reca in visita dal presidente degli Stati Uniti e acconsente a schierare 30 missili Jupiter in Italia purché ciò avvenga “senza clamori”: è l’esito di una trattativa segreta e tutto fu realizzato nel massimo riserbo e all’insaputa di tutti». Il sito è stato scelto non a caso perché si confidava nell’ignoranza della poca gente che abitava nei dintorni, dedita a sbarcare il lunario e ignara del boom economico come delle questioni militari e politiche. Ma per quanto lontana dai centri abitati, si fatica a credere che nessuno si fosse accorto della base posta strategicamente in altura e dei suoi missili alti 25 metri.

 «Non tutti furono così ciechi – precisa Gabriella – nel 1962 numerosi intellettuali italiani firmarono un “Appello per la pace e il disarmo” e il 13 gennaio ad Altamura fu organizzata una marcia della pace. Ma la gente del posto non si pose domande. Eppure hanno corso un grosso rischio se si pensa che i missili installati avevano una potenza cento volte superiore a quelli sganciati su Hiroshima e Nagasaki». Il 1° luglio 1963, in seguito all’accordo tra Kennedy e Chruščëv che pone fine alla crisi di Cuba, vengono smantellati i missili e le basi. Ad oggi però sono ben visibili i resti delle sei torrette di guardia in cemento armato ben conservate, dell’edificio di deposito (questo invece in pessimo stato di conservazione, prossimo al crollo e con i tetti divelti) e il terrapieno che sta per essere invaso dalla vegetazione (vedi foto galleria). Il tutto sorge però su un campo privato destinato alla coltivazione. Il rischio è che il sito venga fagocitato per sempre dal grano e dall’aratura per scomparire inesorabilmente. L’ex campo di prigionia – Lasciamo la base missilistica e imbocchiamo a ritroso la strada percorsa, questa volta in direzione Altamura. Prima dell’ingresso in città svoltiamo a destra e proseguiamo lungo la statale che conduce a Gravina. Sulla sinistra, a un chilometro dal nuovo ospedale, c'è il campo di prigionia della Seconda Guerra Mondiale. «Corrisponde perfettamente alla logica del campo – ci illustra Gabriella – di qualunque natura esso sia: invisibile dall’esterno e con il controllo assoluto dei detenuti all’interno». Era il campo di prigionia n.65 e vi risulta che siano stati internati sino al settembre 1943, soldati inglesi, canadesi, sudafricani e australiani. Nel novembre 1950 venne trasformato in un centro raccolta profughi in grado di ospitare 500 unità, dotato di 60 capannoni forniti di bagni, lavabi, banco cucina, con una sezione staccata di scuola elementare e asilo infantile e una palazzina di comando. Accoglieva profughi rimpatriati dall’Africa (Tunisia, Eritrea, Egitto) dalla Venezia Giulia e dalla Costa dalmata e il loro passaggio è ancora oggi testimoniato da scritte, graffiti incisi e disegni come bandiere e cartine geografiche anche minuziose. Della struttura rimane solo un capannone con le varie stanze all’interno (di cui una anche piastrellata), le torri di controllo e la palazzina di comando con un imponente albero rampicante abbarbicato sulla facciata. (Vedi foto galleria) E’ stato chiuso nel 1962 e ora appartiene al Comune di Altamura che lo ha relegato ad uno stato di assoluto abbandono e incuria: ci imbattiamo infatti in cumuli di bottiglie, rifiuti e copertoni abbandonati. L’interno delle strutture è probabilmente divenuto dominio di immigrati e barboni data la presenza di numerosi vestiti, stracci e scarpe abbandonate. Ma ancora più inquietante è l’incombente rischio di una diversa destinazione del sito, pare ad uso edilizio per la realizzazione di villette, che ne cancellerebbe definitivamente la valenza di testimonianza storica. di Katia Moro

 

Settant'anni fa a Cézembre, l'isola che non si arrese

Da l'Espresso - 4 settembre 2014

Hanno il sorriso di chi è appena tornato dall'inferno. Un manipolo di militari italiani che 70 anni esatti fa è rimasto asserragliato assieme ai tedeschi nella terra più bombardata di tutti i tempi: l'isoletta di Cézembre, in Bretagna. Un centinaio di marò, finiti per un capriccio della storia a combattere contro gli alleati che avanzavano dalla Normandia. E protagonisti di un'epopea a cui in Francia e in Germania vengono dedicati libri e persino racconti a fumetti.
Cézembre è poco più di uno scoglio: lunga 750 metri e larga al massimo 300. In tre settimane fu colpita con 19.729 bombe d'aereo e circa 20 mila proiettili d'artiglieria: un record assoluto, mai superato nemmeno in Vietnam o in Iraq. Era una delle tante postazioni deVallo Atlantico, riempita dai tedeschi di bunker e cunicoli in vista dell'assalto all'Europa. Una fortezza strategica: con i suoi cannoni poteva bersagliare Saint Malò e il suo porto, distanti solo tre miglia. E quando ai primi di agosto 1944 sono arrivati gli americani, l'isola ha cominciato a sparare. Anche quando la città si è arresa, i tiri sono continuati, tormentando i fanti statunitensi.
Il generale George Patton l'ha considerata una sfida. Su Cézembre è stato scatenato un volume di fuoco devastante. Gli alleati l'hanno letteralmente sepolta di ordigni. Notte e giorno, si alternavano bombardieri e caccia dal cielo. Lì per la prima volta in assoluto è stato usato il napalm: era ancora un'arma segreta, che creava colonne di fiamme terrificanti. La fotografa Lee Miller, la musa di Man Ray passata dagli atelier di moda alla prima linea, riuscì a scattare le immagini di quell'incredibile rogo che si alzava dall'isoletta, ma le pellicole le furono sequestrate dall'intelligence. Dopo ogni raid, però, dai bunker italo-tedeschi riprendevano i tiri contro gli americani.
Dopo pochi giorni, la battaglia è diventata una questione di propaganda. La radio e i giornali del Reich esaltavano il coraggio dei difensori; gli alleati mostravano nei cinegiornali i filmati con l'isola sommersa di bombe. Il 13 agosto 68 quadrimotori Liberator hanno sganciato 265 tonnellate di ordigni. Quattro giorni dopo sono arrivati 35 P-38 Lighting con 68 barili di napalm.
Di notte, la flotta germanica spediva navi veloci con rifornimenti. I primi viaggi riuscirono, poi le altre vedette vennero colate a picco. Ma il comandante tedesco, Richard Seuss, un ufficiale di marina di fede nazista, voleva rispettare l'ordine impartito personalmente da Hitler: resistere a ogni costo. Sopravvivere nella fortezza era durissimo. Gli uomini erano rintanati sottoterra, dietro le pareti di cemento: ogni colpo era un terremoto, napalm e fosforo si infilavano nelle feritoie, l'aria irrespirabile obbligava a indossare le maschere antigas. Il calore ha piegato persino le canne degli obici. Nella prima settimana ci furono quasi cinquanta morti.
Il contingente italiano era diviso. Sull'isola all'inizio dell'assedio c'erano due ufficiali e poco più di cento marinai, inquadrati nella Divisione Atlantica della Repubblica sociale. Pochi credevano nel fascismo. Alcuni erano stati sorpresi dall'8 settembre nella base di Bordeaux, da cui i nostri sottomarini operavano nell'Oceano. La gran parte invece era stata catturata dai tedeschi dopo l'Armistizio nei porti di Trieste e La Spezia ed era finita nei campi di concentramento in Germania. Lì, più per fame che per convinzione, avevano aderito all'ultima creatura di Mussolini e si erano ritrovati al fronte in Francia. Altri reparti simili erano sparsi lungo tutte le coste di Normandia e Bretagna: gli ultimi hanno combattuto il 30 aprile, quando il Duce era già morto.
A Cézembre gli italiani presidiavano la ridotta a Sud, con una batteria contraerea. Molti erano artiglieri reduci delle battaglie navali del Mediterraneo. Dopo le prime ondate di bombardamenti, tre marò fuggirono a nuoto, senza andare lontano: i tedeschi li ripresero su uno scoglio. Un cuoco fu più fortunato, riuscì ad arrivare fino alla costa: «Solo il comandante tedesco e un pugno di suoi camerati impedisce la resa. Tutti gli altri non ce la fanno più. Stanno organizzando una rivolta», disse agli americani.
Anche i tedeschi temevano l'ammutinamento: selezionarono una trentina di italiani, giudicati meno affidabili, e li imbarcarono su una delle vedette di soccorso. La nave affondò nella notte, forse per l'impatto di una mina, senza superstiti. Seuss riteneva che «un ufficiale e venti marò fossero eccellenti soldati», ma sospettava degli altri 46 uomini rimasti a Cezembre.
Il 18 agosto gli alleati mandano un motoscafo con la bandiera bianca sull'isola per chiedere la resa. Tre plenipotenziari scendono sull'unica spiaggia, stupiti dalla quantità di crateri scavati dai colpi. Ma i tedeschi non ne vogliono sapere.
Da quel momento, gli attacchi si intensificano. Ondate di raid aerei, senza mai una pausa. Il 24 agosto 1944 Parigi cade, invece Cézembre rifiuta di nuovo la resa. Il comandante Seuss comunica che solo un cannone funziona ancora e che le scorte d'acqua possono durare solo dodici giorni. Gli alleati sono furiosi. Fanno intervenire anche una corazzata britannica, la Warspite, che sputa per ore bordate da 381 millimetri: ogni proiettile contiene quasi mezza tonnellata di tritolo. Alcuni bunker vengono sventrati, uccidendo tutti gli occupanti.
Sulla terraferma Patton ha fatto schierare cinque batterie di artiglieria: in quattro giorni scaricano 11.103 colpi di grosso calibro sulla fortezza. Altri 400 aerei si accaniscono sulla postazione: il profilo dell'isola è irriconoscibile, le colline sono livellate dalle esplosioni. Gli americani vogliono chiudere la partita. Preparano una forza da sbarco: l'ora X scatta all'alba del 2 settembre 1944. Ma quando i mezzi anfibi si avvicinano a Cézembre, pronti allo scontro finale, vedono una bandiera bianca. L'hanno issata gli italiani. I marò non sono disposti ad andare oltre, non vogliono farsi massacrare per quello scoglio bretone.
Il comandante tedesco è infuriato: la difesa è impossibile, deve deporre le armi. Non vuole però avere a che fare con “i traditori”. Pone agli americani un'unica condizione: una resa separata. I fotografi immortalano la doppia cerimonia: in una spiaggetta circondata di macerie, Seuss accoglie gli alleati con il saluto nazista. In disparte, i due ufficiali italiani che si consegnano subito dopo. Anche i superstiti vengono trasferiti separatamente: sono 228 tedeschi e 71 marò, tre dei quali feriti. Il reportage fotografico statunitense mostra i loro volti, mentre il 3 settembre 1944 vanno felici verso la prigionia.
L'incredibile resistenza ha cambiato le sorti del conflitto in quel settore. Dopo la lezione, inglesi e americani rinunciano ad attaccare le fortezze tedesche nella costa meridionale della Francia, che restano circondate fino alla disfatta conclusiva del Reich: espugnarle sarebbe costato troppo.

Ancora oggi, a 70 anni di distanza, l'isola è in gran parte off limits: ci sono centinaia di ordigni inesplosi, che tre bonifiche non sono riusciti a eliminare. Solo la spiaggia è accessibile, mentre una barriera di filo spinato impedisce di arrivare ai bunker e ai rifugi sotterranei, rimasti come nel giorno della resa. Restano in posizione i cannoni con le canne fuse, persino i letti metallici e i vetri delle bottiglie: un monumento alla follia della guerra.  di Gianluca Feo

 

Biciclette nei bunker: pedalare per sopravvivere

Da architetturasostenibile.it - 4 settembre 2014

Pedalare per passione osservando viali alberati in città o paesaggi naturali; in palestra, per dimagrire ed allenare i muscoli; per necessità, nei luoghi in cui la bici diventa l’unico mezzo di trasporto per merci e persone. Ed infine, pedalare per sopravvivere come nei bunker sotterranei e nei rifugi anti-bombardamento, dove i km percorsi si tramutavano in aria pura da respirare. Come può una bicicletta salvare vite umane? In periodo di guerre e bombardamenti, nei locali blindati e oscuri, le pedalate azionavano, in caso di black-out totale, i sistemi di areazione e ventilazione. Al suono delle sirene o sotto i colpi di granate troppo ravvicinate, si correva nei rifugi anti-aereo: la forza fisica umana e le cyclette, modeste ma efficienti, permettevano di rimanere a lungo al sicuro.

Nei bunker il ricambio d’aria era garantito normalmente da motori elettrici ma, in caso d’interruzione di energia, si doveva ricorrere a metodi alternativi: da semplici manovelle da girare a mano ai più sofisticati modelli con tandem o biciclette singole. La maggior parte di queste, tranne rari casi, erano collegate ad un volano che attivava direttamente il ventilatore/aspiratore. In questo modo, l’areazione era assicurata dai ciclisti, mentre l’illuminazione avveniva con lampade a batteria o candele. I ventilatori a motore elettrico ad una pedaliera potevano garantire l’aereazione fino a 90 persone, a due pedaliere fino a 180.

La Società Anonima Bergomi di Milano fu una tra le più importanti aziende produttrici, specializzata anche in porte ermetiche antigas. Il modello delle cyclette era costituito da un telaio tubulare con sellini, pedali e, in aggiunta rispetto le tradizionali, vi era un gruppo di trasmissione coperto da carter collegato direttamente al ventilatore e non ad una dinamo. I dispositivi erano inoltre caratterizzati da tubazioni, deviatori per selezionare le funzionalità, filtri e flussimetri per misurare i livelli di ossigenazione (misurati in mc/h) e sapere esattamente quante pedalate erano necessarie per il ricambio completo dell’aria.

Tali meccanismi, più o meno spartani, sono stati ritrovati a Roma nel Rifugio del Palazzo degli Uffici (EUR) e nel Rifugio della Famiglia Savoia a villa Ada, a Milano nel Rifugio di viale Moscova e di via Antonio Tanzi (ex Innocenti) ed ancora, a Torino, Verona, Rovigo, Bolzano e Genova, Gardone Riviera (Bs) e Dalmine (Bg). Ben conservata e diversa dalle altre, è la bicicletta presente nell’immenso rifugio di Torino in piazza Risorgimento, dove la ruota anteriore è sostituita da una dinamo per la produzione dell’energia elettrica ed è saldata su un carrello per spostamenti all’interno delle vaste gallerie. 

È singolare che tali sistemi siano spesso stati ritrovati presso le sedi delle Prefetture, forse installate seguendo una direttiva specifica. Il Network Italiano Bunker e Rifugi Antiaerei (Nibra), che sta raccogliendo informazioni e documenti storici su tutti i bunker, ha anche censito le biciclette ritrovate in una dozzina di città italiane. I rifugi di guerra, per lo più chiusi e abbandonati, versano in uno stato di degrado, con scarsa messa in sicurezza e ricorrenti atti di vandalismo. È urgente e doverosa una tutela di tali reperti, auspicabile anche per attivare un turismo alternativo  (anche grazie ad associazioni come la Berliner Unterwelten a Berlino) interessato all’archeologia di guerra.
di Elisa Stellacci

 

Spresiano ritrova il suo Bunker

Da La tribuna di Treviso - 2 settembre 2014

SPRESIANO. Recuperato un pezzo di storia della Prima guerra mondiale. Grazie all’associazione “Recuperanti del Piave”, presieduta da Roberto Bertelli, è stata riportata alla luce e completamente restaurato un vecchio rifugio al Palazzon.

Il 4 novembre durante la tradizionale commemorazione sul Piave verrà inaugurato. Un lavoro durato due anni, non tanto per la complessità dell’intervento, quanto perché legato esclusivamente al volontariato dell’associazione. Quel bunker ricorreva spesso nei racconti degli anziani di Spresiano, grazie ai racconti tramandati dai genitori che avevano vissuto al Grande Guerra. Si sapeva che esisteva questo rifugio nella zona del Palazzon, ma non era mai stato individuato precisamente. Alcuni anni fa grazie proprio al passa parola è stato trovato sotto un magazzino di una proprietà privata. «Sapevamo che era da quelle parti», conferma Virginio Maso dell’associazione Recuperanti del Piave, «ma per riuscire a trovarlo abbiamo dovuto attendere molto tempo, perché era in un proprietà privata. Se l’area non fosse stata venduta forse non sarebbe mai tornato alla luce».

Il proprietario originario ha infatti venduto quell’area a un azienda, che dopo poco tempo è fallita. Il terreno è finito all’asta, e in quel momento, complice l’assenza di fatto di un proprietario e controllore l’associazione ha potuto scovare il rifugio e iniziare i lavori. Due anni fa il primo intervento di pulizia. «Poi ci siamo fermati per un po’» spiega Maso, «facciamo tutto con le nostre forze, e quindi abbiamo dovuto procedere lentamente. Siamo solo cinque o sei amici, che facciamo tutto questo per passione». Negli ultimi mesi l’accelerata decisiva. Il rifugio è stato liberato dal fango, dalle erbacce, ed è stata ricostruita la scala con i sassi provenienti dal letto del Piave. Ora è stato chiuso con un cancelletto per motivi di sicurezza. E nonostante il restauro non sia ancora completo in molti sono già andati a curiosare al Palazzon.

C’è chi ricorda quel rifugio nei racconti della nonna, chi dei genitori. Ha rappresentato la salvezza per decine di persone, un pezzo di storia a cui i cittadini di Spresiano devono davvero molto. Potrebbe però non finire qui l’opera svolta dall’associazione. Nella stessa area ci sono altri due rifugi della Prima guerra mondiale. «Ma sono in proprietà privata, abbiamo già provato a chiedere ai proprietari il permesso per recuperarli, ma non sembrano al momento disposti ad accettare», prosegue Virginio Maso. E non è detto che nemmeno il rifugio appena restaurato resti aperto al pubblico a lungo. «Dipende chi lo comprerà all’asta», ammette, «se lo farà il Comune bene, altrimenti avremo fatti questo lavoro per nulla. Speriamo proprio che non sia così». di Federico Cipolla

 
 

Claudio Arena, di Savona Sotterranea Segreta, ci svela dopo un anno di ricerche l'uso della struttura sul Monte Settepani

“E' stato un lungo percorso, durato esattamente poco più di un anno, ma ora ho deciso di chiudere definitivamente questa ricerca, un'avventura sicuramente affascinante, ma con un notevole dispendio di tempo ed energie” Così Claudio Arena, con le ricerche di Savona Sotterranea Segreta, oggi ci racconta in esclusiva nazionale alcuni fatti che ha lasciato con fiato sospeso molte persone incuriosite da tutta questa vicenda. Negli ultimi mesi ha portato alla luce e alla riscoperta tutto un complesso militare, occultato per anni all'interno del Monte Settepani, sopra Finale Ligure.

