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ANNO 2022

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Il bunker di Marnate
Da varesenews.it del 29 maggio 2022

Sulla vecchia ferrovia della Valmorea, nel comune di Marnate, sorgeva il Cotonificio Bustese di Sciapira e Tognella. Era una delle tante aziende tessili che popolavano la Valle Olona.

Si trovava proprio di fronte alla stazione di Prospiano e dall’altra parte della strada durante la Seconda guerra mondiale venne realizzato un bunker lungo oltre 150 metri.
Nel 1943 venne realizzato un bunker. Ha una forma strana e non se ne capisce la ragione,

Probabilmente era destinato a conservare sabbie aurifere e forse anche oro che arrivava dall’Ossola. Nel settembre del 1944 quella zona fu liberata dalla resistenza e quindi non potevano essere spostati materiali da lì.

 

La Spezia, si lavora nel bunker blindato di Marola. Ma il suo futuro è top secret
Da ilsecoloxix.it del 29 maggio 2022

Partito il cantiere di bonifica dell’amianto nelle antiche gallerie. La Marina: un anno di lavori e 700 mila euro di investimento

Di MARIANO ALBERTO VIGNALI

La Spezia – Tutto pronto, ma nessuno lo potrà vedere come invece capita per la gran parte delle opere pubbliche, il nuovo super cantiere realizzato dalla Marina militare per una manutenzione un po’ “speciale”. Nessun segreto però, nessuna operazione riservata, solo il fatto che questo lavoro si svolgerà nel sottosuolo, tra gli abitati di Marola e Fabiamo, lungo la Strada Napoleonica all’altezza dell'Acquasanta.

 

Il nucleare di guerra in Italia una presenza negata e illegale
Da avvenire.it del 28 maggio 2022

Di Daniela Padoan

Un enorme arsenale nascosto nelle basi italiane mette a rischio la sicurezza di tutti

Per tre generazioni ci siamo attrezzati a considerare normale l’era contrassegnata dalla dottrina strategica militare nota come Mutual Assured Destruction( Mad, “pazzo”, nell’inconsapevole sapienza degli acronimi), cullandoci nella certezza di una Pax europaea garantita dalla costruzione della Ue, premiata nel 2012 con il Nobel per la pace per aver «contribuito a trasformare la maggior parte dell’Europa da un continente di guerra in un continente di pace». Dopo il disastroso incidente avvenuto nella centrale di Chernobyl nel 1986, abbiamo votato a larghissima maggioranza contro la presenza del nucleare civile in Italia, distogliendo lo sguardo dall’evidenza che fin dal 1957 il nostro Paese era utilizzato dagli Stati Uniti per lo schieramento di missili rivolti contro l’Urss e i Paesi dell’Est europeo riuniti nel Patto di Varsavia. Durante la guerra fredda, all’Italia era stato affidato il compito di rispondere a un eventuale attacco contro i Paesi Nato  sganciando testate nucleari americane su Praga e Budapest, come affermato dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga in un’intervista del 2005. La potenza di anche una sola testata sarebbe stata sufficiente a radere al suolo le due città.

Il Muro di Berlino è caduto da più di tre decenni, eppure nella base statunitense di Aviano, in Friuli Venezia Giulia, oggi si trovano almeno venti ordigni nucleari trasportabili con caccia F-16; altre venti bombe atomiche destinate ai caccia Tornado del Sesto stormo dell’Aviazione italiana si trovano nell’aeroporto di Ghedi, vicino a Brescia. In attuazione degli accordi bilaterali con gli Usa e conformemente alla politica Nato, la “condivisione nucleare” prevede che i Paesi ospitanti custodiscano le bombe statunitensi e che, in caso di guerra, i cacciabombardieri possano sganciare gli ordigni atomici sugli obiettivi stabiliti. Per essere pronti a svolgere un simile compito, i piloti delle forze armate nazionali si esercitano regolarmente anche in tempo di pace, mentre lo Stato italiano, secondo l’osservatorio sulle spese militari italiane Milex, affronta un costo direttamente riconducibile alla presenza di testate nucleari che può raggiungere i cento milioni di euro annui.

Le basi di Ghedi e Aviano sono sottoposte alla disciplina del segreto di Stato e il governo italiano non ha mai ammesso, ma nemmeno smentito, la presenza di testate nucleari sul nostro territorio. Un labirinto di irrealtà tiene in ostaggio i cittadini del Nord Est, privati persino della gravitas connessa a una situazione la cui enormità è ben spiegata in un’analisi del ministero della Difesa, riservata ai membri del Nuclear Operations Working Groupe resa nota da Greenpeace nel 2020. Secondo gli autori del documento, in caso di attacco terroristico, gli ordigni nucleari custoditi nei caveau di Ghedi e Aviano potrebbero deflagrare; gli hangar farebbero da camera di scoppio e diffonderebbero una nube tossica su tutto il Nord Est, causando un numero di vittime che potrebbe oscillare tra due e dieci milioni.

Per strappare il velo su una realtà tanto più agghiacciante nell’attuale rincorrersi di minacce atomiche tra superpotenze, ventidue associazioni pacifiste hanno commissionato un Parere giuridico sulla presenza delle armi nucleari in Italia alla sezione italiana di Ialana, l’Associazione internazionale degli avvocati contro le armi nucleari, con status consultivo presso le Nazioni Unite. Lo studio che ne è risultato – una chiara denuncia dell’illegalità della presenza degli ordigni nucleari sul suolo italiano, in violazione del Trattato di pace del 1947 e del Trattato di Non Proliferazione del 1968, ratificato dal nostro Paese nel 1975, oltre che di varie norme nazionali e internazionali – non nasconde la paradossale difficoltà di ottenere una condanna in via giudiziaria e un conseguente ordine di rimozione delle armi atomiche statunitensi, ma assume una potenzialità che va oltre l’azione giuridica: farci guardare ai vestiti dell’imperatore, per dire che è nudo. I vestiti sono l’insipienza e le convenienze di un potere che sacrifica la sicurezza dei cittadini a un altro concetto di sicurezza; la nudità è la semplice, non nascondibile, presenza in Italia – a 85 chilometri da Milano nel caso di Ghedi, a 95 chilometri da Venezia nel caso di Aviano – di un enorme arsenale atomico, dove le bombe nucleari B61-3 e B61-4 inizieranno a essere sostituite nei prossimi mesi dalle più sofisticate B61-12, dotate di quattro opzioni di potenza, fino a un massimo di 50 chilotoni ciascuna, vale a dire una forza di distruzione superiore a tre bombe di Hiroshima.

I cittadini, se informati, si esprimono con nettezza: il 74% degli italiani, secondo un sondaggio condotto da You-Gov, e addirittura l’80%, secondo un sondaggio commissionato a Ipsos da Greenpeace, sono a favore della rimozione delle armi atomiche dislocate nel nostro Paese. Dal Parere giuridico redatto dagli avvocati Joachim Lau e Claudio Giangiacomo possono nascere iniziative legali a livello nazionale e internazionale, ma anche un’opera di informazione capace di rendere tutti noi non bersagli inermi e svagati – o, al contrario, troppo oppressi per reagire – ma cittadini consapevoli, decisi a tornare allo spirito della fondazione delle Nazioni Unite, quando, con il documento finale della Sessione speciale sul Disarmo dell’Assemblea generale del 1978 (risoluzione S-10/2), venne chiesto agli Stati di abbandonare l’utilizzo della forza nelle relazioni internazionali e rafforzare la sicurezza tramite il disarmo. Nonviolenza, disarmo ed educazione alla pace continuano a essere gli strumenti che i cittadini del mondo possono, con determinazione, opporre agli interessi che fanno della violenza e della morte un lucroso mercato globale. Il potere nucleare è l’antitesi della democrazia, è un potere esclusivo, politico e militare, chiuso, segreto, che, senza alcun controllo, esercita un arbitrio di vita o di morte sulle comunità umane e sull’ecosistema che le ospita. Nessun diritto all’autodifesa degli Stati 'sovrani' precede il diritto alla sopravvivenza dell’umanità.

«Nella convinzione che un mondo senza armi nucleari è possibile e necessario – disse papa Francesco in visita a Nagasaki nel 2019 – chiedo ai leader politici di non dimenticare che queste non ci difendono dalle minacce alla sicurezza nazionale e internazionale del nostro tempo. Occorre considerare l’impatto catastrofico del loro uso dal punto di vista umanitario e ambientale, rinunciando a rafforzare un clima di paura, diffidenza e ostilità, fomentato dalle dottrine nucleari. Lo stato attuale del nostro pianeta richiede, a sua volta, una seria riflessione su come tutte queste risorse potrebbero essere utilizzate, con riferimento alla complessa e difficile attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile». Le armi nucleari, tra tutte le invenzioni umane, sono quelle che più chiaramente mostrano come il delirio di onnipotenza proprio della cultura antropocentrica si sia costituito in politiche di morte, contro le quali è necessario agire una nuova cultura del diritto alla pace, per la sopravvivenza delle comunità umane, dell’ecosistema e di tutti i viventi.

IL VOLUME

La denuncia dei giuristi disponibile in libreria Dal 26 maggio è in libreria il volume Parere giuridico sulla presenza di armi nucleari in Italia (185 pp., Multimage) redatto dagli avvocati Joachim Lau e Claudio Giangiacomo, di Ialana Italia. Fondata nel 1988 a Stoccolma, Ialana ( International Association of Lawyers Against Nuclear Arms) è un’associazione internazionale di legali che operano per l’eliminazione delle armi nucleari e il rafforzamento del diritto internazionale umanitario, con status consultivo presso le Nazioni Unite. Il volume, con un’introduzione di Elio Pagani e Ugo Giannangeli (associazione Abbasso la guerra) e una prefazione di Daniela Padoan (Associazione Laudato si’, ne pubblichiamo in questa un estratto) e Patrizia Sterpetti ( Women’s International League for Peace and Freedom - Wilpf) sarà presentato in anteprima il 4 giugno 2022 nell’ambito di EireneFest, il Festival del libro per la pace e la nonviolenza, che si terrà a Roma tra il 2 e il 5 giugno.

 

Italia Nostra: «La guerra in Ucraina minaccia le fortificazioni genovesi»
Da genovaquotidiana.com del 27 maggio 2022

Da anni esiste un progetto che internazionale di studio e salvaguardia promosso proprio da Italia Nostra chiamato, per ironia della sorte, “Eirene”, che significa pace. Se ne parlerà domani, sabato 28 maggio, alle 16:30, a Palazzo Ducale presso l’Accademia Ligure di Scienze e Lettere

In greco antico ‘eirene’ significa ‘pace’ e sembra un presagio beneaugurante che già anni fa, ben prima della deflagrazione del conflitto in Ucraina, Italia Nostra abbia scelto proprio questo nome per identificare un progetto culturale internazionale di alto valore scientifico che riguarda in particolare la martoriata area meridionale di quel Paese oggi in guerra, quella che si affaccia sul Mar Nero e che, nella sua storia millenaria, ha avuto anche, nel Medioevo, una fase di dominio coloniale commerciale della Repubblica di Genova, che qui insediò empori, costruì città e attrezzò porti per gli scambi di merci nel Mediterraneo.

Il patrimonio storico monumentale lasciato in eredità dalla dominazione genovese, che aveva la sua capitale coloniale a Caffa in Crimea, consta in particolare di numerosi sistemi di fortificazione, che sono stati studiati dal progetto Eirene condotto dal prof. arch. Giovanni Spalla, consigliere di Italia Nostra Genova, che riguarda tutte le tracce di fortificazioni genovesi in Europa e che sarà presentato domani 28 maggio 2022 alle 16.30 presso l’Accademia Ligure di Scienze e Lettere nel piano ammezzato di Palazzo Ducale, prima dell’inizio dell’assemblea dei soci della sezione genovese di Italia Nostra.
“Nella tragica attualità della guerra – dichiara Vincenzo Lagomarsino, presidente di Italia Nostra Genova – richiamare il progetto Eirene significa invocare la necessità di preservare, oltre alle vite umane, anche i monumenti storico-culturali minacciati di distruzione o danneggiamento: le fortificazioni genovesi sul Mar Nero sono un patrimonio culturale da difendere strenuamente come memoria della storia genovese nel mondo e come Italia Nostra siamo fortemente impegnati da anni per questo obiettivo, grazie all’iniziativa avviata e guidata dal prof. Spalla. Facciamo appello a tutti i genovesi affinché sostengano la nostra associazione che, con scarsi mezzi a disposizione, lotta trenuamente per tenere viva la memoria materiale del grande passato di Genova, non solo in luoghi lontani ma anche nella stessa città. Per difendere il patrimonio culturale lasciato in eredità dai nostri antenati è necessario il sostegno anche economico dei genovesi, per questo invitiamo caldamente tutti ad iscriversi alla nostra associazione e, se qualcuno volesse impegnarsi più a fondo, a dedicare qualche ora del proprio tempo a collaborare alle nostre attività. Salvare anche una piccola testimonianza del passato dall’abbandono, dall’incuria e a volte ahimé dalla distruzione è una grande soddisfazione, che ripaga ampiamente l’impegno profuso”.

 

La "sentinella" di Trapani aspetta il restauro da 20 anni: i soldi ci sono, ma nulla si muove
Da balarm.it del 26 maggio 2022

È uno dei migliori esempi di architettura militare in Sicilia. Ripercorriamo la sua storia recente e le novità sul restauro e la sua valorizzazione per i quali da anni c'è chi si batte

Di Jana Cardinale

Posta su un'isoletta all'estremità orientale del porto di Trapani, la Colombaia, uno dei migliori esempi di architettura militare in Sicilia, è probabilmente il più antico e  conosciuto (assieme a Torre di Ligny) simbolo della città dalla costa a mezzaluna.

Alta 32 metri, composta da quattro piani sovrapposti, richiama a sé diverse leggende legate alla prima edificazione, anche se gli storici sono quasi tutti concordi nell’assegnare ad Amilcare Barca (il padre di Annibale, condottiero capace di attraversare le alpi con gli elefanti e sconfiggere i romani) la sua fondazione, in occasione della prima guerra punica.

