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Quanti bunker abbiamo in Italia? Come prepararsi a un eventuale attacco nucleare
Da informazioneoggi.it del 30 settembre 2022

Di Stefania Guerra

L’allarme nucleare sembra sempre più concreto. È lecito  chiedersi quanti bunker abbiamo in Italia e cosa dobbiamo fare in caso di attacco.
Un piano di emergenza esiste già, anche se in Italia non abbiamo Centrali nucleari. Ecco cosa succederebbe se una bomba venisse sganciata, anche lontano dal nostro territorio, e cosa potremmo fare per salvarci.

Già ipotizzare uno scenario del genere è davvero inquietante. Se la guerra in Ucraina non verrà fermata, potremmo assistere ad una escalation altamente distruttiva, che potrebbe coinvolgere anche il nostro Paese.
La domanda sorge spontanea: possiamo sopravvivere in caso di “incidente” nucleare? Le immagini vanno subito al disastro di Chernobyl. A ciò che venne fatto subito dopo l’esplosione della Centrale. Anche se in Italia non ne abbiamo una, esiste comunque un piano di emergenza.
Ecco cosa prevede e cosa potremmo fare per salvarci.

Il Piano d’emergenza italiano

Il nostro Paese ha adottato un Piano Nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche. Ciò in ottemperanza alle disposizioni dell’art. 182 del D.Lgs. 101/2020

“Il Piano individua e disciplina le misure necessarie a fronteggiare le conseguenze di incidenti in impianti nucleari di potenza ubicati “oltre frontiera”. Ossia impianti prossimi al confine nazionale, in Europa e in paesi extraeuropei. Tali da richiedere azioni d’intervento a livello nazionale e che non rientrino tra i presupposti per l’attivazione delle misure di Difesa Civile, di competenza del Ministero dell’Interno”
I provvedimenti verranno adottati anche in base alla distanza dell’evento e saranno caratterizzati da azioni diverse. La Protezione Civile, infatti, potrà attuare misure a seconda se l’evento è avvenuto entro i 200 km dai confini; tra i 200 e i 1.000 km dai confini oppure oltre i 1.000 km.
La popolazione, in caso di emergenza, verrebbe invitata a chiudersi in casa, e probabilmente sarebbero distribuite le pillole allo Iodio. Ma chiudere porte e finestre basterebbe?orse no. Ecco che allora potremmo rifugiarci in qualche bunker sotterraneo. Sperando che si trovi vicino a noi. In alcune Regioni ne esistono, e vennero costruiti duranti le precedenti guerre mondiali. Ecco dove si trovano.

Quanti bunker abbiamo in Italia? Come prepararsi a un eventuale attacco nucleare

Una delle prime azioni che la Protezione Civile e gli altri organi preposti attuerebbero in caso di pericolo radiazioni sarebbe quella di invitare la popolazione a stare in casa. Nel Piano d’Emergenza sono poi indicate tutti gli altri provvedimenti possibili. Come ad esempio il divieto di circolazione, i controlli su alimenti, verdure e animali da macello, e così via.

Se la potenza della bomba sganciata fosse inferiore a quella di Hiroshima, per intenderci, secondo gli esperti potremmo salvarci. Seguendo scrupolosamente le indicazioni comunicate da chi si occuperebbe dell’emergenza. E magari nascondendosi in un bunker.

Negli ultimi mesi, sono molte le persone (facoltose) che hanno deciso di far costruire un rifugio. Le aziende hanno ricevuto tantissimi di ordini. Questi rifugi, però, costano appunto molto. La maggior parte degli italiani sarebbe esposta alle radiazioni. Esistono però dei bunker sotterranei in diverse Regioni. Ad esempio in Lazio, in Campania, in Lombardia, in Trentino e in Piemonte.

I bunker italiani più famosi

Noti sono il rifugio antiaereo di Villa Ada a Roma. Venne costruito negli anni ’40. C’è poi un bunker che risale ai tempi di Mussolini, e si trova sotto Palazzo Venezia. È molto piccolo, però, solamente 80 metri quadrati, e dunque sufficiente per poche persone.

Un rifugio più grande è invece quello di Villa Torlonia, a Roma. Lì ci sono quasi 500 metri quadrati di spazio e protezione assicurata in quanto si trova a più di 30 metri sotto il livello del mare.

Passando nell’area del napoletano, possiamo contare su molti rifugi esistenti nella città. I due più grandi sono a San Gregorio Armeno e nei Quartieri Spagnoli.

In Lombardia si trovano i bunker Breda, rifugi antiaerei del 1942; sono posti in tutto il settore est del Parco Nord di Milano. Disponibile è anche il Rifugio 87, in Via Bodio, nonché altri spazi nei pressi della Stazione Centrale in Via Gioia e in Via Cesare Battisti.

Infine, anche a Torino si trova un grande rifugio, proprio sotto la famosa Piazza Risorgimento. Vi entrano fino a 1.150 persone. Un po’ più a Nord troviamo invece il Gamper Bunker, situato nell’Alta Val di Non. Anche questo è opera di Mussolini ed è molto grande.

 

La Valletta, grande bastione contro l'impero ottomano
Da storicang.it del 30 settembre 2022

Veduta della città, dominata dalla cupola della concattedrale di San Giovanni - Foto: Luis Davilla / Age Fotostock

Di David Garcia Hernàn

Secondo Bartolomeo dal Pozzo, commendatore dell’Ordine di Malta, nulla rende industriosi gli uomini quanto la necessità. Lo affermò riferendosi alla fortificazione eretta alla Valetta, sull’isola di Malta, tra il 1566 e il 1571. Qual era questa necessità? Molto semplicemente, la più importante: la sopravvivenza. All’epoca l’impero ottomano si stagliava come una minaccia più che seria per la cristianità. Via terra, aveva esteso i propri domini fino a giungere praticamente alle porte di Vienna, e via mare era sempre più vicino all’assalto del Mediterraneo occidentale, arrivando a minacciare persino i territori del re di Spagna. L’isola di Malta era governata dai cavalieri ospitalieri dell’Ordine di San Giovanni (in seguito rinominati cavalieri di Malta), che fin dall’XI secolo si erano distinti come valorosi oppositori dei turchi.

L’imperatore Carlo V aveva donato questo territorio ai cavalieri nel 1530, dopo che gli ottomani li avevano espulsi da Rodi. Per via della sua posizione strategica evidente, l’isola costituiva un ostacolo per l’espansione navale turca, e nel 1565 il sultano Solimano il Magnifico e i capi del suo esercito decisero di sferrare un attacco imponente.

Assedio di Malta nel 1565. Assalto turco alla fortezza difesa dai cavalieri di San Giovanni. XVII secolo. Museo di Belle Arti, La Valletta - Foto: Photoaisa

Il grande assedio

Le cifre relative alle forze che, secondo i cronisti dell’epoca, furono messe in campo per il grande assedio di Malta del 1565 non sono certe, ma si ritiene che lo schieramento del Gran Turco fosse formato da quasi duecento navi, tra le quali oltre 130 galere, e da circa 30mila uomini, mentre i difensori potevano contare soltanto su 8500 soldati. Queste esigue forze opposero una strenua resistenza all’attacco ottomano, tuttavia non poterono impedire che l’enclave del forte di Sant’Elmo, all’estremità della penisola dominata dal monte Sceberras, fosse bombardato fino alla quasi completa distruzione. Le batterie ottomane facevano fuoco dal punto più alto della parte centrale della penisola; questo costò ai turchi enormi perdite, ma alla fine costrinse il forte alla resa.

Tutti gli sconfitti furono decapitati, con l’eccezione di nove cavalieri che riuscirono a raggiungere a nuoto l’opposta penisola di Birgu (Vittoriosa). L’arrivo delle truppe spagnole in soccorso degli assediati, con quasi 10mila soldati delle temibili truppe al comando di García de Toledo, viceré di Sicilia, permise, alla fine, di salvare la situazione, ma il prezzo pagato era stato altissimo e l’avvenire si profilava crudele e minaccioso.
Dopo il fallito assedio ottomano, l’imperiosa necessità della sopravvivenza di Malta spinse il gran maestro, Jean Parisot de La Valette, a presentare al gran capitolo dell’Ordine dell’anno successivo un progetto ambizioso: la costruzione di una nuova fortezza che non avesse le debolezze della precedente e la creazione di una nuova città estesa sull’intero territorio della penisola di Sceberras.
La Valette decise di costruire una fortezza inespugnabile come baluardo contro i turchi.

Il Gran Maestro Jean de La Valette. François Xavier Dupré. XIX secolo - Foto: Bridgeman / Index

Mura imponenti

Secondo il gran maestro La Valette, il nuovo insediamento urbano che intendeva fondare avrebbe dovuto avere un piano urbanistico moderno, a scacchiera, che avrebbe aumentato le sue possibilità difensive, dal momento che in questo modo si potevano raggiungere rapidamente le mura in caso di attacco. Alla nuova città venne dato il nome del suo fondatore, e oggi La Valletta è la capitale di Malta. Al di là dell’importanza del nuovo tracciato, le mura che furono innalzate a partire dal 1566, lunghe oltre tre chilometri e mezzo, divennero anche lo scenario della lotta per la sopravvivenza. Fu deciso di costruirle usando le tecniche più nuove, ovvero secondo il progetto di fortificazione alla moderna (o all’italiana), che si fondava sull’applicazione della matematica come legge suprema nella costruzione dei bastioni e nella disposizione del fuoco difensivo. Queste nuove fortificazioni con fronti bastionati avevano un’impostazione completamente diversa rispetto a quella degli snelli e fragili castelli del Medioevo. Le mura, che potevano essere spesse anche nove metri, garantivano una difesa migliore contro la sempre più moderna artiglieria d’assedio. Inoltre, avevano una base più ampia, che dava maggior stabilità, e s'innalzavano al di là di un fossato che non era quasi mai riempito d’acqua, per permettere che dall’interno si potessero in qualunque momento far partire incursioni a cavallo, allo scopo di sorprendere l’esercito aggressore.

Investimento milionario

L’elemento fondamentale della fortezza erano i baluardi, bastioni dalla pianta a punta di freccia che permettevano il tiro di fiancheggiamento, tecnica difensiva che consentiva di colpire il nemico da diverse angolazioni. La veduta d’insieme era quella di un’enorme pianta a stella (con baluardi negli angoli principali). Tutto ciò rendeva praticamente inespugnabile la città, come avrebbe dimostrato la storia della Valletta negli anni a venire, lasciando come unica alternativa, o quasi, la resa per fame. Questo sistema di fortificazioni divenne così importante che determinò il modo di condurre una guerra per tre secoli: su quella di movimento prevalse quella di posizione, fino a quando, prima il mortaio e poi l’aviazione, non resero inefficace questo sistema difensivo. Le fortificazioni alla moderna avevano un solo aspetto negativo: le spese ingenti che comportavano le costruzioni in pietra e la dotazione di artiglieria. Nel caso di Malta, vennero riutilizzati materiali di fortezze preesistenti, ma fu necessario importarne, dall’Italia e in particolare dalla Sicilia. Si calcola che soltanto le mura costarono 235mila scudi (una cifra molto elevata), ai quali si deve aggiungere il costo dei cannoni, provenienti dalle celebri fonderie di Lione. I fondi furono messi a disposizione dai Paesi che più erano coinvolti nella causa della cristianità (e dei suoi interessi strategici), come la Spagna, la Francia, il Portogallo e, naturalmente, la Chiesa. Furono investiti anche i profitti dell’attività di pirateria che per anni l’Ordine di Malta aveva praticato ai danni delle flotte turche.

Questa mappa del porto di Malta, risalente al XVIII secolo, offre un’eccellente prospettiva della Valletta, la nuova città fondata da Jean de La Valette - Foto: Photoaisa

Tra le voci di spesa figurava anche il compenso per un architetto militare di prestigio, come Francesco Laparelli, inviato dal papa, e successivamente sostituito dall’architetto maltese Girolamo Cassar; lo spagnolo Raimundo Fortún fu nominato sovrintendente. La costruzione di questa nuova città-convento-fortezza occupò circa ottomila operai e manovali, che lavoravano febbrilmente, senza fermarsi nemmeno la domenica (grazie a una dispensa speciale concessa dal papa); a quanto si narra, insieme con gli operai spesso pranzava, come se fosse uno di loro, il gran maestro dell’Ordine.

In attesa dell’attacco

Il risultato di questi sforzi fu che nel 1571 il complesso era terminato e pronto a fungere da difesa contro l’avanzata turca. L’occasione di mettere alla prova l’efficacia della fortezza, però, non si presentò, perché la temuta invasione ottomana non ebbe luogo. Da un lato, proprio mentre erano in corso i lavori alla Valletta, l’arsenale di Istanbul – dove si costruivano le galere ottomane – fu devastato da un incendio. Inoltre, dopo la battaglia di Lepanto, nell’ottobre del 1571, l’impero ottomano modificò la propria strategia militare e si concentrò verso l’Oriente, soprattutto in relazione alla rivalità con la Persia. In ogni caso, le spettacolari e poderose mura della Valletta svolsero anche un’importante funzione deterrente e sopravvivono a testimonianza del difficile passato della luminosa e strategica isola di Malta.

 

Da ex bunker antiaereo a elegante Spa: a Palermo un percorso benessere straordinario
Da balarm.it del 30 settembre 2022

Da luogo di guerra a percorso benessere: sarà un’esperienza particolare quella che si potrà vivere a Palazzo Santamarina, nel centro storico di Palermo, dove un reticolo di gallerie scavate dal Genio Militare durante la Seconda Guerra mondiale – usate come rifugio antiaereo sotto i bombardamenti – sono state restaurate e ora ospitano un elegante centro benessere che fa capo a un luxury hotel.

Le gallerie erano state ricoperte di terra: durante i lavori di restauro sono state svuotate e sono così sbucati i cunicoli intatti. La SPA include la piscina termale con doppia cascata, il tiepidarium romano, la doccia emozionale, la sauna finlandese, la stanza del sale himalaiano a temperatura controllata.

La struttura aderisce al festival "Le Vie dei Tesori" e così tutti i weekend (venerdì, sabato e domenica) dal 30 settembre al 30 ottobre sarà possibile prenotare come esperienza il percorso benessere di un’ora

 

Positano, domani, 24 settembre, si inaugura la mostra fotografica "Sentinelle di Pietra” dedicata a Romolo Ercolino
Da positanonews.it del 23 settembre 2022

Di Luigi De Rosa

Positano (SA) Domani 24 settembre si inaugura presso l’Oratorio di Santa Maria Assunta la mostra fotografica “Sentinelle di Pietra” che rimarrà aperta al pubblico fino al 4 ottobre, tutti i giorni, dalle ore 10 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 18.00, prologo alla presentazione del testo edito dall’editore di Castellammare di Stabia, Nicola Longobardi, dal titolo “Sentinelle di Pietra Le Torri di Guardia e di Difesa della Costiera di Amalfi e di Sorrento”, saggio postumo dell’ingegner Romolo Ercolino che sarà presentato presso l’Hotel Le Agavi alle ore 18.00 di martedì 4 ottobre alla presenza del Sindaco di Positano dott. Giuseppe Guida, della Dirigente Scolastica dell’Istituto Comprensivo “Porzio” Dott.ssa Stefania Astarita, del professor Salvatore Ferraro, Accademico Pontaniano, dell’Archeologo Domenico Camardo e dello stesso editore Nicola Longobardi. L’ing. Romolo Ercolino consegna ai suoi concittadini e alla sua amata Costiera amalfitana un altro dei suoi saggi dall’indubbio valore storico e divulgativo frutto di quella passione e di quell’acume che ne ha caratterizzato per tutta la vita la produzione letteraria fonte per i posteri di ispirazione e stimolo per le nuove generazioni alla conoscenza e valorizzazione di quanto i nostri avi ci hanno lasciato. Le Sentinelle di Pietra di Romolo Ercolino sono le torri costiere del Regno di Napoli che costituivano il sistema difensivo, di avvistamento e di comunicazione lungo la fascia costiera. Furono costruite per arginare le frequenti incursioni saracene e corsare. Da ogni torre era possibile scrutare il mare e tenere d’occhio di solito le due adiacenti, con la possibilità di inviare segnali luminosi e di fumo per trasmettere un messaggio o richiedere soccorso. Le torri sopravvissute all’ingiuria del tempo e agli “abusi” degli  uomini costellano ancor oggi gran parte delle coste dell’Italia meridionale e sono spesso interessanti dal punto di vista architettonico; si svilupparono più o meno contemporaneamente a quelle che venivano fatte costruire negli altri stati della penisola italiana, tuttavia, essendo il Regno di Napoli la parte più protesa nel Mediterraneo e la più esposta alle scorrerie, qui si trovano una enorme quantità e varietà di esempi. Furono costruite torri a pianta quadrata del tipo del Viceregno, tipo A (dimensioni medio-piccole e 3 o 4 caditoie per lato); torri a pianta quadrangolari, denominate “a masseria”, tipo B (dimensioni grandi); torri cilindriche; torri con pianta a stella a quattro punte. Mi piace pensare che al di là dell’aspetto architettonico e archeologico le Sentinelle di Pietra di cui ci lascia memoria l’ing. Ercolino siano soprattutto l’icona di tutto ciò che rappresenta per noi l’abitare la costa, vivere sul mare e di mare, l’idea profonda di libertà ma anche di incertezza della massa d’acqua che ogni giorno si stende davanti ai nostri occhi, cito la poesia della poetessa madrilena Amalia Bautista come omaggio alla sensibilità artistica e culturale di Romolo Ercolino.

