Le basi erano 10, di forma triangolare, con tre missili ognuna. Nell'ottobre del 1961 furono colpite quattro testate nucleari da fulmini, e in due casi venne attivato il processo fisico-chimico preliminare all'esplosione (che non avvenne). Un museo della pace e della memoria è oggi possibile
Di Alessandro Marescotti
Fonte: Da sito quellidel72.it sono state tratte sia le informazioni militari sulle dieci basi nucleari
Elenco delle basi missili dei nucleari Jupiter
La decisione dell'installazione questi i missili nucleari e di creazione delle basi di lancio nelsud dell'Italia, fra la Puglia e la Basilicata, venne confermata formalmente con l'accordo del 25marzo 1959 fra Stati Uniti e Italia. Furono poi smantellati dopo la crisi di Cuba, nel 1963.
										
										Base 1 Gioia del Colle (BA)
										- 1° Reparto I.S. - 56° Gruppo 
										- Località: Parco dell'Arciprete 
										(Masseria Riccardo)
										- Operativa dall'8 maggio 1960
										- Coordinate 40°44'24.06"N 16°55'58.52"E
										
										Base 2 Mottola (TA)
										- 1° Reparto I.S. - 57° Gruppo
										- Località: Monte Orsetti (Masseria Lama 
										di Rose)
										- Operativa dal 1° luglio 1960
										- Coordinate 40°40'41.90"N 17° 6'11.80"E
										
										Base 3 Laterza (TA)
										- 1° Reparto I.S. - 58° Gruppo
										- Località: Segnale Quintano (Masseria 
										Gaudella)
										- Operativa dal 1° ottobre 1960
										- Coordinate 40°35'41.62"N 16°51'32.74"E
										
										Base 4 Altamura A (Bari)
										- 2° Reparto I.S. - 59° Gruppo (maggio 
										1960-aprile 1961) 111° Gruppo (ridenominato 
										tale dall'aprile 1961). Logistica unica 
										per i gruppi 108° e 111°
										- Località: Casal Sabini
										- Operativa forse dal settembre 1960
										- Coordinate 40°48'46.41"N 16°38'7.01"E
										
										
										Base 5 Gravina di Puglia (BA)
										- 1° Reparto I.S. - 60° Gruppo
										- Località: Vaccheria San Tommaso
										- Operativa dal 1 agosto 1960
										- Coordinate  40°45'32.39" N 
										16°22'52.25"E
Base 6 Altamura B - Quasano (BA)
										
										- 2° Reparto I.S. - 108° Gruppo. 
										Logistica unica per i gruppi 108° e 111°
										- Località: Località: Murgia Ceraso
										- Operativa forse dal settembre 1960
										- Coordinate 40°58'4.90"N 16°30'22.87"E
										
										Base 7 Spinazzola (BT)
										- 2° Reparto I.S. - 109° Gruppo
										- Località: Ponte Impiso
										- Operativa dal 1° novembre 1960
										- Coordinate 40°57'43.24"N 16°10'54.53"E
										
										Base 8 Irsina - Calle (MT)
										- 2° Reparto I.S. - 110° Gruppo
										- Operativa dal 1 dicembre 1960
										- Località: Macchia Orsini (Serra 
										Amendola)
										- Coordinate 40°42'14.31"N 16° 8'27.50"E
										
										
										Base 9 Acquaviva delle Fonti (BA)
										- 2° Reparto I.S. - 59° Gruppo
										- Località: Masseria Cattiva (Via 
										Scappagrano )
										- Operativa dal 1 gennaio 1961
										- Coordinate 40°55'23.11"N 16°48'28.27"E
										