“Come tutti sapete, si è parlato molto di questo complesso edificato negli anni '50, con il sopraggiungere della guerra fredda. Ma chi meglio di me, dopo un anno di estenuanti indagini, oggi potrebbe dare una valutazione più esatta, visto che nessuno ufficialmente ha voluto tirare fuori carte specifiche?" Oggi ho molte più certezze di quanto in tanti anni le leggende abbiano parlato; più certezze di tante persone che sanno ma che non vogliono dire. Certo in questo periodo si è sentito di tutto, in riferimento all' utilizzo di questa “Base Sotterranea”, ci sono stati militari, che hanno raccontato si trattasse di un complesso che doveva servire in caso di attacchi atomici, mentre altri hanno riferito dovesse servire come rifugio nucleare con l'intento di salvaguardare le antenne radar che sovrastano il Monte Settepani.

Tante ipotesi, che però non stavano in piedi e giorno per giorno, consultando migliaia di carte, documentazioni e testimonianze, sono arrivato a dedurre tutta altra cosa. Ma facciamo un piccolo passo in dietro. Intanto va precisato che, pur se ufficialmente le carte parlano di americani alla base Pian dei Corsi dal 1963, con la richiesta di edificare la caserma, si sa per certo e da testimonianze attendibili, che gli americani giravano in zona già almeno dal 1954. Per altro sono stati rinvenuti manufatti con tale data a prova della loro presenza. Quel che mi sono chiesto è perchè mai i militari americani girassero prima in zona, e guarda caso proprio nel periodo che si iniziò a scavare i tunnel sotto il monte...
Le ipotesi di alcuni, ci volevano far credere si trattasse giustappunto di un rifugio anti nucleare-atomico, ma è molto strano pensare a una cosa del genere, considerando che tutto il complesso ha decine di parti esposte e dirette con l' esterno, quando sappiamo bene che un complesso anti atomico, è costruito totalmente in autonomia, stagno, con porte blindate, minimo un metro di spessore e con tutto un sistema di rigenerazione aria e così via. Senza contare che al suo interno non era prevista nessuna sosta umana, infatti i segni visibili, sono tangibili direttamente
analizzando il posto. Non esistono latrine, ne scarichi di acque nere, o sistemazione logistiche per i militari. Oggi sono anche a conoscenza di tutte le ditte che hanno lavorato, le ho contattate e parlato con alcuni anziani operai. Ho seguito il mio istinto dall' inizio, ma gli indizi sono tutta altra cosa rispetto quello che alcuni volevano proporci. Oggi posso dire con assoluta certezza che, tutto questo complesso sotterraneo altro non era che un' importante deposito armi.
Probabilmente uno dei tanti in disuso ma tanti ancora segreti e costruiti in Italia. Considerando le dimensioni, indubbiamente, uno dei più grandi in assoluto, e visto l'epoca, forse il più grande deposito di esplosivi in Italia. Dimostrazione anche il fatto che venne costruito in zona isolata, al di sotto del monte, giacché in caso di emergenza grave, dovuta ad incendi o esplosioni, potesse fare meno danni possibili quindi implodere e collassare su se stesso. “ Mi vien ancora in mente la moglie di un militare Usa, che intervistata e sentita anche durante la trasmissione rai Voyager, più volte diceva: “Siamo seduti su una polveriera”. Ora tutto è chiaro e tutto collima, senza dubbi. Come detto è significativo è il fatto storico che i militari Usa erano nella nostra zona già dal 1954, stesso periodo che ufficializzavano il Comando di Camp Darby presso Livorno ( oggi una cittadella ) dove al suo interno a decine di metri sotto, esiste ora il più grande arsenale di armi in Europa. Ecco pertanto che gli scavi furono realizzati sotto la base AM Italiana del Settepani, per costruire un deposito segreto di armi per gli Americani, che poi ufficializzavano la loro base “Radio Scatter site 046” ai Pian dei Corsi solo nel 1963. Quei sotterranei erano un deposito che metteva in sosta armamenti importantissimi del periodo, quindi successivamente essere trasportati a Camp Darby che in quel periodo era in via di ultimazione.
Seguendo questi indizi, in questi mesi, ho potuto verificare che ancor oggi, gli Americani usano per tecnica e modalità, costruire Hangar, per deposito armi, proprio simili a quello rinvenuto al Settepani; quella stanza di 200 mq che tanto mi aveva impressionato e fatto parlare. In quei corridoi sotterranei che parevano stretti per dei camion, circa 1,60 mt di utilizzo, su 2 mt ( anche se le leggende parlavano di camion che sparivano dentro la montagna ) ci passavano sì dei mezzi, ma precisamente dei muletti militari per trasportare al suo interno bombe di ogni tipo.
In oltre al suo interno avevamo rinvenuto due cartelli segnaletici al muro, uno di svolta a sinistra e uno di incrocio a testimonianza di movimentazione. In oltre si pensava a due uscite laterali, ma proprio seguendo queste indicazioni, in realtà si tratta di un' entrata e un' uscita, giusto per permettere ai muletti militari di scaricare il materiale e riuscire senza incrociarsi con altri mezzi.
I primi allarmi in merito di possibili armamenti speciali, arrivarono appunto in quegli anni dal Ministero della Difesa francese, il quale mandava comunicati e avvisi, che vi erano a Pian dei Corsi, missili a testate nucleari. In realtà si trattava del Settepani e come detto, non potevano esserci missili pronti al lancio, non ci sono indizi utili che facciano pensare a questo, ma testate depositate e custodite segretamente si. Cosa puoi dirci di più in merito a questa ricerca?
Sorrido, perché si siamo già confidati e parlati, e posso dirvi che ci potrebbe essere molto altro. O meglio, sono sicuro al 90% che sotto ai sotterranei, esplorati, ci possa essere almeno un altro livello. Lo dico, perché sono a conoscenza dell' esistenza di un canale verticale, che conduce ad altri 61 mt sotto, ed oggi risulta immerso da acqua.
In qualsiasi caso appunto potrebbe esistere la probabilità di un altro livello sotto quello scoperto, che sicuramente eventuali addetti, smentiranno o mai confermeranno. Aggiungo anche che in questo ultimo periodo, ( ma non faccio nomi ) alle richiesta di mie curiosità un po'dirette, sono stato anche, in maniera per così dire “ambigua” minacciato da personale Militare in servizio, facendomi intendere, come se dovessi lasciar perdere o non insistere in tal senso. Non ho sporto denuncia, perchè per me la cosa è già finita li, o meglio, avere notizie, fare ricerche e renderle pubbliche a tutti, è una passione. Se fosse stato un lavoro, certo avrei reagito molto diversamente. Detto questo, quindi, mi chiedo perché nascondere, ancor oggi un segreto, ormai consumato negli anni '50? Qualcuno ha paura che venga a galla qualcosa di nuovo? Sono tutte domande che forse rimarranno senza risposte, poiché per me questa avventura termina qui, non ho risorse disponibili per far altro. Possiamo anche dire, che grazia alla collaborazione di Savonanews e la ditta Georender, abbiamo scoperto cavità artificiali, anche di di grosse dimensioni, anche alla ex base Usaf. Anche qui, personale specifico, in seguito non ha smentito ci potessero essere delle cavità, tanto che una persona importante, ha riferito, che sotto e in corrispondenza delle analisi, all' epoca vi fosse un altro grosso generatore elettrico e attrezzature elettronica poi ricoperte con cementazione. Il perchè vi fosse un generatore sotterraneo oltre quelli sopra, non si capisce ufficialmente.. ma lascia molti dubbi sul suo utilizzo. Dico ancora, che La pagina Facebook Savona Sotterranea Segreta che gestisco, rimarrà aperta, con lo scopo di socializzare con altre persone, magari facendo escursioni nelle nostre colline e passare momenti simpatici.
Ringrazio pubblicamente anche qui, tutte le persone che in questo periodo hanno scritto, e con le tante che abbiamo fatto amicizia, come alcune mogli di Militari Usa, molto disponibili, simpatiche e amichevoli, in ultimo, anche il Comune di Bormida che proprio 10 gg fa mi ha ospitato presso la loro nuova bella biblioteca e le persone che mi hanno accolto.

 

 

Lampedusa: in programma la costruzione di un potente radar militare

 

 

A Cala Ponente e ad Augusta verranno realizzati due impianti che abbracceranno l'isola con le loro emissioni di onde elettromagnetiche

UN SISTEMA INCROCIATO DI RADAR. Gli abitanti di Lampedusa sono già sul piede di guerra per la costruzione da parte della marina militare di un sistema incrociato di radar che porterà nell’isola un’enorme quantità di onde elettromagnetiche, con conseguenze imprevedibili per l’ambiente. I lavori sono partiti il 15 luglio e prevedono la realizzazione di due sistemi: uno a Cala Ponente, l’altro nella base siciliana di Augusta a Sigonella. La rete di ripetitori creerà un campo magnetico attorno a Lampedusa, da qui la preoccupazione degli abitanti che, come già successo con il Muos di Niscemi in Sicilia, sono pronti a dare battaglia.

UN ACCORDO MILIONARIO. Il radar di Lampedusa fa parte di un contratto di 260 milioni di euro tra la seconda divisione di Teledife, la direzione generale delle Telecomunicazioni, dell’Informatica e delle Tecnologie Avanzate del ministero della Difesa, e il gruppo Finmeccanica. Se tutto si sa sul piano degli affidamenti per quel che riguarda le procedure autorizzative, l’impatto ambientale e i dati relativi alle emissioni di onde elettromagnetiche, rimane coperto dal segreto militare il programma. Ciò che è dato sapere è che la costruzione del radar di Lampedusa fa parte di un pacchetto di altri interventi da realizzare in Sicilia per il monitoraggio della difesa aerea e navale.

 

Da il Giornale di Vicenza - 9 agosto 2014

NUOVO “RADOME” PER IL RADAR DEL 21° GR.R.A.M.
Da difesaonline.it del 19 luglio 2014

Fonte: 21° Gruppo Radar - Poggio Ballone (GR) - ten. Riccardo Chiapolino

 

19/07/14 - Martedì 8 luglio, si sono conclusi presso il 21° Gruppo Radar dell’Aeronautica Militare (Gr.R.A.M) di Poggio Ballone (GR), i lavori di posizionamento finale del nuovo radome protettivo del Radar Lockheed Martin AN/TPS117 3D Long Range in dotazione alla base.

Il radome consiste in una sfera a base tronca alta circa 14 metri e composta da pannelli poligonali in materiale composito per un peso complessivo di quasi 8 tonnellate. La struttura previene i possibili danni derivanti da agenti atmosferici consentendo la continuità di esercizio del radar in condizioni climatiche estreme.

L’interno è dotato di una serie di sistemi di sicurezza tra i quali quelli dedicati al monitoraggio delle temperature, alla prevenzione di incendi e condense, nonché alla rimozione di depositi di precipitazioni atmosferiche.

I lavori rientrano nelle specifiche tecniche di un contratto - gestito dalla Direzione Informatica, Telematica e Tecnologie Avanzate (TELEDIFE) in coordinamento con l’aeronautica militare – che riguarda interventi similari presso una serie di siti radar della difesa aerea nazionale.

 

Ca’ Bianca, ex base missilistica in vendita per 535 mila euro

CAVARZERE A qualcuno interessa una vecchia base missilistica con tanto di hangar, bunker, torrette di guardia ed edifici di casermaggio? Nel caso se lo può portar via con poco più di mezzo milione. È stata fissata, infatti, a 535 mila euro la base d'asta per la vendita dell'ex base missilistica di Cà Bianca, dismessa nel 1995 dall'aeronautica militare, poi ceduta all'Agenzia del demanio e adesso, messa in vendita per rimpinguare le casse dello Stato. L'area di 127.530 metri quadri è in Comune di Cavarzere, al confine con quello di Chioggia e comprende 13 fabbricati per un totale di 2.795 metri quadri. Le offerte vanno presentate, per importo pari o superiore alla base d'asta, entro il 29 settembre. Eventuali operazioni di bonifica degli edifici e del terreno saranno carico dell'aggiudicatario. La base era sede dell'81 Gruppo intercettori teleguidati, ovvero missili da guerra fredda che avrebbero dovuto servire a respingere un eventuale attacco proveniente dall'est Europa. Una base, denominata «Base Tuono», con dotazioni simili a quelle ospitate a Cavarzere, è stata appositamente ricostruita nel comune di Folgaria ed è visitabile da chiunque lo desideri. (d.deg.)

LA MM RIPARA IL FARO DI MONTE PORO (ISOLA D'ELBA)
Da difesaonline.it del 9 luglio 2014

09/07/14 - Un elicottero EH 101 di Maristaeli Luni, che trasportava personale specializzato del servizio fari della marina, ha trasportato materiali importanti al faro marittimo di Monte Poro. Il faro necessitava di un adeguamento tecnologico e non era funzionante per un problema al lampeggiatore e alle batterie di emergenza. Il faro di Monte Poro è un faro marittimo che si trova sull'omonimo promontorio lungo la costa meridionale dell'Isola d'Elba. Il faro fu attivato nella seconda metà del novecento per l’illuminazione del tratto costiero che chiude a sud-ovest la baia di Marina di Campo. L'infrastruttura è costituita da una torre a sezione circolare in muratura bianca che poggia su un bunker in calcestruzzo, realizzato dalla regia marina durante la II guerra mondiale come punto di comando e controllo della sottostante batteria costiera posta a difesa dell’isola. Il faro, un tempo presidiato dal personale farista che viveva in un casolare, oggi diroccato, posto nelle immediate vicinanze, è da tempo automatizzato e raggiungibile solo dopo aver percorso uno sconnesso tratturo di circa 3 km che, partendo da Marina di Campo, porta sulla sommità del monte a 160 mt. di altezza.

A seguito del sopralluogo fatto dai faristi dell’isola d’Elba, il faro risultava non funzionante per un problema al lampeggiatore e le batterie di emergenza davano tempi di scarica tali da essere giudicate non più utilizzabili. Inoltre il faro, non ancora dotato di tele monitoraggio, richiedeva un adeguamento tecnologico generale e l’installazione del sistema SCF per il controllo a distanza del funzionamento. Il problema era portare tutti questi componenti, alcuni pesanti oltre 30 kg., sulla sommità del monte con tutti i rischi collegati al trasporto di materiale pericoloso come le batterie contenenti acido. La larghezza del tratturo e la pendenza rendeva impossibile l’utilizzo della motocarriola e quindi l’unica possibilità per riparare il faro era quella di predisporre una azione coordinata tra il team di manutenzione tecnica del servizio fari della marina e il supporto di un elicottero di Maristaeli Luni.

Valutate le condizioni meteo ed ottenute le previste autorizzazioni da Cincnav e Comforaer, Maristaeli Luni dava la disponibilità di un EH 101 per l’attività; era però necessario addestrare prima il personale designato per essere calato con il verricello nelle vicinanze del faro.

L’occasione non poteva essere persa e quindi mentre il personale di Marifari La Spezia predisponeva il materiale necessario in apposite casse in plastica idonee anche al trasporto di sostanze pericolose, il capo tecnico Maurizio Palla si recava a Maristaeli per il necessario indottrinamento e un volo di ricognizione sul Monte Poro per individuare modalità e punto di discesa. Completata la fase di preparazione e addestramento, il 1° luglio il team di intervento tecnico di Marifari partiva di prima mattina da Marina di Campo per raggiungere, via terra, la sommità del monte ed iniziare le predisposizioni necessarie e lo smontaggio dei componenti in avaria.

Parallelamente altro personale si recava a Luni per caricare sull’elicottero le casse con il materiale necessario alla riparazione. Alle 11.00 l’EH 101 raggiungeva il Monte Poro e, utilizzando una delle vecchie postazioni di cannoni navali, scaricava il materiale e il capo tecnico per ridislocarsi poi nel piccolo aeroporto di Marina di Campo. Dopo circa due ore di intenso lavoro il faro veniva rimesso in efficienza sostituendo tutti i componenti elettronici in avaria ed istallando un nuovo lampeggiatore a led. Richiamato l’elicottero venivano recuperate a bordo tutte le casse con il materiale non più necessario e quindi l’EH 101 dirigeva per Luni dove il personale di Marifari attendeva per il recupero e il trasporto al Comando Zona Fari.

Nel contempo il team rimasto sul Monte Poro completava l’installazione delle apparecchiature per il tele monitoraggio e procedeva con le verifiche di corretto funzionamento di tutto il sistema e al rassetto dell’area. Alle 16.00 il team iniziava la discesa verso Marina di Campo al termine di un’intensa giornata di lavoro e di un’azione combinata perfettamente riuscita. La sera un brindisi tra il personale del team festeggiava il primo lampo del rinato faro di monte Poro.