 

Bunker della Seconda guerra mondiale nella Valle, Sicilstoria: "Siano valorizzati"
Da agrigentonotizie.it del 22 settembre 2022

L'associazione evidenzia come sia rilevante tenere in considerazione la sicurezza dei luoghi

Tutela e valorizzazione delle infrastrutture belliche presenti nella Valle dei Templi, dopo anni di sostanziale silenzio sulla vicenda interviene l'associazione Sicilstoria che adesso chiede interventi.

Nell'area archeologica - dicono infatti dall'associazione - "esistono alcuni dei caposaldi tra i più importanti della nostra provincia, presidiata in gran parte negli anni della guerra, dalla 207esima divisione costiera, il cui comando sorgeva presso la Rupe Atenea".

"Abbiamo appreso che recentemente - ha affermato Giuseppe Todaro, presidente di SicilStoria - la direzione del Parco Archeologico ha svolto dei sopralluoghi al fine di predisporre un piano di intervento per la tutela delle fortificazioni in oggetto, le quali erano state censite 10 anni fa dallo storico Calogero Conigliaro.

Auspichiamo quindi che finalmente il Parco Archeologico possa tutelare e valorizzare al meglio le strutture presenti nel perimento della Valle dei Templi. Questi manufatti sono anch’essi patrimonio storico della Regione Siciliana. Un patrimonio di archeologia militare – continua Todaro - anche in considerazione della battaglia di Agrigento, avvenuta tra il 12 e il 16 luglio del 1943 tra gli italiani e i militari americani, agli ordini del generale Patton".

Sicilstoria, inoltre, evidenzia come sia rilevante tenere in considerazione la sicurezza dei luoghi, soprattutto dato che non sono anomali i ritrovamenti di residuati bellici”. L'associazione quindi "non può che confermare il suo impegno verso la ricerca storica, ma anche alla valorizzazione e la creazione di nuovi percorsi turistici che possano contribuire al rilancio economico della nostra terra. Proprio per tale ragione auspica che la direzione del Parco proceda rapidamente e fino in fondo, nell’azione di recupero dei manufatti storico militari presenti nel suo perimetro, con l’opportuna valorizzazione rendendo al più presto possibile una fruibilità per i visitatori, in modo da creare una nuova ed interessante attrazione, da aggiungere a quelle già presenti".

 

A passeggio tra bunker e rifugi antiaerei sul Masso della Signora
Da cronachesalerno.it del 22 settembre 2022

Di Tommaso D'Angelo

Un tour alla scoperta di fortificazioni di cui si è persa da tempo la memoria e, soprattutto, di un pezzo di storia – salernitana in primo luogo, ma non solo – che in tanti ignorano. Questo e molto altro è il “Bunker Tour”, iniziativa giunta alla sua terza edizione, in calendario per il prossimo 25 settembre: seguendo un percorso di trekking che si snoda attraverso il versante di colle Bellara – più noto ai salernitani come Masso della Signora – sarà infatti possibile osservare da vicino, ed in qualche caso percorrere, tratti di ricoveri antiaerei, bunker, postazioni di artiglieria e baraccamenti risalenti all’ultimo conflitto mondiale.

Percorrendo un itinerario di un paio di chilometri si toccheranno i luoghi che ricordano gli eventi del settembre del 1943, quando Salerno e la sua provincia divennero campo di battaglia tra le forze alleate -sbarcate sulle spiagge salernitane il giorno 9 – e quelle tedesche, impegnate in una dura battaglia difensiva prima di ripiegare verso nord. Ad organizzare l’iniziativa è l’associazione storico-culturale “Avalanche 1943” in collaborazione con il museo MOA di Eboli ed una rete di gruppi ed associazioni (Anima Libera, Federazione Nazionale Maestri del Lavoro di Salerno, gruppo di rievocazione storica “Noi soldati al fronte ‘43-’45, Italy War Route, Il Cercatore) che a vario titolo hanno contribuito alla preparazione della terza edizione del “Bunker Tour” e saranno sul campo domenica prossima. Ma come nasce l’idea di ripercorrere la storia della battaglia del settembre ’43 seguendo il filo delle fortificazioni che ancora oggi – sebbene spesso ignorate – punteggiano il nostro territorio? «Tutto è nato qualche anno fa – spiega Pasquale Capozzolo, presidente dell’associazione Avalanche 1943 – quando in collaborazione con il museo MOA ha preso avvio il progetto “Mappami Salerno”, finalizzato a individuare e censire tutte le postazioni militari risalenti ai due conflitti mondiali presenti sul territorio della nostra provincia.

Nel corso degli anni ne abbiamo individuate un centinaio, mappati anche grazie alla collaborazione con l’Università di Salerno, che mise a disposizione dell’iniziativa uno specifico software. Da questa ricognizione sul territorio è nata, quasi per scommessa, l’idea del primo tour tra i bunker che ancora esistono sulle colline della città. L’obiettivo finale di “Mappami Salerno” resta, comunque, quello di arrivare alla creazione di un grande percorso turistico-culturale». Un obiettivo ambizioso per un territorio, ed in particolare per la città di Salerno, che appare incapace di mettere a sistema questo patrimonio storico, anche in prospettiva di una sua valorizzazione turistica. Qual è la causa di queste difficoltà a suo giudizio? «Come sempre le cause sono numerose e diverse, certamente conta il fatto che difficilmente qui si riesce a fare rete, a costruire collaborazioni che rispettino e valorizzino i contributi di tutti i partecipanti. Diciamo che a Salerno c’è un po’ quello che potremmo definire il complesso della prima donna: ognuno punta a fare da solo per non dover condividere oneri ed onori.

C’è poi da tenere in conto un altro aspetto: molti salernitani, per quanto possa apparire paradossale, ignorano gli eventi del periodo 1943-’44: dallo sbarco alleato all’esperienza di Salerno capitale: in questo contesto non è facile promuovere iniziative su questi temi. Più in generale, poi, c’è da dire che in Italia non c’è grande attenzione per il turismo militare». A dispetto di ciò il prossimo 25 settembre si va con la terza edizione del “Bunker Tour”. «Sì, dopo un anno di pausa ripartiamo con le visite guidate tra i bunker del colle Bellara. I partecipanti saranno accompagnati alla scoperta delle postazioni militari che punteggiano la collina, saranno offerte spiegazioni su quanto avvenne in quel periodo e saranno mostrati diversi reperti. Quest’anno allestiremo nella pineta un ospedale da campo americano, così da dare un’idea concreta dell’atmosfera di quei drammatici giorni. Qualche altra “sorpresa” la sveleremo solo nel corso della visita: ci sarà davvero da divertirsi». Per quanti volessero partecipare all’edizione 2022 del “Bunker Tour” si ricorda che è necessaria la prenotazione mediante messaggio WhatsApp al 331 9448458 o via mail scrivendo a avalanche1943@libero.it.

 

La postazione militare sull’Eleuterio nel secondo conflitto mondiale: esempio di camouflage architettonico nel territorio metropolitano siciliano
Da madonielive.it del 19 settembre 2022

Si svolgerà a Ficarazzi nell’Aula Consiliare del Comune, giovedì prossimo 22 settembre alle ore 17.30, la conferenza dal titolo: “La postazione militare sull’Eleuterio nel secondo conflitto mondiale: esempio di camouflage architettonico nel territorio metropolitano siciliano”.

La manifestazione verrà patrocinata dalle seguenti Associazioni ed Enti: Comune di Ficarazzi; Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici (ISSPE); Associazione di Storia Postale Siciliana; Associazione Culturale Lamba Doria di Siracusa; Associazione Nazionale Polizia di Stato, Sez. Termini Imerese; Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia, Sez. di Palermo; Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia, Sez. Termini Imerese; Ficarazzi Blog; Associazione Nazionale Genieri e Trasmettitori d’Italia, Sez. Como; Associazione Nazionale Carristi d’Italia, Sez. Firenze.

Introduce e modera

Donaldo Di Cristofalo (Comitato spontaneo per lo studio delle fortificazioni militari),

Saluti:

Giovanni Giallombardo, Sindaco di Ficarazzi
Marilyn Blando, Assessore Cultura
Biagio Saverino, Assessore Sport, Turismo e Spettacolo
Interventi in diretta streaming
Lorenzo Bovi
“Luglio 1943. I Treni Armati in Sicilia”
Interventi dall’Aula Consiliare

 

Il bunker nucleare segreto infestato dai fantasmi degli ufficiali della Guerra Fredda
Da commentimemorabili.it del 19 settembre 2022

Hack Green e i suoi spiriti

Rimasto sepolto sotto i campi della campagna britannica per oltre mezzo secolo come segreto per il mondo esterno, ora Hack Green è un’attrazione aperta ai visitatori che si dice sia infestata dal suo passato. Stiamo parlando di un bunker nucleare utilizzato durante la Seconda Guerra Mondiale come esca per confondere i bombardieri della Luftwaffe che volevano distruggere la stazione ferroviaria di Crewe.
Parte del sistema governativo ROTOR, il bunker fuori Nantwich fungeva da centro di controllo del traffico aereo fino alla sua chiusura negli anni ‘60, dopo la quale rimase vuoto per un decennio. Ancora avvolto nella più totale segretezza, Hack Green fu acquistato dal Ministero della Difesa nel 1976 per proteggere i funzionari in caso di attacco nucleare durante la Guerra Fredda. La tecnologia di Hack Green era infatti pronta a lanciare allarmi in tutto il Paese per annunciare l’imminente sventura. Diversi fantasmi si aggirano all’interno del bunker
Il bunker ha cessato di essere operativo alla fine della Guerra Fredda e nel 1998 è stato trasformato in un museo vivente per educare il pubblico alla guerra sotterranea.
La stazione è nota anche come Mersey Radar, ammantata di segretezza durante  il periodo di cinque anni in cui il bunker radar fu trasformato in un vasto centro di comando sotterraneo. Qui i visitatori possono vedere da vicino alcune delle più potenti armi termonucleari mai prodotte. I turisti non sono però le uniche anime che si aggirano nella rete di passaggi sotterranei e stanze segrete di Hack Green. Nel museo sono stati infatti segnalati diversi avvistamenti di fantasmi, tra cui l’apparizione di una donna in uniforme.

Si pensa che lo spirito sia quello di una signora che durante la guerra era rimasta coinvolta in una relazione con un’altra donna e che, per un motivo sconosciuto, si sia tolta la vita in una tragica caduta dalle scale. È stato poi avvistato un uomo fantasma in uniforme nei corridoi del bunker, mentre il personale e i visitatori hanno regolarmente sperimentato sensazioni di disagio e sono persino svenuti sul posto. Altri hanno affermato di essere stati spintonati, mentre, cosa più agghiacciante, è stato riferito che le persone hanno visto gambe e torsi umani disincarnati.

 

Tornano le giornate dedicate ai castelli
Da settenews.it del 19 settembre 2022

Ha avuto inizio ieri, domenica 17 settembre, per concludersi il 16 ottobre, la 23esima edizione delle “Giornate dei castelli”.
L’iniziativa, dell’Istituto italiano Castelli, fondato da Piero Gazzola nel 1964, prevede la visita di fortezze storiche, castelli fiabeschi, rocche antiche, bastioni e torri di guardia. Le giornate di questa edizione 2022, saranno anche parte delle Giornate Europee del Patrimonio promosse dal Consiglio D’Europa, quest’anno a tema sostenibilità.

Tra le bellezze nazionali, visitabili con una guida, ci sono la Rocca di Gradara, in provincia di Pesaro-Urbino, nota per la storia d’amore di Paolo e Francesca; il Castello di Macchiagodena, in Molise; il castello di Calendasco, in Emilia Romagna; il Castello di Spilimbergo, in Friuli Venezia Giulia; il Castello di Barletta; Castel D’Ocre in Abruzzo, ed alcuni edifici di proprietà privata come il palazzo di Manziana e Palazzo Tittoni a Roma e dintorni.

Anche i borghi avranno la loro parte di visibilità, come il borgo di San Savino in Umbria, il borgo di Gradara e il borgo di Bordighera Alta in Liguria, con la visita al Castello Doria di Dolceacqua, e ai Giardini Moreno, noti per aver ispirato

 

Dalla torre di Tessere al forte spostato a Campalto, gli errori della segnaletica di Mestre
Da nuovavenezia.it del 19 settembre 2022

Nuova rotatoria da 300 mila euro, i cartelli della segnaletica contengono errori sui luoghi della storia del paese, oggi invaso dal traffico per l’aeroporto

Di MITIA CHIARIN

Cartelli stradali con errori, anche la nuova segnaletica della rotatoria realizzata in centro a Tessera finisce “vittima” di errori nelle indicazioni stradali. In particolare dei luoghi di interesse culturale che sono un pezzo importante di storia e cultura di Tessera, territorio che sta vivendo con difficoltà una trasformazione evidente da quartiere di campagna e con tanta storia a periferia invasa dal traffico da e per l’aeroporto Marco Polo, il terzo in Italia.

Ci sta anzitutto l’errore nell’indicazione della torre di Tessera, simbolo del paese, datata XI secolo, e per la quale in tanti si battono per il recupero. Nel cartello con il colore mattone che serve ad indicare i luoghi storici e culturali Tessera diventa tristemente Tessere.

E ancora: nel grande cartello delle indicazioni ecco che Forte Bazzera, uno dei forti del campo trincerato di Mestre, cambia collocazione e viene indicato in direzione del centro di Campalto ma anche del terminal di Fusina (indicazione utile ai turisti).

Peccato che un pochino più in basso venga indicata, correttamente, via Bazzera dove appunto si trova quest’altro luogo culturale della frazione. La segnalazione degli errori l’hanno fatta notare in questi giorni vari residenti. E l’assessore Renato Boraso avverte: «Abbiamo già previsto la sostituzione che è in corso».
Tra i critici c’è l’architetto Andrea Grigoletto (oggi candidato M5s alle politiche), da anni in prima fila nella tutela dei forti e del territorio di Tessera. «Hanno speso 300 mila euro per i cantieri della nuova rotatoria e il risultato sono cartelli pieni di errori anche di ortografia», evidenzia con rammarico.
Anche la viabilità di Tessera, quindi, finisce preda di errori a conferma della storia, piena di strafalcioni, della toponomastica mestrina.
Come non dimenticare il cartello della Vallenari bis, oggi via Tina Anselmi, aperta nel 2017 con la indicazione del “Porto di Covergnago”, per indicare la strada per raggiungere il palazzetto dello sport intitolato a Taliercio. La indicazione corretta, ovviamente, era Porto di Cavergnago. Nel 2012, dopo la mappatura della Polizia locale, ne vennero rimossi oltre 300 di segnali stradali inutili e quarantotto in centro non corretti vennero modificati e riposizionati.