										Base 10 Matera
										- 2° Reparto I.S. - 112° Gruppo
										- Località: Masseria Santa Lucia
										- Operativa dal 1 marzo 1961
										- Coordinate 40°34'59.50"N 16°35'41.90"E
La segretezza dei siti
La segretezza dei siti dove vennero installati i missili è testimoniata dalla comunicazione al parlamento in cui non venne appositamente dato alcun particolare circa la loro localizzazione, come si può leggere in questo libro "Il personale statunitense alloggia per la maggior parte a Taranto, a circa 50 minuti di auto da Gioia del Colle", si legge nel resoconto - oggi desecretato - della visita ai siti italiani Jupiter di A. G. James.
Gli incidenti
										
										La dislocazione dei missili fu 
										caratterizzata da una sicurezza alquanto 
										precaria in quanto non vennero chiusi in 
										bunker e non erano protetti da eventuali 
										danni potessero essere prodotti nelle 
										vicinanze. Ad esempio un MiG bulgaro si 
										schiantò nelle vicinanze di una base , 
										dopo un volo radente di spionaggio.
										In quattro occasioni le testate nucleari 
										vennero colpite da fulmini e la gravità 
										degli episodi hanno inserito tali 
										missili nella lista "nuclear accident"
										.
										October 1961 – On four occasions between 
										mid-October 1961 and August 1962, United 
										StatesAir Force  Jupiter IRBM 
										mobile missiles carrying 1.4 megaton 
										(5.9 PJ) nuclear warheads were struck by 
										lightning at their launch sites near the 
										Gioia Del Colle Air Base, Italy. In each 
										case,thermal batteries were activated, 
										and on two occasions, tritium-deuterium 
										"boost" gas was injected into the 
										warhead pits, partially arming them. 
										After the fourth lightning strike on a 
										Jupiter IRBM, the U.S. Air Force placed 
										protective lightning strike-diversion 
										tower arrays atall of the Italian and 
										Turkish Jupiter IRBM missiles sites. 
										These Jupiter missiles are sometimes 
										called "The Other Missiles Of October". 
										Their deployment in Italy and Turkey 
										prompted the Soviet Union to place its 
										missiles in Cuba in 1962, causing the 
										Cuban Missile Crisis
										.
										Fonte
										Il 1961 fu un anno nero per gli 
										incidenti nucleari, come evidenziano 
										documenti recentemente desecretati 
										grazie all' azione del giornalista 
										investigativo Eric Schlosser.
Il MiG bulgaro
										
										Il 17 gennaio 1962, un aeroplano di 
										ricognizione MiG-17 bulgaro si schiantò 
										contro un uliveto vicino a uno delle 
										postazioni di lancio dei missili 
										statunitensi Jupiter in Italia, dopo 
										aver volato a bassa quota. Si trattò di 
										un atterraggio di fortuna di cui furono 
										spettatori i contadini di Lamone 
										(Acquaviva delle Fonti). Il pilota fu 
										portato in ospedale e sopravvisse . Si 
										chiamava Milusc Solakov e nel gennaio 
										1963 il ministro della Difesa Andreotti 
										lo fece ritornare nella sua nazione, 
										come scrisse l'Unità con un articolo 
										sarcastico che sottolinea la volontà del 
										pilota di non rimanere in Italia (si era 
										vociferato di una sua fuga dalla 
										Bulgaria). Un anno prima sempre l'Unità 
										sosteneva che non si trattava di 
										spionaggio asserendo che i missili 
										visibili ai contadini e anche a chi 
										passava con il treno Bari-Taranto
										.
										L'idea di creare un museo della pace 
										e della memoria
										
