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La leggenda della Fortezza di Le Castella
Da wineandfoodtour.it del 27 febbraio 2021

Le Castella

La Fortezza di Le Castella è un luogo affascinante da sempre. Si tratta di un suggestivo castello nel comune di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone in Calabria. Non si tratta di una semplice rocca, ma di uno dei simboli dell’intera regione, importante sia dal punto di vista culturale che storico. Ma qual è la vera storia di questa fortezza? Scopriamola insieme.

La leggenda della Fortezza di Le Castella

Secondo la leggenda e la tradizione popolare, fu il famoso condottiero Annibale a volere questa fortezza che fu edificata per sua volontà nel 204 a.C. Un’origine leggendaria e storica molto importante quindi. Fu scelta per la sua posizione strategica che non a caso è il punto di forza della fortezza. La rocca sorge su un isolotto collegato alla terraferma da una sottile striscia di terra e sembra emergere dal mare in tutta la sua bellezza quasi come una sirena o una dea. Il nome Le Castelle non è errato, ma sta ad indicare che anticamente non c’era una singola fortezza, ma più fortezze concentrate in questo isolotto. L’isola Capo Rizzuto così come la sua fortezza è visitabile. Ci sono ancora le scale a chiocciola in pietra divinamente conservate. La fortezza che oggi vediamo è ciò che resta di un antico villaggio circondato da una cinta muraria. Un luogo davvero inespugnabile.

In base agli ultimi scavi archeologici, è stato scoperta la presenza sui fondali di blocchi architettonici risalenti addirittura all’epoca ellenistica, dunque molto prima della venuta di Annibale. Questa scoperta ci fa capire due cose: che Annibale non è stato il primo a “colonizzare” quest’isola e costruire una fortezza e che nell’antichità l’isolotto era molto meno “sommerso” di oggi ed era più allungato. C’è da dire che la fortezza, di cui oggi stiamo raccontando la storia, non fu mai abitata da nobili nei secoli passati, ma piuttosto da soldati che qui si rifugiavano durante gli attacchi via mare contro gli invasori di turno. La torre centrale è di derivazione angioina e risale al XIV secolo. Solo nel XV secolo la fortezza passò agli Aragonesi.

Nel 1496 il re Federico d’Aragona la cede al conte Andrea Carafa che fa costruire tra il 1510 e il 1526 dei possenti bastioni quadrangolari per rendere il castello ancora più “insepugnabile”. Gli scavi archeologici hanno rivelato che la fortezza di Le Castella ha conosciuto diverse fasi di costruzioni e di ampliamento in diverse epoche storiche. Il maniero fu anche teatro di una lunga battaglia contro i pirati turchi. Nel 1536 fu conquistata da Federico Barbarossa e nell’assedio fu catturato Dionigi Galeni.

Oggi oltre alla torre, è possibile visitare l’area marina protetta, istituita nel 1991. D’estate la fortezza di Le Castella è aperta anche la sera.

 

Un grande bunker ad Amburgo
Da italiaoggi.it del 26 febbraio 2021

Fu realizzato dai nazisti. È indistruttibile perché ha muri spessi tre metri e mezzo - Poteva contenere 17 mila persone. Ma ne ospitò 25 mila

di da Berlino Roberto Giardina

Il bunker che si trova ad Amburgo è uno dei più grandi mai costruiti Quando andai a Amburgo, come corrispondente, portai mia figlia di quattro anni a Sankt Pauli. Non nei localini del quartiere a luci rosse, ma nel Luna Park nella spianata dominata da un enorme bunker grigio. Da padre poco corretto, le comprai zucchero filato e patatine. La guerra era finita da circa un quarto di secolo, meno anni di quanti sono trascorsi dalla caduta del Muro, ma il III Reich mi sembrava lontano.

Il bunker nella Feldstrasse è sempre là, impossibile eliminarlo, si rischierebbe di far saltare in aria mezza città. Si nota da lontano, è uno dei più grandi mai costruiti, un quadrato di 75 metri per lato, alto 35 metri, le pareti di cemento armato sono spesse tre metri e mezzo. Nel 1942 lo edificarono oltre mille lavoratori forzati, gli schiavi del III Reich. In nessuna città come Amburgo, un milione e mezzo di abitanti, furono allestiti altrettanti bunker, in tutto 1.051, la metà sono sempre in piedi, o sotterranei, ma sono di dimensioni modeste. Il rifugio ora sarà trasformato e riutilizzato, un posto adatto per organizzare eventi. Verranno aggiunti tre piani, e all'ultimo si aprirà una sala per gli amanti di musica elettronica, al pianterreno un negozio di musica, negli altri piani sono previsti locali e appartamenti per artisti, attori, musicisti. Non si dimentica l'ecologia: un parco di oltre 8mila metri quadrati circonderà il bunker, e gli ultimi piani saranno un giardino pensile, su imitazione del bosco verticale di Milano.

Un po' ovunque in Germania i bunker sopravvissuti al conflitto sono stati utilizzati quasi sempre per installazioni artistiche. A Berlino, il bunker nella Reinhardtstrasse, ospita dal 2008 un museo privato di arte contemporanea da visitare su prenotazione (quando era possibile). All'ultimo piano si trova l'appartamento del proprietario. Trasformare i bunker in alloggi è logicamente molto caro.

Il 25 luglio del '43 cominciò l'operazione Gomorrah, i bombardamenti a tappeto su Amburgo durati sei giorni. Furono sganciate centomila bombe al fosforo, e il bilancio non è mai stato precisato, di sicuro oltre 40mila vittime, in gran parte civili. Amburgo è un porto fluviale, ma furono colpiti anche i quartieri operai, quasi con precisione classista. Le bombe provocarono una tempesta di fuoco, venivano risucchiati nel suo centro gli abitanti anche da un chilometro di distanza. Una superficie di 250 mila metri quadrati andò in fiamme. Furono risparmiate le zone borghesi. Io abitavo sul lago nel cuore della città, in una villa inizio secolo divisa in appartamenti, come quelle vicine, tutte intatte, le mie prese della luce portavano ancora la scritta III Reich, e mi trovavo a meno di due chilometri dal porto e dai cantieri. Il bunker di Sankt Pauli poteva ospitare 17 mila persone, ma vi trovarono rifugio fino a 25 mila.

I rifugi furono tenuti in funzione durante la guerra fredda, con le razioni alimentari sufficienti per due settimane, che venivano puntualmente rinnovate alla scadenza. Quando mi trasferii a Berlino dopo la riunificazione si organizzavano gite turistiche nei rifugi allestiti anche nei lager della metropolitana. Chi voleva poteva trascorrere una notte su una brandina nelle sale sotterranee per provare un brivido, colazione compresa. Non mi parve che valesse far pagare il conto al mio giornale per un articolo. Nessuno mi crede, ma io ricordo le bombe su Palermo di quando avevo meno di un anno. Non avevo paura perché mia madre fingeva di non aver paura, ma sentivo che era un pericolo.

Anche i privati sarebbero stati obbligati a tenere da parte le provviste per 15 giorni, calcolate in base al nucleo familiare. Non so negli anni 50, ma 20 anni dopo nessuno dei miei amici tedeschi osservava la norma, che rimase in vigore fino a poco dopo la caduta del muro. Solo Joe Biden finge ancora di credere che Putin voglia bombardare l'Occidente ed ha inviato una squadriglia di bombardieri in Norvegia.

 

Castello dei Carraresi, Giordani e Colasio: «L'opera di restauro cambia tutta la città»
Da padovaoggi.it del 26 febbraio 2021

Si è svolta nella mattinata di venerdì 26 febbraio una visita al complesso del Castello Carrarese per fare il punto dei lavori e dei progetti in vista dell’imminente trasferimento al Comune di Padova

Hanno partecipato il sindaco Sergio Giordani, l’assessore alla cultura e al turismo Andrea Colasio, il Rettore dell’Università Rosario Rizzuto, il vicepresidente della Fondazione Cariparo Donato Nitti, il presidente della Camera di Commercio Antonio Santocono oltre all’ex sindaco Paolo Giaretta, e agli ex onorevoli Piero Ruzzante e Marino Zorzato che negli anni passati, da parlamentari hanno sostenuto il progetto di restauro del Castello.

A breve l’Accordo di valorizzazione tra il Mibact, l’Agenzia del Demanio, e il Comune di Padova, il cui testo è già stato valutato positivamente da Ministero e Demanio, dopo un passaggio alla Commissione Cultura del Comune, sarà approvato dal Consiglio Comunale. A quel punto potrà essere firmato in via definitiva dai tre soggetti sottoscrittori e il complesso del Castello Carrarese passerà al Comune, dopo un percorso durato circa 20 anni. Il percorso che porterà al trasferimento al Comune si concluderà entra questa primavera. Gli obiettivi generali dell’accordo, obiettivi che si immagina di raggiungere in 11 anni, sono la tutela e la manutenzione futura degli immobili e delle aree trasferite, la garanzia di una utilizzazione e fruizione pubblica del complesso con la realizzazione di attività sociali e culturali compatibili con la tutela del bene immobiliare, anche con la compartecipazione di soggetti privati.

All’interno del complesso, l’ala sud (per capirci quella che da sul canale e Riviera Tiso da Camposampiero) ospiterà la Collezione Bortolussi ricca di oltre 3000 oggetti di design contemporaneo dagli anni 50 agli anni 90. Nell’ala est, quella verso Piazza Castello troveranno posto anche sezioni speciali dedicate a artisti padovani di fama internazionale, come Gastone Rinaldi, Compasso d’Oro per il design nel 1954 con la sedia in ferro lamiera e gommapiuma DU30, Gaetano Pesce scultore, designer e architetto, Alberto Biasi, tra i fondatori del Gruppo N, e il fuoriclasse delle opere a smalto a fuoco su metallo Paolo De Poli. Qui troveranno posto anche le opere dei maestri della Scuola Orafa Padovana. I lavori, completamente finanziati, sono in corso. Sempre a sud tra il corpo principale del castello e la cinta muraria del carcere, è stato abbattuto l’edificio, realizzato negli anni 50, della lavanderia, al suo posto si potrà godere di un grande prato, mentre nell’edificio successivo, in direzione ovest, verso la Specola, saranno realizzate caffetteria e ristorante. La chiesa che oggi custodisce accuratamente imballati gli oggetti della Collezione Bortolussi, diventerà invece un magnifico auditorium. Nell’ala nord il piano terra sarà dedicato al 300 padovano, mentre il primo e il secondo piano diventeranno spazi per esposizioni non permanenti dedicate al design e all’arte contemporanea. Il cortile centrale, una volta sistemato, ospiterà manifestazioni all’aperto, prevalentemente estive.

L’impegno economico è significativo, se pensiamo che in passato sono già stati investiti circa 15 milioni di euro mesi a disposizione da Comune, Mibact e Fondazione Cassa di Risparmio L’investimento per l’attuale fase di lavori è di circa 5,4 milioni per l’ala sud, già impegnati per i lavori in corso, circa 5,1 milioni per l’ala est (qui bisogna reperire ancora 2 milioni di euro) e 7 milioni per la nord (questi ancora da trovare). Il progetto, una volta completato restituirà alla città uno dei suoi gioielli e diventerà un polo culturale di livello nazionale in grado di attrarre migliaia di visitatori.

 

Erosione, il mare restituisce un altro bunker tedesco
Da ilmessaggero.it del 26 febbraio 2021

LA STORIA
«Non avevo mai visto una cosa simile su questo tratto di lungomare». Ieri mattina un podista di Terracina, abituale frequentatore del lungomare per le sue attività sportive, ha fatto un balzo indietro nel tempo di quasi 80 anni: il lavoro di erosione della costa, ad opera del mare, ha riportato alla luce un bunker tobruk della Seconda Guerra Mondiale, un manufatto in cemento che faceva parte della parte più esposta della linea difensiva della costa realizzato con tutta probabilità dall'esercito tedesco. La fortificazione, che quasi certamente faceva parte di una costruzione più complessa forse in parte ancora oggi celata dalla sabbia, è riemersa dopo le mareggiate delle scorse settimane che negli ultimi giorni hanno completato la scoperta della struttura. «Inizialmente pensavo che si trattasse un manufatto scaraventato sulla riva dal mare o, ancora peggio, scaricato da qualcuno poi però mi sono avvicinato e ho compreso meglio di cosa si trattasse» ha continuato a raccontare il podista. La struttura in cemento è visibile nei pressi del grattacielo hotel Torre del Sole, vicino a quella che i terracinesi chiamano «traversa ventiquattresima».

APPARIZIONI E SPARIZIONI

Nel corso degli anni e dei decenni, anche seguendo l'andamento delle linee di costa, questo tipo di costruzioni riemergono o vengono sommerse dalla sabbia: capita di vederle per molti anni, salvo poi vederle sparire sepolte da sabbia e detriti nascondendole così alla vista di tutti.

LA CASAMATTA DI SABAUDIA

I ritrovamenti si sono susseguiti in questo periodo e, nelle scorse settimane, era stata la costa di Sabaudia a restituire altri bunker degli anni Quaranta, l'ultimo è quello della Bufalara che vedete nella seconda foto in basso dotato anche della struttura di supporto al bunker. Anche a Sabaudia nel corso degli anni i bunker sono emersi seguendo anche qui l'erosione della costa. In passato era visibile anche una sorta di molo semidistrutto con le strutture metalliche verticali visibili a pelo d'acqua. Le postazioni tobruk ospitavano un paio di soldati, armati solitamente di mitragliatrice, qualche volta anche di un mortaio, anche se in altri casi le postazioni erano anche più rudimentali e consistevano in un bidone metallico riadattato a scudo con il supporto per l'armamento.
Giuseppe Baratta

 

Forti e fragilissime sentinelle sul mare
Da quotidianodipuglia.it del 26 febbraio 2021

Di Alessandra Lupo

Finibus terrae oppure prima terra ferma? Quando capovolgiamo il punto di vista è possibile rintracciare quella storia antica del Salento come terra di approdo per pirati e invasori. Di quei tempi di scontri e battaglie abbiamo ancora sotto i nostri occhi tante testimonianze: sono le torri costiere disseminate lungo l'intero perimetro della penisola, a ricordarci che il nemico veniva dal mare e che la presa di Otranto da parte dell'esercito ottomano del 1480 non fu che l'inizio. Gli attacchi dei pirati (barbari e corsari) si concentrarono soprattutto dal 1500 al 1571, cioè in quell'intervallo di tempo che va dall'espansionismo turco nel Mediterraneo dopo la caduta di Costantinopoli alla sconfitta degli Ottomani nella battaglia di Lepanto.

Le torri costiere si abbarbicano infatti lungo l'intero perimetro della penisola e come denti di pescecane si affacciano sul mare per scrutare i pericoli e difendere la terra dalle incursioni. Eretto su ordine del viceré Don Pietro di Toledo, intorno agli anni '30 del 1500, il sistema fortificato di difesa e avvistamento si snoda in una lunga serpentina che va da Otranto a Leuca, sino ai litorali più bassi e sabbiosi del neretino e ugentini, dagli Alimini a San Cataldo. Furono proprio queste architetture - solide ed essenziali, oggi erose da vento e salsedine - a porre un freno alle scorribande pressoché continue sulla costa, attraverso una complessa rete di difesa e allarme, che riusciva a trasmettersi sino alle fortificazioni dell'entroterra. Sulle torri costiere salentine esiste ovviamente una ricca letteratura storica, anche attraverso le mappe d'epoca. Ma a svecchiare la fruizione di questo impareggiabile patrimonio ci ha pensato un giovane di Castro, Francesco Pio Fersini. Studi all'estero e passione per il territorio ereditata dal nonno, Vittorio Fersini, storica guida speleologica alla grotta Zinzulusa. Il 24enne, una volta tornato nel Salento, ha avuto l'idea: creare un sito internet monotematico sulle torri (torricostieredelsalento.com), che fornisce informazioni, contenuti multimediali e curiosità sull'argomento.

Francesco, da dove nasce l'idea delle torri?

«Durante le mie esplorazioni del territorio mi sono reso conto che, nella maggior parte dei paesaggi scenografici della costa sono presenti le torri costiere, più o meno diroccate. Su tutta la costa si ergono come sentinelle silenziose e spesso mi trovavo a meditare su quante storie avessero da raccontare. Il loro fascino antico e la drammaticità con cui si ergono solitarie a picco sul mare mi ha folgorato».

Quante sono le torri lungo la costa salentina?

«Sono 57, comprese quelle ormai scomparse. Quando ho iniziato ad approfondire l'argomento ho scoperto ad esempio che anche nella mia Castro Marina esiste un rudere, quello di Torre Diso, sconosciuto quasi a chiunque perché in proprietà privata e nascosto da folta vegetazione. Oltre ad aver sollecitato chi di competenza ad agire per salvare ciò che ne rimane, ho capito che per valorizzare le torri occorre anzitutto conoscerle e farle conoscere». e torri hanno da sempre affascinato gli studiosi di  paesaggio e gli storici.

Sul suo sito cosa c'è di più?

«Le informazioni online sono spesso frammentarie, per questo ho voluto creare una piattaforma sempre aggiornata e onnicomprensiva che possa diventare il punto di riferimento. Ci tenevo per ciascuna torre a soffermarmi sull'aspetto storico, architettonico e paesaggistico, includendo anche contenuti multimediali e foto storiche che ci permettono di capire la loro trasformazione».

Qual è lo stato di questa rete protettiva oggi?

«In alcuni casi le torri sono state restaurate ed è interessantissimo vedere il cambiamento. In altri casi purtroppo si sono verificati dei crolli per via dell'abbandono e del disinteresse. Nelle foto d'epoca, per esempio, si vede com'era Torre Pali solo una manciata di anni fa. Sono molte le torri che necessitano di un intervento urgente, come Torre del Sasso, torre Fiumicelli, torre del Ricco, torre Marchiello, torre Porto di Novaglie e la stessa Torre Diso. Alcune rischiano di scomparire definitivamente. Anche se in ogni luogo tantissimi cittadini si sono mossi a tutela di questi monumenti: una parte fondamentale del patrimonio architettonico e culturale che abbiamo ereditato ed è compito di ognuno di noi tutelarlo affinché si possa conservare per le generazioni future».

Crede che dalla sua operazione possa nascere una maggiore consapevolezza?

«I beni culturali come lo sono le torri costiere, creano coesione sociale perché tengono viva la memoria collettiva della nostra comunità, unita da un comune passato pieno di difficoltà, ma che guarda al futuro con speranza. L'auspicio è quello di generare un rinnovato interesse affinché si possano salvare le strutture a rischio e salvaguardare tutte le torri. Il mio sito nasce proprio da questa idea a scopo puramente culturale, di rendere fruibili determinate nozioni che altrimenti sarebbero difficili da consultare se non grazie ad alcuni libri. L'obiettivo è quello di dare dignità alle torri costiere e di diffondere nei visitatori, locali e non, la consapevolezza di questa eredità sommersa, quasi dimenticata. È una sfida contro l'indifferenza, il disinteresse e l'abbandono. Con le opportune attenzioni, le torri costiere potranno essere salvate dall'azione distruttiva del tempo, per continuare a raccontare la storia di un territorio che hanno visto trasformarsi e, chi lo sa, magari tornare in una forma nuova a vigilare sul suo sviluppo».

