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ANNO 2021

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Monte Chaberton da Batteria Alta - VALLE SUSA
Da piemontealps.it del 29 aprile 2021

Una delle torri con sullo sfondo il Rocciamelone

Di Erika Ambrogio

Partenza: Claviere (TO) 1760 mt
Quota massima: Monte Chaberton 3130 mt
Dislivello complessivo : circa 1500 mt
Difficoltà: F+/PDGiro
ad anello: si
Note tecniche: salita senza grosse difficoltà tecniche ma nella parte finale presenta dei tratti esposti e passaggi di primo e secondo grado. Giro ad anello. E’ possibile visitare il forte ed altre opere del Vallo Alpino presenti nella zona.

Storia in breve: la Batteria dello Chaberton o Forte dello Chaberton è situata in territorio francese dal 1947 a seguito del trattato di pace. E’ la struttura difensiva più alta delle Alpi . I lavori furono avviati nel 1898 sotto la guida del maggiore del Genio Luigi Pollari Maglietta. Fu completata tra il 1914 ed il 1915 . Durante la prima guerra mondiale il forte fu disarmato ed i cannoni della batteria furono trasportati sul fronte orientale. Questo perché il Regno d’Italia si era alleato a Francia, Russia ed Inghilterra. Durante il fascismo fu nuovamente armato.La batteria dello Chaberton assunse la denominazione di batteria 515a GaF Nel 1940 la fortezza divenne attiva attaccando la Francia, ma quest’ultima il 21 giugno del 1940 attaccò a sua volta lo Chaberton e con degli obici mise fuori uso 6 delle 8 torrette.Anche la teleferica venne distrutta. Dopo il trattato di pace del 1947, la Francia ordinò lo smantellamento del forte.

Casamatta B14

Descrizione:
Finalmente si parte: non vedo l’ora di salire in vetta al Monte Chaberton e visitare il forte.
Arrivati a Claviere da Cuneo, subito dopo le prime abitazioni parcheggiamo l’auto e ci avviamo per una stradina, sulla nostra destra, il cui cartello indica “Sentiero Batteria Alta/Madonnina”. Dopo pochi passi un altro ci precisa “ Batteria Alta h 1,30”.
Ci addentriamo così nel sentiero che attraversa una foresta costituita essenzialmente da pini di varie tipologie. Innalzandoci possiamo scorgere tutto l’abitato di Clavière. Intanto il sole sta sorgendo. Procediamo per il ripido sentiero, mentre il cielo si fa sempre più chiaro ed azzurro.
Più avanti scorgiamo un opera, la prima sul nostro cammino. E’ la B14 (610a GaF), un’opera costruita in caverna realizzata tra il 1931 ed il 1932 che a seguito del trattato di pace è passata in territorio francese e non è quindi stata distrutta. Per paura di non trovare l’ingresso e non sprecare tempo, visto che il giro programmato è piuttosto lungo, entriamo della feritoia della casamatta. Come per altre opere è presente la piastra corazzata che chiudeva la feritoia dell’arma. Iniziamo la nostra esplorazione: l’Opera è grandissima e molto complessa. In alcuni tratti la volta risulta lesionata per cui cerchiamo di non soffermarci troppo in quelle zone. Girovagando capiamo che l’ingresso principale doveva essere quello in cui davanti è presente un muretto in pietra a secco.

Polveriera B14

Poco lontano appare una scaletta a pioli. Incuriositi saliamo ed arriviamo ad un piccolo locale che ospitava la fotofonica. Poi scorgiamo il basamento su cui alloggiavano le cisterne dell’acqua, il ricovero con alcune staffe di ferro, un altro con alcune prese d’aria . Nell’opera sono presenti numerose scale che ci permettono di andare da un livello ad un altro. Giungiamo poi al locale cucina, dove sono ancora presenti alcune tubazioni dell’aria filtrata ed una nicchia con un vecchio ripiano in legno. Le casematte che contiamo sono in totale quattro più un osservatorio in cui sono presenti delle staffe che quasi sicuramente servivano per sostenere i telefoni. Dalla feritoia dell’osservatorio possiamo volgere lo sguardo su tutto il vallone del Rio Gimot. Percorrendo l’opera perveniamo altresì alla polveriera ottocentesca in mattoni. E’ strano veder quella zona molto più simile ai giorni nostri, molto più curata nei dettagli, con probabili vetri a doppio infisso.

Uscendo dall’opera e tornando sulla traccia iniziale possiamo scorgere le prese d’aria ed i camini di aerazione della Batteria Alta. E’ bene prestare attenzione perché questi camini sono privi di protezione ed è quindi probabile che ci si cada dentro. Poco dopo raggiungiamo la Caserma della Batteria Alta du Petit Vallon (2185 mt) e la cabina elettrica: la visita è veloce. Poco avanti scorgiamo lo schieramento in barbetta. Proseguiamo sul sentiero evidente e saliamo di dislivello raggiungendo la cresta che ci permetterà di arrivare sotto la parete dello Chaberton.

Visto il luogo dove ci troviamo indossiamo il casco. Da qui seguiamo un esile traccia proprio sotto l’imponente Chaberton: attaccati alla parete possiamo notare ancora alcuni pali di legno e delle parti in metallo appartenenti alla vecchia teleferica. Quest’ultima partiva da Cesana Torinese, arrivava in prossimità della sesta torre ed era adibita solo al trasporto dei materiali. Interessante sapere che i cavi portanti della teleferica sorreggevano il cavo elettrico che alimentava la Batteria e le varie opere fortificate poste a difesa del Colle Chaberton.

Scorgiamo una freccia rossa che ci indica la direzione del percorso. Sono presenti anche degli spit utili per legarsi. Noi avanziamo, seguendo dei bollini rossi in alcuni punti, ed ad intuito in altri. I passaggi sono tutti di primo grado, massimo di secondo, senza a mio parere difficoltà particolari. Ovvio che è necessaria molta cautela in quanto anche una banale caduta ci porterebbe a scivolare giù lungo l’intera parete. Inoltre per chi soffre di vertigini, sicuramente è meglio evitare questa via di accesso allo Chaberton.

Cima dello Chaberton e Centro 112

Prestando attenzione al pietrisco sotto le rocce, agli sfasciumi, raggiungiamo i pali della teleferica, alcuni canaletti ed una corda che ci agevola nello superare un masso. Proseguiamo aiutandoci con le mani e finalmente raggiungiamo la vetta del Monte Chaberton a 3130 mt. L’emozione è tanta, era da parecchio tempo che desideravo salire qui in cima. Se solo non ci fossero quei nuvoloni si godrebbe di un panorama unico a 360°. Non importa, siamo qui a respirare aria di libertà ed ad approfondire un’altra parte della nostra storia. Sulla spianata è ancora presente del filo spinato. A destra appaiono le otto torri. Tante volte ho provato ad immaginarmi il forte dello Chaberton, ma da qui vicino è davvero impressionante.

Scendiamo a ci avviciniamo alle famose torri in mattonelle di cemento. Entriamo all’interno di una di esse: sono presenti delle scale elicoidali in metallo . Sopra la torre sono ancora ben evidenti le enormi viti prigioniere dove alloggiava la casamatta girevole ed al cui interno era posizionato il cannone costruito dall’Ansaldo. Scendiamo ed arriviamo sul piazzale dello Chaberton.
Sono rapita ed affascinata dall’imponenza di questo forte: entriamo all’interno dello stesso attraverso un grosso portone. Scorgiamo subito il locale cucina e quello viveri ed un vecchio telefono e poi attraverso un corridoio raggiungiamo il passaggio per la polveriera. Appare una prima rampa di scale equipaggiata a destra con mancorrente ed a sinistra con il sistema di trasporto dei proiettili. La seconda rampa è completamente ghiacciata. Era dotata di un binario porta proiettili che è coperto dal ghiaccio: si dice che gli artiglieri chiamassero questa zona “galleria del ghiaccio”.

Subito siamo tentati di indossare i ramponi che ci eravamo portati ed a volgere lo sguardo più in basso, ma poi per fortuna la mia parte razionale mi suggerisce che è pericoloso e di lasciar perdere.
Così, un po’ delusi, risaliamo le scale ed iniziamo il tour all’interno . Nel locale generatori è presente la carcassa di un vecchio motore, nel locale adibito a legnaia dei contenitori in eternit per l’acqua. Poi è un alternarsi di riservette delle torri e di camerate, alcune delle quali munite di tramezzi e le cui pareti appaiono ancor colorate. In una di queste è visibile questa scritta “quando il cannone tuona è la patria che chiama”.
Perveniamo ad una torretta dove è presente il locale latrine, mentre al piano superiore dovevano esserci dei pannelli elettrici ed il trasformatore del forte. A questo punto non ci resta che cercare le due uscite situate praticamente sotto lo Chaberton.
Entriamo nell’uscita definita “2” o di “sinistra” e procediamo fino a quando arriviamo ad un punto in cui è chiusa. Da un piccolo foro in basso a destra possiamo notare la presenza di acqua e ghiaccio. In una zona della galleria è anche presente un’apertura che mi risulta essere stato il punto di osservazione della Batteria.
Usciamo ed andiamo a verificare l’uscita “1” o di “destra”. E’ praticamente ostruita dal ghiaccio. Forse riusciremo a passare strisciando sullo stesso, ma non conoscendo la struttura dello Chaberton optiamo per non proseguire ed evitare di finire chissà dove. Purtroppo affrontando il discorso con una persona esperta del Vallo Alpino ho poi saputo che quello era l’unico modo per raggiungere la galleria delle centine. Vorrà dire che dovrò tornare lassù.
Sul lato destro della montagna sono presenti altre strutture : la casermetta ufficiali con il tetto completamente ceduto e la casermetta della truppa, anch’essa molto deteriorata in cui è possibile notare ancora alcuni particolari come la cisterna dell’acqua, il soffitto ed il pavimento in legno e dei comignoli. Facciamo anche una visita presso la finestra della polveriera che risulta però completamente ostruita dal ghiaccio. Decidiamo di scendere dallo Chaberton per la via denominata normale, ovvero la mulattiera che parte da Claviere per compiere un giro ad anello. I fianchi della montagna sono invasi da filo spinato. Passiamo davanti al Corpo di Guardia e poco dopo scorgiamo in lontananza qualche muretto distrutto: sono quelli del Ricovero 2, il primo che vediamo, e del Ricovero 1. Superiamo quindi il Colle dello Chaberton ed avvicinandoci al Ricovero 2 notiamo nella parete della Punta Trois Scies delle feritoie.

Le otto torri dello Chaberton

Le raggiungiamo sperando di poter entrare da quelle, invece i buchi sono troppo piccoli per permettere il nostro passaggio. Girovaghiamo su e giù tra le rocce in cerca di un ingresso, senza esiti positivi, pensando che forse qualche scarica di pietre lo abbia coperto. Un vero peccato, sopratutto non essersi informati prima di ciò che c’era intorno allo Chaberton. Saprò inseguito che si trattava del Centro 111 e che l’ingresso si trovava praticamente sulla labile traccia che avevamo percorso per andare alla feritoie
Volgendo lo sguardo per ritornare verso il Colle delle Chaberton (2690 mt), ecco che con stupore notiamo altri due malloppi, proprio nelle vicinanze di dove, mezz’ora prima, eravamo passati. E’ il centro 112, un’ opera in caverna realizzata tra il 1931 ed il 1932.

Nonostante il tempo stringa, non resistiamo e lo visitiamo. Entriamo attraverso una scaletta in ferro in una botola di accesso e davanti troviamo subito un enorme portone in metallo, tenuto aperto dai massi e dalla terra che sono caduti dall’alto. Nell’ingresso e nei successivi corridoi notiamo che le tubazioni sono state installate. Vediamo sulla nostra destra il locale generatori e successivamente approdiamo nel locale ricovero: interessanti i raccordi per le condense. Perveniamo al malloppo per la mitragliatrice dove è presente anche la fotofonica posta in direzione dell’Opera 111.
Il tempo oggi è trascorso troppo in fretta, ma è ora di affrontare la “via normale” e tornare a Claviere.

Camminiamo fino al colle dello Chaberton e ci dirigiamo in direzione Clavière. Si tratta di una vera e propria escursione, semplice semplice, ed infatti sono molto le persone che incontriamo. Giungiamo ad un altro segnavia presso le Plateau des Baisses (2137 mt). In lontananza vediamo già qualche palazzo, ma la strada è ancora lunga.
Proseguiamo fino a raggiungere un per così dire “incrocio” presso Bergerie des Baisses (2080 mt) e seguiamo il sentiero con indicazione Claviere per Rio Secco. Dopo circa 2,5 km perveniamo nei pressi dell’abitato: l’intensa giornata è quasi al termine. Non ci resta che rifocillarci e tornare a casa.

 

 

Lanciato con successo un missile balistico M51 francese
Da aresdifesa.it del 29 aprile 2021

Di Giacomo Cavanna

La Direzione Generale degli Armamenti (DGA) francese ha lanciato con successo un missile balistico SLBM (Submarine Launched Ballistic Missile) M51 dal poligono di Biscarosse.

Il missile ha eseguito correttamente la sequenza di lancio terminando il volo dall’altra parte dell’oceano atlantico.

Le zone di caduta dei tre stadi dell’M51 e del veicolo di rientro sono stati segnalati anzitempo da appositi avvisi alla navigazione.

Ad inizio mese il Bâtiment d’Essais et de Mesure Monge (A601) della Marine Nationale, unità specializzata nel controllo e raccolta durante test missilistici, era stato avvistato presso la base navale di Norfolk.

RC-135S Cobra Ball

Gli americani non sono rimasti certamente con le mani in mano ed infatti ad osservare il lancio francese è stato “attenzionato” da un RC-135S Cobra Ball dell’United States Air Force (USAF) specializzato in MASINT (Measurement and Signature Intelligenceche grazie a speciali strumenti elettro-ottici è in grado di analizzare la traiettoria di oggetti/veicoli a grandi distanze.

M51

 

Missile M51 mentre viene caricato sul sottomarino Le Vigilant della classe Triomphant (Fonte: Marine Nationale)

Il missile M51 è stato sviluppato da ArianeGroup per essere impiegato dai sottomarini della classe Triomphant.

Può raggiungere una gittata compresa tra 8.000 e 10.000 chilometri con un carico variabile di 6-10 testate nucleari a rientro indipendente TN 75 da 100 chilotoni.

Ogni battello della classe Triomphant può trasportare fino a 16 missili M51.

 

Rete delle Fortificazioni: assemblea ad Alessandria. Presentato il logo della Rete dei Forti italiani
Da cronacatorino.it del 28 aprile 2021

Incontro a Palazzo Cuttica ad Alessandria, mercoledì 28 aprile, delle dodici realtà che compongono la Rete delle Fortificazioni

Incontro a Palazzo Cuttica ad Alessandria, mercoledì 28 aprile, delle dodici realtà che compongono la Rete delle Fortificazioni. La tavola rotonda è stata aperta dai saluti istituzionali di Gianfranco Cuttica di Revigliasco, Sindaco di Alessandria con delega alla Cultura, e di Cherima Fteita Firial, Assessore alle Manifestazioni ed Eventi della Città di Alessandria. Nell’occasione sono stati presentati il logo e la carta della Rete dei Forti che vede assieme le realtà della Rete delle Fortificazioni e quelle della Rete dei Siti Fortificati. Il logo proposto rappresenta un pentagono equilatero, elemento simbolo delle fortificazioni. Il lato destro è aperto, a simboleggiare il nuovo uso delle fortificazioni: non più un utilizzo chiuso, militare, difensivo, ma una nuova apertura, una nuova frontiera di utilizzo, aperto ad eventi culturali. Nel corso della tavola rotonda è stato anche formalizzato l’annuncio dell’ingresso del Forte di Bard quale rappresentante italiano all’interno dell’International Fortress Council, in rappresentanza della Rete dei Forti nel suo insieme. Gli obiettivi della Rete dei Forti – che vede assieme la Rete delle Fortificazioni e la Rete dei Siti Fortificati – puntano alla promozione di iniziative culturali rivolte alla conoscenza e alla valorizzazione del patrimonio storico- architettonico e culturale fortificato, al supporto ad attività di studio, ricerca, conservazione e promozione e a favorire lo scambio di conoscenze e competenze tra le diverse realtà italiane e tra queste e quelle europee. «La rete è uno strumento di conoscenza, di scambio e un’occasione per sviluppare strategie e programmi utili a raggiungere un pubblico interessato alle fortezze e alla storia militare – ha affermato nel suo intervento la Presidente del Forte di Bard, Ornella Badery -. Una possibilità di sviluppo in più da intraprendere nel turismo. Le fortezze sono un patrimonio da sviluppare creando qualcosa di unico a livello italiano».

«L’attività della Rete delle Fortificazioni sta entrando nel vivo e con l’ingresso – ufficializzato lo scorso 19 marzo- del Forte di Bard nell’International Fortress Council si aprono nuove opportunità da cogliere tutti assieme in questo percorso comune di valorizzazione – ha sottolineato la Direttrice del Forte di Bard, Maria Cristina Ronc -. Presenteremo ora il logo a livello europeo di modo da consolidare la posizione dell’Italia che sino ad oggi non era rappresentata».
La giornata è proseguita con una visita al complesso monumentale della Cittadella di Alessandria.

Rete delle Fortificazioni

Forte di Bard
Cittadella di Alessandria
Forte di Vinadio
Centro studi e Ricerche storiche sull’Architettura militare del Piemonte
Istituto Italiano Castelli Onlus – sezione Piemonte e Valle d’Aosta
Museo Pietro Micca e dell’Assedio di Torino del 1706
Associazione studi di storia e architettura militare Forte di Bramafam
Associazione Casalese Arte e Storia, Parco della Cittadella
Castello di Casale Monferrato
Associazione Progetto San Carlo Forte di Fenestrelle onlus
Fondazione Artea
Istituto Internazionale di Studi Liguri Onlus Forte Annunziata
La Rete dei Siti fortificati si riunirà al Forte di Bard per un analogo tavolo
tecnico il 12 maggio. Essa è costituita da:
Rocca d’Anfo (Brescia)
Forte Tesoro (Verona)
Forte Aurelia Antica (Roma)
Forte di Bard
Forte Marghera
Forti del Trentino
Forti di Vinadio
Foto e Notizie: Ufficio Stampa Forte di Bard

 

Restauro e rilancio, siglato l'accordo per la Batteria di Santa Teresa
Da cittadellaspezia.com del 28 aprile 2021

Firma a tre tra Segretariato, Demanio e Comune di Lerici.

Golfo dei Poeti - Siglato stamani a Palazzo reale a Genova l'accordo di valorizzazione della Batteria Bassa di Santa Teresa. Ad apporre la firma, il Segretariato regionale del ministero della Cultura, l’Agenzia del Demanio e il Comune di Lerici. L'accordo (d cui, l'ultima volta, avevamo parlatoQUI) rappresenta l’atto concreto della convergenza degli interessi degli enti coinvolti rispetto alla valorizzazione del bene ed è propedeutico al trasferimento dello stesso dal Demanio al Comune lericino. Presenti alla firma il dirigente del Segretariato ligure, Manuela Salvitti, il direttore del Demanio regionale, Mario Parlagreco, e il sindaco di Lerici, Leonardo Paoletti. La normativa vigente prevede la possibilità di trasferire, a titolo non oneroso, beni di proprietà statale agli enti locali che ne facciano richiesta, tramite specifici programmi e piani strategici di sviluppo culturale, purché approvati dal ministero della Cultura, rappresentato dai Segretariati regionali: proprio quanto è avvenuto per il Comune di Lerici con Batteria Bassa di Santa Teresa.