										L'idea di fare della basi Jupiter un 
										luogo della memoria fu proposto 
										all'inizio della presidenza della 
										Regione Puglia da un gruppo di 
										associazioni (Comitati Alta Murgia, 
										Centro studi Tor di Nebbia) e da 
										esponenti della cultura ambientalista e 
										pacista come Piero Castoro. L'ascolto 
										della Regione fu allora deludente e 
										l'idea di creare un percorso culturale e 
										turistico attorno ai temi della pace non 
										decollò. Si trattava di acquistare a un 
										prezzo irrisorio i terreni di varie basi 
										Jupiter per creare un museo diffuso 
										dedicato alla pace e al disarmo 
										nucleare, ma nulla venne fatto. Fu messa 
										i scena una
										rappresentazione teatrale
										.
										L'idea di mettere in campo un percorso 
										di questo tipo non è comunque caduta e 
										potrebbe essere integrata nella 
										progettualità dei parchi. Inoltre in 
										ogni base potrebbe essere piantato 
										'albero di caki piantando i semi dell' 
										albero sopravvissuto all'esplosione 
										atomica di Nagasaki.
Note: I LANCI
La 36^ Aerobrigata I.S. effettuò cinque lanci reali dal poligono di Cape Canaveral (Florida). Per questo scopo venivano inviati al poligono 2 equipaggi completi.
22 aprile 1961 Lancio effettuato dalla rampa LC26A con un missile Jupiter IRBM CM-209 che raggiunse un apogeo di 500 km (310 mn). Gli italiani lanciarono il primo di una serie di 12 missili verso un obiettivo prefissato a 1514 mn. Il missile impattò dopo circa .79 mn e 2.19 mn a destra dell'obiettivo. Il missile seguì la rotta programmata e raggiunse l'obiettivo entro le tolleranze previste. Il personale dell'Aeronautica effettuò il fuoco dopo i controlli di rito. lo scopo della missione e a di valutare la capacità operativa dell'equipaggio addetto al lancio in condizioni di allarme operativo.
5 agosto 1961 Lancio effettuato dalla rampa LC26A con un missile Jupiter IRBM CM-218 che raggiunse un apogeo di 500 km (310 mn). Il fuoco fu effettuato alle 19.19 e 6 secondi verso est a1516 mn. Il lancio era stato programmato per il 3 agosto ma fu posticipato a causa di problemi al cavo del carburante e di in microinterruttore della pompa del carburante. La missione ebbe esito positivo.
6 dicembre 1961 Lancio effettuato dalla rampa LC26A con un missile Jupiter IRBM CM-115 Il missile fu sparato alla 17.37 (22.37 GMT) e 24 secondi verso est a 1516 mn. Il missile seguì la traiettoria di volo prefigurata e raggiunse l'obiettivo entro i limiti di tolleranza previsti. La missione ebbe esito positivo.
1 agosto 1962 Lancio effettuato dalla rampa LC26A con un missile Jupiter IRBM CM-111 che raggiunse un apogeo di 500 km (310 mn).
23 gennaio 1963 Lancio effettuato dalla rampa LC26A con un missile Jupiter IRBM CM-106 che raggiunse un apogeo di 500 km (310 mn).
Fonte: http://www.quellidel72.it/sistema/jupiter/jupiter_6.htm
Per approfondimenti
										
										La 36^ Aerobrigata Interdizione 
										Strategica "Jupiter" di Antonio Mariani, 
										Ufficio Storico A.M
										Il volume, partendo dalle analisi 
										politiche e strategiche che portarono 
										all’installazione dei missili balistici 
										nucleari in Italia, racconta la storia 
										della 36^ Aerobrigata Interdizione 
										Strategica“Jupiter”. Una pagina 
										importante, ma poco conosciuta, di 
										questo lungo periodo, che ha 
										caratterizzato, nel bene e nel male, la 
										storia del mondo dopo il secondo 
										conflitto mondiale, è raccontata in 
										questo volume da Antonio Mariani.
										