 

Al Forte rivive la Grande Guerra

Da Alto Adige - 29 giugno 2014 —   pagina 33   sezione: Nazionale

FORTEZZA C’è chi ha portato una cartolina, chi un oggetto, chi solamente i ricordi tramandati in famiglia. Al Forte di Fortezza per un giorno si è tornati indietro nel tempo, alla Prima Guerra mondiale. Un gruppo di lavoro ha catalogato (e restituito) decine di oggetti risalenti a cent’anni fa, arricchendo in questo modo la biblioteca europea digitale in fase di formazione. Per il 100° anniversario della Prima guerra mondiale, infatti, Europeana (biblioteca, museo e archivio digitale europeo) ha intrapreso un progetto di digitalizzazione, conservazione e pubblicazione di cimeli e testimonianze sulla guerra in grado di fornire a tutti una migliore comprensione dell’impatto e degli effetti che la Grande Guerra ha avuto sulla gente comune. Il progetto ha finora reso possibile la pubblicazione sul proprio sito (europeana1914-1918.eu) di oltre 45.000 foto di oggetti, lettere e diari storici risalenti al periodo della grande guerra. Anche dal Forte di Fortezza c’è stata una positiva risposta e molti altoatesine sono intervenuti per raccontare la storia dei loro parenti e per renderla accessibile a tutta la popolazione europea. Durante la giornata d’azione sono state raccolte esperienze di prigionieri russi, che lavoravano pressi i masi del Renon, storie di giovani soldati caduti al fronte, storie di giovani mogli che aspettavano a casa il ritorno dei loro uomini e numerosi altri racconti legati alla Grande Guerra. «Ho portato dei quadri raffiguranti la Madonna e Gesù Cristo con le cornici fatte da un giovane russo – ci spiega la signora Franciska Kaserer di Vanga nel Renon – una scatola di legno sempre costruita dal giovane che amava mangiare le frittelle tirolesi che mio bisnonno gli faceva». «Io ho portato un frammento di lamiera d’acciaio della nave dove era il papà di mio nonno – racconta una signora venuta da Merano – ho portato anche dei fogli scritti da un medico dove si registrano centinaia di soldati uccisi con una pallottola al ventre e altro materiale che ho conservato con una certa emozione». Una presenza importante al forte di Fortezza è stata quella del direttore del Centro Russo Borodina Merano, Andrey Pruss, il quale con il sostegno della Provincia relazionerà in una conferenza regionale presso l’università di Bolzano il 5 luglio, sul tema: “Tracce russe della Grande Guerra nel Tirolo”. Un progetto già avviato per far conoscere la storia di migliaia di prigionieri russi impiegati nella costruzione di vie di comunicazioni nel Tirolo e Alto Adige. Chiunque volesse partecipare al progetto da casa sua, può farlo usando il sito internet per raccogliere storie e esperienze legate alla Grande Guerra.

 

Sui luoghi della memoria da Caporetto a Tolmino

Da Il Messaggero Veneto - 26 giugno 2014 —   pagina 42   sezione: Gorizia

UDINE Messaggero Veneto presenta oggi in edicola Caporetto e la valle dell’Isonzo, la quarta e ultima guida Itinerari della Grande Guerra, la collana dedicata ai percorsi per i camminamenti, le trincee, le fortificazioni realizzati in Friuli Venezia Giulia durante il primo conflitto mondiale. Caporetto, dunque, Tolmino, la valle dell'Isonzo, il Monte Nero: campi di battaglia e luoghi della memoria per tutti gli italiani, oggi posti al di là del confine nella vicina Repubblica di Slovenia. La guida (7,80 euro più il costo del quotidiano) s’inizia con la descrizione di un itinerario automobilistico che tocca tutti i punti di interesse bellico lungo la valle dell'Isonzo e prima verso il passo del Predil e la fortezza della Chiusa di Plezzo (Bovec). Altri itinerari illustrano il percorso storico di Caporetto con il suo Ossario e gli splendidi scorci naturali dei dintorni, la conca di Dreznica e il Museo all'aperto in quota con il Trincerone ai margini del Parco nazionale del Tricorno (Triglav). Non potevano mancare le escursioni – impegnative ma non difficoltose dal punto di vista tecnico – sul Monte Rosso e sul Monte Nero, mentre l'ultimo itinerario si sviluppa nei dintorni di Tolmino con la descrizione dell'altura del Mengore e della chiesa dedicata alla Madonna. Nell'anno di inizio delle celebrazioni per il centenario, che ricorderanno sofferenze ed eroismi di chi visse il conflitto, si ripresentano in edicola quattro guide con la descrizione degli itinerari più significativi legati alla memoria della Grande Guerra. La riedizione della collana, completamente rivisitata su testi e immagini, a cura di Riccardo Coretti, fornisce tutte le indicazioni utili alla scoperta di questi luoghi. Cartine, tempi di percorrenza e focus su argomenti correlati alle escursioni caratterizzano i volumi della collana, realizzata in collaborazione con la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e con l'editore Gaspari di Udine, specialista sulle tematiche della Grande Guerra. Una nuova impaginazione fornisce oggi suggerimenti più chiari sulle peculiarità dei percorsi, mentre un rinnovato corredo di immagini – sia storiche che di attualità – aiuta a contestualizzare le descrizioni.

 

Versciaco, torna alla luce un bunker del vallo alpino

Da Alto Adige - 25 giugno 2014 —   pagina 41   sezione: Nazionale

BRUNICO I lavori per la realizzazione della fermata ferroviaria di Versciaco, propedeutica alla realizzazione del collegamento alla linea ferroviaria della Val Pusteria degli impianti di risalita di Monte Elmo, come è già avvenuto un paio di anni orsono per quella di Perca, sono attualmente in pieno svolgimento. Dopo l'installazione del cantiere, avvenuta con una mossa dal sapore più politico che imprenditoriale nell'ottobre dell'anno scorso, con appena pochi giorni d'anticipo sull'inverno dell'Alta Pusteria ma soprattutto solo una settimana prima delle elezioni per il rinnovo del consiglio provinciale, ora è da ormai oltre un mese che si sta invece lavorando a pieno ritmo per giungere in tempo, all'inizio della prossima stagione invernale, a presentare agli sciatori quello che sarà il secondo accesso ferroviario alle piste da sci della val Pusteria e dell'intero Alto Adige e cioè la fermata ferroviaria di Versciaco che consentirà di raggiungere in treno anche le piste di Monte Elmo dopo quelle del Plan de Corones. Come è noto l'opera ferroviaria, che fornirà anche un'infrastruttura utile al proseguimento del collegamento unico fra Fortezza e l'austriaca Lienz in programma con il prossimo orario ferroviario invernale, sarà a carico della Provincia di Bolzano mentre le restanti infrastrutture di collegamento, cioè la passerella cavalcavia sulla statale 49 della Pusteria, destinata agli sciatori per raggiungere la stazione a valle degli impianti di Monte Elmo e l'annesso centro servizi, saranno a carico della società funiviaria Sextner Dolomiten Spa che fa capo all'imprenditore Franz Senfter. Anche per queste opere, in parte sul versante dell'attuale linea ferroviaria e nella gran parte sul versante opposto, in corrispondenza della stazione a valle degli impianti di risalita di Monte Elmo, sono già stati praticamente ultimati i lavori di sbancamento del terreno dove dovrà sorgere il nuovo centro servizi e che hanno portato alla luce anche una caponiera delle ex fortificazioni del "Vallo alpino del Littorio" che faceva parte dello "sbarramento di Versciaco" smantellato attorno alla fine degli anni '70. La vecchia fortificazione in disuso verrà demolita con l'esplosivo nel corso di questa o della prossima settimana, per poi poter dare inizio alle opere di costruzione vere e proprie. Più in là, verosimilmente verso la fine dell'estate, dovrebbe invece essere montato e collaudato il ponte a scavalco sulla Ss 49 che verrà a completare il nuovissimo complesso, che punta ad attirare sciatori anche dalla vicina Austria, oltre che naturalmente dall'intero asse della val Pusteria. Grazie al collegamento Monte Elmo - Croda Rossa infine, già da quest'inverno con gli sci ed il treno si potrà spostarsi fra Sesto Pusteria ed il Plan de Corones in poco più di un'ora.

 

Plamort, alla scoperta delle difese anticarro sopra la zona di Resia

Da Alto Adige - 13 giugno 2014 —   pagina 27   sezione: Nazionale

di Fernando Gardini* wBOLZANO Sopra Resia, sullo splendido e panoramico altopiano di Plamort (Pian dei morti), si trova una palude dichiarata monumento naturale e qui, vicino al confine di stato italo-austriaco è stato eretto un grande e particolare impianto militare di difesa. Posteggiamo la macchina nei pressi della chiesa di Resia e seguendo le indicazioni "Sorgenti dell'Adige" ci portiamo nella parte alta del paese. Imboccata la strada forestale con segnavia 2 a quota 1580 facciamo una deviazione per raggiungere la fonte che una tabella indica essere la sorgente del fiume Adige. Rientrati al bivio ora prendiamo la forestale che sale in direzione sud est, passa sopra l'impianto sportivo e dopo due tornanti, a quota 1675 intercetta il sentiero "1A Rosshütte". Lo seguiamo e, in costante salita e con belle inquadrature sul sottostante Lago di Resia, raggiungiamo a quota 2016 l'altipiano di Plamort, territorio paludoso dove sono state erette numerose fortificazioni militari. Seguendo l'indicazione Panzersperre (barriera anticarro) raggiungiamo subito il manufatto “Drachenzähnen” (denti di drago), costituito da pali di larici alti 50-100 cm, rinforzati in cemento con una piastra di fondazione e rivestiti in calcestruzzo. La difesa anticarro eretta nel 1938 é stata mantenuta fino al 1962. Ma questa non è l'unica opera militare del sito, infatti per un'ora girovaghiamo fra i bunker a suo tempo dotati di cannoni e altri con postazioni per mitragliatrici e spazi per le truppe spesso collegate da gallerie. Tutt i fortini dominano dall'alto i "Denti di Drago". Raggiunto il punto sommitale dell'altura di Plamort m.2083, godiamo anche di uno splendido panorama verso l'Ortles, cima Dieci e Undici, Belpiano e il sottostante Lago di Resia, mentre a nord, all'altezza di Pfunds, si apre la valle dell'Inn. Bello il contrasto tra le severe postazioni militari e i prati in fiore. Per il rientro, ci riportiamo al bivio di quota 2016 dove riprendiamo il sentiero "1A Rosshütte/Kreuzweg" che ora cala velocemente nel bosco per raggiungere la forestale con segnavia 2 poco prima del bacino Grüneben. Seguendo la comoda carrareccia rientriamo a Resia. Zona: Passo Resia Gruppo: A.Venoste, monti fra Vallelunga, val Planol e val Mazia. Dislivello: 570 metri Durata: 3 ore e 20 (più 1 ora per la visita alle fortificazioni). Km: 9,6 Itinerario: Resia, sorgenti Adige, sent.1A, bivio 2A, barriere anticarro, Plamourt, bivio 2A, Grüneben, Resia.

 

Dal 28 giugno la mostra sui trentini in guerra

Da Il Trentino - 11 giugno 2014 —   pagina 12   sezione: Nazionale

TRENTO In occasione del Centenario della Grande Guerra la Fondazione Museo storico del Trentino inaugurerà – sabato 28 giugno alle ore 17.00 – la mostra “I Trentini nella guerra europea (1914 -1920)”. Il tema del primo conflitto mondiale torna così alle Gallerie dopo sei anni: era stato infatti al centro della prima esposizione che nel 2008 aveva segnato la riapertura dei due ex tunnel stradali riconvertiti in spazio culturale. La prima mostra ospitata nel 2008 alle Gallerie di Piedicastello era dedicata alla Grande Guerra. La Fondazione Museo storico del Trentino continua a puntare sullo studio e sulla divulgazione di questo importante filone di ricerca proponendo, in occasione del Centenario, una nuova mostra. Dal 28 giugno la Galleria bianca ospiterà “I trentini nella guerra europea (1914-1920)”, che rimarrà aperta durante tutte le iniziative legate al Centenario, quindi fino al 2018. Il Mart invece, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto sta preparando un’importante esposizione dedicata alla Prima guerra mondiale in occasione del suo centenario. La mostra fa suo il titolo dalla celebre poesia di Bertolt Brecht (La guerra che verrà/non è la prima./Prima ci sono state altre guerre./Alla fine dell’ultima/c’erano vincitori e vinti./Fra i vinti la povera gente/ faceva la fame. Fra i vincitori/ faceva la fame la povera gente/ egualmente.) L’apertura della mostra è prevista per il 3 di ottobre. La Soprintendenza per i Beni culturali dal canto suo sta portando a compimento gli interventi e le attività di valorizzazione avviate con il Progetto Grande Guerra, nell’ambito del quale si sono conclusi il restauro e l’allestimento di forte Cadine quale centro d’informazione delle fortificazioni trentine, e gli interventi pilota di recupero di alcuni forti individuati per la loro valenza storica, localizzazione e potenzialità (forte Dossaccio, forte Tenna, forte S. Biagio e forte Pozzacchio).

 

Grande Guerra, tutte le iniziative

Da Il Trentino - 11 giugno 2014 —   pagina 12   sezione: Nazionale

Dal 2009 , 18 musei fanno parte della Rete Trentino Grande Guerra, che riunisce soggetti pubblici e privati impegnati nel recupero e nella valorizzazione e del patrimonio storico trentino legato alla Prima guerra mondiale. Il circuito dei musei, il cui coordinamento è affidato al Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, è nato per dare forza al ruolo dei musei sul territorio e sostenere la loro offerta culturale, favorendo la realizzazione di azioni comuni di valorizzazione e progetti condivisi. Sul piano della comunicazione, l’attività della Rete Trentino Grande Guerra si presenta al pubblico attraverso il portale web www.trentinograndeguerra.it, sito di riferimento provinciale per le iniziative legate al Centenario. Una sezione importante del sito è dedicata proprio ai musei, alle loro proposte di visita e ai siti storici ad essi collegati con immagini, video e suggerimenti per escursioni tematiche sul territorio. Il centenario della Grande Guerra impegnerà tutte le istituzioni culturali trentine e le comunità di Valle in una programmazione capillare di eventi. Un ruolo di assoluto rilievo che le vede parte attiva nel coordinare e promuovere molti eventi e iniziative sul territorio. Il loro è un apporto che rimanda direttamente a quel ricco tessuto fatto anche di gruppi di studio e di ricerca, di associazioni storiche, delle piccole realtà museali, del decisivo ruolo del volontariato. Sono due per esempio i progetti sui quali la Comunità Territoriale della Valle di Fiemme punta per commemorare il Centenario: una mostra a Ziano di Fiemme, allestita a Villa Flora, all’epoca sede del comando della tredicesima brigata da montagna, e un docu-film che punta a ricostruire i principali avvenimenti. La Comunità di Primiero farà invece da coordinatrice, attraverso personale specializzato e appositi canali informatici tra cui il nuovo portale della cultura di Primiero (www.cultura.primiero.tn.it), dei progetti legati al Centenario. Tra questi più di 40 iniziative tra escursioni, eventi, conferenze. Valsugana, Bersntol e Tesino ospitano poi alcuni manufatti che in questi anni sono stati oggetto di restauri: il sentiero e le postazioni che conducono al Forte Fornas sopra Vigolo Vattaro, la zona di Colle San Biagio e il Colle delle Benne sopra Levico Terme, la linea Brada tra Baselga di Pinè e Sant'Orsola, la postazione dell'obice da 30,5 al Plaz del Canon e la sezione del Sentiero della Pace (percorso E5) che attraversa la Valle dei Mocheni. Ancora: la Comunità della Val di Non promuove e affianca gli autori di progetti pensati allo scopo di commemorare la Grande Guerra in occasione del suo centenario. E questo nonostante la Valle non sia stata, direttamente coinvolta da interventi specificatamente di natura bellica. Completamente diversa la situazione della Val di Sole. La Val di Sole è stata scenario di eventi tragici e rilevanti dal punto di vista storico e sociale. Il territorio della valle (comuni di Vermiglio, Ossana, Pejo, Pellizzano, Caldes) è cosparso di forti, villaggi militari, postazioni e ricoveri in caverna, strade, mulattiere, percorsi trincerati, sentieri di arroccamento, oltre a vari siti museali nati negli ultimi anni. In vista delle commemorazioni del centenario sono stati completati e varranno avviati numerosi progetti di restauro. Il tutto per accogliere e promuovere un nuovo turismo di tipo culturale. Nelle Giudicarie la settimana dal 21 al 27 luglio sarà dedicata al “Pellegrinaggio degli alpini in Adamello”. Dall’8 al 10 agosto si svolgerà in Valle del Chiese il Festival storico Altro Tempo “Parole di Piombo. L’informazione in tempo di guerra”: manifestazione tra letteratura, arte, storia, teatro, musica e cultura presso Forte Larino, Forte Corno, Cimitero Monumentale di Bondo. In Vallagarina le varie iniziative saranno invece coordinate nel “Progetto Vallagarina – Centenario della Grande Guerra”. Evento di grande portata nel Comun General de Fascia sarà la mostra – evento “La Gran Vera”, al Teatro Navalge di Moena dal luglio 2014 al settembre 2015. L’estate del Centenario sull’Alpe Cimbra di Folgaria, Lavarone e Luserna si apre con la Marcia dei Forti (29 giugno – Folgaria), tracciata tra i forti Dosso delle Somme, Sommo Alto e Cherle. La Comunità Rotaliana - Königsberg, nell'ambito del centenario della Grande Guerra, partecipa al progetto “Dalla Storia al Teatro: le donne trentine deportate durante la Grande Guerra”, promosso dall'Associazione Culturale Lavisana di Lavis. Naturalmente anche la Valle dei Laghi con Comunità e Comuni riuniti nella Gestione associata della Cultura partecipa e sostiene gli eventi del suo territorio legati alla commemorazione del centenario del Primo conflitto mondiale, ma la programmazione è ancora in fase di definizione

 

Altri 120 giorni per avere il Forte

Da La Gazzetta di Mantova - 06 giugno 2014 —   pagina 17   sezione: Nazionale

Firmato l'accordo di valorizzazione per il Forte di Pietole. È il risultato della riunione di pochi giorni tra il Comune di Borgo Virgilio e il Demanio di Milano, terminata di nuovo senza il passaggio di proprietà del Forte, anche se questa volta è stato fatto un piccolo passo in avanti. Adesso ci saranno centoventi giorni di tempo entro cui poter siglare il rogito e intanto l'amministrazione ha già messo a bilancio una prima somma (circa 100mila euro) nella speranza di riuscire ad avere le chiavi in mano e cominciare le opere di riqualificazione entro l'anno. (ele.car)

 

Il Forte di Pietole verso il Comune Oggi l’ultimo atto

Da La Gazzetta di Mantova - 04 giugno 2014 —   pagina 17   sezione: Nazionale

Borgo Virgilio avrà il Forte di Pietole. Il Demanio di Milano ha fissato per oggi l’incontro con il Comune per l’acquisizione della struttura. La firma del notaio è l’ultimo passaggio burocratico che ormai da mesi separa l’amministrazione dall’avere in mano le chiavi della fortezza e poter dare il via alla progettualità prevista e già approvata dalle parti in causa nella metà del 2013. Questa volta non ci sono stati altri rinvii. Mentre i tecnici incaricati andranno a Milano, il sindaco Alessandro Beduschi sarà invece a Torino, per una riunione sull’autostrada Mantova- Cremona. (ele.car)

 

Le foto dei «confini di pietra»