 

Turchia risolve controversia sull’S-400 con gli Stati Uniti
Da ilfarosulmondo.it del 25 febbraio 2021

La proposta della Turchia di non attivare completamente il suo controverso sistema missilistico russo S-400 offre un ramo d’ulivo alla nuova amministrazione statunitense per avviare negoziati sulla questione che ha gravemente teso i legami bilaterali. Il ministro della Difesa, Hulusi Akar, ha dichiarato in un’intervista a un quotidiano turco che il suo Paese è aperto a un accordo simile a quello con la Grecia, un altro membro della Nato, che è stato concluso dopo aver acquistato gli S-300 – una generazione più vecchia del sistema di difesa russo – nel 1997. “Non c’è nessuna decisione per gli S-400S, i missili potrebbero essere schierati solo se sotto minaccia”, ha aggiunto il ministro. L’acquisto da parte della Turchia del sistema S-400 è stato uno dei temi chiave che hanno offuscato le relazioni tra Turchia e Stati Uniti, portando all’imposizione delle sanzioni americane.

Akar ha ribadito l’appello di Ankara per colloqui con gli Stati Uniti sugli S-400 russi, che è stato finora ignorato dall’amministrazione del nuovo presidente americano Joe Biden

“Abbiamo detto che i negoziati potrebbero essere tenuti sotto l’ombrello della Nato. Anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, si è detto positivo sulla questione”, ha dichiarato il ministro turco. 

Washington afferma che il sistema S-400 potrebbe essere usato da Mosca in segreto e acquisire informazioni riservate sugli armamenti americani e della Nato, ponendo un serio rischio per l’alleanza.

Gli Stati Uniti affermano che l’approvvigionamento della Turchia fornisce anche fondi sostanziali al settore della difesa russo e gli S-400 sono incompatibili con i sistemi Nato. 

La Turchia, tuttavia, insiste sul fatto che non sta pianificando di integrare gli S-400 nei suoi armamenti Nato e le armi non rappresenterebbero una minaccia per i sistemi americani o per l’alleanza.

 

Nuova fase del programma francese SATCOM Syracuse IV
Da aresdifesa.it del 24 febbraio 2021

Di Aurelio Giansiracusa

Il Ministero Francese delle Forze Armate ha rinnovato la fiducia a Thales selezionandola come contraente principale per lo sviluppo e lo spiegamento del segmento di terra per l’espansione della capacità del sistema di comunicazione satellitare Syracuse IV.

Infatti, Thales è stata selezionata dalla DGA o Direzione Generale degli Armamenti, l’agenzia francese per gli appalti pubblici nel settore della Difesa, per guidare lo sviluppi di una seconda parte del segmento terrestre del sistema di comunicazione satellitare Syracuse IV per le Forze Armate Francesi.

Thales era stata selezionata dalla DGA per fornire i satelliti nel 2015 e per guidare il primo incremento del segmento terrestre nel 2019. Questo secondo incremento di capacità migliorerà le capacità di comunicazione interoperabili dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica FrancesI in termini di velocità dei dati, disponibilità, resistenza alle minacce e connettività end-to-end, fornendo quasi 200 terminali terrestri modernizzati ((hub di teatro, stazioni tattiche dispiegabili, stazioni individuali, stazioni d’oltremare, stazioni navali di bordo), nell’ambito di un accordo quadro del valore di 354 milioni di euro.

 

 

 

 

Grazie all’uso dell’esclusiva tecnologia anti-jam Modem 21 standard NATO  di Thales, le Forze Armate Francesi beneficeranno di un aumento dei tassi di dati e dell’ottimizzazione per garantire la sovranità e la superiorità dell’informazione, indipendentemente dalla loro posizione.

Il programma punta ad aumentare di dieci volte le capacità di comunicazione sicure dei veicoli da combattimento in movimento, delle navi di superficie, dei sottomarini e ora anche degli aerei. La tecnologia Thales garantisce comunicazioni in roaming sia in banda X che ka e sfrutta appieno il potenziale multi-spot della tecnologia High Throughput Satellite (HTS).

Tutti i terminali terrestri del sistema potranno utilizzare al meglio la costellazione Syracuse IV. La loro piena interconnessione attraverso nuovi terminali di attracco consentirà un notevole aumento della velocità dei dati garantendo una cooperazione congiunta nei teatri di attività e con i centri di comando.

Saranno inoltre compatibili con risorse satellitari di terze parti, a seconda dell’area di distribuzione, senza compromettere la sicurezza delle comunicazioni.

Il ruolo di Thales Alenia Space

Il ruolo di Thales Alenia Space in questo contratto includerà la gestione delle missione per la costellazione Syracuse IV e la gestione delle capacità di ancoraggio dell’operatore, delle reti infrastrutturali congiunte e dell’agenzia per i sistemi informativi (DIRISI) del Ministero della Difesa francese.

Thales Alenia Space è anche lead contractor per il contratto notificato dalla DGA a fine 2015 per la fornitura del segmento spaziale costituito dai satelliti Syracuse 4A e 4B e dal loro segmento di terra di controllo e missione.

Il compito di Airbus

Ad Airbus la DGA ha notificato l’accordo quadro del valore di 117 milioni di euro che punta a sviluppare un nuovo portale centrale di gestione per i vari sistemi di comunicazione satellitare utilizzati dalle Forze Armate Francesi. Tale portale, orchestrando le richieste provenienti da uno staff o da qualsiasi unità dispiegata a terra, in mare o in aria, consentirà un’assegnazione ottimizzata delle risorse disponibili sui satelliti militari e commerciali gestiti dalle Forze Armate, tenendo conto dei criteri operativi forniti dalle unità, come il tipo di terminali utilizzati, la copertura del suolo, il livello di sicurezza informatica, la resistenza alle interferenze.

Il contratto prevede anche una maggiore operatività e sicurezza del sistema Comcept, la rete di comunicazione multi-satellite commissionata nelle Forze Armate Francesi nel 2017 e il proseguimento del suo dispiegamento, in particolare sulle navi militari.

Le prime stazioni di questi contratti saranno consegnate a partire dalla fine del 2022.

Il programma Syracuse IV

Syracuse è una serie di satelliti di telecomunicazione protetti progettati per garantire che le Forze Armate Francesi possano comunicare in ogni momento tra la Francia continentale e le unità dispiegate in tutto il mondo. Il programma Syracuse fornisce una soluzione completamente indipendente ai requisiti di ampia portata della Francia per capacità di comunicazione sicure e a lungo raggio protette dalle minacce di guerra elettronica.

Tre generazioni di satelliti Syracuse sono stati dispiegati tra il 1984 e il 2015. Il programma Syracuse IV sostituirà i satelliti Syracuse 3A e Syracuse 3B attualmente in orbita, fornendo al contempo una rete ampliata e potenziata di stazioni terrestri.

Una costellazione di due satelliti è stata ordinata nell’ambito della prima fase del programma Syracuse IV. Saranno costruiti da Thales Alenia Space e Airbus Defence and Space con il primo di questi satelliti che entrerà in servizio nel 2022.

Fonti Thales Group e DGA

Immagini Thales Group e Airbus Defence and Space

 

Destinazioni d’uso dell’Arsenale e dell’area di Forte Santa Caterina
Da verona-in.it del 23 febbraio 2021

Da considerare un percorso culturale che colleghi il Museo degli affreschi, quello Lapidario Maffeiano, la Gran Guardia, Castelvecchio e l’ex caserma austriaca.

By Giorgio Massignan

Finalmente, dopo decenni di abbandono, si sta intervenendo per ristrutturare l’Arsenale austriaco. Ma, da quanto si evince dalle proposte della pubblica Amministrazione, non sembra che sia stata colta nel modo migliore l’opportunità di utilizzare il grande e storico spazio coperto e scoperto nel centro di Verona e collegato al Museo di Castelvecchio dal ponte scaligero.

Dopo la demolizione degli edifici non coevi alla struttura militare asburgica, si procederà con la bonifica ambientale e la ristrutturazione degli edifici storici, la cui destinazione d’uso dovrebbe essere: a) nella palazzina di comando, le biblioteche museali pubbliche, oltre ad attività culturali collegate con il Museo di Castelvecchio; b) negli edifici della corte centrale, i servizi e le funzioni per i giovani, per l’innovazione, la tecnologia, l’arte, la creatività, la sostenibilità, e l’ambiente; oltre ad ospitare eventi, soprattutto quelli artistici degli studenti dell’Accademia; c) in quelli della corte ovest, l’Accademia di Belle Arti, che si trasferirà dall’attuale sede; d) la corte est ospiterà il mercato urbano, ispirato al modello del Mercato Albinelli a Modena, dove vengono venduti i prodotti alimentari di qualità legati al territorio; e) la palazzina antistante sarà destinata ad ospitare eventi.

Da quanto proposto, ho l’impressione che non si sia considerato l’Arsenale, vista anche la vicinanza al Museo di Castelvecchio, come un elemento fondamentale per la realizzazione di un percorso culturale e/o museale che, iniziando dalla Tomba di Giulietta, con il Museo degli affreschi, prosegua: 1) con la Gran Guardia, quale sede congressuale e di esposizioni estemporanee; 2) con il Museo lapidario Maffeiano in piazza Bra; 3) con il Museo di Castelvecchio, ampliato anche degli spazi ora occupati dal Circolo ufficiali; 4) per concludersi all’Arsenale, dove potrebbero essere collocati i Magazzini della Cultura che, proprio in questi giorni i nostri amministratori ci hanno fatto sapere di voler realizzare in un’area naturalisticamente e storicamente molto importante, come quella di Forte Santa Caterina al Pestrino, sulle rive dell’Adige e vicina al Parco fluviale.

L’ipotesi di costruire una serie di edifici a forma di L, di cui uno alto 9 metri, su una superficie di 16.000 mq, proprio di fronte al forte austriaco, per poter mostrare, a rotazione, il patrimonio artistico chiuso nei depositi dei musei cittadini, non ha senso. Non comprendo con quale logica si possa decidere di portare le opere d’arte da esporre in una zona come quella del Pestrino, lontana da tutte le sedi museali e culturali, in un’area di difficile accesso e con una viabilità insufficiente.

Certe scelte andrebbero fatte dopo un’attenta valutazione urbanistica. Per questo, a mio modesto avvisto, gli spazi dell’Arsenale, collegati al Museo di Castelvecchio, sarebbero ideali per ospitare i Magazzini della Cultura e completare così il percorso museale della nostra città. Mentre la zona del Forte Santa Caterina al Pestrino andrebbe ripulita da tutti gli edifici militari più recenti e valorizzata per i suoi aspetti storici e naturalistici.

 

Augusta, il Museo della Piazzaforte “in linea” con il primo forum internazionale su pace e sicurezza
Da lagazzettaaugustana.it del 22 febbraio 2021

Nella foto di repertorio in copertina: la visita del gen. div. Scardino al Museo della Piazzaforte di Augusta, lo scorso ottobre

AUGUSTA – Il Museo della Piazzaforte di Augusta al “Primo Forum internazionale pace, sicurezza, prosperità” organizzato dallo Stato Maggiore della Difesa e il Comando Militare Esercito in Sicilia, tenutosi in videoconferenza il 18 e 19 febbraio scorsi, con l’impegno di italiani e canadesi insieme nell’intento di preservare la memoria dei Caduti di tutte le parti in conflitto durante l’Operazione “Husky” del luglio 1943,

Di particolare rilievo la partecipazione dell’istituto museale augustano, per il tramite del suo direttore avv. Antonello Forestiere, espressamente invitato assieme ad altri esperti e cultori di storia collegati dall’Italia e da dodici Paesi stranieri per seguire i lavori, tra i complessivi ottocento partecipanti.

L’evento di alto valore scientifico, nel quale è intervenuto il gen. div. Maurizio Angelo Scardino (comandante militare Esercito Sicilia), ha visto relazionare esperti internazionali e giovani delle scuole militari di Italia (con due allievi 2ª cl. dell’Accademia navale di Livorno e due s. ten. del Comando per la formazione e Scuola di applicazione dell’Esercito di Torino) e Canada.

Attraverso la videoconferenza internazionale, le autorità militari promotrici hanno inteso rinnovare nelle giovani generazioni il significato del sacrificio dei Caduti nella Battaglia di Sicilia, e di infondere i valori di pace, sicurezza e prosperità. Tema dell’incontro è stato infatti: “Governance post-conflitto: dalla Seconda guerra mondiale al XXI secolo. Lezioni apprese (e riproposte)”. Il coinvolgimento della Sicilia è stato significativo, specie nel settore scolastico con un concorso al quale hanno partecipato numerosi istituti superiori.

 

“Il castello del Belagaio immerso nel degrado, servono interventi urgenti”
Da grossetonotizie.com del 22 febbraio 2021

“Un importante patrimonio naturalistico e paesaggistico della nostra provincia, situato nel cuore della Val di Farma, già riserva naturale della Regione Toscana, sta vivendo un sistematico e progressivo stato di abbandono“.
A dichiararlo è Roberto Tronconi, roccastradino, speleologo e documentarista.

“Il Belagaio, con il suo castello, riserva naturale di popolamento animale nel comune di Roccastrada, un esempio paesaggistico dei più belli e mirabili della nostra provincia, versa in condizioni di progressivo ed inspiegabile disinteressamento ed abbandono – sottolinea Tronconi -. Dopo un pregevole restauro sul finire degli anni ’70, il comprensorio del castello, nella disponibilità della Provincia di Grosseto, era divenuto sede di importanti incontri e convegni ambientali ad ogni livello, promossi sia dalla Provincia stessa che dalla Regione Toscana. Purtroppo, attualmente, assistiamo ad un degrado lento, ma progressivo, tanto del patrimonio immobiliare esterno alla cinta muraria che del parco di lecci secolari che lo circonda, che pare irreversibile se nell’immediatezza non vengono effettuati quegli interventi quantomeno necessari alla conservazione dell’esistente“.
“Il bellissimo parco di lecci secolari, orgoglio e vanto degli antichi proprietari, situato nella parte posteriore del castello, è privo di ogni tipo di manutenzione boschiva, tanto che i pendii sono lasciati a se stessi in balia del dilavamento esercitato dalle copiose precipitazioni atmosferiche degli ultimi tempi – continua Tronconi -. Le conseguenze di un colpevole disinteressamento sono inevitabilmente l’asportazione di terriccio, sia alla base degli enormi tronchi che dalle radici stesse dei secolari lecci e già alcuni di essi sono caduti rovinosamente ed irrimediabilmente a terra. Come minimo si ravvisa una mancanza di contenimento dei pendii mediante approntamento di opportune barriere contenitive ed eventuali terrazzamenti e/o muretti a secco ed opportuna regimentazione delle precipitazioni atmosferiche“.
“Il muro del recinto, dove un tempo erano i daini al pascolo, sta letteralmente crollando, senza che nessuno abbia provveduto a tamponare l’emergenza – spiega Tronconi -. Se ci spostiamo nella corte antistante l’accesso al castello con le scale, notiamo che le due dependance situate alla destra (foto in alto, ndr), testimoniano l’irreparabile, dove i tetti sono oramai crollati ed uno è stato puntellato. Il viale dell’ingresso principale (seconda foto in basso, ndr) è in preda all’incuria e all’azione degli agenti atmosferici, erbacce e rovi si sono portati via il sottofondo un tempo ghiaioso ed il muretto laterale è crollato in più punti. Le altre due dependance situate all’esterno (terza foto in basso, ndr) non sono in situazioni migliori delle altre, tetti crollati e vegetazione che le sta portando via“.

 

Recupero compendio Arsenale, per la progettazione contributo ministeriale di oltre 860mila euro
Da primadituttoverona.it del 22 febbraio 2021

Il contributo consente al Comune la totale copertura delle risorse investite per la stesura del progetto definitivo.

Un contributo ministeriale di 866.726 euro in favore delle spese sostenute dall’Amministrazione, per la stesura del progetto di riqualificazione unitaria del compendio asburgico denominato “Ars District”.

Recupero compendio Arsenale

Un importante fondo erogato dal Ministero degli Interni, che fa parte di un più ampio programma di interventi nazionali di supporto economico a progettazioni pubbliche, realizzate da enti locali. Il contributo consente al Comune la totale copertura delle risorse investite per la stesura del progetto definitivo, completato nel 2019, e di quello esecutivo, per la realizzazione del lotto preliminare d’intervento, riguardante la bonifica di tutti gli spazi esterni e la realizzazione del parco. Nel corso del 2020, nonostante l’emergenza sanitaria, l’iter progettuale dell’intero compendio è andato avanti spedito, raggiungendo gli obiettivi prefissati dal cronoprogramma.

Sette lotti

La progettazione definitiva dell’Ars district è stata assegnata allo studio Politecnica di Modena, che ha vinto la gara europea. Al progetto esecutivo di tutto il complesso (7 lotti), che verrà consegnato ad aprile di quest’anno, sta lavorando un pool di professionisti. Durante l’estate 2020 è stata inaugurata la prima porzione di area verde, che andrà a formare il parco pubblico. Si tratta del parco archeologico ricavato sopra il park Arsenale, la cui lavorazione ha portato alla luce una serie di reperti archeologici tra cui i resto di un mulino romano, elementi già visibili al pubblico e che aggiungono ulteriore valore all’area e al suo recupero.

Restauro e messa in sicurezza

Il progetto di recupero del compendio, già operativo nella sua prima fase di intervento, procede su più livelli. Da una parte le demolizioni delle palazzine non vincolate, iniziate lo scorso mese di gennaio, che lasceranno il posto al grande polmone verde che sorgerà sull’area; dall’altra il restauro e la messa in sicurezza delle coperture, che partiranno a breve dopo l’affidamento dei lavori alla ditta appaltatrice. L’assessore alla Pianificazione urbanistica Ilaria Segala ha spiegato:

“Un contributo importante, che copre interamente i costi della fase progettuale dell’otto preliminare d’intervento, in parte già entrato nel vivo delle operazioni. Dello scorso mese l’avvio delle demolizioni sulle palazzine non vincolate, che consentiranno di generare nuovo spazio per la creazione dell’ampia parco urbano previsto all’Arsenale”.

 

Anche due castelli varesini tra le fortezze da scoprire secondo Lombardia Segreta
Da verbanonews.it del 22 febbraio 2021

L'associazione culturale ha selezionato ventiquattro fortezze "da visitare almeno una volta nella vita"

Quali sono i castelli lombardi “da visitare almeno una volta nella vita”?
L’associazione culturale Lombardia Segreta ne ha selezionati 24. Sono solo alcune, tra le tante fortezze presenti nella regione.
Tra le mete suggerite in questo piccolo itinerario tra storia e arte, anche due luoghi della provincia di Varese. Il primo è la Rocca di Angera: il castello sulla riva lombarda del Lago Maggiore è una delle mete più celebri e visitate del circuito turistico di Terre Borromeo, l’insieme dei beni aperti al pubblico appartenenti all’omonima famiglia.