										L'Italia nella guerra fredda. La storia 
										dei missili Jupiter di Deborah Sorrenti, 
										Editore: Edizioni Associate - 2003 
										Quest'opera analizza la partecipazione 
										italiana alla guerra fredda nella 
										condivisione delle armi nucleari con gli 
										Stati Uniti, trattando 
										appro-fonditamente gli aspetti sociali, 
										politici e tecnici dell'installazione di 
										missili a medio raggio sul territorio 
										italiano alla fine degli anni Cinquanta.
										
										
										http://www.quellidel72.it/sistema/jupiter/jupiter_9.htm
										
										.










































Dopo 
										il reading sulla strage di piazza 
										Fontana, che ha registrato il gran 
										pienone, Levi Alumni in collaborazione 
										con la Fondazione Museo dello Scarpone 
										torna a proporre un incontro di grande 
										attualità in occasione del trentennale 
										della caduta del muro di Berlino. Sabato 
										30 novembre alle ore 18.00 a villa 
										Zuccareda Binetti (Montebelluna) 
										interverrà Valentina Furlanetto, 
										giornalista montebellunese che lavora a 
										Radio 24 ed è stata ospite del 
										CombinAzioni Festival 2018.








































































































































































































Gli 
										spettacolari sviluppi nel potere 
										distruttivo delle armi negli ultimi 
										secoli hanno avuto effetti nefasti 
										sull'architettura militare. La magnifica 
										struttura del Forte indiano di Gwalior, 
										nell'India centrale, nello stato di 
										Madhya Pradesh. Non ha più senso 
										costruire qualcosa del genere se lo si 
										deve solo buttare giù a cannonate. Il 
										Forte, su una collina, è esistito almeno 
										dal decimo secolo e ci sono iscrizioni 
										entro il perimetro che suggeriscono come 
										le sue origini potessero essere molto 
										più lontane ancora. Tra l'altro, in un 
										tempio indù al suo interno è stato 
										identificato il più antico uso noto 
										dello zero come numero. Appare in 
										un'iscrizione su una tavola celebrativa 
										del tardo nono secolo, soggetta quindi a 
										una datazione precisa.




















































































































Dalla 
										riunione presso la sede di Italia Nostra 
										di Roma. Presenti i rappresentanti di 
										Italia Nostra, della Commissione di 
										etnografia, antropologia e archeologia 
										della Societa' Geografica Russa (Mosca) 
										e della Associazione archeologia "Terra" 
										(Voronegh)
Durante 
										la visita della delegazione russa ad 
										alcune fortificazioni genovesi a Genova, 
										accompagnati da rappresentanti di Italia 
										Nostra.


































































Notare 
										nella parte superiore del bunker il buco 
										cementato nel dopoguerra dal quale 
										usciva la mitragliatrice
Anche 
										in questo caso la postazione Tobruk si è 
										staccata dal tunnel di collegamento 
										finendo per insabbiarsi nella spiaggia. 
										A destra in primo piano è visibile una 
										parte della barriera antisbarco
Una 
										veduta verso il mare dove è ben visibile 
										la barriera antisbarco sulla destra del 
										bunker
Un 
										dettaglio della postazione Tobruk e del 
										tunnel che porta al Regelbau. Sulla 
										sinistra la barriera antisbarco. Notare 
										il buco per la mitragliatrice nel parte 
										superiore del Tobruk inclinato
































































































































































































