Da Alto Adige - 04 giugno 2014 —   pagina 73   sezione: Nazionale

SAN CANDIDO Il complesso di fortificazioni noto come "Vallo alpino del Littorio" fu realizzato a partire dal 1939 dall'allora governo fascista a difesa del versante orientale delle Alpi da potenziali invasioni provenienti da est. La sua costruzione suscitò però le ire dell'alleato tedesco con il quale l'Italia strinse il famoso "Patto d'Acciaio" e così venne "formalmente" conclusa nel 1942, quando però ormai il grosso delle fortificazioni previste era ormai stato terminato, quasi a tempo di record per quell'epoca. Di quel complesso di fortificazioni, ancor oggi in Alto Adige restano circa 300 manufatti distribuiti su diverse linee difensive, molte delle quali disseminate lungo i circa 70 chilometri della Val Pusteria e ad esse due giovani creativi dell'Alta Pusteria, Curti Covi e Nadja Stauder, quest'ultima coadiuvata dal padre Josef, hanno dedicato un volume dal titolo "Steinerne Grenzen - Confini di pietra", presentato in anteprima a San Candido, allo Spazio Arte del caffè Mitterhofer, unitamente a una mostra fotografica realizzata con una selezione delle immagini di Nadja e Josef Stauder che illustrano e corredano artisticamente il volume di cui Curti Covi è l'autore. Curti Covi è nato a San Candido e, dopo aver studiato storia contemporanea a Innsbruck, ora si occupa di relazioni internazionali all'Università di Kiel, mentre Nadja Stauder, dopo aver ereditato dal padre la passione per la fotografia, si occupa di diversi progetti nel campo della ritrattistica e della fotografia naturalistica e urbana. La mostra fotografica, nelle sale del caffè Mitterhofer, resterà aperta fino all’11 luglio negli orari di apertura del locale, mentre il volume si può consultare a corredo della mostra o acquisire direttamente nelle librerie specializzate o rivolgendosi direttamente all'autore o all'organizzatore dell'esposizione. (adp)

 

Museo tra le nuvole centinaia i visitatori

CIBIANA Quasi un assalto. Centinaia gli escursionisti che nel primo giorno di apertura del museo fra le nuvole, sul monte Rite, sono saliti in quota, chi in navetta, i più nuumerosi a piedi, lungo i 7 chilometri di tornanti che da passo Cibiiana portano in quota. La giornata non era delle più invitanti e non c'era Reinhold Messner che per l'inaugurazione ufficiale della stagione sarà presente domenica, quando in vetta salirà per la prima volta anche la neosindaco, Luciana Furlanis. La folla ha preso di sorpresa anche i gestori del Rifugio Dolomites che non avevano messo in conto così numerosi clienti. Vicino al museo e vicino al rifugio c'è ancora la neve; ben 4 i metri caduti durante l'inverno e la primavera, tanto da costringere quanti hanno continuato a frequentare il rifugio ad entrare dal tetto. Il museo ha offerto nuovi allestimenti che fanno memoria delle grandi pareti scalate da Messner sulle Dolomiti, a cominciare da quelle del Pelmo e del Civetta. In questo modo il fondatore ha inteso rendere omaggio ai suoi primi 70 anni, che festeggerà in settembre. E per settembre lo stesso Messner spera che sia aperto il Taulà dei bos, dove ha predisposto una sua esposizione. (fdm)

 

Rifugio antiaereo del Guasto

Da amicidelleacque.org del 1 maggio 2014

L’epopea dei Bentivoglio e la Domus Aurea , il giardino e le gallerie del rifugio antiaereo; storie e memorie dal 1200 al 1944. Il rifugio numero 16 dedicato a Loris Bulgarelli e costruito sotto il rilevato del giardino del Guasto, faceva parte della numerosa selva di ricoveri antiaerei costruiti dall’Amministrazione comunale tra il 1943 e il 1944. I ripari in Galleria (antibomba) furono in tutto 25 ai quali si andavano ad aggiungere una cinquantina di trincee tubolari, quindici trincee antischegge (suddivise a loro volta in muratura e legname) e una quantità infinita di ricoveri (di apienza variabile tra le 30 e le 800 persone) denominati pubblici – anticrollo ricavati praticamente sotto ogni palazzo privato o pubblico, per un totale, secondo i documenti sino ad oggi ritrovati, di oltre 700 manufatti. Tutto iniziò, per questo singolo caso, il giorno 06 Marzo del 1944, XXII° Anno EF, esattamente 365 giorni e qualche ora dopo, l’inizio della progettazione di un altro capiente ricovero: il Primo Lotto ricavato nella parte Nord- Ovest del giardino pubblico della Montagnola. Ma di quest’ultimo daremo maggiori e ulteriori precisi dettagli nel volume che si andrà a presentare Sabato 12 Ottobre 2013, quando attraverso un convegno verranno svelate le ultime ricerche e le nuove scoperte inerenti il terrapieno posizionato lungo via dell’Indipendenza e che per oltre 700 anni fu uno dei centri nevralgici di Bologna. Bene, il 06 Marzo l’ufficio preposto del Comune e la ditta che vinse l’appalto dell’apposito bando, attuarono il “progetto di galleria-rifugio da eseguirsi sotto il rilevato di Via Del Guasto”. Vennero così iniziate e poi portate a termine in quasi tutta la loro opera “una serie di gallerie formate da due rami longitudinali collegati da quattro trasversali per uno sviluppo complessivo di circa 120 metri e una estensione di 360 mq”. I cunicoli furono costruiti con piedritti e volte in muratura di mattoni legati assieme da malta di calce cruda con le stuccature interne in malta di cemento. “Pure in muratura furono eseguite le altre strutture accessorie”. Fu deciso all’unanimità dal gruppo di progettisti, anche per rispettare il progetto iniziale mantenendo più o meno invariati i costi preventivati, e per“ottenere la formazione di una massa coprente maggiore”, che tutto il materiale di risulta degli scavi (e di altro fornito dal Comune) venisse trasportato sul piano del giardino. Si venne così a formare uno spesso strato di terra sul livello preesistente dello spazio verde per una altezza di 4 metri che andava a proteggere ulteriormente la costruzione da fortuiti colpi diretti. La capacità di ricezione era conteggiata per eccesso a circa 400 persone. Il lato Sud, quello che dà ancora oggi verso Largo Respighi e che porta il rivestimento esterno di mattoni e selenite, avrebbe dovuto ospitare due capienti aperture da utilizzare come uscite/entrate di sicurezza, oltre a quelle verticali di notevole diametro. Si iniziarono i lavori ma data la mancanza dei sostegni in muratura le volte crollarono successivamente causa il cedimento delle strutture in legname che non vennero mai più ripristinate. Al termine del conflitto ci fu una lunga diatriba legale tra la Prefettura, il Comune, il Genio Civile e l’allora proprietà che voleva restituita l’area sulla quale, per conto e nell’interesse dello Stato, venne realizzato il rifugio, causando seri danni alle opere preesistenti**. ** ”Aposa segreto i rifugi antiaerei”, a cura di Massimo Brunelli e Francisco Giordano, Bologna sotterranea 2012 – Si ringrazia sentitamente l’Archivio Storico della Regione Emilia – Romagna e tutto il personale per la disponibilità.
Costo non soci:
Costo Soci:
La visita si terrà con un minimo di 20 partecipanti.
Numero massimo partecipanti: 50.
Attrezzatura: scarpe comode, una piccola torcia.
Prenotazioni: segreteria@amicidelleacque.org / 347-
5140369, Massimo Brunelli, Bologna sotterranea®
La prenotazione si ritiene impegnativa

 

Donazione di due terreni per restaurare il forte

Da Il Corriere delle Alpi - 29 maggio 2014 —   pagina 35   sezione: Nazionale

ARSIÈ Un’offerta che sarebbe difficile rifiutare. Il consigliere di minoranza Dario Dall'Agnol offre al Comune di Arsiè due terreni adiacenti al forte Tagliata della Scala alla modica – per non dire irrisoria – cifra di un euro. «Ho deciso di farlo dopo aver scoperto che la Regione offrirà ai Comuni la possibilità di accedere a contributi per interventi di restauro e conservazione di beni inerenti agli eventi bellici del Primo conflitto mondiale», spiega l'ex sindaco arsedese, «ma per partecipare il Comune deve esserne o il proprietario, o in alternativa il titolare di altri diritti. Io possiedo un'area di 19 metri quadrati su cui insiste la parte terminale, lato est, del forte, che sarebbe l'ultimo tratto della caponiera con la scalinata di accesso all'osservatorio, parzialmente demolito negli anni Cinquanta. Possiedo inoltre altre due aree, rispettivamente di 82,3 e 16,9 metri quadrati, su cui insiste l'ex cava della “Perina”, ora dismessa, da cui sono state estratte all'epoca le pietre per costruire la Tagliata e l'ampia mulattiera ad essa collegata. L'osservatorio era in particolare l'elemento più importante del forte perché serviva a tenere sotto controllo lo sbocco sulla Valsugana a ovest di Primolano». Con delibera di giunta 422, la Regione vuole raccogliere le proposte progettuali di conservazione e restauro di beni immobili sparsi nel Veneto, tra i quali fortificazioni, forti e manufatti difensivi, in vista di un eventuale concessione di contributi tramite mandi o con l'erogazione di fondi di sviluppo e coesione. «Il forte è stato progettato nel 1880 ai tempi delle artiglierie di bronzo, è stato poi adeguato per renderlo resistente alle granate perforanti di grosso calibro, alle quali non era in grado di far fronte neppure il forte Leone di cima Campo. La Tagliata si trova nel punto in cui la variante commerciale di fondovalle della Via Claudia Augusta Altinate incrocia la statale 50 bis, per non parlare della vicinanza con i ruderi del castello medievale della Scala, baluardo di Feltre per tutto il Medioevo», enfatizza Dall’Agnol, «perciò è non solo un sito interessante, ma anche facilmente accessibile». «Il sistema fortificato Scala-Fontanelle è già interessato dai lavori di recupero della ditta Gheller, finanziati sempre dalla Regione», conclude Dall'Agnol, «ho deciso di offrire la mia nuda proprietà per poter favorire l'arrivo di altri sostegni economici e consentire ulteriori lavori di messa in sicurezza e valorizzazione di un'area di inequivocabile interesse storico, culturale, e didattico». Francesca Valente

 

Ecco le fortificazioni della Guerra Mondiale

Da Il Tirreno - 25 maggio 2014 —   pagina 20   sezione: Lucca

Info: 339 88.54.979 – 347 00.61.124 LUCCA Nell’ambito del programma del 70° anniversario della Liberazione, il Comitato Linea Gotica Brancoli organizza per oggi una visita alle fortificazioni della seconda Guerra Mondiale. Parteciperanno i gruppi di rievocazione storica Associazione Culturale Poseidone, Linea Gotica della Lucchesia, Ultimo Fronte1945, Linea Gotica Tirrenica. La partenza, in gruppi organizzati, sarà alle 9 dal piazzale della chiesa di San Giusto di Brancoli. Saranno presenti guide locali che forniranno informazioni sulle fortificazioni, piazzole e trincee che ancora sono conservati lungo un percorso di alto valore storico e paesaggistico. All’inizio del percorso sarà possibile visitare una riproduzione originale di un accampamento americano con esposizione di materiale risalente alla seconda Guerra Mondiale. La vista inizierà camminando lungo la “Via di San Bartolomeo in Grotta” come era chiamata in passato questa strada, nome che deriva dall’omonima Chiesa costruita sui ruderi dell’antico Castello di Cotrozzo che dominava il territorio da una posizione strategica. Dalla chiesa di San Bartolomeo sarà possibile vedere solo alcuni resti in quanto gran parte della sue pietre furono prese per costruire le fortificazione della “Linea Gotica”. Lungo il percorso sarà possibile incontrare rievocatori con le uniformi originali tedesche che renderanno la passeggiata un vero e proprio contatto con la storia. Alla fine del percorso il Comitato sarà lieto di offrire ai partecipanti un pranzano con prodotti tipici a della zona.

 

Una difesa all'avanguardia

Da rbth.it del 19 maggio 2014

Tecnologia ed efficienza.

Sono queste le due coordinate su cui si muove l'impegno della Federazione nella costruzione di sistemi di difesa antiaerea.

Ecco le principali innovazioni degli ultimi anni.

Il sistema di difesa missilistica russo è noto per essere tra i migliori al mondo. E le forze di difesa aerospaziale russe sono dotate di strumenti a lungo raggio in grado di individuare contemporaneamente più obiettivi.

Ecco quelli principali.

 

Igla-S

Questo sistema missilistico antiaereo trasportabile a spalla ha una struttura piuttosto semplice (consiste in un tubo di lancio e un missile) ed è pensato per ingaggiare aeroplani, elicotteri e droni ad altitudini basse e in condizioni di rumore termico sia naturali che prodotte artificialmente. L’Igla-S è praticamente impossibile da rilevare attraverso apparecchi di ricognizione, e vanta un alto livello di accuratezza. Molti esperti ritengno che questo Manpad sia superiore a tutti i modelli analoghi attualmente esistenti. Ha dimostrato la sua capacità di combattimento in occasione di diversi conflitti, come nella ex- Jugoslavia e in Siria. I Manpad Igla-S sono stati forniti a Paesi del Sud-est asiatico, dell’Asia centrale, del vicino e medio Oriente, dell’Europa centrale, dell’America latina, dei Caraibi e dell’Africa.

 

S-300VM “Antey-2500”

Il sistema portatile anti-missile e anti-aereo S-300 VM “Antey-2500” è un mezzo di difesa missilistica e aerea universale, in grado di ingaggiare missili balistici sino a una distanza massima di 2.500 km, o di intercettare obiettivo aerodinamico di ogni tipo.

Il sistema avionico dell’S-300VM è dotato di due radar: uno a scansione circolare e uno basato su un programma informatico.

Il primo scansiona lo spazio circostante, ed è pensato soprattutto per individuare aeroplani ed elicotteri, mentre il secondo è adatto a cercare missili.

Attualmente l’S-300 VM è il più potente sistema di difesa missilistica antiaerea disponibile per l’esportazione. L’S-300 VM è in dotazione all’esercito del Venezuela.

 

Pantsir S-1

Questo sistema è disegnato per la difesa a corto raggio di obiettivi civili e militari da tutti i mezzi esistenti e potenziali di assalto aereo, e fornisce inoltre protezione contro i sistemi di difesa contraerea a lungo raggio. Può anche difendere un obiettivo protetto da minacce originanti da terra o navali.

Il Pantsir S-1 è attualmente in fase di collaudo in Siria, dove gli esperti militari ne stanno valutando la portabilità (il dispiegamento richiede solo cinque minuti), la potenza massima di capacità fuoco e l’accuratezza.

Il Pantsir è in grado di abbattere qualsiasi obiettivo, da un passerotto a un aeroplano, ed è considerato senza pari dagli esperti.

Il sistema è attualmente in dotazione in Algeria, Iran, Eau e Oman.

 

RS S-400 Triumf

L’RS S-400 Triumf è stato pensato per ingaggiare obiettivi aerei aerodinamici (aerei tattici e strategici e aerei di disturbo (jamming), come gli Awacs e i Kr), compresi quelli dotati di tecnologia stealth entro un raggio di circa 400 km.

È in grado inoltre di intercettare missili balistici, obiettivi supersonici e altri mezzi esistenti e potenziali di assalto aereo.

Rispetto al suo predecessore, l’S-300 Triumf, l’RS S-400 presenta una frequenza di sparo superiore di 2,5 volte.

Potrà essere esportato dopo il 2016.

RS S-500

Il più promettente sistema missilistico di difesa contraerea L’RS S-500 appartiene all’ultima generazione di sistemi missilistici contraerei, che presumibilmente si baseranno sul concetto di “split decision” per distruggere simultaneamente obiettivi multipli, sia balistici che aerei. L’S-500 è stato progettato soprattutto per il combattimento a medio raggio e per ingaggiare missili intercontinentali a medio raggio. Stando al suo creatore, il più recente sistema di difesa sarà addirittura in grado di raggiungere i satelliti che occupano un’orbita bassa, armi spaziali e piattaforme orbitali. L’S-500 è attualmente in fase di sviluppo e potrebbe essere disponibile già a partire dal 2017.