“Il programma di valorizzazione, che è parte integrante dell’accordo – ricordano dal Segretariato -, si pone i seguenti obiettivi: il recupero e l’ampliamento della zona ricettiva attuale mediante un progetto di riqualificazione e restauro della batteria; la riorganizzazione logistica e tecnologica dell’area; il rilancio e lo sviluppo della scuola di vela, attraverso una didattica sempre più qualificata e personalizzata; lo sviluppo dell’educazione e della cultura del Mare anche mediante lo svolgimento di ulteriori attività legate al mare; la promozione territoriale di tutto il comprensorio da Lerici alla Spezia con valorizzazione delle eccellenze locali e collaborazione con Enti, Istituzioni, Scuole di formazione, Associazioni sportive”. Il Comune si impegna a incrementare il recupero della fortificazione, che è in stato di abbandono dalla fine della seconda guerra mondiale: “il programma di valorizzazione – si legge ancora - prevede di estendere all’intero compendio le attività della Scuola di Vela Santa Teresa, che dal 1998 occupa una piccola parte dell’insieme e che ha acquisito una rinomanza internazionale”.

Le prime notizie riguardanti la Batteria si trovano nel memoriale di Morel de Caunflus, nel quale egli testimonia che nell'inverno del 1747 si lavorò per costruire il forte di Santa Teresa probabilmente sul luogo della preesistente opera detta Ocapelata “affinché colle sue batterie, poste quasi a fior d'acqua, potesse incrociare quelle del Forte di Santa Maria che da ponente le sta di rimpetto, ed in maniera questa impedire alle navi l'ingresso nel Golfo”. La Batteria ebbe poi successive vicissitudini: gravemente danneggiata nel 1814 dalla flotta inglese, ristrutturata secondo un nuovo programma difensivo del Regno d’Italia tra il 1873 ed il 1879, prima disarmata e poi riarmata dopo la prima guerra mondiale, fino all’occupazione dei Tedeschi nel 1943 per la difesa antiaerea. Dal dopoguerra è stata abbandonata, ma dal 1997 il Comune ne ha iniziato il recupero, insediando nella palazzina a fianco la Scuola di Vela Santa Teresa. “Santa Teresa – continua la nota del Segretariato ministeriale - rappresenta, nella sua natura, struttura, posizione e potenzialità, quel polo che possa offrire insegnamento, ricerca, ospitalità a breve e medio termine, scuola di formazione, sinergie con il territorio e la popolazione del Golfo della Spezia, unito alla possibilità di divenire centro di ricerca e location per eventi sportivi legati al mare”.

 

I fondi del Recovery per fortezze e treni storici: investire su cultura e bellezza
Da travelnostop.com del 28 aprile 2021

Il fascinoso castello della Colombaia a Trapani, maestosa isola fortezza che con la sua torre ottagonale si staglia sullo scenario delle Egadi e che il restauro punta a trasformare in un laboratorio di un nuovo modo di valorizzare e restituire alla collettività un bene culturale. Il Real albergo dei poveri di Napoli con la sua architettura imponente. L’ex Manifattura dei tabacchi di Palermo, l’antica cittadella del Porto vecchio di Trieste, il waterfront di Reggio Calabria con il suggestivo progetto immaginato da Zaha Hadid. Ci sono anche i finanziamenti per imponenti operazioni di restauro e non solo, nella parte del Recovery plan destinata alla cultura, in tutto 14 interventi su altrettanti “grandi attrattori culturali”, sui quali vengono autorizzati investimenti per un totale di 1,46 miliardi di euro. “Interventi diffusi sull’intero territorio nazionale – dice all’ANSA il ministro della Cultura Dario Franceschini – che vanno a migliorare la bellezza delle nostre città sia attraverso progetti di recupero sia attraverso importanti processi di rigenerazione urbana”.

Il ministro ne è certo, “la cultura guiderà la ripartenza del Paese”, ribadisce scandendo una frase che da giorni ripete come un mantra a sottolineare anche “la diversa consapevolezza” e “la nuova centralità della cultura” testimoniata dalla corposità dell’intervento da oltre sei miliardi garantito al settore dal piano di rilancio messo a punto dal governo.

Grandi investimenti che nella strategia del ministero guidato da Franceschini e del governo puntano però pure a smorzare l’impatto feroce della crisi sui territori e dunque per offrire nuovi luoghi di incontro, spazi per lo studio e per la ricerca. Ma anche alternative di turismo e posti di lavoro. E’ il caso della fortezza trapanese, una parte della quale verrà destinata all’accoglienza, ma anche l’idea sottesa al rilancio delle ferrovie storiche che dovrebbero portare il turismo del mondo post pandemia su rotte alternative alle grandi città d’arte. Mentre nello stesso tempo si punta a migliorare l’immagine delle città a renderle più vivaci, vivibili e attrattive per la comunità e i turisti.

La parte del leone la fanno i restauri nelle grandi città, con il recupero di spazi e di architetture da destinare ad attività culturali, biblioteche , musei, centri di ricerca, luoghi di incontro. È il caso del porto vecchio di Trieste (40 milioni), delle riqualificazioni urbanistiche di Bari (75 mln), Palermo (33 mln), Napoli (100 mln) e Reggio Calabria (53 milioni), delle realizzazioni delle biblioteche di Torino e Milano (101 mln) e del recupero dello stadio di Firenze (95 milioni), interventi, anche questi ultimi, che presentano forti implicazioni sull’assetto dei contesti urbani. Quattro interventi sono destinati al recupero di aree del patrimonio rimaste marginali, è il caso del sistema museale romano (105,9 mln), la valorizzazione dei Forti che sovrastano Genova (69,7 mln), il recupero della Fortezza di Trapani ( 27 mln), la riqualificazione di altri edifici storici da dare in uso alla Biennale di Venezia (169 milioni). Due sono dedicati al paesaggio come la risistemazione delle aree naturalistiche del Delta del Po (100 mln) e l’aiuto alla mobilità slow con il finanziamento dei treni storici e dei cammini (435 mln).

 

Castel Manfrino a Valle Castellana, in località Macchia da Sole
Da la-notizia.net del 27 aprile 2021

Di Cristiano Vignali

TERAMO – Oggi andremo alla scoperta di uno dei luoghi più affascinanti e “misteriosi” della provincia di Teramo: Castel Manfrino o Castello di Macchia. All’interno del Parco Nazionale dei Monti della Laga ,tra le montagne gemelle dei Fiori e di Campli, si ergono, su uno strategico sperone di roccia a 960 metri di quota, i ruderi del maniero, gioiello di architettura militare medievale. Il castello, grazie alla fama dei personaggi illustri ad esso legati, è un luogo estremamente ricco di storia e leggende su preziosi tesori custoditi e protetti da figure mitiche.
Castel Manfrino, costruito in una posizione strategica per il controllo del territorio, venne abitato da Manfredi Di Svevia, ultimo re svevo di Sicilia (1232-1266), figlio del re Federico II di Svevia (1194-250) che a sua volta fu re di Sicilia, Duca di Svevia e Imperatore del Sacro Romano Impero. Successore di Manfredi fu Carlo I d’Angiò che lo sconfisse e uccise nella battaglia di Benevento nel 1266, scontro militare che fu parte della sanguinosa lotta tra guelfi e ghibellini (Papa Urbano IV scomunicò Manfredi per scoraggiare le sue mire espansionistiche su tutta l’Italia, ma il provvedimento non riuscì comunque a fermare l’ambizioso Manfredi, così il pontefice chiese aiuto a Carlo I d’Angiò per liberarsi di questa scomoda figura).

Il tragitto per raggiungerlo tramite una mulattiera panoramica è breve da Macchia Da Sole (un gruppetto di cinque case con una chiesetta, una trattoria e un punto di informazioni turistiche), sito nel territorio del Comune di Valle Castellana. Fra il canto degli uccelli, e il fruscio dell’acqua dei ruscelli affluenti del Salinello, da lontano è possibile riconoscere la Fortezza di Civitella, collegata quasi da una linea immaginaria con i ruderi di Castel Manfrino.
Si ritiene che in principio, sul luogo esisteva un accampamento fortificato romano, un “castrum” che probabilmente controllava e difendeva la “via del sale”; esso fu occupato, in seguito, dai Longobardi, all’epoca della loro invasione. Sui resti di questa costruzione Manfredi di Svevia, figlio di Federico II, avrebbe fatto erigere il fortilizio, secondo i modelli costruttivi dell’epoca, a guardia dei confini tra Stato Pontificio e Regno di Napoli.

Il castello aveva tre torri, delle quali rimangono ben pochi resti. La più grande era a Nord, il torrione angioino, a Sud c’era la torre sveva, a strapiombo sul Salinello, in una posizione molto panoramica che guardava Civitella del Tronto. Essa era situata vicino l’ingresso del forte, che aveva sul portale un’aquila imperiale di pietra. La torre di centro, il maschio, era l’abitazione del castellano, difesa ultima del castello, nella quale si asserragliavano i difensori in caso le difese esterne cedessero. Poi diversi ambienti, come ad esempio le stalle e gli alloggi dei soldati. Tra la torre centrale e quella meridionale, i resti di una costruzione a pianta quadrata, di destinazione ignota, ma che, in lavori più recenti, viene identificata come la cappella.
Negli anni Settanta del Novecento, furono effettuati degli scavi durante i quali furono ritrovati vari reperti come frammenti di ceramica decorata e monete di diverse epoche. Probabilmente, in caso di attacco nemico, i paesani potevano rifugiarsi rapidamente all’interno del recinto fortificato. Quasi niente rimane di questa costruzione se non accenni di mura e perimetri monchi e artigliati alla roccia: eppure sembra di vederlo il Castello e l’intero quadro galleggia in una luce rarefatta, quasi irreale.

 

Barletta: 27 aprile 1296: Carlo II d'Angiò ordina il completamento del lato meridionale della cinta muraria
Da barlettalive.it del 27 aprile 2021

Delineando così la formazione di un Piano Regolatore della città

27 aprile 1296: Carlo II d’Angiò (1285-1309) ordina con rescritto regio il completamento della costruzione del lato meridionale della cinta muraria, delineando così la formazione di un Piano Regolatore della città Per quanto importanti fossero gli altri interventi, il ricordo che unisce Carlo II a Barletta è legato soprattutto all’impulso straordinario che egli seppe dare all’ampliamento della città nel corso del suo quasi ventennale governo. Già con una lettera del 28 marzo del 1291, il sovrano sollecitava al giustiziere di Barletta i pagamenti per il completamento dei lavori al Castello. Ma è soprattutto coi rescritti del 27 aprile del 1296 e del 24 ottobre del 1300 che Carlo II intervenne in maniera efficace e determinata sulla configurazione del nostro assetto urbanistico.
Col rescritto del 1296 dispose che fosse completata l’intera cinta muraria, disposizione ratificata dal secondo rescritto del 1300, col quale indicava espressamente il nuovo ambito della città, destinando per queste opere un apposito dazio da imporre sui commestibili, sui tessuti e sui trasporti.
La lettura di questo rescritto delinea la formazione di un progetto di rinnovamento urbanistico che partendo dall’allargamento della cinta urbica, si completa con la sistemazione del quartiere delle Sette Rue, cioè le sette strade, che da via S. Marta vanno fino a via Nazareth, le prime di cui si abbia certezza urbanistica, con voce introdotta per la prima volta con linguaggio francese del tempo. Il sovrano inoltre dispose la creazione di nuove porte, disciplinò aspetti di normativa edilizia e regolamentò persino le norme di igiene urbana, insolite per quei tempi. Insomma pensò un vero e proprio Piano regolatore, come diremmo oggi. (R. RUSSO, Barletta la Storia, Editrice Rotas - Barletta 2004)

 

Microonde ad alta potenza contro i droni. Leonidas abbatte sciami di droni in un colpo solo
Da dday.it del 26 aprile 2021

Di Sergio Donato

In un conflitto gli sciami di droni possono essere difficili da colpire e rischiano di trasformarsi in droni suicidi. Il nuovo sistema Leonida a microonde ad alta potenza può usare anche un fascio a “ventaglio” e fare stragi di sciami di droni.

Da tempo ormai l’industria militare di tutto il mondo ha accolto i droni tra i sistemi di ricognizione e di attacco, il che ha dato seguito a un nuovo settore industriale: le contromisure che permettono di abbattere i droni nemici. La società californiana Epirus ha sviluppato il sistema Leonidas che permette di abbattere anche uno sciame di droni con un solo fascio di microonde ad alta potenza.

Droni mica solo per svago, ma per fare le guerre

Come sappiamo, i droni sono aeromobili a pilotaggio remoto che possono essere chiamati anche con i relativi acronimi anglofoni, come UAV, cioè “Unmanned Aerial Vehicle”, ovvero “veicolo aereo senza equipaggio”. Il loro uso nei conflitti militari è sempre più frequente. Recentemente, è stato reso pubblico l’”assedio” di sei droni non identificati avvenuto nel luglio del 2019 ai danni di alcune navi della marina americana. I sei droni hanno sorvolato le navi per diverse notti a una velocità di circa 16 nodi e per più di 90 minuti.

Il pericolo dei droni non è insito solo nel loro uso come ricognitori o come mezzi di attacco tradizionali dotati di armi, ma anche come “droni suicidi”, cioè di aeromobili a pilotaggio remoto fatti schiantare ed esplodere sui bersagli. Droni suicidi organizzati in sciami possono essere un grave pericolo perché si potrebbe non avere il tempo di colpirli tutti singolarmente e sventare la minaccia, che sarebbe quindi portata a termine dai droni sopravvissuti.

 

Leonidas, microonde ad alta potenza sparate a "ventaglio"

L’industria militare si è già dotata di armi laser o di fasci di microonde ad alta potenza, che però riescono a colpire un bersaglio alla volta.

La società Epirus ha invece sviluppato il sistema Leonidas che ha la possibilità di allargare o restringere il fascio di attacco a microonde. Le microonde ad alta potenza, conosciute con l’acronimo di HPM, cioè “High Power Microwave”, non sono molto diverse da quelle dei forni a microonde casalinghi. Ma se un forno può arrivare a una potenza di 1.500 W, gli amplificatori di potenza delle HPM riescono a raggiungere e superare anche i 100 MW.

Il Leonidas non sfrutta il comune amplificatore di potenza a tubi a vuoto, cioè l’ormai antiquato magnetron, ma un amplificatore al nitruro di gallio a stato solido per poter offrire al sistema grande potenza e tassi di fuoco rapidissimi.

Leonidas può sparare 1.000 “colpi” al secondo come fasci diretti della dimensione della punta di un ago. Inoltre, è compatto e può essere montato anche su mezzi di movimento.

Il fascio di microonde ad alta potenza sparato da Leonidas può essere ristretto o allargato in base alle specifiche del bersaglio: in quest’ultimo caso uno sciame di droni cessa di essere una minaccia difficile da affrontare, perché il fascio lo investe completamente. Le microonde ad alta potenza danneggiano i circuiti elettronici dei bersagli colpiti, disattivandoli e, nel caso dei droni, facendoli precipitare.

In una dimostrazione per un cliente del governo degli Stati Uniti svoltasi a febbraio, Leonidas ha abbattuto 66 dei 66 dei droni che fungevano da bersaglio. In alcuni test ha eliminato diversi droni in una volta, in altri ne ha preso di mira solo uno lasciando indenne un drone adiacente.

 

Pnrr: 69,97mln per cinta muraria e sistema dei forti di Genova
Da agcult.it del 26 aprile 2021

Il Consiglio dei ministri ha approvato il Piano Nazionale di ripresa e resilienza che destina circa 6 miliardi di euro per la cultura. Gli interventi mirano a dare un impulso a un settore considerato strategico per la ripartenza del Paese. Il progetto di valorizzazione della cinta muraria e del sistema dei forti genovesi, con uno stanziamento di 69,97 milioni di euro, rientra tra i 14 interventi strategici inseriti dal Governo nel Piano per i Grandi attrattori culturali del valore di 1,460 miliardi di euro.

“La cultura darà un grande contributo alla ripartenza del Paese. La valorizzazione delle fortificazioni e delle mura di Genova, uno dei sistemi difensivi stratificati nei secoli tra i meglio conservati in Europa, permetterà di rilanciare la città attraverso il recupero di uno straordinario patrimonio architettonico monumentale, capace di divenire un potente attrattore culturale”. Così il Ministro della Cultura, Dario Franceschini, ha commentato la destinazione di risorse al progetto che permetterà di recuperare e rendere più accessibili strutture e edifici storici nella grande area verde di Genova compresa dal Parco Urbano delle Mura e il Parco dei Forti dove insiste una delle poche cinte murarie bastionate ancora visibili nel continente. Il progetto si articola in due linee distinte. La prima è la realizzazione di una nuova cabinovia per collegare la città con il Sistema dei Forti di Genova, che connetterà la Stazione Marittima con l’area di Forte Begato. La seconda prevede il recupero dei Forti Belvedere, Crocetta, Tenaglia, Sperone, Puin, Begato, Diamante, Torre Granara, Santa Tecla, della cinta muraria del Sistema dei Forti e, in ambito urbano, delle Mura di Malapaga e Porta Siberia; il recupero dei percorsi pedonali storici; la creazione di un hub informativo e di
accoglienza dei visitatori presso il punto di arrivo della cabinovia nell’area di Forte
Begato.

 

Le Fortificazioni della città di Palermo dall’antichità ai giorni nostri di Alessandro Bellomo
Da sololibri.net del 26 aprile 2021

Edizioni Italia Storica, 2017 - Si tratta con dovizia di particolari delle diverse tecniche di costruzione dei castelli, del loro utilizzo, delle loro trasformazioni e di chi nel corso del tempo li ha abitati.

Di Gaetano Celauro

Alessandro Bellomo è uno scrittore e un affermato storico, che ha già scritto libri tra cui: Bombe su Palermo, Sulle tracce dei Russi in Sicilia, La Sicilia e l’aviazione nella Prima guerra mondiale, che illustra il contributo della popolazione dell’Isola nella Grande Guerra. Il libro di cui si parla, Le Fortificazioni della città di Palermo dall’antichità ai giorni nostri, è diretto sia agli appassionati di Storia come pure a chi voglia indagare determinate tematiche.

In questa pregevole pubblicazione si tratta delle diverse tecniche di costruzione dei castelli in Sicilia, del loro utilizzo, delle loro trasformazioni e di chi nel corso del tempo li ha abitati. Una descrizione precisa e particolareggiata che si estende alle città murarie, ai fortini, alle Torri di guardia e in genere a tutte le strutture fortificate del territorio di Palermo. Oltre ai “Castelli” più noti quali La Zisa, il Castello a mare, il Palazzo Reale, nel volume si tratta di altri numerosi e meno noti, sia in buone condizioni di conservazione o ridotti sovente solo a ruderi. Sono presenti illustrazioni, fotografie, riproduzioni e grafici che fanno conoscere al meglio questi edifici. Il Castello a mare era uno degli edifici principali a Palermo, una struttura fortificata che è stata nel tempo, teatro di moti rivoltosi, ma anche sede militare. Prima del Castello vi era una “Motta” da cui si evolverà la struttura completa. Questa è composta da un piccolo corpo abitato in posizione elevata, circondato da mura, dove risiedeva il Signore o il Comandante della Guarnigione, i soldati e più in basso altri corpi dove erano allocati i magazzini per viveri.
Tra i vari e numerosi esempi, si ricorda ancora, il castello di Lombardia a Enna e il castello Ursino a Catania. Le forme dei castelli non sono tutti uguali per un motivo strategico; venivano costruiti con una forma variabile, assecondando le asperità del terreno e gli spazi dove dovevano insistere. Quello di Catania ha pertanto una forma quadrangolare e molto regolare, mentre a Enna la forma è irregolare, dovendo coprire tutto lo sperone roccioso dove il castello era stato costruito.

