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Pentimele, conto alla rovescia per la strada che porta ai Forti
Da gazzettadelsud.it del 28 novembre 2022

Di Eleonora Delfino

Novanta allegati per approvare il progetto definitivo esecutivo della strada che porta alle fortificazioni di Pentimele. Ci sono voluti diversi anni per arrivare allo step che dovrebbe rappresentare l’anticamera al bando per l’affidamento dei lavori. Un iter complicato che rientra nel Piano di azione e coesione 2007/2013 (Pac) di valorizzazione dell’area della collina di Pentimele. Intervento che prevede una spesa complessiva di 2,4 milioni di euro che finalmente dà compiutezza anche all’intervento di riqualificazione dei forti. Un percorso complicato in cui tanti sono gli elementi da conciliare. Dal dissesto idrogeologico dell’area (più volte franata in diversi punti tanto da compromettere la sicurezza del tracciato stradale), ai vincoli non solo paesaggistici, dagli espropri alla sentieristica. Un passaggio atteso che di fatto limita la fruizione delle strutture riqualificate nel 2017 che raccontano una pagina della storia della città.

Operazione che registra un pesante ritardo, tanto che per non perdere il prezioso canale di finanziamento l’amministrazione ha chiesto al Dipartimento Ambiente e Territorio della Regione una prima proroga, visto che nel mese di ottobre dello scorso anno ancora gli interventi non risultavano cantierizzati. Così la scadenza del 31 dicembre del 2021 ha subito uno slittamento di 12 mesi. In poco più di un mese si dovrà procedere.

 

Kim Jong-un: «Avremo l'arsenale nucleare più potente al mondo»
Da cdt.ch del 27 novembre 2022
Il leader supremo nordcoreano ha parlato in occasione di una cerimonia celebrativa del lancio di un nuovo missile intercontinentale

La Corea del Nord, dotata di armi nucleari, intende avere «la forza strategica più potente del mondo», ha affermato il suo leader Kim Jong-un in occasione di una cerimonia celebrativa del lancio di un nuovo missile intercontinentale.

Durante la cerimonia la sua giovane figlia è apparsa in pubblico per la seconda volta. Kim ha premiato con una massiccia serie di promozioni i militari e gli scienziati coinvolti nello sviluppo del nuovo Hwasong-17, soprannominato dagli analisti militari il 'missile mostruoso', in grado di raggiungere gli Stati Uniti continentali. Questo missile balistico intercontinentale (icbm) è stato testato il 18 novembre, cadendo nelle acque al largo del Giappone.

L'Hwasong-17 è «l'arma strategica più forte del mondo» e costituisce «un magnifico balzo in avanti nello sviluppo della tecnologia per montare testate nucleari sui missili balistici», ha affermato entusiasta il leader, citato oggi dall'agenzia di stampa ufficiale nordcoreana Kcna. Gli scienziati, i soldati i dirigenti di questo programma hanno contribuito all'«obiettivo di costruire l'arma più forte del mondo».

Il leader ha sottolineato che lo scopo dello sviluppo di una forza nucleare è «proteggere in modo affidabile la dignità e la sovranità dello stato e del popolo». È «la causa rivoluzionaria più grande e più importante, e il suo obiettivo finale è possedere la forza strategica più forte del mondo, la forza assoluta che non ha eguali nel secolo», ha proclamato Kim.

Il quotidiano ufficiale Rodong Simun ha pubblicato oggi una decina di foto che mostrano il leader nordcoreano in posa in compagnia di centinaia di civili e soldati durante la cerimonia, accompagnato dalla «sua amata figlia». L'esistenza di quest'ultima è stata rivelata per la prima volta la scorsa settimana, quando i media locali hanno pubblicato le foto di lei che assisteva con suo padre, mano nella mano, al lancio dell'Hwasong-17.

 

Grande Guerra, il presidente Fugatti in visita alle trincee in Val di Gresta
Da ufficiostampa.provincia.tn.it del 26 novembre 2022

Le tracce e la memoria del primo conflitto mondiale recuperate grazie all’impegno degli Alpini di Mori

La visita delle trincee della Val di Gresta recuperate con l’impegno degli Alpini di Mori (da destra Aurelio Gentili, Silvana Scarabello Vettore, Maurizio Fugatti, Dino Finotti)

“Un luogo di particolare valore culturale, forse meno noto rispetto alle classiche trincee che conosciamo in Trentino ma non per questo meno ricco di testimonianze della Grande Guerra. Un luogo denso di storia e di scorci di particolare significato per comprendere ciò che è stato il primo conflitto mondiale. In ogni angolo, in ogni trincea, in ogni manufatto possiamo immaginare e cogliere la vita dei soldati, le loro difficoltà quotidiane e la tragedia stessa della guerra. Una grande testimonianza recuperata e messa a disposizione della comunità, compresi i tanti studenti che vengono qui in visita, grazie allo straordinario impegno del Gruppo Alpini di Mori, ai quali va il mio più sentito ringraziamento.”
Così il presidente Maurizio Fugatti che stamane si è recato sul monte Nagià Grom, in Val di Gresta. Il presidente è salito dall’abitato di Manzano accompagnato nel corso della visita al caposaldo dal Capogruppo degli Alpini di Mori Fiorenzo Bertolini, dalla presidente del Consiglio comunale di Mori Silvana Scarabello Vettore, dal consigliere comunale Aurelio Gentili in rappresentanza del sindaco Stefano Barozzi e da Italo Cattoi e Dino Finotti del Gruppo Alpini di Mori.

Il caposaldo austroungarico sul Nagià Grom è una “fortezza naturale” che ha ricoperto un particolare valore strategico durante il primo conflitto mondiale, tanto che i comandi militari austriaci cominciarono ad allestirvi un campo trincerato prima ancora di entrare in guerra con l’Italia.
L’area, vista la sua rilevanza tattica, arrivò ad essere presidiata da alcune centinaia di uomini. Un patrimonio storico che rende efficacemente l’idea della vita dei soldati in trincea e che è stato recuperato grazie all’intervento del Gruppo alpini di Mori. A partire dal 2001 le penne nere, su impulso di Francesco Silli, promotore dell’opera di recupero, hanno infatti ripristinato fra l’altro i sentieri, le trincee, le postazioni scavate nella roccia e i manufatti con il sostegno operativo della Provincia e grazie anche alla collaborazione di diversi cittadini e associazioni.

Oggi questa preziosa risorsa storica e culturale è meta anche di numerose visite didattiche organizzate in collaborazione con il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto. Basti pensare che nel solo mese di ottobre sono state ben quarantanove le scolaresche provenienti dal nord Italia che hanno visitato il caposaldo, ma nel corso degli anni l’area è stata meta anche di studenti provenienti da tutto il Paese.

 

I segreti di Torre Belfiore Ecco l’antica cinta muraria
Da lanazione.it del 26 novembre 2022

La cinta muraria portata alla luce intorno a Torre Belfiore

Portate alla luce quattro torrette e diversi vani. Presto nuovi scavi: gli esperti dicono che all’interno potrebbero esserci reperti risalenti all’epoca bizantina

Di Sara Trapani

Una cinta muraria con quattro torrette agli angoli ed un’ articolata serie di vani interni dei quali si conservano in alzato le strutture in pietra con soglie e stipiti delle relative aperture, mentre al centro svetta, bellissima, la Torre di Belfiore. È questo il risultato delle indagini di archeologia preventiva condotte proprio in occasione dei lavori di consolidamento e valorizzazione della torre stessa, ubicata nel territorio del Comune di Capolona. Un intervento importante che ha consentito di mettere in luce parte dell’omonimo castello, finora conosciuto solo attraverso documenti d’archivio, del quale erano visibili allo stato di rudere una torre, un paramento murario e una torretta angolare.

Il castello sarebbe infatti stato menzionato per la prima volta in un diploma di Federico I del 25 giugno 1161, che lo assegna all’abbazia di San Gennaro a Capolona, ed è esplicitamente citato nel 1385, quando, dopo che era stato ceduto a Firenze il 26 marzo, la Repubblica fiorentina vi invia i suoi ispettori che lo descrivono come "un castello con una torre".

Il sito però pare nascondere al suo interno tesori ancora più antichi tanto che tutti gli attori in campo sperano di riprendere le indagini il prima possibile. Sembra infatti che all’interno delle mura, sotto uno o due metri, i locali potrebbero racchiudere reperti risalenti all’età bizantina. Adesso però, dopo questa straordinaria scoperta, il primo passo che l’amministrazione comunale ha deciso di portare avanti è quello di consolidare e mettere in sicurezza la cinta muraria in modo da poter permettere ai cittadini di visitare il sito esternamente.

In primavera le visite potranno essere fatte anche all’interno. L’indagine, effettuata a più riprese dall’ottobre 2021 all’agosto 2022, è stata finanziata sia con fondi del Gal Consorzio Appennino Aretino che con fondi propri dell’ amministrazione comunale, è stato progettato e diretto dall’architetto Antonio Bennati. La sorveglianza e lo scavo archeologico sono stati condotti dalla Cooperativa Laboratori Archeologici San Gallo di Firenze, nelle persone del dottor Riccardo Bargiacchi e del dottor Dimitri Pizzuto,con la direzione scientifica della dottoressa Ada Salvi della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo.

Ricco di storia e bellezze il territorio casentinese continua quindi a sorprenderci ancora una volta.

 

A pochi passi dal lago, la difesa strategica dell’Impero: ecco i forti del Monte Brione
Da ildolomiti.it del 25 novembre 2022

Altura posta al centro della piana altogardesana, il monte Brione è stato oggetto di numerose opere militari costruite dal Genio austro-ungarico. Nel corso della Grande Guerra, questa postazione svolgeva un ruolo di importanza strategica, a difesa del territorio imperiale. Ecco la nuova puntata della rubrica “Camminando nella Grande Guerra”

Di Davide Leveghi

RIVA DEL GARDA. Costruite già dalla seconda metà del XIX secolo, le fortificazioni dell’Alto Garda dovevano provvedere alla difesa del lago, delle pendici del Monte Baldo, della piana di Riva e Arco nonché degli imbocchi con la Val di Ledro e Loppio. Posto in una posizione strategica, non a caso il sistema fortificato del Brione, ben congegnato e difeso, rimase inespugnato nel corso del primo conflitto mondiale.

Il Monte Brione (368 metri) sorge a ridosso della riva settentrionale del lago di Garda, dividendo l’abitato di Torbole dalla città di Riva del Garda. Altura piccola ma come detto dal grande valore strategico, si alza dolcemente dalle pendici di porto San Nicolò presentando lungo la salita diverse importanti costruzioni militari. Prima di addentrarci alla sua scoperta, offriamo però le necessarie premesse per tutti coloro che volessero visitare questi luoghi, come suol fare la rubrica del Dolomiti “Camminando della Grande Guerra”, dedicata agli itinerari del primo conflitto mondiale in Trentino con la collaborazione del Museo Storico italiano della Guerra di Rovereto.

Itinerario per tutti, percorribile in tutte le stagioni, quella sul Monte Brione è una passeggiata tanto agile (la durata è di non più di 2 ore, il dislivello di poco più di 300 metri) quanto interessante e ricca di magnifici scorci. Oltre che sulle montagne che circondano la “Busa” – nome con cui si indica in Trentino la piana dell’Alto Garda – il panorama regala una splendida vista sul sottostante lago, via via, nelle giornate di cielo terso, fino alle sue rive meridionali.

Partiti da porto San Nicolò, l’itinerario incontra immediatamente un primo forte, omonimo. L’opera, costruita in pietra calcarea, serviva principalmente da tagliata stradale lungo la via di comunicazione che congiunge Torbole a Riva. Costruito tra il 1860 e il 1862, ampliato e rimodernato nei primi anni ’10 del XX secolo, questo forte chiudeva la strada con un portone in ferro presidiato da un fuciliere, nonché con una postazione per mitragliatrice rivolta verso l’abitato di Torbole. Armata in principio di 4 cannoni in “barbetta” (cioè all’aperto) da 15 centimetri e dotata di una cupola con riflettore a scomparsa, questa fortificazione fu equipaggiata al momento del rimordenamento con altri 4 cannoni da 8 centimetri a tiro rapido.

È da qui, dunque, che le indicazioni portano verso la cima del Monte. Salite delle prime scalinate si incontra villa Favancourt, dotata al tempo di una batteria di artiglieria di piccolo calibro con un seminterrato in pietra ospitante 4 mortai da 30 centimetri puntati sulla strada del Ponale (verso Ovest). Il sentiero continua, a questo punto, lungo gradini di legno, con diverse “terrazze”, sempre più scenografiche, sul sottostante specchio d’acqua.

In breve tempo, dalle pendici, si raggiunge forte Garda, imponente costruzione che poteva arrivare a ospitare una guarnigione di 150-200 uomini. Costruito fra il 1904 e il 1907, questo forte corazzato rappresentava il nodo centrale del sistema di difesa del Brione, nascosto alle artiglierie nemiche perché mimetizzato con il profilo della montagna. Scavato nella roccia, era protetto da una copertura di cemento armato spesso 3 metri. Ma era nelle sue “viscere” che si nascondeva un complesso sistema sotterraneo, costituito da una lunga e articolata galleria di 300 metri circa, con scalinate e punti d’osservazione sul lago (oggi non visitabile).

Al tempo modernissima, questa costruzione poteva contare su quattro cupole corazzate girevoli armate con obici da 10 centimetri. Una quinta cupola, la più alta, serviva invece come osservatorio su tutto il terreno circostante, illuminato di notte da un potente riflettore a scomparsa. Uno sforzo di immaginazione deve infine portare l’escursionista a figurarsi il complesso sistema di difesa al forte, fra filo spinato, nidi di mitragliatrice e postazioni di fucileria.

Le piazzole dell’artiglieria, nondimeno, erano distribuite lungo tutta la salita al Monte. Salendo verso la Batteria di Mezzo e la cima del Brione, pertanto, se ne incontrano diverse. In pochi minuti, con uno sguardo aperto sulle montagne circostanti, fra lecci e olivi, la salita porta dunque a un’altra imponente fortificazione. Si tratta appunto della Batteria di Mezzo.

Costruita fra il 1898 e il 1900, quest’opera poteva arrivare a ospitare fino a un centinaio di uomini. Squadrata, con copertura in calcestruzzo, era armata con cannoni su rotaie e il suo principale scopo era di controllare la valle di Loppio, linea del fronte tra le posizioni su cui si erano assestati austro-ungarici e italiani dopo pochi mesi di conflitto.

Dalla Batteria di Mezzo si prosegue lungo il sentiero che percorre il crinale della montagna. oltrepassate le antenne, si giunge alla mulattiera per forte Sant’Alessandro, detto anche forte Campedel, in cui era posta la Batteria Nord. Opera costruita all’estremità settentrionale dell’altura, di questa rimangono solo ruderi immersi nella vegetazione.

Il suo scopo, rispetto agli altri forti del sistema difensivo, era soprattutto di appoggio per le segnalazioni ottiche. Da qui, ripreso il sentiero verso Porto San Nicolò, si torna al punto di partenza.

 

Lavori a Porta Imperiale a Sabbioneta chiusi entro fine anno
Da gazzettadimantova.it del 25 novembre 2022

Di Roberto Marchini

I lavori che interessano il ponte di accesso a Porta Imperiale sono oggetto dell’interrogazione presentata dai consiglieri di minoranza Lorena Ghezzi e Claudio Lodi Rizzini che verrà discussa nella seduta del consiglio comunale convocato per questa sera alle 21. L’intervento mira a mettere in sicurezza l’accesso alla città, ma le opere hanno subito una battuta di arresto in quanto nel corso dell’intervento di consolidamento strutturale, restauro e miglioramento sismico sono state portate alla luce delle tubature che hanno determinato la sospensione dei lavori e creato preoccupazione per il temuto prolungamento dei disagi.

Gli utenti sono rassicurati dal sindaco Marco Pasquali: «I lavori - spiega - procedono al meglio e il cantiere sarà terminato entro i previsti termini di consegna, e cioè entro fine anno». Il consolidamento, realizzato sotto il controllo della dirigente comunale Raffaella Argenti, è finanziato dall’Unione Europea ed è inserito in un più vasto progetto di valorizzazione della cinta muraria. Nella prossima seduta del consiglio, l’ordine del giorno prevede anche la nomina del revisore, l’accettazione del trasferimento a titolo gratuito di alcune aree perimetrali il fossato e le mura, l’adesione all’associazione “Avviso Pubblico”. 

 

Castelbellino, al via la gara per la messa in sicurezza delle mura castellane
Da centropagina.it del 24 novembre 2022

CASTELBELLINO – Ammonta a 1,8 milioni di euro l’appalto per i lavori di messa in sicurezza delle mura castellane. Pubblicato l’avviso di gara per individuare la ditta che se ne occuperà da parte della centrale unica di committenza guidata da Jesi. Si prevede «il ripristino e restauro della cinta muraria attraverso la demolizione e la ricostruzione del primo tratto attualmente lesionato e il rifacimento del prospetto delle restanti sezioni. Sono inoltre previste una serie di opere per l’abbattimento delle barriere architettoniche attraverso la collocazione di un impianto di sollevamento persone interno alle mura, il rifacimento della pavimentazione della terrazza Camerini e il ripristino funzionale del giardino sommitale».

È in programma anche, oltre all’implementazione dell’illuminazione, «la realizzazione di un parco urbano a servizio della comunità attraverso il ripristino delle strutture vegetazionali e la creazione di una rete sentieristica a carattere naturalistico, il ripristino di quella esistente, la collocazione di una serie di spazi e arredi urbani atti a rendere funzionale l’area per attività ricreative». Verrà infine creata un’area polivalente con lo scopo di alleggerire il transito e la sosta veicolare all’interno degli spazi storici del nucleo antico».

La durata dell’appalto è di 482 giorni «naturali e consecutivi, decorrenti dalla data del verbale di consegna dei lavori, come meglio specificato nel capitolato speciale d’appalto».

L’appalto, si spiega nel disciplinare di gara, «è costituito da un unico lotto poiché i lavori in questione hanno come obbiettivo quello di mitigare gli effetti di rischio idrogeologico, contingenti e potenziali, mediante un approccio funzionale alla riqualificazione ambientale e paesaggistica, la quale passa attraverso l’attribuzione di attività di valorizzazione degli accessi al borgo antico e di potenziamento della capacità ricettiva delle strutture storico culturali, elementi questi che attiverebbero un’ attività di presidio, monitoraggio, manutenzione spontanea tali da garantire nel tempo un utilizzo costante e dinamico, un livello di accessibilità diversificata a seconda delle esigenze, una ricettività esposta a qualsiasi attività culturale e ricreativa, un grado di sicurezza confacente al rispetto delle norme che regolano la pubblica incolumità».

I lavori dovrebbero partire, salvo imprevisti, entro l’inverno.

 

LA CASA INCASTONATA NELLA SABBIA CHE CERCA LA LUCE E IL MARE
Da elledecor.com del 22 novembre 2022

Plover House è una casa vacanze degli anni '60 nella baia di Monterey: un bunker claustrofobico che Fuse Architects trasforma in rifugio di design

 

Fiumicino, alla scoperta dei bunker del litorale
Da ilmessaggero.it del 22 novembre 2022

 

Porta Torre, la gloriosa storia del malandato custode della città murata
Da quicomo.it del 22 novembre 2022

La discesa del Barbarossa e la sua alleanza con Como per combattere Milano

Tornata a far parlare di sé a causa della sua scarsa manutenzione, che ha portato alla sua recinzione la scorsa primavera, Porta Torre rimane uno dei simboli storici più importanti della città di Como. I tempi per il suo recupero, così come quello di Torre San Vitale e Torre Gattoni, appaiono ancora lunghi. Le transenne sono un vero e proprio schiaffo alla conservazione dei nostri beni culturali, soprattutto quando di parla di una costruzione che risale al 1192.

La struttura di Porta Torre

Uno dei più interessanti esempi, in Italia, di architettura militare di tradizione romanica. A base quadrata e alta circa 40 m, è rivolta verso Milano. L'aspetto massiccio all'esterno è controbilanciato da una facciata interna più mossa e articolata. Verso la città il paramento murario è alleggerito da quattro ordini costituiti ciascuno da due aperture ad arco a tutto sesto che corrispondono ai quattro piani interni, originariamente in legno, oggi andati distrutti. Gli otto archi sono disassati rispetto a quello, molto più grande, sito al piano terra che presenta una ghiera di conci ben squadrati, con alternanza di elementi bianchi e neri. Successiva a Porta Torre è la costruzione delle due torri di San Vitale (alta 36 m) ad est e Porta Nuova (o Torre Gattoni) ad ovest, che si presentano molto più massicce e meno curate della precedente, con aperture limitate a sole finestre con archi a tutto sesto. Le mura che partono dalla Torre Gattoni (così chiamata per ricordare il canonico Giulio Cesare Gattoni che aveva nella torre un laboratorio dove Alessandro Volta si dedicò allo studio della pila) e proseguono lungo il lato sud, sono le uniche integre e consentono di vedere ancora chiaramente la scarpa che, a tratti regolari, le rafforzava.