La Colombaia, detta anche Torre Peliade (per la forma alquanto inusuale degli scogli piccoli e sottili che la circondavano dando l’idea di tanti peli raggruppati) o Castello di mare, è in attesa di restauro, per tornare ad essere uno dei beni monumentali più rilevanti della Sicilia. Fino al 1965 venne impiegata come carcere, poi è caduta in stato di abbandono. Negli anni novanta venne restaurata la torre pericolante, mentre sul resto del castello la Soprintendenza regionale dei Beni culturali non poté intervenire perché appartenente al demanio statale. Nel 2009 fu individuata dal Fondo per l'Ambiente Italiano come Luogo del cuore degli italiani, e solo nel dicembre 2010 il decreto della 'Colombaia' è stato firmato dal Presidente della Repubblica, in modo da trasferire il bene dallo Stato alla Regione Siciliana, che ne ha annunciato il restauro.

Nei giorni scorsi, l’Associazione Salviamo la Colombaia - presieduta da Luigi Bruno - che da anni si batte per la sua salvaguardia e la sua valorizzazione, nel 20esimo anniversario della sua istituzione, ha celebrato “Il Colombaia Day” con un convegno dedicato al tema al quale è intervenuto il sindaco di Trapani, Giacomo Tranchida, che ha illustrato l’iter progettuale presso l’Assessorato Regionale per i Beni Culturali, per la ristrutturazione dell’immobile, comunicando che i fondi del PNRR, circa 24 milioni di euro, sono stati già assegnati dal governo centrale e che si è in attesa solo dell’avvio della prassi burocratica regionale attraverso la quale indire una gara a livello internazionale per la realizzazione di un progetto di fattibilità.

La sentinella del porto di Trapani, quindi, fortino solitario che si erge sull'isoletta all'estremità orientale dell’approdo cittadino, che veglia da secoli i traffici che ne solcano le acque, potrebbe finalmente avere l’identità desiderata e auspicata da studiosi e appassionati. Una testimonianza preziosa che ha resistito al passare del tempo e alle maree.

Il nome “della Colombaia”, vicino alla semplicità della natura, è dovuto alle nidificazioni delle colombe che scelsero l’isola e il castello come porto sicuro durante i suoi numerosi periodi di abbandono, nonché punto strategico lungo la rotta migratoria verso le coste dell'Africa. Il 20 maggio scorso, l’Associazione “Salviamo la Colombaia”, ha attribuito tre riconoscimenti di “Benemeriti della Colombaia” a Vito Cacciatore, a Giacomo Di Girolamo, e agli architetti dello Studio Castellinaria di Marsala - Benny Musillami, Peppe Rizza, Luisa Alagna, Simona Barbaro, Simona Piazza, Ottavio Cospolici – autori, questi ultimi, di un progetto di riqualificazione che avrebbe potuto cambiare le sorti del bene, e che è rimasto, invece, inespresso a causa di paludi burocratiche e procedurali regionali. Una ‘solitudine’ denunciata costantemente dal presidente Bruno, la cui Associazione negli anni ha nominato 71 ‘alfieri’ della Colombaia e che conta diversi ‘ambasciatori’ della Colombaia in Italia e nel mondo. Il Castello della Colombaia è uno dei luoghi più affascinanti e suggestivi della città, per la sua posizione sul mare, per la storia che lo ha reso patrimonio architettonico, perché perdersi nell’atmosfera che lo circonda vuol dire vivere la scoperta di uno dei tesori più significativi di Trapani; una fortezza i cui racconti intrecciano realtà e leggenda.

E c’è grande attesa per il suo ritorno alla vita grazie ai fondi del Recovery Plan, dopo decenni di stasi non senza polemiche, proprio come l’attiva Associazione trapanese rende noto in tanti anni di attività legata alla divulgazione della conoscenza, alla tutela e allo scopo di restauro dello stesso bene monumentale, per la cui visita è necessario richiedere autorizzazione al Museo Pepoli di Trapani.
Al convegno dei giorni scorsi a Trapani hanno preso parte, tra gli altri, anche Gaspare Panfalone, in rappresentanza degli operatori portuali, facendo rilevare che l’isola e la Colombaia potrebbero far parte di un programma che possa riguardare la sistemazione del porto di Trapani e che si potrebbe sollecitare l’interesse dell’Autorità del Sistema portuale, Giuseppe Romano, con un excursus sul suo percorso nei secoli, grazie anche a notizie storiche scaturite dalle ricerche del genealogista Rosario Salone, e Paolo Salone che, secondo le proprie competenze in destinazioni turistiche, ha indicato la Colombaia quale modello di sviluppo turistico e polo di attrazione culturale, al pari di diversi altri siti restaurati in altre città europee che hanno saputo apportare benefici di grande rilevanza.

L’architetto Roberto Manuguerra ha tracciato una panoramica sull’itinerario dell’Associazione, ricordando le difficoltà incontrate negli anni, per sostenere la rinascita della Colombaia. Significativa la presenza di un Ufficio delle Poste Italiane, per l’annullo sulle cartoline predisposte d’Associazione. Il Castello che svetta sul mare come un faro guardingo, resta ancora ad aspettare.

 

Pizzighettone, presentazione della proposta di rilancio delle Casematte
Da cremonaoggi.it del 25 maggio 2022

Si terrà lunedì 30 maggio alle 11.30 nella Casamatta numero 1 in Via Boneschi a Pizzighettone l’evento organizzato dal Comune di Pizzighettone con il supporto di REI – Reindustria Innovazione. E’ un incontro aperto a tutti, per “condividere una proposta strategica di rilancio del territorio, coinvolgere ed ascoltare aziende del territorio e stakeholder pubblici e privati”, come spiega l’Amministrazione.

L’obiettivo è “sviluppare insieme il progetto che verrà candidato sul Bando regionale AREST (Accordi di rilancio economico sociale e territoriale), che nello specifico riguarderà la possibilità di rifunzionale le case matte, patrimonio eccezionalmente quasi integro, di architettura militare bastionata”. Le “potenti strutture fortificate non sono semplici segmenti di mura, ma anche sconfinati spazi coperti (le casematte), ricchi di potenzialità e suggestioni che potranno dare vita a nuove occasioni di sviluppo imprenditoriale”.

Ad aprire i lavori saranno il Sindaco di Pizzighettone, Luca Moggi e il Segretario Generale della Camera di Commercio di Cremona, Maria Grazia Cappelli. Con Marco Boccoli, Vicesindaco e Assessore Area Tecnica, verrà presentato il progetto proposto dal Comune e le traiettorie future dell’Amministrazione. A seguire sarà previsto l’intervento di Lorenza Marchi, Project Developer di Rei – Reindustria Innovazione, che illustrerà l’opportunità degli Accordi di Rilancio Economico Sociale e Territoriale, ed infine verranno fornite testimonianze ed esperienze da  parte delle Imprese e delle Associazioni di Categoria territoriali (Confcommercio Cremona, CNA Cremona, Associazione Industriali Cremona, Libera Associazione Artigiani Cremaschi, Sistema Impresa Asvicom Cremona). La seduta verrà moderata da Rei – Reindustria Innovazione, Ilaria Massari.

Il Bando AREST è uno strumento di programmazione negoziata ovvero un modello di programmazione territoriale «di scopo» o «per obiettivi» ove l’azione dei soggetti pubblici e privati è finalizzata a perseguire precisi obiettivi di sviluppo economico e incremento dell’occupazione realizzare interventi pubblici per migliorare i territori. È finalizzato a rendere più attrattivo il territorio in un panorama economico nel quale il singolo contesto territoriale in tutte le sue componenti istituzionali, sociali e produttive, deve fare sistema e proporsi agli investimenti. L’evento è gratuito e aperto a tutti senza obbligo di iscrizione e verrà realizzato nel rispetto delle normative covid vigenti.

 

Case-torri e fortezze militari al tempo dei Visconti, visita guidata con libro in omaggio
Da mentelocale.it del 21 maggio 2022

Sabato 21 maggio 2021 proseguono i tour a tema Visite Guidate per Tutti alla (ri)scoperta di Milano con libro in omaggio firmati In giro per Milano. Si tratta di itinerari alla riscoperta di Milano che prendono sempre spunto da un libro (che viene dato in omaggio all'inizio del tour),attraverso il quale è possibile approfondire le storie, gli aneddoti e le curiosità sui luoghi e i personaggi del passato che si incontrano nel corso della visita.

Alle ore 10.30 di sabato 21 maggio 2022 è in programma il tour guidato Casetorri e fortezze militari al tempo dei Visconti con partenza dal Teatro Dal Verme, in via San Giovanni sul Muro.
Dal 1385 Milano passa sotto un unico signore, Gian Galeazzo Visconti. Grandi progetti e intrighi vengono orditi nei palazzi nobiliari, sui campi di battaglia e nelle piazze. Dal Teatro Dal Verme alle antiche case-torri della città, dal Bottonuto ai luoghi della corte, un itinerario alla scoperta della Milano di fine Trecento e dei quartier generali dei suoi condottieri.

Il tour guidato ha un costo di 17 euro che include visita guidata e microfonaggio: per tutti i partecipanti, in omaggio il libro Il morso del basilisco di Luigi Barnaba Frigoli (in caso di partecipazione in coppia si può scegliere in alternativa anche Milano: la città e la sua storia di Tito Livraghi).

Per info e prenotazioni, scrivere una email o inviare un sms al numero 333 6377831.

 

All'interno del complesso Raven Rock Mountain, il bunker di Biden in Face of Nuclear War
Da tebigeek.com del 21 maggio 2022

L’invasione russa dell’Ucraina ha sollevato ancora una volta lo spettro di una guerra nucleare mentre lo stato del presidente Vladimir Putin è alle prese con il sostegno fornito all’Ucraina dagli Stati Uniti e dai suoi alleati occidentali.
Poiché gli aiuti esteri, compreso l’equipaggiamento militare statunitense, sono entrati nel paese, la Russia ha resistito alla minaccia delle armi nucleari mentre le sue forze hanno lottato per raggiungere i loro obiettivi.
L’ex presidente russo Dmitry Medvedev ha avvertito la scorsa settimana del rischio di “una vera e propria guerra nucleare” in caso di conflitto tra Russia e Occidente, mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha precedentemente affermato che la Russia sta usando quella minaccia per “ricattare il mondo .”

Obiettivi militari

Molti americani sono abbastanza grandi da ricordare l’incombente minaccia di un conflitto nucleare durante la Guerra Fredda, quando il governo degli Stati Uniti fece piani per il funzionamento continuato dello stato in caso di attacco nucleare da parte dell’ex Unione Sovietica.

Sebbene molti aspetti della reazione degli Stati Uniti a un attacco nucleare siano comprensibilmente classificati, una struttura a Liberty Township nella contea di Adams, in Pennsylvania, potrebbe svolgere un ruolo chiave.

Il Raven Rock Mountain Complex è stato spesso definito il “Pentagono sotterraneo” e si ritiene che il governo degli Stati Uniti  opererebbe dal complesso se la capitale della nazione fosse stata oggetto di un attacco devastante.

Nel 2019, la TV di stato russa ha incluso Fort Richie nel Maryland in una mappa di potenziali obiettivi militari che includeva anche il Pentagono e Camp David. Ciò sembrava sconcertante perché Fort Richie era stato chiuso nel 1998. Fox News all’epoca ipotizzò che la sua vicinanza a Raven Rock fosse la ragione della sua inclusione. Un conduttore della TV di stato russa ha recentemente rifiutato di scusarsi per aver mandato in onda un grafico raffigurante un attacco nucleare che distruggerebbe il Regno Unito e l’Irlanda, definendo la distruzione dell’Irlanda, una nazione tradizionalmente neutrale, “danno collaterale”.

Questo tipo di retorica può dare nuova importanza a strutture come Raven Rock.

Il buco di Harry

Raven Rock, chiamato anche “Sito R”, è stato costruito all’inizio degli anni ’50. Secondo quanto riferito, è stato anche soprannominato “Harry’s Hole” in onore dell’allora presidente Harry S. Truman, che ha ordinato il lancio di due bombe atomiche sul Giappone nel primo attacco nucleare della storia.
Si dice che l’ex vicepresidente Dick Cheney abbia trascorso del tempo presso la struttura in seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre nel 2001. Ciò suggerisce che il presidente Joe Biden potrebbe operare da Raven Rock se le cose fossero diventate disperate. La stampa di Pittsburgh riferì già nel 1991 che “l’enorme bunker di 260.000 piedi quadrati era il frutto” dell’ex presidente Truman, che ne ordinò la costruzione nel 1949. Nel 2018, Robert Stanley, sindaco di Fairfield, Pennsylvania, ha  dichiarato a Fox 43 che “la maggior parte delle persone non ha idea di cosa ci sia dentro”. Fairfield è un borgo vicino al sito classificato.

Guerra nucleare

Garrett Graff è un giornalista e autore del libro del 2017 Raven Rock: la storia del piano segreto del governo degli Stati Uniti per salvarsi, mentre il resto di noi muore. Ha parlato con PhillyVoice del complesso montuoso l’anno in cui è stato pubblicato il suo
libro.
“Raven Rock è il luogo in cui inizierebbe la guerra nucleare negli Stati Uniti”, ha detto Graff.
Graff ha anche detto a NPR nel 2017: “Raven Rock è questa montagna massiccia e scavata. È una città indipendente… con edifici individuali, edifici a tre piani, costruiti all’interno di questa montagna. Ha tutto ciò che una piccola città sarebbe… lì ci sono i vigili del fuoco, c’è un dipartimento di polizia, strutture mediche, mense”.
“La struttura da pranzo serve quattro pasti al giorno, è una struttura aperta 24 ore su 24, ed è stata in una certa misura messa fuori servizio durante gli anni ’90 alla fine della Guerra Fredda e poi è stata riavviata in fretta dopo l’11 settembre ed è stato piuttosto drammatico ampliato negli ultimi 15 anni e oggi potrebbe ospitare fino a 5.000 persone in caso di emergenza”, ha affermato.