Il sistema difensivo della città di Palermo con tutti i suoi castelli aveva due modi diversi di realizzazione. Ci si basava sul modello occidentale, dove il castello era al centro della struttura abitativa e spesso il paese era stato costruito proprio intorno al castello. Un altro modello maggiormente diffuso in oriente nel mondo di cultura araba, prevedeva il Castello come unità isolata, spesso lontana dai centri abitati. In quest’ultimo caso, la funzione difensiva veniva esercitata con il controllo e il presidio delle vie di accesso alla città. La città veniva difesa solamente da un piccolo velo murario. In Sicilia, il fenomeno dell’incastellamento avviene principalmente dopo la dominazione araba, pertanto il modello di riferimento è quello della cultura arabo-islamica. A Palermo, i castelli erano pertanto fuori della città araba; vi era il Castello a mare e poi il complesso del Castrum Novum l’odierno Palazzo Reale che “ha origine antichissime: già nella Palermo Punica (V secolo a.C.), la zona in cui insiste il palazzo, era occupata da un complesso militare di una certa rilevanza, come ci testimonia Polibio”.
Ma tanti sono gli edifici e le costruzioni difensive in genere che l’autore non manca di descrivere, con attente e minuziose osservazioni. Senza pretesa di esaustività, il valido volume di Alessandro Bellomo, si distingue per la vastità degli argomenti trattati che vengono espressi efficacemente in forma divulgativa e sintetica, fornendo al lettore un utilissimo strumento di studio, ricerca e approfondimento.

 

Nuove scoperte tra i bunker di Cervia
Da ilrestodelcarlino.it del 26 aprile 2021

I lavori di scavo. portano alla luce reperti di archeologia moderna della Seconda Guerra Mondiale

Regelbau e Tobruk sono collegati da un corridoio. Bosi: "Il percorso museale di Milano Marittima è tra i più interessanti della Penisola"

I lavori di scavo continuano a portare alla luce reperti di archeologia moderna della Seconda Guerra Mondiale. Federica Bosi, delegata alle Bellezze e ai Beni culturali del comune di Cervia che sta seguendo il progetto, annuncia una importante novità: i bunker Regelbau e Tobruk sono collegati da un corridoio.

Come sono proseguiti gli scavi in questo anno? "Gli scavi dell’intero comparto sono ripresi nell’autunno e sono stati condotti dall’associazione CRB 360° capitanata da Walter Cortesi, che ha proceduto col consolidamento interno di alcune opere murarie e delle lastre...

 

Franceschini, 70 milioni per i forti di Genova
Da gaiaitalia.com del 26 aprile 2021

Settanta milioni di euro per la valorizzazione della cinta muraria e del sistema dei forti genovesi, con uno stanziamento esatto di 69,97 milioni, e che rientra tra i 14 interventi strategici inseriti dal Governo nel Piano per i Grandi attrattori culturali del valore di 1,460 miliardi, è stato annunciato dal ministro della Cultura e dei Beni Culturali, Dario Franceschini.

 

Linea Cadorna, la trincea dello spaccio di droga: da fortificazione militare a base per i pusher
Da corriere.it del 25 aprile 2021

di ANDREA CAMURANI

La storia linea difensiva è diventata un nuovo fortino della droga. Con i residenti che difendono il territorio

Da storica linea difensiva a fortino della droga. Nelle valli del nord del Varesotto lungo la «linea Cadorna» capita di imbattersi negli spacciatori di cocaina ed eroina che sfruttano l’isolamento garantito dai boschi per accogliere i clienti. Così quel reticolo di camminamenti e piazzole per armi pesanti sorto più di un secolo fa per proteggere la pianura Padana da una possibile invasione da Nord (e usato anche dai partigiani per combattere repubblichini e nazisti dopo l’8 Settembre), è diventato in alcuni tratti terra di nessuno, dove i residenti cercano di riappropriarsi di un bene storico e di porzioni di territorio più di una volta rastrellate dalle forze dell’ordine per colpire i pusher.

Fra le località Ferrera di Varese e Masciago Primo è stato trovato addirittura un piccolo bunker scavato nel terreno e realizzato con materiali di risulta trovati nei paraggi: un riparo sicuro e invisibile da dove è possibile controllare gli ingressi nei boschi dello spaccio. Così Matteo Bariani, consigliere comunale di minoranza di Masciago Primo, ha richiesto qualche giorno fa la convocazione di un consiglio comunale per affrontare la questione cercando di investire del problema anche altri paesi della valle, dopo che all’inizio di aprile ha raccontato di aver sorpreso alcuni pusher, che durante la fuga hanno perso una pistola.

«Ci hanno visti e sono scappati, allora abbiamo chiamato il 112. Nei dintorni abbiamo trovato anche diverse buche, probabilmente nascondigli per qualcosa che era stato da poco dissotterrato», spiega Bariani, ex paracadutista degli alpini. «Molti residenti hanno in passato riferito di spari, e non distante da un tratto della linea usato come giaciglio abbiamo trovato numerosi bossoli di pistola». Tutto segnalato ai carabinieri di Luino: l’arma rinvenuta è risultata essere una vecchia automatica con matricola abrasa, ma il fatto ha destato preoccupazione.

Certo, non è la prima volta che il tratto varesino di queste fortificazioni («La Maginot italiana», fu ribattezzata) che partono dalla Valle d’Aosta e arrivano fino alle Orobie, finisce al centro di attività illecite: nei paesi fra Valcuvia e Valtravaglia c’è chi ricorda l’uso da parte dei contrabbandieri negli anni Settanta di alcuni fabbricati della Cadorna per coprire i traffici di confine, ma si trattava di sigarette. E la sfida quasi romantica stile «guardia e ladri» coi finanzieri non ha nulla a che vedere con lo smercio di grossi quantitativi di droga, mai fermatosi neppure durante il lockdown.

«I lavori per la “Frontiera Nord”, voluti dal generale Luigi Cadorna, cominciarono nel 1911 anche se già a partire dall’Unità d’Italia si pensava di dotare il settore settentrionale di una difesa, ma la costruzione ritardò fino alla vigilia della Grande Guerra», spiega Francesca Boldrini, storica locale e fra le massime esperte di queste costruzioni militari. «Leggendo diari e corrispondenza di Cadorna, si scopre che le fortificazioni furono da impulso anche per sostenere l’economia locale: durante l’edificazione, che finì nel 1916, arrivò fra queste valli molta manodopera specializzata per costruire strade di montagna ancora oggi utilizzate». Nonostante le risorse economiche impiegate per la realizzazione, e il lavoro di 20 mila operai, la «linea Cadorna» non fu mai utilizzata per scopi bellici. Al punto che, con la fine della Seconda guerra mondiale, le fortificazioni furono completamente abbandonate.

 

Difendeva il porticciolo di Ognina dai corsari: è tra le più antiche torrette costiere del siracusano
Da balarm.it del 23 aprile 2021

Costruita presumibilmente nel XV secolo, la Torre di Ognina è l'unica del siracusano realizzata nel primo Quattrocento sulle indicazioni del programma di re Martino, insieme a quella di Capo Passero

di Simona Russo

Nel sud-est siciliano si trova un piccolo angolo dal fascino suggestivo che è la località di Ognina, con il suo romantico porticciolo.
Ci troviamo a circa 15 chilometri a sud di Siracusa, questa località costiera è caratterizzata dalla bellezza del colore del mare, dalla trasparenza dei fondali marini, dalla profumata macchia mediterranea e dall’interesse paesaggistico e archeologico della sua costa.

Il nome sembrerebbe derivare dal greco “oγкoσ” che significa proprio "angolo", in considerazione della particolare conformazione del sito che determina con il porto – canale un angolo ottimale per ripararvi le imbarcazioni. L'area di Ognina è particolarmente interessante dal punto di vista archeologico per testimonianze che vanno dall'età preistorica a quella tardo antica. La zona ha subìto nel tempo molti rivolgimenti, variando più volte la morfologia costiera, subcostiera e dei fondali, cambiando quindi il modus vivendi delle popolazioni che vi si sono succedute.

Lo studio paleomorfologico della linea costiera di Ognina, ha portato alla luce notevoli tracce, spesso molto evidenti, di intervento antropico, volto allo sfruttamento del terreno e all’utilizzo di questo a fini pratici.
La Torre di Ognina (comunemente detta "torretta") è una delle testimonianze storiche più antiche di questa parte di litorale. Costruita presumibilmente nel XV secolo, sopra un promontorio naturale prospiciente il mare, è l'unica torre del siracusano realizzata nel primo Quattrocento, sulle indicazioni del programma di re Martino, insieme a quella di Capo Passero. Il progetto nasce dalla necessità di proteggere il porticciolo di Ognina e la vicina tonnara, luogo di traffico marittimo, da possibili minacce e di costituire un punto di collegamento visivo con la torre di Stampace ed il castello di Cassibile.
Questa torretta, grazie alla sua posizione che consente un'ampia osservazione su tre lati di un paesaggio suggestivo, è citata e descritta in molti libri storici come "torre di guardia" priva di artiglieria. Molto piccola e di forma cilindrica, rastremata verso la sommità (alta e stretta), la torre è costruita in muratura di pietrame del luogo, legata con malta di calce.

L'accesso alla parte superiore, che è il piano di osservazione della torre, è possibile grazie ad una scala anch'essa realizzata in pietra. Nel 1584 viene descritta dal Camillani come "una torre piccolissima, antica et meza rovinata là dove si tiene la guardia; et è molto necessaria ingrandirla, secondo che si dimostra nel disegno, sendo molto importante per la sicurtà del rifugio quivi poco avanti, qual si domanda Porto di Ognina, sicchè il promontorio viene a pigliar nome da questo ridotto". Nel 1705 è ancora in funzione e il Formanti così la descrive: "A sinistra del porticciolo, si trova una torre di guardia che quando si avvicinano i corsari, dà l’allarme suonando la buccina al fine di radunare i contadini per la difesa delle imbarcazioni che stazionano nel canale".
Su di essa, infatti, stazionava un custode-vedetta con il compito di avvistare i corsari e dare l'allarme suonando la buccina (conchiglia tortile chiamata in dialetto "brogna"), al fine di avvertire e radunare i contadini delle campagne circostanti per la difesa delle imbarcazioni ormeggiate nel piccolo porto-canale.
Un fatto curioso, riportato dallo storico Capodieci, avvenne il 21 luglio 1787 quando sotto la torre approdò una nave di corsari assieme ad una barca predata con 15 turchi a bordo; tra la gente del luogo si diffuse il panico che temeva le incursioni dei due vascelli. In realtà i corsari si erano momentaneamente accostati perché il mare era grosso e alla fine ripresero il loro viaggio in direzione di Malta con il prezioso carico. Già nel 1805 la Torre di Ognina non venne più annoverata nell'elenco delle torri del regno per le sue condizioni di totale degrado. Nel 2001, invece, è stata oggetto di lavori di restauro.
Per contestualizzare la presenza delle torri costiere in Sicilia, bisogna considerare che nella prima metà del '300, in un momento di estrema debolezza dei nuovi regnanti aragonesi, i maggiori feudatari siciliani avviarono un imponente opera di edificazione di strutture fortificate all’interno dei territori in cui, di fatto, esercitavano pieni poteri. Le torri costiere garantivano la difesa dei possedimenti litoranei dagli attacchi (angioini prima e arabi poi), provenienti dal mare. Prima iniziativa regia fu quella avviata nel 1405 da re Martino il Giovane che, anche in un’ottica di riaffermazione del potere sovrano, ordinò di restaurare le torri esistenti e di costruirne di nuove.

È solo nel '500, con gli imperatori Carlo V e Filippo II, con l’intensificarsi delle “incursioni barbaresche”, che si assiste però ad un progetto organico di difesa costiera affidata alle torri. La scelta del sito dipendeva dalla possibilità di dominare un ampio spazio di mare e permettere le segnalazioni con dei fuochi fra i vari fortilizi e fra questi e le città. I torrioni erano generalmente a pianta quadrangolare, di due piani comunicanti. Nel piano terra vi erano le cisterne e il deposito e nel primo piano l'alloggio delle vedette, l'accesso avveniva tramite una scala fissa o mobile, ques'ultima poteva essere ritirata in caso di pericolo. Attualmente le torri esistenti in Sicilia sono 218.

 

Tutti i missili della Cina. Ecco l'arsenale che preoccupa gli Usa
Da formiche.net del 23 aprile 2021

Di Stefano Pioppi

Vettori intercontinentali, missili a planata ipersonica e testate nucleari in via di modernizzazione. L’arsenale della Cina preoccupa gli Stati Uniti più della Russia. Il comandante dello StratCom ha descritto le “politiche molto opache” di Pechino in tema nucleare, mentre l’Esercito popolare di liberazione schiera nuove brigate missilistiche

Più della Russia, è la Cina ad accrescere la preoccupazione “nucleare” degli Stati Uniti. Le Forze armate di Pechino sono impegnate da anni nel processo di modernizzazione del proprio arsenale, sia sul fronte delle testate, sia in campo missilistico. Martedì scorso, a dare la cifra della preoccupazione statunitense è stato l’ammiraglio Charles Richard, comandante dello US Strategic Command, con una testimonianza scritta presentata al comitato Armed Services del Senato americano.

L’ALLERTA NUCLEARE

Richard ha descritto la politica “molto opaca” della Cina in campo nucleare, tanto da rendere “difficile determinare le sue intenzioni”. Il Dragone, stando alle “prove” citate dallo StratCom, avrebbe messo le sue forze nucleari in stato di allerta maggiore, quella che gli Usa definiscono “Launch on warning”. Di più: “I progressi che hanno compiuto sulla piattaforma in rete e integrata consentiranno processi decisionali di livello superiore e una reazione più rapida”.

UNA POLITICA “MOLTO OPACA”

Secondo l’autorevole istituto svedese Sipri, la Cina avrebbe a disposizione 320 testate nucleari, ben poche rispetto alle 5.800 degli Usa e alle 6.300 della Russia. Eppure, rispetto agli Stati Uniti, ha ricordato Richard, “Cina e Russia hanno capacità significative per produrre più testate”. A preoccupare è esperienza sui rapporti “nucleari” con la Russia, lo stesso non può dirsi della Cina, che tra l’altro resta estranea al regime di controllo degli armamenti che affonda le radici nel confronto bipolare.

LE FORZE DI PECHINO

Tra l’altro, oltre alle testate, Washington teme soprattutto i missili del Dragone, capaci di essere armati convenzionalmente e nuclearmente (con tutte le conseguenze a livello di pianificazione che ciò comporta per l’avversario, il noto rischio di “miscalculation”). Recentemente, su DefenseOne, l’analista di BluePath Labs Ma Xiu ha offerto ampia panoramica sull’arsenale cinese a disposizione delle Forze missilistiche dell’Esercito Popolare di Liberazione (Plarf), le quali si sono dotate dal 2017 di ulteriori dieci brigate (“un aumento di oltre un terzo”). Il vettore “più dispiegato” è il DF-26, un missile intercontinentale a raggio intermedio (da tremila chilometri a 5.500), rivelato nel 2015 e ormai piazzato dal nord-ovest al sud-est del Paese. Secondo il Pentagono le forze cinesi ne avrebbero a disposizione circa 200.

I VETTORI INTERCONTINENTALI

Nella categoria intercontinentale (oltre i 5.500 chilometri di gittata) rientra il DF-31AG, variante potenziata del DF-31, apparsa per la prima volta nel 2017. È impiegato da tre brigate (“forse quattro”, nota Xiu) e citato nel Libro bianco della Difesa cinese del 2019 come colonna dello strumento di deterrenza di Pechino. Nel 2019 è stato poi rivelato il DF-41, missile balistico intercontinentale, ritenuto capace di raggiungere Europa e Stati Uniti in circa 30 minuti, trasportando fino a dieci testate indipendenti, convenzionali o nucleari, con lancio da silo o da base mobile. A giugno scorso, nel pieno della pandemia, il direttore di Global Times Hu Xijin invitava il governo cinese ad aumentare il numero di testate nucleari fino a mille e di arrivare a una disponibilità di almeno cento DF-41. Per ora, spiega Xiu, nessuna brigata sembra averlo in dotazione, ma si sospetta che possa essere presto nelle disponibilità della 644esima (ad Hanzhong, provincia di Shaanxi, nella Cina centrale) e della 662esima (con base a Sundian, provincia di Henan, a est). Immagini satellitari avrebbero rivelato anche la costruzione in Mongolia di una base di lancio idonea ai DF-41.

MISSILI DA CROCIERA…

“Si sa meno – ammette Xiu – del missile da crociera lanciato da terra CJ-100”. È stato rivelato nel 2019 e considerato capace di raggiungere obiettivi distanti duemila chilometri. “Alcune prove – spiega l’esperto – suggeriscono che la prima unità a impiegarlo sarà la 656esima privata, basata nella Cina orientale sulla penisola di Shandong”. In altre parole, il vettore potrebbe raggiungere il Giappone o, con funzione anti-nave, le imbarcazioni nel già surriscaldato bacino del Mar cinese orientale.

…E ARMI IPERSONICHE

Grande protagonista della parata del 2019 per il 70esimo anniversario della Repubblica popolare, fu però il DF-17, la punta di diamante degli sviluppi del Dragone nel campo della missilistica ipersonica. Il primo annuncio su un doppio test risale a novembre del 2017. Si tratta di un vettore balistico (Mrbm) che supera l’atmosfera per rientrarvi e acquistare maggiore velocità. A differenza dei tradizionali missili di questo tipo, però, il DF-17 si colloca nella categoria dei molto più imprevedibile, senza perdere manovrabilità, per un range che, nel caso del DF-17, si stima possa arrivare a 2mila chilometri trasportando testate convenzionali e nucleari.

IL MISSILE DF-17

È proprio il DF-17 ad aver convinto gli Stati Uniti a dover accelerare nel campo della missilistica ipersonica, identificato anche dalla Nato come “una delle tecnologie che rivoluzioneranno il modo di fare la guerra”. Avrebbe un range fino a 2.500 chilometri e una precisione “nell’ordine dei metri”. L’anno scorso il South China Morning Post ne ha riportato il dispiegamento nel sud-est della Cina. Secondo Xiu sarebbe già in dotazione alla 627 brigata delle Plarf, nella provincia di Guangdong, di fronte a Taiwan.

 

Vicenza e le sue Torri, dagli Annali Vicentini di Parolin, la storia dei primi “grattacieli cittadini"
Da vicenzapiu.com del 20 aprile 2021

A Vicenza le torri erano alte, grandi e superavano le cento unità, servivano, in tempi di guerre,per proteggere i signori che durante i tumulti popolari si rifugiavano con moglie e figli, mobili e masserizie costose, finchè il tumulto cessava. (Cronaca del Pagliarino).