 

Borghi fantasma tra i suggestivi d'Europa
Da investireoggi.it del 18 settembre 2022

Ecco quali sono i borghi fantasma tra i più suggestivi in Europa, ce n’è anche uno italiano, ecco qual è.

di Alessandra Di Bartolomeo

In tutta Europa sono molti i borghi fantasma, alle volte dimenticati, o abbandonati completamente. Anche in Italia ce ne sono molti e tutti presentano delle storie affascinanti da raccontare. Alcuni appaiono, poi, come luoghi tristi e malinconici mentre in altri si può percepire la forza della natura. Tutti, però, sono capaci di avvolgere il visitatore in un’atmosfera affascinante e tenebrosa. I dati Istat comunicano che le città abbandonate nel nostro paese cono più di mille e si arriva fino a seimila se si considerano anche i piccoli agglomerati abitativi o gli alpeggi.

Tutti coloro che hanno visitato i borgh (https://www.investireoggi.it/news/migliori-borghidi- montagna-ecco-quelli-piu-belli-da-visitare/)i fantasma si sono fatti la sempre la stessa domanda “come si abitava in tale posto”, “che si faceva durante il giorno” oppure “come facevano tanti anni fa ad arrivare fin quassù, soprattutto le persone anziane”. Visitare questi luoghi è come fare un tuffo nel passato e dare libero sfogo alla propria immaginazione. Non abbiamo una macchina del tempo per cui non avremo mai la possibilità di capire realmente come si viveva all’epoca. Una visita, però, vale la pena, farla.

Quali borghi fantasma visitare in Europa?

Tra i borghi abbandonati più suggestivi d’Europa c’è Dvigrad in Croazia, una tipica cittàfortezza medievale che incute anche un po’ di timore. Ha, infatti, una doppia cinta muraria che si collega alle tre porte della città e tre torri difensive. Questa cittadina nel corso dei secoli visse dei momenti molto gloriosi come lo testimoniano anche i castelli, i palazzi le chiese delle quali oggi restano solo rovine, diventate la dimora ideale di api e farfalle.
Nel nostro viaggio alla ricerca dei borghi abbandonati più suggestivi d’Europa, come suggerisce Siviaggia, ci spostiamo, poi, in Irlanda a Scattery Island, conosciuta meglio come Inis Cathaigh.
Qui è la natura incontaminata che fa da padrona con i falchi che volano bassi e i conigli che corrono liberamente. E poi c’è il vento che sussurra canti lontani tra gli antichi siti storici.

Meritano una visita anche…

Tornando in Italia non può non mancare una visita a Monterano (https://it.wikipedia.org/wiki/Monterano) (Lazio) che sorge su di un promontorio che si tuffa nel vuoto. Attualmente questo borgo è incluso nella riserva naturale regionale “Montemarano” e le rovine per la loro bellezza sono usate spesso come set per numerosi film anche stranieri. La collina dove si trovano i ruderi del borgo è ricca di sepolcreti etruschi e, inoltre, è possibile vedere delle piccole grotte ricoperte da una fitta vegetazione nonché delle polle di acqua ribollenti. Sono, infatti, la testimonianza dell’antica attività vulcanica della zona.
Spostandoci di nuovo, stavolta atterriamo a Grumantbyen, un villaggio situato sulle isole  Svalbard abbandonato nel 1961 a seguito della chiusura della miniera di carbone. Merita una visita non solo per farsi un’idea di come si viveva allora ma perché i paesaggi naturali che offrono le Svalbard sono di rara bellezza. Si possono, infatti, scrutare orsi polari, volpi e renne che sembrano usciti da leggende nordiche. Insomma si tratta di un vero e proprio paradiso nordico.

alessandra.dibartolomeo@investireoggi.it

 

Palmanova la città fortezza simbolo della Repubblica di Venezia
Da italiani.it del 17 settembre 2022

Palmanova è un borgo in provincia di Udine, sito a 27 metri sul livello del mare con 5419 abitanti. Si tratta di un vero e proprio tesoro urbanistico. Una città fortezza realizzata dalla Repubblica di Venezia. Frutto di un elaborato progetto sviluppato da un gruppo di ingegneri e trattatisti attivi presso l’Ufficio di Fortificazioni sotto la guida di Giulio Savorgnan.

L’obiettivo di Venezia era ben chiaro, realizzare la nuova fortezza reale al centro della pianura friulana, così da poter rafforzare le difese sul territorio contro le scorrerie dei Turchi e l’avanzata degli Asburgo. Un esempio di fortificazione “moderna” d’età tardo-rinascimentale. Considerando la rilevanza di tale progetto, abbiamo numerose informazioni legate alla fondazione di Palmanova, fondata il 7 ottobre 1593. Non una data occasionale. Si tratta dell’anniversario della vittoria di Lepanto sui Turchi nel 1571 da parte della Lega Santa.

Quando si parla di questa città fortezza non si può fare a meno di sottolineare come si tratti di un capolavoro dell’architettura militare veneziana. La sua pianta è a stella, composta da due ordini difensivi con baluardi e rivellini e il terzo con le lunette aggiunto in seguito da Napoleone, sul finire del XIX secolo. Il tutto con al centro la spettacolare Piazza d’Armi. Nel 1960 venne dichiarata Monumento Nazionale e nel 2017 è entrata a far parte del Patrimonio Mondiale UNESCO.

Palmanova storia

Palmanova è una delle città fortificate più affascinanti d’Italia. La pianta poligonale a stella a 9 punte è, come detto, un elemento chiave della progettazione militaresca. Fu impenetrabile per quasi due secoli. Nel 1797 venne riconquistata dagli Austriaci, per poi finire rapidamente sotto il controllo dei francesi. Fu proprio in questa fase che venne realizzata la terza cerchia di fortificazioni con le lunette napoleoniche. In seguito al trattato di Campoformio la fortezza tornò nelle mani degli austriaci, per poi essere annessa al Regno d’Italia.

Dominatori differenti si sono alternati a Palmanova e in tre secoli di storia hanno plasmato l’architettura di questo luogo incredibile. Per riscoprire la lunga e ricca storia di questa città fortezza non vi è luogo migliore del Museo Storico Militare. Questo ha sede sul dongione di Porta Cividale e presenta al suo interno cimeli, documenti, uniformi e tutto ciò che possa raccontare al meglio i quattro periodi della storia cittadina (veneziano, napoleonico, austriaco e italiano), dal 1593 alla Seconda Guerra Mondiale.

Palmanova: cosa vedere

Se è vero che il Museo Storico Militare è da scoprire a ogni costo, al suo esterno vi è un mondo da conoscere. Partiamo con le antiche fortificazioni poste a difesa del borgo, arricchite da bastioni, polveriere e logge Un museo a cielo aperto, in pratica. Durante il proprio giro turistico ci si ritroverà in Piazza Grande, che vanta una forma esagonale e accoglie gli edifici più importanti della città, tra cui il Duomo, che è il miglior esempio di architettura veneziana in Friuli.
Spazio inoltre alla Loggia dei Mercanti, così come al Palazzo del Provveditore Generale, che ospita il Municipio., e il Palazzo del Governatore alle Armi. Vi sono tre porte in perfette condizioni e Porta Udine è quella che conserva nei propri cardini le ruote del ponte levatoio.

 

Sulmona – Base militare Monte San Cosimo: sit in pacifista per la smilitarizzazione
Da site.it del 17 settembre 2022

Nella manifestazione di Sulmona è stato ricordato che il deposito di Monte San Cosimo è un obiettivo militare di primaria importanza. Manifestazioni analoghe si sono tenute anche all'esterno della basi di Ghedi e Aviano

Nella manifestazione di questa mattina a Sulmona, promossa dal coordinamento “Disarmiamo la pace, disertiamo la guerra”, hanno partecipato non solo cittadini di Sulmona e della Valle Peligna ma anche attivisti di Pescara, Chieti, Lanciano, L’Aquila e Termoli. Di seguito il testo integrale del comunicato stampa diffuso dagli organizzatori.

COMUNICATO STAMPA

NO ALLA GUERRA, SI ALLA SMILITARIZZAZIONE DI MONTE SAN COSIMO

“Armati” con cartelli, striscioni e bandiere, decine di pacifisti hanno manifestato questa mattina davanti al deposito militare di Monte San Cosimo a Sulmona per dire no alla guerra in Ucraina e per chiedere la riconversione della struttura militare in area attrezzata per la protezione civile.
All’iniziativa, promossa dal coordinamento “Disarmiamo la pace, disertiamo la guerra”, hanno partecipato non solo cittadini di Sulmona e della Valle Peligna ma anche attivisti di Pescara, Chieti, Lanciano, L’Aquila e Termoli.
“La guerra è il più grande crimine contro l’umanità”, “La guerra non risolve i problemi, li crea”, “militarismo e nazionalismo portano alla guerra”, “meno spese per armamenti, più investimenti per sanità, istruzione e servizi sociali”, “La guerra è una pazzia, Fermatevi! L’appello di Papa Francesco”: questi alcuni degli slogan scritti sui cartelli.
Negli interventi durante il sit in è stato ricordato che il deposito di Monte San Cosimo è un obiettivo militare di primaria importanza. Durante la seconda guerra mondiale, quando c’era il polverificio Montecatini Nobel, venne bombardato e semidistrutto dall’aviazione angloamericana. Più volte, in occasioni di crisi internazionali, il deposito è stato posto in stato di massima allerta, secondo i protocolli NATO. Nel 199O venne individuato dal governo come uno dei quattro siti nazionali idonei per lo stoccaggio di scorie radioattive. Su cosa si nasconde nei tunnel di Monte San Cosimo e quale sia la reale funzione della base militare vige il top secret, e nonostante le numerose iniziative messe in atto nel corso degli anni, non è stato mai possibile conoscere la verità.

Uno striscione portato dai manifestanti recava la scritta: “Monte San Cosimo, da peso a risorsa”. Quella di Monte San Cosimo è un’area enorme, di 133 ettari, che anziché essere utilizzata per custodire strumenti di morte, potrebbe servire per proteggere la vita. Per questo è stato rilanciato il progetto della sua trasformazione in struttura per la protezione civile, considerata la estrema sismicità del nostro territorio. Un progetto che nei primi anni 2000 venne fatto proprio da tutti i Comuni della Valle Peligna e successivamente venne recepito anche dalla Provincia e dalla Regione, ma che è rimasto lettera morta a causa dell’inerzia e del disinteresse della politica e dei rappresentanti istituzionali.

Oggi i cittadini sono tornati a fare sentire la loro voce perché intendono essere protagonisti della costruzione di un mondo diverso, che non sia schiacciato sotto l’incubo della guerra, che potrebbe portare ad una irreparabile escalation nucleare, e perché vogliono che le strutture e le risorse economiche siano impiegate per finalità civili e di pace, per il progresso dell’intera comunità.

 

Un bunker a prova di apocalisse, l'idea di un'azienda svizzera
Da liberatv.ch del 16 settembre 2022

Oppidum ha presentato i bunker pensati per "le persone più potenti del mondo"

SVIZZERA – Un'azienda svizzera si offre per costruire bunker fortificati a prova di apocalisse sotto le residenze delle “persone più potenti del mondo”. Oppidum ha presentato i nuovi bunker sotterranei fortificati L'Heritage da mille metri quadrati e "ottimizzati per lo stile di vita super lusso e sicuri contro le minacce in superficie". Un "Oppidum", l'omonimo bunker sotterraneo, è completamente ermetico e può essere isolato dall'atmosfera esterna. I proprietari di case possono scendere sotto terra per entrare in un enorme garage progettato per le collezioni di auto di prestigio.

Dopo aver attraversato una camera di decontaminazione, nel super bunker il riccastro di turno ha a disposizione una sala riunioni sicura, comode camere da letto, giardino interno, spa e altri servizi per il tempo libero. C'è anche un caveau per conservare capolavori d'arte, oro, contanti e altri oggetti di valore

Applicando la tecnologia della Nasa, inoltre, i magazzini possono contenere scorte di cibo nutriente e di lunga durata, sufficienti per mesi o addirittura anni.

 

A Porto Cesareo convegno internazionale su torri costiere e sviluppi turistici
Da leccesette.it del 16 settembre 2022

Nella torre costiera di Torre Lapillo la presentazione del volume ''A New World Emperor Charles V and the Beginnings of Globalization

Domani sera, alle ore 19, il Comune di Porto Cesareo, nella suggestiva torre costiera di Torre Lapillo, ospita la presentazione del volume: A New World Emperor Charles V and the Beginnings of Globalization (a cura di Anna Trono, Paul Arthur, Alain Servantie and Encarnación Sánchez Sánchez García).

Il volume ospita i contributi di studi e ricerche condotti sulla figura di Carlo V d’Asburgo. Riunendo terre remote fra loro e discordi per lingue e costumi, il più grande monarca europeo della prima metà del Cinquecento, governò un territorio che si estendeva dai Paesi Bassi alle terre germaniche, dalla Spagna al Regno di Napoli, oltre al sempre più vasto dominio americano.

L’imperatore Carlo V aveva un grande attaccamento allo Stato che governava ed ambiva a diventare il Monarca del mondo intero: padrone del Mediterraneo,conquistatore di nuove terre d'oltremare, precursore di un'Europa unita.

Per il suo intento di dare unità politica e religiosa a territori e popolazioni diverse per lingua, cultura e istituzioni, Carlo V può considerarsi una delle figure più importanti per l'intera civiltà occidentale, con principi ed azioni innovative per il suo tempo.

Il suo disegno lungimirante, quasi convergente con le attuali strategie di un’Europa unita, è stato riconosciuto, infatti, dal Consiglio d’Europa nel maggio 2015, che lo ha certificato come Itinerario Culturale Europeo: Le vie Europee di Carlo V quale motore di sviluppo dell’identità Europea.

La certificazione Itinerario Culturale del Consiglio d'Europa è una garanzia di eccellenza che favorisce la creazione di reti utili a realizzare attività e progetti innovativi nel quadro di cinque settori d'azione prioritari: cooperazione in materia di ricerca e sviluppo; valorizzazione della memoria, della storia e del patrimonio europeo; scambi culturali e educativi per i giovani europei; pratiche artistiche e culturali contemporanee; turismo culturale e sviluppo culturale sostenibile.

Il territorio salentino conserva importanti tracce della presenza dell’imperatore Carlo V non solo nell’architettura militare, ma anche nelle tradizioni, nella cultura e nel folclore locale, che recuperano la memoria storica di fatti e personaggi legati alla sua persona e che alcune comunità ripropongono con rievocazioni storiche, in convegni, seminari di studi e rassegne culturali.

La presentazione del volume A New World Emperor Charles V and the Beginnings of Globalization si propone, pertanto, di sollecitare l’interesse di amministratori, portatori di interesse e la comunità locale e di coinvolgerli attivamente nella costruzione di un Percorso Culturale di Carlo V nel Salento, collegandolo all’itinerario culturale europeo Carlo V Imperatore.

Interverranno gli autori del volume e alcuni portatori culturali ed economici interessati alla creazione del percorso Carlo V Imperatore nel Salento collegandolo all’itinerario culturale europeo: “Cultural Route of the Council of Europe”.

RELATORI
- Silvia Tarantino, sindaco di Porto Cesareo
- Anna Trono, Professoressa di Geografia economico-politica Dipartimento di Beni Culturali Università del Salento
- Paul Arthur, Professore di Archeologia Medievale. Dipartimento di Beni Culturali Università del Salento
- Miguel Ángel Martín Ramos, Presidente Fundación Academia Europea e Iberoamericana de Yuste (via web)
- Alain Servantie, Coordinatore del Comitato Scientifico della Rete di Cooperazione dei Percorsi Carlo V Imperatore (via web)
- Katia Mannino, Professore di Archeologia Classica. Dipartimento di Beni Culturali Università del Salento
- Giovanna Cacudi, Soprintendente Archeologia belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bari
- Rita Auriemma, Professoressa di Archeologia Subacquea. Dipartimento di Beni Culturali Università del Salento
- Eugenio Sambati, Assessore con delega alle torri costiere di Porto Cesareo
- Cosimo Durante, Presidente del GAL Terra d'Arneo
- Mino Buccolieri, Presidente del Coordinamento Ambientalisti pro Porto Cesareo
- Pasquale Coppola, Presidente Area Marina Protetta Porto Cesareo
- Anna Maria Grasso, Ricercatrice di Archeobotanica. Dipartimento di Beni Culturali Università del Salento
- Mario Spedicato, Professore di Storia Moderna. Università del Salento
- Olimpia Niglio, Professoressa di Restauro Architettonico. Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura. Università degli Studi di Pavia (via web)

 

Alla scoperta del bunker di Marnate
Da prealpina.it del 14 settembre 2022

Appuntamento con gli Amici del Campo dei Fiori

L’appuntamento è fissato per la mattina di domenica 18 settembre e vede la “regia” degli Amici del Campo dei Fiori. Una guida condurrà i partecipanti alla scoperta del bunker di Marnate. Sì perché qui, in località Prospiano, si trova un rifugio antiaereo costruito nel 1944 come deposito temporaneo durante il conflitto bellico: una struttura lunga oltre 140 metri.

