I
venti di guerra non sferzano solo l’Ucraina.
Ormai si sentono, gelidi, anche da noi.
L’ipotesi di intervento diretto di truppe
Nato è sul tappeto. La possibilità che il
conflitto in atto tra Russia e Ucraina si
allarghi e diventi Terza Guerra Mondiale è
tutt’altro che remota. E non è mai stata
così vicina dal 1945 ad oggi. Quella tra
Occidente e Russia non è più la guerra
fredda degli anni ’50-80, ma una “guerra
calda”. Lo dice Lavrov, ministro della
guerra russo. Oggi Il Fatto Quotidiano
titola in prima pagina “Siamo in guerra (e
ora ce lo dicono)”. Chiaro a che punto siamo
arrivati?
Se malauguratamente si dovesse davvero
arrivare alla guerra Nato-Russia, sarebbe la
guerra mondiale. Con possibilità di uso
delle armi nucleari. Il grande crash.
L’apocalisse. La fine dell’Europa, ma non
solo, nel giro di pochi minuti. E noi,
tutti, stiamo qui a discutere su “fino a che
punto possiamo spingerci”, “siamo pronti a
mandare i nostri soldati?” o sulla
comparsata di Zelensky a Sanremo, del tutto
inopportuna, perché non stiamo parlando di
un videogioco…
L’Italia c’è dentro fino al collo in questa
storia. No solo perché ha deciso proprio in
questi giorni di inviare nuovi aiuti
militari all’Ucraina, ma anche perché può
essere uno dei bersagli principali dei
missili russi. Nella penisola nel 2013 le
basi con presenza Usa in Italia erano 59.
Adesso sono salite a circa 120, ma ve ne
sarebbero un’altra ventina tenute segrete
per motivi di sicurezza. In tutto, nel 2019
erano presenti nel nostro paese 12.902
militari statunitensi: 3.055 dell’esercito,
3.992 della marina, 318 dei marines e 4.636
dell’aeronautica.
Nel linguaggio corrente, vengono definite
tutte “basi Nato”. In realtà non è
esattamente così perché ci sono quattro tipi
di strutture diverse: quelle concesse agli
Stati Uniti in base a due accordi firmati
negli anni Cinquanta, che rimangono sotto
comando italiano mentre gli Stati Uniti
detengono il controllo militare su
equipaggiamento e operazioni; le basi Nato
vere e proprie; le basi italiane messe a
disposizione della Nato in base agli accordi
dell’Alleanza atlantica e le
basi condivise da Italia, Stati Uniti e
Nato. La sostanza è che sono tutte, di fatto
“basi Nato”.
In totale in Italia sono custodite 70
testate nucleari, che sono dislocate in due
basi: Aviano e Ghedi. Ad Aviano, in Friuli,
sono ospitate alcune bombe atomiche B61-4.
Altre bombe nucleari di tipo B61-3, B61-4 e
B61-7 sono all’aeroporto militare di Ghedi
nel bresciano.
Ma quali sono e dove sono le principali basi
Usa-Nato nella penisola?
Sigonella, nella piana di Catania, è il
principale hub dell’Aviazione di Marina Usa.
La più attrezzata base logistica in appoggio
alla sesta Flotta americana nel
Mediterraneo: qui sono di stanza i famosi
droni spia “Global Hawk” essenziali per le
missioni di intelligence, sorveglianza e
ricognizione. Da questa base partono anche i
droni d’attacco “Reaper”. Sigonella rimane
legata, nella memoria italiana, al 1985
quando Bettino Craxi si oppose alla consegna
alla Delta Force di Abu Abbas e degli altri
terroristi colpevoli del sequestro della
Achille Lauro.
Napoli è sede dell’Allied Joint Force
Command dal 2013, anno della
riorganizzazione dell’area militare della
Nato, rappresenta uno dei due comandi
strategici operativi assieme all’Allied
Joint Force Command Brunssum e dipende
direttamente dal quartier generale supremo
delle potenze alleate in Europa. Il
comandante ha la responsabilità anche della
VI Flotta della Marina statunitense, che
oltre alle basi di Sigonella e, appunto,
Napoli – dispone di un attracco nel porto di
Gaeta che ospita stabilmente la USS Mount
Whitney, nave ammiraglia della Sesta Flotta
americana.