L’altro luogo varesino consigliato da Lombardia Segreta è il Castello di Somma Lombardo.

Qui il “post” pubblicato su Facebook dall’associazione con la selezione completa dei castelli in Lombardia da visitare almeno una volta nella vita.

 

EX CASERMA PRANDINA: INCOMPRENSIBILE E PERICOLOSA LA PRESA DI POSIZIONE DELLA SOPRINTENDENZA
Da padovanews.it del 21 febbraio 2021

Il Soprintendente ai Beni Monumentali Fabrizio Magani, intervenendo in un incontro dell’associazione “Amo Padova”, ha riconosciuto l’esistenza di un importante vincolo culturale su tutta l’area dell’ex caserma Prandina, ma – a suo giudizio – il vincolo non sarebbe incompatibile con una destinazione a parcheggio della stessa. A sostegno della sua presa di posizione cita il caso del parcheggio realizzato a Verona nell’ex Arsenale definito “il più bello della città” (sic)… in realtà (si veda la veduta aerea di Google Maps) uno squallido parcheggio interrato, peraltro esterno al centro storico della città. Una posizione pilatesca quella del nostro Soprintendente, che sembra non tenere affatto conto dell’approfondita relazione storica e culturale predisposta dai suoi predecessori a supporto del vincolo apposto su tutto il complesso immobiliare con Provvedimento del 19 gennaio 2017 della Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale del Veneto in quanto – si afferma – lo stesso fa «parte di un compendio di origine medievale posto in un’area ricompresa tra il perimetro della cinta muraria più antica di età comunale ed i bastioni del sistema fortificato veneziano, area da salvaguardare integralmente in quanto testimonianza rilevante ed irrinunciabile del rapporto morfologico storicamente attestato tra gli insediamenti urbani ed il sistema fortificato…».

La relazione dei suoi predecessori ripercorre le vicende storiche dei due monasteri benedettini ancora presenti nell’area, sottolineandone l’importanza per la storia, la morfologia urbana e l’immagine della città di Padova, e ricorda in particolare che «le origini del monastero di San Benedetto Novello risalgono al 1259, ad opera della comunità maschile del vicinissimo monastero benedettino doppio di San Benedetto “Vecchio” fondato nel 1195 dal beato Giordano, della nobile famiglia dei Transelgardi- Forzatè, quale centro dell’ordine monastico benedettino della città di Padova». Monasteri circondati da corti e broli, giardini, vigneti e orti: una vera e propria “campagna urbana”, parte integrante dei complessi conventuali, che conserva immutate le
proprie caratteristiche e funzioni per circa sei secoli.

E’ per queste ragioni che, come ribadito anche nei numerosi incontri organizzati dal Comitato per il Parco delle Mura e delle Acque e da Agenda 21 locale, l’area dell’ex caserma Prandina non può essere banalmente considerata come uno spazio vuoto da riempire, risultando invece un luogo fortemente caratterizzato dalla propria storia, dalle regole morfologiche che nei secoli ne hanno condizionato le trasformazioni e le relazioni con altre emergenze urbane (il fiume e le riviere, la cinta muraria medioevale prima e cinquecentesca poi, i borghi sorti ad ovest del Tronco Maestro, i complessi monastici…). Un luogo con una propria vocazione, che non può essere cancellata o snaturata (come inevitabilmente avverrebbe se la si volesse destinare a parcheggio), bensì reinterpretata alla luce delle esigenze contemporanee e potenziata con l’inserimento di attività e funzioni appropriate, coerenti con un più generale progetto di rigenerazione ecologica, sociale e paesaggistica di tutto l’organismo urbano.

Sempre Magani afferma di non essere a conoscenza di proposte concrete per l’utilizzo dell’area. Eppure proprio dagli incontri di Agenda 21 sono emerse concrete proposte per un progetto urbano di riqualificazione di tutto il complesso immobiliare e per possibili utilizzi degli edifici tutelati da restaurare. Proposte che sono state tradotte anche in un Masterplan e in precise linee guida per l’indizione di un concorso di progettazione che l’Amministrazione comunale si era impegnata ad indire. Gliene invieremo copia. Pare anche che il Soprintendente abbia detto di non credere che 1.000 posti auto possano cambiare la natura di un luogo. Ci chiediamo cosa serva allora, forse un meteorite? La destinazione d’uso delle aree della ex caserma Prandina gioca un ruolo fondamentale per la tutela del patrimonio culturale e della storia di Padova, ma anche per il suo futuro. La reiterata richiesta di destinarla in forma permanente a megaparcheggio a servizio degli esercizi commerciali del centro non solo appare un oltraggio alla storia dei luoghi ed all’immagine della città, ma farebbe perdere un’occasione eccezionale, forse unica, per assicurare ad una parte consistente degli abitanti del centro e non solo del centro la possibilità di beneficiare di un vero parco urbano, integrato con il progettato Parco delle Mura e delle Acque, che potrà contribuire ad una significativa riduzione dell’inquinamento urbano e delle emissioni climalteranti.

Sergio Lironi, Presidente onorario Legambiente Padova - Sandro Ginestri, Presidente Legambiente Padova

 

Quella prua di nave incastonata tra le montagne a quasi 2.500 metri di altezza
Da cuneodice.it del 20 febbraio 2021

Si tratta di una parte della casermetta difensiva del passo di Collalunga, in alta valle Stura: secondo la leggenda fu costruita in vista di una visita di Benito Mussolini, che però non avvenne mai

Camminando tra le montagne dell’alta valle Stura ci si può imbattere in panorami spettacolari, paesaggi incontaminati, scorci suggestivi, ma anche nella prua di una nave. Proprio così: la prua di una nave incastonata tra le vette, a quasi 2.500 metri sul livello del mare. Si tratta di una parte della casermetta difensiva del passo di Collalunga, nell’omonimo vallone nel Comune di Vinadio, che all’epoca della seconda guerra mondiale era in grado di ospitare fino a sessanta uomini. Il muro di sostegno del piazzale davanti alla fortificazione, che guarda verso il vallone, da decenni ruba l’occhio degli escursionisti per la sua particolare forma, che lo rende molto simile alla punta di un’imbarcazione. A ottant’anni dal conflitto oltre metà della casermetta risulta crollata: i trattati di pace di Parigi, firmati nel 1947 dalle forze Alleate e da quelle dell’Asse, imposero all’Italia la distruzione del sistema di fortificazioni ed installazioni militari permanenti lungo la frontiera e dei relativi armamenti. Tutte le strutture entro i venti chilometri dal confine furono così completamente o parzialmente demolite, ma la prua della nave nel vallone di Collalunga ha resistito alle intemperie, agli eventi bellici e ai segni del tempo, restando ben visibile ancora oggi insieme alle effigi della Taurinense.
La struttura fu costruita poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, secondo la leggenda in vista di una visita di Benito Mussolini, che avrebbe dovuto raggiungere la valle Stura per controllare di persona l’avanzamento delle fortificazioni montane e dello sbarramento dei collegamenti con la Francia. Per questa occasione si era così scelto un luogo scenografico, adatto per un evento dal grande significato propagandistico: un vero e proprio “set cinematografico” pensato per esaltare allo stesso tempo la maestosità delle montagne e la grandiosità del complesso di fortificazioni. La scelta era caduta su un vallone laterale dell’alta valle Stura, isolato ma facilmente raggiungibile: una valle secondaria, poco conosciuta, che da una parte permettesse di mettere in mostra il potenziale militare dell'Italia fascista, ma che lo avvolgesse in una sorta di mistero, per farne intuire una minacciosa potenza distruttiva che non si voleva rivelare del tutto.

Realizzata con rapidi lavori da parte del Genio militare la fortificazione, con strade, postazioni di artiglieria, casermette e rifugi in caverna, si procedette con la seconda fase del progetto: l’allestimento del “pulpito” dal quale il Duce, durante il suo sopralluogo, avrebbe dovuto arringare le truppe. Si pensò a un’opera unica e maestosa, quella prua di nave che ancora oggi campeggia guardando il vallone. Quel discorso, però, non avvenne mai: Mussolini non salì in valle Stura, e l’unica testimonianza di quella leggenda arrivata fino a noi è proprio quella struttura in pietre e cemento così insolita, che spicca in mezzo ai ruderi, abbandonati dopo la guerra insieme a rotoli di filo spinato incastrati tra le rocce, in cui ci si imbatte di tanto in tanto a quasi ottant’anni dalla fine del conflitto.
Per arrivare a questa singolare fortificazione si parte con l’escursione da San Bernolfo, oltre la località Bagni di Vinadio: oltrepassato il ponte sul torrente Corborant si prende la sterrata verso il Colletto del Laus e si prosegue fino al rifugio De Alexandris- Foches al Laus (1910 m). Questo, spesso chiamato semplicemente Laus, era in epoca bellica il “Ricovero al Lago di San Bernolfo” e ospitava il presidio della 65° batteria posizionata sul rilievo di quota 1996 da cui si dominavano i valloni di Collalunga e della Guercia. Poco sotto il rifugio, lungo la rotabile ex-militare che sale da San Bernolfo, si trovano invece i ruderi del “Ricovero artiglieria al Lago di San Bernolfo” dove venivano immagazzinati i pezzi della batteria. Poco sopra il rifugio, al Colletto del Laus, si trova l’ex-stazione a valle della teleferica che saliva ai laghi di Collalunga. Dal rifugio si raggiunge il lago di San Bernolfo (1913 m), poi si prosegue lungo la militare seguendo i numerosi tornanti che portano al lago di Mezzo (2282 m). Dopo il lago è conveniente abbandonare la militare per il sentiero che porta più rapidamente alla casermetta: al suo fianco si trovano anche i resti della stazione a monte della teleferica che saliva dal lago di San Bernolfo e della stazione a valle del secondo tronco che raggiungeva l’anticima ovest della Testa dell’Autaret.

Andrea Dalmasso

 

Le torri costiere del Salento, nasce il sito internet dedicato al patrimonio culturale e paesaggistico
Da leccenews24.it del 20 febbraio 2021

Nato da un’idea di un giovane di Castro Marina, il sito raccoglie storia, informazioni e contenuti multimediali sulle torri costiere della provincia di Lecce.

Sono dei veri e propri simboli del paesaggio del Salento, visibili anche da lontano. Le torri costiere rappresentano un patrimonio architettonico, storico e culturale di inestimabile valore, anche se spesso questi monumenti, per via del disinteresse generale sono lasciati a se stessi, a patire gli effetti del tempo.
Si chiama torricostieredelsalento.com il sito tutto dedicato ad una parte importante del patrimonio culturale salentino. Ad aver avuto l’idea di raccogliere in un unico sito internet informazioni, contenuti multimediali e curiosità è stato Francesco Pio Fersini, un giovane di 24 anni residente a Castro Marina.
Sono un’impronta forte della storia del territorio le torri che si trovano sulle coste salentine, traccia di articolato sistema difensivo. I tanti secoli di guerre, lotte intestine, invasioni e dominazioni straniere sono testimoniate proprio dalla loro presenza, insieme a castelli, masserie ed edifici fortificati di ogni tipo.
Alle torri costiere era affidata la funzione di avvistamento e di difesa: fu proprio contro la pirateria che furono costruite in antichità. Sempre più torri furono costruite a difesa di porti e di città del Salento, diventando sempre più parte integrante del paesaggio del territorio.
Per sapere di più sulle torri costiere del Salento, non resta che visitare il nuovo sito internet tutto dedicato.

 

"Le fortezze del Lazio meridionale", l'ultima opera dell'artista Luigi Centra
Da agenziacomunica.net del 19 febbraio 2021

Le fortezze del Lazio meridionale è l’ultima opera del poliedrico artista ciociaro Luigi Centra. Un volume composto da 520 pagine arricchite da numerose fotografie, fascicoli illustrativi e tre appendici territoriali, frutto di una lunga e rigorosa ricerca storica dell’Autore. Un testo enciclopedico di facile consultazione che si rivolge non solo agli appassionati di storia locale ma anche ai giovani studenti, che possono avere così a disposizione uno strumento utilissimo per conoscere in maniera più approfondita il territorio in cui vivono sotto ogni aspetto.

Il testo – ha sottolineato l’imprenditrice Luisa Magnante, che ha curato la presentazione – “ha una lettura attenta e ragionata, una duplice funzione, la prima è quella di avere cristallizzato le peculiarità storicoarchitettoniche del nostro prezioso territorio, dove tutto il periodo medievale che emerge è il principale protagonista. La seconda è quella di provare a trasmettere, sensibilizzando le future generazioni, di riappropriarsi delle radici storiche, consci del fatto che solo conoscendo il proprio passato, si possono affrontare le sfide future che un globalismo sempre più ascetico e distopico tende ad affermarsi”.

Il Maestro Luigi Centra è uno dei massimi esponenti italiani di quella corrente artistica che ha rivalutato e reinterpretato nel nostro Paese l’arte “populaire” di matrice americana, di cui è stato in un certo senso un anticipatore, forse inconsapevole. Le sue opere pittoriche sono esposte nei più prestigiosi musei d’arte moderna nazionali e del mondo. Nel suo percorso artistico ha sempre rivolto una particolare attenzione ai temi sociali, con iniziative umanitarie e a sostegno dell’energia pulita, attività spesso patrocinate da organismi internazionali prestigiosi quali ONU, UNESCO ed UNICEF. La sua poliedricità lo ha portato ad esplorare anche altri mondi dell’arte come la poesia, la narrativa ed anche la saggistica come testimonia questa ultima sua fatica letteraria che sta riscuotendo un discreto successo. Ha scritto numerose opere letterarie molte delle quali dedicate alla Sicilia che lui considera la sua seconda patria.

 

Albignasego: pubblicato il bando per la gestione dell'Oasi dell'ex Polveriera
Da padovaoggi.it del 17 febbraio 2021

L’area naturalistica sarà assegnata in gestione ad un’associazione ambientalista per un periodo di trenta mesi, rinnovabile per un altro anno

Il Comune di Albignasego ha pubblicato un bando per la gestione dell’oasi dell’ex polveriera di Carpanedo. L’area naturalistica sarà assegnata in gestione ad un’associazione ambientalista per un periodo di trenta mesi, rinnovabile per un altro anno. L’associazione che si aggiudicherà il bando riceverà un rimborso spese da parte del Comune, per un massimo di diecimila euro annui. Le domande dovranno pervenire in municipio entro il 12 marzo: sono ammessi a partecipare organismi di volontariato, il cui statuto preveda finalità naturalistiche e promozione della cultura ecologica.

Il gestore

Compito del gestore sarà di sorvegliare l’area, garantire l’apertura al pubblico nei mesi da aprile a ottobre e organizzare laboratori didattici. Deve poi realizzare interventi di manutenzione alla recinzione, alla cartellonistica, ai sentieri e alle casette degli uccelli. L’area definita ex polveriera, o più precisamente l’area deposito munizioni di Villa Osti, già di proprietà del ministero della Difesa, è stata utilizzata fino alla fine della Seconda Guerra mondiale ed è rimasta sotto il controllo militare, con una guarnigione a presidio ,fino al momento di definitivo abbandono. L’area è diventata di proprietà comunale nel novembre 2004. Si estende su una superficie di 125 mila metri quadrati ed è occupata in gran parte da bosco e da cinque invasi, scavati per erigere i terrapieni necessari a isolare tra loro i depositi di esplosivo. Le vasche in seguito sono state riempite con l'acqua condotta dal vicino canale Battaglia, popolandosi con gli anni di vegetazione e di animali. Al suo interno, grazie a un finanziamento regionale, il Comune di Albignasego ha restaurato l’ex casa del custode (originariamente l’alloggio del comandante, un edificio a un piano risalente agli anni Trenta) per trasformarla in centro di educazione ambientale.

Valore naturalistico

Per il grande valore naturalistico che rappresenta, è ricompresa nelle aree a valenza paesaggistica della Regione Veneto: il Comune di Albignasego ha istituito la “riserva naturale dell’ex polveriera” con voto unanime del Consiglio comunale nell’aprile del 2016. «L’oasi dell’ex polveriera è un gioiello del nostro territorio» commenta il sindaco Filippo Giacinti, «un’area unica e pregevole, per il suo grande valore ambientale e la ricchezza di specie arboree e faunistiche da cui è popolata. Grazie a questo bando potremo renderla costantemente visitabile, compatibilmente con i periodi in cui è necessario osservare il rispetto della quiete per non disturbare la nidificazione dell’avifauna».

 

Atti di vandalismo nei bunker di Opicina
Da triestecafe.it del 17 febbraio 2021

Sono state lordate le pareti di uno dei bunker di Opicina. I bunker di Opicina, come spiega Discover Trieste, facevano parte del sistema difensivo del litorale adriatico tra il 1943 e il 1945 e furono coinvolti nei combattimenti durante l'inizio dell'occupazione.

Dei luoghi pieni di storia quindi, che è necessario rispettare, nei giorni scorsi però la fortificazione è stata insozzata da una scritta che riporta una data e poco sotto una svastica (tra l’altro disegnata al contrario ndr).

 Gli autori del gesto sono ignoti.

 

Palmanovissima': 2 milioni di euro per rilanciare i bastioni UNESCO e le Lunette napoleoniche
Da telefriuli.it del 15 febbraio 2021

Fondo dal Ministero per i beni culturali per la valorizzazione delle mura. Martines: “Cambiamo volto alla città Fortezza. Completiamo il percorso turistico di visita” . Cassanelli: “Il MiBACT sostiene il rilancio di Palmanova”

Con la firma posta in calce all’accordo di collaborazione amministrativa tra Comune di Palmanova e Segretariato Regionale del MiBACT - Ministero per i beni e le attività culturali e per turismo - per il Friuli Venezia Giulia, il Sindaco Francesco Martines e il Segretario Regionale Roberto Cassanelli hanno voluto dare un’accelerazione alla realizzazione dei lavori utili a mettere in sicurezza e valorizzare le mura UNESCO della città di Palmanova.

Due i lotti d’intervento oggetto dell’accordo per un valore complessivo di 2 milioni di euro, messi a disposizione dal Ministero per i beni culturali. Il Segretariato regionale – che rappresenta il Ministero in regione – ha valutato e accolto la proposta avanzata dal Comune di investire la somma per il restauro e l'illuminazione della Lunetta di Baluardo Donato e delle relative gallerie sotterranee, la messa in sicurezza della Lunetta Napoleonica Barbaro con consolidamento della struttura (valore delle opere 1,1 milioni di euro) e un intervento di restauro conservativo, consolidamento e valorizzazione della cinta fortificata attorno al Baluardo Donato (investimento da 900.000 euro).