Torre dei Bissari o di Piazza o dell’Orologio – Piazza dei Signori

Fu costruita nel 1174 dalla nobile famiglia dei Bissari, i quali nel 1226 la vendettero al Comune di Vicenza, con l’annesso palazzo municipale, allargato alla cella campanaria nel 1311. La sua altezza è di 82 metri, pari a 230 piedi vicentini, la base quadrata 7×7 metri.

25 gennaio 1347, la torre fu scossa dal terremoto con molta violenza, tanto da staccarsi dal palazzo attiguo per la distanza di un braccio. I consiglieri che erano in seduta, si precipitarono giù per le scale, alcuni rimanendo feriti ed altri morti.
La cronaca racconta che il 1° febbraio 1526 fu tirà suso la torre, la campana grossa col Rengo e il 2 fu tirà suso un prete in una gabbia di ferro.
1320 sopra la Torre fu innalzata la prima campana, che pesava 3407 libbre e nel 1377 fu posto il primo orologio, opera del maestro Puccio Pisano. La campana cominciò a suonare le ore il 1° luglio 1378.
Rengo. Così è chiamata la campana che serviva a radunare il Consiglio Comunale o per chiamare alle armi i cittadini. Il nome deriva da arengo, il luogo in cui, durante il medioevo, si svolgevano le pubbliche assemblee.

Torre del Girone o del Tormento o delle Prigioni Criminali – Piazza delle Erbe

Venne costruita dalla famiglia Carnaroli nel secolo XII°. Il Comune di Vicenza ne fece acquisto da Olderico Carnaroli, nel secolo XIII° per farne un archivio notarile. La torre era circondata da una profonda fossa, oltre la quale stavano molte botteghe.
19 giugno 1509 la torre fu bruciata da delinquenti che volevano distruggere documenti che li riguardavano. Per anni questa torre servì da prigione criminale, nel 1821 vi fu rinchiuso il Conte Federico Confalonieri durante il suo viaggio verso la fortezza dello Spielberg.

Torre Reata o delle Prigioni Vecchie detta anche dell’Osservatorio – Ponte degli Angeli

Nel 1242, Ezzelino da Romano fece distruggere il Castello sull’Isola, ricostruito vent’anni dopo (1262) dai Padovani divenuti signori di Vicenza. Il castello era anche chiamato Castello Tealdo in questo luogo Ezzelino, dimorò per anni. Scrive il cronista Castellini, in questo castello si passava per un ponte levatoio, venendo dalla strada di Padova. I Padovani fecero spianare fino alle fondamenta la torre detta Coxina. Sulle rovine del castello fu costruita dagli Scaligeri la Casa Grande dell’Isola detta Arsenale o armamentario per tenervi armi e munizioni. Nella cronaca unita al Codice Pagliarino dell’archivio di Torre alla data 9 ottobre 1474 si legge: prexon: et xe comenzà el fogo in la preson de castigamatti, e brusà quattro omeni, computà un prete, fiolo de Scaramuzza da Montecchio Ma xe brusà la Casa Grande dell’Isola, in la quale ghe gera peggior. Tutti i prixonieri, che gera nella torre Riata, xe stà lassà andare, perchè non i restasse brusà.

Torrione di Santa Croce

Lo Statuto cittadino del 1264 faceva obbligo ad ogni nuovo pode- stà di erigere 100 pertiche di mura dove era necessario, 1 pertica circa 3 metri.
1381- Porta Santa Croce. Questa porta e la torre contigua e le mura che si estendono sino a Porta Nova, compreso il fortilizio denominato la Rocchetta, a cui si è interessato anche Andrea Palladio, furono cominciate nell’anno 1381 sotto la Signoria del vero- nese magnifico Antonio Della Scala.

Torre dei Loschi

La famiglia Loschi era una delle più antiche della città, ebbe uomini di lettere, d’armi, di governo.
Antonio Loschi, nacque a Vicenza nel (1368?) da Ludovico e da Elena Regle del Gallo. Il padre, legale, nel 1350 era stato a Firenze come vicario dei Della Scala e nel 1385 fu capitano di Sirmione.
Con la fine degli Scaligeri (18 ottobre 1387) la famiglia rientra a  Vicenza, passata ai Visconti. Antonio Loschi fu cancelliere di Galeazzo Visconti, Signore di Milano dal 1398 al 1404. Oratore e poeta, fu segretario del Papa Gregorio XII°. Alla famiglia è intitolata Stradella dei Loschi, ad Antonio una scuola elementare. La famiglia possedeva diverse torri, se ne vedono ancora vestigia all’angolo formato tra San Marcello e del Garofolino. Un’altra si trova dietro le poste Contrà Comandante Fontana, citata come proprietà diretta con valore di Lire 600 veronesi, come conferma un atto del 18 dicembre 1366, notaio Fino Mascarello.

Luciano Parolin

 

Vandali al bunker di Punta Marina "Danni ingenti alla porta"
Da ilrestodelcarlino.it del 22 aprile 2021

L’amarezza di Bruno Zama, del gruppo culturale che si è occupato del restauro

A Punta Marina, in pineta, in prossimità dello stradello vicino alla spiaggia e parallelo al mare, alcuni sconosciuti ancora una volta hanno tentato di entrare in uno dei bunker della seconda guerra mondiale ripuliti, restaurati e censiti dal gruppo culturale ‘Bunker sulla linea Galla Placidia’. Bruno Zama, che con Enrico Palazzo e Luca Cavallazzi è uno dei fondatori di questo sodalizio che...

 

Russia, il missile pesante "Sarmat" farà parte dell'arsenale dell'esercito nel 2022
Da sputniknews.com del 21 aprile 2021

Il primo reggimento, equipaggiato con i missili balistici intercontinentali pesanti Sarmat, entrerà in servizio alla fine del 2022, ha affermato il presidente russo Vladimir Putin.

"Sono già in servizio gli ultimi sistemi missilistici intercontinentali Avangard ed sistemi di combattimento laser Peresvet, il primo reggimento, completamente equipaggiato con i missili balistici intercontinentali pesanti Sarmat, entrerà in servizio di combattimento secondo i piani alla fine del 2022", ha detto Putin nel messaggio all'Assemblea federale.

Nel dicembre 2020, il comandante delle forze missilistiche strategiche, il generale Sergey Karakaev, aveva affermato che i Sarmat sarebbero entrati ufficialmente nell'arsenale nel 2022 della divisione missilistica di Uzhur.

Il Sarmat (RS-28) sostituirà il missile strategico più pesante del mondo Voevoda (secondo la classificazione Nati - Satan, RS-20V). I lavori sul progetto Sarmat sono iniziati nel 2011. Il nuovo missile sarà in grado di attaccare obiettivi sia attraverso il Polo Nord che attraverso il Polo Sud, superando i sistemi di difesa missilistica.

 

Forte Tron: un centinaio volontari impegnati nella pulizia
Da veneziaradiotv.it del 19 aprile 2021

Un centinaio di volontari impegnati nelle pulizie di forte Tron grazie al progetto "Buongiorno Marghera"

Pulizia del Forte Tron
L’iniziativa, “Netemo day, Forte Tron” promossa e coordinata da “Buongiorno Marghera”, ha coinvolto numerose realtà sportive e di volontariato della nostra città.

I volontari si sono dati appuntamento alle 9.00 e muniti di guanti, sacchi, pinze e mascherine hanno iniziato la raccolta dei rifiuti abbandonati da qualche persona poca rispettosa. Sul luogo anche l’assessore alla Coesione Sociale Simone Venturini e i delegati della Municipalità di Marghera al Verde pubblico, al Volontariato, all’Urbanistica, rispettivamente Francesco Barbiero, Nicoletta Ongarato e Nelvio Benin.

Le parole dell’assessore

“Ringrazio tutti i volontari che hanno raccolto l’appello di “Buongiorno Marghera” e tutte le realtà che hanno aderito” ha dichiarato l’assessore Venturini. I volontari hanno dimostrato grande attenzione e rispetto per le nostre aree verdi e per la nostra città, a differenza di chi ha volutamente abbandonato rifiuti di ogni tipo nel parco.

L’iniziativa di oggi ha rappresentato un momento per iniziare a pensare ad una nuova vita di Forte Tron. L’Amministrazione comunale è certamente interessata ad avviare questo tipo di progetto.

 

Crotone, il castello Carlo V chiuso da 3 anni. L'assessore Rachele Via: "Ce lo riprenderemo"
Da lacnews24.it del 19 aprile 2021

Le dichiarazioni della delegata alla Cultura della giunta comunale all’indomani del sit-in organizzato dalle associazioni per chiedere la riapertura della fortezza

«È apprezzabile e meritorio che tante associazioni del territorio si siano mobilitate per la riapertura del Castello Carlo V». L’assessore comunale alla Cultura di Crotone, Rachele Via, interviene con una nota in merito alla richiesta di apertura della storica fortezza (chiusa da tre anni in attesa di bonifica di alcune aree contaminate) da parte del comitato Antica Kroton, che ieri mattina ha organizzato un sit-in.

«Ci riprenderemo il castello»

Per Via, l’evento di ieri «è un ulteriore e fondamentale sostegno al lavoro che, fin dal primo giorno del nostro insediamento si sta facendo, d’intesa con il Ministero dei Beni Culturali, per dare finalmente inizio ai lavori di bonifica che sono propedeutici alla riapertura di un monumento al quale tutti noi crotonesi siamo legati». «Voglio, dunque, dire ai cittadini che hanno giustamente a cuore il suo futuro che ci “riprenderemo” il castello. Tra l’altro – prosegue l’assessore - nell’ambito delle nostre attività di valorizzazione dell’intero patrimonio dei beni culturali il castello Carlo V è stato inserito nel circuito nazionale delle “Terre Martiniane” che raccoglie e mette in rete le fortezze più significative dell’intero territorio nazionale».

«Giunta Voce non ha responsabilità»

Poi, Via aggiunge: «Tutti dovrebbero ricordare, soprattutto chi aveva deleghe specifiche in materia all’epoca, che fu proprio il sindaco Ugo Pugliese a emettere l’ordinanza di chiusura il 3 aprile 2018. Certamente solo chi pecca di onestà intellettuale può attribuire alla giunta Voce le responsabilità per la chiusura del castello». Il riferimento è a Valentina Galdieri, della coalizione Crotone città di tutti, che durante l’amministrazione Pugliese è stata assessore alla Cultura. Lei e altri esponenti del movimento, che in Consiglio comunale ha eletto Danilo Arcuri, hanno partecipato al sit-in delle associazioni e inviato una nota sulla vicenda.

L’attacco di Galdieri e Arcuri

Nella nota, si sottolinea che «più volte negli anni passati è stata sollecitata la riapertura parziale del castello, più volte si è chiesto di convocare il tavolo per la bonifica del Castello ma ad oggi tutto tace. Si aspetta la manna dal cielo, la “divina provvidenza”, nell’immobilismo più completo sia da parte del Comune che della Sovrintendenza, con la Prefettura che rimane, colpevolmente, a guardare». «Lo abbiamo detto in passato lo continuiamo a dire ancora – scrive Galdieri – il castello rischia di non riaprire più nemmeno dopo la bonifica, se mai verrà fatta, perché è abbandonato, non c'è manutenzione e il rischio che si debba fare una messa in sicurezza dei locali è molto alto. Il castello è chiuso, ormai, da tre anni, abbandonato al suo destino e vittima dell'immobilismo e del menefreghismo delle istituzioni. È incredibile come l’amministrazione Voce si ritenga estranea a questo problema di vitale importanza, culturale e turistica, per la città, così come è disinteressata a tutti gli altri problemi della città, impegnata, giorno e notte soltanto ad azzuffarsi tra di loro. Vergogna».

«Quello che sta avvenendo su questa vicenda è molto grave. – aggiunge Arcuri – Leggere che la bonifica del nostro Castello venga fatta con i soldi di Antica Kroton è un’autentica presa in giro. Il ministero dei Beni Culturali deve intervenire con fondi propri e consentire a Crotone di riappropriarsi del suo più grande attrattore turistico nonché luogo depositario dell’identità di questa città. Sono molto dispiaciuto che non un componente della Giunta abbia deciso di essere presente (alla manifestazione, ndr). Mi sarei aspettato per prima il sindaco e subito dopo l’assessore Via, ma evidentemente da quando si sono seduti sulle poltrone hanno perso la sensibilità verso i temi che sono cari alla città».

 

#MAIPIÙSCEMPI: L’EX POLVERIERA DI CAMPO ITALIA, UN PICCOLO “VIETNAM” FRA IL TIRRENO E LO JONIO
Da letteraemme.it del 18 aprile 2021

UNA GRANDE STRUTTURA DISMESSA IMMERSA NEL VERDE CHE SI AFFACCIA A STRAPIOMBO SU MESSINA, CON UNA VISTA MOZZAFIATO SULLO STRETTO. LA NUOVA PUNTATA DELL'INIZIATIVA OPEN SOURCE DI MARCO BELLANTONE E GABRIELE FERRANTE

MESSINA. C’è chi ha proposto di realizzarci un centro artistico culturale e chi un ricovero per animali. C’è chi lo usa come campo di battaglia per sfide di soft air e chi come pista da motocross. Si tratta dell’ex Polveriera di Campo Italia, uno spazio immerso nel verde ed esteso per migliaia di metri che si affaccia a strapiombo su Messina e sullo Stretto, con una vista mozzafiato sul Tirreno e sullo Jonio.

È qui, fra le varie opere in calcestruzzo costruite nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, che è ambientata la nuova puntata di #MaiPiùScempi, progetto “open source” di Marco Bellantone e Gabriele Ferrante, che dopo aver fatto tappa al Cimitero monumentale, nell’area dell’ex SeaFlight, all’ex ospedale Regina Margherita, allo stabilimento che fu della Sanderson e al mini autodromo dello Stretto, hanno immortalato con l’ausilio di un drone lo stato in cui si trova adesso l’ex Polveriera di Campo Italia, uno degli ultimi sistemi difensivi eretti in assoluto a Messina, alla mercé dell’abbandono e della vegetazione incolta ormai da più di 12 anni.

“Bunker” e grandi strutture abbandonate e ricolme di immondizia, in un’atmosfera sul serio post-bellica (in linea con destinazione d’uso dell’area), posizionate in un punto strategico fra il mare e i colli, a 15 minuti dal centro di Messina. Un’area vasta, sconosciuta ai più, che potrebbe prestarsi a numerosi utilizzi ed essere riqualificata o riconvertita. A regnare, invece, sono scempio e degrado, come dimostrano in modo inequivocabile le immagini.

«Cosa potrebbe o dovrebbe diventare quest’area? Cosa dovremmo esigere che quest’area diventi? Qua potrebbe nascere uno dei più grandi centri estivi, e non solo, di tutto il Meridione d’Italia, con centinaia e centinaia di posti letto che potrebbero accogliere migliaia di turisti» propone Bellantone, che ancora una volta rinnova il suo invito alla cittadinanza, spronando quanta più gente possibile a segnalare i piccoli e grandi scempi disseminati sul territorio.

 

L’obiettivo seguente: mettere in sicurezza le torri dei 4 colli
Da gazzettadireggio.it del 18 aprile 2021

Urgente l’intervento su Monte Zane, il luogo in cui venne preparato l’incontro guidato da Matilde da cui scaturì il Perdono concesso dal papa all’imperatore

QUATTRO CASTELLA. Nei programmi dell’amministrazione comunale non c’è solo il recupero della cinta muraria del Bianello. Lo sguardo infatti è già rivolto a un altro ambizioso obiettivo: la messa in sicurezza delle torri dei quattro colli. Attualmente, di queste fortificazioni non restano che ruderi di torri e altre strutture. Le tracce dei fabbricati che componevano i borghi di Monte Zane e Monte Vetro sono da ricercare attraverso scavi archeologici come è stato fatto negli anni scorsi su Monte Lucio. L’idea è di approcciarsi all’intervento di recupero in modo multidisciplinare, coinvolgendo archeologi, architetti e ingegneri. Questo porterà ad avere un più dettagliato quadro conoscitivo generale propedeutico all’individuazione degli interventi più opportuni.

Uno degli obiettivi principali è la messa in sicurezza della torre di Monte Zane, luogo in cui venne preparato lo storico incontro del gennaio 1077 da cui scaturì il Perdono concesso da papa Gregorio VII all’imperatore Enrico IV, uno degli episodi della storia europea più conosciuti nel mondo. Matilde di Canossa fu la grande mediatrice di quel Perdono, dopo essersi schierata con decisione al fianco di papa Gregorio VII, nonostante l’imperatore fosse suo secondo cugino. La Grancontessa fu un personaggio di primissimo piano che arrivò a dominare tutti i territori italici a nord dello Stato Pontificio: la Lombardia, l’Emilia, la Romagna e la Toscana. La capitale militare delle sue terre era Canossa; quella religiosa, Carpineti, nel cui castello ebbe luogo il Convegno del 1092 durante il quale ecclesiastici e alleati di Matilde discussero le proposte di pace di Enrico IV. Quattro Castella va però considerata la capitale politica, perché l’episodio più celebre della storia matildica venne preparato appunto a Monte Zane, il quarto dei colli castellesi, dove tutt’ora esiste un imponente mastio di quello che un tempo era una delle quattro fortificazioni che difendevano Canossa dagli attacchi portati dalla pianura, compresa la calata da Nord di Enrico IV.

Monte Zane – altrimenti detto Monte Zagno, o Mongiovanni – è il più occidentale dei quattro castelli che danno il nome al paese. Dell’edificio originario oggi rimangono solo tre mura del mastio centrale. Secondo lo storico Andrea Balletti, fino alla metà dell'Ottocento la torre di Monte Zane era ancora integra e coperta dal tetto. Poi iniziarono i crolli, a causa del tempo e dei terremoti. Fino ad alcuni decenni fa, gli anziani del paese ricordavano il crollo della parete ovest del mastio, datandolo 1916. Lo storico torrione, ora semidiroccato, sembra resistere anche grazie all’abbraccio delle piante rampicanti. Un mastio che, come il castello di Bianello e i 4 colli, dal 2002 appartiene al Comune di Quattro Castella. L’edificio richiede un intervento rapido per evitare altri crolli, anche perché due delle tre facciate sono ormai separate da una profonda frattura, e perché le pietre che formano l’arco sovrastante l’antico portale sembrano sfidare la legge di gravità, simboleggiando alla perfezione l’instabilità dell’intera struttura.

Ma perché Monte Zane è così importante nell’episodio del Perdono? È convinzione degli storici che la preparazione del Perdono avvenne a Monte Zane, e in particolare nella cappella dedicata a San Nicola, citata dal monaco benedettino Donizone nella Vita Mathildis, la biografia della Grancontessa. —

 

Area ex Controllo «invasa» da scout
Da larena.it del 18 aprile 2021

Scout in campo per la rinascita dell’ex area Controllo, sul Monte Calvarina. Ieri pomeriggio, una quindicina di ragazzi (i grandi del reparto Alta squadriglia, cioè ragazzi nati tra 2007 e 2005), assieme ai loro capi, hanno aperto il cantiere di un campo di due giorni durante i quali daranno il loro contributo al ripristino dell’area Controllo. Protagonisti dell’iniziativa sono gli scout del Gruppo Soave I, guidato da Mirco Menini e Roberta Magagna, lo stesso che oggi manda sul monte, per tutta la giornata, una decina tra capi e ragazzi del clan (cioè giovani tra i 16 ed i 20 anni).