La visita al bunker si inserisce in una passeggiata più lunga, che partirà dall’ex Mulino Balbi e toccherà alcuni monumenti storici nella Valle dell'Olona, lungo la dismessa strada ferrata della Valmorea che da Castellanza passando per Malnate conduceva a Mendrisio in Svizzera.

Per iscrizioni e informazioni è possibile scrivere alla mail info@amicidelcampodeifiori.net.

 

Ripresi i lavori di demolizione dell’ex base Nato di Cima Grappa
Da amicodelpopolo.it del 13 settembre 2022

Erano stati interrotti questa estate per non disturbare con i rumori la nidificazione del gallo forcello.

Sono ripersi in questi giorni i lavori di demolizione della ex base Nato, degli edifici annessi e del traliccio situati presso il Sacrario Militare di Cima Grappa.

«La notizia, giunta direttamente dal Commissariato generale per le onoranze ai caduti del Ministero della difesa – rende noto il sindaco di Seren del Grappa, Dario Scopel – ci fa estremamente piacere, poiché rappresenta di fatto l’avvio dell’ultima tranche di interventi tanto attesi per il pieno ripristino ambientale e paesaggistico dell’area dove si trova l’ex base militare».

I lavori erano iniziati alla fine del mese di ottobre dello scorso anno per fermarsi, come previsto, in corrispondenza della stagione invernale e poi questa estate per motivi di tutela ambientale. Nei mesi scorsi erano stati avvistati infatti sul versante bellunese della cima alcuni esemplari di gallo forcello, specie protetta, che nidifica proprio in questo periodo. Considerato che per la demolizione in atto e la rimozione dei materiali edili di risulta sarebbe stato necessario l’utilizzo di alcuni macchinari particolarmente rumorosi, si è ritenuto opportuno sospendere per alcune settimane le operazioni. Ora, come detto, l’intervento programmato può riprendere regolarmente.

«L’annosa vicenda legata alla demolizione dell’ex base Nato di Cima Grappa è finalmente in dirittura d’arrivo», sottolinea il sindaco di Seren; «è stato un percorso lungo, a tratti tortuoso e difficile, ma anche grazie al coinvolgimento di altri amministratori locali e di alcuni “amici” del monte sacro alla Patria siamo riusciti a sbloccare la situazione. L’obiettivo, come più volte sottolineato, è quello di recuperare pienamente ai suoi valori storici e ambientali l’immagine di un sito di straordinario rilievo nazionale e internazionale, da poco diventato anche Riserva di Biosfera riconosciuta dall’Unesco. Questa volta», conclude il primo cittadino, «possiamo finalmente dire che siamo in dirittura d’arrivo».

 

Nuova base dei Carabinieri a Coltano: una piattaforma strategica per i reparti d’élite delle guerre moderne
Da stampalibera.it del 12 settembre 2022

Di Antonio Mazzeo

Narrazione falsa e pericolosamente omissiva quella relativa al progetto di realizzazione della grande cittadella militare a Coltano (Pisa), all’interno del parco regionale di Migliarino – San Rossore – Massaciuccoli. Il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri preannuncia mirabolanti effetti socio-economici ed ambientali sul territorio, enfatizzando in particolare i benefici per la popolazione in termini di sicurezza e ordine pubblico. Certo, ce ne vuole a parlare di “riqualificazione” quando si punta a cementificare 73 ettari di terreni, in buona parte ad uso agricolo, per realizzare - con la spesa di 190 milioni di euro - oltre 440.000 di edifici (caserme, alloggi per militari e famiglie, poligoni di tiro, ecc.). Ma forse quello che più offende il buon senso e la ragione è il maldestro tentativo della Difesa di spacciare l’agognata superfortezza dei corpi d’élite dei Carabinieri (i paracadutisti del “Tuscania”, gli incursori del G.I.S. e il Centro Cinofili) per una pacifica residenza di tanti simpatici protagonisti delle più note e fortunate serie televisive Rai, dal Maresciallo Rocca con il compianto Gigi Proietti, al maresciallo Cecchini (alias Nino Frassica) in Don Matteo. In verità, ciò che non si vuol far sapere ai cittadini, è che il costosissimo progetto per la Cittadella dei CC di Coltano è funzionale al rafforzamento del ruolo geo-strategico di quello che è ormai uno dei maggiori hub in Italia per proiettare le forze armate nazionali, USA, NATO ed extra-NATO in qualsivoglia scacchiere di guerra, ad Est come a Sud: il tridente toscano Pisa-Livorno-Firenze, con il megacomplesso di Camp Darby, l’aeroporto di San Giusto, il porto e l’accademia navale livornesi, le tante caserme dei parà della “Folgore”, il centro di ricerca militare avanzato (già nucleare) di San Piero a Grado, il comando fiorentino della Divisione “Vittorio Veneto” che dal prossimo anno opererà come Multinational Division South NATO per gli interventi alleati nel Mediterraneo e nel continente africano, ecc..

Un reparto d’élite per le guerre globali

Il 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania” è il reparto ad altissima specializzazione dell’Arma dei Carabinieri. Fino ad oggi di stanza nella caserma “Vannucci” di Livorno (anche sede del Comando della Brigata “Folgore”, del 187° Reggimento Paracadutisti e del 9° Reggimento “Col Moschin” dell’Esercito italiano), il “Tuscania” è inserito nella 2° Brigata Mobile dei Carabinieri insieme al G.I.S. - Gruppo di Intervento Speciale e ad altri due reggimenti dell’Arma (il 7° “Trentino Alto Adige” con sede a Laives, Bolzano, ed il 13° “Friuli Venezia Giulia” di Gorizia).

Il “Tuscania” viene considerato come l’erede diretto della prima unità delle truppe aviotrasportate italiane, il 1° Battaglione Paracadutisti “Carabinieri Reali”, costituito a Roma il 1° luglio 1940 e confluito successivamente nella Divisione Paracadutisti “Folgore”. Dopo la costituzione questo reparto fu inviato dal regime fascista in Libia nel luglio 1941. Sei mesi più tardi, su ordine del feldmaresciallo Erwin Rommel, capo delle truppe tedesche in Africa settentrionale, il 1° Battaglione Paracadutisti venne impiegato contro le forze corazzate britanniche ad Eluet el-Asel in una delle battaglie più tragiche della campagna militare italiana in Nord Africa durante la Seconda guerra mondiale. (1) L’unità venne ricostituita nel 1951 con il nome di “Reparto Carabinieri Paracadutisti” presso il Centro militare di paracadutismo di Viterbo; temporaneamente rischierata nel 1957 a Pisa, dal gennaio 1963 venne trasferita a Livorno alle dipendenze della rinata Brigata Paracadutisti “Folgore”. Al tempo venne impiegata principalmente come unità speciale antiterrorismo per fronteggiare una serie di attentati dinamitardi in Sud Tirolo. Con la ristrutturazione dell’Esercito del 1975, il reparto ricevette la denominazione di 1° Battaglione Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”, svolgendo contestualmente le missioni militari tipiche delle truppe aviotrasportate e le funzioni di polizia e controllo dell’ordine pubblico e di “contrasto della criminalità organizzata e del terrorismo”. Il 15 marzo 2002, a seguito della costituzione in forza armata autonoma dell’Arma dei Carabinieri, il “Tuscania” uscì dai ranghi dell’Esercito per essere posto alle dipendenze della 2^ Brigata Mobile Carabinieri.

Attualmente al reparto specializzato dei Carabinieri sono assegnati 500 effettivi circa. “Il 1° Reggimento Paracadutisti si caratterizza oggi più che mai per una doppia anima, da un lato la veste di corpo di polizia di pronto impiego per missioni ad alto rischio, dall’altro quella di unità militare aviolanciabile di élite, con forti vincoli affettivi ed addestrativi che permangono, anche dopo l’elevazione al rango di Forza Armata dell’Arma dei Carabinieri, con la Brigata Paracadutisti Folgore”, scrive Alberto Scarpitta, ex ufficiale dei Lagunari, su Analisi Difesa. “Si tratta pertanto di un reparto estremamente duttile, dotato di una straordinaria flessibilità di impiego ed in grado di operare con efficacia nella vasta zona grigia compresa tra le funzioni di polizia e quelle militari, un ambito di impiego di grande attualità nei moderni scenari internazionali”. (2) In combattimento, ai militari del “Tuscania” viene affidata l’occupazione preventiva di punti sensibili in territorio ostile; l’interdizione e la controinterdizione d’area; l’attività di controguerriglia e di contro insurrezione in scenari ibridi ed in missioni di stabilizzazione; il supporto delle Forze Speciali in attività di ricognizione, azione diretta, assistenza militare e controterrorismo; l’evacuazione di cittadini italiani da Paesi a rischio o da zone di guerra. “All’interno dei plotoni che lo compongono sono presenti elementi specializzati, in particolare spiccano gli addetti alla bonifica di ordigni esplosivi; il Joint- Terminal-Attack Controller per il coordinamento degli attacchi aerei di precisione; gli operatori al designatore laser dei bersagli; i tiratori scelti, ecc.”, aggiunge Alberto Scarpitta.


Per affinare le capacità di impiego anche in ambito NATO nella “conduzione delle operazioni, a seguito di aviolancio, in ambienti operativi non permissivi per la conquista e la tenuta di posizioni strategiche”, i militari del “Tuscania” svolgono periodicamente complesse esercitazioni congiuntamente ai reparti di trasporto aereo e guerra elettronica dell’Aeronautica Militare e alle unità aviotrasportate d’élite delle forze armate e della Guardia Nazionale USA. Annualmente si tiene nelle aree addestrative della Toscana l’esercitazione multinazionale ed interforze “Mangusta”, sotto la guida della Brigata “Folgore”. Ad una delle ultime edizioni, i parà italiani del “Tuscania” e della “Folgore”, il Centro Carabinieri Cinofili di Firenze e i militari statunitensi hanno simulato un intervento delle forze alleate per “conquistare l’aeroporto occupato da forze ostili con l’aviolancio di una prima aliquota con lo scopo di preparare il terreno per l’entrata in teatro dei successivi scaglioni”. (3)

In Italia il 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti viene impiegato principalmente a supporto tattico del G.I.S - Gruppo di Intervento Speciale, all’interno dei cosiddetti dispositivi UnIS(Unità d’Intervento Speciale) del Ministero dell’Interno. “Dopo gli attentati di Parigi e di Bruxelles, che hanno visto l’insorgere di una minaccia diffusa ed imprevedibile in tutto il continente europeo, il “Tuscania” è stato inoltre chiamato dal Comando Generale dell’Arma a costituire, assieme ad elementi del GIS, delle apposite Task Unit Antiterrorismo (TUAT) di alto profilo qualitativo schierate in punti sensibili ed in occasione di eventi particolari per affrontare la nuova minaccia rappresentata da attentatori suicidi pronti a colpire obiettivi civili in situazioni di combattimento urbano”, spiega ancora l’ex ufficiale Alberto Scarpitta di Analisi Difesa. Oltre a partecipare alle azioni dirette alla “liberazione di ostaggi”, il “Tuscania” opera a fianco dei reparti territoriali dell’Arma nella ricerca di latitanti e nell’addestramento specifico dei Carabinieri destinati alle missioni militari all’estero. (4) Gli istruttori del “Tuscania” provvedono anche alla selezione e formazione del personale assegnato agli Squadroni Carabinieri Eliportati “Cacciatori” operativi in Calabria, Sardegna, Sicilia e Puglia.

Perennemente in missione e tanto armati

Data l’alta valenza delle operazioni militari e sicuritarie, il 1° Reggimento Paracadutisti è dotato di numerosi e sofisticati equipaggiamenti e sistemi d’arma: tra essi spiccano le carabine M-4 calibro 5,56mm prodotte dall’industria statunitense Bushmaster Firearms International, i lanciagranate M203 da 40mm, i fucili SCP-70/90 dell’italiana Beretta, le pistole mitragliatrici calibro 9mm Parabellum, ecc.. E’ in corso di acquisizione il visore Mepro MOR che “racchiude in un unico apparato un’ottica reflex, un puntatore laser visibile per impiego urbano ed uno IR per utilizzo notturno e operazioni coperte”. (5) Il visore è prodotto dall’azienda Meprolight (interamente controllata da SK Group, uno dei maggiori gruppi del complesso militare-industriale israeliano), ed è impiegato da diverso tempo dalle forze armate dello Stato di Israele. (6)

Innumerevoli gli interventi nelle aree di conflitto del personale del “Tuscania”. Nel 1982 i parà furono schierati in Libano per presidiare i campi rifugiati palestinesi alla periferia di Beirut. Nel 1991 il Reggimento fu inviato nel Kurdistan irakeno mentre tra 1992 e il 1994 ha operato in Somalia nel quadro della controversa missione internazionale di “stabilizzazione” Restore Hope (Ridare Speranza), intervenendo in numerose azioni di combattimento. Tra il 1995 e il 1999 il “Tuscania” ha partecipato alle diverse missioni operative NATO nei Balcani e, dopo il 2001, nei teatri di guerra in Iraq e in Afghanistan. In quest’ultimo paese i parà dei Carabinieri hanno diretto innumerevoli corsi addestrativi a favore delle ricostituite forze di polizia afgane. Attualmente le unità del Reggimento cooperano ai servizi di sicurezza della città di Mitrovica (Kosovo), di scorta e protezione nelle sedi diplomatiche italiane in Libia, Iraq (Erbil e Baghdad), Somalia, Libano e Ucraina (a Kiev dal giugno 2022), nonché all’addestramento e all’assistenza “antiterrorismo” dei peshmerga (le forze armate della regione autonoma del Kurdistan iracheno), della Gendarmeria Nazionale del Niger e delle polizie di Iraq, Kosovo, Palestina, Somalia e Gibuti. (7) I corsi puntano a fornire le “competenze per pianificare e realizzare operazioni di polizia in particolari contesti operativi, con tecniche e procedure avanzate, scorte e protezione VIP, addestramento al tiro, pianificazione e gestione di attività antidroga e contro la criminalità organizzata, ecc.”. Nell’ambito della missione italiana di “formazione” e assistenza della Marina militare e della Guardia costiera libica per il controllo delle acque territoriali del paese nordafricano principalmente in funzione anti-migrazione, ai paracadutisti del “Tuscania” è affidata la “sicurezza” del personale della Guardia di Finanza distaccato in Libia. (8) Ai militari del Reggimento, in concorso con il Gruppo di Intervento Speciale dei Carabinieri, sarà attribuito un ruolo chiave nell’ambito delle attività anti-terrorismo predisposte dalle autorità del Qatar in occasione del Campionato Mondiale di Calcio in programma dal 21 novembre al 18 dicembre 2022. Il “Tuscania” e il G.I.S. hanno già preso parte all’esercitazione multinazionale Watan, tenutasi in Qatar nel novembre 2021 per testare le forze di sicurezza e pronto intervento che saranno schierate a “difesa” della Fifa World Cup. (9) In vista della kermesse sportiva, il governo dimissionario di Mario Draghi ha varato il decreto missioni internazionali per l’anno 2022 in cui è inserito l’intervento di supporto alle forze armate qatariote con l’impiego di 560 militari, 46 mezzi terrestri, un mezzo navale e due aerei, per una spesa prevista di 10.811.025 euro. Alla task force italiana si affiancheranno i reparti d’élite di Francia, Regno Unito, USA e Turchia. (10)