«Lasciando 
										da parte quanto pensato in età 
										napoleonica, che costituisce un capitolo 
										a sé, la fortificazione di Trento venne 
										pianificata in modo sistematico dopo la 
										cessione del Veneto all’Italia, nel 
										1866. La città era considerata un punto 
										chiave per la difesa del Tirolo 
										meridionale da difendere strenuamente 
										anche in quanto icona, assieme a 
										Trieste, delle massime aspirazioni 
										irredentiste. «Tra il 1869 e il 1872 
										sorse lo sbarramento di Civezzano, poi 
										nel corso degli anni Ottanta si 
										costruirono gli sbarramenti di tutte le 
										principali vie d’accesso alla città e 
										una linea avanzata di forti in 
										Valsugana, all’altezza di Tenna. Alla 
										fine del secolo il settore della valle 
										dell’Adige venne rafforzato con le 
										moderne opere corazzate di Romagnano e 
										Mattarello. «Dopo il 1907 la piazzaforte 
										perse importanza ma fu nuovamente 
										oggetto di un’intensa attività di 
										fortificazione tra il 1914 e il 1916, 
										quando venne munita di un poderoso campo 
										trincerato. «Dichiarata ufficialmente 
										città-fortezza nel 1899, Trento venne 
										inoltre dotata di consistenti 
										infrastrutture militari: caserme, 
										magazzini, polveriere, un poligono, un 
										ospedale militare.» A proposito del 
										ruolo svolto dalle opere di 
										fortificazione permanente nel processo 
										di militarizzazione del territorio del 
										Tirolo meridionale, potrebbe condividere 
										con noi alcune brevi considerazioni 
										relative a come il paesaggio sia stato 
										piegato alle esigenze militari e con 
										quali ripercussioni sulla società e 
										sull’economia locale? «Nel libro ho 
										focalizzato l’attenzione in particolare 
										su due aspetti. Il primo è rappresentato 
										dal raggio di divieto di fabbrica, cioè 
										quell’area estesa attorno a ciascuna 
										fortezza in cui vigeva il divieto 
										assoluto (entro un raggio di 570 m) e 
										condizionato (entro i successivi 570 m) 
										di fabbrica. «L’effetto di questa norma 
										in tempo di pace fu non soltanto una 
										serie di vincoli per i proprietari dei 
										terreni inclusi nell’area, ma anche una 
										perdita del valore dei terreni stessi. 
										In tempo di guerra il raggio di divieto 
										di fabbrica imponeva inoltre la 
										demolizione degli edifici esistenti per 
										non ostacolare il tiro delle 
										artiglierie. «Il secondo aspetto che ho 
										analizzato è quello dell’abbattimento 
										della vegetazione imposto dalle autorità 
										militari ai terreni confinanti con i 
										forti, spesso molto esteso. Alcune 
										comunità, come quelle di Folgaria, si 
										opposero a simili provvedimenti perché 
										considerati un depauperamento del 
										patrimonio boschivo, mentre per altre – 
										come il Comune di Levico – l’occasione 
										venne colta per favorire l’ampliamento 
										dei pascoli alpini e per incentivare la 
										zootecnia. «Inoltre alquanto fastidiose 
										per la popolazione erano le 
										esercitazioni estive d’artiglieria, che 
										obbligavano i pastori ad allontanare il 
										bestiame dalle malghe durante la 
										monticazione. «Alcuni deputati trentini 
										presentarono delle interpellanze nel 
										Parlamento di Vienna per opporsi a 
										questi fenomeni di militarizzazione, ma 
										senza successo.» Passiamo a qualche 
										curiosità: quando venne fortificato il 
										Doss Trento? «Il Doss Trento fu oggetto 
										di un primo intervento di fortificazione 
										nell’autunno del 1848. Gli apprestamenti 
										dovevano servire tanto alla difesa della 
										città quanto a reprimere ogni eventuale 
										tentativo insurrezionale. «Nel 1860 si 
										aggiunse il magazzino delle munizioni 
										per la guerra, cioè utilizzabile anche 
										per il combattimento (era munito di 
										feritoie fuciliere), e vent’anni più 
										tardi un secondo magazzino delle 
										munizioni per la pace. «Nel primo di 
										questi due edifici venne ricavato negli 
										anni Cinquanta il Museo degli Alpini. 
										Sul colle si trovava inoltre una 
										caserma, una stazione per piccioni 
										viaggiatori, tre postazioni 
										d’artiglieria e altri edifici di 
										servizio. Durante la prima guerra 
										mondiale furono infine scavate delle 
										caverne.» Progetti futuri? «Non ho in 
										previsione altre ricerche relative alle 
										fortificazioni. Per il momento dovrò 
										dedicarmi ad alcuni progetti messi in 
										cantiere dal Museo della Guerra, poi si 
										vedrà.» Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it























































































































Nella 
										miriade di rocche e fortezze che 
										costellano l'Italia, particolarmente 
										suggestivi sono i castelli che sorgono 
										vicino al mare. Ve ne proponiamo cinque 
										perfetti per una gita fra storia, arte e 
										natura. 