«Ci è stato chiesto se potevamo dare una mano a realizzare questo progetto e così, seguendo la logica del servizio e l’obiettivo che ci anima, cioè lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato, ci siamo messi a disposizione. Questa attività», spiegava ieri Magagna, «oltre ad essere utile al recupero di un’area, ci permette di portare avanti anche un progetto educativo e di sensibilizzazione ecologica». Da punto di vista operativo, i ragazzi sono stati chiamati a dare una mano a ripulire gli spazi dalla plastica e dai rifiuti che in 25 anni di abbandono si sono, purtroppo, accumulati: tutto questo avverrà nell’ex base aeronautica che oggi, grazie ad un progetto di valorizzazione, si appresta a cambiar pelle e a rinascere. Il 7 maggio la Fondazione Safe, infatti, che l’ha ottenuta in concessione per dieci mesi, presenterà qui il suo programma di alta formazione relativa alla sicurezza su scenario critico.

«Si tratta di un progetto che vuole anche restituire uno spazio al territorio», ha spiegato ieri Andrea D’Angelo (presidente di Safe) ai ragazzi, che hanno così compiuto il primo passo in quest’area davvero enorme, arricchita di un bosco che accoglierà anche alcune delle loro attività. Cooperazione è la parola d’ordine, perché gli scout, preziosissimi ieri ed oggi per concludere le grandi pulizie iniziate mesi fa, saranno coinvolti anche in altre attività, come quella pensata con alcuni writer ai quali Safe chiederà di cambiar volto ad alcune delle ex palazzine militari, utilissime come verosimile scenario immersivo per le attività pratiche. Sul posto, per accogliere e ringraziare i ragazzi, ieri pomeriggio sulla Calvarina ha voluto salire anche il sindaco di Roncà, Lorenzo Ruggeroni. Il primo cittadino ha riservato ai ragazzi e ai loro capi un breve momento di saluto perché poi i giovani scout, con guanti, con scarponi e con grandi sacchi di plastica alla mano, si sono messi subito al lavoro: da bonificare c’era anche una vera e propria piccola discarica con materiale plastico abbandonato negli anni, a ridosso di uno dei piazzali, oltre a materiali di tutti i tipi. Stesso scenario che attende oggi gli altri ragazzi: domani, una ditta specializzata provvederà a raccogliere tutto il materiale di scarto raccolto e smaltirlo correttamente. •

 

Castelli di Puglia: Il Castello Svevo di Brindisi
Da corrieresalentino.it del 18 aprile 2021

Il Castello Svevo di Brindisi, conosciuto anche come Castello Grande o Castello di Terra, per distinguerlo da quello aragonese, quest’ultimo detto anche Forte a Mare, è attualmente il più antico ed importante edificio della città. Costruito nel 1227 per volere di Federico II di Svevia, doveva servire quale residenza fortificata per lo stesso Sacro Romano Imperatore e Re di Sicilia, nonché come presidio militare per le sue milizie. Per la sua edificazione vennero reimpiegati materiali provenienti dalla vecchia cinta muraria e dagli antichi monumenti in rovina, tra cui molto probabilmente anche l’antico anfiteatro romano. La pianta originale era di forma trapezoidale, sul cui lato occidentale, tra le due torri cilindriche, venne edificato il Mastio o Dongione, che al piano terra presentava la porta di accesso alla fortezza. Sul lato orientale ed al centro, invece, fra due torri a pianta quadrangolare, ne venne costruita un’altra pentagonale. Ovviamente nel corso dei secoli furono operate diverse modifiche alla struttura, in modo da renderla idonea alle nuove esigenze di carattere difensivo. In particolare nel 1448, i nuovi dominatori aragonesi provvidero all’edificazione di una cinta muraria esterna sul lato rivolto verso terra del castello, mantenendo l’originale nucleo svevo. Tale muraglia venne rinforzata con quattro torri circolari a difesa di eventuali assalti condotti con armi da fuoco.

Durante questa fase di ristrutturazione l’originale fossato di epoca sveva venne coperto e sull’area furono ricavati locali interni e piazzole, mentre uno nuovo e più grande fu scavato e nel contempo si provvide ad aprire un nuovo ingresso al castello lungo il lato occidentale. Un’epigrafe risalente al sovrano Ferdinando d’Aragona riporta all’interno della fortezza un breve resoconto relativo ai lavori di ampliamento e di rinforzo. Ulteriori modifiche furono effettuate fra il 1526 ed il 1530 e portarono ad una sopraelevazione del parapetto, nonché alla creazione della Batteria di Levante e del Baluardo della Campanella.

Salito al trono di Napoli Gioacchino Murat, cognato di Napoleone Bonaparte, il castello fu utilizzato come penitenziario. A partire dal 1909 veniva utilizzato dalla Marina Militare Italiana quale stazione per le torpediniere mentre l’anno successivo si provvedeva ad istituire il Comando dei Reparti di Sommergibili. Durante i due conflitti mondiali il castello fu impiegato come base navale e nel 1943 furono ospitati al suo interno i sovrani Vittorio Emanuele III e la regina Elena, nonché il Capo del Governo, maresciallo Badoglio, all’epoca in cui Brindisi fu provvisoria capitale d’Italia.

Cosimo Enrico Marseglia

 

Genova sotterranea: visita al bunker di Campi con trekking sulla collina di Coronata
Da mentelocale.it del 18 aprile 2021

Sabato 24 aprile 2021, con triplo turno alle 8.30 - 9.15 e 10.30, le guide di My Trekking portano alla scoperta del Bunker di Campi con la visita guidata Genova Sotterranea. Un'escursione alternativa per visitare i rifugi antiaerei che venivano utilizzati nella seconda guerra mondiale per mettere al riparo il personale dell’Ansaldo durante i bombardamenti. La visita avviene in collaborazione con il Centro Studi Sotterranei di Genova, autorizzati dalla proprietà ad accompagnare gruppi di visitatori.

Il CSS, oltre a descrivere le peculiarità del bunker, fornisce anche i caschi protettivi ai partecipanti. Il numero massimo di partecipanti è limitato per ragioni di sicurezza. La visita non presenta particolari difficoltà. Dopo la visita al bunker è previsto un trekking esplorativo leggero sulla collina di Coronata. La stima del percorso, con ritrovo alle ore 9, si riferisce al trekking sulla collina (9 chilometri, con dislivelli in salita e in discesa 300 metri).

La visita al bunker è di circa 1 Km e sostanzialmente pianeggiante.

Contributo associativo: 15 Euro (gita riservata ai Soci My Trekking).

Per diventare socio e partecipare, scaricare l'App My Trekking e iscriversi.

Per ricevere informazioni sulle gite inviare un messaggio whatsapp con scritto "Iscrivimi" e il nome a My Trekking 335 1779367.

 

Torre di Avalos
Da castelliere.blogspot.com del 18 aprile 2021

Dopo l'estate del 1551, a seguito di un attacco effettuato da 150 galere turche, il governo spagnolo con il viceré Garcia de Toledo ideò un sistema di difesa del porto: nel 1567 fece costruire i forti Garcia e Vittoria (http://castelliere.blogspot.com/2011/06/i- astelli-di-lunedi-27-giugno.html) e nel 1570 don Francisco Fernandez Avalos de Aquino, successore di Garcia, Torre Avalos, ubicato sopra una secca. Un'inusuale conformazione a settore circolare di 280 m, a due livelli e con all'estremo sud dell'asse di simmetria del forte una torre elicoidale per favorire l'avvistamento ed ospitare in sommità una lanterna. Altra funzione della torre era quella di contenere al suo interno 40 cannoni utilizzabili nel caso di un attacco navale.

La breve permanenza ad Augusta dei francesi, iniziata nell'estate del 1675, si concluse il 18 marzo 1678, con il cessare della "Guerra d'Olanda". Tra le distruzioni cui dettero mano nell'abbandonarla, vi fu anche quella dell'originale lanterna del forte. I grandi lavori di rafforzamento della piazzaforte, effettuati entro il 1685 dagli spagnoli, come testimonia ancora oggi la lapide affissa sulla Porta Spagnola d'ingresso ad Augusta, interessarono anche Torre Avalos nel 1681. Il terremoto del 1693 danneggiò il forte e fece crollare la nuova lanterna, che poi venne riedificata nell'attuale posizione. Nel 1823, lo scoppio accidentale della polveriera mutilò il forte lungo il semiarco di ponente, mai più ricostruito. Si provvide però a restaurare la torre, portandola all'altezza di 26 metri, per aumentare la portata della lanterna fino a 14 miglia. La costruzione delle fortificazioni doveva necessariamente continuare, ma non si riuscì a farlo, prima della seconda metà del XVII secolo. Dopo la parentesi francese, nel 1680 de Grunembergh si recò ad Augusta per redigere piante a preventivo. Elaborò un progetto per rendere la zona del Castello una cittadella, aumentandone le fortificazioni sia dal lato del mare che dal lato della città: un sistema di fossati, rivellino, spalti e soprattutto bastioni costruiti da tecnici olandesi esperti in costruzioni sul mare, che, per essere realizzati, dal lato della città, fu necessario l'abbattimento dei prime due isolate settentrionali.

La Porta spagnola fu costruita nel 1681 da Carlo II a oggi è il simbolo di Augusta. Le fortificazioni subirono forte danni dal terremoto del gennaio 1693 e una parte del Castello fu completamente distrutta dallo scoppio della polveriera. I resti delle mura attualmente sono spariti all'interno di case, abbattuti per il passaggio di tubazioni e, dove esistono, sono coperti da cartelli pubblicitari a aiuole. I resti di bastioni e batterie esistenti sono in totale abbandono a causa del degrado ambientale, dell'incuria e del vandalismo, o sono inglobati in strutture moderne. Solo una parte degli interventi necessari, sono stati effettuati sui bastioni a mare, per contenere il processo di collasso che li sta interessando.

Torre Avalos si trova in uno stato avanzato di degrado. La Marina Militare effettua opera di vigilanza, ma non sono di sua competenza le opere di manutenzione. Ai danneggiamenti accumulati nei secoli, si aggiunge il degrado dovuto agli agenti ambientali. Mancano infissi, processi di ossidazione, muffe a radici di piante infestanti minano l'intera struttura. Un intervento della Soprintendenza su un aggrottamento del paramento a ponente, programmato già da qualche anno, non si è ancora materializzato. A queste opere nessuno sembra prestare adeguata attenzione e, totalmente abbandonate al degrado, rischiano di non essere più recuperabili. La Torre Avalos dovrebbe essere inserita, come è stato fatto per gli altri due forte spagnoli, in un'azione programmata di fruibilità tutelata.

Altri link per approfondire: http://www.augusta-framacamo.net/monumentiavalos.
asp, https://www.youtube.com/watch?v=fAcL_YDrmeQ (video di Sulidarte), https://www.youtube.com/watch?v=oLW9ta-4Gb8 (video di Sicily Tourist), https://www.youtube.com/watch?v=_k-_zNVBHfk (video di harboursnews),
https://www.lagazzettaaugustana.it/degrado-di-torre-avalossegnalato-da-italia-nostra-il-ministero-batte-un-colpo/

Fonti: https://www.antoniorandazzo.it/sicilia/torre-avalos.html,
https://it.wikipedia.org/wiki/Isola_di_Torre_Avalos,
https://www.visititaly.it/info/952807-torre-avalos-augusta.aspx,
https://eccellenzemeridionali.it/2021/03/01/torre-avalos-augustastoria/

Foto: la prima è presa da
https://eccellenzemeridionali.it/2021/03/01/torre-avalos-augustastoria/,
la seconda è presa da https://www.vivasicilia.com/torreavalos-augusta/

 

Porta Sardegna, terminati i lavori alla cinta muraria del borgo medievale
Da iltirreno.it del 17 aprile 2021

In corso l’intervento alla facciata del palazzo comunale. Il sindaco Gaspari: «Ci rimettiamo a nuovo per il turismo»

Di Luca Dini

CASTIGLIONE. La piazzola prima, la torricella poi e adesso Porta Sardegna. Un altro pezzo di storia recuperato a Castiglione di Garfagnana dove sono terminati i lavori di ristrutturazione di un altro tratto di mura del borgo medievale.

L’intervento, da 65mila euro, è il penultimo di una serie che ha l’obiettivo di riqualificare Castiglione e rilanciare la sua spiccata vocazione turistica. Il recupero di Porta Sardegna migliora così un accesso al borgo e ne va a completare l’itinerario turistico. «Un progetto importante, un obiettivo che ci eravamo prefissati come amministrazione – dice il sindaco Daniele Gaspari – la nostra attenzione sul recupero e la valorizzazione del nostro patrimonio artistico e culturale è massima visto quanto abbiamo sempre investito per aumentare l’afflusso turistico nel nostro bellissimo borgo che solo pochi giorni fa è stato oggetto di visita anche da parte del direttore della Galleria degli Uffizi di Firenze, Eike Schmidt. Siamo partiti dai lavori alla piazzola ed alla torricella. Porta Sardegna versava in condizioni critiche già da tempo ed era un nostro obiettivo sistemarla in tempi brevi. Con questo intervento da 65mila euro abbiamo ridato così vita ad una delle porzioni di mura tra le più visitate visto che è collegata alla nostra Rocca».

Infatti, lì si trova il torrione della Campanella, alla cui base sta il Baluardo della Rocca, visibile entrando dalla porta che si apre nella cortina di Sardegna. Cortina che unisce il baluardo della Rocca con quello della Torricella e fu costruita nel 1616 dividendo la fortificazione in due quartieri e isolando quello più debole della Sardegna. Tra qualche settimana termineranno anche i lavori alla facciata del palazzo comunale. «Un passo in più verso per il nostro grande progetto di recupero di tutta la cinta muraria e del centro storico. Vogliamo completarlo in futuro presentando altri progetti per ottenere i finanziamenti necessari». Il completo restauro della facciata del palazzo comunale con riqualificazione energetica dell’edificio è un lavoro completamente finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e dal Ministero per un importo complessivo di 108mila euro. Un importante intervento su un palazzo del Cinquecento che da secoli è sede della vita politica e amministrativa della comunità di Castiglione. «A breve – chiude Gaspari – potremo contare sul finanziamento regionale che ci permetterà di installare un binocolo panoramico a San Pellegrino in Alpe, realizzare cartellonistica turistica culturale nella frazione di Chiozza, acquistare giochi per il parco giochi nella frazione di Cerageto, e panchine, cestini, posaceneri e altri componenti per migliorare l’arredo urbano su tutto il territorio comunale». —

 

17 aprile 1992: Lavori di restauro al Castello con sensazionale scoperta: la torre tonda angioina
Da barlettalive.it del 17 aprile 2021

La torre tonda angioina del Castello di Lucera ci dà un’idea di come poteva essere la torre angioina del nostro Castello

Effettuando dei saggi sul pavimento della casamatta inferiore del bastione di S. Maria, che guarda verso la Cattedrale

17 aprile 1992: Nell’ultima fase dei lavori di restauro al Castello, una sensazionale scoperta: riaffiorate le tracce della torre tonda angioina risalente al 1278, in tutto simile a quella di Lucera

Nel corso dell’ultima fase dei lavori di sistemazione del Castello, effettuando dei saggi sul pavimento della casamatta inferiore del bastione di S. Maria, che guarda verso la Cattedrale, trovate consistenti tracce della torre rotonda di Carlo I d’Angiò risalente al 1278. Difficile scoperta perché la casamatta inferiore di S. Maria è isolata dal resto del Castello, in quanto non esistono collegamenti con quella superiore a livello del cortile. Le ragioni di questa anomalia per Marcello Grisotti restano incomprensibili.
Per accedere alla torre tonda angioina bisogna scendere nei sotterranei, dalla scalinata del torrione di S. Maria (sulla sinistra appena si varca il cancello in ferro d’accesso all’atrio castellare). Appena giù, nel secondo ambiente, vi è una porticina in ferro, oltre la quale si scende lungo una scala a gomito fiancheggiata da un muro grezzo.

Al termine, oltre un grande portale d’ingresso di cui si intravedono ancora i cardini, appare, in tutta la sua grandiosità, l’ampia volta della casamatta di S. Maria, la più grande di tutte, che si può ammirare ma alla quale non si può accedere per mancanza di una scala. In questa casamatta sono affiorate, durante gli ultimi scavi, le tracce dell’antica torre angioina di cui ormai si disperava il ritrovamento. Alta 27 m, la torre aveva un diametro interno di circa 14 m, un muro spesso oltre 2 m e una dotazione di 16 merli e nel complesso ci ricorda la Torre della Leonessa, realizzata nel castello di Lucera dallo stesso Carlo I d’Angiò. (R. RUSSO, Barletta, il Novecento, Editrice Rotas – Barletta 2008)

 

Bunker di viale Corassori. Quale futuro? «Nessuna offerta Troppo grande per gli uffici»
Da gazzettadimodena.it del 16 aprile 2021

L'architetto Stefano De Vecchi, come asset manager della società Numeria Sgr di Treviso proprietaria del complesso immobiliare, spiega la prospettive del Comparto Manfredini

Architetto Stefano De Vecchi, come asset manager della società Numeria Sgr di Treviso proprietaria del complesso immobiliare, ci può dire se ci sono novità per il Comparto Manfredini?

«Purtroppo non abbiamo nessuna novità».

Nell’ultimo anno non avete ricevuto nessuna offerta significativa?

«Siamo i proprietari dell’immobile e abbiamo valutato tutte le possibili trasformazioni dell’area e del complesso immobiliare. Per ultima, l’ipotesi di trasferimento del tribunale di Modena. Credevamo fortemente nella realizzazione di questa operazione di rilancio dell’immobile. Ma poi si è arenato tutto. Nel frattempo è intervenuto anche il Covid».

Altre proposte?

«L’anno scorso, poco prima dell’emergenza, c’erano stati timidi segnali di trattativa con un soggetto interessato ma poi l’interesse di mercato per quel settore di terziario è venuto meno e quindi non se ne è fatto niente».

Un complesso di dimensioni così “fuori taglia” deve avere spese elevate di manutenzione.

«Sì, sono spese importanti. Purtroppo abbiamo continuamente anche spese extra. Siamo oggetto di progressivi furti. Oggi di rame non ce n’è più: è stato tutto rubato. Siamo stati anche vittime di innumerevoli atti di vandalismo nei locali causati da gente non autorizzata che entra nell’edificio. In questo momento, con le risorse a disposizione, cerchiamo di contenere le effrazioni».

Chi sono i vandali?

«Ci sono i ladri che entrano spaccando e forzando forte e grate con seghe circolari e frese. Poi ci sono i writer che fanno scritte sui muri e ora anche in cima alla torre. Cerchiamo di tamponare nel modo migliore il degrado, ma è difficile».

Si era formato il laghetto di acque stagnanti pieno di insetti.

«C’era stato anche il ristagno dell’acqua che abbiamo risolto un anno fa. Contiamo per i
prossimi due anni che resti a posto e non si riformi».

Quindi il problema più grosso sono i ladri.

«Le effrazioni in genere. Ci tocca chiamare spesso carabinieri, polizia e vigili per segnalare intrusioni. I ladri hanno rubato tutto ciò che era commerciabile. Una parte dello stabile è stata cannibalizzata. Si sono portati via non solo il mobilio; persino i lavandini, i wc e le docce, maniglie e luci dei controsoffitti».