Le principali missioni internazionali svolte dal 1° Reggimento Carabinieri

Paracadutisti “Tuscania”
Namibia (1989-1990), UNTAG
Kurdistan (1991), AIRONE 1
Turchia (1991), AIRONE 2
Somalia (1992-1994), IBIS
Cambogia (1992), UNTAC
Somalia (1993), UNOSOM
Israele (1994), TIPH 1
Bosnia (1996-2003), IFOR/SFOR
Palestina (1996), TIPH 2
Albania (1997-1999), ALBA
Timor Est (1999-2000), STABILISE
Kosovo (2000-2003), JOINT GUARDIAN
Macedonia (2001-2002), AMBER FOX
Afghanistan (2001-2021), ISAF
Iraq (dal 2003), MSU
Striscia di Gaza (2005-2009), EUBAM RAFAH
Palestina (Gerico, marzo-luglio 2014), MIADIT PALESTINA
Libia (Tripoli, marzo-luglio 2014), MMIL

Nel corso degli anni, al Reggimento è stata anche affidata la sicurezza delle Sedi diplomatiche nazionali all’estero nelle aree e nei periodi di maggior “rischio”: Libano, Somalia, Arabia Saudita, Zaire, Perù, Algeria, Albania, Congo, Serbia, Iraq, Israele, Afghanistan, Pakistan, Libia. (Fonte: https://www.carabinieri.it/chi-siamo/oggi/organizzazione/mobilee- speciale/2-brigata-mobile/1-reggimento-paracadutisti-'tuscania')

Il Mal d’Africa dei carabinieri parà

Tra le operazioni all’estero del “Tuscania”, quelle che più hanno destato e destano ancora sconcerto e preoccupazione per le pesanti ricadute in termini di violazione dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, riguardano il martoriato Corno d’Africa. In seguito all’accordo sottoscritto nel 2013 dalle autorità italiane e quelle della Repubblica di Gibuti e della Somalia è stata attivata la Missione bilaterale MIADIT Somalia, con l’obiettivo di “creare le condizioni per la stabilizzazione della Somalia e dell’intera Regione del Corno d’Africa, mediante l’accrescimento delle capacità operative delle forze di polizia somale e l’addestramento delle forze di polizia gibutiane”. (11) La base operativa di MIADIT Somaliasorge a Gibuti, l’enclave desertica tra Eritrea, Etiopia e Somalia di appena 23.000 Kmq con una posizione geostrategica tra le più importanti al mondo, proprio di fronte lo Stretto Bab El Mandeb che separa il Mar Rosso dal Golfo di Aden, principale rotta marittima commerciale e petrolifera tra l’Asia e l’Europa. E’ qui che vengono svolte le attività addestrative delle polizie gibutine e somale da parte di “istruttori” del 1° Reggimento Paracadutisti “Tuscania”, del G.I.S., del Centro Carabinieri Cinofili di Firenze e del CoESPU (Center of Excellence for stability Police Units), il “Centro di formazione internazionale d’eccellenza” dell’Arma che ha sede a Vicenza. Il contributo nazionale a MIADIT Somalia prevede un impiego massimo di 53 militari e la fornitura di quattro mezzi pesanti; le attività riguardano l’addestramento individuale al combattimento e all’intelligence; interventi nei centri abitati; tecniche antiterrorismo, investigative, di controllo del territorio e gestione dell’ordine pubblico e della folla; ricerca e neutralizzazione di armi ed esplosivi. Fino ad oggi i corpi scelti dei Carabinieri hanno addestrato oltre 2.600 unità appartenenti alla Polizia Somala, alla Polizia Nazionale e alla Gendarmeria Gibutiana, contribuendo inoltre alla ristrutturazione dell’Accademia di Polizia di Mogadiscio. (12)

Come segnalato da innumerevoli rapporti del Segretario Generale ONU, l’Esercito e la Guardina Nazionale somali addestrati dai Carabinieri italiani arruolano e utilizzano minori in combattimento. Nel report su Bambini e conflitti armati, pubblicato il 6 maggio 2021, il Segretario generale delle Nazioni Unite ha accertato il reclutamento e l’utilizzo in azioni di guerra di 1.716 minori (1.655 bambini e 61 bambine), prioritariamente da parte dei gruppi ribelli di Al-Shabaab, ma anche da parte delle forze governative, compresi la polizia somala, l’esercito nazionale e la National Intelligence and Security Agency, nonché dai reparti armati e di polizia regionali (Jubaland, Galmudug, Puntland). La partecipazione dei militari italiani a fianco di regimi che in violazione del diritto internazionale consentono l’arruolamento di minori nei reparti armati e la loro partecipazione in operazioni belliche è stata stigmatizzata dal rapporto 2022 sul monitoraggio dell’attuazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia, pubblicato da un network di cento associazioni (Agesci, Archivio disarmo, ASGI – Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, Caritas, Cittadinanzattiva, Legambiente, Unicef Italia, ecc.). (13)

In Corno d’Africa si sono moltiplicati negli ultimi anni i corsi addestrativi del “Tuscania” rivolti al personale delle compagnie denominate “Darawish” (o anche darwish), le nuove unità mobili della Somali Police Force che – secondo Analisi Difesa – sono “specializzate in attività di stability police e interventi ad alto rischio, a composizione inter-clanica, schierate principalmente nella capitale Mogadiscio e destinate a divenire fondamentali per la stabilità e la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica della Somalia” (14). Nell’aprile 2021, in particolare, i Carabinieri hanno formato le unità “Darawish” all’uso progressivo della forza, espressione che in ambito militare identifica la “scala del confronto tra le forze di polizia e gli antagonisti”. “Lo scenario prevedeva quattro differenti fasi: protezione di soggetti ad alto rischio, ordine pubblico, intervento armato e tecniche operative speciali del fire fighting, il controllo meccanico (arresto ed ammanettamento), l’impiego di armi non letali (tonfa o gas)”, annota il comando di MIADIT. Infine, “un team selezionato di militari somali ha eseguito le tecniche dello spegnimento delle fiamme sulla persona fra lo stupore delle autorità presenti ed il plauso dei poliziotti gibutiani…”. (15)

I “Darwish” addestrati a Gibuti dal personale italiano sono poi impiegati nella regione meridionale di Lower Shabelle, da lungo tempo al centro di un sanguinoso conflitto tra le forze armate regolari e i gruppi islamisti armati di Al- Shabaab. “A Lower Shabelle le unità Darwish della polizia federale sono responsabili del controllo delle frontiere, della protezione delle infrastrutture e del personale governativo, dell’assistenza in caso di disastri, della lotta al terrorismo e all’insorgenza”, spiega la missione delle Nazioni Unite in Somalia. (16)

I pericoli insiti nella decisione di affidare compiti bellico-sicuritari a queste milizie paramilitari sono stati analizzati da una delle maggiori esperte di “guerre ibride”, la statunitense Vanda Felbab-Brown, in uno studio pubblicato nel 2020 dal Centro di ricerca politica della United Nations University di Tokyo. “L’origine del termine darwish scaturisce dalle differenti milizie che hanno svolto funzioni militari o di polizia, operando indipendentemente dall’Alleanza Nazionale Somala, sotto la direzione dei presidenti degli stati membri della federazione”, scrive l’analista. “Relativamente alle loro origini, le forze darwish sono state una base di potere importante per gli attori dell’élite politica, una sorta di guardia pretoriana che fornisce protezione e minaccia di forza contro i rivali”.

Secondo Vanda Felbab-Brown, sostenere, addestrare, armare e cooptare milizie di questo genere può condurre a gravi conseguenze. “La lealtà di queste milizie è fluida e le stesse sono suscettibili di essere reclutate dai loro nemici e possono mettere al primo posto i propri interessi – o quelli di un padrone esterno – contro quelli dello Stato”, aggiunge l’analista. “Essendo profondamente legate alla politica economica della Somalia, le milizie hanno una forte tendenza ad appropriarsi dell’autorità politica, rafforzando forme autoritarie di governo, monopolizzando le economie locali e finendo per impegnarsi in altre attività paramafiose. In questo modo, i loro esasperati conflitti locali, accrescono le lamentele e il rafforzamento politico di al-Shabaab in parti del paese”. Il governo italiano e lo Stato Maggiore della difesa sembrano però sconoscere le documentate denunce sugli abusi e le violazioni dei diritti umani commessi dalle (ex) milizie darwish. “Quest’ultime, alla stregua delle forze di polizia somale, sono accusate di rapine all’interno dei campi che accolgono gli sfollati, di sparatorie incontrollate così come di un meccanismo di controllo della folla e omicidi extra-giudiziari ai checkpoint”, conclude Vanda Felbab-Brown. (17)

La discutibile partnership dei reparti d’eccellenza dei Carabinieri in territorio somalo appare ancora più grave alla luce del fatto che essi operano in Corno d’Africa ininterrottamente dal 1992, quando prese il via in Somalia la tragica e fallimentare missione multinazionale a guida USA (Restor Hope) in seguito allo scoppio della guerra civile e della caduta del regime dittatoriale di Siad Barre. Durante i primi anni di presenza militare italiana a Mogadiscio, furono perpetrati gravi crimini da parte di alcune unità dei parà dell’Esercito. “Prove fotografiche e testimonianze orali indicano che in Somalia, in quella che veniva sbandierata come una missione umanitaria, militari italiani usarono contro la popolazione somala torture, sevizie e stupri”, riportavano in un’interrogazione del giugno 1997 alcuni parlamentari del Prc. “Altre testimonianze indicano inoltre che il contingente italiano, reparti della Folgore ed i carabinieri del Tuscania, attuarono diverse rappresaglie contro villaggi somali, con rastrellamenti condotti con metodi non-ortodossi propri della guerra a bassa intensità come distruzione delle case, pestaggi degli abitanti, inquinamento e distruzione delle risorse idriche e arresti indiscriminati”. I deputati del Prc denunciarono altresì come i militari del “Tuscania” avessero “cercato di ricostruire gli apparati repressivi somali addestrando ed armando ufficiali e poliziotti della vecchia polizia di Siad Barre (personalità definite da Amnesty International come noti torturatori e criminali)”. (18)

Gli italiani in Somalia come la CIA ad Abu Ghraib, ma 10 anni prima

In proposito va ricordato che a seguito della pubblicazione nel settimanale Epoca delle foto di alcuni militari italiani con accanto prigionieri somali incappucciati e “incaprettati” (con mani e piedi legati insieme), nel 1993 la Procura militare aveva aperto un’inchiesta, poi archiviata, nonostante le prove di “azioni inopportune, gravi disfunzioni e sicure anomalie” e di “un eccesso di metodi costrittivi” da parte delle truppe italiane. Alcune delle foto che documentavano le torture dei militari su alcuni prigionieri somali erano state scattate dall’allora caporalmaggiore Michele Patruno, in forza al 185° Reggimento Artiglieria Paracadutisti “Folgore”.
Il settimanale Panorama (12 giugno 1997) ha pubblicato una lunga intervista a Michele Patruno, corredata da altre drammatiche fotografie scattate dall’ex parà nel periodo compreso tra l’aprile e il maggio 1993 all’interno della base italiana di Johar. In una di esse compariva un prigioniero somalo, nudo a terra, mentre un parà azionava un generatore di corrente in dotazione ai reparti della “Folgore” ed un sottotenente si preparava ad applicare gli elettrodi ai testicoli della vittima. “Prima gli elettrodi erano stati applicati alle mani, ma con scarsi risultati; poi, su suggerimento di un ufficiale medico, sono stati applicati ai testicoli perché contengono liquidi e conducono meglio la corrente”, spiegava Patruno a Panorama. “I livelli di tortura erano diversi. Si cominciava privando i prigionieri di acqua e cibo, tenendoli legati; per indurli a parlare, poi si passava a metodi più pesanti e si dava libero spazio alla fantasia dei militari, come sigaretteaccese sul corpo, scosse elettriche, botte, ecc.”.

“Le persone torturate morivano, anche perché già debilitate fisicamente”, aggiungeva l’ex caporalmaggiore della “Folgore”. “Ho visto gente lasciata al sole senza acqua o lanciata contro il filo spinato americano che è fatto tutto a piccole lame. Altri parà usavano farsi fotografare quando tenevano un piede sulla testa dei torturati (…) In alcuni campi erano ben visibili stemmi e gagliardetti fascisti e all’alzabandiera molti, compresi gli ufficiali, facevano il saluto romano”. Altrettanto ignobile e criminale il comportamento di alcuni reparti nei confronti della popolazione civile. “Venivano effettuate anche perquisizioni nei villaggi in cerca di armi finite spesso con la devastazione delle capanne e la distruzione delle riserve d’acqua”, aggiungeva Michele Patruno. “Ho contribuito a distruggerne parecchi quando non ve n’era neppure bisogno, lo stesso per l’abitazione a Mogadiscio di un uomo che aveva un proiettile calibro 7.62 e mi scongiurò di non nuocergli perché amava gli italiani e suo figlio era cadetto a Modena. Niente da fare, la casa la buttammo giù. Senza motivo, per pura cattiveria (…) Ci fu un caso in cui i militari spararono contro un camion che non si era fermato a uno stop e uccisero due donne e un bambino. Sul camion fu poi verificato che non c’erano armi”. (19)

Anche l’allora maresciallo Francesco Aloi, paracadutista del 1° Battaglione “Tuscania”, ha testimoniato sui crimini commessi dalle forze armate in Somalia, ritenendo probabile un legame tra queste vicende e le inchieste della giornalista Ilaria Alpi. Secondo Aloi, l’inviata della Rai era venuta a conoscenza delle torture dei soldati italiani contro i somali poco prima del suo assassinio. Nei suoi diari, l’ex militare fece anche il nome del generale dei Carabinieri Giovanni Truglio, capitano del “Tuscania” al tempo della missione Restor Hope, in quanto “autore o persona informata delle violenze contro la popolazione somala”. Le inchieste della magistratura militare e ordinaria hanno però scagionato il Truglio e nel 2001 egli sarà nominato comandante delle compagnie di pronto intervento dell’Arma durante il G8 di Genova. (20) In occasione del summit dei capi di stato nel capoluogo ligure, il 1°Reggimento Carabinieri Paracadutisti ricoprì un ruolo centrale nel dispositivo implementato dall’allora governo Berlusconi per reprimere violentemente le manifestazioni NoG8. (21)

Teste di cuoio e punte di lancia

“Il Gruppo di Intervento Speciale (G.I.S.) è la punta di lancia operativa dei Carabinieri che può operare in Italia e all’estero nelle situazioni più estreme e rischiose”. Viene definita così dal Comando generale dell’Arma l’unità tattica impiegata in operazioni di pronto intervento “anti-terrorismo” che nelle intenzioni della Difesa sarà insediata nella nuova cittadella militare di Coltano insieme al Reggimento Paracadutisti “Tuscania” e al Centro Carabinieri Cinofili. “I G.I.S. sono impiegati per garantire la sicurezza di personalità minacciate o per coadiuvare le unità territoriali in situazioni di crisi come rapimenti e cattura di criminali, latitanti o evasi pericolosi”, aggiunge il Comando dell’Arma. “Essi inoltre vengono impiegati a protezione di obiettivi sensibili da attacchi terroristici o criminali e per garantire la sorveglianza in occasione di eventi ad alto rischio. Assicurano i servizi di scorta e protezione in favore delle più alte cariche dello Stato italiane e straniere in visita e sono incaricati anche dell’addestramento di personale di polizie estere”. Noti al grande pubblico come teste di cuoio, i militari che compongono il Gruppo di Intervento Speciale hanno una doppia natura: sono unità di polizia speciale e reparto paracadutisti ed incursori.
Così come il “Tuscania” anche il G.I.S. è inquadrato dal 2001 nella 2^ Brigata Mobile dei Carabinieri. In caso di interventi d’emergenza il gruppo dipende direttamente dal Capo di Stato Maggiore del Comando Generale dell’Arma. In tale ambito, può essere attivato, sempre dal Comando Generale, per esigenze di supporto ai reparti territoriali e anticrimine dell’Arma per attività di polizia giudiziaria. (22)

La componente operativa del G.I.S. dispone di circa 100/120 effettivi ed è divisa in una sezione di esplorazione, ricognizione e acquisizione obiettivi; una di combattimento; una terza di tiratori scelti. In ogni momento c’è un distaccamento pronto a lasciare la base di provenienza in 30 minuti. Le Unità di Intervento Speciale “anti-terrorismo”, a composizione variabile, possono essere dispiegate in poche ore sull’intero territorio nazionale. A questo scopo dispongono di alcuni elicotteri Agusta-Bell AB412 in dotazione al 4° Nucleo Elicotteri dei Carabinieri di stanza nell’aeroporto di Pisa san Giusto e di un aereo da trasporto C-130 “Hercules” della 46^ Brigata Aerea dell’Aeronautica Militare, anch’essa con base operativa presso lo scalo pisano. I poligoni, gli impianti addestrativi e le strutture didattiche e abitative del G.I.S. sono attualmente ospitate presso il  entro Interforze Studi e Applicazioni Militari (CISAM) a San Piero a Grado, Pisa. “Si tratta in sostanza di un vero e proprio hub formativo, in cui confluiscono tutte le conoscenze ed esperienze militari, speciali e istituzionali dei reparti della Brigata da riversare su tutta l’Arma per migliorarne e rafforzarne le capacità operative e istituzionali in qualsiasi ambiente e situazione”, spiega Analisi Difesa. (23)