Notizie storiche

All'imperatore si dovette non solo la costruzione della torre del Baradello, ma anche delle mura civiche, buona parte delle quali cinge ancora su tre lati il centro cittadino. Il perimetro originario venne tracciato all'epoca della fondazione della colonia alla metà del I secolo a.C. e poco si discosta dall'andamento attuale. Subì diversi interventi all'epoca dei Severi e, successivamente nel vi secolo (Nobile), che interessarono la Porta Pretoria (oggi Porta Torre), principale accesso alla città. Durante l'età carolingia alcune porzioni vennero rinnovate, sia per il progressivo sprofondamento nel terreno paludoso sia per l'importanza assunta da Como, nominata capoluogo di contea. Nel 1127 la città venne assediata e distrutta. Il riscatto si concretizzò pochi anni dopo quando, nel 1162, Federico Barbarossa con gli alleati comaschi mise a ferro e fuoco Milano, che non poté impedire alla rivale di ricostruire le mura. Nel 1192 era stata completata l'edificazione della grande Porta Torre.

Nel Trecento Porta Torre è affianca da altre due torri pentagonali, molto più piccole, che ripetono il motivo degli archi aperti verso l'interno. Nel Cinquecento viene ulteriormente rinforzata con un baluardo semicircolare, i cui resti si intravedono nei pressi del sottopassaggio pedonale. Nel 1783 le mura furono vendute dall'Erario Militare al Comune cittadino, che a sua volta le cedette a privati. Su progetto del marchese Rovelli, il fossato che circondava le mura venne colmato e sostituito da un viale alberato, lasciando così alle mura la sola funzione di cinta daziaria. È degli anni Settanta del secolo scorso la decisione di pedonalizzare il centro storico, tutelando la conservazione di questi antichi baluardi.

 

'La Ferrara mai raccontata, dagli Estensi a oggi' nel nuovo libro di Francesco Scafuri
Da cronacacomune.it del 21 novembre 2022

BIBLIOTECA ARIOSTEA - Martedì 22 novembre 2022 alle 17 presentazione in sala Agnelli e in diretta video sul canale youtube Archibiblio web

Racconta di fatti e personaggi poco noti della storia cittadina il nuovo libro di Francesco Scafuri, dal titolo "La Ferrara mai raccontata: dagli Estensi a oggi" che martedì 22 novembre 2022 alle 17 sarà presentato nella sala Agnelli della biblioteca comunale Ariostea (via Scienze 17 Ferrara).
Dialogherà con l'autore la storica dell'arte Marialucia Menegatti.
Durante l'incontro saranno proiettate fotografie e cartoline d'epoca della Collezione Alberto Cavallaroni.

LA SCHEDA a cura degli organizzatori
Nel suo ultimo libro Scafuri racconta vicende poco note o inedite, realmente accadute e leggendarie, dal Medioevo al Novecento e con richiami all'attualità. Santi e assassini, fantasmi e streghe, passioni fatali, miracoli e prodigi, il "mostro di Ferrara" e altri fatti di sangue: questi sono gli argomenti sviluppati in tono divulgativo dal noto storico ferrarese nei dieci capitoli della pubblicazione, soprattutto grazie alla ricca bibliografia, ai documenti d'archivio, a un ricco corredo fotografico della Collezione Cavallaroni e non solo.
Accanto alla descrizione di monumenti, di luoghi meravigliosi e personaggi eccezionali, nelle pagine di questo volume emerge una Ferrara diversa, sulla quale si allungano le ombre del potere, da quello estense a quello pontificio. Una città che nel corso dei secoli si tinge di giallo e di 'noir', dove compaiono implacabili inquisitori, orrende esecuzioni capitali, ladri e spietati criminali. Uno spazio è riservato, altresì, alle storie straordinarie e agli avvenimenti eccezionali o curiosi, con un'alternarsi di situazioni singolari.
I vari episodi sono svelati dall'autore sia grazie a una particolare attenzione alle fonti, sia attraverso una narrazione accattivante, con uno stile coinvolgente che evoca le sue famose passeggiate alla scoperta della città, sempre caratterizzate da un ampio successo di pubblico.

Francesco Scafuri, classe 1958, vive da sempre a Ferrara, dove ha lavorato per oltre trent'anni presso l'Ufficio Ricerche Storiche del Comune sino alla pensione, ideando iniziative e rassegne culturali di successo. A partire dagli anni Ottanta, ha partecipato a convegni internazionali e tenuto conferenze su temi urbanistici e sull'architettura militare estense. In veste di storico dell'arte interviene a trasmissioni televisive e collabora con quotidiani e riviste.

È socio dell'Accademia delle Scienze di Ferrara, consigliere dell'Associazione 'Ferrariae Decus' e consigliere dell'Associazione 'De Humanitate Sanctae Annae Odv'.
Autore di numerosi studi sulla città, tra le sue pubblicazioni ricordiamo "Le chiese di Ferrara" (con Giovanni Sassu) del 2013.

Nel catalogo Faust Edizioni il romanzo "La Ferrara dell'ingegner Bellei" (2014) con la prefazione di Vittorino Andreoli, e il saggio storico "Alla ricerca della Ferrara perduta. Luoghi, personaggi, curiosità e misteri" (2015) con la prefazione di Folco Quilici.

► Il programma completo degli appuntamenti culturali della biblioteca comunale Ariostea di Ferrara alla pagina: http://archibiblio.comune.fe.it

Link diretto al canale youtube Archibiblio web con le dirette e l'archivio delle registrazioni degli incontri: https://www.youtube.com/channel/UC1_ahjDGRJ3MgG45Pxs90Bg

 

La travagliata storia del Forte di Gavi, per molti secoli a beneficio alla Repubblica di Genova
Da piemontetopnews.it del 20 novembre 2022

GAVI. Tra le fortezze più possenti ed importanti del Piemonte, un posto di rilievo spetta sicuramente a quella di Gavi. L’esistenza di un castello in quest’area della provincia di Alessandria è attestata fin dal 973. Con un diploma imperiale datato 30 maggio 1191, Enrico VI, figlio di Federico I Barbarossa, donò in feudo alla repubblica di Genova il castello e il borgo. Nel 1418, a seguito di eventi bellici, il feudo passò sotto la signoria dei Visconti di Milano; dopo altri passaggi di proprietà, nel 1528 esso tornò alla repubblica di Genova, che lo detenne fino al 1815, anno in cui l’antica repubblica fu annessa al regno sabaudo.

Quella che oggi possiamo ammirare è ovviamente la conseguenza di una serie di modifiche che l’evoluzione delle armi da guerra e delle conseguenti diverse esigenze di difesa hanno reso necessario nel corso dei secoli. Nel periodo medioevale il forte si presentava come un castello ornato da due torri a pianta trapezoidale e con alte mura che lo rendevano inviolabile dai mezzi di guerra dell’epoca. Quando, nell’assedio del 1625, l’esercito francese e savoiardo impiegò per la prima volta l’artiglieria si comprese che la struttura del Forte non era più adeguata.

I rettori della Repubblica di Genova si convinsero della necessità di irrobustire il castello e per far questo fu incaricato uno dei più grandi esperti di costruzioni militari: il frate domenicano Vincenzo da Fiorenzuola, al secolo Gaspare Maculani. Questi, noto per essere stato l’inquisitore al processo contro Galileo Galilei, era, oltre che un religioso, un grande esperto di architettura militare.

I lavori per la trasformazione dell’edificio in una grande fortezza furono compiuti tra il 1626 e il 1629, ma altri interventi si susseguirono fino agli albori del XIX secolo. Sul lato di levante fu costruita la “ridotta” di Monte Moro, collegata al forte da una galleria; all’interno furono edificati alloggi per militari e ufficiali, cisterne, polveriere, corpi di guardia e piazze d’armi, il tutto con l’ausilio dei più famosi ingegneri militari dell’epoca, da Stefano Scaniglia a Domenico Orsolino, da Pietro Morettini a Pierre De Cotte.

Nel 1859 l’antica fortezza genovese fu disarmata e privata della sua identità storica per essere trasformata in reclusorio civile; durante il primo conflitto mondiale essa diventò un carcere militare. Nell’interludio fra le due guerre, in alcuni terrapieni della fortezza furono impiantati vitigni sperimentali dal Consorzio Antifilosserico.

Con la Seconda Guerra Mondiale il forte tornò ad essere luogo di detenzione; nel 1946 esso fu consegnato alla Soprintendenza per i Beni Architettonici del Piemonte, che fin dal 1978 ha avviato una costante e progressiva opera di restauro e salvaguardia di questo raro esempio di architettura militare.

 

Mura Aureliane tra sporcizia, insicurezza e degrado: «Che vergogna»
Da corriere.it del 19 novembre 2022

di Luca Graziani

Nello spartitraffico all’altezza di via Caltagirone, tra le macchine, ci si imbatte in ricoveri di fortuna con vista sui resti romani. Una residente: «Io qui non parcheggio, per entrare in macchina rischi di mettere un piede nel letto di qualcuno».

«Sporcizia, senzatetto, insicurezza, scarsa illuminazione, è una vergogna. C’è degrado in tutti i sensi». Hamid, il proprietario di una caffetteria all’inizio di viale Castrense, non ne può più: «Non puliscono mai, quando vengo ad aprire la mattina è uno schifo, del sottopasso poi non ne parliamo». I rifiuti sono ovunque, dal verde che lambisce le Mura Aureliane al marciapiede con i negozi. Nello spartitraffico all’altezza di via Caltagirone, tra le macchine, ci si imbatte in ricoveri di fortuna con vista sui resti romani. Ce n’è uno anche davanti all’ingresso dell’ex sede de Il Messaggero. Una signora seduta ai tavolini del bar riesce ancora a vedere il bicchiere mezzo pieno: «In passato era peggio, negli anni ‘90 qui c’erano le baracche». Le risponde Laura, insegnante che vive in via la Spezia, «Io comunque non ci parcheggio, per entrare in macchina rischi di mettere un piede nel letto di qualcuno».

Gli accampamenti proseguono verso Porta San Giovanni, quando superato l’Anfiteatro Castrense il prato si allarga. Accanto a una piccola casetta fatta di cartoni si vedono persino i resti di un falò che ha annerito parte della cinta muraria. Pochi metri più in là anche la carcassa bruciata di un’auto, avvolta nei nastri gialli della polizia locale. «Siamo allo sbando più totale», sentenzia un autista dell’Atac in pausa pranzo al capolinea del 51. A tentare di riqualificare viale Castrense in passato ci ha pensato l’associazione Amici del parco Carlo Felice, costretta però a gettare la spugna. La presidente Sara Marullo spiega come i faticosi interventi di ripristino del decoro si vanifichino in appena due giorni: «Il problema è che non esistono negozi e soprattutto nell’ultimo tratto non c’è passaggio, è una strada che è stata chiusa e ridotta a parcheggio».

Altro destino, invece, hanno avuto i quasi tremila ettari di verde al di là delle mura, lungo viale Carlo Felice, dal 2017 affidati ai volontari. Dove c’erano una discarica e una latrina a cielo aperto, proprio davanti all’Oratorio di Santa Margherita, oggi c’è una piccola oasi di pace, con giochi per bambini, un roseto e un vivaio. Ma i problemi restano: «Di notte vengono a ubriacarsi, si tirano le bottiglie che poi ritroviamo al mattino - racconta la presidente -. Abbiamo dovuto mettere una rete intorno alla cancellata per tenere fuori l’immondizia, oltre a lucchetti e sistemi di allarme per via dei continui furti. Tre anni fa rubarono oltre settemila euro di attrezzature».

 

Gradaro, riemerge il baluardo del ’500: era perso nel bosco di edera e robinie
Da gazzettadimantova.it del 19 novembre 2022

È l’ultimo bastione delle difese meridionali della città. Potrebbe rientrare in un itinerario delle fortificazioni

 

Sos al nuovo assessore Amata: "Salvi l'ex Polveriera di Bisconte"
Da messinatoday.it del 19 novembre 2022

La richiesta del presidente del terzo quartiere Alessandro Cacciotto. La struttura da anni nel degrado

Tra i gioielli da strappare al degrado e rivalutare c'è anche la polveriera di Bisconte. La struttura versa da anni nell'abbandono più totale e finora, nonostante i vari impegni politici, nulla è stato fatto. A tornare sulla vicenda è il presidente della terza circoscrizione Alessandro Cacciotto che invoca l'intervento di Elvira Amata, da poco eletta assessore regionale ai Beni Culturali.

Una nomina che per Cacciotto "rappresenta, con riferimento alla nostra realtà ed in particolar modo al territorio circoscrizionale, certamente un elemento importante e di rilievo per quel necessario processo che possa portare alla riqualificazione e valorizzazione anche dell'ex Polveriera di Bisconte. Una struttura che purtroppo solo formalmente mantiene il pregio di bene di particolare interesse storico, artistico e culturale".

Il consigliere vuole passae subito ai fatti. "Nei prossimi giorni mi farò promotore, a nome ed insieme al Consiglio della Terza Municipalità, di un sopralluogo della ex Polveriera di Bisconte, con il neo assessore Amata, unitamente all' amministrazione comunale, a cui necessariamente dovrà seguire un tavolo tecnico per capire e valutare come ridare alla ex struttura militare una nuova vita".

 

Al San Gottardo c'è un bunker da spostare
Da tvsvizzera.it del 18 novembre 2022

Qui non siamo nella regione del San Gottardo, bensì nel forte d'artiglieria T2, uno dei più grandi in Svizzera con i suoi 1,8 km di gallerie. Si trova nella regione di St. Maurice, tra i Cantoni di Vaud e Vallese. © Keystone / Laurent Gillieron

Non vi è solo la geologia a rendere difficili in alcuni punti i lavori di costruzione della seconda canna della galleria, ma vi sono anche installazioni militari, rivela venerdì il Tages-Anzeiger.

Che la regione del massiccio del San Gottardo sia bucata come un groviera (o meglio come un Emmentaler, ma questa è un'altra storia) è risaputo. Dalla fine del XIX secolo, l'area è stata uno dei centri nevralgici della strategia difensiva svizzera e piccole e grandi infrastrutture militari sono sorte come funghi.

Uno (o più, ma è un segreto) di questi bunker ostacolano però i lavori di scavo della seconda galleria autostradale del San Gottardo. Questa seconda canna viene costruita parallelamente a quella esistente, a una distanza di circa 70 metri. Il cantiere è stato ufficialmente inaugurato nella scorsa primavera e il nuovo tunnel dovrebbe essere aperto nel 2029.
Prima, gli addetti e le addette ai lavori dovranno superare non solo diversi ostacoli geologici, ad esempio un tratto di roccia lungo circa 270 metri distante circa 4,1 km dal portale di Göschenen, ma eseguire anche degli adattamenti a infrastrutture militari che si trovano sul tracciato, stando a quanto riporta venerdì il Tages-Anzeiger.

La Claustra: un bunker trasformato in albergo. Keystone / Carlo Reguzzi

Segreto militare

Interpellato dal giornale, l'Ufficio federale delle strade, responsabile del cantiere, ha confermato questi lavori, ma non ha voluto fornire ulteriori informazioni.
Neppure l'Ufficio federale dell'armamento (Armasuisse) vuole dire di più né su quali siano le infrastrutture da modificare, né sui costi delle spese aggiuntive.
Questi impianti sensibili sono coperti dal segreto, secondo la Legge federale concernente la protezione delle opere militari del 1950. Nel canton Uri, tuttavia, è generalmente nota l'esistenza di una imponente struttura di comando e controllo nel massiccio del Gottardo, rileva il Tages-Anzeiger.

Se diversi bunker sono tuttora segreti, molti altri sono invece stati declassificati. Uno dei più conosciuti si trova sul passo del San Gottardo ed è stato trasformato in museo. Lo avevamo visitato qualche anno fa.

Altri ancora sono stati acquistati da privati, per farne degli stand di tiro, per coltivare funghi o addirittura per adibirli ad albergo.

Dietro a questo edificio che a un occhio poco attento potrebbe sembrare un normale fabbricato agricolo, si nasconde invece una fortificazione ultimata nel 1942 che poteva ospitare una cinquantina di persone.

 

Solaro, sabato all’ex Polveriera riprendono gli incontro con le associazioni e il Parco Groane
Da ilsaronno.it del 18 novembre 2022

SOLARO – Il Parco delle Groane riabbraccia le sue associazioni. Sabato 19 novembre il primo convegno dopo una lunga attesa e i primi concreti segnali di ripresa, ben rappresentati dai recenti incontri pubblici tra i quali gli appuntamenti sul Cammino Montiano, con il Politecnico, e soprattutto sulla costituzione dell’Ecomuseo delle Groane, il Parco delle Groane e della Brughiera Briantea riabbraccia le associazioni che animano da sempre il suo vasto territorio.

Sabato, nell’auditorium della sede del Parco, in via Polveriera 2 a Solaro è infatti previsto il “1′ Convegno delle associazioni del Parco delle Groane e della Brughiera Briantea”.

“Un momento di ascolto e di confronto con le realtà locali di volontariato nei vari ambiti, che da anni costituiscono la linfa vitale del Parco stesso.

Dopo il periodo pandemico con la limitazione delle occasioni di incontro il Consiglio di gestione dell’ente parco vuole riprendere la buona abitudine di dialogare, a fianco degli altri enti pubblici che costituiscono e regolano il territorio, con associazioni e imprese” spiegano i responsabili del parco.

 

La fortezza di Karababa a Halkida ricca di testimonianze della Serenissima
Da serenissima.news del 18 novembre 2022

By Ettore Beggiato

Ho già scritto su Halkida/Calcide/Negroponte, in particolare del bellissimo Museo archeologico di Arethousa, ma ci ritorno volentieri per parlare di un altro museo, presente all’interno della fortezza di Karababa.

Anche per questo sito le guide consultate (Lonely planet e Touring club) sono piuttosto deludenti: la prima non ne parla proprio, la seconda si limita a “Di fronte a Càlcide, sulla terraferma, si riconoscono i resti della fortezza di Kerababà, eretta dai turchi nel 1686”.

I Leoni di Karababa

Per fortuna ho un amico come Diego Bellin che con le sue preziose indicazioni mi ha praticamente costretto a ritornare a Halkida per cercare i Leoni di San Marco presenti a Karababa. Nel sito www.kastra.eu trovo alcune preziose informazioni su questa fortezza che si trova nella parte continentale della Grecia, nella collina chiamata Phourka, ed è stata identificata da alcuni studiosi come l’antica Kanethos; la fortezza fu probabilmente costruita dai turchi nel 1684 su progetto del veneziano Gerolimo Galopo, l’impianto è più europeo che turco.

L’assedio di Francesco Morosini

Nel 1688 Francesco Morosini la assediò ma senza successo; e il volume “Diario dell’assedio della Città di Negroponte sotto la Condotta del Serenissimo Francesco Morosini Prencipe di Venezia” ripercorre i momenti salienti della sfortunata impresa del Peloponnesiaco; la fortezza rimase turca fino al 1833 quando finì l’occupazione ottomana.

Nell’interno della fortezza si rimane a bocca aperta dalla bellezza e dal numero di Leoni di San Marco, il primo che ci si trova davanti è un Leone del 1456 con gli stemmi delle famiglie Bembo e Loredan e anche gli altri Leoni sono di quell’epoca; Negroponte appartenne alla Serenissima fino al 1470 quando fu occupata dagli ottomani guidati dal sultano Mehmet II.

 

Castello Coriano, via libera al completamento dei lavori
Da newsrimini.it del 17 novembre 2022

E’ arrivato dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Ravenna il via libera al completamento dei lavori al castello Malatestiano di Coriano. Si tratta della variante per le opere strutturali di consolidamento delle mura lato destro della porta d’accesso del castello.

A seguito della richiesta di nulla osta inoltrata alla Sovrintendenza lo scorso luglio dal settore comunale dei lavori pubblici, per la delicatezza degli interventi da eseguire nel complesso storico, l’amministrazione aveva ritenuto in via prudenziale di procedere alla ripresa degli stessi solamente nel momento in cui tutte le formalità burocratiche fossero state espletate. Ora con la certezza degli atti, la ditta incontrerà in tempi rapidi il progettista per procedere al completamento degli interventi. Già completati i lavori di consolidamento delle mura e delle fondazioni della torre.

“L’autorizzazione della Sovrintendenza era l’ultimo tassello che consentirà ora di chiudere il cerchio e riprendere quindi i lavori al castello – dichiara il sindaco Gianluca Ugolini –. Consapevoli del disagio che il cantiere ha creato nei confronti dei residenti, l’amministrazione comunale si è adoperata in costante contatto e dialogo con la Soprintendenza affinché la ripresa dei lavori potesse avvenire quanto prima. La nostra principale premura sarà adesso il completamento delle opere in tempi certi con la conseguente valorizzazione strutturale ed estetica del complesso storico così da eliminare ogni disagio ai residenti“.

Cenni storici. Il castello di Coriano è una fortificazione particolare in quanto non è una rocca costruita ad uso esclusivamente militare o residenziale per un unico signore, ma non ha nemmeno le dimensioni di un paese fortificato. L’impianto del castello, di cui restano imponenti le rovine su di un rialzo naturale, si trova fuori dall’attuale centro abitato moderno. Oggi sopravvive un’importante porta torre portaia sormontata da una torre quadrangolare con stemma e tracce dei beccatelli e merlature sulla sommità. Ancora visibili sono un primo e un secondo tratto di mura, facenti parte di una cinta poligonale irregolare e una seconda porta con arco a sesto acuto. Coriano è in possesso della famiglia di Carpegna fino al 1209, quando passa alla chiesa ravennate, che a sua volta affitterà il centro fortificato ai Malatesta, nel 1356.