È avvenuto molte volte?

«Sì. Il fatto è che ormai siamo in emergenza appena qualcuno ci segnala un’intrusione. E chi entra utilizza, come dicevo, strumenti adatti e persino i martelli demolitori per compiere queste scorribande e provocano anche danni alle porte e alle grate. Siamo costantemente alle prese con interventi di ripristino per una porta scassinata e una finestra diventa».

Per fortuna che a Modena lo chiamano Alcatraz.

«(Ride) Già. Invece di scappare, però, questi ci entrano».

Perché le trattative non vanno mai a buon fine?

«Il problema è il mercato immobiliare che si è raffreddato e sta cambiando pelle. Col lockdown e l’emergenza è sempre più frequente lo smart working. Quindi le aziende non cercano più come prima grandi uffici per un utilizzo massiccio di spazi. Quell’edifico è grande e in questo momento poco appetibile».

È per questo che l’avete tolto dal catalogo di grandi edifici sul vostro sito?

«Diciamo che non lo teniamo più lì. Per il Manfredini la trattativa online non serve. Lo abbiamo proposto in tutte le salse e a tutti quelli che potevano essere interessati. Ma in questo momento non suscita interesse».

Al di là della valutazione estetica, è un particolare combinato di uffici già pronti.

«C’eravamo concentrati col tribunale. Per un edificio così grande ci vuole un interlocutore del genere. Un acquirente che si prenda almeno un terzo degli uffici. Chi chiede 300 metri quadrati di uffici non può essere neanche preso in considerazione. Non ha senso per i nostri conti, tra costi e benefici. In toto, sarebbe fantastico, ma parliamo di un edificio di 40mila metri quadri con annessi e interrati. E’ chiaro che per una sostenibilità minima ci accontenteremmo di cedere un terzo. Servirebbe un cliente che riesca a trasformare l’area».

Quanto può valere?

«Va a trattativa privata, ma non ho un’indicazione precisa. È un edificio troppo complesso e i valori di mercato stanno rapidamente cambiando, soprattutto quello di Modena che era fermo da tempo».

L’ipotesi demolizione?

«Certo, si può demolire e anche trasformare, l’importante è avere le idee chiare su cosa si vuole e si può fare. Ma per un motivo o l’altro finora non siamo mai riusciti a ricollocarlo». —

 

Società veneziana all’ex Ridotto per un progetto ecosostenibile
Da nuovavenezia.it del 15 aprile 2021

Di Eugenio Pendolini

Sant’Erasmo
L’ex Ridotto di Sant’Erasmo Nuovo, venduto all’asta dal Demanio, è stato acquistato a 308 mila euro dalla società Green Sant’Erasmo.

Ora nel futuro della fortificazione abbandonata da decenni c’è l’obiettivo di valorizzare l’area sperimentando un modello di agricoltura sostenibile sotto gli aspetti economico, sociale e ambientale. Saranno realizzate coltivazioni agricole, un centro di ricerca in collaborazione con le università e un punto vendita di prodotti locali. A presentare un’offerta e ad aggiudicarsi l’area da 18 mila metri quadri nella località dell’isola Punta Vela, è stata la società degli imprenditori veneziani Semenzato e Pellicioli.

Nel luglio 2019 il Demanio ha avviato un programma di cessione di 420 beni. Per l’ex Ridotto la base d’asta era di 299.800 mila euro e l’aggiudicazione è arrivata a 308 mila euro. L’ex Ridotto, una fortificazione circondata da un fossato con acqua, è stato costruito dagli Austriaci tra il 1832 ed il 1833. Di tutto il sistema difensivo resta oggi una porzione di terreno con all’interno una casamatta.
Fino a tredici anni fa, l’area era utilizzata da una famiglia contadina per la coltivazione dei carciofi di Sant’Erasmo. Ed è proprio a questa eccellenza, e più in generale alla tradizione agricola dell’isola, che si rivolge ora il progetto. È previsto infatti il restauro conservativo degli immobili. I fabbricati saranno utilizzati per fornire energia pulita grazie a un sistema di alimentazione energetica ecosostenibile con l’uso di impianti fotovoltaici. Nei piani della società dovranno essere installate anche colonnine per la ricarica elettrica delle imbarcazioni. I terreni saranno poi utilizzati per la coltivazione di ortaggi, nel solco della tradizione di Sant’Erasmo.

Nei circa duecento metri quadri di area coperta è prevista invece la creazione di uno spazio per la promozione e la vendita di prodotti locali della tradizione delle isole e soprattutto a chilometro zero. L’obiettivo è creare una rete di rapporti con le realtà produttive di Sant’Erasmo e delle isole circostanti (Vignole, Mazzorbo e Torcello), a partire ad esempio dal Consorzio del Carciofo Violetto.
Nel complesso, si parla di un progetto vicino al milione di euro che sarà sviluppato nei prossimi mesi in attesa di tutte le autorizzazioni. Quello per l’ex Ridotto è il secondo progetto di rilancio a Sant’Erasmo dopo quello annunciato a inizio anno per l’ex Polveriera Austriaca.
I 27 mila metri quadri del Comune sono stati assegnati con bando all’associazione Santerasmo, un consorzio di aziende agricole. È previsto un edificio su due piani, con una superficie coperta di circa 825 mq (di cui 458 a tettoia aperta su tre lati). La struttura ospiterà spazi per la lavorazione e la vendita di prodotti locali e spazi informativi per i visitatori. —

 

L’ex bunker nucleare diventa una stazione di ricerca che imita la vita sulla Luna e Marte
Da fanpage.it del 15 aprile 2021

Di Clara Salzano

Situata presso l’aeroporto post-militare in Polonia, la stazione di ricerca LunAres è una struttura specializzata per la simulazione di missioni spaziali sulla Luna e su Marte. Creato nel 2017 dalle società Space Garden e Space Is More, il progetto recupera un ex bunker nucleare per missioni analizzare l’impatto psicologico e fisiologico della presenza umana extraterrestre a lungo termine.

LunAres Research Station è una stazione di ricerca analogica che simula la vita su Marte e sulla Luna. Situata presso l'aeroporto post-militare in Polonia, la struttura è ricavata all'interno di un ex bunker nucleare ed è specializzata per la simulazione di missioni spaziali con equipaggio in situazioni extraterrestri. Il progetto è stato lanciato nel 2017 dalle società Space Garden e Space Is More e si rivolge ad un equipaggio di un massimo di sei persone coinvolto in una missione per due settimane tesa ad analizzare l'impatto psicologico e fisiologico della presenza umana extraterrestre a lungo termine.

LunAres è il primo progetto di questo tipo in Europa: "L'obiettivo generale di LunAres è creare una piattaforma di ricerca per supportare lo sviluppo scientifico e tecnologico nell'esplorazione spaziale con equipaggio.", spiegano Space Garden e Space Is More , "La vasta gamma di specialisti sono coinvolti nello studio in campi come la medicina estrema, la psicologia, la biotecnologia, la robotica e l'ingegneria, la sociologia, l'architettura. L'eventuale osservazione e controllo dell'ambiente interno, nonché la telemetria degli stati fisici e psicologici dell'equipaggio, forniscono grandi quantità di dati per studi complessi".

All'interno della stazione di ricerca, sviluppata dentro un ex hangar nucleare usato per immagazzinare i cacciabombardieri SU-22 pronti per il decollo, vengono condotte ricerche incentrate sui fattori umani nelle missioni spaziali, dello stato di salute e dei comportamenti dell'equipaggio. I dati raccolti in LunAres possono inoltre essere usati per la scienza, gli affari e gli sforzi educativi.

La stazione si trova in una zona remota della Polonia dove oggi i visitatori hanno accesso ad attrazioni come voli in aliante e parapendio, un museo aerospaziale e una base per immersioni profonde, oltre a provare le missioni LunAres che è parte di un piano di rivalorizzazione dell'area post-militare: "La nostra stazione è composta da due aree: Habitat, costruita con container, e area EVA situata nell'hangar. Il terreno EVA è collegato al resto della stazione tramite una camera di equilibrio.", continuano i fondatori del progetto, "La camera di equilibrio viene utilizzata dagli astronauti per il trasferimento dentro e  fuori l'habitat durante la simulazione dell'attività all'aperto. LunAres fornisce una squadra con diverse funzioni in singoli moduli".

L'organizzazione è strutturata in moduli in base alla funzione. Nella stazione off grid c'è spazio per un dormitorio camere da letto private, una cucina attrezzata, una palestra, i servizi igienici completi, un biolab utilizzato per eseguire esperimenti chimici e biologici, un'officina per le attività di costruzione, un laboratorio di ricerca e uno spazio comune per varie attività come riunioni, esercizi fisici e relax. "Siamo felici di utilizzare l'hangar post-militare per uno scopo così pacifico e internazionale". 

 

 

Malta: alla scoperta delle Victoria Lines
Da periodicodaily.com del 15 aprile 2021

Di Irene Gianola

Tra antiche fortificazioni e un panorama mozzafiato, un’escursione lungo le Victoria Lines a Malta è la meta perfetta per gli appassionati di storia militare e chiunque voglia trascorrere una giornata passeggiando nella natura. Vediamo allora le attrazioni che “la grande muraglia maltese” può regalare al pubblico.

Cosa sono le Victoria Lines?

Le Victoria Lines (in onore della regina inglese) sono una serie di piccoli baluardi collegati da una muraglia difensiva e per questo soprannominati con un pizzico di ironia “la grande muraglia maltese”. Queste fortificazioni costruite nell’Ottocento dagli inglesi da est a ovest dell’isola, abbracciano con lo sguardo il magnifico panorama che va da Gozo a Mdina. Il percorso è di immenso interesse per gli appassionati di storia militare, ma è adatto a chiunque voglia trascorrere una giornata nella natura. Infatti circondati da panorami mozzafiato sarà possibile scattare magnifiche foto passeggiando lungo la costa.

La costruzione delle fortificazioni

Questo complesso difensivo fu costruito dagli inglesi alla fine del XIX secolo ai margini dell’altopiano centrale di Malta, per proteggere il cuore dell’isola dalla possibile invasione di truppe straniere. Già all’inizio del Novecento fu chiaro che questa fortificazione non avrebbe avuto alcuna utilità strategica. Tuttavia durante la Seconda guerra mondiale furono usati come bunker antiaerei.

Cosa vedere alle Victoria Lines

Il primo baluardo che incontrerete lungo il percorso è il Bingemma Fort, con un ponte levatoio e lo stemma sopra la porta in ottimo stato di conservazione. La strada prosegue vero la massiccia Nadur Tower: con i suoi 245 m è la più alta costruzione dell’isola. Con una strada asfaltata si raggiunge Bindqemma Gap, uno dei numerosi burroni che tagliano il pendio delle Victoria Lines. Qui si trova una piccola cappella da cui si può accedere ad alcune tombe romane sotterranee, scavate nella roccia. Il bel piazzale attorno è il luogo perfetto per consumare un picnic

L’escursione

La stretta strada asfaltata lungo le Victoria Lines, sfocia nell’ampia strada principale che collega Mosta e Moarr, percorsa da provvidenziali autobus. Seguendola sulla sinistra in direzione di Mgarr per circa 350 m si trova una strada sterrata che vi conduce al Targa Gap e alla postazione d’artiglieria Targa Battery. Da qui, proseguendo in direzione nord, si raggiungerà il Mosta Fort, che con la sua cappella sotterranea e l’ex magazzino di munizioni ospitati in grotte nel sottosuolo, merita una visita. Dal forte, una strada asfaltata porta alla cittadina di Mosta, punto d’arrivo dell’escursione, dove sarà possibile prendere un autobus per il ritorno

 

Torre San Vitale, sfida per Como
Da corrieredicomo.it del 15 aprile 2021

Di Lorenzo Morandotti

Da una crisi può nascere una opportunità. Almeno si spera. Una goccia, anzi un sasso che fa traboccare il vaso e una lezione da non dimenticare, la tragedia sfiorata martedì a Como, quando una pietra di poco meno di un chilo si è staccata dalla Torre San Vitale, una delle fortificazioni medievali a difesa della cinta muraria della città storica ed è finita sul parabrezza del furgone di un ambulante da un’altezza di venti metri, distruggendolo.

«L’episodio è frutto di carenza di manutenzione ed è un vero peccato che non si sia messo mano per tempo – dice il presidente della Società Archeologica Comense fondata nel 1902, Giancarlo Frigerio – E dire che il recupero della torre San Vitale è un progetto che risale a quarant’anni fa, quando a dirigere il museo Giovio c’era Mariuccia Belloni Zecchinelli, e che è stato poi ripreso dal direttore dei musei Lanfranco Castelletti. Anche noi come Archeologica abbiamo contribuito con le nostre idee. Ma il restauro e il recupero della torre è rimasto nel cassetto ed è come dico un peccato, perché è una struttura unica e potrebbe rappresentare una risorsa importantissima anche per lo stesso Museo Archeologico Giovio, dove tra poco noi dell’Archeologica ci trasferiremo. Se si potesse accedere alla San Vitale attraverso la cerchia delle mura dal museo, i visitatori del Giovio aumenterebbero. Il perché è presto detto: lo spettacolo della città dall’alto della torre, che è dell’epoca del Barbarossa come il Baradello, è impagabile quanto originale. Una città del tutto diversa da quella che si vede in basso come chiunque salga sul Monumento ai Caduti del Terragni può notare in zona lago. Per realizzare il progetto non occorrono molti soldi. E noi come Società Archeologica – sottolinea Frigerio – abbiamo anche fatto ipotesi di studio e di mappatura e rilievo con i droni, molto più economici rispetto a un ponteggio e a una impalcatura dedicati».
Manca insomma la volontà politica per creare un collegamento virtuoso e a favore del turismo culturale in uno dei punti storici di Como. Se poi si allarga lo sguardo alle potenzialità dell’intera cerchia muraria di Como, apriti cielo. Ci sono i rifugi antiaerei sotterranei ad esempio. E ci sono appunto le mura, «purtroppo molte – rimarca il presidente dell’Archeologica – sono in mano ai privati e questo non agevola l’ipotesi di una sistematizzazione ai fini turistici. Rimane la ferita grave della torre San Vitale, occasione da sfruttare e che non richiede grandi finanziamenti, a parte quelli necessari per l’accessibilità con scale o con un piccolo ascensore, e la messa in sicurezza. C’è il precedente virtuoso del Baradello, che permette la visita fino alla sommità da anni. Con le opportune autorizzazioni, vedo la cosa fattibile anche per la torre cittadina che potrebbe sfruttare in modo virtuoso il corridoio di collegamento ai giardini del museo Giovio. Se non interveniamo la struttura sarà preda della vegetazione dalle potentissime radici che trova terreno fertile nella calce che unisce le pietre. Spero che il sasso caduto dia una spinta risolutiva, sarebbe un peccato se si recintasse la torre e rimanesse tutto fermo per anni. Sono già stati persi 200mila euro di finanziamento per la manutenzione esterna delle mura messi sul piatto da Fondazione Cariplo, all’epoca nessuno in Comune ha provveduto al necessario progetto. E alla fine Cariplo ha ritirato i fondi. Senza contare che a Como per la valorizzazione delle mura romane c’è il progetto, mai attuato, redatto dall’architetto veronese Libero Cecchini che prevedeva un collegamento da Porta Torre a via Ciceri, con una piccola piramide trasparente tipo quella del Louvre per vedere le torri in largo Miglio. Intanto per infiltrazioni di umidità ci risulta inagibile la Porta Pretoria sottostante». Segni dei tempi.

 

"Le fortificazioni della città di Palermo dall’antichità ai giorni nostri": la presentazione è online
Da palermotoday.it del 14 aprile 2021

"Le fortificazioni della città di Palermo dall’antichità ai giorni nostri": la presentazione è onlin Nell’ambito dell’iniziativa “30 Libri in 30 Giorni” si terrà giovedì 15 aprile 2021 alle ore 17,30, organizzata da BCsicilia Sede di Isola delle Femmine in collaborazione con A.N.F.I. Sezione di Palermo, la presentazione del volume di Alessandro Bellomo “Le fortificazioni della città di Palermo dall’antichità ai giorni nostri”.

Dopo l’introduzione di Agata Sandrone, Presidente BCsicilia Sede di Isola delle Femmine, sono previsti gli interventi di Umberto Rocco, Generale di Brigata (ris.), Presidente A.N.F.I. Sezione di Palermo e Michele Nigro, Sottotenente (ris.) della Guardia di Finanza. Sarà presente l’autore. L’incontro si terrà sulla Pagina Facebook BCsicilia Isola delle Femmine.  Già da molti secoli, studiosi si sono succeduti nella descrizione e nello studio approfondito dei documenti che raccontano l’antica Palermo. Il libro cerca di sviluppare in una forma più divulgativa e sintetica la descrizione del lento evolversi del complesso difensivo militare che interessò Palermo. L’ingegno umano impegnato nell’arte della guerra fu coinvolto nella costante competizione tra lo studio del sistema per assediare e dunque distruggere le difese delle città nemiche e la ricerca delle migliori soluzioni per difendere i centri urbani.

Sembrò prevalere un metodo di ideazione che prevedesse in qualche modo di conservare quanto costruito nel tempo cercando di adattare le strutture alle nuove armi introdotte sui campi di battaglia. Ma ad un certo punto, quando alla fine del XIX secolo il “sistema di fare la guerra” iniziò a cambiare a tal punto da rendere tali opere di ingegneria superate, si scelse di non conservare quanto nei secoli era stato creato dall’ingegneria militare preferendo demolire indiscriminatamente tutto.
Oggi, dopo una lunga pausa, nuovi studiosi hanno ripreso a studiare e ricercare ciò che resta delle passate vestigia cittadine nel tentativo di ricostruire la memoria dell’antica città. L’autore del volume

Alessandro Bellomo, scrittore e saggista ha al suo attivo molteplici pubblicazioni a carattere storico e articoli apparsi in svariati quotidiani e riviste. Rilevante l’attività di ricerca riguardante la sua Sicilia e la storia di Palermo e soprattutto dei periodi bellici di inizio ‘900. Nel 2009 pubblica il libro “Bombe su Palermo”; nel 2011 “1943: il martirio di un’isola”; nel 2012 “Sulle Tracce dei russi in Sicilia”; nel 2013 “La Sicilia dei russi”. La sua ultima pubblicazione racconta il ruolo svolto dalla Sicilia durante la Prima Guerra Mondiale nel campo aviatorio, e il ruolo della grande industria di Vittorio Ducrot. Esamina il ruolo strategico della Sicilia nel Mediterraneo nel campo della protezione dei traffici marittimi attraverso il mezzo aereo, con una breve galleria sugli aviatori siciliani che parteciparono al Primo Conflitto Mondiale.

 

Lavori sulla Rocca sarà riaperta anche la porta sud
Da nuovavenezia.it del 14 aprile 2021

Il secondo accesso viene testimoniato in due libri di storici ed esperti noalesi Il cantiere per il restauro costerà 260 mila euro

Di Alessandro Ragazzo

NOALE
Presto si potrà aprire anche la porta sud della Rocca di Noale. In questi giorni, in Città metropolitana, è stato aperto il bando di gara per il restauro di quel lato dello storico monumento, dalla torre sud a quella ovest, ormai da troppo tempo malandato. Il recupero permetterà di migliorare la sicurezza quando riprenderanno le manifestazioni all’aperto, visto che ora l’accesso avviene dal lato opposto, da nord. Nella cinta muraria si cercherà di usare il più possibile il materiale originale e si metterà mano ad altri punti dell’edificio, oltre a costruire i nuovi servizi igienici. «Grazie al lavoro con la Sovrintendenza» spiega la sindaca Patrizia Andreotti «abbiamo ottenuto anche il parere favorevole a realizzare una passerella che colleghi la spianata sud con gli spalti».