 

L’ex base missilistica passa gratis al Comune

PESEGGIA L’ex base missilistica di Peseggia passa al Comune di Scorzè a costo zero. La notizia è arrivata in municipio il 28 aprile dal Ministero della Difesa e già il sindaco uscente Giovanni Battista Mestriner pensa a un’area verde. Intanto il Movimento 5 Stelle, con in testa Flavio Berton, sarà domani proprio nella ex base per fare un sopralluogo. Di contro, la pretendente a guidare la città Gigliola Scattolin (Pd, lista civica con Gigliola Scattolin sindaco ed Energia nuova per… una Scorzè viva) chiede di fare una nuova scuola elementare. Dunque il tema ambiente è sempre più al centro della campagna elettorale, a due settimane esatte dal voto. Base missilistica. Dismessa ancora nel 2009 con attorno duemila famiglie che hanno percepito per anni delle indennità, l’ex area di Peseggia finirà al Comune. Il Ministero ha dichiarato che i 18 ettari non hanno alcun interesse ai fini istituzionali della difesa del paese. Via libera, dunque, ad assegnare la superficie a Scorzè, con Mestriner e l’assessore alla Protezione civile, Francesco Tranossi che hanno spiegato cosa fare. «Collegare Peseggia», dicono, «all’ex base missilistica con una pista ciclabile su via Verdi e una rotatoria tra la stessa via Verdi e via Moglianese. Pensiamo a un percorso ciclopedonale di tipo naturalistico a est del comune come lungo il fiume Dese a Scorzè. È una zona che costituiva un limite per migliaia di persone e diventerà un punto importante per la vivibilità del territorio. Pensiamo di farci all’interno anche un percorso-vita che sarà gestito dalle associazioni». Lo stesso Mestriner fa presente che non occorre bonificare l’ex base e si farà uno stato di consistenza dei luoghi. Movimento 5 Stelle. Il candidato sindaco Berton aveva annunciato nei giorni scorsi un sopralluogo per domani alle 9.30. Con lui ci saranno anche gli onorevoli Emanuele Cozzolino e Marco Da Villa. «Abbiamo saputo della notizia di Mestriner», afferma Berton, «ma ci andremo comunque. Vogliamo far luce su quanto c’è all’interno. Anche noi puntiamo alla riqualificazione della ex base». Scattolin. E in tema di vivibilità e di lotta allo smog, il centrosinistra propone di fare una nuova elementare. «Il governo», spiega, «sta lavorando per escludere le spese per l’edilizia scolastica dai vincoli del patto di stabilità. Serve un edificio degno di questo nome, al riparo dai danni alla salute per i bambini. In cassa ci sono due milioni di euro vincolati proprio per questo settore. La Marconi è fatiscente, in mezzo alle polveri sottili e ai rumori. Gli studenti e chi ci lavora meritano di meglio». Alessandro Ragazzo

 

Pozzacchio sul Giornale dell’Architettura

Da Il Trentino - 11 maggio 2014 —   pagina 32   sezione: Nazionale

TRAMBILENO Due pagine dal titolo “Cosa resta della Grande Guerra” e un bel servizio sul Forte Pozzacchio e il suo restauro. Questo lo spazio che il trimestrale «Il giornale dell’Architettura» dedica al centenario del primo conflitto mondiale, dando ampia pubblicità al Forte di Pozzacchio e alla nostra provincia. Il Giornale dell’Architettura è una importante rivista specialistica italiana dedicata agli architetti. Quello in edicola in primavera è l’ultimo numero cartaceo. D’ora in poi la rivista uscirà solo in digitale. Luca Gibello cura un ampio servizio dedicato alla Grande Guerra. In un articolo viene ripercorso da est a ovest tutto il fronte italiano, regione per regione, evidenziando lo stato dei preparativi per il centenario con grande attenzione ai manufatti, (forti, trincee e sacrari) e al loro recupero. In Trentino si parla di Adamello ma anche e soprattutto della linea del Pasubio, dello Zugna, dei progetti in Vallarsa e dell’altopiano di Lavarone. Si parla del Trincerone dello Zugna su progetto di Alessandro Andreolli e Giorgio Campolongo, ma anche del Forte Pozzacchio e del restauro firmato Francesco Collotti, Valentina Fantin e Giacomo Pirazzoli. Un secondo articolo parla delle iniziative per celebrare il centenario del conflitto. Iniziative indisciplinate secondo la giornalista Veronica Rodenigo che fa notare come le regioni stiano lavorando da più o meno tempo, ma che mancando un coordinamento statale è difficile seguire una linea organica e coordinata. Per la nostra provincia si parla della rete “Trentino Grande Guerra” e si fa molto riferimento al Museo storico italiano della guerra intervistando anche il direttore Camillo Zadra. A corredo del servizio, è pubblicato un box dedicato a Pozzacchio. Delle scorse settimane l'apertura del cantiere della strada di accesso che renderà il forte visitabile già dal corso della prossima estate. (m.p.)

 

Grande Guerra, finanziamenti in arrivo

Da Il Corriere delle Alpi - 10 maggio 2014 —   pagina 32   sezione: Nazionale

di Walter Musizza wCADORE/COMELICO Già da tempo enti e comitati impegnati a redigere programmi e progetti per l’imminente Centenario della Grande Guerra manifestavano perplessità e preoccupazioni per la mancanza di notizie certe sui finanziamenti regionali in questo settore. In un contesto in cui i Comuni sono in grande difficoltà a destinare risorse a piani di valorizzazione delle memorie storiche presenti sul territorio, tante iniziative da tempo in cantiere anche nella provincia bellunese attendevano con ansia entità e tempi di un aiuto concreto per mettersi finalmente in moto. Dopo l’approvazione, esattamente un anno fa, della proposta del Masterplan regionale firmato dall’architetto Mangione e dall’ingegner Pivato molte erano state le proposte avanzate dal comitato dei soci partecipanti. Si pensi che, nell’allegato B del documento, erano presenti già 75 tra proposte e suggerimenti, la maggior parte dei quali recepiti. Tra di essi alcuni riguardavano l’area delle Dolomiti bellunesi ed apparivano alquanto impegnativi, come ad esempio il recupero della cosiddetta “strada del Genio”, alle falde dell’Antelao, proposta dalla Comunità Montana Valboite; l’allestimento del museo di Monte Ricco sostenuto da tempo dal Comune di Pieve; o ancora il recupero del campo di volo di Casel de Spin avanzato dal Comune di Santa Giustina. Negli ultimi tempi ulteriori proposte ed idee sono state avanzate da amministratori e gruppi di volontari, come nel caso di Auronzo, dove un comitato guidato da Stefano Muzzi (e comprendente tra gli altri ANA, CAI e Consorzio Turistico) si è fatto promotore di varie progetti ambiziosi, come ad esempio il rinnovo del locale museo della Grande Guerra fondato da Ottavio Molin. Presso il rifugio Auronzo, la locale sezione CAI vorrebbe realizzare inoltre una sorta di terrazza panoramica destinata ad illustrare, anche con appositi pannelli, il teatro degli scontri avvenuti all’ombra delle Tre Cime. Tutti a questo punto guardano all’articolo 9 della legge finanziaria regionale per l’esercizio 2014 (n. 11 del 2 aprile scorso) che autorizza la giunta regionale a sostenere interventi distinti in 5 tipologie: restauro e manutenzione dei beni, realizzazione di apparati esplicativi permanenti, valorizzazione dei beni e promozione della conoscenza delle vicende storiche, promozione di manifestazioni, convegni, eventi culturali e progetti educativi e formativi ed infine promozione di progetti di studio e ricerca sulla prima guerra mondiale. A questo punto bisogna attendere criteri e procedure per la concessione dei contributi a sostegno degli interventi suddetti, sapendo comunque che gli oneri di natura corrente per l’applicazione sono quantificati in euro 500.000, cui si farà fronte con le risorse destinate per le manifestazioni ed istituzioni culturali nel bilancio di previsione 2014, mentre gli oneri d’investimento sono quantificati in euro 7.000.000, cui si farà fronte con le risorse stanziate per edilizia, patrimonio culturale ed edifici di culto. Se poi il sito regionale dell’Ecomuseo della Grande Guerra (www.ecomuseograndeguerra.it), come pare, verrà riversato in un portale della Regione Veneto riacquistando così il dinamismo smarrito per strada, c’è da credere che, anche grazie ad esso, si accenderà una bella competizione tra le diverse cronoaree e i tanti ambiti che le compongono. Non mancheranno competizioni e magari polemiche, ma la speranza è che il Bellunese nel suo complesso possa attingere a finanziamenti proporzionati all’estensione ed ubicazione dei suoi innumerevoli beni e non resti penalizzato, come accade in tanti altri campi, rispetto alla pianura.

 

Poggio Rasu, il piano Sacco per il forte

 

Da La Nuova Sardegna - 04 maggio 2014 —   pagina 25

LA MADDALENA Una lezione speciale su un argomento molto caro alla comunità. L'architetto Valentina Sacco, giovane professionista, ha tenuto a La Maddalena, nei locali della biblioteca del circolo ufficiali, un'interessante conferenza ai soci dell'università della terza età sul tema “Le fortificazioni di difesa dell'arcipelago di La Maddalena. Un piano di recupero per la batteria di Poggio Rasu Inferiore”, uno studio approfondito, molto documentato, frutto di una lunga e rigorosa ricerca. Dopo un breve preambolo, durante il quale Sacco ha illustrato le diversità tra i materiali utilizzati e i concetti costruttivi che erano alla base della realizzazione dei forti della fine del settecento e di quelli costruiti alla fine dell'Ottocento, la conferenza si è incentrata sulle possibilità di recuperare la batteria di Caprera. Duplice l’obiettivo della proposta di restyling, non solo il restauro e della conservazione del bene demaniale ma anche il recuperare della struttura per destinarla a un uso pubblico. «L'intento – ha spiegato la giovane professionista – sarebbe anche quello di assicurare, nel contempo, il rispetto della vegetazione che, oramai sta invadendo ciò che resta del poderoso complesso difensivo» Per supportare la sua tesi Sacco ha mostrato numerose fotografie hanno consentito di evidenziare molti dettagli delle sistemazioni della batteria, mentre con accurati disegni tecnici sono state esposte le diverse soluzioni ideate per realizzare il progetto. (a.n.)

 

Back Yard

Da fatti-su.it del 2 maggio 2014

Back Yard ("Giardino dietro casa") era il nome in codice militare della NATO del bunker segreto del Comando Forze Terrestri Alleate del Sud Europa situato a Grezzana in provincia di Verona.

Contents
1 Cenni storici
2 Struttura
3 Bibliografia
4 Collegamenti esterni
Cenni storici
Scavato nella roccia del Monte Vicino, in una ex miniera, a circa 300 metri di altezza, precisamente in località Slavino in via Carrara numero 5, il bunker fu progettato, come quello di West Star di Affi, tra il 1958 e il 1960, costruito tra il 1960 e il 1966, anno dell'inaugurazione operativa, rimase in funzione fino al 2000 quando fu dismesso da parte del Comando NATO di Verona. Mantenuto in prontezza operativa 24 ore su 24 anche in tempo di pace, era presidiato dal Gruppo misto telecomunicazioni di sostegno con il comando a Verona presso la caserma A. Li Gobbi. Fungeva da posto comando controllo di riserva per l'organizzazione e la direzione delle esercitazioni NATO nello scacchiere nord occidentale italiano nel caso il sito principale di Affi fosse stato reso inefficiente nel corso di un ipotetico conflitto con il patto di Varsavia.

Struttura

Il bunker era costruito su un unico piano con tre tunnel a forma di tre ipsilon, possedeva tre entrate, Porta 1, 2 e 3, una centrale e due laterali, e si accedeva all'ingresso principale del sito da via Carrara tramite una strada sterrata. Superato il posto di controllo e una fornice si entrava nella galleria d'accesso, al cui lato destro vi era la centrale elettrica con un gruppo elettrogeno per alimentare autonomamente il bunker in caso di emergenza per l'indisponibilità di un collegamento alla rete nazionale dell'ENEL. Sul lato sinistro era situata invece la centrale di climatizzazione dell'aria con i condizionatori per la ventilazione interna e i sistemi di filtraggio che potevano all'occorrenza impedire l'ingresso dell'aria esterna contaminata da agenti batteriologici. Il nucleo principale della struttura era formato da due sale comando e controllo a due piani contrassegnate con i numeri B15 e B16 e una sala operativa S68. A supporto del sistema vi era la cucina, sala mensa, servizi igienici, una cisterna per l'acqua potabile e dormitori. I tre tunnel principali lunghi circa 80 metri erano collegati da altri tunnel trasversali ognuno di 6 metri di larghezza e 4 metri di altezza, tutti in cemento armato a cupola.

Il perimetro dell'area esterna non era recintato ma delimitato da cartelli con scritto "Comune di Grezzana Zona soggetta a servitù militare". Presso l'ingresso principale vi era un parcheggio, un edificio presumibilmente adibito al ricovero del corpo di guardia, dei cani di sorveglianza e la vetta del monte Vicino era sormontata da ponti radio. In caso di attacco convenzionale, nucleare o batteriologico Back Yard era in grado di garantire una possibilità di sopravvivenza ai suoi occupanti anche se l'80% della protezione del sito era garantito dalla sua segretezza e il restante 20% dalla protezione artificiale. Il bunker era stato progettato con lo scopo di proteggere i suoi sistemi di comunicazione dalle interferenze elettromagnetiche e anche se l'interno delle gallerie erano in cemento armato a cupola non era in grado di resistere ad un attacco con bombe penetranti di ultimo modello, come le GBU-28, usate per la prima volta nella prima guerra del Golfo.

Back Yard era in collegamento con la stazione militare trasmittente di Monte Tondo di Soave, detto comunemente in codice Site C, realizzata in connessione diretta con West Star e con Palazzo Carli, sede del Quartier Generale della Comando Forze Terrestri Alleate del Sud Europa. Oggi tutta l'area secondo quanto previsto dal Piano regolatore generale del comune di Grezzana "viene pertanto conseguentemente individuata una nuova area di idonee dimensioni, come precedentemente citato, ubicata in direzione Nord rispetto al capoluogo a confine con la frazione Stallavena, sul lato sinistro della strada che conduce alla frazione. L'area era gravata da un vincolo militare revocato di recente con Decreto n. 2 del 27.08.2004 del Comando RFC Regionale Veneto. La destinazione dell'area viene così a modificarsi: - da Zona agricola Sottozona E2 ed individuazione di Servitù militari; - a Zona F- Aree attrezzate a parco, gioco e sport". L'ingresso principale (Porta 1) è stato riempito di materiale e i due ingressi laterali (Porta 2 e Porta 3) murati.

Bibliografia: Gianni Viola, Il soave profumo dell'imperialismo, 2010. What the Russians know already and the Italians must not know, a cura dell'Istituto di recerche per il disarmo, lo sviluppo e la pace (IRDISP), 1984.

 

La "Biciclettata del 1° maggio" tra i vecchi forti

Da La Nuova Venezia - 30 aprile 2014

CAVALLINO. Biciclettata del 1 maggio visitando i forti austriaci ed italiani presenti a Cavallino- Treporti fino ad ammirare la Batteria Pisani appena resa accessibile dopo i recenti lavori di pulizia da parte del comune utilizzando 100 mila euro dell’imposta di soggiorno. «Questa giornata di festa ha un duplice significato», dice il sindaco Claudio Orazio, «vuole essere il primo significativo contributo alle prossime celebrazione dedicate al Centenario della Grande Guerra, poi vogliamo riportare alla luce questi “pezzi” di storia che grazie alla collaborazione di privati potremo rendere fruibili ed apprezzabili in tutta la loro bellezza ai nostri residenti ed ai milioni di turisti».

La partenza del tour è fissata alle ore 10 da Punta Sabbioni. Dopo aver fatto visita al Forte Treporti ed alla Batteria Amalfi. Successivamente si farà visita alla Batteria San Marco con la sua torre telemetrica in mattoni faccia vista eretta nel 1915. L’ultimo momento del tour sarà dedicato alla Batteria Vettor Pisani.

L’intera visita durerà circa un’ora ed è aperta a giovani e famiglie che potranno prendere parte a questo tour gratuito utilizzando le proprie city bike. (f.ma.)

 

Polveriera di Listincheddu, Ozieri - Un tranquillo angolo di campagna dove un tempo venivanocustodite pericolose armi chimiche
Da sardegnaabbandonata.it del 26 aprile 2014

Un grande complesso di edifici ottocenteschi immersi nel verde, in uno scenario più simile a un campo di boy-scout che a una struttura militare.

Capannoni con gli ornamenti semplici ma eleganti tipici dell’epoca, oculi sulle facciate e finestre incorniciate di giallo, persino un riposante angolo bucolico con una sorgente.
Riesce difficile immaginare che, in questa valle a due passi da Ozieri, la polveriera di Listincheddu fosse uno dei principali depositi di armi chimiche nel territorio italiano fino al 1976.

Anche il nome della zona, piccolo lentischio, non lascia presagire nulla del suo passato. La natura infatti continua il suo corso, riprendendo lentamente possesso di caserme e magazzini: muschi e felci conquistano i muri e le travi corrose dall’umidità, rovi e cespugli invadono gli stanzoni che fino a qualche decennio fa custodivano carichi di morte e distruzione di massa.

Edificata alla fine dell’Ottocento ai piedi del monte Littu, entrò ufficialmente in funzione dopo il regio decreto del 1896 che ne stabiliva la funzione di deposito di esplosivi da guerra. Una polveriera come tante, con una decina di caratteristici edifici prudentemente distanti tra loro, circondati da un alto muro di cinta e sormontati ancora oggi da un’inquietante torretta di guardia sulla sommità della collina.

La svolta si ebbe tra gli anni Trenta e Quaranta, quando la dittatura fascista intraprese la produzione su vasta scala di armi chimiche, e anche qui sarebbero state depositate tonnellate di barili di sostanze tra cui i famigerati fosgene, iprite, arsenico e cloro. Durante il secondo conflitto mondiale, complice il segreto militare ben custodito, Listincheddu non fu bersaglio dei bombardieri alleati. Difficile e spaventoso immaginare le conseguenze in caso contrario.

Nel dopoguerra la sua attività di stoccaggio sarebbe proseguita, con l’aggiunta di ulteriori quantità di armi chimiche provenienti da altri depositi. Solo nel 1976
questo pericolo chimico si allontanò definitivamente da Ozieri: la base venne dismessa e bonificata, e tutto il contenuto trasferito a Civitavecchia e in altre località per il teorico smaltimento. Così Listincheddu è uscita della storia militare, ma in attesa della sua riconversione sembra che alcuni nostalgici non abbiano compreso la lezione e gli piaccia ancora giocare alla guerra, come spesso accade nei luoghi abbandonati.

Nel 2006 l’Esercito ha ceduto il terreno alla Regione, e da allora Listincheddu aspetta paziente un recupero che preveda la creazione di un parco, e di un’area d’addestramento per i Vigili del fuoco, in quest’angolo di campagna tornato alla vita. Perfetta ironia della sorte per un regime nazifascista che intendeva usare gli Italiani come cavie da laboratorio
.
Dove si trova:

 nei pressi di Ozieri, ai piedi del monte Littu.

 

L’Allied Rapid Reaction Corps al 4° “Peschiera”
Da difesaonline.it del 24 aprile 2014
Ieri, una rappresentanza dell’Allied Rapid Reaction Corps (ARRC) ha fatto visita al 4° reggimento artiglieria controaerei “Peschiera”.

La delegazione, capitanata dal brigadier generale Andrew Harrison (UK), è stata ricevuto dal comandante di reggimento colonnello Franco Fabi il quale, dopo una breve presentazione della storia del reparto ed una illustrazione della missione e dei possibili impieghi operativi del reggimento, ha accompagnato gli ospiti presso lo schieramento di una batteria SAMP/T impegnata in esercitazione.

Il 4° reggimento artiglieria controaerei ha da poco acquisito la piena capacità operativa con il nuovo sistema d’arma missilistico SAMP-T, capace di operare sia contro minaccia aerea che contro minaccia  missilistica.

Grazie a questa duplice capacità, il Reggimento, oltre a contribuire alla difesa aerea nazionale e NATO, è in grado di assicurare una capacità ATBM (Anti Tactical Ballistic Missile) nell’ambito del programma NATO ALTBMD (Active Layered Theatre Ballistic Missile Defence).

Al termine della visita, la delegazione ha espresso l’auspicio di poter collaborare con il reggimento nelle prossime attività addestrative ed operative che vedranno impegnato il comando ARRC.