Il Gruppo Intervento Speciale dei Carabinieri è stato istituito il 6 febbraio 1978 per impulso dell’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga (poi presidente della Repubblica italiana) “per garantire uno strumento per la risposta all’incremento dei fenomeni terroristici e delle forme di disturbo dell’ordine pubblico e sicurezza pubblica, per la condotta di operazioni antiterrorismo e antiguerriglia”. (24) Al tempo il reparto era composto da 36 carabinieri paracadutisti provenienti tutti dal 1° Battaglione “Tuscania”. Il primo impiego operativo risale alla primavera del 1978 nell’ambito delle infruttuose operazioni di ricerca dei covi delle Brigate Rosse durante il rapimento dello statista democristiano Aldo Moro. (25)

Nel 1984 il responsabile del Viminale (l’on. Oscar Luigi Scalfaro, anch’egli poi presidente della repubblica) decretò il G.I.S. quale unica Unità Intervento Speciale (Un.I.S.) antiterrorismo della Difesa in favore del Ministero degli Interni, a fianco dell’altra componente delle teste di cuoio italiane, il Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza (NOCS) della Polizia di Stato. “La storia del Reparto continuò attraverso gli anni di piombo, caratterizzati dalla recrudescenza del terrorismo interno, durante i quali condusse operazioni risolutive come quella per la riacquisizione del controllo del supercarcere di Trani, battesimo del fuoco per il G.I.S. (1980)”, ricorda enfaticamente il Comando generale dell’Arma. (26) Il blitz nel carcere speciale pugliese fu ordinato il 28 dicembre 1980 con lo scopo di reprimere la rivolta dei detenuti, tra cui alcuni brigatisti, contro le insostenibili condizioni carcerarie. I militari del G.I.S. si calarono dagli elicotteri e, dopo l’utilizzo di bombe a magnesio e armi da fuoco contro i detenuti (numerosi i feriti), liberarono i 18 agenti di custodia presi in ostaggio. Sette anni più tardi (25 agosto 1987) il Gruppo Intervento Speciale fu protagonista di un altro blitz ad una struttura detentiva (il carcere di Porto Azzurro, Isola d’Elba), per liberare i 33 ostaggi tra detenuti e guardie carcerarie in mano a sei ergastolani tra cui il terrorista nero Mario Tuti.

Gli specialisti delle operazioni coperte

A partire del 1997 il reparto d’élite dei Carabinieri è stato dispiegato all’estero a fianco delle altre forze speciali italiane in missioni di peace-keeping/peaceenforcing per condurre operazioni di antiterrorismo, fermo di sospettati di atti terroristici, sequestri di armi, munizioni ed esplosivi o per la protezione di ambasciate, basi, cittadini o “interessi” italiani. Si annoverano in particolare gli interventi in Albania, Bosnia, Kosovo, Iraq (particolarmente nel distretto di Nassirya), Afghanistan, Gibuti, Somalia, Libano e Niger. Dal 2001 il G.I.S. aderisce all’Organizzazione Atlas promossa dalla UE dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle e che riunisce i corpi speciali delle forze di polizia di 28 paesi europei. Nel gennaio 2015 i militari del G.I.S. sono stati inviati a Parigi per collaborare con le forze di polizia francesi alla “protezione” di obiettivi sensibili dopo l’attentato alla sede del settimanale satirico Charlie Hebdo. Sempre in ambito internazionale a partire del 2016 il reparto speciale dell’Arma viene impiegato su richiesta dell’AISE (l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna) per missioni d’intelligence top secret.
E’ proprio nei teatri di guerra afgano e iracheno che si sono svolte le operazioni più controverse del G.I.S.. Il 18 aprile 2002 a Kabul le teste di cuoio furono impiegate per scortare l’ex re afgano Mohammed Zahir Shah che rientrava in patria con l’intenzione di restaurare la monarchia dopo la fine del regime talebano, ma che poi, su pressione del governo USA, fu costretto ad accettare l’effimera svolta repubblicana del paese asiatico. Dal giugno 2006 al 2016 il G.I.S. ha fatto parte della Task Force 45, l’unità interforze dei reparti speciali italiani che in territorio afghano ha partecipato ad azioni coperte e combattimenti a fuoco contro le milizie talebane. (27)

Attualmente gli uomini del G.I.S. sono inquadrati nella Joint Special Operation Task Force 44 (Operazione Centuria Baghdad), attivata in Iraq nell’ambito della coalizione internazionale anti-Isis. (28) Gli obiettivi e gli interventi della task force sono delineati dal giornalista e analista Giampiero Cannella, già membro della Commissione Difesa della Camera dei deputati con Alleanza nazionale. “Inserita nel dispositivo militare della missione Prima Parthica, in Iraq dal 2014, l’unità è composta da un numero variabile tra i 50 e gli 80 operatori delle forze speciali”, spiega Cannella. “Gli operatori italiani combattono da anni nel Kurdistan irakeno una guerra silenziosa a fianco dei Peshmerga e delle truppe di Baghdad, così come avevano fatto contro i talebani nei deserti dell’Afghanistan. Ufficialmente sono lì per una missione di mentoring cioè addestramento dei militari indigeni. Ma in un contesto ad alto rischio, per insegnare come muoversi sul terreno, individuare obiettivi e guidare su di essi un attacco aereo, scovare e disinnescare esplosivi, reagire ad una imboscata, liberare ostaggi o curare un ferito in battaglia, non basta il powerpoint in un’aula didattica. Per questo oltre al semplice training all’interno della base, bisogna ricorrere al mentoring che implica qualcosa in più delle semplici esercitazioni”.
“Il mentorizzatore accompagna gli allievi sul campo, in azione, li guida, li consiglia, li assiste e in caso di necessità gli fa vedere come si fa”, aggiunge l’ex parlamentare. “Un modo diplomatico per dire che le nostre forze speciali hanno più di una volta portato a termine con successo missioni combat contro i miliziani fondamentalisti insieme agli alleati. Come nel 2017, durante l’offensiva di Mosul: in quel caso gli incursori italiani entrarono in azione nell’area di Hawaija contribuendo a stanare i tagliagole dell’Isis e a liberare l’antica città irakena”.(29)

Un po’ parà e un pò irruttori chirurgici

Il G.I.S. è stato inserito tra le cosiddette forze speciali poste sotto la direzione del COFS (il Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali), costituito il 1° dicembre 2004 presso l’aeroporto “Francesco Baracca” di Centocelle (Roma) e posto a sua volta alle dipendenze dirette del Capo di Stato Maggiore della Difesa.
“In Italia le Forze Speciali sono quelle unità militari chiamate a svolgere operazioni speciali, ovvero operazioni militari non convenzionali ad effetto strategico quali, ad esempio: il contrasto di attività di matrice insurrezionale e terroristica, le incursioni contro obiettivi nemici, le ricognizioni speciali e l’addestramento delle forze di sicurezza di Paesi a deficit di stabilità”, spiega lo Stato Maggiore della difesa “Si tratta di reparti in possesso di elevatissime qualifiche tecniche e operative ed il cui personale è addestrato ad operare nei tre domini di riferimento – terrestre, marittimo e aereo – in ambiente ostile e a grande distanza dalle unità amiche”. (30)

Ancora più esplicito il generale dei Carabinieri Leonardo Leso, già Comandante del Gruppo di Intervento Speciale e del Reggimento Paracadutisti “Tuscania”. “Ciò che contraddistingue il G.I.S. dalle altre Forze Speciali sono le sue particolari capacità operative chirurgiche nella liberazione di ostaggi o in altri interventi che richiedono un altissimo livello di discriminazione degli obiettivi da raggiungere, riducendo al massimo il rischio di danni collaterali”, ha dichiarato Leso. “Per queste esigenze, è l’unico Reparto che inquadra anche un nucleo di esperti negoziatori e alcune unità cinofile addestrate anche al lancio con paracadute e alle irruzioni con forzamento degli ingressi con esplosivo. Dispone quindi di speciali attrezzature di ascolto, visione, registrazione nonché di penetrazione silenziosa. Il G.I.S. da anni è inserito in un paio di programmi di scambio che vedono la partecipazione di numerose unità speciali di forze armate e di polizia di varia nazionalità, alcune ben note come il GSG9 tedesco, il GIGN francese, il SAS britannico, ma anche americani, israeliani, spagnoli e di altri paesi, europei e non, con i quali s’incontra e si addestra con cadenzaannuale in una serie di stages mirati al confronto di tecniche e materiali”. (31)

Dal punto prettamente operativo il G.I.S. fa parte del cosiddetto Tier1 delle Forze Speciali della difesa, insieme al 9° Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin” dell’Esercito (sede a Livorno), al Gruppo Operativo Incursori (GOI) del Comando Subacquei e Incursori - Comsubin della Marina Militare (La Spezia) e al 17º Stormo Incursori dell’Aeronautica Militare di Furbara (Cerveteri, Roma). Insieme a questi reparti operano due ulteriori unità, costituenti il Tier2: il 185° Reggimento Paracadutisti Ricognizione e Acquisizione Obiettivi “Folgore” (Livorno) e il 4° Reggimento Alpini Paracadutisti (Rangers) “Monte Cervino” (Montorio Veronese, Verona), che possono compiere una parte delle tre missioni NATO SOF (Direct Action, Military Assistance e Special Reconnàissance). A supporto delle operazioni speciali sono assegnati anche il 3° Reggimento Elicotteri “Aldebaran” dell’Esercito (Viterbo), il Reparto Eli-Assalto della Marina Militare (Luni, La Spezia e Grottaglie, Taranto) e il 9° Stormo “Francesco Baracca” dell’Aeronautica (Grazzanise, Caserta). Ad essi si aggiungono infine le FOS - Forze per Operazioni Speciali, compagnie di pronto intervento fornite dal 187° Reggimento Paracadutisti “Folgore” (Livorno), dal Reggimento Lagunari “Serenissima” (Venezia), dal 66° Reggimento Fanteria Aeromobile “Trieste” (Forlì), dal 1° Reggimento “San Marco” della Marina (Brindisi) e dall’immancabile 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”. (32)

Data la rilevanza strategica assunta dalle Forze Speciali nelle guerre globali moderne, sono stati programmati ingenti investimenti finanziari per dotarle diarmi sempre più sofisticate, specie quelle semi-automatizzate o del tutto automatizzate che contribuiscono alla disumanizzazione dei conflitti. Il 9 novembre 2021, in particolare, il Parlamento ha espresso parere favorevole allo schema di decreto ministeriale relativo al programma pluriennale di acquisto di munizioni a guida remota (Loitering Ammunitions) da parte delle unità di pronto intervento delle forze armate e dell’Arma dei Carabinieri. Le Loitering Ammunitions - come spiega l’Osservatorio sulle spese militari (Milex) - sono “piccoli droni armati, dotati di una testata esplosiva, che possono essere teleguidati contro l’obiettivo, anche a decine di chilometri di distanza”. Avvistato il target si lanciano in picchiata e si fanno esplodere al momento dell’impatto (per questo vengono indicati anche come droni kamikaze). “Sono letali, precisi, rapidi e sicuri come i droni armati normali perché possono centrare bersagli fissi o anche in rapido movimento senza la necessità di truppe a terra e senza bisogno di aspettare il supporto aereo di elicotteri da attacco o cacciabombardieri esposti al fuoco nemico”, aggiunge l’Osservatorio sulle spese militari. “Questi droni, tuttavia, sono decisamente più versatili perché possono essere trasportati, lanciati e manovrati direttamente da piccole unità isolate di incursori. Ecco dunque perché vengono ritenuti un vero e proprio game changer per imprimere una svolta nella tattica militare e soprattutto abbassare di molto l’asticella delle remore all’uso della forza letale. Tanto più se viene fornita a forze speciali che conducono operazioni segrete”. (33)

Nella scheda tecnica allegata allo schema di decreto, lo Stato Maggiore della difesa ha indicato il modello di munizioni a guida remota da acquisire: il sistema “Hero-30”, sviluppato dalla società israeliana UVision. “Grazie alle munizioni “Hero-30” sarà possibile effettuare la sorveglianza e mantenere la Situational Awareness in tutte le fasi che prevedano un intervento cinetico su un obiettivo; fornire supporto di fuoco mantenendo la consapevolezza della situazione e l’opportuna distanza di sicurezza; verificare il campo di battaglia rimanendo dietro la linea del fronte; garantire una cornice di sicurezza intorno ad una base operativa avanzata all’interno di un territorio ostile individuando una minaccia a distanza e conseguentemente ingaggiarla”, spiega la Difesa. Oltre all’acquisto delle munizioni “Hero-30”, gli operatori delle forze speciali si potranno avvalere di pacchetti addestrativi “da svolgersi in Israele presso la sede di UVision ubicata nella città di Tzur Igal”. L’azienda israeliana fornirà inoltre il supporto logistico integrato, comprensivo di manutenzione basica e gestione/sostituzione di alcune parti di ricambio di consumo. (34)

Come influenzare i comportamenti e manipolare le menti

A riprova del ruolo chiave assunto dal territorio pisano nelle strategie di guerra ibrida e non convenzionale va infine ricordato che dal giugno 2020 è operativo il Comando delle Forze Speciali dell’Esercito (COMFOSE) presso il comprensorio “Tenente Dario Vitali” realizzato all’intero di un’area di 35 ettari della base militare statunitense di Camp Darby rientrata nella disponibilità delle autorità italiane. Secondo lo Studio progettuale presentato dallo Stato Maggiore dell’Esercito, per la ricollocazione del COMFOSE sono stati spesi 42 milioni di euro circa: nello specifico sono state realizzate un’area logistica di 15.000 mq; una sportiva di 8.000 mq e un’area alloggiativa di 20.000 mq. Il COMFOSE è stato istituito il 19 settembre 2014 e ha avuto il suo quartier generale prima nella Caserma “Gamerra” di Pisa e poi presso il CISAM di San Piero a Grado. Questo nuovo comando sovrintende alle attività, all’addestramento e all’acquisizione dei materiali delle unità delle forze terrestri assegnate alle “operazioni speciali”, primo fra tutti il 9° Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin”, in via di trasferimento da Livorno al nuovo complesso infrastrutturale pisano. Altro reparto delle forze speciali dell’Esercito è il 185° Reggimento Paracadutisti Ricognizione e Acquisizione Obiettivi “Folgore” (Livorno) con funzioni spiccatamente d’intelligence, ingaggio di obiettivi a distanza e penetrazione e infiltrazione in territorio nemico. Ci sono poi il 4° Reggimento Alpini Paracadutisti (Ranger) di Verona, designato per le operazioni in ambiente montano e artico e il 28° Reggimento “Pavia”, l’unica unità militare in Italia che si occupa di “comunicazioni operative”, quelle cioè finalizzate “a creare, consolidare o incrementare il consenso della popolazione locale nei confronti dei contingenti militari impiegati in missione di pace all’estero”. Di stanza a Pesaro, il “Pavia” rappresenta la componente armata che più interpreta le nuove frontiere della guerra moderna. “Le unità specialistiche del 28° Reggimento usano mezzi di comunicazione di massa per diffondere messaggi alla popolazione: si spazia dai tradizionali volantini e poster, efficaci in aree a elevato tasso di analfabetismo e basso sviluppo tecnologico, fino ai più complessi prodotti multimediali, compresi i new e social media nelle aree più progredite”, riferisce lo Stato Maggiore. “Inoltre il personale studia e analizza la realtà socio-antropologica delle aree di missione in modo da comunicare in modo idoneo ed efficace con la popolazione nel rispetto di usi, costumi e tradizioni locali”. (35)