Indicazioni della presenza di una seconda porta si trovano in almeno due libri . In “Noale tra storia e memoria” l’amato maestro e storico Giacomo Dal Maistro riporta come «si poteva uscire dalla parte opposta all’ingresso principale, per un’altra porta e per un secondo ponte levatoio di legno posto a mezzodì “longissimo e bello” e ancora esistente nel 1483». Nel volume “Il castello medievale di Noale”, lo storico noalese Federico Pigozzo, grande esperto della storia del monumento noalese, sottolinea che la Rocca era dotata di un altro accesso sul lato opposto. Il cantiere costerà 260 mila euro, il nome della ditta incaricata dei lavori si conoscerà a maggio.
Nel 2008 erano state sistemate le mura, mentre poi, grazie allo studio dell’architetto Patrizia Valle, si è andati avanti con il restauro e il consolidamento statico delle torri e della cinta muraria est e ovest. —

 

In missione sulla Luna, in Polonia: ecco il nuovo viaggio “spaziale” a misura di Covid
Da lastampa.it del 14 aprile 2021

Preparatevi a indossare una tuta spaziale, mangiare cibo liofilizzato e non vedere la luce del sole per 14 giorni. Per una vacanza fuori dal mondo, un ex bunker nucleare è stato allestito per imitare in tutto e per tutto la Stazione Spaziale e la Luna.
Lunares si trova nell'ex aeroporto militare di Pila, in Polonia, offre agli aspiranti astronauti l'opportunità di partecipare a una missione spaziale simulata di due settimane per 1750 euro. Sei reclute sono "decollate" proprio oggi, 14 aprile, sotto la guida dello scienziato francese Benjamin Pothier, ma entro la fine dell'anno sono previste altre sette missioni che daranno la possibilità a 42 persone di provare l'esperienza "da altro mondo".

I viaggiatori avranno la possibilità di assaggiare la vera vita di un astronauta nello spazio, con tanto di pasti da reidratare, passeggiate con la tuta spaziale ed esperimenti scientifici, ma non la gravità zero: nessuno, infatti, staccherà mai piede da terra, anche se le suggestioni non mancheranno. Per essere ammesse nel bunker, le reclute devono risultare negative al Covid, avere una laurea di primo livello e parlare un buon inglese. Non sorprende che non sia raccomandato a chi soffre di claustrofobia. Basta vedere le foto scattate da Pothier per capire il perché, a partire dagli spazi ristrettissimi del dormitorio.

E non pensate che durante la permanenza nella base di Lunares ci sia tempo da oziare: la giornata iniziata con una sveglia alle 7:30 seguita da una sessione mattutina di yoga, una ciotola di porridge liofilizzato e diversi controlli medici, per poi passare agli esperimenti scientifici e ai test sul campo, per sperimentare le attrezzatura spaziali del futuro.

 

Torre Suda
Da laterradipuglia.it del 13 aprile 2021

Se stai programmando le tue vacanze in Puglia sicuramente avrai voglia di trovare qualche località di mare incantevole ed accogliente, dove poterti opportunamente ed adeguatamente rilassare dopo un lungo inverno. Torre Suda è sicuramente una delle località di mare in Puglia più gettonate. Non tanto per la movida, quanto più per l’atmosfera genuinamente rilassante che vi si respira, a ridosso del mare più blu ed incantevole che si possa immaginare. Ve la raccontiamo brevemente.

Siamo a due passi da Racale, un piccolo ma piuttosto importante centro della provincia di Lecce. In zona si coltivano i cereali, le ulivi e le viti. Un tempo vi si coltivava anche molto tabacco. Grazie al fenomeno dell’emigrazione di ritorno, Racale è cresciuta non poco negli anni Settanta ed Ottanta del Novecento ed è altresì divenuta un piccolo centro industriale, con particolare riferimento alla produzione di maglieria conto terzi. Si usava costruire una rete di lavoro a domicilio ed è stato un business che ha dato lavoro a molte persone portando benessere ed invogliando i giovani a restare in zona. Ancora oggi è molto vivo ed operoso come polo produttivo per ciò che concerne le calze da uomo. Il nome Torre Suda deriva da una torre costiera edificata nel XV secolo a scopo difensivo proprio sulla costa pugliese in questione. Era un periodo in cui le scorribande e gli attacchi da parte dei Turchi erano all’ordine del giorno. Sicchè dapprima i Normanni e poi gli Svevi fino ad arrivare a Carlo I d’Angiò, fecero costruire diverse torri costiere lungo tutto il Salento. Torri che erano piuttosto ravvicinate e ben visibili tra di loro. Cosicchè, ciascuna vedetta, potesse avvisare quella vicina in caso di pericolo.

Come mai Torre Suda si chiama così

In realtà, la torre in questione sembra non si chiamasse “Suda” sin dal principio. Anzi, sembra che questo nome sia più recente. Dopo che fu dismessa e che non servì più per scopi militari, la torre fu infatti usata come cisterna per la raccolta dell’acqua. Una cisterna che spesso aveva delle perdite, tanto che sembrava “sudare”. Di qui il nome di Torre Suda.

Vacanze in Puglia: tutti pazzi per Torre Suda

Nonostante non sia un luogo particolarmente modaiolo, Torre Suda ha davvero conquistato tutti. Il suo mare sempre limpido e cristallino, le acque placide, le baie accoglienti offerte naturalmente dalla conformazione della costa e l’inconfondibile profumo di macchia mediterranea che aleggia nell’aria ne fanno una meta turistica perfetta per tutti. Per coppie, single, compagnie di amici, famiglie con bambini. La spiaggia non è del tutto sabbiosa, anzi vi sono diversi scogli, ma tutti bassi e lisci, pertanto il mare è facilmente raggiungibile anche per chi non è un nuotatore esperto.

Dove si trova torre Suda

Come detto, Torre Suda si trova a due passi da Racale. Racale è il paese più vicino alla località di mare verso l’entroterra. Torre Suda si trova invece sulla litoranea che da Gallipoli scendendo verso sud porta fino a Ugento. Poiché è una località turistica, offre innumerevoli appartamenti in affitto e casette singole. Se cerchi affitti a Torre Suda ed hai voglia di respirare l’aria di mare notte e giorno, sicuramente non resterai deluso.

 

La Berlino della Guerra fredda, itinerari inediti nei luoghi della storia
Da ilfriuli.it del 11 aprile 2021

Martedì 13 aprile, su Teams, appuntamento con Francesca Zilio, per un percorso fuori dalle rotte turistiche

Martedì 13 aprile secondo appuntamento del ciclo dedicato alla letteratura austriaca con la conferenza tenuta da Francesca Zilio, storica e ricercatrice di Villa Vigoni – Centro italotedesco per il dialogo europeo (www.villavigoni.eu (http://www.villavigoni.eu/)), autrice del volume Divisione e riunificazione: itinerari storici nella Berlino della Guerra fredda (Villa Vigoni Editore | Verlag, 2020). I partecipanti scopriranno itinerari e luoghi della città di Berlino degli anni della Guerra Fredda nei quali sono indelebili le tracce della storia di divisione e riunificazione delle Germanie. L’appuntamento è online, alle 18, sulla piattaforma Teams, collegandosi all’indirizzo https://tinyurl.com/3lc47nv7 (https://tinyurl.com/3lc47nv7).

La conferenza è organizzata dalla sezione di Lingua e Letteratura Tedesca del dipartimento di Lingue e letterature, comunicazione, formazione e società (Dill) dell’Università di Udine in collaborazione con Villa Vigoni – Centro italo-tedesco per il dialogo europeo, unica istituzione binazionale italo-tedesca esistente in Italia, con sede a Menaggio sul Lago di Como.

"Francesca Zilio nel suo volume, un progetto di public history, ha ricostruito percorsi al di fuori degli itinerari turistici consueti, illustrando luoghi che furono sede di decisioni fondamentali per la storia della Germania e dell’Europa, di negoziati diplomatici e trattati internazionali – spiega Elena Polledri, docente di letteratura tedesca e austriaca del Dill e socia dell’Associazione Villa Vigoni –. Durante la conferenza – anticipa Polledri – saremo condotti, attraverso immagini e mappe, dal punto in cui i berlinesi dell’Est riuscirono a passare ad Ovest la notte del 9 novembre 1989 a quello in cui si trova la baracca originale di Checkpoint Charlie; dal cinema dei VIP della DDR, uno dei pochi edifici simbolo della ex Berlino Est che hanno tuttora la stessa funzione, ai luoghi del film Good Bye, Lenin!, al lussuoso hotel del centro che nessuno sospetta essere stato inaugurato da Erich Honecker; dal castello di periferia che fu nel tempo deposito nazionale delle opere di “arte degenerata” sequestrate dai nazisti e residenza del presidente della Repubblica della DDR, fino alla centrale da cui gli alleati occidentali amministravano Berlino Ovest, oggi sede del rettorato dell’Università libera di Berlino".

Francesca Zilio è ricercatrice presso Villa Vigoni – Centro italo-tedesco per il dialogo europeo. Collabora con enti specializzati nel turismo culturale ideando e guidando viaggi a tema storico. È autrice di Il Muro di Berlino in pillole su Instagram e Facebook. Dopo la laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia, ha ottenuto un dottorato binazionale in Storia delle relazioni internazionali presso Sapienza Università di Roma e Freie Universität Berlin.

 

«Allegri», l’aeronautica lascia lo scalo
Da corrieredelveneto.it del 10 aprile 2021

 

 

Padova, domino sull’aeroporto militare. Il sindaco Giordani: «Ora nuovi servizi»

Stavolta non ci sono dubbi e c’è anche un termine: entro fine anno, l’aeronautica militare lascerà l’aeroporto «Allegri». Lo scalo conserverà le funzioni civili (base per voli sanitari e privati) ma, nei piani del Comune, gli spazi che torneranno al demanio dovranno accoglierne di nuove. C’è l’ipotesi della scuola di formazione per gli allievi dei vigili del fuoco, ma anche di uffici per Enac, prefettura, Direzione investigativa antimafia e guardia di finanza.

Stavolta, a differenza di quanto più volte accaduto in passato, la notizia è certa. Se non altro perché, a renderla nota, è direttamente il sindaco di Padova, Sergio Giordani. Tra circa otto mesi e mezzo, ossia entro il 31 dicembre prossimo, l’aeronautica militare abbandonerà definitivamente l’aeroporto Allegri di via Sorio, completando il trasferimento del 2° Reparto Manutenzione Missili (avviato ancora nell’estate del 2012) e liberando così un’area di proprietà demaniale di circa 42 mila metri quadri, proprio nel cuore dei rioni di San Giuseppe, della Sacra Famiglia, di Brusegana e del Basso Isonzo.

Lo scalo cittadino costruito nel lontano 1916, che occupa una superficie complessiva di oltre 70 ettari a ridosso dell’argine del Bacchiglione, manterrà comunque intatta la propria «vocazione» civile, continuando cioè a fungere da base per i voli sanitari, per quelli turistici (privati), per l’elisoccorso del 118 e per le attività dell’aeroclub. Ma è chiaro che, già da tempo, la giunta di Palazzo Moroni e le altre istituzioni del territorio stanno dettagliatamente ragionando su come riconvertire gli enormi spazi, tra cui molti hangar e capannoni, che verranno appunto lasciati liberi dai militari.

«È assolutamente impensabile che, dall’inizio dell’anno prossimo, un’area così grande corra il rischio di rimanere vuota e di finire in preda al degrado. Ciò infatti scandisce il sindaco Giordani - rappresenterebbe non solo un problema per le persone che abitano nei quartieri lì attorno e, in generale, per tutta la città, ma costituirebbe anche un inammissibile spreco di risorse pubbliche, visto che gli immobili finora adoperati dall’aeronautica Militare sono perfettamente agibili e quindi, con qualche piccolo intervento di manutenzione, potrebbero benissimo essere riutilizzati per altre funzioni».

Già, ma quali? Le ipotesi, evidentemente concordate con il ministero della Difesa e l’agenzia del Demanio, non mancano. E quella più concreta riguarda il fatto che una parte dell’allegri potrebbe diventare la sede, per l’intero Nord Italia, della Scuola di formazione professionale per gli allievi dei vigili del fuoco: «In proposito - fa sapere ancora il primo cittadino - ho già espresso il mio parere favorevole con una lettera che, di recente, ho inviato al ministro per i Rapporti col parlamento, Federico D’incà». Ma all’interno dello scalo di via Sorio, potrebbero trovare spazio pure l’enac (per alcuni corsi sul pilotaggio dei droni), la prefettura (per trasferire una parte del proprio archivio), la guardia di finanza (abbandonando una delle due attuali sedi, ovvero quelle di via San Francesco e via San Fidenzio) e la Dia (la Direzione investigativa antimafia oggi situata in via Astichello). Pare insomma che stia per scattare un vero e proprio «risiko», che il sindaco Giordani ha intenzione di seguire in prima persona: «Si tratta di una partita fondamentale per il futuro della zona ovest della città, che potrebbe anche essere finanziata con il Recovery Fund».

” Giordani Impensabile che un’area così grande possa rimanere vuota e degradare

” Giordani Il recupero potrebbe essere finanziato dal Recovery fund

 

Il piccolo regno degli Hakka
Da china-files.com del 10 aprile 2021

Basandosi sul significato letterario della parola, tu土 in cinese significa terra e lou 楼 edificio alto, si può pensare al termine tulou come una descrizione generica di un edificio in terra battuta, in realtà è molto di più. In viaggio nel Fujian con Angela Piscitelli

Sui dolci declivi collinari nel sud-ovest della provincia del Fujian in Cina sorgono i tulou(土楼), edifici in terra battuta a forma circolare e non solo, simili a fortezze, abitati oggi maggiormente dal popolo Hakka (客家) ma anche dagli Hoklo comunemente chiamati Minnan (闽南).
Per sfuggire alle persecuzioni e alla carestia della Cina nord occidentale durante la dinastia Jin (265-314 d.C) , gli Hakka 客家(kejia in mandarino significa ospiti), migrarono gradualmente verso sud e si rifugiarono nelle provincie del Jiangxi, Fujian e nel Guangdong dove costruirono queste case fortezza per ripararsi dai banditi e dagli animali selvatici.
Sono conosciuti infatti anche sotto il nome di 客家土楼(kejia tulou).

Che cos’è un tulou?

Basandosi sul significato letterario della parola, tu土in cinese significa terra e lou 楼edificio alto, si può pensare al termine tulou come una descrizione generica di un edificio in terra battuta, in realtà è molto di più.
Le migliaia di “edifici di terra” costruiti dai gruppi etnici Hakka e Minnan della provincia rurale del Fujian, sono la massima espressione architettonica dell’esistenza di un clan in Cina. Queste strutture primitive erano in grado di ospitare, e in teoria lo sarebbero tuttora, interi clan familiari, composti anche da 600 persone, all’incirca 80 famiglie.

Lo spazio vitale all’interno dei tulou si sviluppa verticalmente, necessità primaria in una regione montuosa dai limitati terreni pianeggianti. Quasi tutti i tulou infatti sono situati a valle secondo i principi del fengshui 风水, l’arte geomantica cinese che organizza lo spazio abitativo in modo armonico e benefico.
Il fengshui, che in cinese letteralmente significa vento e acqua, prevede una montagna alle spalle capace di riparare dal vento e una fonte d’acqua nelle vicinanze, indispensabile per la vita. L’esterno cupo non ti prepara minimamente a quello che c’è dentro. Una volta entrati infatti, l’interno si spalanca come se ci trovassimo all’interno del Colosseo. Le gallerie con travi di legno scuro si innalzano maestosamente fino a cinque piani intorno a un cortile pieno di luce. Le piccole stanze, di dimensioni identiche, sono disposte una dopo l’altra come un canto architettonico. I corridoi girano e con essi tutte le stanze, dando un senso di unione collettiva. Queste strutture a comparti si possono quasi definire una sorta di antesignani dei condomini moderni. La disposizione tipica prevede le cucine al primo piano, i magazzini al secondo e gli alloggi dal terzo piano in su, di solito non superano i cinque piani. Al centro si trova un cortile che le famiglie utilizzano in comune, il tempio degli antenati e due pozzi con acqua alimentata da due diversi sorgenti.

Come veniva costruito un tulou?

Nonostante ci siano diverse affermazioni sull’esistenza di tulou più antichi, la prima registrazione risale al 1558, periodo che coincide anche con le battaglie susseguitesi tra gli Hakka e altri popoli della Cina settentrionale.
Stabilitisi al sud della Cina, gli Hakka decisero così di creare un modello abitativo più resistente, che incorporasse diversi elementi difensivi, in grado di ospitare numerose famiglie per affrontare insieme eventuali incursioni.
Prima di dare inizio alla costruzione, un maestro di fensghui veniva invitato a scegliere un luogo ideale o meglio di ‘buon auspicio’. Una volta deciso dove sarebbe stato collocato l’ingresso principale, si tracciava un cerchio attorno al centro con una corda. Le basi venivano costruite con pietre e i piccoli fori venivano ricoperti con dei ciottoli per impedire all’acqua di penetrare. La costruzione delle mura massicce, dallo spessore di oltre 3 metri e altezze fra i 10 e i 17 metri, consisteva in una miscela di argilla, calcare e sabbia che andava a riempire degli stampi di legno. Una volta essiccata formava una pelle dura come il cemento, capace di resistere a colpi di cannone, frecce infuocate, arieti e possibili terremoti.
Le pareti in terra battuta e riso, utilizzato come collante, venivano poi rinforzate da listelli di bambù e trucioli di legno; in seguito però, per proteggere la struttura dalle fiamme, i tulou sono stati costruiti con muri di pietra tagliafuoco e le porte rivestite di metallo, diventando delle fortezze a tutti gli effetti.

Un modello sostenibile e democratico

Elemento distintivo di questi edifici è la loro forma geometrica. Pare sia stata proprio questa forma bizzarra ad attirare nel 1985 un satellite militare statunitense. L’intelligence militare americana inviò subito sul posto un personale della CIA ad indagare, sospettando che si trattasse di silos nucleari. Quando l’agente arrivò in Cina si rese conto che si trattava di insediamenti tradizionali in totale armonia con l’ambiente circostante.
Che si tratti di un evento storico reale o di pura leggenda questo non lo sappiamo, ma ci piace pensare sia vero. In armonia con il paesaggio, efficiente dal punto di vista energetico e costruito con materiali naturali locali, il tulou potrebbe perfino tornare in auge, come un prototipo di edificio ‘verde’. Inoltre il tulou è un un’abitazione sorprendentemente confortevole, essendo “冬暖夏凉”, ovvero caldo in inverno e fresco in estate.
Sono proprio queste innumerevoli caratteristiche ad aver portato l’Unesco nel 2008 ad inserire 46 degli attuali 3.700 tulou nella lista dei Patrimoni dell’Umanità, allo scopo di contribuire alla conservazione di queste fortezze-villaggio, citandoli come esempi eccezionali di abitazioni uniche e funzionali da un punto di vista energetico e sostenibile.
Il riconoscimento da parte dell’Unesco ha avuto un impatto rilevante sull’economia dell’area e il turismo ha fatto sì che diversi giovani tornassero a ripopolare queste magnifiche abitazioni collettive, modello sociale fondato sulla democrazia. Alcuni dei tulou sono stati convertiti in B&b, permettendo a chiunque abbia voglia, di assaporare la vita dei clan del popolo Hakka che sta irrimediabilmente scomparendo.