Per un certo periodo il Castello di Coriano è stato uno dei complessi fortificati più importanti del territorio grazie ai consistenti lavori di ampliamento iniziati da Roberto Malatesta nella seconda metà del Quattrocento. Roberto Malatesta modifica l’assetto dell’intera fortificazione, rifacendo il muro di cinta, ampliandone il perimetro e costruendo nuovi bastioni. In seguito al terremoto del 1672 il castello riporta danni e successivi segni di degrado, che portano il consiglio della comunità ad intervenire con l’abbassamento delle mura, nel 1728. Nel 1805 Coriano viene dichiarato comune di terza classe ed il castello ospiterà le carceri. Nel 1882 il castello subisce un incendio. In seguito le sue fortificazioni, gravemente danneggiate, sono sopravvissute al logorio del tempo e alle devastazioni subite durante la Seconda Guerra Mondiale del 1944, quando nello sfondamento della Linea Gotica tedesca Coriano è rasa al suolo e ridotta a un cumulo di macerie.

 

Urbs Ipsa Moenia 2019
Da padovanews.it del 14 novembre 2022

11° ciclo di conferenze sulle fortificazioni.

In apparente contraddizione con quanto affermavamo nella presentazione della scorsa edizione di Urbs Ipsa Moenia, ossia che conoscenza, recupero e riuso sono fasi inscindibili, gerarchicamente indistinte, del processo di “ritorno alla vita” di un edificio storico, o complesso di edifici, come nel caso delle mura, in questa undicesima edizione l’attenzione si concentra sulla fase della ricerca.

Una prima ragione sta nel fatto che alle fasi del recupero e del riuso si dedicherà uno spazio specifico, un ciclo primaverile di incontri, che, sulla scia di quanto già proposto lo scorso anno,  ma in modo più puntuale, ruoteranno sostanzialmente intorno al grande progetto del Parco delle Mura e delle Acque, che del recupero è insieme obiettivo e ragione fondante. Di quel progetto si vuole anzi che quegli incontri fungessero stabilmente da luogo di confronto propositivo e di verifica degli esiti, quando verranno.

Vi è però anche una ragione interna al concetto stesso di ricerca, a giustificare la scelta, una visione da sempre sottintesa alla filosofia che negli anni ha guidato nel costruire questi cicli di conferenze, che avessero o meno, di volta in volta, uno specifico tema. L’idea, cioè, che la ricerca sia condizione necessaria perché un progetto di recupero e riuso possa avere successo, ridando vita a un corpo edilizio ormai inerte senza cancellarne o farne dimenticare la vita, o le vite, precedenti. E che però la ricerca si articoli e si declini, a sua volta, in modi, tempi e luoghi differenti, ad opera di attori diversi; e che solo l’incrocio dei dati raccolti da storici, archeologi, storici dell’arte e altri studiosi, legati a enti, come Università, Soprintendenza, centri studi, associazioni culturali, ma anche ricercatori indipendenti e persino dilettanti, ciascuno con le sue specifiche competenze, responsabilità e motivazioni, possa produrre un quadro compiuto di conoscenza, premessa fondamentale per un recupero e un riuso consapevoli. E infine, che la ricerca possa e debba svolgersi anche indipendentemente da urgenze legate a emergenze o progetti di restauro, come sovente avviene, in particolare per le indagini archeologiche.

È infine necessario che i dati raccolti vengano messi a disposizione anche del grande pubblico e questo è l’obiettivo di Urbs Ipsa Moenia. Perché condizione non meno essenziale per un recupero virtuoso, e per quel ritorno alla vita di un edificio storico di cui si diceva all’inizio, è una consapevolezza diffusa, senza la quale gli sforzi degli studiosi rischiano di rimanere materia di confronto solo nel chiuso degli studi o delle aule universitarie.

dal 7 novembre al 12 dicembre 2019

Sala Carmeli, via G. Galilei 36 il giovedì, alle ore 17 ingresso libero (fino a esaurimento dei 100 posti disponibili)

IL CASTELLO CARRARESE

Giovedì 7 novembre Giovanna Valenzano (Unipd, DBC) Il castello carrarese dipinto Valentina Baradel (Unipd, DBC) Sale di rappresentanza e camere “intime” al castello carrarese

Giovedì 14 novembre

Stefano Tuzzato, Marco Cagnoni Prima del castello: un ventennio di indagini archeologiche Federico Pigozzo I Carraresi e il castello, nuovi documenti su funzioni e utilizzo della struttura

PADOVA MEDIEVALE, CITTÀ E MURA

Giovedì 21 novembre

Alexandra Chavarria (Unipd, DBC), Elena Mercedes Pérez Monserrat (Unipd, M. Curie Fellowship), Petra Urbanová (Unipd, Seal of Excellence Fellowship) Nuove ricerche sulle architetture medievali di Padova

Giovedì 28 novembre

Claudio Grandis Le mura in concessione: l’uso degli spazi demaniali nella prima età veneziana Ugo Fadini (Comitato Mura) Agonia e triste fine delle porte duecentesche di Padova

LE MURA RINASCIMENTALI

Giovedì 12 dicembre

Vittorio Dal Piaz (Comitato Mura) 1848: preparativi per un assedio mancato A cura del Comitato Mura In diretta dalle mura: scoperte recenti, conferme, nuovi dati d’archivio

Informazioni: Associazione Comitato Mura di Padova via Raggio di Sole 2 – 35137 Padova (Padovanet – rete civica del Comune di Padova)

 

Sabbioneta, così l'intera cinta muraria diventa più bella
Da oglioponews.it del 12 novembre 2022

I lavori seguono il progetto architettonico dell’architetto Federico Bianchessi, con la sicurezza affidata invece all’architetto Sandro Mariano Biazzi Alcantara. L’impresa esecutrice è la Azimut di Casalmaggiore e il titolo dei lavori sfiora i 300mila euro. L’attenzione alle mura non è solo di tipo storico architettonico o artistico ma anche simbolico.

I lavori alle mura di Sabbioneta proseguono: come rimettere a nuovo un simbolo comunque del passato, dunque rispettando in pieno tutti i dettami della Sovrintendenza e il valore storico dell’opera. Operazioni che peraltro impegneranno, con cantieri che si sposteranno metro dopo metro, per diverso tempo la cittadina mantovana perla del comprensorio Oglio Po e sito Unesco.

I lavori seguono il progetto architettonico dell’architetto Federico Bianchessi, con la sicurezza affidata invece all’architetto Sandro Mariano Biazzi Alcantara. L’impresa esecutrice è la Azimut di Casalmaggiore e il titolo dei lavori sfiora i 300mila euro. L’attenzione alle mura non è solo di tipo storico architettonico o artistico ma anche simbolico.

 

Recuperata fortificazione dell'800 alla Spezia, sarà anche museo
Da oglioponews.it del 12 novembre 2022

(ANSA) - LA SPEZIA, 12 NOV - Una fortificazione ottocentesca, utilizzata anche nell'ultimo conflitto mondiale, diventa una struttura in parte musealizzata destinata a eventi culturali: "un nuovo luogo del cuore per gli spezzini, ma anche un volano incredibile per il turismo" ha detto il sindaco della Spezia Pierluigi Peracchini che il 12 novembre ha inaugurato il restauro della Batteria Valdilocchi.

"Un tesoro sepolto dall'indifferenza verso la nostra storia locale e identità spezzina, che oggi è finalmente tornata a risplendere" ha commentato il sindaco, presentando l'intervento inserito nel progetto 'La Spezia Forte' che prevede la riqualificazione dell'impianto delle fortificazioni che cingono la città, affacciate sul Golfo dei Poeti.

Per il restauro dell Batteria Valdilocchi il comune ha ottenuto un finanziamento di mezzo milione di euro dal Bando Periferie. "Con questi fondi abbiamo fatto molto di più grazie ad un progetto concepito in modo 'nuovo' ovvero come un processo ecologico, capace di evolvere per fasi, che rifugge gli spettacolarismi" ha sottolineato l'assessore ai Lavori Pubblici Pietro Cimino.

La struttura-monumento è riemersa dalla vegetazione che l'aveva negli anni soffocata e durante la ritirata tedesca del 1945 era stata anche minata. Da luogo militare e di guerra diventerà ora un luogo di cultura, con eventi e spettacoli all'aperto. L'intervento di restauro ha coinvolto la Soprintendenza archeologica e alcuni esperti di storia. (ANSA).

 

Rocche e castelli della Bassa modenese: se ne parla sabato e domenica a Medolla
Da sulpanaro.net del 11 novembre 2022

MEDOLLA – Sono tra gli edifici storici più spettacolari del nostro territorio, ancora pesantemente segnati dai danni dei terremoti del 2012. Delle rocche e dei castelli della Bassa modenese si parlerà, in un linguaggio accessibile a tutti, al Teatro Comunale “Facchini” di Medolla, nel corso di due giornate di studi a ingresso libero intitolato “Terra di castelli, torri e fortezze”, appuntamento organizzato in collaborazione tra Comune di Medolla e Gruppo Studi Bassa Modenese.

Nel corso della prima giornata, sabato 12 novembre, si parlerà nella sessione mattutina (inizio ore 9.30) della Motta di Montalbano, nel territorio comunale di Medolla e delle fortificazioni in terra e legno in età medievale, mentre nel pomeriggio, a partire dalle ore 14.30, l’attenzione sarà su motte e castelli della nostra pianura.

Rocche e castelli della Bassa modenese al centro del dibattito anche domenica 13 novembre, con la stessa scansione oraria della giornata: mattina dedicata a passato, presente e futuro della Rocca di Finale Emilia, a quella di San Felice sul Panaro e al Castello di Mirandola; al pomeriggio interventi sulle ultime ricerche e scoperte riguardanti altri tesori del nostro territorio come la Torre di Malcantone di Medolla, il Torrione degli Spagnoli a Carpi e le fortificazioni mirandolesi sotto gli Estensi nel Settecento.

“Un grande traguardo essere riusciti a riunire studiosi e amministratori – commenta il sindaco di Medolla, Alberto Calciolari – per parlare di monumenti così identitari, “giganti” che abbiamo il dovere di restituire ai cittadini della Bassa in tutto il loro splendore e la loro maestosità. Per il Comune di Medolla questo evento rientra in un progetto più ampio, che comprende anche attività di living history e archeologia sperimentale destinate alle scuole, in programma dal 2023”.

 

Addio a Maurice Lovisa, architetto esperto di fortezze militari
Da legione.ch del 11 novembre 2022

A lungo consulente della Confederazione, membro di comitato del Forte di Airolo, è deceduto lo scorso 9 novembre. Il ricordo di Giorgia Piona

Lo scorso 9 novembre si è spento all’età di 57 anni Maurice Lovisa, malcantonese di nascita ma cresciuto nella Svizzera romanda. Giorgio Piona lo ricorda quale grande esperto di fortezze militari: per quasi 15 anni ha infatti fornito consulenza alla Confederazione nel campo del patrimonio edilizio per la creazione di un inventario federale delle costruzioni militari. Ha pubblicato più di 15 contributi su questo argomento. Lovisa ha lavorato per il Canton Vaud in qualità di curatore cantonale e direttore dei monumenti e dei siti storici, occupandosi in particolare della revisione della Legge sulla protezione del patrimonio culturale immobiliare. Architetto di formazione dell’Epfl, Lovisa è stato responsabile dell’inventario svizzero delle opere fortificate e di combattimento di cui è stato il primo che ha inventariato le opere militari seguendo i criteri della catalogazione dei beni culturali. Era anche un ottimo conoscitore delle opere della linea Lona, oltre che vicino al museo del Forte di Airolo, di cui era membro di comitato.

 

Torri e fortezze, due giornate di studi nella Bassa
Da ilrestiodelcarlino.it del 11 novembre 2022

Castelli, torri e fortezze non sono soltanto un patrimonio storico, architettonico e culturale, ma rappresentano soprattutto un tesoro identitario per le diverse comunità. La Bassa modenese è costellata di queste testimonianze di un nobile passato, legato in diversi casi dalla dinastia estense e alle famiglie signorili che hanno abitato queste terre. A questi importanti emblemi della nostra storia, che purtroppo il terremoto ha gravemente ferito, saranno dedicate due giornate di studio (domani e domenica al teatro Facchini di Medolla) organizzate dal Gruppo studi della Bassa Modenese che celebra così il suo 40° anniversario di fondazione. Sabato mattina la prima sessione (presieduta da Gian Luca Tusini) sarà dedicata alla motta di Montalbano e alle fortificazioni in terra e legno di età medievale, così come la sessione pomeridiana (coordinata da Luigi Malnati) ‘esplorerà’ motte e castelli medievali sia tra Modena e Bologna, che nell’area di Parma e nel Reggiano. Domenica poi si parlerà in particolare delle fortificazioni della Bassa modenese. Al mattino, nella sessione presieduta da Carolina Ascari Raccagni, si dibatterà del futuro dei principali castelli della Bassa (Finale Emilia, San Felice sul Panaro e Mirandola), poi si affronteranno i temi di promozione e valorizzazione del territorio. Mauro Calzolari presiederà la sessione su ricerche ed elementi di novità sulle fortificazioni nella Bassa, con relazioni anche di Graziella Martinelli Braglia, Enzo Ghidoni e Massimiliano Righini.

 

Il Lions Club valorizza la cinta muraria di San Marino
Da sanmarinortv.sm del 11 novembre 2022

E’ stato presentato al pubblico, presso il Museo di Stato, il libro contenente gli Atti del XVII Congresso Internazionale Città Murate Lions che si è svolto a San Marino a settembre dello scorso anno. Conrad Mularoni, Presidente del Comitato Organizzatore del Congresso, ha illustrato le peculiarità di quest’associazione in seno al Lions Club International che fra l’altro vede San Marino tra i soci fondatori, mentre la dott.ssa Paola Bigi, esperto della Sezione Archeologica dei Musei di Stato, ha sintetizzato i lavori del Congresso riportati per esteso sulla pubblicazione. Il Congresso, pur svolto in un periodo con limitazioni Covid, ha ottenuto ampio successo con la partecipazione di circa 100 delegati in rappresentanza degli oltre 200 Club Lions, in prevalenza italiani ed europei, che hanno in comune essere attivi in città attorno alle quali si sviluppa una cinta muraria. Nella serata è stata invitata a relazionare l’architetto Elisa Gasperoni, coordinatrice del restauro in corso delle fortificazioni del monte Titano, che ha trattato il tema: "Il restauro conservativo del 3° Girone delle Mura Medioevali di San Marino”. Gasperoni ha aggiornato i soci sullo stato di avanzamento del restauro delle mura della Città di San Marino. Sono state riferite le problematiche delle mura e dei bastioni che le intervallano, a cominciare dalla colonizzazione da parte di piante e microrganismi, valutando contestualmente i danni provocati dall’erosione dovuta a pioggia e vento e dall’aggressione di polveri e smog. Sono stati menzionati anche gli errori delle precedenti ristrutturazioni quando sono stati utilizzati materiali inidonei e sicuramente non coevi alla costruzione della cinta muraria sammarinese. Il restauro deve avere l’obiettivo di rimuovere le superfici sporche da smog, depositi superficiali e croste nere, senza però cancellare i segni del passaggio del tempo sulla superficie, preservando quindi l’alterazione naturale, percepibile come una variazione del colore originario del materiale. Il restauro è stato preceduto da un accurato studio preliminare con mappatura e analisi dei materiali costitutivi e di degrado biologico e abiotico. Attraverso test con biocidi ed erbicidi sono stati individuati i prodotti migliori e non aggressivi sulla pietra. Si è proceduti quindi alla rimozione dello smog utilizzando strumenti che generano un getto elicoidale a bassissima pressione di miscela di acqua, aria e inerti. E’ stata iniettata resina epossica nelle parti che presentavano lesioni o prossime al distacco e si è proceduti alla risarcitura delle fughe con malta a composizione simile a quella originale. Il Presidente del San Marino Lions Club Undistricted, Silvano Di Mario, ha ringraziato l’architetto Elisa Gasperoni per la interessante relazione che riguarda un monumento, spesso trascurato dai sammarinesi, ma che sicuramente è la più imponente opera presente nella nostra capitale. Il restauro della cinta muraria non può che essere accolto con estremo favore da parte del Lions Club San Marino Undistricted che, attraverso l’Associazione Lions Città Murate, ha contribuito alla valorizzazione storico-culturale delle mura sammarinesi organizzando sul nostro territorio il XVII Congresso Internazionale. Un ringraziamento particolare al socio Conrad Mularoni che ha avuto la responsabilità dell’organizzazione del Congresso a San Marino e ha curato la realizzazione del volume contenente gli Atti del Congresso.

 

Forte San Felice, boom di visitatori nel 2022
Da chioggiatv.it del 10 novembre 2022

“Unanimi i sentimenti di sorpresa per la scoperta di un luogo così suggestivo- dichiara Erminio Boscolo Bibi- dal grande valore storico, culturale e ambientale, cui si accompagnano espressioni di rammarico per l’evidente ritardo e vera e propria attuale stasi nella realizzazione degli impegni assunti dagli Enti col protocollo d’intesa.

Si continuerà il prossimo anno a programmare visite, con la fiducia che i ritardi saranno superati anche grazie alla persistente partecipazione dei cittadini.”

Aggiunge Boscolo Bibi: “Un grande grazie a tutti i volontari e le volontarie del Comitato FSF che con passione rendono possibile l’organizzazione, l’accoglienza e la guida delle visite, valorizzando non solo il Forte ma l’intera sua area con la Batteria e i Murazzi.

Altrettanto va ringraziato MARIFARI, nelle persone del Comandante Spagnuolo e del farista Nordio Diego per la disponibilità e la fattiva collaborazione”.

 

Casematte, nuova vita per le storiche fortificazioni
Da laprovinciacr.it del 10 novembre 2022

Due milioni di euro dalla Regione per attuare il progetto che prevede la trasformazione degli spazi, ora inutilizzati, delle mura lato nord in esercizi commerciali

PIZZIGHETTONE - Dalla giunta regionale in arrivo due milioni di euro per le mura lato nord, grazie all’accordo di rilancio economico sociale e territoriale (Arest) promosso dal Comune di Pizzighettone. Il progetto prevede la riqualificazione di 19 casematte oggi inutilizzate, che saranno destinate ad uso commerciale-ricettivo nell’ambito di una partnership fra pubblico e privato: potranno ospitare ad esempio ristoranti, bar, botteghe, artigiani. E complessivamente, considerato il valore della struttura e il rifacimento delle coperture tramite l’impegno economico del Comune, si tratta di un investimento da circa 4 milioni. Come spiegato nei mesi scorsi, gli imprenditori interessati potranno contare su un comodato d’uso gratuito di vent’anni. In cambio dovranno investire per la ristrutturazione della casamatta a loro affidata, contando su sgravi fiscali e sul contributo regionale del 50%. Una proposta che ha già attirato l’attenzione di 20 investitori: «Queste le adesioni arrivate — spiega il sindaco Luca Moggi — ma in realtà c’è ancora tempo per candidarsi. Abbiamo infatti deciso di mantenere questa opportunità fino a quando non andremo a definire ufficialmente l’accordo. Inizialmente sono state raccolte manifestazioni d’interesse non vincolanti, ma dieci di questi privati le hanno già confermate dicendosi pronti a fornire garanzie anche fideiussorie. La provenienza degli interessati? Posso dire che non ci sono attività pizzighettonesi, ma che si tratta comunque di realtà del circondario, nel raggio di 20-30 chilometri. Credo si tratti di un progetto davvero innovativo e importante, con un cofinanziamento regionale di massimo due milioni di euro, che è una cifra considerevole».

La ristrutturazione delle casematte potrà essere pensata sulla base delle esigenze dell’attività da inserire, ma dovrà seguire una sorta di modello: quello della cosiddetta «casamatta tipo», già approvato dalla Soprintendenza di Cremona, Lodi e Mantova. I lavori più importanti riguarderanno agibilità, serramenti e infissi, realizzazione dei servizi igienici. Il quadro economico dell’operazione è stato dettagliato: 1.603.172 euro è il valore immobiliare delle casematte, 2 milioni i fondi Arest messi a disposizione dalla Regione, 480 mila euro dal Comune derivanti da fidejussione bancaria o tramite assegno circolare dei soggetti privati, selezionati appunto tramite procedura di evidenza pubblica.
«Il cofinanziamento regionale è finalizzato a contribuire ai costi necessari per il completamento dei lavori di restauro delle mura storiche — viene precisato sulla delibera della giunta regionale — ai fini della loro fruizione pubblica; non sarà invece oggetto di cofinanziamento regionale l’acquisto e l’installazione di arredi funzionali alla messa a disposizione dei locali ai soggetti privati che vi si insedieranno».
La convenzione pubblico-privato, ovvero la sottoscrizione dell’accordo Arest, dovrà essere siglata entro il 30 novembre. Ma Moggi fa sapere che già nei prossimi giorni è in programma un importante incontro in Regione per definire gli ultimi dettagli dell’intervento. Che oltre a ridare splendore alle mura, rappresenterà un’opportunità di rilancio commerciale e turistica per il borgo. Con risvolti, ci si auspica, anche occupazionali.