Quelli che a prima vista potrebbero apparire come interventi di natura meramente politico-diplomatico-sociale s’inquadrano invece nelle cosiddette “guerre psicologiche”, note in ambito militare come operazioni psicologiche o PSYOPS (acronimo in lingua inglese). Sulle finalità e le modalità delle PSYOPS si è soffermata la ricercatrice Francesca Angius dell’Archivio Disarmo di Roma. “Si tratta del complesso delle attività psicologiche pianificate in tempo di pace, crisi o guerra, dirette verso gruppi obiettivo nemici, amici o neutrali, al fine di influenzarne gli atteggiamenti ed i comportamenti che incidono sul conseguimento di obiettivi prefissati di natura politica e militare”, scrive la ricercatrice. “Le PSYOPS sono, quindi, finalizzate alla conquista delle menti attraverso la gestione ad arte delle informazioni e delle verità e costituiscono uno strumento di strategia militare (…) il cui scopo principale consiste nell’influenzare le percezioni, gli atteggiamenti ed il comportamento di un determinato gruppo obiettivo. L’esigenza di dotarsi di un’unità PSYOPS è nata, in seno alla NATO, dalla convinzione che l’uso programmato delle comunicazioni di massa possa influenzare, anche in modo decisivo, l’esito di un conflitto. Il dominio delle informazioni è sempre più una dimensione fondamentale del moderno campo di battaglia, dove propaganda, disinformazione e manipolazione delle informazioni ne rappresentano una parte essenziale”. (36)

Nel 2006 l’allora tenente colonnello Luca Fontana (poi generale di brigata e vice capo divisione presso la NATO Rapid Deproyable Corps Italy di Solbiate Olona, Varese), ha pubblicato per conto dello Stato Maggiore della difesa un report intitolato Le Operazioni Psicologiche Militari (PSYOP). La “Conquista” delle menti. “E’ opinione diffusa che l’importanza delle PSYOP stia costantemente crescendo a garanzia del successo di ogni azione che si debba intraprende ovunque nel mondo, sia essa di carattere diplomatico o militare”, spiegava l’ufficiale. “Nel futuro, il valore delle PSYOP continuerà ad essere utilizzato al meglio prima e dopo un conflitto (…) Mentre negli anni a venire, saranno comunque le bombe, i missili e l’occupazione del territorio con truppe di terra a determinare sul piano militare il vincitore ed il perdente, le operazioni psicologiche, in misura sempre maggiore, determineranno la durata dei conflitti e l’impatto dello sforzo militare sugli interessi strategici di lungo termine…”. (37)

L’odierno conflitto russo-ucraino risponde perfettamente a queste indicazioni: si tratta infatti di una guerra brutale e fratricida combattuta con droni, missili e granate ma anche a colpi di dati di intelligence, comunicati stampa, verità dimezzate o manipolate e fake news.

Questo rapporto è stato presentato in occasione della Tre Giorni – No Base a Coltano promossa dal Movimento No Base – Né a Coltano né altrove, 9-11 settembre 2022,  Coltano, Pisa.

 

BASE S.COSIMO DA SMILITARIZZARE PER SICUREZZA DELL’ABRUZZO, MANIFESTAZIONE SABATO
Da reteabruzzo.it del 12 settembre 2022

Smilitarizzare la base di colle S.Cosimo. E’ questo lo scopo della manifestazione promossa per il prossimo 17 settembre dall’associazione Disarmiamo la Pace, disertiamo la Guerra. L’associazione ricorda che quello di S.Cosimo, compreso tra i territori dei comuni di Sulmona, Pratola Peligna e Prezza, è il più grande deposito di armi in Abruzzo. In caso di conflitto diverebbe sicuro obiettivo sensibile per aggressioni da parte russa, con gravissimi rischi che correrebbe la popolazione abruzzese.

Nei primi giorni del conflitto esploso tra Russia e Ucraina infatti manovre militari si sono svolte proprio nei pressi della base peligna, con filmati virali sui social che hanno subito suscitato apprensioni e preoccupazioni con alcuni interventi anche politici. Ma la vicenda della base militare di S.Cosimo, con tutte le denunce e proteste annesse e connesse, risale a decenni orsono.

Da lungo tempo interrogazioni e interpellanze parlamentari sono state presentate al riguardo, anche con la richiesta di rimuovere il segreto militare su quella base e fare finalmente chiarezza, a tutela della sicurezza dei cittadini e per una riconversione della base stessa. Richiesta che verrà ribadita sabato prossimo.

 

Il faro di segnalazione marittima è stato spostato sopra la torretta del Mose
Da chioggiatv.it del 11 settembre 2022

Venerdì 9 settembre 2022 è stato definitivamente demolito il traliccio che sosteneva il faro bianco di segnalazione marittima del Porto di Chioggia, uno strumento importante per la navigazione che ogni pescatore e navigante conosce e riconosce da miglia di distanza.
Il faro vero e proprio, la lanterna, ha trovato una nuova e definitiva collocazione sopra la torretta del Mose.
In origine questa lanterna era posta sopra il Castello della Luppa del forte San Felice come raccontato dall’esperta di storia “marinante” Alessia Boscolo Nata che ha anche realizzato un video su Facebook per raccontarne gli spostamenti nel corso degli anni.

 

Le mura di Padova raccontate in un docufilm: "6 Padova"
Da ilbolive.unipd.it del 11 settembre 2022

Di Antonio Massariolo

Sei luoghi (più uno) raccontati attraverso la voce di chi li vive, sette persone che a loro modo narrano l’unicità delle Mura di Padova. “6 Padova” è un docufilm diretto da Matteo Menapace che vuole raccontare il monumento più grande della città. Il progetto è stato presentato alla 79esima edizione delle Mostra del cinema di Venezia ed è ispirato a “6 Venezia”, un documentario realizzato nel 2010 dal compianto regista padovano Carlo Mazzacurati. Un viaggio, quello di “6 Padova” che parte proprio dalla città lagunare e più precisamente dalla Basilica di Santa Maria del Giglio, in Piazza San Marco dove, alla base, c’è un bassorilievo raffigurante la pianta con le vecchie mura di Padova.

11 chilometri di mura, di cui 10 ancora intatti, 19 bastioni e cinque porte superstiti, che fanno di Padova la città con le più grandi mura rinascimentali d'Italia e tra le più grandi d'Europa. Il sistema murario esterno patavino, che abbiamo lungamente raccontato nel libro “La scienza nascosta nei luoghi di Padova”, risale al rinascimento, periodo in cui la città si fortificò, passando dalle mura interne, di epoca romana, a quelle che ancora oggi circondano gran parte della città.

Gli stessi padovani o chi nella città del Santo ci studia o lavora le mura le attraversa quotidianamente, ma non sempre le percepisce.

Il docufilm promosso dal Comune di Padova le racconta nel miglior modo possibile: vivendole ed entrandoci anche al suo interno. La regia di Menapace offre uno sguardo diverso, che entra nelle viscere stesse della cinta e fa scoprire mondi sotterranei che seguono una narrazione coinvolgente ed accattivante. Luoghi che non sono ancora accessibili al pubblico, luoghi che meritano di essere conosciuti, anche solo per avere la consapevolezza dell’importanza storica dei posti che ogni giorno “calpestiamo”. Come ha dichiarato Roberto Ragazzoni, direttore dell’Osservatorio Astronomico della Specola, “le mura di Padova trasudano storia, ma anche scienza e continuano a portare avanti il simbolo della ricerca scientifica che è uno degli elementi che contraddistinguono l’Università, che proprio quest’anno compie 800 anni”.

“6 Padova” racconta la città attraverso sette voci diverse, la prima delle quali è quella di Giacomo Bianchi, musicista 33enne che ci fa vivere l’interno del Torrione Alicorno attraverso le note del suo violino. Il docufilm continua spostandosi dall Bastione di Codalunga o della Gatta, che prende il nome dall’esposizione di un felino contro l’assedio delle truppe imperiali di Massimiliano D’Asburgo avvenuto nel 1509, per poi passare alla spiegazione del tribunato, che si può ascoltare direttamente dalla voce di Elena Baldan, prima tribuno donna dell’università  di Padova.

Non manca la Specola con la sua lunga storia da torre alta del Castello Carrarese a osservatorio astronomico. “Qui dentro conserviamo la storia di oltre due secoli e mezzo di astronomia che si è fatta in questo osservatorio - dice Roberto Ragazzoni in 6 Padova -. Siamo i testimoni degli albori dell’astronomia fatta con il metodo scientifico di cui l’esponente principale è stato Galileo Galilei. Adesso poi siamo proiettati nel futuro e costruiamo nei nostri laboratori gli strumenti come satelliti e telescopi che poi vanno ad osservare con mezzi più moderni gli oggetti dentro il sistema solare e speriamo, in futuro, anche oltre”.

Dalle stelle della Specola alle acque della città, dai sotterranei ai bastioni che ogni giorno vedono momenti di aggregazione e divertimento. Ma non sempre è stato così e il pregio di “6 Padova” è anche quello di mettere in luce le difficoltà attraverso le quali si è dovuti passare per rendere la cinta muraria un vero e proprio monumento. Emblematica è la vicenda della Golena San Massimo dove, fino a non troppi anni fa, era utilizzata come deposito dei mezzi della nettezza urbana. Riqualificare, ristrutturare e, per diversi luoghi, portare alla luce la storia e la bellezza delle mura è compito complesso ma importante. Non ci sarebbe Padova senza le sue mura, un monumento tanto grande quanto invisibile.

Associazioni, enti ed appassionati stanno però facendo rete per riportare a nuovo splendore l’intero perimetro. Il docufilm approfondisce anche questa tematica, attraverso l’azione degli Amissi del Piovego, un’associazione che vuole portare avanti una gestione sostenibile, sia dal punto di vista sociale che ambientale, delle acque di Padova, anche grazie a dei progetti pilota dell’università di Padova..

"6 Padova" è visibile gratuitamente su youtube ed è un documento che ci mostra la città da un punto di vista diverso, mostrandoci luoghi che sicuramente ci sembrano comuni ma che spesso viviamo inconsapevolmente.

 

Forte San Felice, sopralluogo del FAI per controllare lo stato dei lavori
Da chioggiatv.it del 8 settembre 2022

Roberta Lamperti, responsabile tecnica per i Luoghi del Cuore, e Francesca Barbini,presidente del Fai veneziano, in visita al Forte San Felice di Chioggia per controllare lo stato di avanzamento dei lavori.
L’ufficio Luoghi del Cuore del Fai nazionale ha programmato una tre giorni di visita ai LUOGHI DEL CUORE DEL VENETO: Forte San Felice(ben 25.122 voti nel 2016!), colline di Rolle, Grotte del Caglieron, Serrai di Sottoguda per verificare lo stato dei progetti che li interessano.
Il primo luogo ad essere visitato è stato proprio il Forte con le due incaricate del FAI accompagnate dall’assessore alla cultura del Comune di Chioggia Elena Zennaro e dalla dirigente Daniela Ballarin. Presente naturalmente anche il Comitato del Forte San Felice rappresentato dal presidente Erminio Boscolo Bibi. Durante la visita è stato verificato il completamento dell’iniziale progetto finanziato dal FAI, con la realizzazione del Belvedere, ma anche lo stato dei lavori del progetto generale di recupero che scontano evidenti ritardi.
Ci racconta Erminio Boscolo Bibi: “L’ospite milanese è stata decisamente impressionata dalla bellezza del posto e dal suo valore storico. Ciò è valso ancor più a confermare e rafforzare il sostegno del FAI affinché quanto previsto dal protocollo d’intesa del 2018 tra Ministeri e Comune trovi realizzazione in tempi certi. Sono stati presi accordi per ulteriori successive verifiche”.

 

Un'estate breve ma intensa per il Forte di Exilles
Da lavalsusa.it del 8 settembre 2022

Il Forte ha riaperto, uno dei monumenti più rappresentativi di tutta la valle di Susa è stato nuovamente visitabile, da mercoledì 3 agosto, e il pubblico non è mancato, così che prima del termine, domenica 11 settembre, gli organizzatori puntano a raggiungere le 8000 presenze.

Spettacoli, mostre e visite guidate sono state al centro del programma, “a dimostrazione che la naturale attrattiva dello straordinario spazio architettonico è potenziata da una proposta culturale di qualità, nata dallo sforzo collaborativo tra partner pubblici e privati”, spiegano dell’Associazione Revejo, cui è stato affidato il ruolo di capofila in questa gestione.

Revejo è l’organizzatrice del festival Borgate dal Vivo che proprio nella Valle di Susa ha la base delle sue attività e la parte più importante del cartellone.

 

Piazza Balacchi, dopo gli scavi archeologici al via i lavori di valorizzazione della casamatta
Da riminitoday.it del 8 settembre 2022

In programma anche il rifacimento della pavimentazione in selce. Tutte le modifiche alla viabilità

Dopo i lavori per il completamento degli scavi archeologici in piazza Balacchi e il restauro dei ritrovamenti realizzati dalla società specializzata Phoenix Archeologia, dalla prossima settimana prenderà avvio l’intervento di riqualificazione e valorizzazione dell’intera piazza e della sottostante casamatta. Nel dettaglio, da lunedì 12 settembre fino ai primi giorni di novembre, la ditta Canghiari costruzioni srl, affidataria dei lavori, effettuerà la demolizione e il rifacimento della pavimentazione di piazza Balacchi con pietra di selce analoga all’esistente. Dal 19 settembre, invece, inizieranno i lavori per la rimozione del terreno circostante la casamatta e la successiva realizzazione delle fondazioni della struttura in ferro interna. In questo caso la durata dell’intervento è dell’ordine di una decina di giorni.

Nelle aree interessate dallo svolgimento dei lavori, sono previste alcune modifiche alla circolazione del traffico. Dal 12 settembre al 4 novembre l’area di piazza Balacchi compresa tra il civico 11 e via Saffi sarà interdetta al traffico, mentre fra i civici 11 e 9 entrerà in vigore il doppio senso di marcia: da via Pio Massani i mezzi potranno dunque arrivare fino all’altezza dell’ingresso alla Collegiata, fare inversione di marcia e procedere nuovamente in via Pio Massani proseguendo in Contrada dei Fabbri o in via Saffi (nel periodo non oggetto di chiusura della via stessa). La sosta sarà vietata in tutta la piazza, ma l’area interessata dall’intervento sarà comunque percorribile attraverso un percorso pedonale protetto.

Dal 19 al 30 settembre saranno invece vietati transito e sosta in via Saffi: i mezzi provenienti da via Pio Massani dovranno quindi obbligatoriamente proseguire in Contrada dei Fabbri, ma sarà comunque allestito un percorso protetto per garantire l’attraversamento pedonale delle aree interessate dall’intervento.

Il progetto di riqualificazione di piazza Balacchi e di restauro della sottostante casamatta consentirà di far conoscere e valorizzare una delle scoperte più interessanti degli ultimi anni della Santarcangelo sotterranea. Da sempre considerata una “nevaia”, in realtà la grotta semicircolare rinvenuta nel 1998 in via Saffi si è rivelata una casamatta che faceva parte della struttura difensiva risalente al Millequattrocento, quando il borgo venne ingrandito e circondato da mura completate nel 1447 da Sigismondo Pandolfo Malatesta.
La riqualificazione di piazza Balacchi con la contemporanea valorizzazione dei reperti archeologici venuti alla luce permetterà di realizzare un accesso alla casamatta, consentendo di visitare la porzione di mura malatestiane rinvenute.

 

Treviso. Cedimento di una parte della cinta muraria cinquecentesca
Da notizieplus.it del 7 settembre 2022

Di Giovanna Buccella

Intervento straordinario ieri 6 settembre sulla mura di Treviso a seguito della segnalazione presentata al Comune dall’associazione Treviso Sotterranea. L’associazione aveva denunciato il cedimento di una parte della cinta muraria cinquecentesca. Rimossa una porzione del cordolo in pietra d’Istria al bastione di Santa Sofia, in corrispondenza della cannoniera prospiciente ai giardinetti.

«Riscontriamo che l’intervento di messa in sicurezza e consolidamento che l’amministrazione comunale ha svolto» ha dichiarato Massimiliano Zago, vicepresidente di Treviso Sotterranea e curatore regionale del Catasto delle Cavità Artificiali della Società Speleologica Italiana

«Di fatto ha portato alla completa demolizione del cordolo. Si tratta di un monumento del 1500. E questo il modo giusto di operare: distruggendo?