Sotto il Picco della Montagna

Il giornalista investigativo Eric Schlosser ha scritto di Raven Rock nel suo libro del 2013 Comando e controllo: armi nucleari, incidente di Damasco e illusione della sicurezza. Schlosser ha scritto che il complesso “si trovava a circa mezzo miglio all’interno di Raven Rock e un altro mezzo miglio sotto la cima della montagna. Aveva centrali elettriche, serbatoi d’acqua sotterranei, una piccola cappella, gruppi di edifici a tre piani situati all’interno di vaste caverne e abbastanza posti letto per ospitare duemila alti funzionari del Pentagono, del Dipartimento di Stato e del Consiglio di sicurezza nazionale”.
Il Raven Rock Mountain Complex ha ricevuto 45 milioni di dollari di finanziamenti governativi nel 2018 ed è ancora oggi una struttura militare operativa.
Quando raggiunto da Settimana delle notizie per un commento su Raven Rock, un portavoce del Dipartimento della Difesa ha dichiarato in una dichiarazione: “Raven Rock Mountain Complex supporta il Segretario alla Difesa, il Presidente del Joint Chiefs of Staff e altri funzionari del DOD e consente l’esecuzione delle funzioni essenziali del DOD durante le emergenze .”

 

Bunker in Alto Adige: nuova mostra al Forte di Fortezza
Da ladigetto.it del 18 maggio 2022

Il 27 maggio al Forte di Fortezza verrà presentata la nuova mostra permanente «Bunkerizzato. Bunker in Alto Adige»

La nuova mostra permanente al Forte di Fortezza «Bunkerizzato. Bunker in Alto Adige» si concentra sul Vallo Alpino, costruito negli anni 1930 e 1940: Attraversava tutto l'arco alpino e contava oltre 300 bunker solo in Alto Adige, cinque dei quali si trovano a Fortezza (uno, il bunker n. 3, appartiene al Forte di Fortezza e può essere visitato con una visita guidata). Il Vallo Alpino non fu mai completato, tuttavia, alcuni bunker furono riattivati durante la Guerra fredda e ampliati in caso di invasione dall'est.

La mostra mira a far luce sulle strutture difensive nascoste, sui loro retroscena storici e politici, così come sui requisiti tecnici per la costruzione dei bunker, e a sottolineare il valore della coesistenza pacifica.

La mostra «Bunkerizzato. Bunker in Alto Adige» verrà presentata venerdì 27 maggio 2022 alle ore 14 al Forte di Fortezza dal Presidente della Giunta provinciale ed assessore ai musei Arno Kompatscher, Massimo Bessone, Assessore all’Edilizia, al Libro fondiario, al Catasto e al Patrimonio, Thomas Klapfer, sindaco di Fortezza e presidente dell‘Associazione Oppidum e da Angelika Fleckinger, direttrice dell’Azienda Musei provinciali.

Seguiranno una performance con Matthias Schönweger, artista performativo e visivo nonché scrittore ed una visita alla mostra con la coordinatrice del Forte, Esther Erlacher, la moderatrice, curatrice e giornalista, Anita Rossi, Antonio Russo del gruppo di mediazione del Forte e da Karl Pircher della ditta Walking Chair, che ha curato il design della mostra.

Per partecipare all'inaugurazione si prega di compilare il modulo di iscrizione che si trova sul sito del museo al link https://www.franzensfeste.info/wp-content/uploads/Anmeldeformular-Modulo-d%E2% 80%98iscrizione-_Eingebunkert-Bunkerizzato.pdf e di mandarlo entro il 23 maggio all’indirizzo mail info@franzensfeste.info.

La mostra sarà visitabile dal pubblico a partire dal 28 maggio.

 

Genova, alla scoperta delle torri del '500 usate dai nobili per sfuggire ai pirati
Da primocanale.it del 18 maggio 2022

Un passato che si lega alla posizione geografica dei due quartieri che sorgevano al di fuori della cinta muraria. Oggi spesso bistrattati e definiti "degradati", tra le vie si scoprono scorci di una storia di ricchezza con ville e torri ormai in disuso

GENOVA-Un viaggio alla scoperta di Sampierdarena e la sua storia grazie alle torri che nel 500 venivano usate dai nobili per sfuggire ai pirati. Torri di villa e di avvistamento, alcune andate perdute, altre che con i loro pennacchi spuntano oggi tra i palazzi di Sampierdarena e Cornigliano, rinchiuse tra palazzi e negozi e sconosciute ai più. Molte sono ora appartamenti, altre, come le torri di avvistamento, si nascondono nella loro veste appartenente a un'altra epoca tra gli edifici.

Una storia non conosciuta, ma non dimenticata: per questo sono state più di cento le persone che nel weekend del 14 maggio hanno approfittato dei due tour guidati alla riscoperta di questi simbolici baluardi per camminare tra le vie di Sampierdarena e Cornigliano imparando qualcosa di nuovo. Mentre Genova veniva soprannominata 'la Superba', infatti, Sampierdarena era definita 'Manchester', una 'piccola Svizzera' per la sua posizione, le sue numerose ville e i tanti cantieri navali.

Un passato che si lega alla posizione geografica dei due quartieri che sorgevano al di fuori della cinta muraria di Genova. In quel secolo le scorrerie dei pirati sembravano aumentare giorno per giorno: per questo, oltre alle sette torri di avvistamento costruite nel 1300, di cui ne sono sopravvissute solo due, nascoste tra i tetti dei palazzi, le famiglie aristocratiche che costruivano grandi case di villeggiature vista mare avevano sentito la necessità di difendersi da possibile razzie con nuovi torri dove nascondersi insieme ai loro gioielli per scampare ai pirati.
Due percorsi per alzare gli occhi dalla strada e scoprire le punte delle torri di Sampierdarena e Cornigliano, il primo con partenza in via Bombrini, l'altro, da via Ludovico Muratori. Partendo dalla Fiumara con la torre di una villa della famiglia Grimaldi ormai distrutta, inglobata adesso tra i palazzi di Arpal e l'Agenzia dell'entrate, si continua per via d'Aste, la vecchia Aurelia, dove ci sono tantissime delle ville che al loro tempo avevano l'accesso al mare: per questo sfalsate ora si possono ammirare camminando ancora per un chilometro fino alla fine di via Cantore.
A parlare delle torri un'esperta delle ville del quartiere, Gloria Mignone, che dal 2008, insieme all'associazione Cercamemoria, prova a mettere Sampierdarena e la sua storia sotto una nuova luce. "La villa era una costruzione agricola precedente, poi ampliata: ogni villa aveva un suo giardino con l'accesso al mare ma soprattutto, la torre. Un elemento di pregio ma soprattutto un fattore difensivo: i patrizi prendevano tutti i loro beni mobili e si chiudevano nella torre insieme agli aristocratici delle ville vicine, che spesso erano amici o famigliari. La stessa famiglia, infatti, costruiva diverse ville una vicina all'altra, così da ospitare anche i loro scambi commerciali, di cui in poi infondo vivevano".

Il progetto, intanto, è nato nel 2020, quando la onlus Italia Nostra nazionale ha vinto il bando nazionale finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali "alla ricerca dei Beni Comuni", nato per la valorizzazione dei beni poco conosciuti del territorio nazionale. La sezione di Genova ha aderito subito al progetto e in collaborazione con le associazioni Ascovil di Cornigliano, i Cercamemoria della Bbilioteca Gallino e Pianissimo di Sampierdarena ha individuato un segreto nascosto tra i palazzoni di due quartieri spesso definiti degradati. Valorizzarli si può, anche attraverso la riscoperta della storia di ricchezza e potenza delle famiglie nobili del ponente che abitavano maestose ville e scappavano dai pirati in grosse torri.

 

Portoferraio, pulizia 'acrobatica' di un bastione delle Fortezze Medicee
Da tenews.it del 18 maggio 2022

Gli operatori utilizzeranno due diverse tipologie di ancoraggi.

Il bastione del Cornacchino, uno degli avamposti delle cinquecentesche Fortezze Medicee che si trova sopra l’info Point in via Vittorio Emanuele II, sarà oggetto oggi di uno spettacolare intervento di taglio della vegetazione infestante che sarà effettuato dagli addetti della società ‘Il Legno s.r.l.’ di Nepi (Viterbo) creata da Fausto Colonnelli, specializzata in questo particolare tipo di operazioni che richiedono l’utilizzo di funi.. L’intervento ha fini dimostrativi e non prevede alcun esborso da parte del Comune. A rimuovere la vegetazione calandosi dall’alto saranno tre operai specializzati.

Sul posto saranno presenti anche il direttore tecnico del settore edilizia su fune Christian Vecci ed il direttore commerciale Emanuele Lupi. Gli operatori utilizzeranno due diverse tipologie di ancoraggi: il primo, definito principale, dovrà sopportare il loro peso durante l’esecuzione degli interventi ed è realizzato mediante “incravattamento” di parti strutturali dell’edificio; il secondo, definito secondario, comporta la realizzazione di una linea vita provvisoria con utilizzo di ancoraggi meccanici del tipo Hilty o Spit. Per tutta la durata delle lavorazioni è previsto l’utilizzo di una mantovana aerea che verrà assicurata alla linea vita provvisoria. L’intervento si protrarrà fino a sera.

 

Torre del Serpe, la leggenda legata all’antico faro ad olio
Da leccenews.it del 17 maggio 2022

Il nome Torre del Serpe è legato ad un’antica leggenda. Ogni notte un serpente saliva dalla scogliera per bere l’olio che teneva accesa la lanterna del faro, ma un giorno….

Il tratto che da Otranto conduce al Faro di punta Palascia nasconde tanti ‘gioielli’ da scoprire. Percorrendo la litoranea è impossibile non notare la Torre del Serpe, un’antica torre che è diventata con il tempo un punto di riferimento per i marinai che volevano raggiungere le coste del Salento con il loro carico di merci e storie da raccontare. Sempre lì, per un arrivederci a chi spera di tornare o un addio rassicurante a chi ha la certezza che troverà sempre quella luce ad aspettarlo.
Vigile, silenziosa, mostra i segni della sua battaglia, in parte persa contro i venti che soffiano forte e le intemperie. Ora, malmessa, ma sempre bellissima, continua a ‘combattere’ illuminata del sole che batte forte sulla costa.

Torre di avvistamento, sì o no?

Sentinella silenziosa? Non tutti gli studiosi concordano sul fatto che la torre sia stata costruita per sorvegliare il mare. Per la sua forma, diversa dalle altre costruzioni di avvistamento che si possono incontrare lungo le coste del Salento, ma anche per la sua posizione. Si affaccia sulla scogliera solitaria, troppo lontana per ‘comunicare’ con Torre Sant’Emiliano o Torre Minervino. In caso di pericolo, infatti, chi era di vedetta avvisava i vicini per metterli in guardia e organizzare la difesa. La torre della Serpe sarebbe stata più un faro, lì posto per avvisare i naviganti della presenza di quell’ultimo lembo di terra.
Dopo la battaglia di Otranto del 1480 e la morte degli 800 martiri, quando iniziò la grande opera di costruzione delle torri costiere, quelle ‘vecchie’ furono restaurate ed integrate nella fitta rete di nuove sentinelle. Torre del Serpe era una di queste. Questo giustifica la sua presenza negli Elenchi del Vicerè del 1569 (indicata col nome di “T. di capo Cocorizzo”).

La leggenda

La Torre del Serpe, simbolo di Otranto, deve il suo nome ad un’antica leggenda. Le sue mura raccontano storie di pirati ‘beffati’ da un serpente che, durante la notte, si intrufolava nella struttura per bere l’olio del fanale che illuminava tutto intorno. Una notte, prima di quel 1480 passato alla storia, i Turchi tentarono di assediare la città. Le navi piene di soldati riuscirono ad avvicinarsi pericolosamente alla costa, mentre i “guardiani”, cullati dalla fresca brezza marina si erano addormentati sotto un tetto di stelle, noncuranti della minaccia in arrivo dal mare. Fu il serpente ad evitare l’invasione, spegnendo la lanterna alimentata a olio, che nelle notti senza luna tracciava la rotta ai naviganti. I Saraceni, disorientati, sbarcarono a Brindisi.
C’è anche un altro racconto, nato ai tempi di Maria d’Enghien,che Maria Corti narra nell’Ora di tutti. Dice che quello della torre era un luogo sinistro «dove la notte i morti tornavano dal mare alla riva; salivano sugli scogli e andavano con sottili lamenti fra le malerbe».
A sbattere a causa del buio, questa volta, fu un galeone proveniente da Venezia. La flebile luce delle stelle non bastò e il mercantile andrò contro gli scogli, condannando i mercanti. Da quel giorno, nelle notti d’estate, quando il mare è calmo, è possibile ascoltare ancora i lamenti e le cantilene dei marinai che persero la vita. Dopo secoli, le anime inquiete dei dispersi in mare vagano ancora alla disperata ricerca della riva.

Foto di copertina Roberto Maffei

 

Martina Franca, il bunker anti-atomico. "Nome in codice Fionda": in caso di attacco nucleare all'Italia...
Da liberoquotidiano.it del 17 maggio 2022

Parlare di bunker anti-atomici in Italia, oggi, è inquietante ma non più anacronistico. La guerra in Ucraina ha riacceso i timori di un'Apocalisse nucleare e il nostro Paese rischia di finire nuovamente in prima linea come "fronte" nel conflitto muscolare tra la Russia di Vladimir Putin e la Nato. Un conflitto da combattere essenzialmente in Europa, e le nazioni che potrebbero diventare bersaglio dei missili con testate nucleari russi, dalle basi di Kaliningrad, sono essenzialmente quattro: Germania, Gran Bretagna, Francia e appunto Italia.

La Gazzetta del Mezzogiorno ha fatto entrare le sue videocamere in uno dei pochi bunker anti-atomici italiani in Puglia, a Martina Franca nel cuore del bosco delle Pianelle. Area off limits creata negli Anni 50, in piena Guerra Fredda, per ospitare il Terzo Roc (Regional Operative Command) dell'Areonautica Militare, attivo fino al 1998. Di fatto, uno dei cervelli dell'Areonautica italiana, che aveva il compito di monitorare i cieli 24 ore su 24 e di cui si doveva garantire l'operatività anche in condizioni estreme come quella successiva a un attacco nucleare, per decenni eventualità remota ma sempre considerata possibile se non addirittura imminente in momenti di gravi crisi internazionali.

Con la caduta del Muro prima e dell'Unione Sovietica, molti auspicavano che fosse "finita la storia", perlomeno quella della minaccia bellica nel cuore dell'Europa. Oggi, purtroppo, abbiamo capito che l'illusione è finita.