 

Il parco delle teste di cuoio. Reparti speciali a Coltano (Pisa)
Da infoaut.org del 8 novembre 2022

Pisa si candida a divenire una delle capitali internazionali delle Teste di cuoio per la conduzione delle guerre sporche del XXI secolo.

di Antonio Mazzeo

La cementificazione di 73 ettari di terreni, in buona parte ad uso agricolo, all’interno del parco regionale di Migliarino–San Rossore–Massaciuccoli, per realizzare innumerevoli caserme e alloggi per militari e famiglie, poligoni di tiro e basi addestrative. Un progetto di oltre 190 milioni di euro, voluto dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, funzionale al rafforzamento del ruolo geo-strategico della regione Toscana per la proiezione delle forze armate nazionali, USA, NATO ed extra-NATO negli scacchieri di guerra internazionali. La nuova Cittadella dei reparti d’élite dei CC si aggiungerà al complesso di Camp Darby, all’aeroporto di Pisa-San Giusto, al porto di Livorno, alle tante caserme dei parà della “Folgore”, al centro di ricerca militare avanzato (già nucleare) di San Piero a Grado, al comando fiorentino della Divisione “Vittorio Veneto” prossimo ad operare come Multinational Division South NATO per gli interventi dell’alleanza nel Mediterraneo e in Africa.

Tre i reparti d’assalto dei Carabinieri che saranno insediati a Coltano: il 1° Reggimento Paracadutisti “Tuscania”, il G.I.S.- Gruppo di Intervento Speciale e il Centro Cinofili. Fino ad oggi di stanza nella caserma “Vannucci” di Livorno (anche sede del Comando della Brigata “Folgore”, del 187° Reggimento Paracadutisti e del 9° Reggimento “Col Moschin” dell’Esercito), il “Tuscania” conta su 500 effettivi circa. “Il 1° Reggimento è un reparto estremamente duttile, dotato di una straordinaria flessibilità di impiego ed in grado di operare con efficacia nella vasta zona grigia compresa tra le funzioni di polizia e quelle militari, un ambito di impiego di grande attualità nei moderni scenari internazionali”, scrive Alberto Scarpitta, ex ufficiale dei Lagunari, su Analisi Difesa.

Ai militari del “Tuscania” viene affidata l’occupazione preventiva di punti sensibili in territorio ostile; l’interdizione e la contro-interdizione d’area; l’attività di controguerriglia e di contro insurrezione in scenari ibridi ed in missioni di stabilizzazione; il supporto delle Forze Speciali in attività di ricognizione, azione diretta, assistenza militare e controterrorismo; l’evacuazione di cittadini italiani da Paesi a rischio o da zone di guerra. Innumerevoli gli interventi nelle aree di conflitto: nel 1982 i parà del “Tuscania” vennero schierati in Libano per presidiare i campi rifugiati palestinesi alla periferia di Beirut; nel 1991 nel Kurdistan irakeno e tra il 1992 e il 1994 in Somalia nel quadro della missione internazionale Restore Hope (Ridare Speranza). Dal 1995 al 1999 il “Tuscania” ha partecipato alle diverse missioni operative NATO nei Balcani e, dopo il 2001, in Iraq e in Afghanistan. Attualmente il 1° Reggimento coopera ai servizi di sicurezza della città di Mitrovica (Kosovo), di protezione nelle sedi diplomatiche italiane in Libia, Iraq (Erbil e Baghdad), Somalia, Libano e Ucraina, nonché all’addestramento “antiterrorismo” dei peshmerga (le forze armate della regione autonoma del Kurdistan iracheno), della Gendarmeria Nazionale del Niger e delle polizie di Iraq, Kosovo, Palestina, Somalia e Gibuti. Nell’ambito della missione italiana di assistenza della Marina militare e della Guardia costiera libica principalmente in funzione antimigrazione, al “Tuscania” è affidata la “sicurezza” del personale della Guardia di Finanza distaccato in Libia.

Le operazioni all’estero del 1° Reggimento che più destano sconcerto per le pesanti ricadute in termini di violazione dei diritti umani riguardano il Corno d’Africa. In seguito all’accordo sottoscritto nel 2013 con la Repubblica di Gibuti e la Somalia è stata attivata la Missione bilaterale MIADIT Somalia, con l’obiettivo di “accrescere le capacità operative delle forze di polizia somale e gibutiane”. Come segnalato dal Segretario Generale ONU, le forze somale addestrate dai carabinieri italiani hanno arruolato e utilizzato minori in combattimento. Nel report su Bambini e conflitti armati, pubblicato nel maggio 2021, il Segretario generale delle Nazioni Unite ha accertato il reclutamento di 1.716 minori, “prioritariamente da parte dei gruppi ribelli di Al-Shabaab, ma anche da parte delle forze governative, compresi la polizia somala, l’esercito nazionale e la National Intelligence and Security Agency, nonché dai reparti armati e di polizia regionali (Jubaland, Galmudug, Puntland)”.

Doppia natura di polizia speciale e reparto parà ed incursori per operazioni belliche anche per l’altra unità dei Carabinieri che si intende insediare a Coltano. “I G.I.S. sono impiegati per garantire la sicurezza di personalità minacciate o per coadiuvare le unità territoriali in situazioni di crisi come rapimenti e cattura di criminali, latitanti o evasi pericolosi”, spiega il Comando dell’Arma. “Essi inoltre vengono impiegati a protezione di obiettivi sensibili da attacchi terroristici o criminali e per garantire la sorveglianza in occasione di eventi ad alto rischio. Sono incaricati anche dell’addestramento di personale di polizie estere”.

Il Gruppo di Intervento Speciale è stato istituito il 6 febbraio 1978 per impulso dell’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga (poi presidente della Repubblica italiana) “per garantire uno strumento per la risposta all’incremento dei fenomeni terroristici e delle forme di disturbo dell’ordine pubblico, per la condotta di operazioni antiguerriglia”. Il primo impiego risale alla primavera del 1978 durante il rapimento dello statista democristiano Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Dal 1997 il reparto viene dispiegato all’estero in missioni di peace-keeping/peaceenforcing: si annoverano in particolare gli interventi in Albania, Bosnia, Kosovo, Iraq (particolarmente nel distretto di Nassirya), Afghanistan, Gibuti, Somalia, Libano e Niger. Il G.I.S. è inserito tra le cosiddette forze speciali poste sotto la direzione del Comando Interforze COFS costituito nel 2004 a Centocelle (Roma) alle dipendenze del Capo di Stato Maggiore della Difesa. “Ciò che contraddistingue il G.I.S. dalle altre Forze Speciali sono le sue particolari capacità operative chirurgiche nella liberazione di ostaggi o in altri interventi che richiedono un altissimo livello di discriminazione degli obiettivi da raggiungere”, ha dichiarato il gen. Leonardo Leso, già Comandante del Gruppo e del “Tuscania”. “E’ l’unico Reparto che inquadra anche un nucleo di esperti negoziatori e alcune unità cinofile addestrate anche al lancio con paracadute e alle irruzioni con forzamento degli ingressi con esplosivo. Dispone quindi di speciali attrezzature di ascolto, visione, registrazione nonché di penetrazione silenziosa. Il G.I.S. da anni è inserito in un paio di programmi di scambio che vedono la partecipazione di numerose unità speciali di forze armate e di polizia di varia nazionalità, alcune ben note come il GSG9 tedesco, il GIGN francese, il SAS britannico, ma anche americani, israeliani, spagnoli e di altri paesi, europei e non, con i quali si addestra con cadenza annuale”. Ecco così che Pisa si candida a divenire una delle capitali internazionali delle Teste di cuoio per la conduzione delle guerre sporche del XXI secolo.

Da Osservatorio Repressione

 

La sentinella di pietra sul lago d’Orta
Da iltorinese.it del 8 novembre 2022

Grigia e serissima, la Torre di Buccione – che non ha, evidentemente, un’anima – non può sapere che la sua citazione più conosciuta è contenuta in uno dei libri più belli e più ironici di Gianni Rodari, quel “C’era due volte il barone Lamberto ”, ambientato lì attorno

C’è chi, nel lento trascorrere del tempo, vigila. Infatti, d’inverno , quando il lago è velato, a pelo d’acqua, dalla nebbia, sembra che stia lì, sentinella di pietra sul colle, a difesa del silenzio e della pace di questa terra cusiana, sulla sponda orientale del lago d’Orta.Grigia e serissima, la Torre di Buccione – che non ha, evidentemente, un’anima – non può sapere che la sua citazione più conosciuta è contenuta in uno dei libri più belli e più ironici di Gianni Rodari, quel “C’era due volte il barone Lamberto”, ambientato lì attorno. Nel racconto del grande scrittore omegnese, dopo l’invasione dell’isola di S.Giulio da parte dei banditi che sequestrarono il barone, i giornalisti di mezzo mondo si disputarono gli “osservatori “migliori per seguire le varie fasi della vicenda. E se i giapponesi ( i più sistematici.. ) occuparono i punti più alti, cioè l’Alpe Quaggione e la vetta del Mottarone, scrutando il lago da nord a sud, da Omegna a Gozzano, l’unico punto altrettanto alto e panoramico per guardare il lago da sud a nord era proprio la Torre di Buccione, “occupata in forze dalla Tv messicana”. Non male come “utilizzo” nel XX secolo. Ma , riposta la fantasia e ripristinando la storia per com’è stata, bisogna dire che il primo documento che cita la fortificazione risale al 1200: il castello di Buccione fu teatro di un accordo stipulato alla presenza del vescovo Pietro IV tra i feudatari locali ed i rappresentanti del comune di Novara. Incontratisi nel prato sotto la Torre, che svettava con i suoi quasi trenta metri d’altezza sul colle, cercarono un’intesa per mettere fine alle dispute sulle questioni territoriali della Riviera. Nel 1205 il castello venne indicato come dimora del Vescovo e trent’anni dopo, in un altro documento, si ribadiva che la Torre e le fortificazioni di Buccione erano “indiscussa proprietà vescovile”. Il filo che lega questi documenti non solo testimonia la “presenza” della fortificazione di Buccione ma rappresenta tre momenti della originale evoluzione della Riviera di S.Giulio sotto il profilo istituzionale ed amministrativo, con i passaggi – nell’arco di trecento anni , dal Mille al XIII secolo – da signoria di “possesso territoriale” a signoria di “potere giurisdizionale” del vescovo di Novara, tant’è che per sbrogliare la complessa matassa fu persino necessario l’intervento degli arbitri dell’Imperatore.

Una mediazione non proprio pacifica visto che il Comune di Novara – impegnato ad espandere i suoi possedimenti – aveva creato ex-novo un suo avamposto tra il castello di Mesma e la Torre di Buccione ( il “borgo” della Mesmella ), insinuandosi come un cuneo nei possediemnti del vescovo così che , di conseguenza, gli arbitri imperiali dovettero ordinare la distruzione del borgo, restituendo all’autorità vescovile i castelli ed i villaggi posti a nord della Baraggia di Briga, con tutti gli annessi e connessi, cioè i diritti ed i poteri. Ma l’origine della Torre, secondo alcuni studiosi, ha radici ben più antiche dei cenni documentali già citati: radici che affondano nelle ombre e nei chiaroscuri dell’alto medioevo. Uno studioso che ha minuziosamente “rivisitato” la storia dell’imponente fortificazione – il Marzi – scrisse che “ si estendeva fino a coprire la vetta del colle”, identificandone due fasi di costruzione: “l’erezione della cortina e delle stanze del presidio sono da collocarsi intorno agli anni 1150-1175” mentre risultavano “troppo esigui gli elementi per datare i recinti successivi e il ridotto avanzato”. Resta il fatto che a rivelare le due fasi si possono citare almeno un paio di elementi: i parametri murari e la disposizione delle buche per il ponteggio. Le opinioni di carattere storiografico sono disparate: c’è chi giura si tratti di un manufatto di epoca romana, chi lo giudica invece opera dei Longobardi e chi ancora frutto di scelte ed indicazioni dei vescovi novaresi. Secondo il Marzi, nel suo “ Sulle origini del castello di Buccione “, edito dal comune di Orta S.Giulio nel 1984, gli autori vanno ricercati invece nei signori locali, legati da vincoli feudali al vescovo, forse i da Castello di Crusinallo.

Resta un fatto, abbastanza chiaro: il castello divenne una piazzaforte vescovile, in stretto contatto con il castello dell’isola di S.Giulio – eretto nel V secolo – di cui costituiva, insieme ad altre “torri” edificate sulle sponde del Cusio, una delle “teste di ponte” di un fitto ed articolato sistema di fortificazioni poste a guardia dello stato episcopale, una sorta di “enclave” indipendente nell’ambito dell’Italia del nord, nell’arco di ben sei secoli, dal 1219 al 1817. In cima alla torre, come si usava dire “..sospesa tra terra e cielo”, era posta la campana con cui si annunciavano gli imminenti pericoli: l’ultimo, prezioso, esemplare – fatto fondere nel 1610 – è tutt’oggi custodito nel giardino della sede del municipio di Orta. Il “castello di strada” e la torre, nei fatti, rappresentavano un’unica turrita fortezza alta, per l’esattezza, ventitre metri, con funzioni di segnalazione, suddivisa al suo interno in tre impalcati di legno che ne consentivano l’abitazione da parte della guarnigione . Il piano inferiore ( dove si apre l’ingresso attuale, risalente al 1800, mentre l’antico ingresso si trovava a circa sette metri da terra ) serviva da “caneva”, cioè da magazzino per i viveri e per l’acqua, necessari in caso d’assedio. Al secondo ed al terzo piano erano situate le latrine, con condotte convogliate verso il cortile per lo scarico dei liquami.

Al piano alto si trovava la cella – con la volta a crociera – munita di una bertesca organizzata su mensole, dalla quale si potevano spiare e combattere i nemici che minacciavano l’ingresso inviando loro dei “gentili omaggi” a base di pietre e, nei casi più ostinati, calderoni d’olio bollente. La fortificazione si completava di una cortina muraria esterna con camminamenti, feritoie, merli, ancora visibili all’inizio del ‘700 quando vennero descritte dallo storico rivierasco Lazzaro Agostino Cotta. Le mura, al loro interno, ospitavano un cortile rettangolare che includeva la “nostra” torre, mentre – in epoca successiva – venne edificato sul lato a nord un altro recinto che, stando ai resoconti del Cotta, poteva contenere fino a cinquecento soldati, ed un ridotto avanzato – situato sul crinale verso il lago – studiato come punto di controllo sulla strada che veniva percorsa da merci e viandanti. Oggi la Torre, impavida ed altera costruzione che domina il Cusio meridionale, dopo aver subito – in passato- le offese di vandali e teppisti, merita le cure di chi – per generazioni – è nato e cresciuto alla sua ombra. E la Riserva Regionale che oggi la tutela è stata pensata proprio per questo. Un nobile scopo per la nobile causa di una nobile ed ardita costruzione medioevale.

Di Marco Travaglini

 

Guerra e Musei in Italia: Il patrimonio culturale della II Guerra Mondiale
Da comunecervia.it del 8 novembre 2022

Conclusa con successo a Cervia la tre giorni di importanti e stimolanti riflessioni sul patrimonio bellico della II Guerra Mondiale alla presenza di un pubblico numeroso e interessato. Il convegno si è svolto in tre giornate di cui due ( 3 e 4 novembre) a Ravenna in via degli Ariani e il 5 novembre a Cervia.

La tavola rotonda che si è tenuta a Cervia è stata la conclusione di una tre giorni di riflessione fra esperti, storici museologi, storici del patrimonio culturale, storici del paesaggio, giuristi che hanno trattato il tema della guerra e della memoria, una memoria che rappresenta un importante patrimonio culturale che deve essere in parte ricostruito, salvaguardato e tramandato alle nuove generazioni.
L’evento, organizzato dall’Università di Bologna, dipartimento di Beni Culturali ha visto la collaborazione dell’Università di Macerata e del Comune di Cervia dove è stato intrapreso un percorso di riqualificazione e conservazione delle fortificazioni di difesa quali bunker e denti di drago e dove sono state fatte delle scoperte interessanti ed uniche dal punto di vista architettonico e artistico, che a quegli anni bui sono sopravvissute giungendo fino a noi. Un progetto volto alla patrimonializzazione di questi beni, al recupero e alla valorizzazione degli stessi come testimonianze di un periodo storico difficile e doloroso che oggi può sfociare in un percorso guidato che testimonia la follia della guerra e offre storie di vita vissuta. “Cervia sta lavorando da tempo in stretto rapporto con Università e Soprintendenza affrontando insieme anche le difficoltà che giungono soprattutto da resistenze di tipo emotivo e sentimentale, di percezione e accettazione della presenza di testimonianze sul nostro territorio e di ciò che rappresentano nella memoria collettiva. È un classico esempio di patrimonio dissonante, scomodo certamente ma foriero di un forte messaggio storico identitario e soprattutto di pace, perché è da quegli anni duri che sono nati i valori democratici che oggi contraddistinguono il nostro paese. Ringrazio l’Università di Bologna per l’appoggio importante, in particolar modo del Dipartimento dei Beni Culturali di Ravenna nella persona del professore Ciancabilla, che ha apprezzato da subito il progetto e ci ha aiutato a svilupparlo e connotarlo in uno spettro più ampio di fruizione, che prescinde dal linguaggio politico e da simbologie conflittuali, ma che vuole elevarsi a patrimonio culturale universale ”. Dichiara la delegata del sindaco ai Beni Culturali Federica Bosi

Durante le giornate di studio sono stati trattati i temi di tutela e valorizzazione di questo importante patrimonio narrante nel passato e nel presente: si è parlato di memorie da salvaguardare. Si è parlato delle realtà locali impegnate nella gestione di questo difficile patrimonio e della solitudine a cui sono relegate queste testimonianze. Solitudine intesa come assenza di una rete di coordinamento, che è la conseguenza di un approccio ancora timido alla materia da parte del governo centrale. Questo patrimonio infatti va avanti spesso attraverso il grande contributo di associazioni di volontari e il coraggioso lavoro delle amministrazioni locali. Nell’incontro a Cervia si è parlato del futuro insieme a studiosi e rappresentanti delle istituzioni.
Alla tavola rotonda hanno partecipato, oltre al sindaco di Cervia Massimo Medri, Donata Levi, docente di Museologia e Storia della critica D’arte all’università di Udine e responsabile del LIDA (Laboratorio informatico per la documentazione storico artistica)  Serge Noiret, presidente dell’associazione italiana di Public History; Claudia Castellucci, direttrice di Atrium, ( Architecture of Totalitarian Regimes in Europe’s Urban Memory), una delle 45 rotte culturali europee che partendo dalla città di Forlì si impegna nella divulgazione del patrimonio dissonante; Giuseppe Masetti; direttore dell’istituto storico della Resistenza di Ravenna e provincia. Importanti contributi sono arrivati da Cristina Ambrosini, docente in Legislazione dei Beni Culturali all’Accademia di Belle arti di Brera e responsabile del Servizio Patrimonio Culturale della Regione Emilia-Romagna, che si sta impegnando per la tutela del patrimonio bellico anche attraverso una normativa regionale molto all’avanguardia rispetto a quella nazionale e Federica Gonzato, Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna , Forlì-Cesena e Rimini, che con Cervia ha iniziato un importante lavoro di riconoscimento del patrimonio storico e che ha lanciato la proposta della creazione di un museo della memoria diffuso sul territorio attraverso un percorso di lavoro condiviso su più livelli.

 

A Palau saranno valorizzate le aree verdi delle ex batterie costiere militari di Monte Altura e di Baragge
Da unionesarda.it del 7 novembre 2022

La carenza di interventi di manutenzione su questi presidi un tempo militari “ha fatto sì che la vegetazione presente si sia evoluta in maniera considerevole e incontrollata, andando a limitare in parte ad impedire l’utilizzo delle strutture stesse”

Un’offerta turistica non solo balneare ma anche storico-culturale avendo riguardo per l’ambiente. In questa filosofia di sviluppo rientra il piano approvato dall’amministrazione comunale di Palau, per valorizzare le aree verdi delle ex fortezze ex militari di Monte Altura e di Baragge. Qui il Comune intende dare nuova evidenza alle aree verdi presenti sia all’interno che a ridosso di queste “al fine di ripristinare le doverose condizioni di decoro, conservazione e sicurezza della pubblica incolumità (con particolare attenzione ai rischi legati al propagarsi di incendi), garantendo così la massima fruibilità”. Costruita tra il 1887-1889 in posizione panoramica, nell’ambito delle fortificazioni realizzate a difesa dell’estuario della piazzaforte militare di La Maddalena, la batteria costiera di Monte Altura è di pregio dal punto di vista architettonico e ambientale. Dopo la seconda guerra mondiale è rimasta inutilizzata sino al 1990, quando ne è iniziata la sua valorizzazione culturale. Anche la batteria di Barrage è di fine Ottocento.

La carenza di interventi di manutenzione del verde presente all’interno di queste strutture ex militari, protrattasi nel corso degli anni, si legge nella relazione tecnica, “ha fatto sì che la vegetazione presente si sia evoluta in maniera considerevole e incontrollata, andando a limitare in parte ad impedire l’utilizzo delle strutture stesse minando la stabilità dei manufatti. Inoltre, la crescita incontrollata della vegetazione, conferisce all’aria un aspetto poco curato indecoroso e potrebbe rappresentare un concreto pericolo per il propagarsi di incendi”. Pertanto la ditta che sarà incaricata degli interventi procederà con “le opportune potature, i necessari abbattimenti e la sistemazione della viabilità”. L’importo a base d’asta dei lavori e di quasi 104 mila euro. La data di scadenza per la presentazione della dichiarazione di interesse per l’affidamento degli interventi è fissata al prossimo 18 novembre.