Fonte: Comando delle Forze Operative Terrestri

 

Ladri al Forte di Pietole Caricano il ferro sul furgone

Da La Gazzetta di Mantova - 23 aprile 2014 —   pagina 21   sezione: Nazionale

BORGO VIRGILIO Il cancello è stato semi sfondato e sono stati rubati alcuni ferri e forse qualche oggetto. Poche notti fa qualcuno è entrato nel Forte di Pietole, probabilmente alla ricerca di rame. Il Comune di Borgo Virgilio ha presentato una denuncia contro ignoti: la struttura, che però non è ancora di proprietà comunale a causa dei rallentamenti nella procedura per l'acquisizione cominciata nel 2013. «Con un automezzo è stato rotto il cancello principale - riferisce il commissario prefettizio Angelo Araldi - è stata portata via della ferraglia, anche perché non c'è molto altro e comunque non c'è una catalogazione degli oggetti che si trovano nel Forte». Secondo i rilievi delle forze dell'ordine, i ladri sono arrivati con un furgone. Il vice prefetto è ancora in attesa del nulla osta da parte dei dirigenti del Demanio di Roma, senza il quale la sede del capoluogo lombardo non può procedere con le pratiche burocratiche per cedere al Comune le chiavi della fortezza. Araldi la scorsa settimana ha scritto alle autorità competenti per sollecitare il trasferimento, «dato l'interesse da parte della popolazione». (ele.car)

 

Visite interattive nelle fortezze, si parte sabato prossimo

Da L'Adige - 16 aprile 2014

CADINE-LAVARONE - Il Centenario della Grande Guerra prende il via con la riapertura di due fortezze trentine: da sabato prossimo 19 aprile saranno visitabili Forte Cadine e Forte Belvedere a Lavarone. Da non scordare anche l'inaugurazione di due percorsi espositivi presso le Gallerie di Piedicastello: "I trentini nella guerra europea" si stabilirà nella Galleria bianca a partire da sabato 28 giugno, mentre la mostra "La Grande guerra sul grande schermo" prenderà il via con domenica 28 luglio nella Galleria nera.

 

"Per tipologia architettonica e d'impiego durante la prima Guerra mondiale si tratta di due fortificazioni molto diverse - spiega il direttore della Fondazione museo storico Giuseppe Ferrandi - Forte Belvedere è una struttura che combatte e resiste all'esercito italiano durante la Grande Guerra".

 

Il Forte di Cadine riapre ai visitatori
Da L'Adige - 15 aprile 2014

Con l'arrivo delle festività di Pasqua il Forte di Cadine torna ad aprire le porte e sarà visitabile dal pubblico: a partire da sabato, il 19 aprile, la Tagliata stradale edificata al tempo dell'Impero austroungarico per sbarrare l'asse stradale che portava a Trento accoglierà i visitatori, tra storia ed allestimenti tecnologici.
Ma la possibilità di visitare questa importante testimonianza della storia trentina è limitata al fine settimana, così almeno fino a domenica 22 giugno: l'orario di apertura è compreso tra le 10 e le 18 e le visite guidate sono programmate ogni sabato pomeriggio alle 17. Per i tre mesi estivi (da domenica 28 giugno a domenica 28 settembre) il Forte «Strassensperre Buco di Vela», invece, dovrebbe essere accessibile ogni giorno, fatta salva la chiusura prevista il lunedì.
Strumenti interattivi ed installazioni sensoriali, pannelli esplicativi e tavoli multimediali sono pronti a guidare i visitatori nel ripercorrere le tappe significative della Grande Guerra in Tren tino(quest'anno ricorre il centesimo anniversario dall'inizio del conflitto), oltre a fornire un quadro completo del sistema di fortificazioni a inizio Novecento.

 

La batteria Vettor Pisani in sicurezza

Da La Nuova Venezia - 30 marzo 2014

CAVALLINO. Partiranno in questi giorni i lavori di messa in sicurezza alla batteria Vettor Pisani di Cavallino-Treporti. Si tratta di uno dei tasselli che l’amministrazione metterà verso la fruizione dei forti e delle batterie del litorale in vista del centenario della Grande Guerra in programma per il 2015 e il 2018.

«L’investimento si aggira sui 95 mila euro», spiega l’assessore ai lavori pubblici Roberto Vian, «e riguarderà all’esterno la pulizia del cortile, la manutenzione del verde interno alla fortificazione, l’installazione di una nuova recinzione. All’interno procederemo alla stuccatura e alla messa in sicurezza della struttura ex militare per cominciare a renderla fruibile attraverso una iniziale bonifica del fabbricato». Complimenti all’amministrazione sono giunti anche dalle famiglie di via Amalfi, strada comunale che ripropone le vestigia della vecchia strada ferrata, ferrovia che nella seconda guerra mondiale collegava le strutture militari del litorale recentemente recuperata nel decoro. «In via Amalfi abbiamo abbattuto alcune piante malate», conclude Vian, «potandone altre che portavano insetti e roditori. La strada entrerà nel percorso storico nel nostro litorale». (f.ma.)

 

SIAMO ALL'INIZIO DI UNA NUOVA GUERRA FREDDA (INTERVISTA A GIULIETTO CHIESA)

Da comedonchisciotte.org del 27 marzo 2014

Sta alla Russia agire in modo responsabile dimostrandosi disponibile a rispettare le norme internazionali: se non lo farà dovrà aspettarsi costi ulteriori”. Le parole sono di Barack Obama, intervenuto in conferenza stampa a margine del summit internazionale sulla sicurezza nucleare circa gli sviluppi della crisi in Ucraina. Dopo l’esclusione dal G8, il presidente americano ha annunciato che se Mosca continuerà a mostrare i muscoli verrà colpita da sanzioni energetiche, finanziarie e commerciali.

Ma per Giulietto Chiesa – ex inviato a Mosca per l’Unità e La Stampa, oltre che per diversi tg nazionali, fondatore nel 2010 del movimento politico-culturale Alternativa – è l’Occidente a tirare la corda: è andata a calpestare l’erba del giardino altrui, facendo saltare gli assetti geopolitici europei (e non solo) e mettendo a rischio la sicurezza del Vecchio Continente.Obama a muso duro: “Se la Russia va avanti, ci saranno conseguenze”, come la possibile adozione di sanzioni energetiche, finanziarie e commerciali. È una minaccia reale: gli Stati Uniti hanno modo di influire, anche pesantemente, sulla situazione economica-finanziaria russa. Tuttavia, credo che abbia ragione Putin quando dice che, poi, ci sarà un prezzo da pagare. La Russia può reggere, ha alternative e ha un forte credito nei confronti dell’Ucraina (2 miliardi di dollari): agirà con le leve a disposizione. Non so chi ne uscirà “vincitore”, ma il fatto chiarissimo è che l’Occidente, dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine dell’Unione Sovietica, si trova per la prima volta di fronte un interlocutore non più disposto ad accettare le sue regole. E questo è uno smacco.

 

La Russia è stata esclusa dal G8, da oggi G7. È una mossa che avrà effetti concreti?

Onestamente non credo che il G8 fosse il vero luogo della decisione; da due o tre anni il vero punto di riferimento per la consultazione internazionale è il G20. Certo, fino a che il G8 veniva considerato il cenacolo ristretto dell’Occidente, il fatto che la Russia ne fosse membro, dava e conferiva un certo prestigio a Putin. Nello stesso tempo, però, era un’arma a doppio taglio visto che l’Occidente non è ben visto in Russia, meno che mai dopo le attuali vicende ucraine. Tutto sommato l’uscita dal G8 contribuirà semplicemente ad allontanare la Russia dal percorso fin qui dettato a livello internazione.

Con quali conseguenze?

Potrebbero essere dure. L’unico vantaggio collettivo che il G8 rappresentava era che vi potessero essere, al suo interno, delle consultazioni-cuscini per attenuare i conflitti. Adesso i rapporti, senza mediazioni, si faranno più aspri.

Non è quindi così sbagliato parlare di nuova Guerra Fredda?

Mi pare che siamo molto vicini a un ritorno della Guerra Fredda. In questo stesso momento vi sono numerosi segnali di analogia: il blocco occidentale si compatta isolando la Russia. La differenza (gigantesca) rispetto alla cold war del passato è che oggi c’è di mezzo la Cina, che cambia completamente gli assetti mondiali. C’è una tripartizione di forze e in questo quadro la Cina rende molto meno potente la capacità dell’Occidente di premere sulla Russia.

Nell’ottica di questa vecchia-nuova contrapposizione tra blocchi, qual è il ruolo della Nato? Il Patto di Varsavia si sciolse, la Nato no…

Quando ci fu la caduta del muro di Berlino e la Russia di Gorbacëv ritirò le sue truppe dalla Germania, le fu promesso che non vi sarebbe stato nessun allargamento della Nato. E invece, una volta sciolto il Patto di Varsavia, la Nato – oltre a essere rimasta in vita – ha continuato a estendersi, circondando pian piano la Russia, manifestando, diciamolo chiaramente, una volontà aggressiva. Questo se lo dimenticano tutti, ma è molto importante; ora gli equilibri della sicurezza europea sono stati completamente spezzati. La conquista dell’Ucraina da parte dell’Occidente ha cambiato totalmente gli assetti geopolitici: gli effetti li misureremo presto. In merito…

Prego.

Chiariamo bene una cosa. Chi ha invaso l’Ucraina? Tutti i giornali italiani e occidentali continuano a ripetere, sistematicamente, che la Russa ha invaso l’Ucraina. Niente di più falso. La Russia ha semplicemente replicato all’occupazione del Paese da parte dell’Occidente. Questo è quello che è avvenuto. Oltre alla questione della Crimea, c’è il problema – non da poco – dei 10 milioni di russi che vivono in terra ucraina. In tutto questo, poi, i missili della Nato verranno posizionati 300 km più a Nord di dove erano prima.

C’è dunque in gioco la sicurezza europea?

Sì, e stiano attenti gli occidentali perché se pensano che la Russia accetti questo fatto come irreversibile e non evitabile si sbagliano, e di grosso. Putin prenderà le opportune misure di sicurezza. Bisognerà ridiscutere completamente l’intera fisionomia della sicurezza europea. I casi sono due…

Quali?

Se la cosa principale è misurare l’avversario, chi non è capace di farlo o è un incompetente o è un irresponsabile. L’Europa si è comportata da irresponsabile: ha cambiato le regole e adesso deve rimettere insieme, se possibile, i cocci di quello che ha rotto. E dico l’Europa, non certo la Russia che, dal canto suo, ha subito una sconfitta: si è presa la Crimea, ma ha perduto i gasdotti dell’Ucraina (che portano il gas russo nel Vecchio Continente).

Obama dice che Kiev non deve scegliere fra Est e Ovest. Obiettivo della Nato è portarla sotto la propria sfera d’influenza?

Ma l’Ucraina, sostanzialmente, è già membro della Nato. L’Europa guida il governo di Kiev come un cagnolino. Siamo alla fine di marzo: entro la fine del 2014 entrerà ufficialmente. Le cose stanno così. La Russia si è legittimamente presa un pezzo (piccolissimo) dell’Ucraina perché i russi hanno paura di quello che può accadere. In Crimea, Putin ha colto l’occasione di toglierli dalla tutela di un governo che al suo interno ha tre ministri nazisti, con una polizia nazista. Io, al posto loro, sarei molto preoccupato.

Nella testa di Putin che progetti ci sono?

Putin non ha in mente nessuna invasione militare di nessun Paese dell’ex Unione Sovietica. È alla guida di una grande potenza nucleare che ha la forza per potere dire la sua. Se si va a punzecchiarlo nel suo cortile di casa è normale che si ribelli, ringhiando.

Come commenta l’intercettazione di Julija Tymošenko, in cui l’ex primo ministro ucraino dice che bisogna prendere le armi in mano per andare a far fuori i russi, insieme con il loro capo?

È una cosa che dovrebbe preoccupare – e molto – Barack Obama. Se la signora Tymošenko si augura che i russi in Ucraina vengano liquidati con l’arma atomica e che la Russia venga trasformata in una terra senza vita, è sbagliato forse parlare di dichiarazione di guerra? Poi si dice di Putin…. E se la Tymošenko diventasse presidente dell’Ucraina? Io inviterei tutti a stare molto, molto attenti a quello che sta facendo l’Europa in questo momento: l’Occidente si sta preparando alla guerra. Fabio Franchini Il Sussidiario Link: Giulietto Chiesa: siammo all’inizio di una nuova Guerra Fredda

 

La base USAF di Monte Nardello come l’Area 51
Da civonline.it del 1 marzo 2014

Sembra che gli Stati Uniti hanno intenzione di riaprire il sito militare, ovvero un avamposto nell’Aspromonte importanza critica per l’esercito del futuro degli Stati Uniti. Era il marzo del 1959 quando Arthur G. Trudeau, generale dell’Esercito degli Stati Uniti, proferì queste parole. Il Trudeau fu messo a capo di una task force finalizzata allo sviluppo di una progetto per l’installazione di un “avamposto militare con equipaggio”, destinato a “proteggere i potenziali interessi degli Stati Uniti nel Mediterraneo”. Quella che sta dietro a questo studio segreto, denominato ‘Aspromont Horizon’,è la completa realizzazione della militare a partire dal 1965, che non ha mai visto la sua completa realizzazione… almeno ufficialmente.

Il piano prevedeva la costruzione di una base di montagna autosufficiente che sarebbe servita come avamposto completo controllo del Mediterraneo e ulteriori delicate sperimentazioni scientifiche top secret. Essa avrebbe un equipaggio di 100-200 persone, tra scienziati, tecnici e militari. La tesi era che l’Aspromont Horizon avrebbe avere un iter simile a quella del Progetto Manhattan, il piano segreto per lo sviluppo dell’ordigno nucleare durante seconda guerra mondiale. Così, l’8 giugno del 1959, un gruppo di studio del Ballistic Missile Agency Army (ABMA) consegnò all’esercito americano uno studio di fattibilità denominato ‘Aspromont Horizon‘. Lo studio contemplava la dislocazione del razzo multistadio Saturn II, all’epoca ancora in fase di sviluppo, e l’installazione di laboratori scientifici, per sperimentazioni genetiche batteriologiche. Il costo orientativo dell’operazione fu stimato in circa 2 miliardi di dollari.

Per quanto riguarda l’ubicazione della base, lo studio prese in considerazione Nardello una splendida aspromontana incontaminata e difficile da raggiungere. I tecnici scelsero questo luogo perché ricco di cavità naturali grotte, utili a proteggere la base da sbalzi termici e da eventi meterologici. Inoltre la particolare geologia del luogo la possibilità di realizzare delle strutture cilindriche sepolte e di collocare la base in una posizione capace di ottimizzare la luce solare. La notizia ancora più riservata, da sempre sulla bocca dei curiosi, è che la base di Nardello venga ancora impiegata concepire velivoli non convenzionali, funzionanti con generatori ad antimateria asportati da alcune extraterrestri catturate in seguito a crash, che permetterebbero di attraversare le barriere spazio-temporali a uguali o superiori a quelle della luce! Giacomo Figurella, un fisico italiano che ebbe modo di lavorare all’interno affermò di aver visto all’interno degli esseri ibridi con caratteristiche sorprendenti: non erano esseri umani, avevano e piedi palmati e respiravano attraverso branchie poste sotto il collo. A ciò si aggiungono le testimonianze di dipendenti, che affermerebbero di aver lavorato a contatto con esseri alieni per lo sviluppo di armi batteriologiche.numerosi avvistamenti giornalieri che i turisti e le equipe televisive di tutto il mondo, hanno immortalato con le loro videoriprese e foto, confermerebbero che la base di Nardello funziona e nasconde segreti che farebbero impallidire i più accaniti appassionati ed esperti di UFO.

Foto inedite e straordinari racconti d’epoca, quando l’ex base USAF di Monte Nardello era il dell’Aspromonte

tratto da strettoweb.com

Nel cuore dell’Aspromonte, a circa 1.750 metri di altitudine, sorge l’ex base U.S.AF. di Monte Nardello costruita insieme con quella di Catania e di Trapani per il controllo delle telecomunicazioni nell’area del Mediterraneo. satelliti, poi, determinò la fine dell’operatività della Base USAF di Monte Nardello nela seconda metà degli anni ’è ubicato a circa 10 chilometri dalla frazione di Gambarie, rinomato centro turistico e sciistico del comune Stefano in Aspromonte. L’ex base sorge nel territorio del Comune di Roccaforte del Greco, fa parte del dell’Aspromonte, e oggi, si trova in uno stato pessimo di conservazione, tanto da costituire una vera e propria ambientale.

Ma una volta non era così. Qualche decennio fa, la base USAF era un centro ricco di vita e d’interesse, come raccontato Jim Hoose, ex militare dell’USAF che oggi vive in Florida e che a Nardello era Sergente Maggiore. Jim in Italia per ben 6 anni, dapprima nella base del Monte Paganella, sulle Dolomiti, dal 1973 al 1976, poi a Nardello novembre 1976 al dicembre 1977 e infine sul Monte Cimone dal gennaio 1978 al 1979. Nella sua carriera è stato Corea del Sud, Olanda, Germania e Gran Bretagna, ma in Aspromonte e soprattutto in Italia ha lasciato alcuni ricordi più belli che oggi vuole fare rivivere sul nostro giornale.

Raccontandoci della sua esperienza italiana, non può che partire dalle Dolomiti: “ero sul Monte Paganella con americani, non potevamo usare l’uniforme perchè dovevamo prendere la funivia per andare al lavoro e il governo voleva che i turisti vedessero militari, quindi avevamo abiti civili, eravamo in incognito. Vivevamo a Lavis, in un locale, e lì ci siamo divertiti tantissimo. Per raggiungere la base dovevamo spostarci, ma la gran parte della nostra era con la popolazione locale, con cui ci siamo trovati a meraviglia. Lì ho imparato molto della cultura italiana, ho ad amare grappa e polenta. Il mio cuore è diventato italiano, tutto mi è piaciuto molto, e mi sono innamorato musica. Sono diventato un grande fan di Marcella, Mina, e soprattutto Adriano Celentano. In questo momento, oggi Florida, il mio lettore MP3 ha canzoni italiane: da Montagne Verde e Piccola e Fragile fino a Bella senz’anima, 24000 e Per Averti. A Nardello, in Aspromonte, sono arrivato nel 1976. Lì era tutto molto diverso. Stavamo nella dormivamo e vivevamo a dieci metri dal posto di lavoro, e raramente ci muovevamo da lì. Avevamo abitazione, intrattenimento tutto sul posto. Eravamo in 40 a lavorare alla base, 25 americani e 15 italiani. Per mesi non sono uscito dalla base, poi abbiamo acquistato un veicolo che ci ha aiutato a muoverci un pò. Gli italiani erano Stefano e Gambarie, lavoravano per un tot. di ore e poi tornavano nella loro casa: sono diventato amico con molti ma purtroppo non ho più nessun contatto. Che peccato che all’epoca non esistesse internet!!! Avessi avuto internet quegli anni, avrei visitato molto meglio l’Italia e avrei mantenuto molti più contatti con gli amici fatti in quali invece adesso mi sono perso“. Piuttosto se qualcuno si ricorda di Jim e volesse contattarlo, può inviare un’email nostra Redazione!