Le attività di demolizione sono state approvate dalla sovrintendenza? La sovrintendenza ha approvato un piano di intervento?».

 

"La Serenissima Repubblica in Grecia. XVII - XVIII secolo" di Guido Amoretti
Da serenissima.news del 7 settembre 2022

Di Ettore Beggiato

“La Serenissima Repubblica in Grecia. XVII-XVIII secolo”.
Il generale Guido Amoretti, nato a Torino il 18 dicembre 1920, deceduto nel capoluogo piemontese il 14 luglio 2008 è il benemerito curatore di questo straordinario volume edito dalla Regione Piemonte nel 2006; Amoretti fu direttore del “Museo Pietro Micca e dell’Assedio di Torino del 1706” e presidente del “Centro Studi e Ricerche storiche sull’architettura militare del Piemonte”.

Antonio Paravia, veneziano di Corfù

Durante la sua carriera militare fu anche Ufficiale Consegnatario della biblioteca della Scuola d’Applicazione in Torino e, in questa veste, scoprì la “Raccolta del Capitano Antonio Paravia”, decine e decine di tavole e disegni manoscritti, per lo più a china e a pennarello: era il 1967 e all’epoca la raccolta era praticamente sconosciuta.

Antonio Paravia nacque a Corfù (allora Repubblica Veneta) il 16 marzo 1754 “da una famiglia di nazione Dalmata”; nel 1769 iniziò la carriera militare come cadetto in un reggimento, e fin da subito cominciò una copiosa raccolta di libri strategici e di carte geografiche insieme a vari disegni sincroni di cose militari venete.

La flotta veneta contro i tunisini

Sotto al valoroso capitano estraordinario delle navi Angelo Emo, Antonio Paravia prese parte alle spedizioni del 1785-86, contro i tunisini, e nel 1787-88 nello Jonio, e ne dettò un giornale storico-meteorologico; va ricordato, per ricostruire il contesto storico che la flotta veneta aveva all’epoca liberato l’Adriatico dai pirati barbareschi, e aveva preso e incendiato Susa (1785) e conquistato Biserta e La Goletta (Tunisia).

Erano state le ultime scintille della gloriosa vita della plurisecolare potenza marinara. Gravissimi pericoli si stavano addensando per Venezia sul continente europeo, e, in particolare, nella parte occidentale della pianura del Po, dove le armate rivoluzionarie francesi, eliminate le forze del Regno di Sardegna, battute più volte le armate imperiali in Lombardia, si erano spinte disinvoltamente, con le armi imbracciate, sui territori veneti.

Paravia e gli ultimi anni della Repubblica

Venezia dovette subire la tracotante invasione gallica, chinare la testa davanti alle molte arroganti pretese ed alle spoliazioni, ammainare la bandiera di San Marco sulle sue piazze e sulle sue navi.

Antonio Paravia, che fu presente a molti episodi degli ultimi anni della sua Repubblica, “combatté da valoroso fino agli estremi” nei sanguinosi scontri tra i francesi e le truppe venete che avvennero nel Veronese e nella stessa città.

Il rifiuto a Bonaparte

A quanto risulta l’ufficiale veneto ebbe anche un colloquio con lo stesso Bonaparte e rifiutò le proposte di passare al servizio francese preferendo rimanere semplice “capitano di un governo amato, benché spento”, anziché “vendere la sua fede a quelli che lo avevano oppresso e alla volta loro mercanteggiato”.
Antonio Paravia morì a Venezia il 19 dicembre 1828, a 74 anni.

4200 pagine: da Nauplia a Candia, da Malvasia a Cerigo

Presso il Museo Correr di Venezia sono conservati gli originali del “Mio portafogli di viaggi, osservazioni, memorie e frammenti istorici del mio tempo” suddivisi in sei parti per un totale di circa 4200 pagine e 600 tavole; alla Scuola di Applicazione di Torino è conservata una ricca raccolta di tavole intestate al suo nome, in parte con soggetti analoghi a quelli dei suoi manoscritti.

L’indice del volume fa sognare chiunque abbia visto o studiato quei posti:

Napoli di Romania (Nauplia), Argo, Malvasia, Cerigo, Passava, Chielefà, Calamata, Corone e Modone, Navarino, Castel Tornese, Patrasso, Rion e Antirion, Vonitza e Prevesa, Parga, Acrocorinto e Corinto, Negroponte e Calcide Halkida, Rodi, Canea, Isola di Candia – Suda, Garabuse, Spinalonga, San Todero, Candia – Baloardo Sant’Andrea, Salonicco.

“Questo è veneziano”

Concludo citando un passo testuale del generale Guido Amoretti, piemontese, a pagina 182:

“Ancor oggi nel popolo greco risuona sovente una frase piena di rispetto verso i ricordi tangibili dell’antica Serenissima:

– aftos ine Beneticos – questo è Veneziano-”


Ettore Beggiato

 

Trekking sulla Linea Gotica a Pianosinatico con visita ai bunker ricostruiti e al museo
Da arteventinews.it del 5 settembre 2022

Nuove date per le escursioni autunnali sulla Linea Gotica: le date sono previste per 11 e 25 Settembre e per il 9 Ottobre.

A fine escursione il partecipante può, in aggiunta od in alternativa al pranzo al sacco, fare una degustazione di vini con tagliere di salumi e formaggi nei locali messi a disposizione dall’azienda vinicola “Vigna Eroica” di Pianosinatico, in centro del paese vicino al Museo L’AltroLatodelCaposaldo, dove appunto l’escursione si conclude con la relativa visita. L’azienda Vigna Eroica ha i propri vigneti sul percorso che porta ai bunker ricostruiti dell’AltrolatodelCaposaldo ed è ubicata su un pendio a circa 1000 mt di altitudine, da cui il nome di Vigna Eroica per le condizioni di produzione.

Dettaglio :
Si tratta di un percorso ad anello di circa 7,5 km con partenza e arrivo al paese di Pianosinatico e con visita finale, con guida dedicata, al piccolo ma interessante e ricco museo sul passaggio della Linea Gotica in quella zona. L’Escursione è classificata E, fattibile per tutti, con una salita all’inizio (primi 20 minuti) e una discesa alla fine, senza particolari difficoltà e ci sarà l’accompagnamento di una guida escursionistica ambientale dedicata. La guida illustrerà durante il percorso anche i fatti storici avvenuti nella zona e saranno visitati i bunker ricostruiti.

Ogni partecipante provvede per il proprio pranzo, oppure in aggiunta od in alternativa può fare una degustazione di vini e tagliere (salumi e formaggi) della “Vigna Eroica” nei locali situati in centro del paese di Pianosinatico vicino al Museo. Il costo della sola degustazione è di €15.

Il ritrovo è alle 9.30 al museo Via della Chiesa, 21 – Pianosinatico.

La durata dell’escursione è di circa 3/3,5 ore, poi in più il tempo del pranzo al sacco o la degustazione e poi visita al museo di circa 1 ora.

Si prega di prenotarsi a goticalavia@gmail.com e lasciare il recapito telefonico per eventuali contatti in caso di segnalazioni prima dell’arrivo al punto d’incontro convenuto.

Si raccomanda scorta di acqua, scarpe da trekking e abbigliamento adeguato (Kway o mantella in caso di minaccia di pioggia).
Il costo è di 15€ per gli adulti, gratis fino a 8 anni e da 8 a 15 anni 6€, da pagarsi in loco alla guida, ed è comprensivo di escursione guidata e visita guidata al museo.

 

Senigallia e i misteri della Rocca Roveresca
Da ilgiornale.it del 4 settembre 2022

Senigallia ospita una delle grandi fortezze che hanno dominato il medioevo marchigiano: la Rocca Roveresca, da secoli al centro di intrighi

Di Claudio Schirru

Senigallia è uno dei centri più affascinanti e ricchi di storia della provincia anconetana. Di particolare fascino è la sua Rocca Roveresca, una fortezza costruita attorno a quella che era una torre quadrangolare di epoca romana e oggetto nei secoli di diversi interventi.

Nella seconda metà del 1300 sorse dapprima una "rocchetta", costruita per volontà del cardinale Egidio Albornoz, a cui seguì un successivo intervento di Sigismondo Pandolfo Malatesti. Sarà però soltanto sul finire del 1400 che la Rocca Roveresca assumerà le caratteristiche attuali, grazie all'intervento ordinato da Giovanni Della Rovere. Proprio dai Della Rovere la fortezza di Senigallia deriverà il nome con cui è tutt'ora conosciuta.

Una fortezza che nel corso dei secoli ha rappresentato non soltanto una struttura difensiva, ma anche una residenza signorile e persino una scuola di artiglieria (voluta da Guidobaldo Della Rovere nel 1533). La successiva fine della dinastia ducale portò la rocca nelle mani della Chiesa, sotto la quale divenne un carcere e persino un orfanotrofio.

Nei secoli passati la posizione strategica in cui è situata permetteva alla fortezza di contribuire in maniera decisiva alla difesa del territorio. Oggi la Rocca Roveresca è visitabile sia esternamente che internamente, oltre a ospitare mostre, eventi culturali e rievocazioni storiche.

La Rocca Roveresca: Senigallia e l'invasione di Cesare Borgia

Nella sua lunga storica di fortezza inespugnabile compare una importante macchia. Nel 1503 la Rocca Roveresca venne conquistata da Cesare Borgia, ma lo scontro fu tutt'altro che militare. Il duca Valentino diede vita a quello che passò alla storia come il "Magnifico inganno di Senigallia", in occasione del quale approfittò della situazione in maniera estremamente pragmatica.

In difficoltà per il tradimento di alcuni suoi capitani e alleati, il Borgia si affidò ai fiorentini e agli aiuti forniti dal re di Francia (oltre ad alcuni gruppi di mercenari). Riuscì a ottenere un accordo di pace con i congiurati (Vitellozzo Vitelli, il duca di Gravina Francesco Orsini, Paolo Orsini e Oliverotto da Fermo), di cui sfruttò la fiducia e la buona fede ritrovate.

Come racconta Niccolò Machiavelli, li attirò nell'appartamento per lui allestito a Senigallia e lì seduta stante fece imprigionare l'intero gruppo di cospiratori. Quella stessa notte, tra il 31 dicembre 1502 e il 1 gennaio 1503, Cesare Borgia ordinò l'esecuzione di Vitellozzo Vitelli e Oliverotto da Fermo. Due settimane più tardi la stessa sorte toccò anche ai due Orsini.


Le misteriose iscrizioni e la leggenda del prigioniero murato vivo
 

La Rocca Roveresca non è soltanto ricca di storia ma è al centro anche di diversi misteri e leggende. Tra questi hanno sempre attirato la maggiore attenzione le misteriose iscrizioni che compaiono in tutte le pareti della fortezza: "Io Pre" e "Io Dux". Non si è mai giunti a una risposta certa in merito al significato di queste incisioni, sebbene le teorie più accredite vedono nella parte "Io" un riferimento a Giovanni ("Ioannes") Della Rovere.

È stata a lungo oggetto di discussione una singolare leggenda, che ha come teatro proprio la fortezza di Senigallia. Si racconta che nel cortile interno, a ridosso della parete abitata, vi sia una cella un tempo destinata a un prigioniero poi murato vivo. La teoria non è condivisa da tutti gli esperti, ma ciò non ha impedito alla leggenda di contribuire al fascino e al mistero della Rocca Roveresca.


Foto in evidenza: Sailko - Wikimedia
Foto nel testo: Guido Baglieri - Wikimedia
Foto nel testo (2): Gaspa - Wikimedia

 

Crollano pezzi dalle Mura Aureliane, intervento dei pompieri
Da terzobinario.it del 3 settembre 2022

Intervento dei vigili del fuoco in corso in Viale di Porta Ardeatina per il distacco di piccole parti dalle Mura Aureliane: nessuna persona risulta coinvolta, squadre al lavoro con l’autoscala sulla sommità della cinta muraria per mettere in sicurezza l’area ed escludere la presenza di porzioni pericolanti.

 

“Rocche, Fortezze e Castelli in Campania” alla presenza di “Federico II di Svevia Stupor Mundi” presso il Santuario Madonna dell’Arco
Da binews.it del 1 settembre 2022

Dal 7 al 22 settembre 2022, il Laboratorio Culturale “Campania Bellezza del Creato”, sito nel Santuario Madonna dell’Arco di Sant’Anastasia (NA), ospiterà in contemporanea due eventi fra loro connessi. Come potrebbero non esserlo i giganti di pietra raccontati dalle “immagini come appunti di viaggio” di Giuseppe Ottaiano e le sculture lignee di Gustavo Delugan, dedicate alla figura e alla vita dell’Imperatore Federico?

Chiunque abbia incontrato la storia di Federico II, anche solo di sfuggita, sa che egli ebbe, fra le sue priorità, la difesa dei confini del vasto territorio da lui governato e, a partire dall’amata Puglia, passando per la Campania e la Basilicata e via su fino al Nord, costruì o restaurò rocche e castelli che potessero servire come difesa ma anche, come nel caso di Castel del Monte, da buen retiro per un uomo che, oltre l’impero e le belle donne, amò le arti, la caccia e le scienze. L’Associazione Terre di Campania APS promuove l’evento, condiviso con la Comunità dei Domenicani del Santuario Madonna dell’Arco e col Priore Padre Gianpaolo Pagano, con l’obiettivo di portare il pubblico alla scoperta dei castelli della nostra regione, che vanta uno dei più grandi agglomerati di incastellamento d’Europa, con circa 200 siti e 98 torri di avvistamento dislocate lungo la costa.

Un patrimonio immenso e dalla vita lunghissima fatto di testimonianze storiche vive, che nell’a rc o d e i s e c o li ha nno assolto ai ruoli di fortezze, luoghi di ristoro post battute di caccia, residenze gentilizie e dimore signorili. Architetture secolari che raccontano, a chi sa leggere le parole di pietra e ascoltare la voce delle antiche mura, i momenti di pace e di guerra dei territori in cui sono sorti, e che oggi possono rivestire concretamente il ruolo di promotori della Campania. La Mostra Fotografica realizzata da Giuseppe Ottaiano è il risultato di un lungo, costante ed appassionato lavoro, totalmente autofinanziato e supportato dal team dell’Agenzia di Comunicazione SEMA. Una mente creativa e visionaria come quella di Ottaiano non poteva non entrare immediatamente in empatia con il pensiero ispirato e l’opera artistica di Gustavo Delugan, che all’imperatore Federico II, mente illuminata e aperta, ha dedicato un’intera
installazione, “Stupor Mundi” realizzata in legno, materiale da lui prediletto in quanto “vivo”. Delugan “legge” infatti nelle venature del legno la forma che esso nasconde, la rivela portandola alla luce con la sua arte raffinata e le dona, quando l’opera lo richiede, il colore che la rende unica. Gustavo Delugan racconta il Sovrano del Regno di Sicilia attraverso la sua figura, i simboli che lo accompagnarono e i suoi affetti, la madre Costanza d’Altavilla e il nipote Corradino, anch’essi legati alla nostra terra. Federico II e i Castelli della Campania, di cui si è tanto parlato, sono ancora in grado di stupirci? Questo duplice evento vuole indicarci proprio ciò, nell’inedito incontro del “signore dei castelli” per eccellenza e dei manieri che egli amò. É il punto di vista, infatti, che fa la differenza: guardare, osservare, riflettere e immaginare per incontrare la Storia e i suoi protagonisti, per rieducarci ad amare e rispettare una terra resa grande dalla Bellezza e dalla Cultura.

Il Vernissage si terrà il 7 settembre 2022 alle ore 18:00, alla presenza e con gli interventi dell’artista Gustavo Delugan, del viaggiatore Giuseppe Ottaiano, di Luigi Raia, direttore A.RE.TUR., di Mino Iorio, storico dell’Arte, di Padre Gianpaolo Pagano, Priore del Santuario, di Maddalena Venuso, giornalista. Sarà inoltre presentata la guida “Campania, castelli come musei”, realizzata da Terre di Campania APS.

L’iniziativa è sostenuta da Confetti Maxtris, Campus Principe di Napoli, Azienda Vitivinicola Mosca e Cromia Stampa Tessuti.

La duplice mostra sarà visitabile fino al 22 settembre.

Il calendario delle aperture è consultabile su www.campaniabellezzadelcreato.it