I due enti hanno integrato il precedente accordo del 2018 per gestire al meglio la ripartizione delle reciproche attività e competenze, prevedendo che vada in capo al Comune di Palmanova la funzione di stazione appaltante, procedendo con le attività di progettazione e realizzazione delle opere. Il Segretariato Regionale MiBACT FVG svolgerà il ruolo di committente degli interventi, garantendo anche i corretti flussi informativi e il monitoraggio degli interventi. Anche la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio FVG sarà coinvolta per la supervisione degli interventi e parteciperà al Comitato Tecnico.
Il Sindaco della città stellata Francesco Martines: “In questo modo completiamo il percorso di visita tra Porta Cividale e Udine, attorno alle gallerie di contromina. Questi nuovi interventi, assieme al nuovo centro visite multimediale all’ex caserma Filzi e al punto panoramico dalla torre piezometrica, si affiancheranno alle gallerie di contromina del rivellino, alla sortita e alle logge di Bastione Donato già visitabili, il tutto a due passi dalla nuova stazione delle corriere negli spazi dell’ex caserma Ederle. È un progetto ambizioso ma che, giorno dopo giorno, sta prendendo forma e che darà ai turisti la possibilità di conoscere al meglio Palmanova”.
Il Segretario regionale Roberto Cassanelli: “L'accordo consentirà di migliorare le tempistiche di realizzazione degli interventi, snellendo le procedure e le modalità di collaborazione fra gli enti coinvolti, nel rispetto del ruolo di ciascuno. L'obiettivo comune è di investire al meglio le risorse finanziarie messe a disposizione dal Ministero per Palmanova, che nel complesso ammontano a 8 milioni di euro, per non perdere nessuna occasione d’investimento, soprattutto in considerazione del periodo difficile che il Paese sta affrontando e per il ruolo che il turismo culturale giocherà nella ripresa post-emergenza”.

“Un serrato cronoprogramma per realizzare in tempi brevi e certi, quanto necessario per mettere in sicurezza e valorizzare le mura UNESCO della città di Palmanova. Questo accordo permette di proseguire il complesso iter dei lavori sui Bastioni. Sono già in cantiere interventi per oltre 10 milioni di euro per salvare e cambiare volto alla città Fortezza di Palmanova”, aggiunge il Sindaco.
Con il Protocollo d'intesa del 2016 tra Comune, MiBACT e Regione FVG sono stati assicurati finanziamenti pluriennali dedicati ai bastioni per 5 milioni di euro (3 dal Ministero e 2 dalla Regione); successivamente il Ministero con un secondo finanziamento di tre milioni di euro, legato ai Grandi Progetti Beni Culturali, ha permesso di intervenire ulteriormente sulla cinta muraria e le sue strutture, includendo il ripristino della torre piezometrica per poter apprezzare dall'alto il complesso fortificato. A ciò si aggiungono i due milioni su cui si base l'attuale protocollo.
Nel 2018 è stato firmato un accordo di collaborazione per la gestione degli interventi con l’obiettivo di accelerare il complesso iter necessario a realizzare quegli interventi immediati e improrogabili allo scopo di impedire un’ulteriore progressione delle situazioni di degrado.

 

Tra bunker e gallerie della Guerra fredda: così si difendeva il confine orientale
Da messaggeroveneto.it del 15 febbraio 2021

La ricerca di due architetti friulani sulle costruzioni militari. In Fvg interessati 102 chilometri quadrati di territorio

Costruire ai tempi della Guerra fredda, di Roberto Petruzzi e Livio Petriccione è il volume edito da Forum che sarà presentato oggi, lunedì, 21 sulla pagina Fb di Daniele Puntel in collaborazione con Circolo Nuovi Orizzonti Arci Udine Rizzi, il gruppo Indemoniâs di mont! e Forum. Dopo un'introduzione storica di Tommaso Piffer, Puntel dialogherà con gli autori Petruzzi e Petriccione. Ecco la presentazione del volume da parte degli stessi autori.

Questo libro affronta le tematiche architettoniche e costruttive delle fortificazioni militari realizzate durante la cosiddetta “guerra fredda”, concepite come un sistema “diffuso e continuo” di strutture difensive che ha fortemente connotato il contesto territorialepaesaggistico del Friuli Venezia Giulia. Nel nostro paese il Demanio militare impegna circa 783 chilometri quadrati di territorio.

Le regioni più interessate da questo fenomeno sono la Sardegna e il Friuli Venezia Giulia, infatti: «in Friuli Venezia Giulia ci sono 102 chilometri quadrati destinati ad attività militari, pari a più di due volte e mezza la superficie della città di Pordenone». I paesaggi della guerra fredda rappresentano l’esito finale di una stratificazione di opere militari leggibili diacronicamente in funzione dagli eventi storici che, di volta in volta, hanno modificato il confine orientale italiano; opere funzionali alle diverse strategie belliche messe in atto: nel primo conflitto mondiale la “guerra d’attacco e di posizione”, nel secondo conflitto mondiale la “guerra di movimento” e infine la “guerra totale”.
Più recentemente, nella “guerra fredda”, la rete di fortificazioni si adeguò ai mezzi corazzati e agli armamenti attuali, che prevedevano anche l’utilizzo di armi nucleari logistiche. Da qualunque punto di vista lo si osservi, un territorio è caratterizzato dal suo confine, linea che lo definisce, racchiudendolo nel suo contorno e separandolo così dal “tutto”, dallo “sfondo”, oggettivando i processi di territorializzazione che trovano corrispondenza nelle diverse culture. Territorializzazione che in ogni istante del suo processo rende intelligibile una distinta rappresentazione del paesaggio naturale o antropizzato, dando origine a quella stratificazione di significati che può essere letta dall’uomo che lo abita come figurazione delle proprie aspirazioni, finalità o aspettative.
La ricerca promuove anche una riflessione sul patrimonio di tali opere nella prospettiva di un loro recupero e riuso, affronta le complesse problematiche tecnico-architettoniche, gli strumenti, le componenti materiche e le tecnologie utilizzabili per una rilettura in chiave contemporanea dei bunker, che non potrà prescindere dalla considerazione del loro ruolo storico, territoriale, semantico e identitario.
Emerge che tali manufatti hanno in sé una fortissima, ineudibile carica evocativa. Intervenire su di essi significa quindi in ogni caso dialogare con la storia e con la memoria individuale e collettiva. Sono queste infatti “architetture parlanti” e il loro recupero significa innanzitutto trovare la maniera di ascoltare in modo attento e rispettoso la loro voce.
«Ora i percorsi di mountain bike serpeggiano infatti fra i vecchi bunker, e i parapendio di giovani italiani, sloveni e tedeschi si librano leggeri sopra i resti di quelle trincee e di quelle feritoie da cui, nascosti e diffidenti, per lunghi anni, altri giovani si erano nel migliore dei casi spiati».

 

Forte Marghera, col grande restauro terrazze verdi, caffetteria e ascensore
Da nuovavenezia.it del 15 febbraio 2021

A Mestre le due strutture simbolo diventeranno sale espositive per la Fondazione Musei civici che si aggiunge alla Biennale

Di Mitia Chiarin

VENEZIA. Ci pensa lo stesso primo cittadino di Venezia dal suo account social a mostrare quale sarà l’effetto finale dei lavori di restauro dei pezzi “nobili” di Forte Marghera, le due grandi casermette francesi che fanno da quinta naturale all’affaccio alla Baia dell’area pubblica verso il canal Salso e la laguna.

Vale 5,2 milioni di euro l’ultimo progetto approvato dalla giunta comunale per i restauri e i recuperi dei padiglioni del forte, gioiello del campo trincerato di Mestre, e sempre più votato ad un recupero come polo culturale e del divertimento della terraferma.

«Riconsegniamo alla città un altro pezzo di storia», spiega Luigi Brugnaro. Le casermette sono infatti gli edifici più pregiati del forte: realizzate a “prova di bomba” dai francesi hanno una pianta rettangolare di 83.80 metri per 15. «Un progetto per il consolidamento e il recupero delle strutture da destinare ad uso espositivo e museale, ma anche per la realizzazione di nuovi servizi, come una caffetteria o punto ristoro, una zona accoglienza, servizi igienici dedicati, e dotazioni impiantistiche in modo da garantire un utilizzo continuativo per tutto l'anno».

Le immagini al computer della trasformazione aiutano a capire.
«L’intervento sulla Casermetta Est, corrispondente all’edificio 9, conserverà l’assetto originario. Si eseguiranno prevalentemente opere e lavori di messa in sicurezza, consolidamento strutturale sovrastrutturale senza introdurre riforme e modifiche dell’assetto morfologico», annuncia il sindaco.

«Per la casermetta ad Ovest, edificio numero 8, visto lo stato delle strutture fortemente danneggiate, si procederà al ripristino della copertura piana praticabile per recuperare la terrazza originale: per rispondere ai requisiti di accessibilità e di sicurezza d’uso (esodo in caso di emergenza), anche per via dell’estensione della terrazza, sono state individuati due collegamenti verticali: scale a rampa e ascensore disabili».

Nelle due strutture, una volta completate e riaperte al pubblico (oggi sono talmente degradate da risultare inaccessibili anche per motivi di sicurezza pubblica) si andranno a realizzare mostre e, come ha precisato anche l’assessore ai Lavori pubblici Francesca Zaccariotto il progetto di recupero apre la strada allo sbarco in pianta stabile delle mostre della Fondazione Musei civici che realizzerà eventi tra il centro culturale Candiani e Forte Marghera, a due passi da San Giuliano.

E il sindaco stesso conferma anche l’interesse della Biennale, che da anni ha qui un padiglione per i propri eventi internazionali. Sul Forte, grazie al Patto per Venezia, il Comune investe 17 milioni di euro per il recupero di padiglioni, dopo i lavori dei sottoservizi (5 milioni) ed ora interventi sulle nuove pavimentazioni.

In vista anche lo scavo del Canal Salso e la realizzazione del parcheggio esterno, al centro di forti contestazioni.

 

Il vallo di Putin e le fortezze turche: la nuova Libia ha due soli padroni
14 febbraio 2021

di Gianluca Di Feo

Mosca e Ankara costruiscono fortezze per colonizzare il Paese. Dalle immagini dei satelliti, ecco la mappa aggiornata degli schieramenti. La Turchia ha occupato l'area della capitale, il Cremlino ha allestito un corridoio di basi che dalla costa punta al cuore dell'Africa

A dieci anni dalla rivolta che travolse Gheddafi, la Libia è stata spartita tra russi e turchi. Ormai viene ripetuto da mesi, ma quello di cui non ci siamo resi conto è che si tratta di una presenza destinata a durare nel tempo: Putin e Erdogan stanno costruendo fortezze irte di radar e missili per colonizzare il Paese. Le due potenze, come spiega un veterano dell'intelligence, giocano partite diverse: "I turchi sono istintivi, maestri del tavla che il resto del mondo chiama backgammon: hanno occupato l'area della capitale e si stanno trincerando per restarci. I russi invece hanno la visione degli scacchi: agiscono pensando alle mosse successive. E hanno rapidamente allestito un corridoio di basi che dalla costa punta al cuore dell'Africa".
Guardando le immagini dei satelliti che quotidianamente scrutano il Maghreb, alternando ottiche in grado di scoprire una singola camionetta a sensori radar che entrano persino nei fossati, si può prendere atto della situazione. Repubblica ha raccolto le informazioni di satelliti commerciali e fonti aperte, ottenendo poi i riscontri necessari per ricostruire una mappa aggiornata degli schieramenti in Libia.

GLI SCACCHI DI MOSCA

In poco più di sei mesi, il Cremlino ha piazzato le sue pedine evitando di dare nell'occhio: l'operazione è affidata soprattutto ai mercenari della Wagner, lasciando nell'ombra l'attività delle forze armate. I contractor venuti dall'Est oggi sono presenti in undici località, tutte strategiche. Dopo essersi stabiliti in Cirenaica, con un'avanzata lampo si sono impossessati dei centri chiave del Fezzan, inclusa Ghat: la città dove un tempo una roccaforte italiana dominava la frontiera con l'Algeria francese. Attualmente i campi petroliferi di El Sharara, un giacimento da tre miliardi di barili, risultano sotto il controllo della Wagner, che ha in mano pure il terminale di Ras Lanuf dove vengono caricate le petroliere.
Da mesi il contingente moscovita dispone di una dozzina di caccia Mig-29 e bombardieri Sukhoi 24: decollano dalle piste di al Khadim e al Jufra e da poco sfoggiano coccarde libiche, anche se i piloti parlano russo. Tutti gli altri scali fino al confine nigerino sono presidiati dai mercenari e dai tecnici del Cremlino: complessivamente hanno rimesso in funzione sette aeroporti. Se guardate la scacchiera globale, è facile comprendere l'obiettivo della manovra: puntano al Sahel e all'Africa Centrale, terra turbolenta e ricca di materie prime. E hanno già dato scacco matto alla grande base statunitense di Agadez, voluta dall'amministrazione Obama nel nord del Niger.
Quando i Predator americani entrano in Libia, dopo pochi minuti finiscono negli schermi del radar Spoon Rest D piazzato a Brak, uno dei cinque apparati di questo modello con cui i russi si assicurano la sorveglianza del cielo: strumenti non avanzatissimi, ma ciascuno con una portata di 250 chilometri. Altri piccoli radar Garmon, modernissimi, vigilano sulle basi in prima linea - oltre a Brak e Al Jufra sono nel porto di Sirte - per tenere lontani i droni turchi. La barriera più efficace contro i velivoli teleguidati di Erdogan sono i semoventi Pantsir: ben undici risultano attivi, con i missili terra-aria pronti al lancio e veterani ai comandi. Le indiscrezioni su radar e missili a lungo raggio, come gli S-300, continuano a essere smentite: Mosca preferisce tenere un profilo basso e non allarmare la Nato.
A dieci anni dalla rivolta che travolse Gheddafi, la Libia è stata spartita tra russi e turchi. Ormai viene ripetuto da mesi, ma quello di cui non ci siamo resi conto è che si tratta di una presenza destinata a durare nel tempo: Putin e Erdogan stanno costruendo fortezze irte di radar e missili per colonizzare il Paese. Le due potenze, come spiega un veterano dell'intelligence, giocano partite diverse: "I turchi sono istintivi, maestri del tavla che il resto del mondo chiama backgammon: hanno occupato l'area della capitale e si stanno trincerando per restarci. I russi invece hanno la visione degli scacchi: agiscono pensando alle mosse successive. E hanno rapidamente allestito un corridoio di basi che dalla costa punta al cuore dell'Africa".
Guardando le immagini dei satelliti che quotidianamente scrutano il Maghreb, alternando ottiche in grado di scoprire una singola camionetta a sensori radar che entrano persino nei fossati, si può prendere atto della situazione. Repubblica ha raccolto le informazioni di satelliti commerciali e fonti aperte, ottenendo poi i riscontri necessari per ricostruire una mappa aggiornata degli schieramenti in Libia.

IL VALLO DI VLADIMIR

L'operazione più spettacolare realizzata dai russi è il moderno Muro di Adriano, che molti già chiamano il Vallo di Vladimir evocando lo stile imperiale di Putin. Una linea difensiva tracciata nel deserto, con un fossato profondo un metro e un terrapieno alto due: i lavori sono cominciati nello scorso luglio e si allungano già per 77 chilometri. Ogni 48 ore il cantiere avanza di circa un chilometro, seguendo il tracciato della strada da Sirte all'oasi di Waddan: gli ingegneri sfruttano le caratteristiche del terreno, adattando il percorso ai wadi e agli altri ostacoli naturali. Come quello romano in Britannia, il Vallo serve solo a ritardare i movimenti di eventuali incursori e smascherarne l'iniziativa: il compito di affrontarli toccherà agli aerei e alle truppe, asserragliate in una decina di fortini poligonali simili ai bastioni rinascimentali.
Il Vallo di Vladmir ha già ottenuto un risultato psicologico: definire in modo netto il confine tra la Cirenaica filo-russa e la Tripolitania filo-turca. Solo verso il mare c'è una zona neutra, larga poco meno di 50 chilometri, che separa i due eserciti libici e i loro alleati. Ai lati, è un proliferare di artiglierie, razzi e carri armati pronti a darsi battaglia ma che restano fermi dalla scorsa estate. E mentre Mosca ha approfittato della tregua per espandersi verso sud, Ankara ha preferito consolidare la sua presenza a Tripoli, con un occhio rivolto a Tunisia, Marocco e Algeria, i nuovi orizzonti della sua espansione diplomatico-economica.

LE FORTEZZE DI ERDOGAN

Due le iniziative turche, che marcano la volontà di radicarsi nel Paese. La base navale di Al Khums sta venendo completamente ricostruita: sorgono caserme, depositi e banchine, dove sempre più spesso ormeggiano le fregate missilistiche di Erdogan. Lì istruttori anatolici addestrano la guardia costiera libica, un compito che fino allo scorso autunno veniva svolto dagli italiani: oggi le vedette sembrano completamente ai loro ordini, permettendogli di controllare il flusso di migranti. Centinaia di fanti, cecchini, carristi, radaristi vengono formati a Tripoli o direttamente in Turchia, per creare brigate fedeli ai nuovi signori coloniali. L'altro polo è l'aeroporto di Al Wattiya, prossimo alla frontiera tunisina: il principale terminale di un ponte aereo dalla Turchia che non conosce soste. Dalla scorsa estate ci sono stati 64 voli dei grandi cargo Airbus A-400, l'ultimo giovedì scorso, e ben 110 degli Hercules C-130 che hanno trasferito personale e armi da Konya e Kayseri. Ora la pista è pronta per accogliere i caccia F-16 di Erdogan. Viene protetta da missili terra-aria Hawk con radar Sentinel, mentre lo scalo militare della capitale è sotto lo scudo di un radar Kalkan con 120 chilometri di portata. Ancora più massiccio il dispositivo a Misurata, città irriducibile durante la guerra civile: c'è un doppio schermo radar per guidare missili Hawk e Hisar.
Dall'analisi di queste forze, emerge un elemento chiarissimo: a Erdogan e Putin poco importa dei libici e dei loro governanti, che siano Haftar o Serraj; quello che gli interessa è conservare le loro installazioni strategiche e tutelare gli interessi petroliferi. Oggi possono decidere la sorte delle infrastrutture, dei gasdotti, dei porti: hanno le chiavi di un business miliardario. Una realtà che a Tripoli come a Bengasi la leadership libica ha cominciato a comprendere e che offre gli ultimi margini di manovra alla nostra diplomazia e agli agenti dell'Aise per riconquistare l'iniziativa in Libia, sottolineando la nostra tradizione di partner e non dominatori: non a caso, a dicembre è stato firmato un accordo di cooperazione militare con il ministro Lorenzo Guerini. Ma finora è mancato un sostegno incisivo del governo per sfruttare quest'opportunità. Nell'estate 2017 al premier Paolo Gentiloni era bastato mandare una singola nave della Marina a Tripoli per ristabilire l'autorità del presidente Al-Serraj e riaffermare il ruolo di Roma nella stabilizzazione del Paese. In meno di tre anni gli esecutivi guidati da Giuseppe Conte hanno sgretolato il pilastro del nostro interesse nazionale, mettendo a rischio le risorse energetiche fondamentali.