E così entrare in quelle stanze blindate, scavate a 50 metri di profondità sotto le colline della Murgia, sembra quasi una cupa premonizione di quello che ci attende. In quelle sale a prova di bomba (e di fungo) sono ancora visibili i computer e i monitor della gigantesca consolle che permettevano ai militari di seguire in tempo reale i radar piazzati lungo le coste italiane.

Oggi quelle funzioni sono passate al aereo al centro di Poggio Renatico, in Emilia Romagna.

 Ma vedere sugli schemi i nomi in codice dei radar italiani fa scorrere un brivido lungo la schiena.

 

Cengio, bunker della Seconda Guerra mondiale diventa un laboratorio di formaggi pregiati
Da lastampa.it del 17 maggio 2022

Il progetto di recupero dell’imprenditore Fabrizio Pera ridà vita alla “Grotta del Lauro”

Di Mauro Camoirano

Il bunker dimenticato da 80 anni diventa un laboratorio per la stagionatura ed affinazione dei formaggi, con possibilità di visite per i clienti. Il progetto di recupero de «La Grotta del Lauro», bunker antiaereo scavato nella roccia che sovrasta la linea ferroviaria a Cengio Genepro, è portato avanti da Fabrizio Pera, cengese, titolare dell’azienda «Pe.Ra formaggi», piccola realtà del cuneese (ha sede a Saliceto).

 

Viaggio nel bunker anti-nucleare nascosto nel bosco di Martina Franca
Da lagazzettadelmezzogiorno.it del 16 maggio 2022

TARANTO - Nel cuore del verdeggiante bosco di Pianelle, alle porte di Martina Franca c’è un’area «off-limits», delimitata da un grande cancello verde al di là del quale, dalla metà degli anni ’50 fino al 1998 ha operato il Terzo Roc (Regional operative command) dell’Aeronautica Militare, a cui era deputato il monitoraggio dei cieli 24 ore su 24.
La base, scavata nel fianco della collina nella Murgia tarantina in piena Guerra Fredda, a 50 metri di profondità, è a prova di attacco nucleare. Una necessità dettata dai tempi – allora – con lo scontro dei due blocchi, quello atlantico e quello sovietico, che era costante fonte di tensione. Oggi il sito, «disattivato» per i compiti che svolgeva alla fine del secolo scorso, resta uno dei pochi bunker blindati in provincia di Taranto. L’esigenza della sua protezione a prova di bomba era legata al delicato compito: in caso di attacco, sarebbe stato necessario garantire in totale sicurezza le comunicazioni e le operazioni di controllo dei cieli.

Nel 2015 gli stretti cunicoli che portavano al cuore della montagna e alla grande sala operativa che ospitava le «consolle» su cui arrivavano le tracce dei radar disseminati lungo le coste italiane, sono stati ufficialmente chiusi, dopo il trasferimento delle funzioni di controllo aereo al centro di Poggio Renatico in Emilia Romagna. La «Gazzetta» è andata a vedere cosa è rimasto oggi di questo importante tassello della difesa aerea che, per mezzo secolo, ha prodotto sicurezza per il nostro Paese. A farci da guida è un «Virgilio» davvero d’eccezione: il colonnello Donato Barnaba, attuale comandante della base che ospita il 16esimo Stormo Fucilieri dell’aria. È la sua terza volta a Martina Franca. Il suo primo incarico, da giovane sottotenente, era legato all’attività di soccorso aereo coordinata dal Terzo Roc. Originario di Putignano, Barnaba conosce la base come le sue tasche.

«Una delle articolazioni principali di questo sito era la difesa aerea per quel che riguarda la Terza Regione, ovvero la parte meridionale dell’Italia. Ci occupavamo della sorveglianza dello spazio aereo, pronti ad intervenire laddove ci fossero state delle “tracce” sospette sui radar, ovvero non riconosciute o non autorizzate». La caverna di Martina Franca ha tre livelli operativi: il primo sulla strada con l’ingresso blindato e il corpo di guardia, il secondo a meno 25 metri con le sale di lavoro per l’elaborazione dei dati e quella più «segreta» e operativa a meno 50 metri scavata nel cuore della collina di Pianelle. Un dedalo di corridoi ad aerazione forzata che, dalla collina, portavano dritti al cuore del controllo dei cieli del Mediterraneo. La Libia con i suoi missili puntati aveva indotto lo Stato ad arretrare quella “prima linea” europea di fronte alle coste africane per supportare la Marina di Taranto sino al Veneto. Qui tornano alla mente quei giorni di ottobre del 1991, quando i telefoni della sala operativa di Martina trillavano per cercare di decifrare il giallo senza fine dell’Itavia. Oggi quella galleria inaugurata negli anni ‘50 per controllare lo spazio aereo insieme agli americani, che a Trasconi avevano la base Nato e i radar, è stata definitivamente murata. La storia in breve di questa «sede operativa protetta» inizia nel 1953. A 50 metri di profondità centinaia di persone operavano 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 per sottrarre rocce e terra alla montagna e realizzare la base. I lavori di scavo, da dicembre 1959 permisero di ospitare la base di Difesa aerea territoriale, divenendo nel 1962 Comando operativo di Regione, inglobando le competenze dal 1963 nella catena di difesa aerea della Nato che ne assunse il nome nel 1964. Nel 1998, il reparto di Martina divenne Centro operativo alternato e mobile fino al 2000 con funzioni di comando e controllo delle operazioni aeree nazionali. A seguito della ristrutturazione dei vertici della Forza  rmata, la base martinese fu destinata a compiti nel settore delle telecomunicazioni, quale centro nodale dell’Aeronautica Militare per l’Italia meridionale mentre dal 2004, diventa 16esimo Stormo, con la denominazione «Protezione delle Forze».

Oggi di quello scenario da Wargames, il celebre film di John Badham con Matthew Broderick, rimane grazie alla lungimiranza dell’Aeronautica e alla passione del personale militare, una sala espositiva, dove si possono ancora ammirare apparecchiature elettroniche, radar, pannelli operativi e registratori a nastro del vecchio Terzo Roc.

Sulle «consolle» ricostruite con cura e dedizione, resta la testimonianza di un’epoca che sembra lontanissima non solo per il livello della tecnologia espressa. Ci sono nomi e sistemi operativi in uso tra la fine degli anni ‘60 e quella degli anni ‘90. Un tempo cristallizzato che racconta in maniera rigorosamente analogica la storia della sorveglianza aerea d’Italia. Con tanto di nomi in codice ancora ben visibili sugli schermi illuminati dai neon. Quello di Martina era «sasso». Erano gli operatori di «sasso», scelti e con un livello di segretezza altissimo, quelli deputati a elaborare le tracce radar e a decidere se far scattare lo scramble, ovvero il decollo rapido degli intercettori di guardia in caso di pericolo per il nostro Paese.

 

Torna nel bunker antiaereo in cui si rifugiò quando aveva 6 anni: «Paura di restare senza cibo»
Da ilgazzettino.it del 16 maggio 2022

Di Federica Fant

BELLUNO Si era rifugiato in quel bunker quando aveva 6 anni, con la sua mamma, per sfuggire alle bombe. Sabato ci è tornato, dopo 78 anni e non è riuscito a trattenere l’emozione mentre riaffioravano quei ricordi terribili. Giuseppe Marchetti era uno dei partecipanti alle visite “Borgo Piave sotterranea”, ovvero l’evento con la riapertura del rifugio antiaereo del Borgo. Una iniziativa che nella giornata di sabato ha ospitato 215 persone in 10 turni gestiti e organizzati da Borgo Piave Etc, in collaborazione con la Protezione civile di Paolo Zaltron. Di bunker si sta sentendo parlare molto dall’inizio dell’anno in conseguenza al conflitto scoppiato in Ucraina dove migliaia di persone sono costrette per ore o giorni a rimanere in gallerie e cunicoli per salvarsi dai bombardamenti ed è curioso come anche in Italia un patrimonio che abbiamo disseminato sotto al terreno nazionale da circa ottant’anni proprio ora stia riscuotendo così tanto interesse.

LA TESTIMONIANZA

Giuseppe Marchetti, di 83 anni, nel marzo del 1945 trascorse una notte intera in quel bunker. Non ha nascosto le sue emozioni raccontandone l’esperienza: «Mi ricordo che era il momento in cui gli invasori avevamo hanno bombardato il deposito davanti alla stazione, avevano sbagliato un tiro e la bomba era caduta vicina alla casa di riposo. In quell’occasione erano morti dei giovani di Cavarzano - racconta Marchetti, classe 1939, figlio di uno zattiere (ecco il collegamento con Borgo Piave) -. Noi a Borgo Piave avevamo sentito la sirena e dovevano andare al riparo, al sicuro. Così anche mia madre mi ha preso e portato dentro il rifugio fino al mattino. Quando abitavo lì, da ragazzo, i miei amici andavano dentro e fuori al bunker, ma io non ci sono più voluto entrare». «Ad essere sincero – le sue parole - anche ieri, quando ci ho rimesso piede dopo così tanti anni, mi è venuta un po’ di angoscia. A quel tempo, nel ’45, c’erano delle panche di larice belle larghe fatte molto bene, fontanelle per l’acqua. Probabilmente io ho anche dormito quella notte, di sicuro non lo fece mia madre e tutte le mamme che mi ricordo erano in nostra compagnia. Noi bambini stavamo fermi, in silenzio. La paura, però, era quella di restare senza mangiare. Non si sapeva quanto tempo si sarebbe dovuti rimanere lì. Ricordiamoci che il cibo già era poco a quei tempi. E infatti fino al giorno dopo non abbiamo più assaggiato nulla: la paura era quella, di morire di fame».

L’EMOZIONE

Una testimonianza diretta che ha colpito i gruppi delle 15 e delle 15.30 che hanno potuto ascoltare la viva voce di chi nel bunker ci era entrato per davvero. «La cosa che mi ha sorpreso maggiormente – racconta il presidente dell’Associazione, Antonio Gheno – è che c’è stato chi ha prenotato per 15 posti. La ritengo una cosa bella, perché molti arrivavano in gruppo. Molti anche i ragazzi delle scuole superiori che si sono organizzati per vedere questi spazi di Belluno. All’inizio di ogni turno abbiamo presentato la nostra associazione, spiegando che la storia che si concentra a Borgo Piave è anche quella dei 400 anni della Serenissima, una storia legata al porto fluviale cittadino, luogo centrale e che rende questa storia spendibile oggi e domani».

LA BELLUNO SOTTERRANEA

A condurre i gruppi ci hanno pensato Arianna Gheno e Vincenzo Russotto, che avevano il ruolo di essere i narratori della giornata. L’evento, grazie all’autorizzazione del Comune di Belluno e alla collaborazione della Protezione civile comunale, ha consentito ai cittadini di scoprire un altro angolo nascosto della città. «L’architetto Russotto, che aveva fatto la tesi su Belluno sotterranea, ovvero come renderli spazi museali per questa città, probabilmente sarà l’ospite di un incontro dedicato – spiega Gheno -. L’auspicio è che questi luoghi di difesa possano diventare spazi culturali dove ripercorrere una parte della storia di Belluno. Diventerebbe un modo per rendere la proposta bellunese più inclusiva anche di quelle parti di centro storico che attualmente sono citate in maniera marginale nel turismo della città».

 

In Riviera è nata l’Associazione fortificazioni Lona
Da laregione.ch del 16 maggio 2022

Dopo il recente acquisto comunale di alcune opere difensive ancora della Confederazione, un gruppo di appassionati si attiva per la valorizzazione

Prima, verso fine 2021, il Comune di Riviera ha avviato l’acquisto di quelle opere presenti sul territorio che ancora appartengono alla Confederazione, fra cui le file di blocchi triangolari in cemento armato anticarro, soprannominati ‘tobleroni’ per la somiglianza col noto cioccolato; ora la loro valorizzazione passa attraverso la neocostituita Associazione fortificazioni Lona, ossia un insieme di fortificazioni difensive militari risalenti alla Seconda guerra mondiale e composto da una ventina di fortini d’artiglieria e dai ‘tobleroni’ posti sulla cosiddetta ‘linea Lona’ che attraversa il fondovalle da Lodrino (da qui le prime due lettere dell’acronimo) fino a Osogna (le ultime due).

Parte da lontano l’idea di promuoverla. Dalla fine degli anni 90 almeno, da quando il Municipio di Lodrino istituì una commissione al fine di creare un’offerta turistica. Da lì un lungo cammino, che vede al centro il progetto ForTI dell’Ente regionale di sviluppo Bellinzona e valli per una valorizzazione storico-militare. Una via che ha infine portato questa primavera alla creazione dell’associazione. Il cui scopo è recuperare e valorizzare quanto rimane delle quattro opere fortificate; intende inoltre gestire le strutture che saranno consolidate in modo da formare un museo dove proporre attività didattiche per il pubblico. "Le opere di fanteria di Lodrino sono il preludio o la conclusione di ogni visita alla linea Lona", spiega l’associazione: "Sono di assoluto interesse il forte Vergio, costruito sotto roccia quale spalla occidentale dello sbarramento, il forte Chiesa e il fortino denominato Bunker Grande".

Il comitato è composto dal presidente Giulio Foletti, già responsabile del servizio inventario dell’Ufficio cantonale beni culturali, dal segretario Fulvio Chinotti, già comandante del Reggimento sostegno 10, dal cassiere Lorenzo Anastasi, già comandante del Gruppo fortezza 9 e capo artiglieria della Brigata frontiera 9. Cui si aggiungono due guide: Paolo Germann, già comandante della Compagnia opere fortificate 61 della Lona, nonché comandante dei settori 241 (Airolo) e 242 (Bellinzona) delle Guardie dei Forti; e Giorgio Piona già sottufficiale del Gruppo fortificazioni 9.