“Molto spesso, quando posso andare in vacanza, vorrei tornare dai miei vecchi amici di Lavis e Gambarie. Erano gentili e cordiali … di Nardello ricordo benissimo il primo giorno in cui sono arrivato, sbarcando all’Aeroporto di Sono venuti a prendermi un paio di ragazzi con un pick-up americano e per arrivare alla base mi hanno spiegato strada era semplicissima: bisognava proseguire sempre dritti e ogni bivio che si incontrava, bisognava svoltare monte, dove la strada saliva. Siamo passati da Santo Stefano che era sera, era già buio. La strada era molto piena di curve soprattutto negli ultimi chilometri. In quei mesi ho guidato molte volte dalla base all’aeroporto, macchine comuni ma anche ambulanze e grandi camion. Potete immaginare cosa significa guidare quei camion strade così piccole e tortuose.

In poco tempo sono diventato uno dei migliori piloti dell’Aspromonte, eheh! Mi ricordo che andavo a Villa San dove prendevo spesso il traghetto per Messina, da dove poi dovevo raggiungere Sigonella per i rifornimenti. anche di aver percorso l’A3 Salerno-Reggio Calabria per arrivare a Napoli, un’autostrada bellissima, con tanti ponti alti, davvero affascinante. Di Reggio mi ricordo le palme e i cactus. In Florida queste piante sono note a tutti, pensavo di trovarle in Italia, anche perchè venivo da un’esperienza in Trentino Alto Adige. Di Reggio mi ricordo territorio ricco di storia e cultura, con tanti millenni di vita alle spalle. Ma il mio ricordo più bello è quello di Nardello, un posto meraviglioso per ambiente e natura. Da lì guardavo l’Etna ogni sera, ed era bellissimo! I giorni erano quelli con tante nubi intorno a noi: da Nardello si poteva vedere solo la vetta dell’Aspromonte, Montalto, che spiccavano su un mare di nuvole. In quei giorni mi sembrava di essere in un posto diverso, con queste “isole” potevano vedere da lassù.

L’inverno era bellissimo, nevicava davvero molto. La strada d’accesso alla base era difficoltosa da percorrere, sporgenti dei faggi facevano un arco intorno al manto stradale ed era davvero meraviglioso. Dovevo mettere le alle autovetture ma lo facevo con piacere, tanto era suggestivo quello scenario! Mi ricordo un giorno che mentre uscendo di casa, la porta si chiuse dietro di me e fece crollare un sacco di neve dal tetto proprio sul sentiero dove transitando. Se fossi stato più lento, sarei rimasto sotto. Tutti i ragazzi che erano dentro, uscirono convinti di sepolto dalla neve, ma per fortuna stavo camminando velocemente“. Non ci resta che ringraziare Jim per questa straordinaria storia d’uomini, di natura e di emozioni che ci ha appassionato facendoci rivivere i tempi in cui l’ex base USAF di monte Nardello era il cuore pulsante dell’Aspromonte.

 

Le tre fortezze di Pieve di Cadore nel libro di Musizza e De Donà

Da Il Corriere delle Alpi - 21 marzo 2014 —   pagina 31   sezione: Nazionale

PIEVE DI CADORE Nell’ambito delle giornate di Primavera del Fai (Fondo Ambiente Italiano), domani alle 18 nella sala dell’Auditorium Cos.Mo a Pieve di Cadore, gli scrittori Walter Musizza e Giovanni De Donà presenteranno la storia dei tre impianti fortificati di Pieve di Cadore: un percorso dal medioevo ai giorni nostri. Alla presentazione saranno presenti anche il sindaco di Pieve, Maria Antonia Ciotti e l'architetto Luigi Girardini. Il Forte di Monte Rricco non è stato ancora recuperato completamente e la strada per trasformarlo in museo virtuale e centro di accoglienza per tutti i turisti in arrivo in Cadore, come vorrebbe il progetto presentato dall’architetto Gerardini sarà lunga. Intanto, per il forte di Monte Ricco, arriva una pubblicazione che passa in rassegna le sue credenziali storiche. Questo nuovo libro dei due storici Walter Musizza e Giovanni De Donà, voluto per il Centenario della Grande Guerra 2015 – 18 e sostenuto dal Comune di Pieve di Cadore, dimostra come il forte di fine ‘800 sia l’erede dell’antico castello medievale, ossia di quello che fu il baluardo, morale prima che militare, dell’intero Cadore contro ogni tentativo d’invasione dal Tirolo. In dieci capitoli e con il supporto di foto e documenti in parte inediti sono presentati i fatti salienti che interessarono l’antico castello e la sua decadenza nel ‘700, i grandi lavori del Genio Militare di fine ‘800 con l’organizzazione del campo trincerato di Pieve di Cadore e la sua utilizzazione durante la Grande Guerra. I tre forti, strettamente complementari: Batteria Castello, Monte Ricco e Col Vaccher sono presentati nel contesto delle esigenze politiche ed economiche dell’Italia del tempo e con l’aiuto di molti documenti e foto tratti da archivi pubblici e privati, alcuni dei quali provenienti dal servizio informativo austro-ungarico. Con questo primo libro inizia un lungo e paradossale racconto, quello della fortificazione del Cadore, che ha negli impianti del campo trincerato di Pieve di Cadore il suo paradigma ideale. Una lezione esemplare, fatta di strategia e di architettura militare, ancor più attraente e viva grazie al confronto, oggi possibile, tra rudere fatiscente e forte restaurato, tra il già fatto e l’ancora da farsi. (v.d.) 

 

La difesa del Cadore attraverso i tre forti

Da Il Corriere delle Alpi - 28 febbraio 2014 —   pagina 47   sezione: Nazionale

BELLUNO Dieci capitoli per raccontare i tre forti la cui storia è indissolubilmente legata alle vicende della prima guerra mondiale nelle Dolomiti. Le motivazioni strategiche che portarono alla loro realizzazione sono descritte nel libro di Walter Musizza e Giovanni De Donà «I Forti di Monte Ricco, Batteria Castello e Col Vaccher con le altre difese del campo trincerato di Pieve di Cadore 1866 – 1918». Un volume, edito Dbs Zanetti con il sostegno del Comune di Pieve di Cadore, in edicola oggi insieme al Corriere delle Alpi. I due autori, nell’anno in cui ricorre il centenario della Grande Guerra, ripercorrono gli eventi connessi alla costruzione dei tre grandi impianti, avvenuta tra il 1881 e il 1896, dopo che negli anni immediatamente seguenti alla III Guerra d’indipendenza era stata organizzata la cosiddetta “Stretta di Treponti” sui colli di Vigo. I fatti descritti vanno dalla presenza dell’antico maniero alla sua decadenza nel 1700, dai grandi lavori del Genio militare di fine 1800 fino alla sua utilizzazione a partire dallo scoppio della prima guerra mondiale. I tre forti costituivano una costruzione accompagnata da un complesso organico di difese complementari che disseminò sulle alture alla confluenza del Piave e del Boite una rete di strade, postazioni e osservatori in grado di impedire ogni penetrazione nemica da Misurina, dal Comelico, dal Passo della Mauria e da Cortina. Superbi palazzi di guerra destinati alla difesa del fronte contro la paura secolare di invasioni dal Tirolo e rivelatisi invece inutili fortezze. I due capitoli sono arricchiti da fotografie e documenti in parte inediti. Monte Ricco, Batteria Castello e Col Vaccher rappresentano uno spaccato straordinario delle concezioni e degli esiti della scienza fortificatoria europea della fine del Diciannovesimo secolo, vale a dire dei criteri costruttivi legati ancora a parametri medievali (ponte levatoio, caponiera, caditoie) e a mezzi ossidionali di gran lunga inferiori (ad esempio cannoni da 149 in ghisa) a quelli che il progresso avrebbe imposto solo pochi anni dopo. Il libro si sofferma inoltre su uno dei personaggi più rappresentativi della costruzione del forte di Monte Ricco, l’ingegnere Giovanni Ivanoff, patriota di origine russa e già suddito austro-ungarico, fuggito da Trieste a Venezia per mettersi a disposizione della causa italiana. Non mancano poi specifici capitoli dedicati all’utilizzo delle fortificazioni di Pieve durante il conflitto, alla distruzione finale a opera delle truppe nemiche nell’ottobre 1918, ai recenti lavori di restauro diretti da Luigi Girardini e ai possibili itinerari di visita, comprese le postazioni sussidiarie disseminate nel comprensorio (S. Dionisio, Monte Tranego, Col Pecolines, S. Anna e Damos). Tra l’altro il recente recupero di Monte Ricco ha già attirato parecchi visitatori. Un aspetto che contribuisce all’obiettivo postosi con il restauro: fare di Monte Ricco un luogo di conoscenza e conservazione della memoria. Non a caso il libro di Musizza e De Donà anticipa l’attesa inaugurazione del forte quale museo virtuale della Grande Guerra e centro di accoglienza per tutti i turisti in arrivo in Cadore. Martina Reolon 

 

Roncegno, partono i nove incontri sulla Grande Guerra in Valsugana

 

Da Il Trentino - 15 febbraio 2008 —   pagina 40   sezione: Provincia

VALSUGANA. Nuovo appuntamento con la storia della Grande Guerra in Valsugana, nove incontri che toccheranno altrettanti paesi. Tutte le serate cominceranno alle 20.30. Si inizia oggi al teatro parrocchiale di Roncegno con la proiezione del film “Nach Dresden” in cui Vittorio Curzel ripercorre la storia di Dresda dal 1930 ad oggi. Si prosegue venerdì 22 nella sala polivalente di Novaledo con Nicola Fontana che parlerà di “Forti obsoleti a confronto: il forte di Tenna e quello di San Biagio” mentre venerdì 29 nella palestra delle ex elementari di Carzano Tiziano Bertè interverrà su “Caporetto: una nuova interpretazione”. Venerdì 7 marzo la sala riunioni di Telve ospiterà lo storico Luca Girotto in “24 ottobre-14 novembre 1917: fuga dal Lagorai. Il ripiegamento italiano dal fronte Valsugana-Val Cismon dopo Caporetto” mentre il 14 marzo tocca a Paolo Pozzato che in sala Corropoli a Telve di Sopra parla di “La battaglia d’arresto sul Grappa e sul Piave nel novembre-dicembre 1917”, il 28 marzo tappa al teatro parrocchiale di Scurelle Tiziano Bertè spiegherà “L’artiglieria italiana nella Grande Guerra: un vero “boom” di tecniche e tattiche”. “La battaglia del solstizio (giugno 1918) sul Grappa e sul Piave” con Paolo Pozzato affronterà venerdì 4 aprile al Centro Lagorai Natura di Torcegno mentre l’11 aprile alla sala rossa del Comprensorio di Borgo “Fronte Greco-Albanese 1941: nuova ‘guerra di trincea’ in montagna per gli Alpini” con Guido Aviani e musica di Nello Pecoraro. Infine venerdì 18 aprile al teatro di Tezze di Grigno Luca Girotto presenta il libro “Forti obsoleti a confronto: forte Tombion, la sentinella del Canal di Brenta”. (m.c.)

 

 

Forte Carpenedo ora si allarga

Da La Nuova Venezia - 02 febbraio 2014

Duemila firme erano state raccolte in fretta dopo l’annuncio dei volontari: senza convenzione ce ne andiamo. Una minaccia che ora può rientrare e salva dal degrado il forte ottocentesco di Carpenedo. Venerdì scorso negli uffici del Patrimonio, alla Carbonifera di Mestre, è stata firmata da Francesco Cavallin e dai tecnici dell’assessorato la nuova convenzione per la gestione del forte Carpenedo, uno dei gioielli del campo trincerato di Mestre, gemello del Tron e del Gazzera. Forti che sono diventati una realtà importante della città, che grazie all’impegno di tanti volontari sono vissuti e conosciuti dai cittadini.

Dopo due anni di “vuoto”, è stata firmata tra Comune e l’associazione Forte Carpenedo Onlus una convenzione della durata di 9 anni, che sarà replicata anche per la gestione di forte Mezzacapo, e con durate inferiori per le altre realtà del c campo trincerato mestrino. Viene ristabilita una “pace” nei rapporti tra volontari che gestiscono le strutture del campo trincerato e l’amministrazione comunale veneziana, dopo il fermo di due anni che ha rischiato di far saltare sia la collaborazione che tanti progetti. Soddisfatta la Forte Carpenedo Onlus che si assicura così il prosegio della gestione del forte per altri 9 anni. «Una convenzione così lunga ci permette finalmente di dire che restiamo a forte Carpenedo con un progetto di utillizzo e sviluppo dell’area importante. Abbiamo avuto in affidamento anche le casette esterne all’ingresso del forte dove realizzeremo degli atelier per artisti, un progetto di ricezione turistica legato ai luoghi storici di guerra, un punto sosta per i camper e anche un micro-campeggio. Puntiamo anche ad ampliare lo spazio del museo che ospitiamo nel forte e pure di prolungare il percorso di visita. Un progetto che punta anzitutto sull’autosostenibilità del progetto». Ricavi quindi da reinvestire nello spazio storico del forte militare di Carpenedo, oggi centro di visite ma anche di interessanti mostre di arte contemporanea e di feste, nel periodo estivo in particolare. Il Comune si impegna ad intervenire in interventi strutturali, condizionati sempre dalla necessità di reperire risorse per i forti, come precisa l’assessore al Patrimonio Alessandro Maggioni. «Andremo ora a firmare le convenzioni per tutti gli altri forti, rinnovandoli per lunghi periodi, anche di nove anni come è stato per forte Carpenedo», precisa l’assessore. La notizia della firma della convenzione è stata accolta da un coro di consensi da molti cittadini e associazioni che collaborano con la ”truppa” del forte.

 

Monte Brione, è iniziato il recupero delle fortificazioni

Da Il Trentino - 26 gennaio 2014 —   pagina 34   sezione: Nazionale

RIVA Sono cominciati sul monte Brione i lavori di recupero di forte Garda, della Batteria di Mezzo e del punto di osservazione e tiro. Opere ordinate dal Comune di Riva grazie a un finanziamento della Provincia nell'ambito del "piano" Grande Guerra in occasione del centenario del primo conflitto mondiale. Per quanto riguarda forte Garda, una volta eliminata la vegetazione infestante si eseguirà un intervento di consolidamento e di conservazione degli elementi lapidei e degli intonaci, per metterli in sicurezza dal degrado in corso causato soprattutto da infiltrazioni d'acqua e dall'azione meccanica delle radici. Inoltre saranno eliminati i tamponamenti realizzati nel corso degli anni e si riapriranno finestre, sfiati, porte, punti di tiro e di osservazione; saranno sostituiti tutti i manufatti in ferro installati nel corso degli anni per impedire l’accesso al forte, con nuove inferriate ed elementi per la sicurezza dei visitatori. Si puliranno pietre e pareti dalle scritte e dai graffiti, si rimuoveranno i depositi di materiali estranei e si metteranno in sicurezza i percorsi di accesso, i luoghi e l’edificio stesso dai rischi di caduta e scivolamento. La filosofia dell'intervento è ispirata al minimo per ottenere una parziale visitabilità del presidio bellico. Rispetto a forte Garda, la Batteria di Mezzo si presenta in condizioni migliori, grazie anche al Gruppo Alpini di Riva: la manutenzione lo ha preservato dall'infestazione della vegetazione e alcuni interventi d’emergenza hanno scongiurato danni gravi alle strutture portanti, già compromesse dalla guerra e dalle demolizione eseguite in passato per recuperare il ferro, oltre che dall'abbandono. La pulizia da macerie e da piante e arbusti sarà significativa solo nella parte dove un tempo erano collocati i quattro cannoni rivolti verso passo San Giovanni e verso la stazione ferroviaria di Mori: qui le demolizioni hanno fatto sì che l'azione della pioggia e del vento fosse causa di accumuli di terriccio e ghiaia, con la crescita di cespugli e piante. Tutta questa parte è quindi da bonificare e ripulire, prima degli interventi di consolidamento e la sistemazione della copertura e la sua impermeabilizzazione, la messa in sicurezza dell’edificio con parapetti e con la chiusura di punti pericolosi, la sostituzione dei cancelli d'ingresso, delle inferriate antintrusione delle finestre e dei blocchi di cemento posati a rinforzo della struttura con elementi e profili metallici normalizzati. Il costo di partenza dell’intervento era di 710.000 euro, di cui 563.750 euro a base d'asta, con l’Impresa Edilux srl di Cavedine che si è aggiudicata l’appalto con un ribasso del 14,329%. (m.cass.)