IL BLOCCO NAVALE

Se poi guardiamo al mare che un tempo chiamavamo Nostrum, la situazione è ancora più drammatica. Il Mediterraneo orientale è di fatto chiuso in un blocco navale turco. Due fregate sono sempre fisse davanti a Tripoli e Misurata, coprendole con radar e missili. Le unità turche, poiché fanno parte della Nato, spesso vanno a rifornirsi nel porto siciliano di Augusta: quasi una beffa. Altre quattro fregate di Ankara praticamente circondano Cipro, Stato dell'Unione europea, proteggendo sei navi speciali che esplorano i fondali in cerca di gas. Infine tre sottomarini U-209 pattugliano le acque tra Creta e Libia. Una flotta in azione costante, per rimarcare le pretese di Erdogan sui giacimenti di idrocarburi.
Non si conosce ancora l'orientamento dell'amministrazione Biden: sotto Trump gli americani hanno sostanzialmente abbandonato l'area contesa. Negli scorsi giorni i droni GlobalHawk e i quadrimotori EP-3 hanno ripreso a perlustrare il Golfo di Sirte: anche un Lockheed U2 "Dragon Lady", il grande vecchio dello spionaggio, ha sorvolato le posizioni della flotta turca. Soltanto il presidente Macron contrasta i disegni di Erdogan: a spezzare lo sbarramento turco, nel braccio di mare tra Cipro e Libano la fregata Aconit mostra la bandiera mentre il potente sottomarino nucleare Amethyeste proietta una deterrenza meno appariscente. Gli aerei da caccia francesi, egiziani e greci hanno appena concluso un'esercitazione congiunta davanti ad Alessandria: le prove di un'alleanza con cui nei prossimi mesi Parigi vuole riaffermare la sua grandeur nel Mediterraneo orientale. Resta da capire quale sarà la posizione del governo Draghi: l'intelligence e le forze armate italiane hanno i migliori satelliti, aerei e sottomarini da ricognizione, che forniscono a Palazzo Chigi aggiornamenti costanti. Le informazioni sono chiare, ma bisogna decidere se l'Italia intende ancora giocare un ruolo da protagonista nel Mediterraneo.

 

Check-up a San Felice: sopralluogo alla cinta magistrale
Da daily.veronanetwork.it del 14 febbraio 2021

Da venerdì, geologi, ingegneri, architetti del Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università di Pavia hanno iniziato a studiare il tratto di trecento metri che sale fin sulla sommità delle Torricelle, per consegnare all'Amministrazione, tra un anno, la lista di buone pratiche e consigli.

È giunto il momento di un check-up completo da parte di un team di esperti della cinta magistrale di Verona, a Castel San Felice, patrimonio mondiale Unesco. Da venerdì, infatti, geologi, ingegneri, architetti del Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università di Pavia hanno iniziato a studiare il tratto di trecento metri che sale fin sulla sommità delle Torricelle. Un progetto pilota, mai messo in atto prima, per una diagnosi approfondita dello stato di conservazione delle mura. Tra un anno circa, il team consegnerà all’Amministrazione comunale una lista di buone pratiche, consigli e interventi concreti per la manutenzione, conservazione e valorizzazione delle mura che potranno essere poi messi in atto su tutta la cinta magistrale. Una consulenza tecnico scientifica avviata grazie ad un accordo stipulato tra il Comune di Verona e l’Università di Pavia.

Venerdì mattina i tecnici erano già in sopralluogo, pronti ad iniziare. Ognuno per la parte di competenza. Da Francesco Zucca, geologo che si occupa della base che supporta il sistema murario, a Massimo Setti, geologo specialista di petrografica, in grado di studiare l’alterazione delle pietre. C’è chi, invece, come Marco Morandotti approfondirà le tecniche costruttive, mentre Paolo Venini monitorerà la risposta statica delle mura. Verrà realizzato anche un modello in 3D per suggerire eventuali metodi di ripristino della dinamicità. Infine Giovanni Minutoli, esperto in restauro, scenderà in campo per la conservazione complessiva. A guidare l’equipe, il responsabile del progetto Sandro Parrinello, direttore del laboratorio del Dipartimento di Pavia. Presente anche l’assessore ai Rapporti con l’Unesco Francesca Toffali.

«Esperti e studiosi saranno al lavoro per circa un anno in uno dei punti più critici della nostra cinta magistrale – ha spiegato Toffali -. Un lavoro interdisciplinare mai fatto prima per analizzare lo stato di conservazione delle nostre mura, per le quali, da vent’anni, Verona è patrimonio mondiale Unesco. Iniziamo con questo progetto per capire di cosa necessitano le mura, per poi, assieme alla Soprintendenza, verificare quali sono gli interventi da mettere in atto. Un’attività, quella che inizia stamattina, propedeutica alla sistemazione e valorizzazione dell’intera cinta muraria».

 

Alla scoperta del Salento: Il Bastione di San Francesco a Lecce
Da corrieresalentino.it del 14 febbraio 2021

di Cosimo Enrico Marseglia

La città di Lecce è stata sempre dotata di una cinta muraria, sin dall’epoca messapica, pertanto i suoi abitanti sono stati sempre protetti da una struttura difensiva che, nel corso dei secoli, ha sempre avuto nuovi interventi di riadattamento e ripristino, a seconda delle mutate esigenze difensive e strategiche. Nel corso del Medioevo, tuttavia, la cinta muraria venne periodicamente violata ed anche abbattuta. In particolare nella seconda metà del XII secolo Lecce fu distrutta, al pari di altre città pugliesi, alcune delle quali non si ripresero più e furono abbandonate del tutto, dalla furia del Re di Sicilia, il normanno Guglielmo I de Hauteville detto il Malo. Successivamente, nel 1285, durante la Guerra del Vespro, la città ed il suo castello medievale furono presi da Ruggero di Lauria. Riconquistatala, il Conte di Lecce Ugo de Brienne provvide a riedificarla ma, ancora una volta nel 1296, Ruggero scatenò una violenta offensiva ed in una sola notte la espugnò, dimostrando la debolezza delle strutture difensive che necessitavano di un urgente adeguamento.
Per la modifica della cinta muraria però bisognerà attendere il XVI secolo, sotto il regno di Carlo V, i cui consiglieri militari compresero che, se non si fosse intervenuti in tempo a rinforzare le città pugliesi con un adeguato dispositivo difensivo, queste non avrebbero retto l’urto delle armate ottomane ed il volume di fuoco dei loro pezzi di artiglieria. Così nel 1539 l’architetto militare Gian Giacomo dell’Acaya ebbe l’incarico di ricostruire la cinta muraria ed il castello di Lecce. I lavori proseguirono per ventiquattro anni, conferendo alla città l’aspetto tipico della città-fortezza moderna, ossia munita di possenti bastioni capaci di offrire una valida azione difensiva al tiro delle artiglierie. Fra i vari baluardi che si ergevano ad intervalli più o meno regolari lungo le mura cinquecentesche, particolare interesse riveste il Bastione di San Francesco che, tra l’altro, è anche l’unico conservatosi integralmente sino ai giorni nostri e che ultimamente è stato oggetto di restauro insieme a parte della cinta muraria. In realtà si tratta di un duplice baluardo a tenaglia, composto da due parti a pianta pentagonale, a facce cieche, cioè prive di aperture verso l’esterno, e sviluppati su tre piani: interrato, primo livello e copertura, uniti fra loro grazie ad un corridore o cassero che attualmente al primo piano è privo di copertura ed è fruibile solo al piano interrato.
L’interno dei due baluardi presenta una casamatta con varie bocche strombate, alcune delle quali destinate al tiro radente e fiancheggiante. Sui fianchi esterni dei due bastioni in alto si aprono sei troniere (Feritoia, apertura praticata nelle mura di una fortificazione medievale per inserire una bocca da fuoco” Enciclopedia Garzanti) tre invece sono sulle cortine. Gli ambienti interni del duplice bastione, tendenzialmente oscuri, prendono luce da piccoli lucernai posti sulle volte e dalle stesse bocche o troniere. L’intero fronte della difesa ammonta a circa 60 metri articolati su due livelli: uno superiore al livello del fossato, l’altro invece interrato e parzialmente scavato nella roccia sottostante. I due livelli sono separati esteriormente da un toro marcapiano.
Sulle mura del bastione si nota un graffito che rappresenta un tipico gentiluomo del XVI secolo, mentre in alto, lungo uno dei fianchi campeggia l’incisione F.D. LOFREDO, riferita a Don Ferrante Loffredo, Governatore delle Provincie di Terra di Bari e di Terra d’Otranto. Inoltre, nel corso dei lavori di restauro, sono venute alla luce alcune pallottole infisse nelle mura, cosa che fa intuire il fatto che il fossato venisse utilizzato come luogo di esecuzione di condanne capitali per fucilazione fra la fine del XVIII e ed i primi quindici anni del XIX secolo. Tale ipotesi è plausibile giacché nel vicinissimo, quasi confinante, Palazzo Giaconia era dislocato il presidio militare delle milizie francesi presenti a Lecce.

 

Il Forte di Bard ha riaperto con una mostra sulla storia del Battaglione Aosta
Da finestresullarte.it del 14 febbraio 2021

È dedicata al Battaglione Aosta la mostra con cui il Forte di Bard (Val d'Aosta) riapre la sua attività espositiva.

Le sale espositive del Museo delle Fortificazioni e delle Frontiere del Forte di Bard ospitano l’esposizione dei cimeli appartenenti allo storico Sacrario del Battaglione Aosta e del 4° Reggimento Alpini, sino ad oggi conservati all’interno della Caserma “Cesare Battisti” di Aosta. La mostra La memoria dell’Aosta. Il Sacrario del 4° Reggimento Alpini presenta 124 pezzi tra i più rappresentativi e significativi della storia del Battaglione Aosta e del 4° Reggimento: tra essi, i diari storici dei Battaglioni, lettere e fotografie dal fronte, uniformi d’epoca ed effetti personali appartenuti a coloro che fecero la storia del Battaglione e del Reggimento. La mostra è organizzata dal Forte di Bard e dal Centro Addestramento Alpino dell’Esercito Italiano con Gianni Ardoino per l’attività di ricerca ed è curata da Gianfranco Ialongo e dall’Associazione Forte di Bard.
Il promotore morale e materiale del Sacrario fu il Colonnello Carlo Rossi, comandante del 4° Reggimento Alpini, dal 1927 al 1934. Ancor prima che la caserma Testa Fochi fosse costruita, Rossi promosse la ricerca e la raccolta di materiali, con l’obiettivo di onorare la memoria e il sacrificio degli Alpini che presero parte alla Prima Guerra Mondiale. Si tratta di centinaia di reperti che trovarono posto nel Sacrario all’interno della Caserma Testa Fochi in modo ufficiale a partire dal 18 maggio 1940. Le vicende belliche del primo Novecento avevano impresso un marchio indelebile in coloro che le avevano vissute. Essi trovarono nell’Istituzione Militare la volontà di costruire un memoriale in cui le sofferenze e l’eroismo, attraverso gli oggetti, le fotografie e i documenti conservati, avessero uno spazio utile per trasmettere i valori e la memoria storica delle azioni che videro protagonista il 4° Reggimento Alpini. Ex alpini, militari in armi, famiglie di caduti e civili, contribuirono nel tempo all’arricchimento del Sacrario.

L’esposizione resterà al Forte di Bard sino al 31 maggio 2022. Per tutte le informazioni potete visitare il sito ufficiale del Forte di Bard.

 

Alla scoperta della storia e dei segreti del Castello di Fénis
Da aostasera.it del 12 febbraio 2021

FÉNIS - Un trionfo di torri, mura merlate e un imponente apparato difensivo formato da una doppia cinta muraria che attira lo sguardo del visitatore, senza troppi sforzi, catapultandolo in un’atmosfera dal fascino tipicamente medievale.

Il Castello di Fénis è sicuramente il castello più celebre della Valle d’Aosta grazie sopratutto al colpo d’occhio che ci regala: un trionfo di torri, mura merlate e un imponente apparato difensivo formato da una doppia cinta muraria che attira lo sguardo del visitatore, senza troppi sforzi, catapultandolo in un’atmosfera dal fascino tipicamente medievale.
Feudo della famiglia Challant, deve proprio a questi signori il prezioso apparato  decorativo presente al suo interno: dal celebre affresco di San Giorgio che uccide il drago per salvare la principessa che svetta in cima allo scalone circolare nel cortile interno, alla cappella con la Madonna di Misericordia che sotto il suo manto protegge clero ed esponenti della famiglia Challant. Per non parlare poi del loggiato animato da una moltitudine di saggi e filosofi che tengono in mano cartigli in francese antico con massime morali, sentenze, proverbi. O ancora il monumentale e più tardo San Cristoforo, patrono dei pellegrini e viandanti. Affreschi eseguiti da importanti nomi dell’epoca, come il maestro della pittura tardo gotica Giacomo Jaquerio, pittore preferito di Amedeo VIII di Savoia e Giacomino da Ivrea, maestranze che solo una famiglia importante come quella degli Challant poteva permettersi, segno eloquente di prestigio feudale.

Il castello attraversò un lungo periodo di abbandono, durante il quale venne addirittura utilizzato come casa colonica, con stalle e fienili ubicati a ridosso delle pareti affrescate, fino a quando nella seconda metà dell’800 l’architetto D’Andrade lo acquistò e restaurò nelle parti più degradate, cercando di salvare il maniero da una rovina imminente. Il castello venne poi investito dall’ondata medievalista promossa dal ministro dell’Educazione Nazionale Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon: dal 1936, infatti, fu oggetto di pesanti interventi di restauro integrativo per poter accentuare la spiccata fisionomia medievale della dimora. De Vecchi aveva inoltre concepito una nuova destinazione d’uso per il castello: voleva farne il Museo del mobile valdostano. Ecco perché gironzolando tra le sue stanze scoprirete anche numerosi arredi e mobili lignei, non tutti valdostani e nemmeno originali del maniero, ma qui esposti.
Non lasciatevi incantare solo dal suo aspetto così cavalleresco, però: attraversate il barbacane, sfidate le figure apotropaiche che costituiscono la difesa magica del maniero, perdetevi tra le sue mura… ma prestate attenzione, dalle caditoie delle torri potrebbe sempre rotolare qualche pietra lanciata da intrepidi cavalieri pronti a difendere i Signori di Challant.

Come raggiungere il Castello di Fénis

Frazione, Località Chez Sapin, 1, 11020 Fénis AO

Orari Castello di Fénis

Ingresso accompagnato

L’ultima visita viene effettuata 30 minuti prima della chiusura.
• Da aprile a settembre:
dalle 9.00 alle 19.00, tutti i giorni
• Da ottobre a marzo:
aperto da martedì a domenica dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 17.00

Prenota e acquista i tuoi biglietti online

http://biglietteriecastelli.invallee.it/MidaTicketAOSTA/AOL/AOL_Default.aspx
Ingresso gratuito fino al 14 febbraio 2021 Intero: € 7,00 Ridotto: € 5,00 (comitive di almeno 25 persone paganti, studenti universitari, convenzioni specifiche)
Ridotto minori: € 2,00 (ragazzi di età compresa fra 6 e 18 anni, scolaresche)

Gratuito:
• bambini fino a 6 anni non compiuti
• soggetti portatori di handicap in possesso della certificazione di cui alla legge 104/92 e loro accompagnatori
• insegnanti e accompagnatori di scolaresche, in proporzione di 1 ogni 10 alunni.
• possessori dell’Abbonamento Musei Piemonte e LombardiaPrevendita a partire dall’ora di apertura del castello, in progressione, fino al completamento dei turni. E’ consentito ad un massimo di 15 persone per turno di visita.
Prevendita a partire dall’ora di apertura del castello, in progressione, fino al completamento dei turni.
E’ consentito ad un massimo di 15 persone per turno di visita. Possibilità di acquistare abbonamenti per la visita di diversi siti direttamente presso la biglietteria del castello.

Regole di fruizione Covid-19

• Sono consigliati la prenotazione e l’acquisto dei biglietti on-line sul sito MiDA
• L’entrata contingentata con gruppi composti da massimo di 15 persone
• Obbligo di mascherina
• Rispetto della distanza di sicurezza di 1 metro
• Divieto di portare zaini o borse ingombranti all’interno

Disabili

Non accessibile.

Foto e video

E’ possibile effettuare riprese fotografiche e video, ad uso privato e senza fini di lucro,
con dispositivi privi di flash e stativo. Non è permesso l’utilizzo di aste per selfie. L’uso di
scatti e riprese a scopo pubblicitario, di stampa o commerciale è consentito solo previa
autorizzazione.

Animali

All’interno del monumento è permesso l’accesso di animali di piccola taglia unicamente
se tenuti in braccio o inseriti in trasportino a mano.

Contatti e informazioni sul Castello di Fénis

Castello di Fénis 11020 FENIS (AO) Telefono: (+39) 0165 764263 Fax: (+39) 0165 764044

 

Aeronautica Militare: sistema missilistico Sirius e velivoli Tornado al centro dell’esercitazione Dogged Focus
Da aviation-report.com del 10 febbraio 2021

Immagini: Ufficio Pubblica Informazione Aeronautica Militare

Mercoledì 3 febbraio presso l’aeroporto militare di Rivolto (UD), si è svolta l’esercitazione “Dogged Focus” che ha visto coinvolti alcuni assetti dell’Aeronautica Militare quali il SIRIUS, nuovo sistema missilistico di recente assegnazione al 2° Stormo, e due velivoli Tornado ECR (Electronic Combat Reconnaissance) del 155° Gruppo ETS (Electronic Warfare Tactical Suppression) del 6° Stormo, allo scopo principale di testare l’interoperabilità tra le due piattaforme.
L’attività addestrativa si è svolta proficuamente per l’intera giornata. In evidenza le quattro sortite effettuate dai Tornado ECR che hanno operato con il sistema di difesa aerea SIRIUS disponibile presso il 2° Stormo, allo scopo di familiarizzare e interagire con le nuove capacità che il Sistema ha aggiunto al comparto SBAD (Surface Based Air Defence) della Forza Armata. Le operazioni, che hanno visto anche il coinvolgimento del sistema SPADA, si sono svolte in uno scenario simulato di contrasto alla minaccia elettronica SEAD (Suppression Enemy Air Defenses) portata dagli assetti ABT (Air Breathe Threat) rappresentati dai velivoli Tornado ECR.

L’intero evento esercitativo si è rivelato un’importante opportunità addestrativa per tutti gli attori coinvolti, contribuendo così ad accrescere le capacità professionali e l’esperienza personale di ogni singola componente del Reparto. In particolare si è registrato un notevole ritorno addestrativo per il personale del 2° Stormo appartenente sia al Gruppo Missili sia all’Ufficio Operazioni e al 402° Gruppo S.T.O., coinvolti questi ultimi nelle varie procedure di cross-servicing dei Tornado.
Il 2° Stormo ha contribuito in maniera determinante alla riuscita dell’evento addestrativo fornendo pieno supporto tecnico-logistico e operativo, lavorando in completa sinergia con i piloti del 6° Stormo.