A
Mondragone, in provincia di Caserta, c’è
invece il sotterraneo antiatomico per il
comando americano e Nato da utilizzare in
caso di guerra.
Ad Aviano Pordenone, c’è l’aeroporto,
infrastruttura militare italiana, che viene
utilizzato dall’Usaf, l’Aeronautica militare
statunitense. Dal 1955 è in vigore un
accordo Usa-Italia per l’utilizzo congiunto
della base, che è anche della Nato. Dal 1992
al 2005 è stato il quartier generale della
“Sixteenth Air Force” trasferita poi a
Ramstein, in Germania. Secondo un rapporto
americano del “Natural Resources Defence
Council” ad Aviano sarebbero conservate
bombe atomiche B61-4, di potenza variabile.
È la più grande base aerea Usa del
Mediterraneo e ospita il 31st Fighter Wing,
che forma parte della United States Air
Forces in Europe, uno dei maggiori comandi
dell’USAF, equipaggiato con
cacciabombardieri F-16CM Fighting Falcon.
Aviano fu una delle principali basi
utilizzate per bombardare la Serbia durante
la guerra del Kosovo (cui l’Italia contribuì
con 54 aerei e 1300 missioni). Vi sono state
riunite quasi tutte le testate nucleari
B61-4 che possono essere portate in volo
anche dai cacciabombardieri italiani;
ufficiosamente, una quarantina.
Nella caserma Carlo Ederle di Vicenza c’è la
base dell’Esercito Usa, con il 173esimo
Airborne Brigade Combat Team e lo United
States Army Africa. Dal 2013 un altro campo
ha affiancato l’Ederle, Camp Del Din.
Camp Darby, a Pisa, nasce negli anni ’50, è
intitolata al brigadier generale William O.
Darby, ucciso dall’artiglieria nemica il 30
aprile 1945 sulle rive del Lago di Garda. E’
un deposito di missili, ordigni e munizioni
cui attingono le forze Usa. Sotto controllo
italiano, è improprio considerarla una base
Nato. E’ una base Usa. Ed è il deposito di
materiale bellico più grande al di fuori del
territorio statunitense, con bombe e
munizioni.
A
Ghedi, 25 km a sud di Brescia, c’è una
struttura a gestione totalmente italiana
classificata come ‘Main operating base’,
addetta cioè ad attività esclusivamente
militari. Ospita un deposito di bombe
atomiche di tipo B61-3, B61-4 e B61-7: da 20
a 40, di potenza variabile tra meno di un
chilotone e 340 chilotoni. La struttura è
totalmente a gestione italiana, ma le bombe
sono Usa. In caso di guerra, in base agli
accordi Nato, potrebbero essere lanciate da
aerei italiani.
Poggio Renatico in provincia di Ferrara
ospita una Base aerea dell’aeronautica
militare italiana, vi si trova il Deployable
air command and control centre della Nato.
Controlla lo spazio aereo dell’alleanza
atlantica ed è in grado di schierarsi
ovunque per operazioni militari e missioni
di pace. Nel personale ci sono militari di
16 paesi.
A
Motta di Livenza, in provincia di Treviso,
nella caserma Mario Fiore si trova il
Multinational Cimic group, reparto
multinazionale interforze a guida italiana
che ha la funzione di coordinare e agevolare
la cooperazione tra la componente militare e
le organizzazioni civili dove si svolgono le
operazioni. Anche queste forze possono
essere velocemente spostate in qualsiasi
parte del mondo.
Nella caserma Ugo Mara di Solbiate Olona, in
provincia di Varese, si trova il Corpo
d’armata italiano di reazione rapida della
Nato, che può essere inviato velocemente
ovunque in scenari di crisi. L’Italia
fornisce il 70% dei militari mentre il
restante 30% è costituito da soldati di
altri paesi alleati: circa 400 di Albania,
Bulgaria, Canada, Francia, Germania, Gran
Bretagna, Grecia, Lettonia, Lituania, Paesi
Bassi, Polonia, Romania, Slovenia, Spagna,
Stati Uniti, Turchia e Ungheria. Il comando
è affidato a un italiano. Per due periodi il
Corpo d’armata italiano di reazione rapida
ha guidato le missioni Isaf (International
security assistance force) in Afghanistan.