Dai timori del 1938 alla riforma Esercito 95

La linea Lona fu progettata nel 1938 nell’ambito delle nuove opere fortificate del Canton Ticino. L’ubicazione fu scelta sfruttando la morfologia della Riviera, che in questo punto ha un fondovalle molto stretto (1’300 metri), mentre i fianchi della montagna sono assai scoscesi. Lo sbarramento è stato concepito con l’obiettivo di arrestare l’avanzamento delle truppe nemiche provenienti da sud. La costruzione iniziò nel 1939 e terminò nel 1943. Oltre a fortini e ‘tobleroni’ vi era anche un sistema di impianti di minamento stradali e ferroviari, di ricoveri e di posizioni d’arma. Completava la linea il campo d’aviazione militare di Lodrino, costruito nel 1940 in ragione di un possibile impegno di combattimento aereo o di appoggio alle truppe di terra. Dopo la guerra il dispositivo difensivo fu potenziato con la costruzione di una postazione per lanciamine da fortezza e di numerosi ricoveri in calcestruzzo armato prefabbricato. Le opere verranno ancora potenziate durante la Guerra fredda, finché con la riforma militare Esercito 95 degli anni 90 questa strategia viene esclusa dal concetto di difesa svizzero.

Volontari cercansi

Per assicurare la manutenzione delle opere l’associazione cerca volontari tra i militi in congedo, in special modo quei militi del disciolto Corpo delle guardie delle fortificazioni specialisti del settore. Interessati possono rivolgersi a Fulvio Chinotti (079 444 7536 e fulviochinotti@gmail.com)

 

Gli italiani fanno bunker in casa in giardino
Da tecnosuper.net del 16 maggio 2022

Di Marco Donati

In Italia la domanda di alloggi privati è aumentata vertiginosamente, secondo alcune società e società di intermediazione che producono bunker. Sui siti di edilizia abitativa come immobilare.it e casa.it si osserva il desiderio di spazi riparati a prezzi drasticamente aumentati per tali prodotti. L’occupazione russa dell’Ucraina ha sollevato profondi timori circa una guerra nucleare e il bombardamento delle principali città italiane.

– Possiamo solo dire che possediamo questa azienda da 20 anni e in quegli anni abbiamo costruito 50 rifugi. Nell’ultimo mese abbiamo ricevuto più di 1.000 richieste “, afferma Giulio Caviochili di Minus Energy a Mandova.

“C’erano lacrime nella sua voce”

La caratteristica di tutti i chiamanti è che hanno una famiglia: figli e/o nipoti e altri parenti stretti, che vogliono proteggere. Gli uomini spesso chiamano per conto del coniuge. – Un uomo ha chiamato, e c’erano delle lacrime nella sua voce, e l’ho sentito. Fu allora che scoppiò la guerra. Ha detto che le sue figlie erano in preda al panico e non riuscivano a dormire e gli ha detto di venire subito. Ho cercato di calmarlo, dice Giulio Gavvicholi.

I rifugi più piccoli ed economici sono di circa 30 mq. I prezzi sono di circa 300.000 SEK e oltre, più di 1 milione di SEK.
– Dipende dalle dimensioni del bunker e da quanto dovrebbe essere appropriato, dice Giulio Caviccioli.
Lo seguiamo in un giardino privato, al bunker che sta finendo. La porta è abbastanza forte da supportare 45.000 tonnellate e vediamo ristagno d’acqua e la struttura che fornisce aria pulita al bunker. Il rifugio deve essere in grado di resistere sia alle armi biologiche che alla bomba atomica.

– Dovrebbero esserci letti a sinistra, scaffali con cibo a destra. Qui vedi l’uscita di emergenza, ogni bunker dovrebbe essere, se l’ingresso normale è bloccato, dice Kavichiholi. “L’aria della Guerra Fredda è tornata” Rosalpa Santorio, una donna anziana, ha comandato questo lavoro per sé, i bambini, i suoi gatti e il cane Scott.
– Purtroppo è tornata l’aria della Guerra Fredda. Prepariamo il bunker ma lo facciamo nella speranza di non ottenere mai il rapporto qualità-prezzo, Rosalpa dice a Scott di non usarlo e lascia correre un cane di nome Scott su per le scale. Fa un rapido tour della grande cella frigorifera sotterranea nel suo giardino fiorito primaverile. Allo stesso tempo, la guerra sembra troppo lontana e troppo vicina.

 

Nuovi sentieri sul Monte Pezzulano (Avigliana)
Da lavocedigenova.it del 13 maggio 2022

A cura di Lodovico Marchisio con la collaborazione di Arnaldo Reviglio

Ad Avigliana all’imbocco della Val di Susa, a 25 km da Torino, sul monte Pezzulano (465 m) troviamo gli imponenti ruderi del castello di Avigliana, uno dei più antichi castelli del Piemonte, risalente al X secolo. Il maniero, attualmente diroccato, fu costruito nel 924 dal marchese di Torino Arduino il Glabro.

Di mole possente e con torri, si sviluppò facilmente grazie alla sua posizione (era l'ultimo baluardo prima di Torino per chi proveniva dalla Francia) subendo nei secoli numerose distruzioni e saccheggi. Nel corso di tre secoli la funzione del castello si affermò definitivamente come uno dei principali centri di comando della contea, creando le condizioni per una rivoluzione urbanistica e insediativa ai piedi della collina su cui sorgeva. Nell'XI secolo castello e villaggio dovevano costituire un’elementare struttura insediativa: un'altura fortificata con adiacente l'insediamento più antico, disposto a schiera lungo la Via Francigena (Strada Antica di Francia) che scorreva lungo la base settentrionale della protuberanza rocciosa del Monte Pezzulano. Dopo il XV secolo e fino alla sua distruzione il castello, finito il periodo dei fasti della corte dei Savoia, assunse prevalentemente la funzione di fortezza.

Numerose volte distrutto e sempre riedificato (l'ultima volta da Amedeo di Castellamonte nel 1655), il castello fu distrutto con l'uso delle mine per l'ultima volta dalle truppe francesi del maresciallo Catinat nel maggio del 1691. Non ebbe più modo di essere ricostruito a causa della mutata situazione strategica della zona con la costruzione dei nuovi forti sabaudi della Brunetta di Susa nel 1708 (abbattuto poi a fine Settecento) e del Forte di Exilles.

Attualmente possiamo solamente ammirarne le rovine, in fase di costante ripristino e di restauro conservativo grazie all’amministrazione comunale, agli ecovolontari, all’A.N.A. (Associazione Nazionale Alpini) - gruppo rocciatori e alle associazioni archeologiche del territorio. Ha sempre però mantenuto negli anni un’importanza non solo storica ma anche paesaggistica e ora anche escursionistica, come nel convegno nazionale del GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna), prestigiosa accademia di arte e cultura alpina, svoltosi nei giorni 6, 7, 8 giugno 2014, quando in tale occasione furono collocate sulla sua cima, da parte del Comune, tre tavole d’orientamento indicanti i monumenti storici più significativi di Avigliana e le montagne dell’arco alpino visibili a 360 gradi dalla cima.

Nell’autunno 2021 c'è stata la posa della segnaletica sui sentieri del Castello (in pratica il sentiero 501 – che da Piazza Conte Rosso ai Mareschi è anche denominato CAI 150 con la variante 501 A variante del Castello, il 501 B variante del Lago Grande e i sentieri circolari con raccordi vari), su sentieri esistenti, alcuni dei quali non ancora sufficientemente valorizzati. Quest’encomiabile lavoro ha contribuito a ottimizzare il rilievo nel suo complesso. Descriviamo in sintesi i 4 sentieri, tra i molti raccordi possibili, più significativi per raggiungere la cima.

N. 1 - Sentiero Turistico - Si accede da Piazza Conte Rosso (con numerose emergenze storiche fra le quali il Palazzo Municipale) proseguendo per Via Norberto Rosa e parcheggiando l’auto alla “Rotonda del Castello”. Da qui si segue o la strada in terra battuta di servizio, chiusa al traffico, o una piacevole scalinata che porta sotto a dei lampioni, a sinistra dei quali si notano caratteristici cipressi eretti su una piana erbosa che ricordava i Caduti in guerra (il Parco della Rimembranza è stato trasferito presso il cimitero comunale).

Proseguendo per la stradina principale si perviene sotto le mura del Castello, ove sulla destra appare ben visibile il cartello d’uscita del “Sentiero Attrezzato” (vedi it. n. 4). Da qui, o proseguendo sulla strada in terra battuta di servizio, chiusa al traffico, o per una seconda piacevole scalinata posta a sinistra, si raggiunge la sommità del Monte Pezzulano (ruderi del Castello).
Ore 0,20 dall’auto. In questi tratti possiamo notare i recenti lavori degli “Ecovolontari” che han messo in luce bastioni, mura di sostegno, cisterne, etc.

N. 2 - Sentiero Circolare Basso - dal parcheggio dell’itinerario precedente si raggiunge con lo stesso percorso il prato, già ricordo dei Caduti, dove si nota a sinistra il cartello “Sentieri Circolari del Castello” che dopo un po’ di percorso pianeggiante si biforca in due (vedi it. 3 per il “Circolare alto”). In discesa, intrapresa la deviazione di sinistra (Circolare basso), si notano i tanti lavori svolti, (cartelli indicatori, pulizia e ampliamento dei sentieri).
Seguendo evidenti segni gialli (sono così indicati tutti i sentieri circolari e quelli di raccordo, non gli accatastati) e dopo essere scesi di 3 tornanti si riprende a salire su facili roccette con ampie svolte e portandosi così ad attraversare il sentiero CAI 150 (qui TOS501A, a poca distanza dal tratto attrezzato sulla base nord ovest del Pezzulano). Proseguendo invece di fronte (sempre seguendo la segnaletica gialla e successivamente svoltando a destra) si raggiunge il percorso del n. 1 nei pressi del prato coi cipressi e se si desidera da qui si può agevolmente salire in cima (ore 0,40).

N. 3 - Sentiero Circolare Alto – come con il precedente it. si raggiunge la zona prativa già ricordo dei Caduti dove si nota a sinistra il cartello “Sentieri Circolari del Castello”. Dopo un breve tratto di percorso pianeggiante, come già evidenziato, si prende la biforcazione a destra seguendo il cartello con la scritta “difficoltoso con segnale di pericolo”. Questa panoramica variante non ha nulla d’insuperabile e il cartello riportante quest’avvertimento è solo a scopo cautelativo perché se mai c’inoltrassimo con persone sofferenti di vertigini è consigliabile assicurare i predetti con uno “spezzoncino” di corda.
Dopo un primo tratto su facili e divertenti roccette (sempre segni gialli) si deve superare uno scalino roccioso che porta al delicato ed esposto traverso ben ripulito che comunque è abbastanza largo da percorrerlo agevolmente. Di qui si può raggiungere, tramite un sentiero di collegamento, il punto panoramico “Le Tartarughe” così denominato per la forma delle rocce. Dopo un tratto in leggera discesa si prosegue su un traverso pianeggiante che va a incrociarsi all’it. precedente dal quale per lo stesso percorso del n. 2 si raggiunge la cima (ore 0,30).

N. 4 - Sentiero Attrezzato – La partenza è da Via Monte Pirchiriano angolo Via Ferruccio Gallo, parcheggiando l’auto nel piccolo spiazzo retrostante agli edifici di proprietà dell’ASL (RSA Don Menzio e Villa San Giuseppe). S’inizia il percorso imboccando (alla base della salita e vicina Via Piave) Via Ortigara che dopo alcune case si restringe in un ampio viottolo incastonato tra muretti a secco raggiungendo il colletto del “Culaté”. Si volta a destra (cartello indicatore) sulla variante TOS501A del “Sentiero CAI 150”. Si sale nel bosco sul sentiero che porta al tratto attrezzato segnalato, sempre per cautela affinché non s’inoltrino degli inesperti, con la scritta EEA perché attrezzato per quasi 5 metri con cavo e scalini tipici di una “Via Ferrata”. Superato tale tratto, un traverso leggermente esposto (non protetto), riconduce nel bosco e per una ripida traccia che va a incrociare gli it. 2 e 3 (i circolari), evitandoli, si sale ripidamente al piazzale dove vi è il cartello d’uscita dal quale con l’ultimo tratto dell’it. 1, si raggiunge la cima (ore 0,40).

Il tratto attrezzato è stato costruito nella prima metà di maggio 2013, con il contributo della Città di Avigliana e la collaborazione delle Guide Alpine Valsusine. Il tratto attrezzato è alto circa 5 m e consta di 20 m di cavo metallico zincato da 12 mml per corrimano, morsetti a cavalletto da 12 mml per il fissaggio della fune negli appositi ancoraggi, dieci gradini di ferro a tondini zincati con diametro di 18 mml, otto ancoraggi per fissaggio al cavo metallico (corrimano alla roccia), il tutto fissato con della resina permanente.
Gli scalini sono stati applicati alla distanza di 35 cm l’uno dall’altro per facilitare il percorso della stessa, anche ai bambini. L’inaugurazione di tale sentiero è avvenuta come sopra indicato nel 2013, in occasione di un evento di tre giorni per il centocinquantesimo anniversario di fondazione del CAI, organizzato dal Comune di Avigliana, con il contributo del Gruppo Regionale del CAI Piemonte e l’indefesso lavoro delle Commissioni Interregionali Tutela Ambiente Montano e Comitato Scientifico del CAI, Gruppi Intersezionale e Interregionale e sottosezioni del CAI di Avigliana e del CAI GEB (Gruppo Escursionisti Bancari del CAI Sezione di Torino).

 

Finlandia, la rete di bunker a Helsinki che può ospitare 900.000 persone: tutti i "comfort", da bar e piscine alla pista di kart
Da ilmessaggero.it del 13 maggio 2022

Sotto la capitale finlandese c'è una vera e propria cittadella in cui l'intera popolazione potrebbe sopravvivere per mesi in caso di scoppio di una guerra

Tensione alle stelle sull'asse Helsinki-Mosca, dopo che il Paese nordico ha annunciato di voler entrare nella Nato e la Russia ha sospeso le forniture di energia elettrica. Il Cremlino considera l'ingresso della Finlandia nell'Alleanza una «minaccia» e si è detto pronto a ricorrere a «contromisure tecnicomilitari ». L'ipotesi di una escalation sembra ancora lontana, ma Helsinki sarebbe già pronta a difendere la sua intera popolazione grazie a una monumentale rete di bunker costruita sotto la Capitale.