Il 2° Stormo dell’Aeronautica Militare

Il 2° Stormo (http://www.aeronautica.difesa.it/organizzazione/REPARTI/divolo/Pagine/2STORMO.aspx) è l’ente individuato dalla Forza Armata per svolgere la funzione di punto di riferimento missilistico del sistema di difesa aerea nazionale. Lo Stormo cura l’addestramento e la prontezza operativa di uomini e mezzi del comparto missilistico dell’Aeronautica Militare. Tale missione si concretizza in una continua opera di addestramento volta a mantenere la prontezza operativa richiesta dalla Forza Armata e dalle organizzazioni transnazionali di cui il Paese fa parte. Lo Stormo assicura, inoltre, il regolare svolgimento dei servizi aeroportuali e il mantenimento delle infrastrutture e degli impianti, anche a favore del 313° Gruppo Addestramento Acrobatico “Frecce Tricolori” operante sulla base e quant’altro necessario per il transito di altri velivoli, concorrendo anche, nel rispetto delle direttive emanate dalle Superiori Autorità, al servizio di Difesa Aerea.

Il 6° Stormo dell’Aeronautica Militare

Il 6° Stormo (https://www.aviation-report.com/6-stormo-i-tornado-ids-dellaeronautica-militare/) “Alfredo Fusco” gerarchicamente dipendente dal Comando della Squadra Aerea di Roma, tramite il Comando Forze da Combattimento di Milano, ha quale compito quello di pianificare e coordinare l’addestramento e l’approntamento delle capacità in base ai piani nazionali e NATO/UE per l’ingaggio di precisione, il supporto alle forze di superficie e la ricognizione nello spettro EO/IR ed elettromagnetico. Assicura, inoltre, l’attività di conversione operativa e di standardizzazione degli equipaggi di volo assegnati alla linea Tornado IDS/ECR.

 

La Linea Gustav e l’Abruzzo sulla BBC: con Adele Garzarella rivive la storia della Seconda Guerra Mondiale
Da ilcapoluogo.it del 10 febbraio 2021

La Linea Gustav Ortona - Cassino sulla BBC. La geologa militare abruzzese Adele Garzarella scelta per raccontare l'Abruzzo della seconda guerra mondiale sul canale inglese Yesterday Channel

Di Kristian Santucci

La Linea Gustav sulla BBC. Il canale inglese Yesterday Channel ripercorre il perimetro storico – laziale e abruzzese – di uno dei più grandi sistemi difensivi mai costruiti. Da Cassino alla costa d’Abruzzo, alla scoperta della ‘Terra di Nessuno’ e delle fortificazioni volute dai tedeschi per respingere l’avanzata degli Alleati angloamericani. Un tuffo nella storia della Seconda Guerra Mondiale, accompagnato dalla geologa militare abruzzese Adele Garzarella.
“Il Führer chiede che ciascuno tenga la Linea Gustav fino all’estremo e fa assegnamento sulla più accanita difesa di ogni metro di terreno”.
Un ordine che sembra quasi sentire riecheggiare, dall’eco della storia, ripercorrendo la terra, la polvere, le salite ripide e la sabbia da Cassino a Ortona, sulle orme dell’esercito tedesco che voleva sbarrare l’Italia agli Alleati. La Linea Gustav protagonista, con il nostro Abruzzo, di un episodio storico speciale, che andrà in onda su Yesterday Channel tematico storico, simile al nostro Rai Storia ndr). In “WW2 from above“, questo il titolo del programma, si racconterà della Linea Gustav e di una pagina di storia militare d’Abruzzo spesso poco conosciuta. La puntata, da programmazione, sarà trasmessa il prossimo 22 febbraio.

Parlando di storia, sembra quasi un paradosso che Adele Garzarella – geologa e assegnista di ricerca all’Università D’Annunzio – sia stata contattata tramite la piattaforma LinkedIn. L’esperta di geologia militare ha raccontato com’è nata questa preziosa
collaborazione alla redazione del Capoluogo.
“Nel 2019 ho preso parte a due congressi storici. In particolare, a Padova si è tenuto uno dei simposi più importanti nell’ambito dell’International Congress of Military Geology. In quest’occasione ho presentato un lavoro sulla della Linea Gustav. Un primo lavoro, in realtà, non ancora pubblicato, ma di cui ho caricato l’abstract sul mio profilo LinkedIn. È grazie a questo progetto, trovato in rete, che la regia del format è giunta a me. La prima mail mi è stata inviata a febbraio 2020. Così sono stati avviati i primi contatti e si è proceduto all’organizzazione dell’intervista”. Un’intervista registrata lo scorso settembre e ora prossima alla messa in onda. Al fianco di Adele Garzarella ha lavorato lo storico inglese Rob Deere, ex maggiore dell’Esercito inglese, attualmente parte della Gilda delle Guide dei Campi di Battaglia. Un’associazione che promuove la conoscenza dei luoghi storici della battaglie e organizza visite nei siti storici.

“Abbiamo girato a Cassino, dopo numerose difficoltà organizzative dovute alla pandemia. Faccio ancora fatica a realizzare quanto accaduto: a questo progetto, infatti, hanno preso parte alcuni tra gli storici più prestigiosi del mondo. Poter partecipare per raccontare della Linea Gustav è stato un grande onore”, ci spiega Adele Garzarella, senza nascondere l’emozione.
Un percorso riprodotto in video anche con l’aiuto di riprese dall’alto, realizzate con i droni. A queste è seguita la ricostruzione in 3D del terreno che ospitava la Linea Gustav (operazione tutta italiana, realizzata da un gruppo di professionisti sardi ndr)

La Linea Gustav spiegata da Adele Garzarella

Cassino-Ortona: un asse strategico all’inizio e alla fine della penisola – andando da sinistra a destra – a solcare l’Appennino. Cassino e Ortona, appunto, ovvero gli storici capisaldi della Linea Gustav. Proprio Cassino – con la sua Abbazia – e Ortona infatti sono le città in cui gli eserciti alleati hanno combattuto maggiormente.
“La Linea Gustav è stato uno dei migliori sistemi difensivi, ideato e strutturato dai tedeschi. Un sistema non casuale, ma studiato nei minimi dettagli, basato sulla morfologia del territorio. I tedeschi hanno sfruttato l’Appennino come avamposto principale, che aveva nella Maiella, passando per Roccaraso, le zone in cui erano sistemate le trincee. dalla Maiella fino al mare erano i fiumi a fare da trincee naturali“.
Una linea difensiva costruita su quella che diventò, in quegli anni, la “Terra di Nessuno”. Da Gessopalena, passando per la Maiella, fino a Fara San Martino e Casoli, si venne a creare un fazzoletto di terra in cui “se un paese era in mano ai tedeschi, l’altro passava sotto il controllo degli inglesi e così via. Preciso, poi, che non si trattava di paesi disabitati, ma di campagne, fattorie… C’erano cittadini che non erano stati sfollati e che si ritrovarono da un giorno all’altro nel caos”.

Qui nacque la Linea Gustav.

Un sistema, tra l’altro, messo in campo in tempi record. “I tedeschi impiegarono poco più di un mese e mezzo per realizzare la Linea Gustav. Decisero di muoversi in questo modo e con questo sistema dall’ottobre del 1943 e riuscirono dopo soli 45 giorni a realizzare il loro progetto, coinvolgendo anche la popolazione locale, impiegata come manovalanza“.
Uno dei migliori sistemi difensivi soprattutto per l’efficacia dimostrata sul campo di battaglia. Quello che vide, settembre 1943 – data in cui la resa dell’Italia agli alleati fu annunciata pubblicamente – la popolazione civile subire violenze, saccheggi e attacchi incessanti da parte degli eserciti. L’Italia era tra due fuochi, tra un Asse in cui restava la sola Germania a difendersi strenuamente e le forze Alleate (all’improvviso anche dell’Italia) risalire la penisola per liberarla dall’esercito tedesco. L‘Abruzzo? Non ne uscì affatto indenne. All’ombra dell’Appennino si consumarono tragedie umane di sangue, soprusi e ingiustizia, mentre i tedeschi fortificavano paesi ‘cancellati’, trasformati in basi militari per respingere i nemici.

Per capire l’efficacia della Linea Gustav basta anche solo un dato.

“Dal loro arrivo sul Sangro, a novembre, gli alleati pensavano di poter raggiungere Roma per Natale. Il piano era il seguente: gli americani sarebbero risaliti dal lato tirrenico, giungendo a Cassino, mentre l’armata britannica sarebbe risalita dal lato adriatico, arrivando a Pescara. Poi entrambi i fronti avrebbero dovuto convergere su Roma, proprio intorno al Natale del ’43. Non avevano minimamente percepito che l’elemento naturale sarebbe stato il loro primo nemico. Iniziarono a capirlo vedendo che ci volle una settimana per passare il solo fiume Sangro. Arrivarono a Roma nel giugno del ’43“.

Questo è stata la Linea Gustav

Linea Gustav, l’inferno tra le montagne e i segreti degli eserciti
“Nel mio intervento, con la troupe di WW2 from above, siamo andati oltre la semplice storia. Ho raccontato le innumerevoli difficoltà incontrate da chi ha combattuto in mezzo alle montagne, sotto pioggia e neve, fornendo informazioni specifiche sull’esercito tedesco. Questo grazie a un’ampia documentazione che posseggo sul tema: cartografie dell’esercito tedesco, trattati di geologia militare trovati negli archivi. Perché non tutti lo sanno, ma negli anni del Regime c’era una vera e propria scuola di guerra. Materiale prezioso per la lettura del territorio italiano a scopo militare: utile a sapere, ad esempio, dove è più facile combattere”.
Domande alle quali fondamentalmente gli eserciti non avevano risposte precise. “Nell’intervista ho spiegato, tra le altre cose, che gli Alleati prima di combattere contro i tedeschi avevano dovuto scontrarsi con il Fiume Sangro, poiché l’ostacolo più duro era la natura d’Abruzzo. A fermare i carri armati c’era il fango prima di tutto“.
I tedeschi, tuttavia, avevano una marcia in più. “La cosiddetta Organizzazione Todt. Per far capire di cosa si tratta faccio un esempio: come se oggi mettessimo insieme Finmeccanica, Fincantieri e Protezione Civile. La grande organizzazione era in grado di occuparsi di tutto ciò che serviva in un teatro di guerra. C’era personale che costruiva ponti, strade, fortificazioni…Le trincee che sono sul Monte Porrara sono state costruite da questa organizzazione, formata da geografi, geologi, rifornitori di derrate alimentari, di munizioni. Una struttura assolutamente geniale, che faceva la differenza”.

Di contro al genio militare tedesco, c’erano forza, dignità e un sogno chiamato libertà.
La svolta nella conoscenza della Geologia militare per Adele Garzarella è nata dall’incontro con un veterano polacco, il Professor Wojtek Narebski. “Lui mi ha raccontato tutta la storia del secondo Corpo d’Armata polacco. Quasi nessuno ricorda quale sia stata la loro importanza nelle economie del conflitto mondiale. Furono loro, dopo un’operazione rocambolesca, a riuscire a piantare la propria bandiera sull’Abbazia di Montecassino. Non gli inglesi, né gli americani. E lui, il professor Narebski, si innamorò della gente italiana. Tende sempre a fare dei parallelismi tra dignità del popolo polacco e quella italiana. In particolare ebbe a che fare con la formazione della Brigata Maiella Entrambi, i polacchi e i partigiani abruzzesi, erano accomunati da un obiettivo comune: combattere per la libertà sono tantissime storie nella storia. Storie di fratellanza e di umanità, che arrivano direttamente dal fronte. Chi combatteva lo faceva unicamente per riacquistare una libertà perduta”.
La storia di più armate e di una Guerra Mondiale in cui l’Italia è stata al centro degli equilibri delle maggiori potenze, al centro di un destino da riscrivere.

Punto geografico di passaggio obbligato e fondamentale ma ostile terra di conquista. Un ruolo che poi, però, l’Italia stessa sembra aver quasi dimenticato sui libri di storia.

Perché?

“L’Italia si è comportata diversamente dagli altri paesi che hanno vissuto la guerra. Pensiamo alla Francia. Già dal ’46- ’47 fu emanata una legge di tutela dei siti storici. In Italia la storia è stata profondamente diversa. Noi – e parlo soprattutto dei paesi della Maiella e dell’Aventino – abbiamo vissuto la guerra per quasi otto mesi, tra il ’43 e il ’44 che ne è stato tramandato deriva dai racconti dei nostri nonni ed è un racconto assolutamente drammatico. Se qualcuno, nell’immediato dopoguerra, trovava un caschetto di un soldato tedesco preferiva utilizzarlo come vaso da notte e non consegnarlo ad un Museo. Perché la guerra e ogni cosa che la ricordava – quindi razzie, eccidi e ogni tipo di violenza – doveva essere annientata”.
Dalle pagine di storia dei nostri territori, invece, si potrebbe costruire tanto, per arrivare allo sviluppo di un turismo storico che, in Abruzzo, avrebbe tutte le possibilità di intrecciarsi alla peculiare bellezza paesaggistica della regione. “L’Italia ad oggi è uno dei teatri di guerra meno visitati. Non ci sono percorsi strutturati e attrezzati, non ci sono i servizi minimi che ti portano a conoscere la storia del territorio in cui ti trovi. Tra i progetti che mi vedono coinvolta – continua Adele Garzarella – c’è l’installazione della cartellonista alla base della Maiella. Da qui si può iniziare a valorizzare i nostri siti, così importanti sotto il profilo storico-militare”.
Non come i Kolossal hollywoodiani. Non come la legge con cui la Francia ha difeso i suoi luoghi della storia. L’Italia e l’Abruzzo hanno scelto così. Lasciare il dolore alla storia e la storia al suo dolore.
Il presente, oggi, potrà portare ad un nuovo sviluppo e a una nuova Italia, che parta da una storia che fa della guerra solo un brutto ricordo. Historia magistra vitae.

 

RIPOSTO, LE FORTEZZE DIMENTICATE DA CONVERTIRE IN MUSEO
Da qds.it del 9 febbraio 2021

Progettate e usate durante la seconda guerra mondiale dalle truppe dell’asse, per contrastare l’avanzata nell’isola degli angloamericani nel 1943., oggi potrebbero aprire ai turisti.

Per un turista che viene in Sicilia, è facile imbattersi in piccole fortezze dimenticate, progettate e usate durante la seconda guerra mondiale dalle truppe dell’asse, per contrastare l’avanzata nell’isola degli angloamericani nel 1943. Una di queste si trova a Riposto, in provincia di Catania, sul Lungomare E. Pantano che congiunge la cittadina ripostese con una delle sue frazioni: Torre Archirafi. La cupola è la parte superiore e finale di una costruzione interrata costruita in materiale ferroso, che fu postazione d’artiglieria della “Wehrmacht”, di cui v’è ancora oggi presenza sul luogo e ne è possibile la visione. Il sito fu realizzato con molta probabilità, nei primi anni 40. Le forze armate tedesche che presidiavano la fascia costiera avevano avviato i lavori per la costruzione del presidio sul lungomare. Esso assumeva le caratteristiche di un piccolo “bunker” da guerra nella parte sotterranea; completato da una parte emergente di forma circolare fornita di feritoie, allo scopo di avvistamento ma soprattutto di posizionamento dell’artiglieria, per respingere eventuali sbarchi o incursioni da parte delle truppe alleate.

La differenza sostanziale era che generalmente, il materiale impiegato per la costruzione elevata fosse il cemento rinforzato. Invece nel caso del presidio del lungomare di Riposto, si preferì il ferro resistente all’umidità ed agli agenti corrosivi della salsedine. Per accedere si entrava da una botola e per scendere vi era una ripida scala che immetteva in due camere. Sul fianco del mare a ridosso di scogli e sassi, dove non c’era sentiero e nessuno poteva avvicinarsi senza essere visto col rischio di essere colpito, veniva posizionata la mitragliatrice; sul lato interno invece venivano collocate le postazioni per i munizionamenti, le artiglierie e probabilmente il luogo di riposo dell’artigliere. Al suo interno si trovavano alcune panche e lungo la parete, presumibilmente si vedevano appese, borracce, mappe della costa, elmetti e binocoli. Queste strutture fanno parte del territorio e vanno considerate come monumenti storico-bellici, dove dei soldati rimanevano spesso da soli, unici custodi e sentinelle della costa, in attesa di ricevere dal comandante ordini e notizie. Con la completa riqualificazione del sito si potrebbe creare un percorso storico, per raggiungere un punto panoramico turistico bello e suggestivo.

Abbiamo chiesto al vice sindaco di Riposto Ing. Rosario Caltabiano, “sarà possibile aprire al pubblico la cupola di ferro e renderla visitabile ai ripostesi, ai turisti e agli appassionati delle grandi battaglie della storia e trasformarla in un piccolo museo cittadino” – “Si può inquadrare in un progetto da presentare all’assessore alla cultura del governo regionale siciliano” Alberto Samonà” e chiedere dei fondi per ripristinare e mettere in sicurezza un monumento che fa parte della nostra storia-.

Lungo il fronte trentino della prima guerra mondiale, ai piedi delle montagne disseminate di fortificazioni e trincee, sorgono numerosi musei dedicati alla Grande Guerra. Percorrendo la zona jonica etnea, transitando nei comuni di Piedimonte, Linguaglossa, Castiglione di Sicilia, Randazzo Francavilla di Sicilia, è facile imbattersi in queste fortezze abbandonate.

Partendo proprio da Riposto, porto dell’Etna è possibile creare una rete di musei della seconda guerra mondiale in Sicilia?
“E’ possibile creare un percorso che colleghi il museo storico dello sbarco in Sicilia di Catania, ad altre postazioni sul territorio in un contesto storico turistico che comprenda, oltre “la cupola di ferro” di Torre Archirafi, i vari siti disseminati nel comprensorio Ionico Etneo. La luce per guardare al futuro parte dal passato e tutelare questi siti è anche un modo per ricordare le vittime di entrambi gli schieramenti”. Grandi Assertori di pace furono gli ultimi Papi: Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II e ad oggi ne traiamo insegnamento a ricordo di una delle più tristi pagine della storia italiana: il secondo conflitto mondiale. Possa essere oggi “la cupola di ferro” un monumento storico alla memoria di studiosi universitari e scolaresche con cui condividere informazioni sull’Operazione Husky in Sicilia e su tutti gli avvenimenti ad essi collegati. Un sito in cui è possibile riscoprire le postazioni militari e i numerosi bunker disseminati sul comprensorio ai fini di una loro valorizzazione e tutela. La nostra storia siciliana è legata agli avvenimenti di quel periodo bellico, facciamone tesoro, ricostruiamola e soprattutto impegniamoci a favore della pace come fece un grande uomo Giovanni XXIII “ con la sua l’enciclica Pacem in terris”.

Antonino Di Mauro

 

Ignoti tentano di entrare nel bunker sul San Michele
Da ilfriuli.it del 9 febbraio 2021

Preso a pietrate il lucchetto che chiude l'accesso alla fortificazione a Cotici di Savogna d'Isonzo

"Una cattiva notizia: abbiamo subito un tentativo di effrazione". Comincia così il post sulla pagina ufficiale Facebook del comitato Bunker San Michele (https://www.facebook.com/bunkersanmichele) di Cotici in comune di Savogna d'Isonzo.
Il comitato dal giugno 2015, in seno all'Associazione Nazionale Fanti d'Arresto e per convenzione con la Provincia di Gorizia, conduttore del bene in locazione dall'Agenzia del Demanio, si occupa a titolo volontario del restauro, della conservazione e della custodia di due costruzioni della fortificazione permanente del confine nord-orientale, fino al 1993 presidiate da reparti della fanteria d'arresto, una specializzazione dell'Arma di fanteria dell'Esercito Italiano, in seguito soppressa.