 

Fari e torri costiere, sul Gargano è caccia ai gioielli del mare. Si punta a riqualificare il patrimonio immobiliare
Da immediato.net del 7 novembre 2022

Di Saverio Serlenga

Il tenente di vascello Claudio Berardi ha illustrato i progetti che a breve potrebbero essere realizzati. Sull’isola di San Domino, nell’arcipelago delle Tremiti, è in corso di aggiudicazione il faro di San Domino che diventerà un rifugio minimal per allontanarsi dalla vita quotidiana

Torri costiere, fari ed edifici costieri. Sul Gargano è caccia ai gioielli del mare. Si fa sempre più concreta la possibilità di riqualificare il patrimonio immobiliare della Difesa nel territorio del Gargano e delle Isole Tremiti. Intervenendo ad un convegno sul turismo sostenibile, il tenente di vascello Claudio Berardi, ha illustrato i progetti che a breve potrebbero essere realizzati. Sull’isola di San Domino, nell’arcipelago delle Tremiti, è in corso di aggiudicazione il faro di San Domino che diventerà un rifugio minimal per allontanarsi dalla vita quotidiana.

Sempre sulle Tremiti, questa volta sull’isolotto di San Nicola, l’ex stazione “Meteomar”, attualmente in uso alla Marina Militare potrebbe diventare un’altra struttura turistica per favorire il turismo di qualità, così come anche il faro ubicato sull’Isola di Capraia. Sul Gargano si punta a riqualificare l’ex Idroscalo “Ivo Monti” costruito nel 1900 sulle sponde del Lago di Varano: anche in questa occasione si punta a trasformarlo in una struttura turistico-ricettiva. Tra Vico del Gargano e Peschici il patrimonio immobiliare della Difesa si avvale della Torre costiera di Monte Pucci che verrà trasformata in uno spazio destinato alla cultura, all’arte e al commercio sostenibile. “Il patrimonio immobiliare presente nell’area del Gargano – afferma il tenente di vascello Claudio Berardi – è vasto e comprende castelli, torri costiere e fari. Attualmente abbiamo diversi progetti che Difesa Servizi sta seguendo sul territorio del Gargano. Se recuperati e giustamente valorizzati, questi immobili potrebbero diventare un ulteriore volano per il turismo di qualità. Ci sono diversi operatori turistici che hanno manifestato interesse”.

 

Bunker antiatomici da Nord a Sud, pronto il piano del Viminale
Da blitzquotidiano.it del 6 novembre 2022

Bunker antiatomici da Nord a Sud, pronto il piano di soccorso del Viminale: torna l’incubo nucleare

Bunker antiatomici da Nord a Sud, nessuno però è operativo, pronto il piano di soccorso del Viminale: torna l’incubo nucleare 60 anni dopo Cuba.

di Enrico Pirondini

Bunker antiatomici in Italia. Ci sono ma nessuno è operativo. Sono disseminati da Nord a Sud ma non c’è un solo rifugio in grado di resistere ad un’onda d’urto, termica e radiologica, di un ordigno nucleare.
Il più grande, ad Affi (Verona), è stato chiuso nel 2004. Dobbiamo preoccuparci visti i chiari di luna? Esagerato? Forse no.

I PRIMI BUNKER, ANNI ‘60

Al tempo della guerra fredda, cioè della lunga contrapposizione – politica, ideologica, militare – tra Stati Uniti e Unione Sovietica (di qua la Nato con gli USA, di là il Patto di Varsavia con Mosca) circolava l’incubo nucleare. Più o meno come oggi.
Di qui la necessità di correre ai ripari. La guerra fredda (1947-1991) negli ‘60 assunse valori eccezionali di turbamento angoscioso collettivo tanto che la Nato, per raffreddare gli animi e le paure dei militari in Europa, pensò bene di realizzare per loro dei bunker antiatomici.

Il primo colpo di piccone è del 1960, un anno prima dell’invasione della Baia dei Porci orchestrata dalla CIA. Di qua John Kennedy, McNamara con l’agente segreto “Rip” Robertson, di là Fidel Castro con Che Guevara e kruschov. Sappiamo come è finita: vittoria cubana e navi sovietiche in ritirata. Scongiurata una guerra nucleare. Ma restò alta la tensione nel blocco Occidentale. E appunto si pensò ai bunker.

LA MAPPA DEI BUNKER DELLA GUERRA FREDDA

C’erano in Italia tanti bunker antiatomici. Grandi, piccoli. In grado di ospitare anche mille persone. Nel Veneto e nel Casertano i maggiori. A nord di Roma c’era il bunker di Monte Soratte: tre piani per 300 rifugiati (militari e politici); dismesso nel 2008.
A Napoli e Torino sono stati ricavati rifugi (antiaerei) d’un certo spessore. Idem in Alto Adige dove è stato costruita la Gampen Gallery al Passo delle Palade (1.508 metri s.l.m.). È lunga 1.500 metri, è un capolavoro ingegneristico. Oggi è un museo.

NEL MIRINO SOPRATTUTTO LE BASI NATO

Sono i target possibili. Parola degli esperti. E fanno l’elenco dei siti eventualmente a rischio: le basi americane tipo Aviano, Sigonella, Napoli e le basi italiane tipo Ghedi (Brescia). In caso di emergenza nucleare la Protezione civile ha pronto il protocollo di difesa. Primo, stare chiusi in casa due giorni con le finestre e le porte ben sigillate e non consumare alimenti prodotti nella zona contaminata come frutta, verdura, carne, latte.

PRONTO IL PIANO DEL VIMINALE

È un piano di soccorso. Direttive per i prefetti, le amministrazioni pubbliche e private, i Vigili del fuoco. Un piano periodicamente aggiornato. C’è poi l’Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) che monitora costantemente la situazione.

E non c’è solo l’Ucraina a preoccupare . Ci sono ben 16 impianti nucleari francesi (su un totale di 19) che distano meno di 200 km dai confini italiani. Come dire: occhio a Putin, occhio a Macron. Il ministero dell’Ambiente con Gilberto Pichetto Fratin (FI) e quello della Salute con Orazio Schillaci (Indipendente) stanno vigilando. L’EDF,la società francese che produce e distribuisce energia, ha dei problemi con alcuni reattori. Insomma ha ammesso di non essere tranquilla. Figurarsi noi.

 

Castrovillari, le antiche mura crollano sotto il peso dell’incuria
Da gazzettadelsud.it del 6 novembre 2022

Nessuna iniziativa per il recupero dell’area antica. Il parco archeologico è abbandonato a se stesso

Nuovi crolli delle antiche mura di cinta del Parco Archeologico della Madonna del Castello. Si tratta dell'abitato medievale della città di Castrovillari. Le fortificazioni, comprese le torri cilindriche, continuano a cedere sotto i colpi inflessibili degli agenti atmosferici. Le ultime piogge hanno accelerato l'azione di erosione, tra l'altro coperta dalla vegetazione che, ormai da decenni, s'è impadronita di un pezzo consistente delle strade, delle piazzette, delle chiese e dei terrazzamenti che caratterizzano il primordiale abitato cittadino. Allo stato resta in piedi soltanto un maxi-finanziamento di tre milioni di euro che dovrebbero generare il consolidamento del versante in frana del Colle Mariano. L'area in questione, però, si trova dalla parte opposta ed è stata posta sotto tutela dalla Soprintendenza.

Non vi sono, invece, progetti cantierati per promuovere la pulizia del Parco Archeologico e, magari, uno studio di massima capace di mappare con precisione gli stabili e il tracciato preciso delle antiche mura. Tutto il colle è tagliato in due dalla stradella del Fiumicello. La realtà, quella documentata recentemente dagli amanti della storia e della cultura locale, mostra la voglia di tornare a riscoprire le torrette di guardia ancora visibili insieme all'antica cinta muraria della città di Castrovillari. Solo una parte di comunità spinge per arrivare ad una qualche possibilità di sviluppo turistico legato proprio al Parco Archeologico nascosto. Si tratta di un “non luogo” da cui si fugge, a questo punto inspiegabilmente, per motivi che sarebbe opportuno valutare, anche in previsione di somme che possono essere captate attraverso i Piani di ripresa e resilienza o di progetti che abbiano una visione futura del Centro antico e di tutta la Valle del Fiume Coscile.

 

Come Costruire un Bunker AntiAtomico e Fallout in Casa
Da economia-italia.com del 6 novembre 2022

Infografica: numero di bombe atomiche nel mondo per stato. NB: molte di queste sono in disuso.

La maggioranza degli esperti dicono che non ci sarà uso di armi nucleari nella guerra in Ucraina, ma che non può essere escluso al 100% quindi questo articolo si basa sul worst scenario: cioè sullo scenario peggiore possibile: una escalation e l’uso di armi atomiche nella guerra in Ucraina e poi a più grande raggio, spiegato con parole semplici che TUTTI possono comprendere.

Già ci sono tante guide in giro simili e non sapevamo se fosse il caso di affrontare questo argomento oppure no, ma visto che c’è molta superficialità online a riguardo, abbiamo cercato di essere più approfonditi possibile, anche non utilizzando termini troppo tecnici, cercando di rispondere alle seguenti domande:

• Potremmo sopravvivere ad una esplosione nucleare o addirittura ad una guerra fatta con armi nucleari?
• Potremmo sopravvivere alla ricaduta radioattiva?
• Potremmo sopravvivere in un futuro post-nucleare?

Quante bombe atomiche sono esplose in tutto

Negli anni sono state fatte scoppiare quasi 2050 bombe atomiche. E sì, perchè si pensa sempre a menzionare Hiroschima e Nagasaki, ma in realtà le bombe atomiche che sono state fatte esplodere sono molte, molte di più.
Lo facevano per fare esperimenti e chissà quante persone sono morte dopo essersi ammalate.

Quante armi nucleari ci sono nel mondo

Non è dato sapere il numero preciso, che è nascosto dal segreto di Stato, ma una valutazione piuttosto vicino alla realtà ( visto che tra Usa, Russia e Cina) ci sono accordi di non proliferazione, le testate in possesso dei 9 paesi dovrebbero essere dalle 12 alle 13.000.
Va detto che 1 missile può contenere fino a 9 MIRV cioè testate multiple
Va anche detto che molte di queste armi nucleari non sono operative.
Si tratta di bombe costruite molti anni fa che dovrebbero essere “aggiornate” sia a livello di sicurezza sia a livello tecnologico o quanto meno “mantenute” quindi come ad ogni macchina funzionante gli va fatta la manutenzione.

Proprio così ogni tot tempo alle testate nucleari (non solo a quelle ma anche agli eventuali missili che le supportano) va fatta manutenzione.
Ad esempio ogni anno gli vanno cambiati i 4-5 grammi di trizio che servono per la detonazione delle testate TERMONUCLEARI ( quelle strategiche più potenti che servono a distruggere intere città) , trizio che costa sui 30,000 dollari al grammo. ( Da non confondersi con le testate tattiche che si possono usare a breve distanza e che sono caricate al plutonio e che non hanno bisogno di questo tipo di manutenzione) Siamo sicuri che in paesi dove la corruzione nelle forze armate è diffusissima, questo elemento sia stato sostituito e che le bombe siano funzionanti, oppure sono solo un’ammasso di materiale radioattivo che non può esplodere?
Secondo Noi molte testate nucleari che esistono oggi, sono solo sulla carta. Delle 7.000 testate russe ad esempio, potrebbero essercene funzionanti solo una frazione, da quello che si può vedere quanto accade agli aerei russi, carri armati russi e navi russe di ultima generazione.

Le principali basi NATO in Italia

Quante armi nucleari ci sono in Italia

Nell’ambito del programma NATO l’Italia ha nei suoi bunker circa 90 testate nucleari disponibili in bombe da aereo. possono essere usate in caso di risposta ad attacco nucleare da aerei italiano o aerei americani. Gli aerei italiani che possono trasportare e lanciare questo tipo di bombe sono i vecchi Tornado ma anche i nuovi F-35 (https://www.economia-italia.com/prezzi/f-35).
E’ molto importante sapere dove si trovano le armi nucleari in Italia:
Si trovano presso la base NATO di Ghedi ( Brescia) e presso la base NATO di Aviano ( Pordenone ). Queste due basi militari molto probabilmente sono obiettivi strategici militari anche per armi atomiche russe.

Quali sono i principali obiettivi militari in Italia da colpire in caso di guerra: le basi militari più importanti

E’ opinione comune che l’Italia sia un paese tutto sommato “debole militarmente” . L’Italia è la patria del Vaticano, del Papa, della Chiesa cattolica di San Francesco e del pacifismo. Ma l’Italia è da sempre la più importante nazione del Mediterraneo a livello
strategico militare.
Mare Nostrum, chiamavano il Mediterraneo gli antichi romani proprio perchè dall’Italia riuscivano a controllare un Impero immenso.
Ai tempi moderni questa sua importanza militare non è diminuita, facendo parte della NATO infatti ci sono diverse basi militari importantissime come la base militare di Sigonella, da cui possono decollare aerei militari della NATO che possono andare a colpire in pratica tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Tutte queste basi militari possono essere degli obiettivi strategici da colpire per un eventuale nemico in caso di guerra atomica.
Capite che più si sta lontano da queste basi e più è difficile ritrovarsi vicino ad una esplosione atomica.
Ovviamente non tutte le basi militari si possono considerare degli obiettivi per missili intercontinentali, ma solo quelle più importanti.

Le basi militari più importanti in Italia sono in pratica su questa cartina qui sopra, si tratta di basi aeronautiche e della marina militare, aeroporti e porti da dove potrebbero partire decine di aerei e decine di navi militari molto potenti ed importanti per tutti gli eserciti occidentali.
Nello scacchiare della NATO infatti l’Italia è chiamata a fare la sua parte proprio a livello di aviazione e marina, meno importante viene considerato l’esercito, questo proprio in base alla sua conformazione ed alla sua posizione strategica sul Mediterraneo.

Basi dove si trovano le bombe nucleari NATO in Europa

Armi Nucleari in Europa

Si chiamano B61 e sono ( forse ) dalle 100 alle 300 bombe da trasporto aereo, adatte ad essere trasportate dai caccia bombardieri Tornado ( che stanno andando in pensione) e che che verranno sostituiti dagli F-35, che ricordiamo sono aerei Stealth.

Quindi, sebbene si parli sempre di “missili nucleari della NATO” Questi in pratica non esistono più – almeno in Europa – , perchè sono stati sostituiti da bombe per aereo, meno costose e più facilmente trasportabili.
D’altronde nelle Nostre acque potrebbero girare sottomarini con missili intercontinentali e testate multiple atomiche, sia occidentali che della Russia e Noi non lo sapremo mai.
La potenza delle bombe NATO B61 varia dai 10 ai 350 Kilotoni. Quindi molto meno di un Megatone, che è una misura di potenza pari a 1.000 kilotoni.
La bomba atomica più potente mai fatta scoppiare fu di 50 Megatoni ( 50.000 kilotoni ) la Bopmba atomica di Hiroshima aveva una potenza di circa 15 kilotoni.
Va specificato che i danni che può fare un’esplosione atomica non sono proporzionali alla potenza della bomba stessa. E’ più complicato, come vedremo in seguito.

A quanti chilometri devo stare per poter sopravvivere ad una esplosione atomica

Ma veniamo alla parte che ci interessa di più: avendo capito che abitare vicino ad una base militare NATO non è una buona idea, in caso di guerra, cerchiamo di capire in teoria a quale distanza bisognerebbe stare per evitare le conseguenze di una esplosione nucleare.
Purtroppo la sicurezza di riparo dalle conseguenze di un bombardamento atomico al 100% non esiste.
Ci sono però dei posti più sicuri e dei posti meno sicuri. Anche se va specificato che parliamo di TEORIE perchè nonostante si siano fatte molte prove ( quasi 5.000 testate nucleari sono state fatte esplodere dalla scoperta di questa arma) ad esempio non possiamo dire i danni che provocherebbe una bomba atomica fatta esplodere al centro di una grande città
costruita da palazzi in cemento armato. Il raggio di totale di distruzione quanto potrebbe essere? Se delle persone si dovessero rifugiare all’interno degli edifici, magari in dei garage sottoterra a 2-3 chilometri dal punto 0, riuscirebbero a restare vive, oppure morirebbero per il fenomeno della sovrapressione e del calore sprigionato dalla bomba, oppure morirebbero ore o giorni dopo atroci sofferenze ?
Per rimanere vivi ad un’esplosione nucleare bisognerebbe stare ad una distanza di almeno 5 chilometri e rinchiusi dentro un rifugio anti atomico.

I danni che fa un’esplosione nucleare

Sopra: quanta protezione dalla bomba atomica da un palazzo?

I fattori letali di una bomba atomica sono fondamentali per capire come ci si può riparare e sopravvivere alle sue conseguenze:

1. Esplosione: relativa sovrapressione, ed emanazione di raggi gamma ed altri tipi di radiazioni. Ci saranno oggetti di tutti i tipi che volano ad una velocità fortissima e che quindi diventano letali, la palla di fuoco, cioè una circonferenza in cui la bomba sprigiona talmente tanta energia che l’aria prende fuoco e tutto ciò di biologico che si trova in quella circonferenza non può sopravvivere ( di solito la media è di 5 Km. ma va in base alla potenza della bomba) . Conseguenze che ha l’organismo in caso di spostamento d’aria: gli organi interni possono collassare, ma anche se si è un po’ più lontani lo spostamento d’aria può fare danni molto seri. Le radiazioni di un’esplosione nucleare sono mortali e portano le cellule dell’organismo animale ad ammalarsi in pochi giorni e poi la morte. Le radiazioni sono meno farti man mano che ci si allontana dal PUNTO ZERO dell’esplosione e se si è riparati.

2. Fallaut radioattivo: esplodendo, la bomba “risucchia” migliaia di tonnellate di terreno e le porta in alto, formando una nube radioattiva, di solito questa nube cade nel posto, nelle vicinanza ma se c’è una giornata ventosa può essere trascinata via e ricadere a centinaia di chilometri. La nube radioattiva è facilmente riconoscibile in quanto di colore bianco o comunque molto chiaro. Questa specie di “neve” ( così descritta dai testimoni che l’hanno vista) come dicevamo è radioattiva ma non è detto che se la si prende si muore subito. Dipende dall’intensità di quanto è stata irradiata ecc i fattori sono molti e complessi quindi ci sono testimonianze di persone che hanno addirittura “mangiato” questa neve e non sono morte subito ( come i famosi pescatori giapponesi che si trovarono per sbaglio nei pressi di un’atollo durante un’esperimento nucleare in Oceano Pacifico negli anni ’50), anche se negli anni hanno sviluppato dei tumori.

3. Lo scoppio di 1 sola o poche bombe nucleari fanno dei danni solo a livello locale. E’ vero che ci sono i venti e la nube radioattiva può spostarsi anche di centinaia di chilometri, ma si tratta di danni relativi, come è successo per Chernobil quando dall’Ucraina la nube radioattiva se ne andò in giro per mezza Europa per una ventina di giorni. Ovviamente i danni sono più gravi più la bomba è grande, ma non è un rapporto proporzionale costante. (ad esempio se una bomba di potenza 1 fa danni per 1, una bomba di potenza 10 fa danni per 5, per 4, non per 10)

4. Inverno nucleare; è una situazione ipotizzata dagli scienziati in cui si ritroverebbe la terra in caso di una guerra termonucleare globale con l’esplosione di centinaia o migliaia di bombe atomiche in poche settimane. Nel caso di uso di migliaia di testate nucleari la polvere radioattiva coprirebbe la terra di nubi e i raggi solari non sarebbero più in grado di entrare e riscaldarci e questo porterebbe un inverno nucleare di almeno 2 o 3 anni, con un episodio di grande estinzione di massa, non dando più la possibilità ai vegetali di crescere e la terra resterebbe al gelo per 2 o 3 anni. Si tratta naturalmente solo di un ipotesi, ma pare che molti scienziati siano concordi su questo scenario, Sopravvivere ad una cosa del genere sarebbe sicuramente la cosa più difficile.

Da questo si capisce che più lontano si sta da “ground zero”, cioè dall’epicentro di una esplosione nucleare e più possibilità di sono di sopravvivere.
Questo a meno che non si stia all’interno di un vero bunker militare antiatomico, costruito ad hoc, quindi in spesse pareti di cemento armato e sottoterra almeno di una ventina di metri. Il blast o palla di fuoco e l’effetto sovrapressione ( cioè l’aria schiacciata dall’esplosione che poi si irradia tutto intorno a pressioni altissime. molto più alte che all’interno di una gomma di un’auto) che sprigiona sono infatti letali.

Si può sopravvivere ad una esplosione atomica anche se non si costruisce un bunker anti-atomico

Per chi è nato dagli anni ’50 fin tutti gli anni ’80 sapere come funzionano le bombe atomiche, le radiazioni, come si dovrebbe costruire un bunker non è una novità,, ma con la fine dell’URSS nel 1989 e la fine della guerra fredda nessuno ha mai più pensato ad una probabile guerra globale con anche l’uso di armi nucleari, fino a che Putin il 24 febbraio ha invaso l’Ucraina e i telegiornali e il governo russo un giorno si e uno no accennano all’uso di armi nucleari.