A
Taranto si trova il comando delle forze
navali e anfibie offerto dall’Italia alla
Nato.
La Forward Operating Base (Fob) di
Trapani-Birgi fornisce supporto
tecnico-operativo e logistico agli Awacs
della E-3A Component, di base a
Geilenkirchen in Germania, da cui dipende il
personale che è quasi interamente
fornitodall’Aeronautica Militare Italiana.
A
La Spezia è di stanza un Centro della Nato
che si occupa di ricerche in campo
scientifico e tecnologico.
Nella città militare della Cecchignola a
Roma, si trova la struttura denominata Nato
Defense College: è una scuola militare
internazionale. Fu voluta dall’allora
generale Dwight Eisenhower nel 1951 ed è
stata a Parigi fino al 1966, per poi essere
trasferita a Roma. Lo staff è composto da
130 tra militari e civili di 21 paesi e i
corsi servono a formare le più alte cariche,
sia nell’ambito della Nato sia degli
eserciti dei paesi membri dell’alleanza.
A
Niscemi, in Sicilia c’è una stazione radio
della marina militare degli Stati Uniti.
A
Gricignano di Aversa, in provincia di
Caserta, si trova invece una cittadella
abitativa – completa di piscine, impianti
sportivi e di un ospedale – ove alloggiano i
militari statunitensi che prestano servizio
nelle basi Usa in Campania.
E
queste sono solo le più note. Un quadro
comunque sufficiente per capire che l’Italia
potrebbe essere presa di mira da nord a sud.
E
questo territorio? Non è senza peccato. E
ospita anch’esso una struttura militare di
cui si sa pochissimo. Si tratta della base
dell’esercito italiano situata a Poggio
Santa Cecilia, nei pressi di Rapolano Terme,
tra Sinalunga e Siena. Una decina di
capannoni e tunnel sotterranei pieni di
munizioni ed esplosivi. Non a caso gli
abitanti della zona la chiamano “la
polveriera“.
Nell’agosto del 1980 fu oggetto di una
grande manifestazione pacifista cui
parteciparono circa 20 mila persone. Si era
diffusa la notizia che “la polveriera” di
Rapolano avrebbe ospitato i famosi missili
nucleari a medio raggio Pershing e Cruise
americani, detti “euromissili” che avrebbero
dovuto contrastare gli SS-20 sovietici…
Poco dopo l’invasione Russa dell’Ucraina, 10
mesi fa, alcune testate locali raccontavano
di un forte movimento di mezzi militari
intorno alla base di Rapolano. Probabilmente
da lì sono partiti alcuni carichi di armi e
munizioni destinati alla resistenza ucraina,
secondo quanto deciso dal Governo e dal
Parlamento Italiano. Su quel traffico
insolito le consigliere regionali del M5S
Silvia Noferi e Irene Galletti presentarono
una interrogazione. Era il mese di marzo del
2022.
Nella base di Rapolano nel 2015 si verificò
un episodio increscioso: un militare in
servizio fu ferito da un colpo di pistola
sparato da un suo superiore. Il soldato
colpito era un paracadutista volontario
della “Folgore, il fatto avvenne durante un
servizio di vigilanza. Il giovane fu
trasportato alle Scotte di Siena dove fu
sottoposto ad un delicato intervento
chirurgico. La madre, visto il silenzio
sulla vicenda da parte della Difesa, si
rivolse con un videomessaggio all’allora
Ministro Pinotti per chiedere chiarezza
sull’episodio e che il figlio potesse
continuare la carriera militare.
In caso di guerra, anche “la polveriera” di
Rapolano sarebbe un obiettivo sensibile.
Così come l’Aeroporto militare di Grosseto
da cui partono i “caccia” italiani. Altre
strutture militari italiane, ma in caso di
necessità utilizzabili dalla Nato si trovano
anche a Castiglione della Pescaia (a 15 km
da Grosseto) e nei pressi di Sovicille,
vicino Siena.
C’è da stare poco allegri. L’unica domanda
da porci è “quanto durerebbe l’Italia, come
penisola, in caso di attacco russo”?