"Ignoti si sono accaniti sui lucchetti, danneggiandoli - prosegue il post -. La buona notizia è che adeguati accorgimenti hanno scongiurato ogni accesso ai locali. Abbiamo subito riparato il danno e sporto denuncia. Rimane il dispiacere per un gesto incommentabile. Pur essendo un'evenienza nei confronti della quale ci siamo sempre tenuti pronti, la ritenevamo ormai improbabile".
"Siamo invece molto sorpresi da come qualcuno abbia voluto prendere di mira un sito liberamente visitabile (covid permettendo) e in attiva e palese manutenzione: avevamo da poco provveduto al taglio della vegetazione infestante. Nonostante questo spiacevole evento, il nostro impegno prosegue invariato - conclude il post -. Le attuali circostanze ci impongono di rimandare ancora le aperture al pubblico, ma abbiamo nuovi approfondimenti in preparazione - non si faranno attendere a lungo

La storia

I bunker, correttamente detti "postazioni", fanno parte dell'opera "Monte San Michele", sita nella frazione di Cotici del comune di Savogna d'Isonzo (GO), un raggruppamento che ne conta sei in totale, a cui si aggiungono altre costruzioni accessorie. Sono due manufatti in cemento armato, realizzati a fine anni '60 con la tecnica del "cut and cover" e interrati: la M4 e il PCO.

La M4 è una "postazione per mitragliatrice in cupola a 4 feritoie", una spessa volta in acciaio atta a ospitare due mitragliatrici (una Breda Mod. 37 in origine, successivamente una MG42/59). Questa sovrasta il ricovero sotterraneo per il pacchetto e altri locali accessori.

Il PCO è un "Posto Comando Osservatorio". Questo costituisce, in ogni opera, il luogo dove giungevano tutte le comunicazioni da e per essa, concorrendo a delineare il momento operativo. Dal PCO si cooordinavano il fuoco delle postazioni e le operazioni di difesa vicina, compito ciascuno di due distinti plotoni.
Tale scopo veniva raggiunto con una combinazione di collegamenti telefonici (interrati nell'ambito dell'opera, volanti per i collegamenti all'esterno) e tramite apparati radio.
Il PCO si trova sulla sommità del monte Škofnik, un'anticima del più noto monte San Michele. Per la sua posizione strategica (domina la soglia di Gorizia, la valle del Vipacco e l'altopiano di Lokvica), unico nel suo genere è dotato di un "posto comando per truppe campali", che ne raddoppia specularmente i locali, aggiungendo un osservatorio di artiglieria, sia ottico che dotato di un radar di sorveglianza al suolo. Quest'ultimo, un AN/TPS-33 di contenute dimensioni, era situato in un pozzo dotato di montacarichi, che ne permetteva l'esposizione per il solo tempo necessario.
Il posto comando, costruito su due piani, ha al piano inferiore il suo nucleo: i due ricoveri comando, protetti da una volta semicircolare di spesso cemento armato e dal terreno soprastante.
Al piano superiore, vari locali tecnico-logistici, tra cui uno per il gruppo elettrogeno, un deposito carburanti, un locale per la decontaminazione dagli agenti NBC, uno per l'impianto di filtraggio dell'aria (che, assieme a un sistema di porte stagne, rende possibile il mantenimento di un gradiente di pressione positivo tra i locali interni e l'esterno).
L'osservatorio della fortificazione, distinto da quello di artiglieria (cosiddetto "particolare"), è alloggiato in una cupola di foggia simile a quella della postazione per mitragliatrice, ma di dimensioni inferiori: il suo "abitacolo" è infatti tale da poter ospitare una persona, provvista di collegamento telefonico col sottostante ricovero comando.
Entrambe le postazioni sono degli importanti testimoni del loro periodo storico, l a Guerra Fredda; delle soluzioni tecnologiche impiegate e di una talvolta trascurata componente dellastrategia di difesa allora adottata.

 

Tentano di introdursi nel Back Yard di Grezzana, ma il bunker "regge l'assalto"
Da veronasera.it del 8 febbraio 2021

Nel fine settimana alcuni ignoti hanno demolito con degli attrezzi un muro e forzata una griglia a difesa dell’ex base militare, venendo però respinti da uno degli accorgimenti presi dall'amministrazione comunale

Hanno demolito con degli attrezzi un muro e forzata una griglia a difesa dell’ex base militare  segreta situata all’interno del monte Vicino, a Grezzana, ma i bunkaroli (verosimilmente intenzionati a depredare reperti bellici o metalli) nel fine settimana appena trascorso sono stati fermati dalla piastra di metallo posizionata dal Comune in uno degli ingressi secondari proprio per impedire altre incursioni.

L'Amministrazione di Grezzana ricorda che le apparecchiature rimaste nell’ex postazione (progettata, costruita e diventata operativa tra gli anni Cinquanta e Settanta per contrastare il Patto di Varsavia durante la Guerra Fredda), contengono ancora del rame, ma nonostante sia dismessa dal 2000, l’ex stazione per le comunicazioni dell’Alleanza Atlantica denominata Back Yard (Giardino dietro casa) ha retto l’assalto del "nemico".
L’ingresso principale è sbarrato da una porta blindata installata dal Comune, a cui il Demanio ha ceduto gratuitamente la proprietà della fortificazione.

Qualche tempo fa, il sindaco di Grezzana Arturo Alberti ed il consigliere comunale Giovanni Avesani avevano organizzato un sopralluogo nell’ex presidio assieme a Claudio De Castro, coautore del libro “Viaggio nelle basi segrete della Nato – West Star e Back Yard”. West Star (Stella d’Occidente) si trova all’interno del monte Moscal, ad Affi, era il più grande bunker antiatomico d’Europa e fu dismesso nel 2007.

Oggi è di proprietà del Comune di Affi, dopo, anche qui, la cessione gratuita del Demanio.

 

Genova, bunker e cunicoli sotterranei nel Parco di Villa Duchessa di Galliera
Da ilsecoloxix.it del 8 febbraio 2021

Scout ed esperti del Centro Studi Sotterranei esplorano le gallerie costruite dai tedeschi della Wehrmacht

Di Andrea Carotenuto

Genova – Un gruppo di scout accompagnati dagli speleologi e ricercatori del Centro Studi Sotterranei alla scoperta dei segreti della fitta rete di bunker e cunicoli scavati dai soldati tedeschi, al di sotto del Parco di Villa Duchessa di Galliera ed ancora oggi in buona parte inesplorata.
Una giornata tra avventura e studio quella trascorsa dai ragazzi del Gruppo Scout Genova 49° in compagnia degli esperti che da anni studiano ogni anfratto naturale e artificiale della Liguria (e non solo) utilizzando criteri e metodologie specialistiche, in piena sicurezza e nel rispetto dei luoghi e delle normative.
Accompagnati nel Parco dai rappresentanti dell’associazione Amici di Villa Duchessa di Galliera e dell’APS Sistema Paesaggio, riuniti nell’ATI “Villa Galliera”, i ragazzi hanno seguito i consigli e la guida degli studiosi del Centro Studi Sotterranei, diretto da Stefano Saj che, fondato nel 1986 resta l’unico soggetto accreditato dal Comune di Genova per esplorare e mappare le cavità naturali ed artificiali di cui il territorio genovese è ricco. In particolare il gruppo, condotto da Ivan Greco, si è addentrato in una fortificazione da cui si accede attraverso uno stretto cunicolo in leggera pendenza e che consente il passaggio di una sola persona ed in posizione “accovacciata” sino ad un “pozzo” di profondo una decina di metri che conduce – con una scala ormai arrugginita e molto pericolosa – ai locali sottostanti e che si diramano in più direzioni sotto il parco.
Un reticolo di gallerie e cunicoli che facevano parte delle fortificazioni realizzate nel 1943 per la Wehrmacht tedesca che temeva uno sbarco massiccio di uomini e mezzi proprio sulla spiaggia di Voltri.
Il parco di Villa Duchessa di Galliera venne disseminato di punti di osservazione, casematte e bunker a prova di bombardamento aereo ma anche di una rete fittissima di cunicoli e gallerie che dovevano collegare le varie postazioni in modo da poter spostare uomini e armamenti senza uscire allo scoperto.
Per decenni i bunker sono stati luogo di giochi per generazioni di voltresi e poi, con il tempo, gran parte delle strutture più “pericolose” e al tempo stesso più affascinanti, è stata “chiusa” e nascosta ai più sino a “scomparire” dalla memoria storica.
Da qualche anno, con il preciso intento di studiare quel particolare periodo ma anche per organizzare un’occasione di attrazione turistica per il quartiere e la città tutta, diversi progetti sono stati avviati per “riscoprire” i bunker e per metterli in sicurezza, conservandoli, per poterli aprire alle visite guidate.
Quello dell’Urbex – il turismo legato a strutture abbandonate di particolare fascino o mistero - è infatti un fenomeno in crescita esponenziale nell’ambito delle “esperienze” da fare sul campo e l’occasione è imperdibile per una città che cerca costantemente di “destagionalizzare” il turismo. Tra rievocazioni storiche con divise, mezzi e figuranti e visite guidate alle fortificazioni, il parco della Villa Duchessa di Galliera ha suscitato un forte interesse.
“Con i ragazzi del gruppo scout abbiamo fatto attività di osservazione, documentazione e rilievo – spiega Andrea Casalino, presidente dell’associazione temporanea di impresa “Villa Galliera – ma il nostro primo obiettivo è di rendere visitabile parte del sito già il prossimo 25 aprile, Festa della Liberazione”. Un’occasione per ricordare la Storia di quei giorni poiché il palazzo fu teatro della resa del Comando locale della Wehrmacht alle forze partigiane della Resistenza attive in Voltri ma anche per verificare se è possibile unire il recupero culturale e della memoria a quella che può diventare una vera occasione di offerta turistica non per farne una semplice attrazione turistica”.
“Lo scopo del Centro Studi Sotterranei – ha spiegato Ivan Greco – è quello di mantenere il rigore storico e scientifico delle esplorazioni e il rispetto dei luoghi e della sicurezza. Purtroppo, sempre più spesso, assistiamo alla nascita di gruppi improvvisati di persone che entrano in cavità o esplorano strutture o addirittura case disabitate ma di proprietà di qualcuno, violando le leggi e mettendosi in pericolo. L’accesso alle strutture non è un gioco e va fatto nel modo corretto e affidandosi a esperti”.
I preparativi per le visite guidate in occasione del 25 aprile, tempo ed emergenza covid, proseguono. Chi desidera informazioni può contattare la mail info@villaduchessadigalliera.it o visitare la pagina Facebook della Villa dell’associazione Amici dei Villa Duchessa di Galliera o quella del Centro Studi Sotterranei.

 

La Batteria di Monte Moro – Visita al Bunker di Quinto
Da zenazone.it del 7 febbraio 2021

Se si vuole entrare nel bunker prestare attenzione, conviene munirsi di caschetto protettivo, guanti e luci in quanto l'illuminazione naturale vi è solo dagli ingressi.

di Davide Romanini

La batteria costiera di Monte Moro è, insieme alla batteria Mameli, e alla batteria di Punta Chiappa, uno dei principali complessi difensivi a protezione del golfo di Genova, si trova sulle pendici dell’omonimo Monte Moro e sovrasta Quinto al Mare all’altezza dei Giardini di Quinto, nel levante della città di Genova.
Il bunker di Quinto sul Monte Moro è un luogo ormai abbandonato ma è ancora possibile visitarlo seppure con estrema cautela.
La passeggiata in salita parte da corso Europa all’altezza del distributore di benzina che si vede all’inizio del video, un sentiero passa accanto all’antico cimitero di Quinto per poi salire sul crinale della montagna. Si tratta di un percorso abbastanza facile da fare prestando attenzione al terreno sconnesso, soprattutto nei punti iniziali sopra le fasce. Sono in ogni caso consigliate scarpe da trekking, abbigliamento resistente perché si possono incontrare dei rovi.
Se si vuole entrare nel bunker prestare attenzione, conviene munirsi di caschetto protettivo, guanti e luci in quanto l’illuminazione naturale vi è solo dagli ingressi.

Un po’ di storia

Il 9 febbraio 1941, Genova è minacciata dalla flotta navale inglese formata da un incrociatore da battaglia, da un incrociatore leggero, da una nave da battaglia, da sette cacciatorpediniere e da una portaerei. Alle 8.14 di mattina le navi da 19 km aprono il fuoco sulla città, un centinaio di colpi centra l’abitato. A causa dell’inefficienza dei calibri a quelle distanze, la batteria costiera Mameli, il Treno armato nº5 di stanza a Voltri e i due pontoni del porto rispondono senza riuscire a difendere la città.
Questa incursione navale mette in luce le carenze del sistema difensivo costiero, e soprattutto la mancanza di artiglierie di grosso calibro, così nel 1942 vengono scelte due località, una ad est ed una ad ovest della città. Furono scelte Arenzano a ovest e sull’altura di monte Moro nel quartiere Quinto al mare, la zona che abbiamo visitato.
Qui vennero installati pezzi da 152/45, e un pezzo binato da 381/40.
Dopo l’8 settembre, quando le truppe tedesche prendono il controllo di Genova e del suo sistema difensivo, iniziarono subito alcuni lavori di rafforzamento, le postazioni da 152 mm vennero protette dai bombardamenti aerei con casematte in cemento armato, sulle spiagge furono costruiti ostacoli anticarro, casematte per mitragliatrice, muri antisbarco, trincee.

Nacque così il nuovo sistema difensivo denominato “Vallo Ligure”.

La costruzione delle nuove opere fu rapidissima. Nel luglio del ’44 si pensò ad un imminente sbarco tra la Costa Azzurra e la Riviera Ligure, sbarco che in realtà avverrà in Provenza il 15 agosto.
La maggior parte delle fortificazioni e la Batteria di Monte Moro in questa occasione non subì attacchi navali, le uniche occasioni di combattimento furono offerte dai numerosi attacchi partigiani, a cui resistettero fino all’arrivo degli americani. Il 9 settembre 1943 il posamine Pelagosa non appena superò lo sbarramento minato che proteggeva l’imboccatura del porto di Genova venne inquadrato dal fuoco delle batterie costiere di Monte Moro, cadute nelle mani delle truppe germaniche. Centrato in pieno il Pelagosa affondò in circa 35 metri d’acqua, a un miglio e mezzo dalla spiaggia di Quarto dei Mille, quartiere del levante di Genova.
Il 24 aprile 1945, in seguito alla liberazione di Genova, il caposaldo venne cinto d’assedio dalle forze della Resistenza. Il comandante tedesco rifiutò di arrendersi e il 26 fece aprire il fuoco contro alcune unità navali alleate giunte vicino alla costa.

Ci fu il rischio che Genova fosse colpita dalla batteria, ma il 28 aprile dopo lunghe trattative vi fu la resa definitiva. [informazioni storiche tratte da Wikipedia]

 

Genova, progetto da 3,5 milioni per la valorizzazione dei forti collinari
Da ilsecoloxix.it del 6 febbraio 2021

Forte Puin dal sito del Comune di Genova

Sarà inserito nel programma triennale dei Lavori pubblici. Piciocchi: “L'obiettivo è predisporre una serie di interventi mirati per la riqualificazione di sentieri bianchi”. Prevista anche la realizzazione di una strada carrabile per mezzi di servizio

Genova - Approvato dalla giunta comunale di Genova, su proposta del vicesindaco e assessore alle Manutenzioni Pietro Piciocchi, dell'assessore allo Sviluppo delle Vallate Paola Bordilli e dell'assessore allo Sviluppo economico Turistico Laura Gaggero, il progetto di fattibilità tecnico economica dal valore di circa 3,5 milioni di euro per interventi di valorizzazione delle fortificazioni genovesi con sentieristica attrezzata e collegamenti tra città e vallate.
"Abbiamo redatto - spiega il vicesindaco Piciocchi - un progetto di fattibilità tecnico ed economico che sarà inserito nel programma triennale dei Lavori pubblici. L'obiettivo è predisporre una serie di interventi mirati per la riqualificazione di sentieri bianchi che collegano l'entroterra genovese e che oggi si trovano in una situazione non adatta alla fruizione da parte degli escursionisti, dopo anni di totale abbandono di alcuni circuiti di particolare pregio per il collegamento tra la città e le fortificazioni storiche".
Tra gli interventi previsti: la valorizzazione dei collegamenti bianchi tra il Righi, il crinale Val Polcevera-Val Bisagno e il Valico di Trensasco con percorsi sentieristici pedonali, la predisposizione di un percorso carrabile accessibile per mezzi a esclusivo servizio della manutenzione e della stabilizzazione dei versanti a rischio frane ed erosione, l'insediamento di attività ricreative e collegamento ad attività di produzioni di artigianato locale.
"Le nostre vallate - dichiara l'assessore Bordilli - sono al centro di una profonda riscoperta da parte dei genovesi e possono rappresentare un polo eccezionale di interesse anche per la promozione delle attività di tipo artigianale e di tradizione locale. L'inserimento nel Piano triennale dei Lavori pubblici di interventi manutentivi sui percorsi consente di attivare azioni concrete per la difesa del nostro entroterra, anche dal punto di vista idrogeologico. Inoltre, recuperare e valorizzare i percorsi che collegano i quartieri alle vallate significa anche riappropriarci della nostra identità culturale, diffondere la conoscenza della cultura locale e delle produzioni tipiche dell'entroterra, tutelando le imprese, spesso con una lunga tradizione alle spalle, presenti e che danno occupazione". Tra le azioni comprese negli interventi di valorizzazione delle fortificazioni genovesi, anche l'individuazione di percorsi sentieristici pedonali attrezzati per favorire l'accesso del turismo, collegamento con altri percorsi culturali di rilievo come l'Acquedotto storico in Val Bisagno.
"I percorsi di crinale delle vallate genovesi - commenta l'assessore Gaggero - attraversano paesaggi straordinari, con panorami mozzafiato e rappresentano un'offerta diversificata che incontra i gusti e le esigenze di chi vuole fare una passeggiata in relax, degli escursionisti e degli appassionati di trekking. Con l'emergenza Covid, abbiamo ripensato l'offerta turistica della nostra città e già questa estate abbiamo puntato con successo sull'outdoor e su itinerari escursionistici dei Forti e dell'Acquedotto, la scoperta dell'entroterra della dimensione verticale di Genova dal mare ai forti. Con l'installazione di segnaletica sulla sentieristica e una manutenzione dei percorsi saranno sicuramente favorite nuove forme di turismo con ricadute importanti per il nostro entroterra".

 

Le torri costiere e l’Ipogeo di Torre Pinta
Da laterradipuglia.it del 5 febbraio 2021

Proseguendo la nostra passeggiata nella città di Otranto e nei suoi dintorni, non possiamo esimerci dal consigliare una passeggiata verso le torri costiere ed una visita all’Ipogeo di Torre Pinta. Conosciamo più da vicino questi bellissimi retaggi dell’intensa e vivace storia della Terra d’Otranto.