Un 
										parco da poco restaurato, non ancora 
										terminato e che, in futuro, si 
										presuppone, diventerà parte della 
										cittadella universitaria della ex 
										Passalacqua. Il bastione delle Maddalene, 
										si legge su Wikipedia, è un bastione 
										della cinta magistrale di Verona, ultimo 
										baluardo del sistema difensivo 
										austriaco. 














Il 
										Castello Baronale di Tutino 




.jpg)




















L’Albania 
										è disseminata di bunker e, tra storia e 
										geniale follia, offre a turisti da tutto 
										il mondo la possibilità di una vacanza 
										unica nel suo genere. 
										







La 
										spiaggia di Porto Tramatzu a Capo 
										Teulada torna libera e non sarà più ad 
										uso esclusivo dei militari. 
										




Adolf 
										Hitler è morto nel suo bunker a Berlino, 
										suicida come è sempre stato raccontato 
										dagli storici. Stavolta però a 
										confermarlo è uno studio scientifico 
										dell'Università di Versailles citato 
										dalla rivista Focus e pubblicato sulla 
										rivista European journal of internal 
										medicine che ha esaminato i pochissimi 
										resti del corpo di Hitler ritrovati dopo 
										la liberazione di Berlino. Il corpo del 
										Führer non è mai stato trovato, 
										alimentando nel corso dei decenni le più 
										svariate interpretazioni sulla sua 
										morte. Le leggende più note parlano del 
										Führer in fuga su un sottomarino verso 
										l’Argentina o nascosto in una 
										improbabile e remota base 
										dell’Antartide. Tra le versioni storiche 
										più accreditate però c'era quella che 
										voleva il corpo di Hitler trasportato 
										nel giardino della cancelleria tedesca, 
										così come lui stesso avrebbe chiesto 
										prima di suicidarsi. I resti sarebbero 
										rimasti lì fino a quando Stalin non 
										ordinò ai servizi di controspionaggio di 
										nasconderli in un luogo sicuro di 
										Magdeburgo. Il comitato di sicurezza 
										dello stato russo, nel 1970, per timore 
										che la notizia potesse circolare 
										pubblicamente dando adito a sentimenti 
										neonazisti, una volta riesumate le 
										spoglie le fece cremare e disperdere. 
										
LECCE – 
										La profezia dell’astrologo di corte 
										Michele Scoto recitava: “Morirete vicino 
										la porta di ferro, in un luogo il cui 
										nome sarà formato dalla parola fiore…” 
										Per tale motivo Federico II di Svevia, 
										lo Stupor Mundi, o anche il Puer Apuliae, 
										si era sempre tenuto lontano dai luoghi 
										che ricordavano la parola fiore, Firenze 
										prima di tutte. Eppure, nei primi giorni 
										di dicembre del 1250, nel corso di una 
										battuta di caccia in Capitanata, 
										l’imperatore veniva colpito da un 
										violentissimo attacco di dissenteria che 
										gli impediva di rientrare nel suo 
										Palacium di Foggia, costringendolo a 
										ricoverarsi nella più prossima dimora 
										imperiale: Castel Fiorentino. Accanto al 
										letto dove trascorse la sua agonia, vi 
										era una porta murata, che un tempo 
										consentiva di accedere ad uno dei 
										torrioni ed i cui battenti erano in 
										ferro….. Federico morì nel castello a 56 
										anni, dopo alcuni giorni: il 13 
										dicembre. Il Castello era stato eretto 
										in epoca normanna sulla cima di una 
										collina. Si trattava in origine di una 
										piccola struttura, probabilmente una 
										torre che, in seguito, su iniziativa di 
										Federico venne trasformato in residenza 
										di caccia.