Il maxi-rifugio finlandese è in grado di mettere a riparo circa 900mila persone, quasi un terzo in più di tutti gli abitanti della città. La costruzione dei bunker è cominciata negli anni '60 e, da allora, nella roccia di Helsinki sono stati scavati circa 9 milioni di metri cubi. L'equivalente di 50.000 autobus a due piani, per farsi un'idea. La rete di rifugi possiede inoltre tutti i comfort necessari per permettere ai cittadini di vivere serenamente: campi sportivi, piscine, bar, migliaia di letti a castello e addirittura una pista di go-kart. Le porte d'ingresso di questi bunker sotterranei sarebbero così spesse da poter resistere persino a un'esplosione nucleare. Insomma, una vera e propria cittadella in cui i finlandesi potrebbero sopravvivere per mesi in caso di scoppio di una guerra.

Anna Lehtiranta, capo della comunicazione del dipartimento di soccorso di Helsinki, ha dichiarato al Daily Mail: «In quanto paese neutrale, abbiamo sempre sentito il bisogno di proteggerci. E lo facciamo». La funzionaria ha spiegato: «I rifugi sotterranei costruiti nella roccia della Finlandia sono figli dalla nostra esperienza nella Guerra d'Inverno e durante la Seconda guerra mondiale. Tutti abbiamo parenti che hanno sofferto quei traumi».

Le regole all'interno dei bunker finlandesi Oltre alla rete di rifugi, anche le 25 stazioni della metropolitana di Helsinki possono essere convertite in bunker sotterranei, potenzialmente in grado di ospitare persone per settimane e settimane.

Le linee guida ufficiali affermano che «tutti coloro che soggiornano in Finlandia», compresi gli ospiti di hotel, avranno un posto garantito nei bunker in caso di necessità. Le regole specificano anche che «alcool, droghe, armi, dispositivi che producono calore o qualsiasi cosa che abbia un cattivo odore non sono ammessi nei rifugi».

La Finlandia, inoltre, sarebbe protetta anche da eventuali attacchi hacker dalla Russia: «Sebbene sotto terra ci sarà un segnale telefonico - ha detto Lehtiranta - la nostra minore dipendenza dalla tecnologia nei rifugi significa che siamo completamente al sicuro contro gli attacchi informatici».

 

Bunker antiatomici: una rete di cunicoli e gallerie sotterranei. Ecco dove sono
Da ilgazzettino.it del 10 maggio 2022

Di Federica Fant

BELLUNO - La Belluno dei bunker, dei rifugi antiatomici e antigas della prima, ma soprattutto seconda guerra mondiale è una rete di cunicoli e gallerie sotterranei che nessuno o comunque pochi conoscono. Il conflitto bellico tra la Russia e l'Ucraina ha fatto tornare la curiosità di sapere dove si trovano questi bunker. Così a fine marzo c'era stata la fila per scoprire il rifugio di via Lambioi, nell'evento organizzato dal Fai. Ora sarà possibile visitare un'altra parte di città sotterranea: il rifugio antiaereo di Borgo Piave che poteva ospitare fino a 1500 persone. Sabato 14 maggio sarà possibile visitare il bunker, grazie a Borgo Piave etc, l'associazione di promozione sociale. L'abitato era dotato di un rifugio presente in via Alzaia che consentiva agli abitanti del borgo, e non solo, di rifugiarsi nella zona tra il ponte della Vittoria e Lambioi e poteva ospitare circa 1500 persone.

L'EVENTO
Verrà aperto al pubblico sabato 14 maggio dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 17 con delle visite a cura dell'associazione Borgo Piave Etc aps (che dureranno circa mezz'ora) che, grazie all'autorizzazione del Comune di Belluno e la collaborazione della Protezione civile comunale, consentirà ai cittadini di scoprire un altro angolo nascosto della città. L'evento denominato Borgo Piave Sotterranea consentirà a gruppi di massimo 20 persone con cadenza oraria di accedere alla galleria spiegata dai volontari dell'associazione e dell'architetto Vincenzo Russotto, autore della tesi di laurea su Belluno sotterranea, «che ipotizza un progetto di recupero e valorizzazione degli stessi rifugi come spazio museale», racconta il presidente di Borgo Piave Etc, Antonio Gheno.

VALORIZZAZIONE
È proprio questo infatti anche il fine dell'associazione: promuovere e valorizzare Borgo Piave, ovvero una parte del centro storico cittadino, attraverso eventi, turismo e cultura. «Ci si auspica questo un seme che lancia l'associazione, che spera venga raccolto dai candidati sindaci - che questi luoghi di difesa possano diventare spazi culturali dove poter ripercorrere una parte della storia di Belluno, ma anche creare cultura ed arte contemporanea per poter dare una veste attuale e nuova agli stessi spazi». Il presidente Gheno ne è certo: «Diventerebbe un modo per rendere la proposta culturale bellunese più inclusiva anche di quelle parti di centro storico che attualmente sono citate marginalmente nel turismo della città e diversificare i temi che Belluno propone. In quest'anno e mezzo di attività abbiamo dimostrato che Borgo Piave è un abitato ricco di storia che la gente vuole scoprire e rivivere e non si tratta di un semplice quartiere residenziale, ma ha una vocazione turistica: basti pensare ai circa 200 visitatori della scorsa estate o ai 300 spettatori della rassegna estiva di concerti; siamo convinti che turismo e cultura siano determinanti per il rilancio del borgo e il suo mantenimento in uno stato decoroso».

LE PRENOTAZIONI
I componenti dell'Associazione si augurano che «anche questa proposta un po' fuori dagli schemi possa riscuotere interesse da parte del pubblico cittadino e non che si può già prenotare andando sul nostro sito nella sezione eventi della homepage o nella scheda evento della nostra pagina facebook; diversamente i meno tecnologici possono mandarci una mail a borgopiaveetc@gmail.com indicando il numero di persone per le quali prenotare e in quale turno tra le 9,10,11,12,14,15,16,17. Noi consigliamo la prenotazione, ma ovviamente, se arrivando in loco ci saranno dei posti liberi, ci si può aggiungere al momento». Per ora le adesioni sono già molte, un'ottantina per una disponibilità di 160. Per l'ingresso non ci sarà un biglietto ma l'associazione pensa ad un contributo minimo volontario a partire da 5 euro a persona «che ci saranno utili per alimentare le attività estive. L'accesso sarà consentito solo con mascherina».

 

Forte San Felice a Chioggia: il più antico della Serenissima
Da veneziaradiotv.it del 10 maggio 2022

Perla della Serenissima, testimone di storia e tradizioni, Forte San Felice è il più antico tra i forti veneziani, datato 1385.

Forte San Felice veglia sulla città di Chioggia dal 1385, anno della posa della prima pietra del Castello della Luppa. Nelle giornate di primavera organizzate dal Fai (Fondo per l’ambiente italiano) ha aperto le sue porte per svelare i segreti e la storia di una città che celebra i 1600 anni dalla sua mitica fondazione. 1538: Forte a difesa dai nemici e dalla marea. Lungo un’area di circa 33 mila metri quadrati, con una vista a 360 gradi sulla laguna e sul mare, Forte San Felice si trova su un isolotto naturale alle porte della città. Un tempo il Forte proteggeva dagli attacchi nemici oltre ad essere un valido ostacolo alle mareggiate che continuavano ad erodere l’isola.

La costruzione del Forte iniziò ufficialmente nel 1538 ad opera della Serenissima Repubblica di Venezia nel quadro del potenziamento difensivo delle bocche lagunari e di porto, delle quali Chioggia era la più meridionale. Per questo infatti, la città era la prima ad essere incrociata dalla navi che risalivano il Mare Adriatico. Forte San Felice fu ulteriormente potenziato nel XIX secolo ad opera dei francesi e degli austriaci, che rinforzarono i terrapieni, i bastioni, i parapetti, le polveriere e le cannoniere e gli conferirono l’aspetto attuale.

La struttura del Forte
La struttura del Forte, vista dall’alto, assomiglia infatti a una stella a cinque punte sul modello del Castello di Famagosta a Cipro e di altre fortificazioni veneziane. Il luogo è interessante da un punto di vista architettonico. Infatti il portale è in pietra d’Istria, progettato da Andrea Tirali all’inizio del Settecento, e resti delle fortificazioni militari. Punto di interesse anche dal punto di vista naturalistico.

Incisioni settecentesche sui murazzi di Chioggia
Oggi lo si raggiunge a piedi, costeggiando i murazzi di Chioggia. Si tratta di una diga progettata da Bernardino Zendrini in un disegno che comprendeva la costruzione di altri due murazzi lungo la laguna: quello del Lido e di Pellestrina. Pensati per proteggere Sottomarina, città distrutta in seguito alla guerra contro i genovesi, i murazzi di Chioggia si estendevano per più di 5 chilometri. Questi arrivano fino a quello che oggi è il centro della città. Qui, sulle pietre della diga, si possono ancora vedere le incisioni settecentesche fatte dai costruttori veneziani dell’epoca, per segnalare la lunghezza del tratto costruito e l’anno di costruzione.

Forte San Felice: un susseguirsi di epoche, popoli e culture
Si trova alla fine della diga il cancello che porta all’interno del Forte San Felice. Attualmente è di proprietà della Marina Militare Italiana ed è usato come sede della Reggenza Fari. Dal portale in pietra d’Istria progettato ai depositi di munizioni fino ai bastioni a forma di stella per respingere i colpi d’artiglieria, il Forte porta i segni di varie epoche, culture e popoli che si sono susseguiti e che hanno occupato questi luoghi dopo la caduta della Repubblica Serenissima. Il più antico tra i Forti veneziani è oggi immerso nella natura, tra peschi in fiore e piante di liquirizia. Da quella che un tempo era la parte più alta di questa costruzione militare, usata per scorgere le navi nemiche in lontananza, oggi si può godere di una vista mozzafiato sulla laguna. Lì dove acqua e cielo si confondono all’orizzonte.

 

Alla scoperta delle antiche fortificazioni italiane con lo speleo club CAI di Sanremo
Da riviera24.it del 8 maggio 2022

Un viaggio nel passato in tre antiche fortificazioni del nostro territorio con lo speleo club di Sanremo

Sanremo. Che il nostro territorio sia stato pesantemente fortificato soprattutto nel secolo scorso è cosa nota; quello che però non tutti sanno è che molte di queste fortificazioni sono ancora esistenti anche se una buona parte di queste nel territorio italiano è stata fatta esplodere o murata a seguito della sconfitta nella seconda guerra mondiale.

Lo stesso non vale però per tutte quelle fortificazioni che si trovavano nei territori ceduti alla Francia in seguito alla pace.
Queste strutture infatti sono ancora in buono stato di conservazione ed esplorabili con le dovute precauzioni. Questa è proprio una delle attività di cui si occupa lo Speleo Club CAI di Sanremo che nelle scorse settimane si è recato presso tre di queste fortificazioni nella zona tra il Toraggio e il Monte Buso concedendoci gentilmentedi pubblicarne le foto:

Le prime due sono i rifugi ipogei per truppe, risalenti alla seconda guerra mondiale, Didone e Nonorasca mentre il terzo è il celebre bunker Sanderan, costruito addirittura nel 1917, riconoscibile per le importanti bocche da fuoco ancora oggi visibili sulle sue pareti.

Un importante ed interessante pezzo del nostro passato che merita di essere riscoperto.

 

Forte San Felice trent’anni di visite scolastiche
Da chioggiatv.it del 7 maggio 2022

Forte San Felice è meta in questo mese di maggio di molte visite scolastiche, organizzate per far apprezzare anche alle nuove generazioni questo patrimonio storico ed ambientale della città. Dopo gli studenti della scuola media Nicolò De’ Conti e del Cestari-Righi, altre classi visiteranno il complesso storico: le scuole primarie Todaro e Poliuto Penzo; le medie Galilei, Pascoli e Maderna; il Liceo Linguistico.

Scrivono i volontari che curano le visite al Forte nella loro pagina Facebook: “È davvero bello che bambini/e e ragazzi/e lo studino e lo conoscano direttamente visitandolo . È così che si fa crescere nelle nuove generazioni l’amore e il rispetto per il nostro Patrimonio storico e ambientale”.

L’interesse delle scuole per il Forte ha però radici lontane, ad accompagnare il post i responsabili della pagina hanno voluto inserire delle foto di una visita degli alunni della scuola elementare Marchetti del 1995. Nelle immagini è possibile notare come le condizioni del Forte non avevano ancora subito il degrado attuale, si poteva ancora entrare nel Castello medievale e salire sul terrazzo fin sulla lanterna del vecchio faro, allora già spostato da un paio d’anni nell’attuale posizione alla diga”.

 

Le torri saracene della Costiera protagoniste a "Mezzogiorno Italia"
Da amalfinotizie.it del 7 maggio 2022

Di Martina Sorrentino

La Costa D’Amalfi è ancora una volta protagonista di un servizio televisivo firmato Francesca Ghidini, si tratta del format “Storie di Pietra” del famoso programma “Mezzogiorno Italia” in onda tutti i sabati su Rai 3.
Questa volta la nostra amata Costiera non è sotto i riflettori per la sua bellezza mozzafiato, ma per la sua incredibile storia. Storia che le città costiere trasmettono ai posteri grazie anche alle magnifiche architetture e costruzioni.
Tra le tante quelle che sicuramente colpiscono maggiormente gli occhi di chi si approccia per la prima volta a godere del panorama sono le suggestive torri saracene che si disseminano lungo la Costa.

Queste torri ricordano le nostre radici: il nostro passato di marinai, ma soprattutto di abili guerrieri che combattevano per difendere la propria casa dalle incursioni delle popolazioni straniere.

Il servizio conduce lo spettatore con mano presentando le diverse torri disseminate lungo tutta la penisola sorrentina, per focalizzarsi in seguito sulle due torri di Praiano e Conca.
Da una torre all’altra preziosi sono gli interventi di uomini cultura che  danno importanti informazioni su queste magnifiche costruzioni. Queste, come spiega il giornalista Antonio Siniscalchi possono essere chiamate in diversi modi: costiere, di cereali oppure torri cavallare.

La prima torre che viene presentata è l’iconica Torre del Greco. Qui lo scrittore Flavio Russo ci dà delle informazioni sulle torri costiere in generale: sono circa 400 lungo tutta la penisola sorrentina e ,tra queste, alcune furono costruite intorno al 1200, altre nel 1500..
Le torri vengono definite come “fortini autonomi in grado di difendersi da sbarchi e agguati corsari”.
La seconda e la terza torre si trovano a Seiano, frazione di Vico Equense.
La prima che ci viene presentata è la Torre di Caporivo, mentre la seconda è quella di Punta la guardia.