Per questo abbiamo deciso di parlare – oltre di come investire in caso di guerra (https://finanza.economia-italia.com/investire-in-caso-di-guerra) – anche delle basi, cioè come sopravvivere in caso di esplosioni nucleari.
Molti siti, video su Youtube o “esperti” dicono che nessuno inizierà ad usare armi nucleari perchè poi si sa che ci sarà la fine dell’essere umano.
Ma la questione non è così semplice. La Russia ha una sua strategia militare sull’uso di armi nucleari tattiche (https://www.economia-italia.com/armi-nucleari-tattiche), potrebbe usarle in modo locale senza che questo porti per forza di cose ad una escalation.
Quindi se un domani ci dovesse essere uno “cambio” di attacco nucleare questo potrebbe rimanere circoscritto o alla sola zona di guerra in Ucraina oppure ai soli obiettivi militari strategici in Europa.

1. La distanza dallo scoppio: uno dei fattori determinanti per la Nostra salvezza

La stragrande maggioranza degli italiani vive lontano dalle basi militari italiane e della NATO presenti in Italia. Ma non siamo al sicuro al 100%

Se vivi in un posto a 50 o 100 chilometri o più lontano da una base militare, l’eventuale esplosione non dovrebbe avere nessun effetto immediato, il problema sarà ( forse) il fallaut radioattivo.
E questo problema cioè il fallaut radioattivo sarà proprio quello da cui bisognerà proteggersi per il 90-95% della popolazione.

2. Quanto tempo prima sarà dell’esplosione? Il tempo è un altro fattore determinante per mettersi in salvo.

Ci sta che in casi di gravi crisi internazionali le cose montino con il tempo e che una persona abbia mesi o settimane per prepararsi.
Ci sta invece che la maggior parte delle persone ignorino i segnali di pericolo, oppure abbiano così tanta fiducia nella “parte buona e ragionevole” dell’essere umano che anche contro ogni evidenza, continuino a fare la loro vita: lavoro, scuola, vacanze, ufficio ecc. A quel punto però se si è in auto e scoppia una bomba atomica anche lontana qualche decina di chilometri, questa potrà essere mortale. Ci sta che trovare un riparo che ci tenga al sicuro per 2-3 settimane sia impossibile e allora saranno guai seri.

Se si riesce a sapere PRIMA che arrivi sulle Nostre teste però, ci sono molto probabilità di uscirne vivi.

il rifugio antiatomico non deve per forza essere un bunker anti-bomba, parliamoci chiaro: se una bomba atomica ci scoppia perpendicolarmente, anche se ci troviamo 3 o 4 metri sottoterra non avremo scampo.

Forse non avremo scampo neppure 20 metri e nemmeno in un bunker anti atomico militare. Considerate che i bunker anti atomici militari russi e americani più importanti venivano scavati direttamente ai piedi di montagne di roccia particolarmente resistente e potevano stare sotto terra anche di 200 metri, proprio come il bunker italiano più importante della NATO, quello di Affi denominato West Star.
Basta mettersi in un rifugio improntato per l’emergenza. Come si vede da questi disegni basta una cantina o un garage seminterrato ed adeguatamente sistemato. Nel garage bisognerà usare grandi fogli di plastica bella spessa e di nastro sigillante impermeabile per SIGILLARE porte, finestre ed eventuali prese d’aria.

In questo rifugio bisognerà ricordarsi di mettere cibo a lunghissima scadenza ( come scatolette di tonno) e acqua in fusti di plastica o in vecchie bottiglie nonchè avere un secchio da usare come WC chimico ( come quello delle roulotte) e tutto quello di cui si ha bisogno per 3 o 4 settimane.
Quindi se la bomba scoppia a 50 km da Noi o anche più lontano, basterà rimanere chiusi all’interno del rifugio per 1 mese o anche di più, o di meno, dipende anche dal numero di bombe che sono cadute, dal fatto che ha piovuto o meno)

Il problema delle bombe sporche

Cos’è una bomba sporca?
Non è altro che una bomba rudimentale , fatta in modo aritigianale che ha tra i suoi materiali del materiale di tipo radioattivo di varia entità. Si può usare dal materiale radioattivo di un semplice ospedale al materiale radioattivo di una centrale nucleare a quello di una bomba atomica.

Il danno fatto da una bomba sporca non sarà quindi nell’esplosione, che sarà contenuta rispetto al quantitativo di esplosivo convenzionale usato, ma nella dispersione di materiale più o meno radioattivo. In altre parole se si fa esplodere una bomba sporca non c’è una esplosione atomica, ma una esplosione convenzionale che però manderà in frantumi materiale radioattivo che inquinerà tutta la zona dove è accaduta l’esplosione.

L’Ucraina ha accusato la Russia di voler usare delle bombe sporche.
La Russia a sua volta ha accusato l’Ucraina di voler usare delle bombe sporche ma. dato che stiamo parlando che verrebbero usate nel territorio Ucraino, propendiamo per logica che siano i russi a volerle usare.
D’altronde i servizi di intelligence occidentali dicono questo e Noi crediamo ai servizi di intelligence di paesi democratici e Nostri alleati, non certo a quelli di una nazione in cui vige in pratica una dittatura.
E’ semplice costruirle, trasportale ed usarle, come si vede nella ricostruzione qui sopra.
Hanno un costo irrisorio e le evidenze del loro uso si può notare solo molti giorni dopo quando le persone si ammaleranno.

Sopra: dei Tipici garage seminterrati di palazzi e palazzine dove poter costruire un rifugio anti fallout radioattivo.

Il numero di bombe nucleari che verranno fatte esplodere durante un eventuale guerra

Quando pensiamo ad una guerra nucleare, il Nostro cervello collega subito a quello che conosce: cioè i film di guerre nucleari che mostrano centinaia, migliaia di missili partire da Russia e Stati Uniti per andare contro il nemico.

Questa però è una eventualità la meno probabile di tutte, perchè sarebbe la mutua assicurata distruzione e nessuno la vuole. Far esplodere ndi grandi territori russi 5.000 testate atomiche americane tutte i9nsieme significa non solo distruggere tante città, ma anche impedire agricoltura e pascolo in quelle terre per almeno 3 o 4 anni.
Per questo motivo pensiamo che se ci sarà una 3a guerra mondiale, l’uso di armi nucleari sarà solo a livello tattico, cioè sul campo e su pochi obiettivi militari di grande importanza nel territorio del nemico.

Costruire un rifugio anti atomico e anti fallout in Italia

In Italia ed in Europa siamo più fortunati che in altre parti del mondo: abbiamo dei garage e cantine sottoterra o seminterrati perfetti per lo scopo.

Ovviamente un seminterrato non potrà resistere ad uno scoppio di una bomba atomica molto vicina, nell’ambito di 1 o 2 chilometri, ma se si è ad una distanza di oltre 10 km o più, già può resistere abbastanza bene ad ogni tipo di esplosione di arma nucleare tattica.
Il problema sarà sopravvivere al fallout e all’inquinamento atomico dell’aria, dell’acqua e del cibo e bisognerà concentrarsi su quello, cioè sopravvivere giorni all’interno senza subire radiazioni.
L’Italia è un paese sismico e da anni ci sono leggi per costruire case antisismiche. Le prime leggi furono fatte 200 anni fa e le case più sono recenti e più seguono leggi restrittive tanto che case costruite in zone sismiche sono estremamente resistenti, basate su fondamenta di cemento armato, cioè il meglio del meglio in fatto di resistenza. Ma anche il migliore materiale di costruzione per schermare le radiazioni. Inoltre molti Nostri palazzi e quasi tutte le case singole italiane sono dotate di garage seminterrato o di cantina seminterrata.

E’ questo il luogo dove poter approntare un rifugio anti atomico ed anti fallout radioattivo con pochi semplici accorgimenti.
La cantina o garage seminterrato basterà usarla SEMPRE come cantina per cibo a lunghissima scadenza come le scatolette ( ad es. le scatolette di tonno hanno una scadenza di 4 o 5 anni ) e taniche d’acqua.
Nella cantina/garage possiamo mettere anche tutta un’atra serie di cose che servono durante una normale vita di pace: teli di plastica, nastro adesivo industriale ( che poi vedremo a che serve) coperte che usiamo poco, taniche di acqua, cibo in scatola a lunghissima conservazione, altro tipo di cibo, materassi e cuscini che avanzano, materiale che può servire per il campeggio o specifico per la sopravvivenza. Niente di troppo complicato, ad esempio lampadine che si ricaricano con la manovella, o la luce solare, pannelli solari per la ricarica di smartphone ed altri sistemi, scatole di Pronto Soccorso. Niente di “speciale”, ma volendo, naturalmente ci si può mettere anche qualcosa di specifico, come potabilizzatori, WC chimici ( quelli che si usano per le roulottes) letti che invece di buttare si tengono per l’emergenza, far costruire un sistema di acqua, luce, fogne.

Sopra: simulazione di un’esplosione atomica sopra PISA, dove c’è una importante sede militare della NATO

EFFETTO DI UNA ESPLOSIONE ATOMICA A PISA, SOPRA UNA IMPORTANTE BASE NATO in Italia

Sopra: tramite il sito “Nukemap” dove si possono simulare esplosioni nucleari abbiamo cercato di dare un’idea di cosa potrebbe accadere in caso di attacco nucleare al suolo italiano.
Come dicevamo , per capire bene i danni che combinano questi ordigni, bisogna fare simulazioni con ordigni che sono in possesso e sono utilizzabili dagli eserciti OGGI.
Quindi non ha nessun senso utilizzare per i propri calcoli le bombe sganciate ad Hiroshima o Nagasaki in quanto troppo poco potenti per gli standard militari di oggi, nè quelli degli esperimenti più grandi e storici, tipo la Tsar bomb. Quindi abbiamo basato queste esplosione su un arma in dotazione all’esercito degli Stati Uniti e ancora utilizzabile, con una potenza di 150 Kilotoni ( circa 10 volte Hiroshima ), ricordando sempre che l’aumento delle conseguenze non è in rapporto con l’aumento della potenza.

Effetti e a quali Distanze di un’esplosione di 150 kilotoni*: ▼

( esplosione che avviene con una altitudine di 1660 metri per massimizzare l’effetto sovrapressione)

Raggio palla di fuoco: 450 m (0,64 km²)
• Dimensione massima della palla di fuoco nucleare; la rilevanza del danno al suolo dipende dall’altezza della detonazione. Se tocca il suolo, la quantità di ricaduta radioattiva aumenta significativamente. Qualsiasi cosa all’interno della palla di fuoco viene effettivamente vaporizzata. Altezza minima di scoppio per ricadute trascurabili: 410 m.
• Raggio di radiazione (500 rem): effetto fino a 1 km (3,17 km²)
• 500 dose di radiazioni ionizzanti; probabile fatale, in circa 1 mese; Il 15% dei sopravvissuti alla fine morirà di cancro a causa dell’esposizione.
Raggio di danno da esplosione moderato (5 psi): effetto fino a 3,74 km (43,8 km²)
• Con una sovrappressione di 5 psi, la maggior parte degli edifici residenziali crolla, le lesioni sono universali e le vittime sono diffuse. Le possibilità che un incendio scoppi in danni commerciali e residenziali sono elevate e gli edifici così danneggiati sono ad alto rischio di propagazione del fuoco. Spesso usato come punto di riferimento per danni moderati nelle città. L’altezza ottimale della raffica.

• Raggio di radiazione termica (ustioni di 3° grado): effetto fino a 5,26 km (86,9 km²)
• Le ustioni di terzo grado si estendono attraverso gli strati della pelle e sono spesso indolori perché distruggono i nervi del dolore. Possono causare gravi cicatrici o disabilità e possono richiedere l’amputazione. La probabilità del 100% di ustioni di 3° grado a questa resa è di 10,1 cal/cm2.
Raggio del danno da esplosione leggera (1 psi): effetto ( se non riparati ) fino a 10,5 km (347 km²)
• Con una sovrapressione di circa 1 psi, ci si può aspettare che le finestre di vetro si rompano. Ciò può causare molte ferite in una popolazione circostante che si avvicina a una finestra dopo aver visto il lampo di un’esplosione nucleare (che viaggia più velocemente dell’onda di pressione). Spesso usato come punto di riferimento per danni leggeri nelle città. L’altezza ottimale della raffica per massimizzare questo effetto è di 2,48 km.

Conclusioni: come sopravvivere alla bomba nucleare?

Nella lontana ipotesi di una guerra che implichi l’uso di armi nucleari quindi, difficilmente TUTTI SPAREREBBERO TUTTO SUBITO, con il rischio di rendere quasi l’intero pianeta inabitabile con la conseguenza di miliardi di morti in pochi mesi.
Nel caso invece più comprensibile di una crisi che poi ha una escalation, l’uso di armi nucleari prima sarebbe di armi tattiche sul campo, quindi di precisi obiettivi militari dell’avversario, alla fine si guarderebbe ad obiettivi strategici come centrali nucleari, dighe, importanti vie di comunicazione, esattamente come sta accadendo ora in Ucraina. Insomma: la maggior parte di NOI sopravviverebbe. Vediamo perchè e come.

1. La possibilità più alta di sopravvivere ce l’avrà chi è il più lontano dagli OBIETTIVI di guerra: basi militari NATO, italiane, dighe, infrastrutture basilari come raffinerie, centrali elettriche, importanti snodi ferroviari, porti ed aeroporti militari e non.
2. Il bunker antiatomico serve, ma solo se si è ad una certa distanza dall’esplosione. Perchè se si è a solo 1 km tutta l’aria intorno brucerà ad altissime temperature e se non ci avrà ucciso la sovrapressione, ci ucciderà il calore oppure le fortissime radiazioni che ci sono entro quel raggio descritto qui sopra.
3. Serve invece sicuramente un bunker anti radiazioni ed anti-fallout. In questo caso però andrà usato per molto tempo, cioè i giorni necessari per far si che le radiazioni all’esterno diminuiscano fino a dare la possibilità alle persone di uscire, magari solo qualche ora ( meno tempo l’organismo è irradiato dalle radiazioni e meno queste faranno danni ).
4. Ricordiamo che in Italia ci sono intere regioni senza obiettivi militari nè di grande valore infrastrutturale, quindi TEORICAMENTE SICURE.

Come dovrebbe essere fatto e cosa dovrebbe contenere un bunker anti radiazioni:

Se ci si pensa bene, tutte queste cose ( a parte il contatore geiger per radiazioni nucleari ) sono oggetti che sono presenti nei garage di tante famiglie italiane che fanno campeggio e non c’è bisogno di essere dei paranoici surviver per tenerle con sè.

• Deve essere fatto sotto terra,
• se è un semi interrato la parte esposta all’esterno bisogna riempirla con mattoni, o terra, o sacchetti di sabbia in modo da ispessire le pareti in modo da frenare le eventuali radiazioni.
• Dovrebbe avere uno scolo fognario ed una cannella e lavandino per l’acqua ( come già presente su quasi tutti i garage di nuova fattura)
• Deve avere TUTTE le prese d’aria sigillate e quelle che non è possibile sigillare vanno chiuse con del materiale traspirante in modo da poter far entrare aria ( appena sufficiente per respirare) ma non polvere o terra che sarà sicuramente radioattiva. Se si riuscisse ad avere un impianto che filtra l’aria, sarebbe il massimo ma sappiamo che la cosa è quasi impossibile da fare e un filtraggio fatto da spugne, cotone e lana può essere sufficiente se non si è nelle vicinanze di una esplosione.
• Ci devono essere taniche da riempire con l’acqua
• Un sistema fognario o un Waver chimico tipo campeggio
• Cibo in scatola di lunga durata, a sua volta se possibile schermato dalle radiazioni
• Materiale per schermare posti e persone: teli di plastica, nastro adesivo industriale, contatore geiger ( ricaricabile costa circa 100 euro )
• Tutto quello che può servire per le emergenze: luci e radio ricaricabili a manovella, candele, accendini, KIT e borse pronto soccorso ben fornite, possibilmente letti e/o materassini, coperte, sacchi a pelo, fornellini, pentole da campo, libri o opuscoli per la sopravvivenza in caso di inquinamento nucleare. Tutto quello che può servire ad un normale campeggio di qualche settimana.

ISTRUZIONI DEL MINISTERO DELLA SALUTE UCRAINO IN CASO DI ESPLOSIONE NUCLEARE.

Come ti devi preparare?
1. Trova un rifugio vicino a casa, lavoro, scuola, ecc. Il rifugio può essere sia un
seminterrato che una stanza all’interno di un edificio realizzato in materiale durevole: mattoni, cemento e terra fermano le radiazioni meglio del legno, del cartongesso o della lamiera sottile.
2. Come riparo all’interno dell’edificio, è preferibile scegliere una toilette, un bagno o un ripostiglio, situato più lontano dalle pareti esterne e dal tetto. Perché i materiali radioattivi si depositano sulle pareti esterne e sul tetto. In un edificio a più piani in mattoni o cemento, le stanze più sicure sono le stanze chiuse ai piani intermedi.
3. Il rifugio più affidabile è il seminterrato. I rifugi sotterranei possono proteggere non solo dalle radiazioni, ma anche dai detriti e dalle onde d’urto.
4. Prepara una valigia di emergenza. È auspicabile che ce ne siano molti nei luoghi in cui ti trovi più spesso: a casa, al lavoro. Dovrebbero avere un cambio di vestiti, acqua in bottiglie chiuse, prodotti confezionati ermeticamente per la conservazione a lungo termine.

Inoltre, dovresti acquistare :

• • Respiratori FFP2 o FFP3
• • robusti sacchi in polietilene,
• • impermeabili in film/polietilene
• • nastro (preferibilmente rinforzato)
• • guanti di gomma per la casa
• • occhiali per la protezione degli occhi
• • solvente per unghie o acetone puro
• • mappa e bussola.
• • dosimetro
• • ioduro di potassio
• • ricevitore radio.

La radio può rimanere l’unica fonte di informazioni se altre reti di comunicazione vengono danneggiate dall’esplosione.
Fai attenzione! È impossibile usare lo ioduro di potassio “per la prevenzione”. Il farmaco funziona solo per un breve periodo di tempo. Se usato casualmente, può causare disfunzione tiroidea. Il farmaco sarà efficace 6 ore prima della possibile esposizione allo iodio radioattivo e 8 ore dopo tale esposizione.Il Ministero della Salute ha spiegato come assumere correttamente ioduro di potassio in caso di necessità:

• • bambini meno di 1 mese — 16 mg;
• • bambini a partire da 1 mese a 3 anni — 32 mg;
• • bambini a partire da 3 a 12 anni — 62,5 mg;
• • adolescenti di età compresa tra 13 e 18 anni, adulti fino a 40 anni, donne in gravidanza e in allattamento — 125 mg.

Gli adulti dopo i 40 anni non sono raccomandati dal Ministero della Salute per l’uso di ioduro di potassio, poiché a questa età la ghiandola tiroidea quasi non accumula iodio radioattivo. Tuttavia, se una donna sulla quarantina è incinta o sta allattando, dovrebbe assumere una dose di iodio per proteggere se stessa e il suo bambino. Perché durante la gravidanza e l’allattamento, la tiroide delle donne è più attiva e può assorbire più iodio radioattivo.

Cosa fare quando si viene colpiti?

• In caso di attacco nucleare, devi agire rapidamente. In caso di allerta di minaccia nucleare, recati immediatamente al rifugio più vicino e porta con te la tua valigia di emergenza.
• Se non sei in un rifugio sotterraneo, non avvicinarti alle finestre, stai il più lontano possibile dalle pareti esterne e dal tetto.
• Sopravvivere vicino all’epicentro dell’esplosione è possibile solo se sei al riparo.
• Se sei per strada durante un’esplosione, dovresti trovare immediatamente un riparo, o nasconderti in una rientranza o dietro qualsiasi oggetto solido che possa proteggerti. È meglio sdraiarsi a faccia in giù, coprirsi con i vestiti, coprire la testa con un cappuccio o le mani.
• Se sei in un veicolo durante un’esplosione, devi fermarti e accovacciarti all’interno dell’auto.
• Devi essere in una posizione sicura finché non si verificano due onde d’urto, che suonano come un tuono. Hai quindi 10 minuti per raggiungere il rifugio più vicino prima che inizi la ricaduta.

Cosa fare dopo?

• Non appena sei nel rifugio, devi toglierti i vestiti sporchi e metterli in un sacchetto di plastica. Se possibile, lavare le zone esposte del corpo e dei capelli con sapone, se non c’è acqua, strofinare con salviettine umidificate o un panno umido. Indossa abiti puliti, evita di toccarti occhi, naso e bocca inutilmente. Gli organi respiratori devono essere chiusi con un respiratore e NON attivare la ventilazione.
• Mentre sei nel rifugio, puoi mangiare cibo e bere solo acqua da contenitori sigillati.

Quanto tempo devi stare nel rifugio?

Il minimo è di 24 ore. Più a lungo rimani nel rifugio, minore sarà la dose di radiazioni che riceverai. Ma se sei in un cattivo rifugio e ce n’è uno migliore nelle vicinanze, spostati in esso almeno un’ora dopo l’attacco.
Il livello di minaccia dall’esterno dipende anche dalla distanza dall’epicentro dell’esplosione, dalla direzione del vento e dalla potenza della bomba. Se hai un dosimetro, puoi misurare tu stesso il livello di radiazione fuori dal rifugio. Un indicatore fino a 30 microrentgen all’ora (0,3 microsievert all’ora) è considerato sicuro.