Le Torri Costiere

Tutto il litorale sia a nord che a sud di Otranto è punteggiato da innumerevoli torri costiere, alcune delle quali perfettamente conservate, altre meno, volute da Carlo V nel secolo XVI ed edificate a scopo difensivo nei confronti delle incursioni saracene. Tra le torri più note menzioniamo Torre Fiumicelli, Torre Santo Stefano, Torre del Serpe (https://www.laterradipuglia.it/2021/arte-cultura/la-leggenda-della-torre-del-serpenteotranto.htm), Torre dell’Orte, Torre Sant’Emiliano. Sono invece andate distrutte nell’Ottocento Torre Palascia e Torre Badisco. Proseguendo, troviamo la celebre Grotta dei Cervi (https://www.laterradipuglia.it/2020/notizie/la-grotta-dei-cervi-in-salento-cose-e-perchesi-chiama-cosi.htm), scoperta nel 1970. La grotta è molto simile a quelle di Palmira (Spagna) e a quelle di Ezil (Etiopia) e conservano reperti di enorme valore paleolitico.

L’Ipogeo di Torre Pinta

Al di sotto di Torre Pinta, nella Valle Delle Memorie, è stato rinvenuto, nel 1976, un ipogeo, la cui datazione è del tutto incerta. Alcuni studiosi ritengono che potrebbe risalire al Neolitico, ma che probabilmente avrebbe trovato altre e diverse funzioni nel corso della storia.

 

GRUNEMBERGH: L’INGEGNERE FIAMMINGO CHE VISSE E OPERÒ A MESSINA. CONVEGNO ON LINE
Da tempostretto.it del 4 febbraio 2021

Nell’ambito delle iniziative di recupero dell’importante storia del monumento messinese di San Giovanni di Malta portate avanti dall’Associazione Aura, presieduta da Francesca Mangano, nasce l’idea di commemorare per la prima volta il grande ingegnere militare Carlos de Grunembergh che nel 1696 vi fu sepolto al termine di una brillante carriera che lo vide impegnato in varie località d’Europa e poi in particolare in Sicilia ed a Malta.
Il convegno online, che andrà in diretta sulla pagina facebook dell’Associazione Aura, si svolgerà mercoledì 10 Febbraio 2021 a partire dalle ore 18.00 nel ricordo del 325° anniversario della morte e nel 350° dell’arrivo in Sicilia del grande ingegnere militare fiammingo. Si alterneranno vari studiosi che affronteranno nel dettaglio i vari aspetti dell’attività ingegneristica di Grunembergh in Sicilia e Malta.
Relazioneranno: Franz Riccobono, membro del Consiglio Regionale dei Beni Culturali, su: “La Real Cittadella di Messina”; Giuseppe Carrabino, Assessore alla Cultura del Comune di Augusta, su: “In quel di Augusta”; Stephen C. Spiteri, Research Coordinator of the Restoration Directorate of Malta, su: “Nell’Isola dei Cavalieri”; Salvo De Luca, storico del territorio etneo, su “Alle pendici dell’Etna”, Luigi Amato, docente all’Accademia di Belle Arti di Palermo, su “Nella città di Archimede” e Michele Palamara, Vice Presidente Ordine Architetti Messina, su: “Torri Costiere di Sicilia fra XVI e XVII”. I lavori verranno introdotti da Francesca Mangano Presidente dell’Associazione Aura e moderati da Marco Grassi storico dell’Università Lumsa sede di Palermo. Darà un saluto iniziale l’assessore regionale ai beni culturali ed identità siciliana Alberto Samonà che ha concesso anche il patrocino gratuito. Porgerà un suo saluto anche Mons. Angelo Oteri Rettore della Chiesa di San Giovanni di Malta e Carlo Marullo di Condojanni Delegato Granpriorale dell’Ordine di Malta. Concluderà la conferenza Michaela Stagno d’Alcontres Vice Presidente Nazionale dell’Istituto Italiano dei Castelli.

L’evento online gode altresì del patrocinio gratuito del Comune di Augusta (SR) e dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Messina e della collaborazione dell’Associazione Amici del Museo di Messina, dell’Istituto Italiano dei Castelli, della Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali – Sede di Messina, del Museo del Tesoro di San Placido – Chiesa di San Giovanni di Malta, del Club per l’Unesco di Messina, dell’Associazione Inside Messina, della Società Augustana di Storia Patria e dell’Associazione Compagnia Rinascimentale della Stella.

Carlos de Grunembergh fu chiamato a lavorare in Sicilia per rafforzare le difese costiere dal Vicerè, suo conterraneo, il principe Claude Lamoral de Ligne. L’architetto militare era colonnello di artiglieria e, come il fratello Ferdinando, era considerato uno dei maggiori esperti di fortificazioni. Nato a Colonia intorno al 1636, da nobile famiglia originaria della Vestfalia, intraprese giovanissimo gli studi a Parigi. La prima notizia relativa a Carlos de Grunenbergh in Spagna è del 1656 dove giunge col titolo di “Coronel de Alemanes”. In seguito si hanno notizie del Grunembergh in Galizia dove insieme al fratello tra il 1662 ed il 1666, ne migliorò il sistema difensivo, restaurando e ricostruendo le fortificazioni esistenti. Gli stessi fratelli poco tempo dopo presentarono alla reggente Marianna d’Austria un progetto di realizzazione di un canale laterale per rendere navigabile i fiumi Manzanarre, Jarama e Tago. Nel 1669 furono attivi in Italia nello Stato dei Presidii e nel Regno di Napoli. Quindi nell’estate del 1671 Carlos de Grunenbergh arrivò in Sicilia dove non si sposterà più, rimanendo attivo fino alla morte, e scegliendo come residenza stabile Messina.

Su incarico del Viceré Claude Lamoral di Ligne revisionò il sistema difensivo della costa orientale dell’Isola che era ritenuto il più debole. Tutti i progetti di questi anni di Carlos de Grunenbergh sono quasi integralmente conservati presso l’Archivio General de Simancas di Valladolid. La prima opera a firma dell’architetto fiammingo in Sicilia si trova in Sicilia Occidentale, la celebre Torre de Ligny di Trapani del 1671. A seguire propose soluzioni per migliorare le difese di Catania, Augusta e Siracusa. Il sistema difensivo proposto dal Grunembergh prevedeva la realizzazione di opere esterne, quali rivellini, mezzelune, opere a corno con una teoria di canali e fossati che prendevano spunto dall’architettura militare di ambito francese e olandese. Nasce così la cinta bastionata di Augusta il cui progetto fu redatto già nel 1671, ma i lavori procedettero lentamente in varie fasi, e a partire dal 1673 le fortificazioni di Siracusa. In contemporanea fu chiamato a Malta, su espresso invito del Gran Maestro il calabrese Gregorio Carafa dei Principi della Roccella, ove revisionò le fortificazioni e fece apportare delle modifiche attraverso numerosi progetti e relazioni. Sua è la ricostruzione del Forte Sant’Angelo, come documentano le varie epigrafie ed i suoi stemmi posti nelle porte d’ingresso. Molto apprezzata fu dai cavalieri melitensi la sua opera tanto da ammetterlo nello stesso Ordine col grado di Cavaliere di Grazia. Richiamato in Sicilia progettò e diresse i lavori di costruzione della Real Cittadella di Messina ed in seguito collaborò con il Giuseppe Lanza Duca di Camastra per la ricostruzione di numerosi centri siciliani distrutti nel terremoto del 1693.

Carlo de Grunemberg si stabilirà definitivamente a Messina ove era riconosciuto come uomo pio e caritatevole, elargendo ampi donativi ad orfani, poveri e nobili decaduti. Il celebre architetto morirà il 3 Febbraio 1696 all’età di settant’anni. Essendo cavaliere di Malta, il suo funerale si tenne nella chiesa granpriorale di San Giovanni di Malta, ove fu pure sepolto alla presenza dell’intero Capitolo Melitense. Il suo sepolcro, insieme a tanti altri, è stato travolto dalla furia del terremoto del 1908 e dalla ricostruzione.

 

“I CASTELLI DEL BELLUNESE”. LIBRO DOPO IL CONVEGNO DEL 1989 A MEL
Da radiopiu.net del 3 febbraio 2021

La copertina della pubblicazione; disegno di Alberto Alpago Novello del Castello di Zumelle; scorcio del castello dall’antico mulino

Di RENATO BONA

BELLUNO  Un’annata decisamente florida, il 1989, per la stampa di volumi su persone, storie, situazioni, paesi della provincia di Belluno. Se ne ha una conferma anche dall’iniziativa dell’Editrice libreria Pilotto di Feltre che nel dicembre dell’anno accennato dava alle stampe con il contributo della Cassa di risparmio di Verona, Vicenza, Belluno ed Ancona e per i tipi della Grafiche Longaronesi, il libro (in sovracopertina il disegno di Ornella Fiabane; fotografie di: Adriano Alpago Novello, Marino Baldin, Sergio Pivetta, Anna Tazzara, Dario Tonet, Claudia Trevissoi e Mauro Vedana): “I castelli del Bellunese”. Fu opera di Bruno Fontana (architetto, docente, funzionario tecnico del Comune di Mel) e Dario Dall’Olio (artista, scrittore, collaboratore di giornali ed emittenti varie), che si sono avvalsi delle preziose collaborazioni dei dottori: Luisa Alpago Novello, ispettrice onoraria della Sovrintendenza ai beni archeologici della Lombardia; Enrico Perego, presidente dell’Ordine degli architetti di Belluno; Mauro Vedana, tecnico della Commissione Beni ambientali e collaboratore dell’Istituto italiano dei Castelli; Marino Baldin, funzionario della Sovrintendenza ai beni architettonici ed ambientali di Venezia; Mirco Minella, libero professionista e presidente del Gruppo Minella ingegneria; Eldo Candeago, consulente dell’Amministrazione provinciale bellunese. Furono utti relatori nel convegno sul tema dei Castelli bellunesi che si era svolto nel Palazzo delle Contesse di Mel a cura della Comunità montana bellunese, col patrocinio della Regione Veneto e della Provincia di Belluno e la tangibile partecipazione anche di aziende private.

Ma quali sono questi Castelli? Partiamo da quello di Zumelle (sul quale aveva relazionato nel convegno Luisa Alpago Novello): “miracolosamente conservatoci nei successivi domini romani, gotici, bizantini, longobardi, di varie signorie medievali, teatro di leggendarie imprese, muto testimone di epici fatti e di umili eventi nel corso di due millenni” come affermava l’allora assessore alla cultura della Comunità montana Bellunese, Luigino Boito”. Il quale aggiungeva: “… vivi ancora nel nome malgrado l’usura degli eventi e del tempo, Castelvint e Casteldart; certamente abitato il primo, per eloquenti testimonianze archeologiche, da Bizantini e Longobardi. Distrutto il secondo nel 1193 per gli eventi bellici che ispirarono ad un anonimo Trovatore gli endecasillabi del ‘Ritmo Bellunese’, agli albori della letteratura italiana. Ecco infine, sul Colle di Sant’Anna, a Castion di Belluno, il castello che dominava la Valle ad est, i cui ruderi sono fortuitamente venuti alla luce pochi anni or sono”. Boito concludeva così: “Né dobbiamo dimenticare il medievale castello di Belluno, che ci appare imponente nelle raffigurazioni rinascimentali e di cui ci rimane esile traccia, il volto dei sotterranei che fiancheggia il palazzo delle Poste nel capoluogo…”. Poi il Castello di Feltre (relatore Enrico Perego): “… aveva quattro torri angolari, l’unica che ci resta è quella che sovrasta la piazza Maggiore ed è detta Torre dell’orologio.

La rocca era l’apice di tutto il sistema difensivo intorno alla città costituito dalla cinta muraria con le tre porte principali e le piccole Torri a difesa dei punti più vulnerabili…”. Richiamava quindi gli altri castelli del Feltrino: quello del Misso, vicino al fiume dello stesso nome, della famiglia Rainona e poi della da Camino; il San Martino della famiglia Bellati, vicino al precedente; quello di Paderno e poi quello di Cergnajo; ancora: castello di Marsiajo dei Corte, di Bivajo dei Teupona, di Anzaveno sopra la riva del torrente Salmenica degli Anzavena; quello di Cesiomaggiore della famiglia Cesio poi detta Muffona, quello di Cesiominore; il Tussujo posseduto dai Bovia; ce n’è ancora: il castello di Caliolo, quello di Puliro dei Bellencino, poi il castello di Soranceno che fu della famiglia Grina; Arsomo dei Facini, di Laseno, di Lusa, di Grumo, di Casazza, di Pezzolo, di Nemeggio, di Celarda, di Cesana, di Castelcucco, di Lusena, di Pedavena dei Bovia, di Tornabulo, di Carpene, di Coste, di Altorre, di Mugnajo, di Arteno, di Encino, di Fomzasio, quello della Rocca di Arsedo, di san Donato di Lamone, di Servo dei Fallero, di San Vittore sopra il Miesna, quello della Chiusa, di Valvarosna, quello del Covolo, della Scala). Tocca a quello di Belluno (Mauro Vedana: “La prima notizia certa sulle mura è riferita alla cinta costruita attorno al 980 dal vescovo Giovanni Tassina: “fece fortificare la cittade circondandola di muraglie e fosse; operò che gli cittadini… fabbricassero torri di molta altezza… (G. Piloni). Vediamo dalla ricostruzione che sul lato nord, a destra e a sinistra, ci sono due elementi chiusi, due castelli.

Il lato debole (con assenza di barriere naturali) è appunto questo e a ciò viene sopperito con la costruzione di due castelli: uno all’estremità nord-ovest (detto il Castello) ed uno a quella nord-est (detto il Doglione). Tra i due una spessa muraglia, con torri ravvicinate ad un antistante fossato garantiscono la difesa della città”…).
Infine il castello di Andraz (Marino Baldin: “Il castello di Andraz sorge in uno sperone roccioso in posizione dominante la vallata, luogo strategico per il controllo delle vie provenienti da sud, da Marebbe attraverso Valparola e Pralongià, da Ampezazo attraverso la sella di Falzarego. Da tale posizione e3ra possibile traguardare la Rocca di Pietore, a sua volta collegata visivamente ad altre fortificazioni (Avoscan, Selva di Cadore) che permettevano il totale controllo della strada che salendo da Agordo attraversava l’area dolomitica per giungere in Pusteria… Certamente il castello fu in età medievale un importante baluardo strategico-militare e, soprattutto dopo il ‘500, fu utilizzato per garantire gli interessi economici del Vescovo messi in pericolo dalla politica espansionistica di Venezia alla ricerca di nuovi sbocchi nell’entroterra veneto. La zona dolomitica era infatti notevolmente appetibile data la presenza di materie prime essenziali quali i legnami da costruzione e da ardere e per l’attività estrattiva…”)

 

Valorizzare le casematte sul territorio comunale di Milazzo, mozione del consigliere Antonio Foti
Da 98zero.com del 3 febbraio 2021

Milazzo – Valorizzare le casematte presenti sul territorio comunali, ubicate soprattutto sul lungomare di Ponente. E’ il contenuto di una mozione presentata dal Consigliere Comunale, Antonio Foti.

Il documento impegna la Giunta Comunale a trasmettere atto di indirizzo agli uffici per la riqualificazione dei bunker militari, tenuto conto della proposta progettuale illustrata in una riunione al Comune, tenutasi il 23 marzo 2015, e infine anche predisporre e stipulare apposito protocollo d’intesa tra la Soprintendenza e il Comune. Il Consigliere Foti riporta inoltre, nel corpo della mozione, il D.D.G. n. 1774 del 23 giugno 2015 dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana nel quale il manufatto “Bunker (postazione militare) situato in località Angonia veniva dichiarato di interesse culturale.

“Un’idea interessante quella presentata nel marzo 2015 dall’ex assessore ai Beni Culturali Dario Russo alla presenza della Soprintendenza di Messina sulla rifunzionalizzazione dei bunker militari presenti sul territorio comunale – afferma Foti – che ritengo giusto riprendere coinvolgendo magari gli istituti scolastici cittadini come l’Istituto d’Arte per una riqualificazione culturale di alcune delle opere di fortificazione utilizzate durante l’ultimo conflitto mondiale attraverso un concorso di idee che richiamerebbe numerosi artisti. L’intento è quello di produrre interventi qualificati di land art e di percorsi di bike touring”.

 

Porta Nuova torna agli antichi fasti: è il primo restauro sponsorizzato
Da larena.it del 3 febbraio 2021

Sono passati 20 anni dagli ultimi lavori di pulizia e disboscamento delle erbacce, Porta Nuova (Verona) si meritava un restauro profondo. E dopo oltre un anno di cantiere, la porta è tornata oggi finalmente visibile ai cittadini in tutta la sua bellezza. A settembre erano stati tolti i teli dalla facciata del monumento che guarda verso il corso, oggi è stata la volta degli altri tre lati, pronti per mostrarsi ai cittadini e ai turisti che presto torneranno a Verona. I lavori del corposo restauro che ha interessato la principale porta d'ingresso cittadina sono infatti definitivamente finiti. Iniziati nell'ottobre 2019, avrebbero dovuto concludersi entro l'estate scorsa. Tuttavia, lo stop forzato causato dal Covid e le limitazioni imposte dalla pandemia, hanno ritardato solo di qualche mese la consegna dell'opera, grazie anche ad una forte accelerata sui tempi del cantiere.
La Porta di ingresso alla città è stata protagonista del primo restauro con sponsor realizzato su un monumento cittadino. Il tutto, a costo zero per il Comune. Le spese del restauro sono state infatti a carico del Raggruppamento temporaneo che si è aggiudicato il bando per la sponsorizzazione tecnica riguardante l'intervento di Porta Nuova, con a capo la ditta The Media S.r.l., leader a livello nazionale nel settore sponsor, Tieni Costruzioni 1836 S.r.l. incaricata dell’esecuzione dei lavori e DMA Associati S.r.l. per la parte dei servizi tecnici. Circa un milione di euro il costo dei lavori, progettazione compresa. Il progetto di conservazione e valorizzazione è stato vagliato dalla Soprintendenza, che ne ha seguito l’evoluzione per gli aspetti di competenza.

Questa mattina il sindaco Federico Sboarina e l’assessore ai Lavori pubblici Luca Zanotto, il soprintendente Vincenzo Tinè e l'ing. Francesco Tieni per la ditta Tieni Costruzioni sono andati in sopralluogo: «Un recupero davvero bellissimo e naturale, che ha ridato a Porta Nuova il suo antico splendore ma preservandone le caratteristiche originali – ha detto il sindaco-. E’ un intervento a cui tenevamo parecchio e che abbiamo realizzato nonostante i mesi di difficoltà legati alla pandemia». «Stiamo già ragionando sugli interni, su come procedere per un restauro che riguardi Porta Nuova nella sua totalità, l’ideale sarebbe utilizzare la formula della sponsorizzazione anche per questi spazi. L’obiettivo finale è certamente quello di aprire il monumento al pubblico», spiega Zanotto.