Quest’ultima come spiega, Mauro Colandrea , membro dell’associazione “la Torretta” che si occupa dal 2014 di questo bene storico ed archeologico, è attualmente coinvolta in operazioni di recupero e valorizzazione.
Si giunge quindi a Praiano dove la torre costiera ha ripreso vita grazie all’artista Paolo Sandulli. Oggi la torre non protegge più gli abitanti di Praiano da incursioni esterne, ma protegge l’arte che a suavolta difende la memoria di un popolo.
Infatti, attualmente, la torre è un magnifico laboratorio di pittura e scultura in terracotta, nonché la musa ispiratrice dell’artista.

Ultima, ma non per importanza, è la torre di Conca dei Marini. Questa torre cinquecentesca come spiega il giornalista Mario Amodio è un “anfiteatro sul mare”.
E’ un monumento, è un elemento caratterizzante della nostra terra che oggi giorno si scaglia sul mare rivitalizzata grazie ai diversi interventi di recupero.
La sua bellezza però non deve essere ricercata solamente nella sua esteriorità, ma nel forte legame che stringe tra noi contemporanei ed il nostro eroico passato e per questo motivo deve essere custodita e rispettata da tutta la collettività.

 

Le grandi battaglie delle truppe da montagna
Da ilrestodelcarlino.it del 7 maggio 2022

Il pesante sacrificio. Di oltre 240.000 alpini . mobilitati, 35.000 non . faranno ritorno a casa

La Grande Guerra del 15-18 vede le truppe da montagna italiane protagoniste su tutti i settori del fronte, in particolare su quello delle Alpi, combattendo e vincendo due guerre: quella contro il nemico e quella contro il gelo e le tormente dei lunghi mesi passati a svernare in quota. Ortigara, Adamello, Monte Nero, Pasubio sono alcuni dei nomi dove si forma la leggenda degli Alpini, il cui contributo alla vittoria sancita dall’armistizio del 4 novembre 1918, è scandito dallo spirito di sacrificio delle penne nere.

Le perdite nei ranghi dei battaglioni alpini del Regio Esercito risulteranno maggiori rispetto agli altri corpi. Di oltre 240.000 alpini mobilitati, 35.000 non faranno ritorno a casa. Per non dimenticare il sacrificio delle penne nere cadute in guerra, nel 1919 nasce a Milano l’Associazione Nazionale Alpini, il cui motto è "ricordare i morti aiutando i vivi", dando vita a un sodalizio che conta oggi 330 mila iscritti che hanno servito la Patria nelle Truppe Alpine, il cui statuto si prefigge di tenere vivo lo spirito di corpo, conservare le tradizioni, onorare le virtù militari e civili dei soci e commilitoni che ne sono degni, sviluppare lo studio della montagna e dell’ambiente, dimostrando un impegno sempre generoso e solidale con la comunità.

 

Montagnana: il borgo con una cinta muraria di 2km perfettamente conservata
Da vipiu.it del 7 maggio 2022

Di Marika Andrioli

Una piccola cittadina del Veneto, in provincia di Padova, ospita una fortificazione muraria lunga 2km che è tra le meglio conservate al mondo. Si tratta di Montagnana, che con le sue mura accoglie il visitatore in un abbraccio e si vanta del titolo di uno dei borghi più belli d’Italia e della bandiera arancione del Touring Club.

Partendo dalla storia delle mura, nel 1242 Ezzelino da Romano incendiò la città per poi farla ricostruire con mura più imponenti e con il Castello di San Zeno. Successivamente, nel Trecento, i signori padovani Da Carrara completarono la cinta munendola, a ovest, della Rocca degli Alberi per difendersi dagli Scaligeri di Verona. A est, il preesistente castello di San Zeno, il più antico nucleo del castrum altomedievale, era dotato del mastio, poi detto Torre di Ezzelino, innalzato a più riprese. Così tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento le mura di Montagnana e le sue fortificazioni presentavano un aspetto assai poco diverso da oggi.

Nel Medioevo, ossia quando adempivano pienamente alle proprie funzioni difensive, le fortificazioni furono completate da numerose sovrastrutture lignee, smantellate e abbandonate quando, con l’annessione della terraferma a Venezia, persero importanza militare. Rimasero però i tetti in legno sia sulla Torre Ezzelina che sulla Rocca degli Alberi, in quanto utilizzate sotto il controllo dei rispettivi castellani come Torri di vedetta per arginare le scorrerie.

Posta dunque la continuità nel tempo dello skyline della città di Montagnana e quindi l’agevole comparazione fra lo stato attuale e quello che ci potrebbe restituire un’ipotetica foto scattata 500 anni fa, l’equipe del locale centro di studi sui Castelli ha osservato attentamente un disegno tratteggiato a sanguigno conservato al Museum Boymans-van Beuningen di Rotterdam. Si tratta di un disegno eseguito a gesso rosso su carta di colore crema di cm 20,3 x 29 ed è l’unico foglio giunto fino a oggi che la critica, con una buona concordia, ritiene di Giorgione. Il personaggio del dipinto è misterioso e secondo alcune ipotesi sarebbe il profeta Elia nutrito da un corvo, secondo altre lo scrittore greco Eschilo ucciso dalla tartaruga lanciata da un’aquila oppure un viandante cristiano giunto alla Gerusalemme Celeste.

Fino agli anni ‘70 del secolo scorso l’identificazione della città murata dello sfondo con Castelfranco Veneto era apparsa naturale, in quanto Giorgione era originario di quel borgo trevigiano. Tuttavia i due castelli differiscono sensibilmente dal punto di vista costruttivo: non si ritrova a Castelfranco quella configurazione che si scorge nel disegno; invece la coincidenza tra il profilo tracciato sul disegno e quello ancor’oggi visibile sul tratto di nord-est della cinta di Montagnana è quasi perfetta come dimostrato in maniera inoppugnabile nel 1978 dal centro studi sui castelli di Montagnana.

Attraversando poi la piazza principale di Montagnana tra i tanti palazzi storici spicca la facciata del duomo di Santa Maria Assunta. La chiesa, in stile tardo gotico con aggiunte di tipo rinascimentale, è stata edificata tra il 1431 e il 1502 per volere del vescovo di Padova e della comunità locale. Il Duomo ha una posizione asimmetrica rispetto alla piazza, con una facciata che svolge la funzione di Meridiana. L’edificio si presenta con una pianta a croce latina con l’asse orientato secondo i punti cardinali; questo fa sì che a mezzogiorno i raggi del sole vadano a colpire le due sfere di pietra bianca presenti sulla facciata. All’interno della Chiesa è possibile ammirare opere attribuite al Giorgione, al Buonconsiglio e al Veronese. L’edificio è intitolato a Santa Maria Assunta, dal 1426 patrona di Montagnana che si festeggia il 15 agosto.

Per quanto riguarda le tradizioni culinarie il cosiddetto pane di Ezelino, insieme al Prosciutto di Montagnana, la fa da padrone. Si tratta di un dolce che risale ad un’antica leggenda che narra l’aiuto dato da una popolana ad Ezzelino da Romano, ferito durante l’incendio della città. Affinché potesse riprendersi velocemente, gli venne dato un grosso pane impastato con il levà (lievito naturale) con aggiunte di miele e frutta secca e sembra che Ezzelino si riprese subito. Ancor oggi questa ricetta esiste ed è proposta con questo dolce tipico utilizzando lievito naturale usato fin dai tempi antichi per produrre il pane.

Una delle occasioni migliori per vedere Montagnana è durante il Palio dei 10 comuni. Quest’anno si svolgerà dal 2 al 4 settembre e il programma è ancora in fase di definizione. ll Palio dei 10 Comuni del Montagnanese, comunemente detto anche “Palio di Montagnana” è una manifestazione rievocativa a ricordo della liberazione dalla tragica tirannide di Ezzelino III da Romano. Dal 1977 si tiene annualmente la prima domenica del mese di settembre rinnovando un’antica tradizione medievale.

La corsa prevede due batterie e una finale, su cavalli montati a pelo di bove dai fantini. Il Giuramento dei Capitani è l’evento che dà inizio al Palio. In concomitanza con la corsa, Montagnana è immersa nel clima medioevale con diverse attività: la Sfilata Storica per le vie cittadine, la Tenzone degli arcieri e dei musici e sbandieratori, la Corsa dei gonfaloni e il suggestivo incendio della Rocca che generalmente si tiene la sera precedente la corsa.

 

LE “CASEMATTE”, I BUNKER SICILIANI
Da qds.it del 5 maggio 2022

Di Chiara Spampinato

Le abbiamo viste e riviste, spesso quasi senza farci troppo caso e senza domandarci perché, per come e che cosa siano. Si tratta di piccole fortezze, che hanno il nome comune di bunker, ossia costruzioni in cemento armato, per lo più a cupola e con delle piccole feritoie da cui fuoriuscivano le canne dei fucili e delle pistole dei soldati. Sono chiamate anche “Casematte” e vennero progettate e realizzate durante la seconda Guerra mondiale, con l’obiettivo di contrastare l’avanzata delle forze alleate sull’Isola, nella loro campagna di liberazione.
 

Ce ne sono migliaia in Sicilia

Disseminate a migliaia in Sicilia, fanno oramai parte del territorio e vengono oggi considerate veri e propri beni culturali. Sono una testimonianza storica, militare e umana in quanto spesso in alcune sono state pervenute persino delle scritte o meglio delle incisioni sui muri che riportano date e nomi dei soldati che le occupavano.

La tendenza oggi è quella di valorizzare e riscoprire queste particolari quanto caratteristiche costruzioni, anche se di effettiva proprietà militare. Addirittura da qualche anno è stato persino avviato un censimento per la mappatura di questi siti e anche un processo per esaltare il loro interesse a livello turistico. Si tratta di turismo storico-militare in cui la Sicilia non avrebbe nulla da invidiare persino alla Normandia, che resta però al primo posto per il suo Museo a cielo aperto sulla seconda Guerra mondiale.

Ne esistono anche con forme di abside bizantina

Tornando alle “Casematte”, ne esistono persino con forme di abside bizantina, così fatte per ingannare il nemico, come per esempio a Carini. A realizzare le suddette strutture furono i militari del Genio del Regio Esercito, militari esperti e specializzati con una precisa e dettagliata conoscenza del territorio che le edificavano tenendo fortemente conto delle esigenze del luogo in cui venivano realizzate. Purtroppo, la Regione stenta ancora a riconoscere il processo di riqualificazione di tali manufatti, quindi i progetti volti al loro recupero restano davvero pochi, così come le risorse a essi destinati. Eppure potrebbe essere un’ottima e diversa fonte di sviluppo per il turismo: una risorsa di cui la nostra Isola non può fare a meno. Da Milazzo a Palermo, da Modica a Gela, da Agrigento a Catania, le “Casematte” appaiono timide sulle coste, mimetizzate dalla loro architettura, tra le colline e le scogliere, ancora a testimonianza indiscussa del valore strategico e del peso militare che ha avuto, ha e sempre avrà la nostra meravigliosa Isola.

 

Forse non tutti sanno che… le Torricelle non sono i colli di Verona
Da veronaoggi.it del 4 maggio 2022

Di Emma Zanetti

Il nome delle Torricelle, le alture a nord della città, deriva dalle fortificazioni ottocentesche erette dagli Austriaci.

Identificate oggi dai veronesi come le colline della città, meta privilegiata delle passeggiate domenicali e della mondanità notturna scaligera, in realtà le Torricelle non hanno alcuna corrispondenza con i verdi rilievi siti a nord di Verona. Il termine deriva infatti dalle quattro fortificazioni austriache a pianta circolare che dominavano la città da altrettanti punti strategici del crinale di Santa Giuliana. Le Torricelle, difatti, vennero originariamente denominate Torri Massimiliane, dal nome dell’arciduca Massimiliano Giuseppe d’Austria- Este, che fece edificare le torri di Linz sul cui modello quelle scaligere vennero foggiate.

Tali piazzeforti, erette nel 1837 nell’ambito di un più vasto piano di difesa del Veneto, hanno finito poi per estendere il proprio nome agli stessi colli sui quali esse furono erette. Il collegamento con l’originaria destinazione militare del luogo si è progressivamente perso nel corso del tempo tanto che oggi, con il nome “Torricelle”, appunto, vengono impropriamente definite le alture che sovrastano la parte settentrionale di Verona e non le roccaforti nate per impedire l’aggiramento della città, assicurando il controllo da Avesa a Poiano....

 

Seconda Guerra Mondiale. Postazione di “Cozzo Pideri”
Da cefalunews.it del 4 maggio 2022

Nell’agosto del 2013 fu segnalata dallo scrivente una sequela di postazioni militari risalenti alla Seconda Guerra Mondiale poste in località di Termini Imerese (PA) a Cozzo Pideri, un rilievo fortemente strategico. Infatti, il sito domina dall’alto la città imerese con il porto, le sue principali arterie, parte della stessa statale 285 e il tratto terminale della valle del fiume San Leonardo.

Le piazzole furono realizzate impiegando lastre appena sbozzate di pietra calcarea estratta sul luogo, e furono costruite verosimilmente poco prima lo sbarco anglo-americano (Operazione Husky) e comunque prima dei bombardamenti su Termini Imerese, verificatisi nei giorni “dodici, tredici e diciotto luglio del 1943”.

Il nucleo di fuoco si trovava e si trova a un’altezza di circa 320 metri a monte del chilometro 5,4 della strada statale 285 Termini-Caccamo. Il verosimile avamposto, senz’altro un unicum di archeologia militare dell’entroterra termitano, è stato recentemente rivisitato. Dall’ispezione sono emerse nuove considerazioni, ne parliamo con il Dott. Geol. Donaldo Di Cristofalo (1).