Come e quando puoi uscire?

Prima di uscire, è necessario indossare un respiratore, guanti, impermeabile, occhiali e copriscarpe, mettere le cose in una borsa. Per una migliore protezione, puoi avvolgere i punti che non si adattano bene al corpo con del nastro adesivo.
Il respiratore deve essere cambiato ogni tre ore, l’impermeabile ogni 8-10 ore.
Dovrebbero essere rimossi in stanze sicure, preferibilmente negli scantinati.
Se ti sporchi le mani o il viso, puliscili con della carta assorbente imbevuta di solvente per unghie. Se inizia a piovere, riparati immediatamente.

 

Un tempo difendeva la "Porta dell'Aquila": l'antica torre in Sicilia tra i castelli e le mura
Da balarm.it del 6 novembre 2022

Oggi questi spazi costruiti in passato per la difesa di questa splendida città siciliana sono tornati fruibili da parte dei visitatori. La loro storia e tutti i dettagli utili

Di Federica Puglisi

Una città controllata da un ampio sistema di fortificazioni, per tutelarla da possibili attacchi nemici. Chissà come vivevano gli abitanti della Siracusa antica, tra alte mura, torri, e fortificazioni che servivano a controllare la città da possibili assedi.
Siracusa, dunque, un tempo aveva un imponente sistema di protezione. Non solo quello di età greca che comprende tra gli altri Castello Eurialo, le Mura Dionigiane, Castello Maniace.  In età medievale c’era un complesso di fortificazioni che proteggeva l’isola di Ortigia.
Oggi di quelle torri è rimasto ben poco. Ma sono ancora visibili in tutta la loro imponenza le grandi mura che costeggiano la Marina e oggi zona molto amata dai siracusani e dai turisti che visitano la città e che amano fare una passeggiata al Foro Siracusano. Tra queste fortificazioni sono tornate fruibili, dopo un lungo lavoro di restauro, i Magazzini di Torre dell’Aquila, adibiti durante il Medioevo a ricovero delle catapulte. Prima della pandemia i magazzini erano stati riaperti con un ciclo di mostre che hanno permesso di conoscere questo spazio e di scoprirne la sua storia.

Adesso per tutto il mese di novembre sarà possibile visitare nuovamente i Magazzini, grazie ad un ciclo di eventi promosso dall’associazione Opera.
Ma qual è la storia di questo luogo? Molti studiosi hanno spesso sottolineato la difficoltà a reperire informazioni certe sul loro utilizzo. «Abbiamo felicemente sposato questa iniziativa che contribuirà a rendere accessibile i Magazzini di Torre dell’Aquila - spiega Rita Insolia, direttore della Galleria Regionale Bellomo –. Sarà un'occasione per scoprire la sala voltata superstite che rappresenta, all’interno del sistema difensivo, una delle poche preesistenze della cinta muraria medievale.
Il manufatto, ricavato all’interno delle mura, fu costruito nel 1324 e costituisce una testimonianza delle opere di rafforzamento della cinta muraria realizzate dalla seconda metà del tredicesimo secolo fino alla fine del XIV per fare fronte alle esigenze di difesa determinate dalle guerre angioino-aragonesi».
Dunque con ogni probabilità i magazzini servivano da supporto logistico, in quanto potevano ospitare le macchine e le munizioni necessarie a difendere la porta Dell’Aquila. Nel Settecento poi il magazzino venne restaurato "per la sicurezza militare". Poi utilizzato come carcere e a fine Ottocento acquisito dall’Intendenza di Finanza per destinarlo a "magazzino per il carbone ad uso delle torpediniere". Un luogo affascinante, dunque, e poco conosciuto, che in queste settimane potrà essere ammirato da tanti visitatori. L’iniziativa dal titolo "RiScopri Torre dell’Aquila" è stata organizzata e realizzata dall’associazione culturale Opera con il patrocinio del Comune di Siracusa e dell’assessorato alle Politiche culturali. Tra gli eventi la mostra del maestro leccese Luigi De Mitri con la collezione “Erotikà Pathèmata. Gli amori infelici di Partenio di Nicea”.

E ancora la presentazione del saggio "Io sono Antonietta. Cronaca di un delitto" di Giuseppe Reina, lo spettacolo teatrale “Oltre il rosa” di e con Giuseppe Messina, con Lucia De Luca e con le musiche originali di Andrea Passanisi. Poi sabato 12 ci sarà la performance di musica e parola “Cunti Siciliani” con gli attori Laura Migliara e Gabriele Giannone. Domenica 13 la presentazione della raccolta di poesie, introdotta da Nadia Sardone, “Dillo alla luna” di Giacomo Sardone. Sabato 19 il pittore De Mitri terrà una lectio magistralis su "Partenio di Nicea e il mithos greco”. Il 26 ci sarà la presentazione del libro per bambini e ragazzi dell’autrice Daniela Bonifazio, dal titolo “Il volto dell’amore”. Infine domenica 27 novembre la performance teatrale “Bellezza e Verità” con l’attrice Laura Migliara e le musiche di Andrea Passanisi.

Il sito, durante questo mese, dunque sarà aperto dal lunedì al giovedì dalle 10 alle 13. Il venerdì e la domenica dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19. Sabato oltre all’apertura mattutina dalle 10 alle 13, il sito sarà aperto dalle 16 alle 23. L’ingresso alla mostra ed agli eventi è gratuito. Per altre informazioni sul mese di iniziative si può scrivere a info@operaconlacultura.it.

 

Guerra nucleare, l’Italia sarebbe pronta? Siamo senza scudo e bunker, in Svizzera 360.000 rifugi
Da money.it del 4 novembre 2022

Di Alessandro Cipolla

In caso di guerra nucleare l’Italia al momento non avrebbe uno scudo antimissilistico e dei rifugi antiatomici: se la situazione dovesse degenerare, potremmo non essere pronti.

Dallo scorso 24 febbraio l’Europa - se non il mondo intero - vive con la costante angoscia di una guerra nucleare. Con il passare dei mesi, questo timore invece che evaporare si è invece rafforzato. Del resto le ultime notizie che arrivano dall’Ucraina non sono molto rassicuranti a riguardo. “L’uso delle armi nucleari… indica già che questa è una guerra nucleare, la Terza Guerra Mondiale - ha dichiarato nelle scorse ore Volodymyr Zelensky - Se la Russia usa armi nucleari, il mondo in cui viviamo non esisterà più. Cioè, ci sarà un mondo completamente diverso, in cui la potenza che usava armi nucleari cesserà definitivamente di esistere. Ne sono assolutamente certo”.
Quasi in contemporanea, l’agenzia Ria Novosti ha dato notizia di come la Russia avrebbe testato nel Mar Baltico il Bulava, un missile che è stato lanciato con successo da un sottomarino nucleare.
Da quando l’esercito di Kiev ha iniziato a riconquistare terreno, la Russia più volte ha dichiarato di essere disposta a usare anche armi nucleari per difendere il proprio territorio, accusando poi l’Ucraina di essere pronta a usare delle bombe sporche.
Insomma, mai come in questo momento lo spettro di una guerra nucleare aleggia sopra i cieli del Vecchio Continente; ma se la situazione dovesse precipitare, l’Italia sarebbe pronta ad affrontare una situazione del genere? La risposta - purtroppo - sembrerebbe essere negativa.

Guerra nucleare: Italia senza scudo

Poche settimane dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, in una intervista a Money.it il generale Carlo Landi ha spiegato che “se qualche nazione ostile decidesse di lanciare verso l’Italia un missile balistico, che volendo può trasportare anche una testata nucleare, con ogni probabilità il nostro Paese non sarebbe in grado di intercettarlo”.
“L’Italia ha in servizio 6 batterie di missili SAMP-T ciascuna delle quali potrebbe difendere il territorio di città come Roma - ha spiegato il generale - Ci sono poi alcuni sistemi navali dotati di missili della stessa famiglia dei SAMP. Come per le batterie terrestri il numero è limitato e le unità potrebbero difendere zone costiere limitate, ma per farlo dovrebbero lasciare indifese le unità navali”.
Da allora poco è cambiato a riguardo nonostante il fondato rischio di una guerra nucleare. Di recente quattordici Paesi hanno firmato una lettera di intenti per lo sviluppo della European Sky Shield Initiative, uno scudo antimissile che dovrà proteggere buona parte dei cieli europei.
Tra di questi però non figura l’Italia, che comunque avrebbe in ballo altri progetti come Twister (Timely warning and Interception with spacebased theater) che dovrebbe entrare in funzione entro il 2030.
In sostanza se il conflitto in Ucraina dovesse degenerare in una guerra nucleare, con ogni probabilità l’Italia non sarebbe in grado di intercettare un missile balistico russo tanto che, una simulazione pubblicata dall’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo - IRIAD, ha previsto nell’immediato 55.000 morti nel Belpaese in caso di un attacco atomico.

Mancano i rifugi antiatomici

Per non ripetere gli errori commessi con il Covid, quando il nostro Paese si è fatto cogliere impreparato visto che il piano pandemico non era aggiornato da anni, lo scorso 14 marzo la Protezione Civile ha dato una rinfrescata al piano riguardante un disastro nucleare.In caso di un incidente atomico, altra ipotesi tristemente possibile visti i missili che continuano a sfiorare le centrali nucleari presenti in Ucraina, l’Italia saprebbe cosa fare con il “riparo al chiuso e la iodoprofilassi” nelle zone più a rischio.
Se invece l’Italia malauguratamente dovesse essere oggetto di un attacco missilistico nucleare, come detto oltre a non avere un adeguato scudo saremmo anche senza dei bunker antiatomici. Esclusi quelli privati, nel nostro paese infatti non esistono rifugi dove poter mettere al sicuro la popolazione.
Situazione diametralmente opposta invece in Svizzera, dove in caso di una guerra nucleare ci sarebbero già pronti 360.000 rifugi antiatomici capaci di poter accogliere anche più persone rispetto l’intera popolazione.

 

La Linea Lona spiegata da Germann e Mudry
Da laregione.ch del 4 novembre 2022
Serata pubblica il 29 novembre a Lodrino con la neocostituita Associazione fortificazioni

"Il gran segreto della linea Lona" è il tema della serata pubblica che la neocostituita Associazione fortificazioni Lona organizza col tenente colonnello Paolo Germann martedì 29 novembre alle 20 nella sala patriziale in via Vetreria 9 a Lodrino. Ospite d’onore sarà il già comandante della Divisione montagna 9, il divisionario Jean Daniel Mudry, che spiegherà l’importanza della Linea difensiva Lona nel dispositivo della Divisione. Seguirà un ricco aperitivo. Lo scorso dicembre, ricordiamo, il Municipio di Riviera ha acquistato da armasuisse i forti Lona di Lodrino e li ha dati in gestione alla nuova associazione.

 

Parco nell'ex polveriera di Cantone. "Lavori finiti, ma inaugurazione in primavera"
Da liberta.it del 4 novembre 2022
In Val Luretta è nato il primo “parco” piacentino realizzato all’interno di un ex area militare: si sono conclusi da tempo i lavori di recupero finanziati dalla Regione di una parte della polveriera di Cantone – tra i comuni di Agazzano, Piozzano e Pianello – per trasformarla in un percorso naturalistico per le famiglie, le scolaresche e gli amanti della natura.

Ma perché venga “attivato” bisognerà aspettare la primavera: manca, infatti, una fase di ripulitura dell’area e una seria prospettiva di utilizzo.

“La verità è che il certificato di conclusione dei lavori è arrivato diversi mesi dopo la conclusione delle opere” spiega il vicesindaco di Agazzano Filippo Michelotti. «Di conseguenza, oggi il percorso è stato in parte nuovamente invaso dalla vegetazione e dovrà essere ripulito, così come va rimossa ancora parte della legna accatastata qua e là, frutto degli abbattimenti effettuati nel corso dei lavori.

Il percorso si presenta così in condizioni non molto decorose e abbiamo valutato con il comune di Piozzano di fare un’inaugurazione solo successivamente”. Probabilmente in primavera, dopo la pausa invernale.

 

Batteria di Granarolo, Pirondini e Colnaghi (M5s): “Il Comune prenda una posizione chiara”
Da genova24.it del 4 novembre 2022

"Ora servono risposte credibili: la batteria va restituita alla cittadinanza"

Genova. “Da tempo auspichiamo che il Comune di Genova prenda una posizione chiara per la batteria di Granarolo: la scorsa primavera, come M5S avevamo già chiesto quali fossero le intenzioni dell’amministrazione in merito sia alla bonifica dell’area, sia alla valorizzazione di una così importante architettura militare. Richiesta che abbiamo formulato anche ieri in aula con la nostra mozione per impegnare il sindaco e la giunta a illustrare quanto realizzato in questi mesi”. Lo dichiara il capogruppo del M5S Genova Luca Pirondini con il presidente del II Municipio Centro Ovest Michele Colnaghi e la consigliera municipale Simonetta Mazzi.
“Ricordiamo – continuano – che la risposta dell’allora assessore Garassino era stata evasiva e non aveva chiarito se la giunta intendeva attivarsi o meno presso il demanio perché la batteria potesse diventare uno spazio del Comune di Genova”. “Ora, servono risposte credibili: serve calendarizzare quanto prima un sopralluogo di concerto con il Municipio II Centro Ovest, la Soprintendenza e il Demanio; fornire informazioni sulle intenzioni reali del Comune e del Demanio in merito alla proprietà dell’area; rendere nota la stima dei costi per la bonifica e le tempistiche per la sua attuazione; e agevolare processi di condivisione con le associazioni e i comitati di quartiere al fine di un progetto volto alla tutela, alla valorizzazione, alla restituzione e alla fruizione della batteria di Granarolo alla cittadinanza”.

 

“Salviamo la Torre di Manfria”, Cacioppo testimonial Fai per i “Luoghi del cuore”
Da quotidianodigela.it del 4 novembre 2022

Gela. Quella dei luoghi del cuore è una campagna nazionale di sensibilizzazione sul valore del patrimonio culturale promossa dal Fai-Fondo Ambiente Italiano, che permette ai cittadini di segnalare i luoghi da non dimenticare. Si tratta di luoghi importanti, in cui risiedono le emozioni, i ricordi e il cuore, che meritano di essere oggetto delle attenzioni della comunità e delle istituzioni. Sul nostro territorio uno di questi luoghi è la Torre di Manfria. Una tra le più importanti torri costiere di avvistamento dell’isola, domina da circa 500 anni con la sua grandezza il promontorio poco lontano dal centro cittadino. Negli ultimi anni è purtroppo divenuta oggetto di atti vandalici e contenziosi che ne hanno ripetutamente mortificato la bellezza. La raccolta firme legata alla campagna “I luoghi del cuore” rappresenta così un’imperdibile opportunità di attenzione e riscatto. La delegazione Fai di Caltanissetta, nel rush finale di questo progetto, ha deciso di chiedere aiuto scegliendo un testimonial eccezionale: Giovanni Cacioppo.

Volto noto a livello nazionale e molto amato dai suoi concittadini, ha subito accettato la proposta di farsi veicolo di un messaggio importante, registrando una videodichiarazione. Accantonati per pochi istanti i panni da comico, ha scelto di parlare al nostro cuore e ricordarci l’importanza e la bellezza della Torre di Manfria, presente in quasi tutte le foto dei tramonti che riguardano questo tratto di costa. Dalle sue parole un appello. “Essere ricordati come la generazione che ha salvato la torre e non come la generazione che ha contribuito alla sua distruzione e alla sua scomparsa”, dice. Per consentire a tutte le generazioni e competenze di partecipare e sostenere questo meraviglioso progetto, la raccolta firme per la Torre di Manfria procede sia in digitale che sul cartaceo, alla vecchia maniera, incontrandosi in luoghi, forse anch’essi un po’ del cuore. Fino al 15 dicembre 2022 sarà possibile votare per il censimento “I luoghi del cuore” e sostenere la Torre di Manfria con una semplice firma, sul sito del Fai o nei punti di raccolta presenti in città. La raccolta firme sui modelli cartacei avrà scadenza anticipata di qualche giorno, per permettere agli addetti di caricare correttamente i voti sulla piattaforma.

 

La base di Ghedi apre al pubblico: si potranno visitare i Diavoli Rossi
Da bresciatoday.it del 3 novembre 2022

Nei giorni in cui si torna a parlare di bombe nucleari, è stato reso noto (come già lo scorso anno) che la base militare di Ghedi aprirà i battenti al pubblico in occasione della Giornata dell'unità nazionale e delle forze armate, venerdì 4 novembre: come confermato dall'Aeronautica Militare, l'aerobase intitolata a Luigi Olivari sarà aperta e visitabile dalle 9 alle 15. Di sicuro sarà possibile visitare alcuni spazi della base, con una guida, oltre che vedere da vicino qualche velivolo Tornado e forse, chissà, anche i nuovi caccia F35.

La giornata del 4 novembre

"Forze Armate: Missione Sicurezza" è il claim dello spot per il 4 novembre 2022, incentrato sull'attuale impiego delle forze armate al servizio dell'Italia. La campagna, realizzata dal Ministero della Difesa, "vuole rappresentare le attività svolte dalle Forze Armate (Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri) e dalla Guardia di Finanza". Lo spot racconta per immagini una tipica giornata in divisa, dove i protagonisti sono proprio i militari italiani, donne e uomini in uniforme che "con professionalità, sacrificio e spirito interforze, mostrano il loro senso di appartenenza al Paese". Lo spot è stato realizzato dal regista Paolo Ameli e sarà trasmesso anche sulle reti Rai, Mediaset, La7 e Sky. La voce narrante è quella di Luca Ward, attore e doppiatore.

La base di Ghedi e il VI Stormo

A Ghedi, come è noto, è di stanza il VI Stormo (i cui membri sono conosciuti come i "Diavoli Rossi"): costituito la prima volta nel 1936, poi sciolgo dopo la Seconda guerra mondiale e infine ricostituito a Treviso nel 1951 (per essere poi trasferito a Ghedi, che ancora oggi è la sede permanente del reparto). Il VI Stormo di Ghedi, ad oggi, è l'unico reparto di volo in Italia ad essere equipaggiato con i velivoli Tornado (questo a seguito della chiusura dello storico 50esimo Stormo di Piacenza). Nei mesi scorsi sono arrivati all'aerobase anche i primi caccia F35. Non solo aerei: l'ultimo rapporto sulle armi nucleari americane in Europa ha rivelato che sarebbero ben 15 le bombe atomiche B61 modelli 3 e 4 custodite a Ghedi. Saranno presto sostituite con nuove testate B61-12.

 

Con il Cai Luino alla scoperta delle fortificazioni della Linea Cadorna a Cassano Valcuvia
Da varesenews.it del 3 novembre 2022

Tra storia e storie l’appuntamento è per venerdì 4 novembre

Venerdì pomeriggio 4 novembre il Cai Luino propone un’escursione lungo l’itinerario del sistema difensivo italiano alla Frontiera Nord verso Svizzera – comando occupazione avanzata frontiera nord (OAFN), più conosciuta anche come Linea Cadorna.

“Siamo nel 1916, la guerra è in pieno svolgimento e i lavori per la costruzione delle fortificazioni militari a ridosso del confine svizzero procedono con molta celerità; occorre al più presto che siano pronte per fronteggiare un eventuale attacco nemico che dopo aver invaso la neutrale Svizzera (come era successo con i Paese Bassi), attaccasse alle spalle l’Italia.
Il conflitto ebbe inizio il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell’Impero austro-ungarico al Regno di Serbia in seguito all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, avvenuto il 28 giugno 1914 a Sarajevo per mano di Gavrilo Princip. A causa del gioco di alleanze formatesi negli ultimi decenni del XIX secolo, la guerra vide schierarsi le maggiori potenze mondiali, e le rispettive colonie, in due blocchi contrapposti: da una parte gli Imperi centrali (Impero tedesco, Impero austroungarico e Impero ottomano), dall’altra gli Alleati, rappresentati principalmente da Francia, Regno Unito, Impero russo (fino al 1917), Impero giapponese e Regno d’Italia (dal 1915). Oltre 70 milioni di uomini furono mobilitati in tutto il mondo (60 milioni solo in Europa), di cui oltre 9 milioni morirono; si registrarono anche circa 7 milioni di vittime civili, non solo per i diretti effetti delle operazioni di guerra, ma anche per le conseguenti carestie ed epidemie”.

Tra storia e storie il Cai Luino vi aspetta venerdì 4 novembre per andare alla scoperta delle fortificazioni della Linea Cadorna a Cassano Valcuvia.