 

Bezzecca e Tagliata per la Grande Guerra

Da Il Trentino - 24 gennaio 2014 —   pagina 33   sezione: Nazionale

ALTO GARDA Nel 2014 verrà ricordato il secolo dall’inizio di una delle più grandi tragedie che causò 10 milioni di morti, la Prima guerra mondiale. E il Trentino in quest’anniversario assumerà un ruolo centrale a livello nazionale, e questo è l’annuncio che ha fatto l’assessore provinciale alla cultura Tiziano Mellarini, presso la sala della Comunità di valle di Riva davanti ad una quarantina di amministratori, associazioni e rappresentanti dell’Apt. L’incontro è servito un po’ per chiarire il ruolo di coordinamento generale, e soprattutto per la promozione, che la Provincia si assume in pieno, come ha ribadito Chiara Bassetti di Trentino Marketing. Ma il ruolo della Provincia non vuole sovrapporsi a quanto sta facendo la Comunità di valle, che già da un paio di anni ha raccolto varie proposte da associazioni e studiosi e di cui ha stilato una specie di graduatoria, senza però metterci una lira visto che dalla Provincia non è arrivato ancora nulla. Altro concetto ribadito dall’assessore è che il coordinamento a livello scientifico sarà svolto dal Museo della guerra di Rovereto, ma questo non vuol dire che tutte le altre istituzioni siano messe in ombra, come ha ricordato Gianni Pellegrini del Museo Alto Garda. Mellarini ha chiarito che i finanziamenti su progetti di qualità verranno decisi a partire da maggio e potranno arrivare al 50% della copertura. Per quanto riguarda l’Alto Garda e Ledro due sono le peculiarità su cui puntare: la prima è che l’esito della campagna garibaldina del 1866 innesca, o comunque peggiora, le cause scatenanti della Prima guerra e quindi per luglio 2016 a Bezzecca sono previste manifestazioni a ricordo del 150° della Battaglia con l’intenzione di riportare l’originale dell’Obbedisco che attualmente è all’Archivio di Stato di Torino. La seconda è che nell’Alto Garda sono presenti tutte le cinque generazioni di fortificazioni austroungariche, a partire dal 1860. Per il primo aspetto l’assessore si è riservato di approfondire; per il secondo aspetto e anche su una forte sollecitazione dell’assessore alla cultura di Riva, Flavia Brunelli che ha chiesto un intervento risolutivo sull’apertura della Tagliata del Ponale, Mellarini ha promesso che l’istruttoria geologica è quasi finita e quindi che darà una risposta. Perché è ben vero che abbiamo tutte le generazioni di forti, ma è anche vero che dopo una decina di anni di proposte e progetti faraonici, finora non sono praticamente visitabili. L’unica certezza sarà che in autunno potremmo entrare finalmente nel forte Garda e, forse, nella Batteria di Mezzo sul Brione, ma, ne sono tutti consapevoli, la Tagliata del Ponale è tutt’altra cosa. Un ultimo interessante accenno ai forti e alla loro tutela è uscito da Mellarini su sollecitazione di Graziano Riccadonna della Pinter: la pratica Unesco per la loro tutela è un po’ in stallo viste le reticenze da parte dell’Austria.

 

Facchin riscopre i caduti dimenticati della battaglia di Resia

Dal Messaggero Veneto - 23 gennaio 2014 - sezione Udine

UDINE. Una battaglia ancora sconosciuta ai piú, che però ha coinvolto oltre 30 mila soldati. Oggi se ne saprà di più su quella che è stata ribattezzata la “battaglia di Resia”, combattuta alla fine dell’ottobre 1917 tra Uccea, Sella Carnizza e le cime circostanti, grazie alla presentazione del romanzo storicoEroi senza vittoria, scritto dal carnico Emanuele Facchin (edito da La Nuova Base). L’appuntamento è per le 17 a palazzo Belgrado, a Udine, quando l’autore e lo storico Marco Pascoli parleranno di un avvenimento rimasto per decenni nell’oblío. Tra i protagonisti della serata ci sarà anche il sindaco di Resia Sergio Chinese, che con il Comune ha avviato un progetto per far riemergere le testimonianze della Grande Guerra nella valle patria degli arrotini. Il libro racconta le vicissitudini del colonnello Emilio Alliney, chiamato a difendere la Val Resia dall’avanzata dell’esercito austro-ungarico. Tra il 25 e il 30 ottobre 1917, 10 mila soldati italiani del regio-esercito cercarono di stoppare la discesa di 20 mila bavaresi, che come obiettivo avevano quello di tagliare la ritirata dei nemici sugli altri fronti. «Una battaglia tanto dimenticata quanto nevralgica nell’economia strategica del conflitto – commenta il sindaco Chinese – che merita di essere riscoperta non solo per consegnarla alla storiografia, ma anche per rendere onore alla memoria dei militari italiani e imperiali, oltre che ai civili della vallata, molti dei quali subirono sofferenze morali e materiali, finendo sfollati addirittura in Campania. Il progetto “La Grande Guerra in Val Resia” – aggiunge Chinese – intende riscoprire in modo scientifico tali vicende, puntando anche e soprattutto sulla valorizzazione turistica dei siti e dei resti del conflitto». La scelta dell’esercito austro-ungarico di sfondare proprio in Val Resia nasceva dalla mancanza di fortificazioni di un certo peso tra i paesi all’ombra del Canin. Non si aspettava però la strenua resistenza degli uomini comandati dal colonnello Emilio Alliney, che vanificarono il tentativo di tagliare la ritirata dei soldati provenienti dalle valli del Fella. Sul campo restarono 110 morti, cifra calcolata per difetto. di Alessandro Cesare

Stanziati 400 mila euro per la Grande Guerra

Da La Nuova Venezia - 22 gennaio 2014 —   pagina 11   sezione: Nazionale

VENEZIA Ammontano a 400 mila euro gli stanziamenti che la giunta regionale, su proposta del vicepresidente Marino Zorzato, ha deliberato per sostenere il programma d’iniziative varato ricordare il centenario della Grande Guerra. Il finanziamento più cospicuo (80 mila euro) riguarda il progetto di una lezione-spettacolo che l’associazione ArteVen porterà da febbraio a dicembre (con 200 rappresentazioni nelle scuole) in tutte le province del Veneto. La Regione si propone, entro il 2018 (anniversario della stipula dell’armistizio e della fine del conflitto), di presentare la candidatura del patrimonio della Grande Guerra alla commissione Unesco. In vista di questo appuntamento l’immobiliare Marco Polo, che gestisce Villa Contarini di Piazzola sul Brenta, ha proposto di ospitare questo evento e altre iniziative di valorizzazione del centenario, alle quali Palazzo Balbi contribuirà con 17.250 euro. Tra i progetti che la Regione ritiene meritevoli di finanziamento risulta anche il percorso rievocativo in dieci tappe, primosso dal Cai, “Da Asiago alla Marmolada. Nei luoghi della memoria della Grande Guerra”. Al piano la giunta Zaia contribuirà con 21 mila euro. Ottime ricadute di visibilità per il patrimonio e il territorio veneti produrrà il fim documentario “Fango e Gloria”, che sarà realizzato dall’Istituto Luce-Cinecittà di Roma. Al lavoro (che comporterà una spesa complessiva di 545.475 euro) la Regione parteciperà con 50 mila euro. Uno stanziamento di 40 mila euro premierà il progetto dell’associazione temporanea delle Comunità montane del Brenta, Feltrina e del Grappa, che punta alla valorizzazione del patrimonio storico legato alla memoria della Grande Guerra nel comprensorio del Monte Grappa. La Regione intende sostenere la realizzazione di una carta topografica del Massiccio del Grappa e altre iniziative collegate. Palazzo Balbi intende infine sostenere con 10 mila euro il progetto di messa in rete di musei, monumenti e luoghi della Grande Guerra promosso dal Comune di Padova.(c.bac.)

 

Cavallino chiede i forti storici

Da La Nuova Venezia - 21 gennaio 2014 —   pagina 42   sezione: Nazionale

CAVALLINO Il Comune dopo la presa in gestione della batteria Pisani ha chiesto all’agenzia del Demanio che renda disponibili gli altri forti storici e batterie del litorale per manifestazioni e attività comunali. Il Demanio ha tempo 60 giorni dalla data della richiesta per rispondere, termine che scadrà a fine mese. Si avvicina infatti l’appuntamento con il centenario della Prima Guerra Mondiale fra il 2015 e il 2018 in occasione del quale la Regione riceverà dall’Europa 60 milioni di euro per il restauro delle fortificazioni militari, testimonianza di quel passato. Il Comune non vuole farsi trovare impreparato in vista di un’eventuale destinazione di fondi visto il complesso di forti, batterie e torri telemetriche che comprende tra gli altri il Forte Vecchio, le batterie Amalfi, Vettor Pisani e San Marco. «Sulla base di una recente legge», conferma il sindaco Claudio Orazio, «abbiamo richiesto per l’ennesima volta al Demanio la disponibilità delle altre fortificazioni. Al momento abbiamo infatti la disponibilità solo della batteria Vettor Pisani per la quale abbiamo stanziato 98.000 euro della tassa di soggiorno per metterla in sicurezza, e consentire che si possa aprirla al pubblico, visitarla, organizzare all’interno degli spettacoli». Solo quest’estate infatti il Comune era riuscito, dopo ben 20 anni di trattative, a firmare con il Genio civile il verbale di presa in consegna della batteria Pisani in attesa di completare l’iter di acquisizione per la gestione pluriennale della batteria con annessi gli spazi adiacenti. (f.ma.) 

 

ECCO DOVE VERRANNO PROBABILMENTE STOCCATE LE ARMI SIRIANE
Da alfredodecclesia.com del 17 gennaio 2014

Situata a 1800 metri sul livello del mare, sulla cima del monte Nardello, l’ex Base Militare USAF occupa circa 3,5 ettari del Comune di Roccaforte del Greco; nel cuore del Parco Nazionale dell’Aspromonte.

La base fu costruita nel 1965 dall’esercito americano per il controllo radar dei cieli del mediterraneo, insieme a quella di Catania.

Il complesso era costituito da una serie di capannoni con all’interno enormi generatori di energia elettrica che servivano per alimentare le imponenti antenne radar alte più di 10 metri.

Fornita di alloggi e di tutti i servizi necessari per la permanenza dei militari sul posto, la delimitazione dell’area era (ed è ancora oggi) affidata ad una massiccia recinzione alta più di 2 metri con in cima del filo spinato.

 

Quando una nazione ricca installa una discarica di rifiuti chimici o nucleari in un paese povero sta saccheggiando il futuro di quell’agglomerato umano, perché se i rifiuti sono, come dicono, “inoffensivi”, per quale ragione non hanno installato la discarica sul proprio territorio? (Luis Sepúlveda, Il mondo alla fine del mondo)

 

Cedas, il restyling della casa dei pescatori

Da Il Piccolo - 15 gennaio 2014 —   pagina 22   sezione: Nazionale

Il cantiere non può certo passare inosservato: un po' per la sua collocazione nel bel mezzo della passeggiata sul lungomare barcolano, un po' per le caratteristiche decisamente particolari del sito in questione. Stiamo parlando dell'edificio in pietra arenaria situato al numero 291 di viale Miramare, esattamente di fronte al porticciolo del Cedas: una struttura in completo stato di abbandono ormai da più di trent'anni, ma che custodisce un passato ricco di storia. Alla fine del 2012, in seguito a un'ordinanza del Comune, sono iniziati i lavori per il recupero edilizio dell'area che vengono eseguiti a lotti: proprio in questi giorni le macchine scavatrici sono tornate all'opera, mentre una squadra di operai sta intervenendo all'interno della struttura. La zona è completamente cantierizzata: la costruzione si sviluppa su due piani, per una metratura totale di circa 120 metri quadrati, cui si aggiunge un'ampia area esterna. I lavori riguardano principalmente la messa in sicurezza del sito, vittima nel corso di questi anni di cedimenti strutturali, in particolare del crollo di parte del tetto, ma non ci sono certezze al momento su quale potrebbe essere la destinazione del luogo. La sensazione però è che si possa pensare in futuro alla creazione di un'area commerciale, mentre nell'ampio spazio esterno potrebbe essere ricavata tutta una serie di parcheggi. «Le opere riguardano essenzialmente la messa in sicurezza della struttura - spiega Mario Bucher, progettista e direttore dei lavori -. Siamo già intervenuti sul tetto con il rifacimento del solaio, adesso ci stiamo concentrando sul consolidamento dei muri perimetrali: nulla però è stato ancora deciso riguardo alla destinazione d'uso del sito». A commissionare l'intervento di recupero edilizio è stata la Shadey srl, società di capitale che si occupa della locazione immobiliare di beni propri o in leasing, mentre la ditta che sta eseguendo i lavori è la Edil Alpi di Arta Terme. Se rimane incerto il futuro dell'area, la stessa cosa non si può dire per il passato della struttura, che ha scritto pagine importanti della storia di Trieste. La costruzione infatti, della quale è conservata ancora integra la facciata esterna, nel corso dell’Ottocento faceva parte della batteria di fortificazioni allestite dall'esercito austro-ungarico che avevano il compito di proteggere la città e il suo porto. Una sorta di vero e proprio presidio militare: a testimonianza di questo si notano ancora le caratteristiche finestrelle adibite al posizionamento delle armi usate a difesa del porticciolo, mentre spicca, incastonata nel mezzo della facciata principale, una raffigurazione della “Madonna con Bambino”. Successivamente la struttura si trasformò nella cosiddetta “Casa dei pescatori”: un luogo adibito a dimora e deposito delle reti e dei vari materiali a disposizione degli uomini di mare triestini. Poi gli anni dell'abbandono e del degrado, cui ora potrebbe seguire una nuova rinascita. Pierpaolo Pitich

 

 

Contributi alle associazioni

 

Dal Messaggero Veneto - 7 gennaio 2014

PALMANOVA. Ammonta a 16.000 euro la somma stanziata dal Comune di Palmanova alle associazioni che svolgono attività di promozione culturale e turistica. Sono una dozzina i sodalizi che hanno presentato istanza di contributo, mentre sei (Circolo fotografico, Circolo filatelico, Pro loco Jalmic, Gruppo micologico, Associazione Pro Museo e Pro Palma) non hanno presentato domande. La determina che stanzia i contributi precisa che è stata stabilita una quota base di 250 euro visto che ogni associazione contribuisce alla valorizzazione della comunità e alla promozione dell’immagine di Palmanova. In base, poi, all’attività svolta nel 2013, sono stati ripartiti i fondi disponibili. La cifra maggiore, pari a 5800 euro, è andata al Gruppo storico che, quest’anno, ha raddoppiato gli sforzi, proponendo accanto alla tradizionale manifestazione di luglio anche la Rievocazione di settembre. Riconosciuta anche la presenza dei figuranti alle varie manifestazioni, convegni, riprese televisive. Una cifra di 1700 euro è andata agli “Amici dei Bastioni” per il proprio impegno nella pulizia delle fortificazioni e per le iniziative di promozione della cinta bastionata. Alla banda cittadina sono stati concessi 1500 euro per le tante iniziative proposte in occasione del proprio 115° di fondazione e per la presenza in tante manifestazioni istituzionali. Hanno ottenuto un contributo di 1100 euro ciascuno Accademia musicale (per la scuola di musica, il concorso musicale e pianistico e le serate di musica dei Tre confini) e il Circolo Trevisan (per le iniziative 2013, dai “Rinnegati” ai tre appuntamenti di “Musica nelle corti”). Ammontano a 800 euro gli stanziamenti a favore di LiberMente, per le iniziative di promozione della lettura, 700 euro ciascuno a Nuova esperienza teatrale, Ute, Coro Pavona e Famigliattiva. Al Caffè Palmarino è stata assegnata una cifra di 250 euro per la mostra “Scatti contemporanei del tempo”. Un contributo di 950 euro è stato riconosciuto al gruppo Sbandieratori. Monica Del Mondo

 

 

Difesa, collaudati nuovi missili

 

Da rbth.com del 2 gennaio 2014

 

La Russia ha effettuato il primo lancio di prova del missile RS-24 dalla base sotterranea del poligono Kura, in Kamchatka

Funzionalità, efficacia, sicurezza e precisione. Simulando una situazione di guerra. Il 24 dicembre scorso nel cosmodromo Pleseck nella regione di Arkhangelsk è stato effettuato il primo lancio di collaudo del missile balistico strategico del complesso Jars (RS-24, oppure SS-29, secondo la classificazione della Nato) dalla base sotterranea del poligono Kura, dislocato sulla penisola della Kamchatka. Le testate del missile (secondo alcuni dati erano tre o quattro) hanno centrato perfettamente gli obiettivi, così come ha confermato il rappresentante delle Forze Missilistiche Strategiche, il colonnello Igor Egorov.

Stando alle parole dell’ufficiale, lo scopo principale del collaudo era quello di verificare “la funzionalità, l’efficacia, la sicurezza, le caratteristiche tecniche del volo e la precisione del complesso missilistico in condizioni molto vicine a quelle di guerra”.

Quali siano state esattamente le condizioni create per il collaudo, non è stato chiarito dal colonnello. Ma bisogna comprendere che contro il missile “lavoravano”, naturalmente con fini di collaudo e perfezionamento, vari sistemi di contrasto radio-elettronico: i reparti di difesa del complesso hanno simulato di far fronte a un attacco terroristico. E l’ordine di lanciare il missile è stato relativamente improvviso.

Le stazioni mobili Jars fanno parte della divisione missilistica Ivanovskaja. Nelle divisioni Novosibirskaja e Tagilskaja le Jars sostituiranno le stazioni mobili di terra Topol. Dal 2014 avrà inizio il riarmo complessi missilistici a Nizhnij Tagil e a Novosibirsk con i complessi mobili Jars.

Gli RS-24 entreranno nell’armamento della divisione missilistica Kozelskaj nella regione Kaluzhskaja. Sostituiranno i complessi missilistici RS-18 con sei testate a rientro indipendente (secondo la classificazione della NATO SS-19 Stiletto).

Secondo le parole del ministro russo della Difesa Sergei Shoigu, le forze armate hanno di fronte a sé un compito importante, non permettere l’infrangersi del sistema degli equilibri strategici. Per tal ragione uno dei principali orientamenti delle costruzioni militari rimane il sostegno e il puntuale ammodernamento delle forze militari strategiche. L’inserimento dei missili balistici intercontinentali RS-24 negli armamenti è motivato dalla necessità di rafforzare le possibilità del complesso missilistico di aggirare il sistema di difesa antimissilistico, rafforzando anche il potenziale nucleare della RVSN. Presto insieme alle già adottate MBR RC-12M2 (complesso missilistico Topol-M o SS-27) il complesso missilistico Jars sarà alla base delle forze missilistiche strategiche nazionali. Tuttavia, come di recente ha comunicato ai giornalisti il generale-colonnello Sergei Karakaev, comandante dell’RVSN, l’ RS-24 non è l’ultima novità russa in fatto di costruzione di missili. Nei prossimi anni (2018-2020) nelle forze armate missilistiche strategiche russe farà il suo ingresso il missile balistico pesante denominato Sarmat (che sostituirà il più grosso missile al mondo nelle basi militari, dotato di 10 testate nucleari, l’RS 20V anche conosciuto come Voevoda o Satana, secondo la classificazione della Nato SS-18 Satan). Inoltre in Russia verrà ripreso il lancio del complesso missilistico su binari (BZHRK) con un nuovo missile balistico. Tutto ciò dovrebbe compensare le perdite legate alla dismessa dei missili che hanno esaurito il periodo di garanzia. di Viktor Liktovin