Postazione “Cozzo Pideri” (prime considerazioni)


Sopralluogo effettuato in data 28 aprile 2022.
«Il sito ricade in località Cozzo Pideri, a monte della SS 285 Termini-Caccamo, al Km 5 circa. Coordinate: 37°58’05.51N – 13°40’33.14E, elevazione m 319.
Si osservano 3 postazioni circolari allineate grosso modo SSW-NNE, distanziate meno di 10 metri l’una dall’altra, con un dislivello tra di esse di qualche metro, con la più bassa all’estremo NNE e la più alta all’estremo SSW.

Quella in migliori condizioni è la più alta, le altre due con modesti danni ai muri perimetrali. Mentre la prima è interamente realizzata con pietre a secco, le altre due lo sono parzialmente, in quanto una porzione lato monte risulta avere sfruttato la presenza di roccia in posto di adeguate forme.
Tutte sono aperte su un lato in funzione di accesso.
La postazione più alta ha un diametro esterno di circa m 5,20.
E’ costituita da un muro perimetrale alto 80 cm e spesso 50, realizzato in pietra a secco della stessa natura dell’area, che risulta appunto rocciosa (calcarea).

All’interno, lungo tutta la circonferenza interna, e per una ampiezza di 80 cm, è presente una pavimentazione sempre in pietra a secco, cui segue una fascia di 60 cm non pavimentata che separa la prima dall’area centrale, un cerchio di circa cm 140 di diametro, sempre in pietra a secco.
Sia il muro perimetrale che le pavimentazioni risultano realizzate con una accuratezza esemplare, tale da dare luogo ad una struttura priva di discontinuità, in particolare con una pavimentazione perfettamente piana. Verosimilmente la costruzione è opera di maestranze del mestiere, di cui Caccamo era, ed in minore parte è ancora adesso, dotata.

Ad una distanza di circa 50 metri, in direzione SSW, in area di alto morfologico a circa 335 mslm, è presente una sorta di terrazzo naturale di circa 250 mq, su un angolo del quale è presente un cumulo di pietre di forma irregolare, vagamente tronco- piramidale, ai piedi del quale si riconoscono due scalinate realizzate sempre con pietre locali di idonea forma e dimensione, tali da consentire un più agevole accesso al cumulo. La parte sommitale di tale cumulo, di dimensioni pari a circa mezzo mq, ne fa supporre l’utilizzo per ospitare il supporto di un qualche attrezzo di osservazione o di trasmissione. Contrariamente alle postazioni circolari, che godono di una visuale di circa 200° in direzione E, dal cumulo descritto la visuale è libera su tutti i 360°.

Circa l’utilizzo di tali strutture nel corso della II Guerra Mondiale, cui sono verosimilmente collegate, in mancanza di indicazioni documentali, si possono fare solo delle congetture, sulla scorta delle caratteristiche delle stesse.
Il materiale di costruzione (pietra a secco) piuttosto che il calcestruzzo delle più note altre fortificazioni, fa immaginare un intervento estemporaneo, magari eseguito poco prima dello sbarco degli Alleati (Operazione Husky), e quindi già in mancanza di tempo e risorse, magari per consolidare un’area già utilizzata o comunque ritenuta utile. Ma utile a che cosa?
L’area era di competenza del 136° Reggimento Territoriale Mobile (Autonomo), inquadrato nella 208^ Divisione Costiera, dipendente dal XII Corpo d’Armata, i cui compiti erano quelli del contrasto appunto ad operazioni di sbarco da parte del nemico, sbarco dal mare o dall’aria (paracadutisti).
Quindi l’attività principale consisteva nell’avvistamento precoce di unità avversarie, nella relativa segnalazione gerarchica, ed infine in eventuali azioni a fuoco.

In considerazione della penuria di armi pesanti e apparati ricetrasmittenti radiofonici, è convincimento dello scrivente che nel migliore dei casi la postazione fosse dotata di una mitragliatrice di vecchio modello, ad esempio una Breda Mod. 5C, e poco altro.
Per quanto riguarda il cumulo nella parte alta, onestamente risulta difficile immaginarne un uso collegato alla postazione militare. Il pianoro descritto è abbastanza dominante per non necessitare di ulteriori supporti più alti. Lascerei pertanto la soluzione di questo piccolo enigma ad altri».

(1) Geologo, già funzionario presso il Comune di Termini Imerese (PA), appassionato di storia militare e membro del “Comitato spontaneo per lo studio delle fortificazioni militari”.

Sitografia:
Giuseppe Longo, 2013, “Strutture militari scoperte su Cozzo Pideri (Termini Imerese, Palermo)”, Madonielive, 4 gennaio.
Giuseppe Longo, 2013, “I mortai di cozzo Pideri alla difesa di Termini Imerese nel 1943”, 27 agosto. Giornale del Mediterraneo.
Giuseppe Longo, “Pagine sul secondo conflitto mondiale in Sicilia e nel Distretto di Termini Imerese”, I.S.P.E. Palermo 2021.
Giuseppe Longo, 2022, “Seconda Guerra Mondiale. La posizione delle piste di volo (ALG) di Termini Imerese”, Cefalunews, 14 aprile.

Giuseppe Longo giuseppelongoredazione@gmail.com @longoredazione 

 

Forte San Felice: Unanime la ferma volontà di ripartire con i lavori di recupero e di valorizzazione
Da radioclodia.it del 4 maggio 2022

Lunedì 2 maggio si è tenuta, in presenza, in sala consiliare del Municipio, la seconda riunione del 2022 del tavolo tecnico per la razionalizzazione e la valorizzazione di Forte San Felice. Tanti gli enti coinvolti: dal Ministero della Difesa – Task Force immobili Energia Ambiente, a Difesa Servizi SpA (società in house del Ministero); dalla Marina Militare, al Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche per il Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia; dalla Direzione musei regionali Veneto, alla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio; dall’Istituto italiano dei Castelli, al Comitato Forte San Felice. Presenti per l’amministrazione comunale, oltre al sindaco di Chioggia Mauro Armelao, gli assessori Elisabetta Griso (Lavori Pubblici); Massimiliano Tiozzo Caenazzo (Urbanistica e Ambiente) ed Elena Zennaro (Cultura e Demanio). Collegamento online, invece, con l’Agenzia del Demanio, con il Consorzio Venezia Nuova, da cui dipendono le ditte appaltate, e con il direttore dei lavori. A seguire, nel pomeriggio, si è svolto un sopralluogo presso l’area del Forte San Felice.
Da tutti i partecipanti al tavolo è emersa la chiara volontà di ripartire al più presto con i lavori, se possibile in parallelo, tra l’area da destinarsi ad uso pubblico (definita come area blu, in riferimento alla mappa allegata) e l’area di prevista valorizzazione da parte del Ministero della Difesa (area rossa). In questo ultimo periodo, la Soprintendenza Archeologia e belle arti ha concluso le indagini in corrispondenza del blockhouse austriaco e quelle conoscitive in relazione alla polveriera veneziana, che hanno permesso il recupero di dati utili per l’affinamento del progetto esecutivo di questi due edifici.
Il Provveditorato ha, inoltre, ricordato che sono 7 i milioni di euro che sono stati individuati per il recupero del compendio, nell’ambito del piano delle compensazioni del Mose: 2,3 milioni di lavori in corso (che comprendono anche il Portale del Tirali, già cantierizzato) e 4,7 milioni di prossima attivazione, che comprendono, ad esempio: la riqualificazione ambientale nell’oasi al di fuori del forte; le indagini, messa in sicurezza e progettazione definitiva del castello centrale (da mettere in sicurezza per la vegetazione incombente) e il piano di caratterizzazione dell’area. Il Provveditorato conta, inoltre, di incaricare a breve la realizzazione dei due pontili (sia di ingresso al compendio; che da lato portale del Tirali, danneggiato dal maltempo del 2019) perché entrambi funzionali agli accessi alle strutture.
Il commento del sindaco di Chioggia Mauro Armelao: «È stata una giornata positiva, che ci ha visti impegnati, ciascuno per le proprie competenze, verso l’obiettivo condiviso di riqualificare e valorizzare il Forte San Felice. Tutti uniti per riavviare e accelerare i tempi dei restauri e per restituire questo magnifico bene alla città e ai cittadini. È stata ridefinita una programmazione, che vedrà la riapertura dei cantieri nei prossimi mesi e la riqualificazione dell’area verde dell’oasi entro il 2023. Si prevede di concludere il tutto, con la riapertura al pubblico del compendio, entro 4-5 anni, ma è parso, però, chiaro che, oltre ai 7 milioni per le opere di compensazione del Mose, ne serviranno altri 5 per portare a compimento il recupero del complesso, castello della Luppa compreso. Come è stato detto, sfrutteremo tutte le possibilità perché recupero non venga effettuato in tempi biblici, perché non possiamo deludere le attese dei cittadini. Per dare la giusta continuità ai lavori, mi chiedo se il Ministro Franceschini darà seguito alle promesse dello scorso settembre, cioè che i fondi per il Forte San Felice ci saranno. Gli scriverò una lettera in tal senso».

 

Domenica alla scoperta delle Mura: l'8 maggio il primo appuntamento
Da tgverona.it del 2 maggio 2022

La domenica è ‘All’ombra della Mura’. Parte l’8 maggio l’iniziativa della Prima circoscrizione che prevede alcune passeggiate domenicali con storici ed esperti lungo l’area collinare delle Mura e lungo il percorso dei bastioni. La partecipazione è libera e rivolta a tutti i veronesi , un’occasione per approfondire la conoscenza del patrimonio cittadino legato alla cinta muraria.

Il programma prevede tre appuntamenti che si svolgeranno nelle domeniche dell’8 e 29 maggio e del 25 settembre, con ritrovo alle ore 15. Si parte domenica prossima 8 maggio con 'Conoscere il Parco delle Mura e dei forti di Verona', passeggiata che partendo da piazza dell’Arsenale proseguirà verso Castel Vecchio e il Parco delle Mura dove è previsto un momento ludico per adulti e bambini.
Il secondo appuntamento è in programma domenica 20 maggio. Il percorso 'Alla scoperta di San Zeno in Monte e le Mura austriache' porterà i partecipanti a scoprire il complesso difensivo e le caratteristiche militari che è riuscito a conservare nel tempo. Il ritrovo è davanti alle poste di piazza Isolo.

La terza proposta si terrà dopo l’estate. Domenica 25 settembre si andrà 'Alla scoperta delle Mura veneziane', ritrovo davanti a Porta Vittoria per poi proseguire lungo Campo Marzo e il Bastione delle Maddalene, fino a Porta Vescovo.
Per ogni passeggiata sarà prevista anche la possibilità di spiegazioni in inglese.
La partecipazione è gratuita previa prenotazione al numero 347 4400253 o online sul sito https//amici.fondazionedba.org. con apertura iscrizioni la domenica precedente la passeggiata.
L’evento è stato presentato questa mattina in municipio dal presidente della Prima circoscrizione, insieme con il presidente della Commissione sociale della Prima circoscrizione e la presidente dell’Associazione DBAItalia ODV Maria Elisabetta Villa.

“Un’iniziativa che unisce diverse finalità, dalla valorizzazione del territorio alla socializzazione, fino al sano movimento all’aria aperta”, ha detto il presidente della Circoscrizione.

 

Bardonecchia: le fortificazioni del Traforo del Frejus: dal Blockhaus del Belvedere, alla Batteria interna Pper celebrare degnamente i 150 anni dell’apertura al traffico
Da lagendanews.it del 1 maggio 2022

BARDONECCHIA – Nell’ambito dei festeggiamenti organizzati dal Comune di Bardonecchia per celebrare degnamente i 150 anni dell’apertura al traffico del Traforo ferroviario del Frejus Pier Giorgio Corino, sabato 30 aprile ha tenuto al Palazzo delle Feste di piazza Valle Stretta una conferenza su “Le fortificazioni del Traforo del Frejus: dal Blockhaus del Belvedere, alla Batteria interna del Traforo sino a Forte Bramafam”.

L’autorevole relatore, ricercatore storico, scrittore e direttore del Museo Forte Bramafam, presidente dell’Associazione per gli Studi di Storia e Architettura militare di Torino, ha sottolineato come la realizzazione del Tunnel ferroviario del Frejus inaugurato il 17 settembre 1871, obbligò le autorità italiane ad intervenire con la realizzazione di nuove fortificazioni per salvaguardare la sicurezza di una strategica porta verso l’Europa, ma al contempo via d’accesso all’Italia, destinataria di un articolato programma nato come difensivo.

IL FORTE BRAMAFAM

Corino, autore del libro “Ai confini del Regno d’Italia – Fortificazioni e alpini nella Valle di Susa di fine Ottocento”, contenente tra l’altro l’articolato elenco di fortificazioni valsusine, in conclusione ha rilanciato un accorato appello alle autorità competenti perché intervengano al fine di valorizzare, anche attraverso strutturali itinerari turistici tematici, il ricco patrimonio storico ed architettonico territoriale, in parte lasciato alle intemperie e al forte rischio crollo.

 

Vieste, la torre costiera di San Felice verso il totale recupero
Da ilsipontino.it del 1 maggio 2022

La Torre costiera di San Felice, primo avamposto per chi arriva a Vieste da sud, a breve diventerà un centro di accoglienza turistica. I lavori proseguono a gonfie vele e sono stati affidati alla ditta Basso Srl di Melfi che li terminerà entro il prossimo mese di luglio. Costo dell’intera operazione che prevede il restauro di tre torri costiere e di tre fari in tutta la Puglia, 3 milioni e 800 mila euro, mentre il finanziamento che la Regione ha destinato al recupero della Torre costiera di San Felice è di 406 mila euro. Quello di Vieste sarà il primo intervento regionale nell’ambito dell’Interreg Italia-Grecia ad essere terminato.

Nell’ultimo sopralluogo effettuato dall’assessora ai Lavori Pubblici, Mariella Pecorelli, all’interno della torre c’eravamo anche noi. “La Torre di San Felice sta per tornare al suo antico splendore grazie a questo importante finanziamento che il Comune di Vieste è riuscito ad ottenere dalla Regione. Siamo orgogliosi di essere i primi in Puglia ad aver avviato e ormai quasi terminato i lavori. Sarà il primo punto di accoglienza turistica per chi arriva a Vieste, hub di informazione turistica con postazioni multimediali e terrazzo panoramico con vista sulla splendida baia, alla quale fa da cornice il singolare architiello, uno dei simboli del turismo di Vieste e dell’intero Gargano”.