PROGRAMMA

Ore 13:20 ritrovo posteggio di Voldomino
Ore 13:30 partenza per Cassano posteggio Grotto Sorriso
Ore 13:50 inizio escursione
Tempo h1.30 – dislivello 100m – difficoltà E
Accompagnatori Gianni 3387768131- Terio 3392892505
Si consiglia di portare: abbigliamento e calzature adeguate e una pila.
L’escursione è gratuita con condivisioni di spese auto

Per iscriversi: la richiesta di iscrizione alla escursione dovrà essere inoltrata unicamente alla segreteria cailuino@cailuino.it da lunedì 31 ottobre ore 9:00 a giovedì 3 novembre ore 18:00 Sabato e domenica le iscrizioni sono chiuse. In caso di rinuncia alla partecipazione avvisare sempre con email a cailuino@cailuino.it oppure, qualora la rinuncia venisse comunicata solo nella mattina della escursione, inviare un WhatsApp ad un recapito degli accompagnatori citato sopra. In caso di meteo avverso escursione annullata

 

L’Umbria e i suoi castelli medioevali: la fortezza inespugnabile di Campello Alto
Da umbriacronaca.it del 3 novembre 2022

Di Gilberto Scalabrini

Campello Alto (Pg), 3 novembre 2022 – Ammettiamolo: tutta l’Umbria è meravigliosa. Non solo per il suo verde, le sue colline, le opere d’arte racchiuse nelle chiese e nei musei ma anche per i luoghi simboli dell’età di mezzo. I tanti castelli sono fortezze inespugnabili, maestosi edifici, preziose testimonianze che portano con sé le tracce di un passato glorioso. Per lo più servivano alla difesa delle località, ma in alcuni casi erano fastose dimore. Merita indubbiamente una visita il castello di Campello Alto.
Arroccato a più di 500 metri sul dorso di una stupenda collina ammantata di olivi che domina la verde pianura spoletina. Il perimetro, di forma ellittica, è di circa 500 metri. Tutto è di grande fascino e bellezza. Le mura, una volta culminanti in merli guelfi, erano anticamente difese da profondi fossati. Restano ancora visibili i resti di cannoniere, beccatelli in pietra e archi e finestre appartenuti alle case che si addossavano alle mura.
Ben conservati sono la porta d’ingresso e l’apparato difensivo ad essa congiunto, nonché l’edificio pubblico e la chiesa parrocchiale (chiusa dopo il terremoto che ha colpito la Valnerina nel 2016). E’ dedicata a San Donato, vescovo e martire. L’edificio religioso, più volte rimaneggiato, mantiene nella facciata e sul fianco sinistro i caratteri medievali, mentre all’interno – ci spiegano – si presenta nell’aspetto conferitogli nel corso del restauro del XIX secolo.

Il centro abitato conserva in gran parte la struttura trecentesca, sia nei tratti superstiti delle alte e solide mura che nell’edilizia.
Se chiudi gli occhi, appena varchi la porta d’ingresso ti sembra di sentire in lontananza il tambureggiare degli zoccoli dei cavalli che arrivano al galoppo o il sordo fragore di armi, di elmi e di corazze. Vedi ovunque le soldataglie che si fanno sotto alle mura o saltano sulle torri. Solo quando li riapri ti rendi conto che i secoli hanno trasformato l’odore acre del sangue e del dolore nel profumo dell’amore. Girando trovi la legna tagliata e accatastata in bell’ordine; un viottolo che si snoda tra gli oliveti terrazzati con i gradoni che si adattano perfettamente all’andamento del terreno, anche in corrispondenza dei tratti rocciosi.

Sulla sommità del colle, oltre agli uliveti ci sono bellissimi boschi, elci e resinose. In basso corre il tratto della vecchia strada Flaminia e ci sono le Fonti del Clitunno: un laghetto dalle acque limpidissime con riflessi smeraldo, circondato da salici piangenti. Le fonti, per la loro rara bellezza, sono fonte di ispirazione, fin dall’antichità, per pittori, poeti e scrittori. Tornando al castello di Campello Alto, la tradizione vuole che il castello sia stato fondato verso la metà del X secolo ( 921) da Rovero di Champeaux, barone di Borgogna, che ne ebbe la signoria. Da esso deriverebbe la famiglia dei conti Campello ed il nome del paese. Champeaux proveniva da Reims ed era al seguito del duca Guido di Spoleto. Seguaci di Federico II e nemici della Chiesa, essi vennero apostrofati da papa Onorio III, nel 1226, come figli del diavolo, “Tancredi filius beliàl”. Federico I, Enrico VI e Federico II confermarono sempre la giurisdizione del castello ai conti di Campello perché favorivano gli Svevi contro la Chiesa.

Nel 1247 il cardinal legato Capocci riconobbe il possesso di Campello al Comune di Spoleto. Alla metà del XIV secolo venne assalito dai mercenari eugubini del gonfaloniere spoletino Pietro Pianciani, ma l’animosità dei conti di Campello contro la Chiesa fece si che Argento dei conti di Campello raccolse le milizie per riprenderselo e gli abitanti di Spoleto rimborsarono i Campello dei danni subiti.
Solamente nel 1390 i conti di Campello cedettero ai massari del luogo i loro diritti feudali sul castello. Da quel periodo e fino al XVIII secolo il castello rimase unito alla città di Spoleto; divenne poi comune autonomo. Infatti nel XVI secolo il feudo si dotò degli Statuti, redatti dai massari, dal conte e dal notaio Spineo.
Oggi, la fortificazione è una delle poche non dimenticate, non diroccate e non trascurate. Una vera e propria gemme del passato piena di fascino e magia. Ad abitarlo in modo stanziale sono rimaste solo otto persone, di cui tre sono giovani. Fino a pochi anni fa, invece, gli abitanti erano molti di più, poi sono rimasti gli anziani e dopo di loro i temerari pronti a resistere sono stati sempre meno. Eppure, con venti minuti di auto si raggiungono comodamente le città di Spoleto e Foligno.
Lontano il periodo di tumulti e risse medioevali; il castello è oggi una Country House, un relais, un albergo diffuso sospeso nel tempo.

 

Brusimpiano inaugura il Sentiero Linea Cadorna: con la voce del nipote del Generalissimo attraverso la storia
Da varesenoi.it del 2 novembre 2022

Prevista per sabato l’apertura ufficiale del tracciato che si snoda lungo il Monte Derta e ripercorre i luoghi storici della Prima Guerra Mondiale. Aneddoti e storie saranno raccontate dal discendente del militare che dà il nome alle trincee. L’evento rientra tra i festeggiamenti per la ricorrenza del 4 novembre

Quale migliore occasione della ricorrenza del 4 novembre per inaugurare il Sentiero Linea Cadorna? È quello che farà infatti il Comune di Brusimpiano, che questo sabato aprirà ufficialmente l’itinerario delle trincee sul Monte Derta.
L’evento si inserisce all’interno della tre giorni organizzata dal Comune in  collaborazione con le associazioni tutte, le Pro Loco e le parrocchie diBrusimpiano e Ardena e il Gruppo Alpini di Brusimpiano.
La Linea Cadorna interseca Brusimpiano sul Monte Derta, in un sentiero che è stato riqualificato dai volontari del Comune. Questo tratto, in particolare, offre la possibilità di attraversare gallerie in sicurezza, di salire sulle banchine delle fortificazioni e di osservare una postazione di tiro per mitragliatrice e una fontanella.

Ciò che rende questa l’escursione suggestiva, inoltre, è il paesaggio che si offre alla vista e che, spaziando sul lago Ceresio, consente di definire questo tratto della Linea Cadorna un sentiero panoramico, oltre che storico. Fiore all’occhiello del sentiero, sarà la voce del Colonnello Carlo Cadorna, nipote di Luigi. Inquadrando i vari QR code disposti lungo il tracciato si potranno infatti ascoltare le spiegazioni e i racconti proprio del nipote del Generalissimo della Prima Guerra Mondiale. Per l’inaugurazione del Sentiero Linea Cadorna, il ritrovo è sabato 5 novembre alla scalinata lungo il fiume Trallo a lato della piscicoltura. Le celebrazioni del 4 novembre copriranno invece l’arco di tre giorni: si inizia venerdì, quando ci sarà la commemorazione al monumento dei caduti con gli alunni della scuola dell’infanzia Gianni Rodari e della scuola primaria Giuseppe Parini, mentre il 5 novembre si terrà l’inaugurazione del Sentiero Linea Cadorna. La domenica mattina, dopo l’alzabandiera e la posa della corona in Piazza del Lago, si svolgerà la messa presso la trincea al Belvedere di Ardena, dove si concluderà la mattinata con posa corona, resa onori e aperitivo offerto dalla Pro Loco proprio di Ardena.

 

Ghedi: 15 bombe atomiche nella base militare, in arrivo le nuove B61-12
Da bresciatoday.it del 2 novembre 2022

Forse entro dicembre l'arrivo delle nuove atomiche

"U.S. speeds up plans to store upgrades nukes in Europe", tradotto: "Gli Stati Uniti accelerano i piani per lo stoccaggio di bombe atomiche (aggiornate) in Europa". Così pochi giorni fa titolava Politico, portale internazionale di notizie che racconta "dell'intersezione tra politica e potere": si riferisce alla ormai annunciata sostituzione di alcune testate nucleari (le B61) nelle basi Nato europee (come è noto c'è anche l'aerobase di Ghedi, dove sarebbero stoccate poco meno di una ventina di atomiche) con diversi mesi d'anticipo rispetto al programma originario. Le nuove bombe sarebbero dovute arrivare nella primavera del prossimo anno: da quanto invece rivelato da una "fonte diplomatica", i primi ordigni potrebbero essere già trasferiti entro dicembre.

Dove sono le atomiche in Europa

Anche a Ghedi, così pare: l'ultimo rapporto sulle armi nucleari americane in Europa ha rivelato la presenza di almeno un centinaio di ordigni, distribuiti in 6 basi in cinque Paesi. Due sono in Italia: la base di Aviano (dove sarebbero stoccate 20 bombe atomiche B61 modello -3/-4) e quella di Ghedi (con 15 bombe B61). A queste si aggiungono le basi di Kleine Brogel (Belgio), con 15 bombe atomiche B61, Buchel (Germania) con 15 B61, Volkel (Olanda) con 15 testate nucleari, Incirlik (Turchia) con 20 testate B61. Ma l'elenco si potrebbe anche estendere con un ulteriore stoccaggio atomico in una base militare della Grecia.

I lavori alla base di Ghedi

Le nuove atomiche, denominate B61-12, sono già pronte all'uso e pronte ad essere trasferite in Europa. Hanno una potenza fino a 50 kilotoni, dalle tre alle cinque volte superiore alla bomba che venne sganciata 77 anni fa su Hiroshima (e che provocò all'istante più di 100mila morti). Proprio a Ghedi, dove volano ancora i Tornado ma sono già arrivati anche i primi caccia F35, attrezzati per il trasporto di testate nucleari, sono in corso diversi lavori di ammodernamento, probabilmente propedeutici anche all'aggiornamento dello stoccaggio. Le 15 atomiche (presunte) di Ghedi sono in custodia al 704esimo squadrone del Munss americano (Munitions Support Squadron). Alla faccia del disarmo, in tutto il mondo (ma il dato è aggiornato al 2019) si stima possano esserci più di 14mila bombe atomiche innescate. Quanto basta per far "saltare" l'intero pianeta, più e più volte.

 

Ionadi, la “casamatta militare” viene ripulita e diviene simbolo di pace
Da ilvibonese.it del 2 novembre 2022

L’iniziativa, tesa a ridare decoro alla piccola struttura di difesa, è stata promossa dall’amministrazione comunale alla vigilia della festa del 4 Novembre

Di Giuseppe Currà

La “casamatta militare” situata sulla Statale 18, al bivio del Campo d’aviazione, emblema e simbolo per dire no alla guerra e per promuovere i valori della pace. A questo punta l’iniziativa messa recentemente in atto dall’amministrazione comunale di Ionadi, guidata dal sindaco Fabio Signoretta. Si tratta, nello specifico, di un piccolo intervento teso a ridare decoro e il giusto valore alla piccola fortificazione in cemento armato posta i bordi della carreggiata, al bivio che porta a Vibo Valentia, Mileto e Tropea. La “casamatta” fu costruita durante l’ultimo conflitto bellico mondiale a difesa, controllo e avamposto di una strada strategica per la provincia di Vibo Valentia e del vicino aeroporto militare.

Al suo interno, all’epoca, stazionavano pattuglie di soldati con il compito di vigilare e fronteggiare eventuali attacchi delle forze nemiche. Ultimamente, invece, era divenuta spazio privilegiato per affiggere manifesti pubblicitari e raccogliere rifiuti di vario genere, grazie anche alla sua forma rotondeggiante e alle strette feritoie in cui un tempo venivano collocate le mitragliatrici. «La “casamatta militare” posta al bivio della Statale 18 – sottolinea al riguardo il sindaco Signoretta – rappresentò un fondamentale punto di prima difesa del territorio. Essa, dunque, appartiene ad un capitolo tanto indimenticabile quanto tragico della civiltà contemporanea quale la Seconda guerra mondiale. Per tale motivo, l’Amministrazione comunale si ritroverà venerdì per la festa del 4 Novembre proprio lì, per celebrare i caduti in guerra e per ricordare alla comunità il valore sacrosanto della pace».

 

Bunker rifugio della guerra. Presto le visite
Da lanazione.it del 2 novembre 2022

In piazza Bambini di Sarajevo esiste un bunker bellico realizzato durante la seconda guerra mondiale per consentire alla popolazione di mettersi al riparo dalle incursioni aeree. E’ uno dei pochi siti del genere rimasti tra quelli costruiti appositamente per la difesa della popolazione durante le incursioni aree del conflitto conclusosi con la liberazione del 1944. Il Comune di Calcinaia, già nel 2016, aveva disposto di "assegnarne la gestione ad una associazione di volontariato, iscritta all’albo comunale per l’organizzazione di visite guidate rivolte in particolare agli studenti delle scuole del territorio e a tutti coloro che, a vario titolo, potevano averne interesse". L’associazione si chiama "Aiuta Molunga" ed è nata a Fornacette per realizzare il sogno di don Edoardo, sacerdote che aveva svolto il suo servizio pastorale nella parrocchia della frazione di Calcinaia.

Il sogno di don Edoardo era quello di far avere acqua potabile agli abitanti di Molunga, suo villaggio natale nella Repubblica Democratica del Congo. "Aiuta Molunga" è un’associazione ancora molto attiva sul territorio e ora il Comune di Calcinaia rinnova la concessione per la gestione, la cura e l’apertura del bunker bellico che era scaduta nel 2020. "Dopo gli anni della pandemia, nei quali a causa dell’emergenza epidemiologica non è stato possibile organizzare iniziative che prevedessero raggruppamenti o assembramenti di persone – si legge nella delibera della giunta presieduta dal sindaco Cristiano Alderigi – l’amministrazione comunale intende riprendere l’attività di valorizzazione del bunker, proseguendo il rapporto di collaborazione con l’associazione ’Aiuta Molunga’, per l’organizzazione di visite guidate e quant’altro possa essere utile alla diffusione della conoscenza storica".

 

Entroterra gardesano, un ciclo di conferenze per far conoscere la bellezza del territorio
Da giornaleadige.it del 2 novembre 2022

Far conoscere e apprezzare ai cittadini le peculiarità dei paesaggi dell’entroterra gardesano veronese ai piedi delle Colline Moreniche. È questo l’obiettivo del ciclo di incontri dal nome evocativo ‘Cittadini del paesaggio’, promosso dall’Osservatorio per il Paesaggio delle Colline Moreniche dell’Entroterra Gardesano, di cui fanno parte i Comuni di Valeggio sul Mincio, come capofila, Sona, Bussolengo, Castelnuovo del Garda, Sommacampagna e Pastrengo.

L’Osservatorio per il Paesaggio Veneto ha lo scopo di promuovere la salvaguardia, la gestione, la riqualificazione dei paesaggi del Veneto e di integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione territoriale, urbanistica e di settore e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un’incidenza diretta o indiretta sul paesaggio. L’Osservatorio estende la propria attività a tutto il territorio regionale, agli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani.

La Regione, attraverso l’Osservatorio, oltre alla tutela e valorizzazione dei paesaggi del Veneto, promuove la sensibilizzazione della società civile, delle organizzazioni private e delle autorità pubbliche al valore dei paesaggi, al loro ruolo e alla loro trasformazione. Il primo incontro si è tenuto a Piovezzano sul tema delle fortificazioni austriache.
Il prossimo appuntamento si terrà a Sona giovedì 3 novembre alle 20.45, in sala Carcereri in piazza della Vittoria, sull’argomento ‘Custodire la memoria del territorio’, la toponomastica come racconto della storia di un territorio e della comunità che lo vive. Relatori Mariuccia Armani, Rosa Girardi, Maria Grazia Quagini e Massimo Gasparato (gli ultimi due storici del Baco). L’incontro successivo si svolgerà a Sommacampagna giovedì 10 novembre alle 20.45, in sala consiliare in piazza Carlo Alberto 1, sul tema ‘I progetti per raccontare i nostri territori’, Terre del Custoza, Romanico del Garda, MuDri Alto Mincio.
Poi sarà la volta di Bussolengo, giovedì 17 novembre alle 20.45 a Villa Spinola, sull’argomento ‘Tra tutela e trasformazione di un territorio’. Infrastrutture tra produzione e tutela del paesaggio (logistica e trasporti).
Il ciclo di incontri proseguirà a Valeggio sul Mincio giovedì 24 novembre alle 20.45 a Palazzo  Guarienti, con ‘Il paesaggio con gli occhi dei ragazzi’, racconti dal progetto ‘Il paesaggio con gli occhi dei ragazzi’ realizzato con le scuole dei Comuni dell’Osservatorio. Esperienze degli insegnanti e dei professionisti (architetto e fotografo) coinvolti nelle uscite didattiche con gli studenti di seconda media.
Ultimo appuntamento a Castelnuovo del Garda giovedì 1 dicembre alle 20.45, nella sala sopra la biblioteca in piazza della Libertà, con ‘Uso del suolo e l’avvento dell’irrigazione’, l’evoluzione dell’agricoltura negli anni.
“Il paesaggio non è soltanto quello che immortaliamo fotografando un bel panorama – spiega il vicesindaco e assessore all’Urbanistica del Comune di Valeggio sul Mincio, Marco Dal Forno –. L’uomo ha modificato e continua a modificare i luoghi ove vive, è l’artefice principale delle trasformazioni del territorio, del paesaggio. A volte positivamente, spesso negativamente.
L’osservatorio del Paesaggio favorisce la conoscenza di queste trasformazioni, per promuovere delle buone pratiche di conoscenza e valorizzazione del paesaggio – sottolinea –. Abbiamo un territorio meraviglioso che spesso conosciamo poco, dobbiamo imparare a sentirlo nostro, ad amarlo e tutelarlo”.Il sindaco Alessandro Gardoni aggiunge: “Tutela e salvaguardia, valorizzazione e gestione del territorio devono operare insieme in modo sinergico, avendo come comune scopo il rispetto e la sopravvivenza dei paesaggi identitari e il loro utilizzo e sviluppo sostenibile, nella consapevolezza che il paesaggio contribuisce in modo decisivo al benessere della popolazione che lo abita e lo vive”.

 

TORRI, CASTELLI E FORTIFICAZIONI: L’EREDITÀ DEL REGNO DI NAPOLI DAL MARE AI MONTI DELLA LAGA
Da virtuquotidiane.it del 1 novembre 2022

TERAMO – In provincia di Teramo possiamo vantare una serie di monumenti storici, fortezze e castelli, eredità del Regno di Napoli.
Ai piedi del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga troviamo su di uno sperone roccioso la maestosa Fortezza di Civitella del Tronto, in posizione dominante sulle vallate del Vibrata e del Tronto, a ridosso dell’antico confine tra lo Stato Pontificio ed il Regno delle Due Sicilie.

Con i suoi 500 metri di lunghezza, 600 di altitudine ed un’estensione di 25.000 metri quadrati, la Fortezza di Civitella è una delle più grandi ed importanti opere di ingegneria militare d’Europa. La rocca aragonese venne trasformata tra il 1564 e il 1576 da Filippo II d’Asburgo, re di Spagna, dopo l’eroica resistenza dei civitellesi contro le truppe francesi guidate dal Duca di Guisa, infatti all’epoca la fortezza era circondata da un fossato, su cui si abbassava un ponte levatoio.

Civitella del Tronto e la fortezza hanno subito numerosi assedi, nel 1734, dagli Asburgo passò ai Borboni che migliorarono la struttura con importanti modifiche e si opposero valorosamente all’attacco dei francesi nel 1806. L’ultimo assedio avvenne nel 1861, quando la fortezza di Civitella divenne l’ultima roccaforte borbonica ad arrendersi all’esercito di Vittorio Emanuele II.

Dopo il 1861 la Fortezza venne lasciata in abbandono, oggi la sua struttura è completamente visitabile, grazie ad un importate intervento di restauro curato dalla Soprintendenza di L’Aquila tra il 1975 ed il 1985. All’interno della Fortezza è visitabile il Museo delle Armi e delle mappe dove sono conservate armi e mappe a partire dal ‘400 in poi.

Nel Borgo si trova il Museo Nina di Arti creative tessili dove si trovano veri e propri capolavori di moda internazionale, opere d’arte in tessuto, cucito e ricamo: oggi, grazie a tante donazioni ricevute, il museo espone più di 3000 pezzi.

Addentrandosi nella zona Parco sui monti della Laga, vicino Macchia da Sole, una piccola località del comune di Valle Castellana, troviamo le rovine di Castel Manfrino, che prende il nome dal re svevo Manfredi, che lo fece costruire per difendersi dalle continue incursioni dei feudatari guelfi di Ascoli.

Nel 1266 Manfredi venne sconfitto da Carlo I D’Angiò, che s’impadronì del castello e lo rafforzò. Seguentemente il castello passò nelle mani dei francesi fino al 1400, dopodiché venne abbandonato definitivamente in quanto le sue fortificazioni non vennero adeguate agli attacchi causati dalle nuove armi a polvere da sparo, come invece avvenne per la fortezza di Civitella. Giancarlo Pierannunzi