Negli ultimi 25 anni, con un’economia e una società dei consumi sempre più in espansione, il numero degli abitanti dei tulou è sceso drasticamente. La gente non ha più voglia di vivere in spazi dove non c’è posto per la privacy, senza impianti idraulici interni. Le persone anziane insieme ai bambini lasciati a quest’ultimi in affidamento, sembra siano le uniche persone ad abitarli. Ad ogni modo i tulou come oggetti fisici non scompariranno, le mura sono state costruite per durare secoli e sembra che fino ad oggi se la siano cavata abbastanza bene.

di Angela Piscitelli*
*Nata a Isernia nel 1988. Nel 2014, terminati gli studi in Lingue e Civiltà Orientali a Roma, si stabilisce a Shanghai dove consegue un Master in Giornalismo e Comunicazione. La sperimentazione fotografica trova ampia espressione durante i suoi viaggi, dove prende piede la passione per il ritratto e la fotografia di strada, l’unica capace di riprendere i soggetti in situazioni reali e spontanee nella vita di tutti i giorni

 

Il Vallo atlantico nel Mediterraneo
Da articolo21.org del 9 aprile 2021

Di Domenico Gallo

Il Vallo Atlantico era un esteso sistema di fortificazioni costiere costruito dal Terzo Reich durante la seconda guerra mondiale, tra il 1942 e il 1944. Il progetto sviluppato sulla base di una Direttiva emanata da Hitler il 23 marzo 1942, prevedeva che le fortificazioni si estendessero lungo tutte le coste dell’Europa nord-occidentale (dalla Norvegia fino alla Francia), così da difendere le posizioni tedesche da possibili sbarchi Alleati.
I tempi sono cambiati, per fortuna i paesi europei vivono in pace, non ci sono più minacce di tipo militare che incombono, ma i conflitti locali, i disastri provocati dalla politica e dai mutamenti climatici, hanno creato un esercito di profughi e di migranti, una parte dei quali cerca una speranza di vita dirigendosi verso l’Europa.
La pressione migratoria è indubbiamente una questione sociale rilevante con la quale tutti i paesi europei devono fare i conti. Purtroppo la risposta fin qui adottata, ed attuata in modo opaco, è stata quella di esternalizzare le frontiere, cioè creare delle condizioni esterne che blocchino i flussi migratori prima che qualcuno possa poggiare piede sul sacro suolo europeo. Così l’Unione europea ha foraggiato con oltre sei miliardi di euro il regime fascista di Erdogan in Turchia perché trattenesse i rifugiati in fuga dalla guerra siriana, ricevendo peraltro sgarbi e offese com’è accaduto alla Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, durante la visita compiuta questa settimana ad Ankara.

Per quanto riguarda il flusso di profughi e di migranti che si affaccia alla frontiera sud, la scelta è stata quella di creare una fortificazione invisibile per impedire lo sbarco, un nuovo Vallo atlantico collocato nel Mediterraneo centrale. Non è stato semplice, sono state sperimentate varie strade e si è proceduto per gradi. Il primo tentativo di alzare un muro nel Mediterraneo per impedire l’accesso alle coste italiane è stato compiuto nel 2009 quando sulla base di un accordo stipulato con Gheddafi dal Governo Berlusconi, il Ministro dell’Interno Maroni, ha introdotto un “nuovo modello di contrasto all’immigrazione” ordinando alle navi militari italiane di recuperare i profughi in alto mare e di riportarli in Libia. Queste operazioni sono state bloccate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che con la sentenza Hirsi del 23 febbraio 2012 ha emesso una condanna durissima della pratica dei respingimenti in Libia. Fallito questo tentativo, dopo la parentesi del Governo Letta che con l’operazione Mare nostrum ha salvato la vita a circa 100.000 persone che rischiavano di perire in mare, sono state attivate operazioni molto più sofisticate per innalzare una nuova barriera invisibile.

A questo punto è arrivato il memorandum Italia-Libia firmato dal Governo Gentiloni nel febbraio 2017 che ha dato il via all’esternalizzazione del controllo delle frontiere nel Mediterraneo centrale. L’Italia ha regalato diverse motovedette alla Libia ed ha cominciato a fornire assistenza alla c.d, Guardia costiera libica per metterla in condizione di andarsi a riprendere i naufraghi in alto mare e riportarli indietro. In questo modo è stato consentito alla Libia di istituire una zona SAR che si estende fino a 180 km dalle sue coste, formalmente riconosciuta dall’IMO (Organizzazione Marittima internazionale) nel giugno del 2018. Dopo il ritiro delle navi delle missioni Triton e Themis di Frontex, il Mediterraneo è stato svuotato anche delle navi delle ONG che, dopo essere state ostacolate in tutti i modi, alla fine sono state bloccate nei porti per fermo amministrativo. Non è per fatalità ma per deliberata omissione di soccorso che nel corso del 2020 ci sono stati circa 1.000 morti in mare, che si aggiungono alle 20.000 persone che hanno perso la vita negli ultimi sei anni.
Lungo questa rotta sono stati ritirati tutti gli assetti navali europei proprio per evitare di effettuare operazioni di soccorso che avrebbero comportato l’esigenza di sbarcare i naufraghi in Italia o in altro paese europeo. Attualmente l’Agenzia per il controllo delle frontiere esterne Frontex opera solo con assetti aerei segnalando le imbarcazioni in pericolo alla c.d. Guardia costiera libica. Secondo i dati diffusi dall’OIM, sono 11.000 i profughi recuperati in mare e riportati in Libia dove sono privati della libertà ed esposti a torture, stupri, uccisioni e riduzione in schiavitù.
Attraverso il finanziamento della c.d. Guardia costiera libica e la creazione nel 2018 di una fittizia zona di ricerca e salvataggio (SAR) affidata alla competenza delle autorità libiche, l’Unione Europea è riuscita a impiantare una forma indiretta di respingimento collettivo del popolo dei migranti che attraversano il Mediterraneo, delegando ai libici il lavoro sporco.

Oggi questa politica ha trovato ulteriore conferma nelle parole pronunciate da Mario Draghi nel corso della sua visita a Tripoli: «Sul piano dell’immigrazione noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia…». I governi cambiano ma la politica del muro invisibile, da Berlusconi, a Renzi, a Gentiloni, al Conte 1, al Conte 2, a Mario Draghi rimane sempre la stessa e viene attuata con la piena collaborazione europea attraverso Frontex. Ma noi continuiamo a pensare che bisogna costruire ponti, non alzare muri.

 

Vietri sul Mare. Torre della Finanza acquisita a demanio
Da positanonews.it del 9 aprile 2021

di Lucio Esposito Sara Ciocio

Pronti a partire i lavori di riqualificazione della Torre cinquecentesca in marina di Vietri.

E’ una operazione culturale di grande pregio, come ha sottolineato il Sindaco Giovanni De Simone, non solo come acquisizione a patrimonio pubblico comunale, ma anche come spazio da adibire a sale ad uso culturale, come mostre, congressi, soprattutto è un riappropriarsi di un importante pezzo di storia.

L’architettura militare cinquecentesca con tutta la serie di torri antisaracene è prevalentemente proprietà privata, di tutte le torri della costa amalfitana ,solo 2 o 3 sono ad accesso pubblico, il resto sono diventate ville a mare.

 

Il Castello di Lucera
Da laterradipuglia.it del 9 aprile 2021

Il castello di Lucera si trova sulla sommità pianeggiante di Colle Albano, in località Lucera. La posizione è davvero incantevole e da lì è possibile ammirare in tutta la sua vastità e bellezza il territorio circostante, ovvero il Tavoliere delle Puglie. Se vi recate in questa zona, scoprirete che oltre al castello Svevo potrete visionare innumerevoli resti di origine ben più antica. Non a caso, si tratta di un sito archeologico particolarmente rilevante per la zona. Ma torniamo al castello di Lucera. Fu edificato per volere di Federico II di Svevia intorno al 1233 come residenza imperiale, dunque come palatium. Il castello passò poi nelle mani di Carlo I D’Angiò dopo la morte di Federico II.

La deportazione dei Saraceni dalla Sicilia a Lucera

Il castello sorge al centro di Lucera, che ai tempi di Federico II fu, di fatto, un insediamento musulmano. Il motivo è presto detto: l’Imperatore del Sacro Romano Impero fece deportare i Saraceni dalla Sicilia verso Lucera. Storicamente accadde che Ruggero I d’Altavilla sbarcò in Sicilia circa un secolo prima dell’edificazione di questo castello, e vi trovò una forte presenza araba, con la quale convivere si rivelò ben presto difficile. Nasceva dunque questo Regno di Sicilia, basato sulla convivenza tra ebrei, arabi, cristiani. Con l’ascesa al trono di Federico II di Svevia, figlio di Costanza d’Altavilla, questa difficile e multiculturale convivenza non assunse contorni più facili. Questo accadde perchè il sovrano dovette imporre una serie di aliquote non sempre gradite alle minoranze presenti sull’isola. Peraltro, alcune minoranze islamiche non convertite al cristianesimo, sognavano di riprendere il controllo della Sicilia. Insomma, alla fine l’imperatore si decise a espellere i musulmani dalla Sicilia, suddividendoli e cercando di integrarli diversamente nell’Italia continentale. Una delle mete prescelte per questo scopo fu appunto Lucera, mentre altri furono spostati in Calabria e in Basilicata. A Lucera tuttavia le cose non andarono molto bene. I musulmani, irritati dalla deportazione e poco disposti a farsi sottomettere, diedero vita in più di una occasione a sommosse e proteste di vario genere, e non fu infrequente l’intervento da parte dell’esercito. L’insediamento saraceno fu poi dismesso da Carlo d’Angiò, che come ricordate nella battaglia di Benevento sconfisse Manfredi e prese le redini dell’Impero di Sicilia, grazie al beneplacito di papa Clemente IV.

I musulmani a Lucera

I musulmani residenti a Lucera potevano praticare i mestieri e le arti che gli erano maggiormente congeniali, tra cui l’agricoltura, ma anche l’arte e la medicina. Tuttavia, erano fortemente tassati. Si pensi che il 10% dei loro introiti doveva essere versato alla corona imperiale. E non solo. Durante tutta la loro permanenza in Puglia, diversi frati domenicani furono inviati al fine di convertirli, ma senza alcun successo. Molti musulmani erano inoltre soldati, e lavoravano per l’Imperatore. Non a caso, il Castello di Lucera era una fortezza di tipo militare.

Aspetto ed architettura del Castello di Lucera

Il castello di Lucera aveva base quadrata ed era strutturato su tre piani di altezza. Al centro vi era un cortile, anch’esso di forma quadrata. Al terzo piano, questo cortile aveva invece una forma ottagonale, che ricorda chiaramente la forma di Castel del Monte (https://www.laterradipuglia.it/gli-itinerari/castel-del-monte). Studiosi e ricercatori non hanno ancora individuato con precisione il portone di ingresso del palatium, cosa che non fa altro che confermare la forte esigenza difensiva della struttura, che sembrava dunque, di fatto, totalmente inespugnabile. Alcuni studiosi hanno addirittura ipotizzato che l’accesso fosse possibile solamente per via sotterranea. Molto ampia è la cinta muraria, che si snoda lungo tutta la collina attorno ed al di sotto del castello per una lunghezza di oltre novecento metri. Le mura presentano 13 torri di forma quadrata e due di forma cilindrica, 2 bastioni e 7 contrafforti, oltre a 4 porte d’accesso. In epoca angioina la roccaforte fu trasformata in una classica cittadella medioevale.

 

Forti e robusti, gita da Marassi alle fortificazioni del sistema orientale di Genova
Da mentelocale.it del 9 aprile 2021

Le guide MyTrekking, per domenica 11 aprile 2021, organizzano l'escursione Forti e robusti, studiata per portare a visitare i forti del Sistema Orientale di Genova. Il trekking inizia in piazza Rosmini davanti alla Chiesa di Santa Margherita di Marassi e termina in corso Italia presso l’ultimo forte del sistema, ora adibito a comando dei Carabinieri.

Da lì, dopo un percorso di 17 km, si può tornare autonomamente a casa con un mezzo pubblico oppure chi lo preferisce può tornare al luogo di partenza, dove magari ha lasciato il mezzo con il quale è arrivato all’appuntamento, aggiungendo 4 km di camminata in piano in città.

Portare acqua e pranzo al sacco. Il contributo associativo è di 5 euro a persona. Per iscriversi a MyTrekking e prenotare l'escursione, basta scaricare l'app MyTrekking e iscriversi all'associazione (30 euro comprensiva di 2 assicurazioni).

 

Il Forte Sangallo come set cinematografico
Da viterbonews24.it del 8 aprile 2021

La scorsa estate sono state girate al suo interno alcune scene della fiction ' Leonardo '

CIVITA CASTELLANA - E’ andata in onda martedì sera la sesta puntata della fiction “Leonardo”. Alcune immagini sono state girate all’interno del Forte Sangallo la scorsa estate.

Il Forte Sangallo sorge nell’area occidentale di Civita Castellana , fuori del vecchio abitato, sull’area già occupata dalle fortificazioni medievali, a difesa dell’unico lato scoperto. Infatti, su tutti gli altri lati il borgo è naturalmente difeso dai profondi costoni di roccia tufacea che cingono la città.
Il Forte Sangallo è considerata una delle principali fortezze del XV-XVI secolo. Prende il nome dai due importanti architetti italiani che lo realizzarono, Antonio da Sangallo il Vecchio e il Giovane. Il Forte fu commissionato nel 1499 al primo da Papa Alessandro VI Borgia come residenza papale e per costruire una base strategica nel sistema difensivo dello Stato Pontificio. La struttura rispondeva allo stile delle “fortificazioni alla moderna”.

Successivamente, nel 1503, i lavori furono completati da Sangallo il Giovane sotto papa Giulio II della Rovere. Il Forte Sangallo fu dimora papale fino all’inizio del XIX secolo, quando fu trasformato in carcere, prima politico e poi militare. Durante la seconda guerra mondiale divenne rifugio per numerose famiglie di sfollati. Dopo un periodo di inutilizzo, oggi è sede del Museo archeologico di Civita Castellana
Il Forte Sangallo è una delle più elevate realizzazioni dell’architettura militare dello Stato Pontificio nel XVI secolo. Antonio Sangallo il Vecchio costruì l’edifico a pianta pentagonale con cinque bastioni, di cui tre muniti di cannoniere. Il nipote proseguì l’opera, iniziata dallo zio, completando il cortile maggiore con il porticato a due ordini sovrapposti, il portale bugnato di accesso e il possente mastio ottagonale.

La parte superiore della fortezza e il Mastio vennero dotate di eccezionali postazioni di tiro a coprire tutti i lati della fortezza, rendendola così inespugnabile. Successivamente, al centro del cortile maggiore fu costruito il puteale di marmo e il portale di accesso fu adornato di grosse bugne di pietra grezza. La rocca era circondata su tre lati da un fossato in modo che si potesse entrare solo con il ponte levatoio. Doveva essere abbellita da affreschi, di cui si conservano solo quelli che occupano le volte del piano inferiore del cortile.
Il Forte Sangallo, dopo un periodo di abbandono, venne ristrutturato nel 1968. A partire dal 1950 il Forte Sangallo comincia ad accogliere reperti archeologici dell’Agro Falisco. Venne ristrutturato nel 1968 e Il museo viene inaugurato nel 1977. L’esposizione attuale fu completata nel 1985.

Il Museo Archeologico Dell’Agro Falisco, ospita numerosi e interessanti reperti della civiltà falisca rinvenuti sia in città che nelle numerose necropoli che la circondano. Le nove sale del museo occupano due dei lati del loggiato superiore del cortile maggiore (il lato Nord coincide con l’Appartamento Papale) e presentano reperti disposti in ordine sia cronologico che topografico. Reperti che documentano la vita, l’arte e la cultura dell’ antico popolo italico,
Qui si trovano le importanti ceramiche prodotte a Civita Castellana, dalle più antiche con decorazioni graffite e plastiche, a quelle del IV e III secolo a.C. decorate con vernice nera con figure rosse. Oltre alle terrecotte sono conservati gocciolatoi fittili, corredi funebri, balsamari etrusco-corinzi, oreficerie, vasellame in bronzo e alcune tra le più antiche ceramiche greche di importazione. Non mancano le testimonianze dei numerosi santuari della città:numerosi Reperti del Santuario Monte Li Santi, la testa in tufo con corona di foglie di bronzo, riferibile a una statua del santuario di Celle. Tra le curiosità si segnala il teschio con protesi dentaria in oro da una tomba scavata alla fine del'800.

Inoltre, da sabato 7 ottobre 2017 sono aperte ai visitatori il piano terrazze e il mastio un tempo punto previlegiato per l’avvistamento dei nemici da ora straordinaria postazione per godere di una vista sull’agro falisco mozzafiato. Il Forte ha ospitato negli anni altri set cinematografici. Tra questi ricordiamo il film “A cavallo della tigre”, primi anni 60, dove la fortezza è ben visibile nella scena in cui Giacinto Rossi (Manfredi), Tagliabue (Adorf), Papaleo (Volontè) e il 'Sorcio' (Bussières) evadono dal carcere. All'epoca delle riprese il forte presentava ancore le strutture carceriere che campeggiavano nel mezzo del cortile (fu effettivamente usato come prigione) e che furono eliminate in seguito ai lavori di restauro iniziati nel 1968. Ecco come appariva il cortile nel 1961.

Degli stessi anni è “ Il brigante Musolino”, per la regia di Mario Camerini con protagonisti Silvana Mangano e Amedeo Nazzari. Più recentemente ha ospitato il set della produzione italo spagnola “ Los Borgia “, con Maria Valverde e Sergio Muniz.

 

L'esercito russo riceve in anticipo i nuovi missili anticarro Vikhr-1
Da sputniknews.com del 8 aprile 2021

Il produttore di armi russo Kalashnikov ha effettuato la consegna in netto anticipo rispetto a quanto previsto dall'accordo siglato con il ministero della Difesa.

La compagnia Kalashnikov ha consegnato con anticipo al Ministero della Difesa della Federazione Russa un lotto di missili guidati anticarro "Vikhr-1" utilizzati sugli elicotteri d'attacco Ka-52 "Alligator"

Lo ha dichiarato ai giornalisti il servizio stampa del gruppo il mercoledì.

"Il gruppo di società Kalashnikov ha consegnato i missili guidati Vikhr-1 al Ministero della Difesa russo prima del previsto. I missili sono stati spediti al cliente prima del previsto e per intero come previsto dalla commessa della Difesa per il 2021", ha riportato il servizio stampa.

I Vikhr-1

I missili guidati "Vikhr-1" sono progettati per distruggere veicoli corazzati e fortificazioni nemiche, unità di terra in movimento e bersagli aerei a bassa velocità.

Il raggio di tiro massimo delle munizioni è di 8000metri
I lanci possono essere effettuati da un'altezza fino a 4 mila metri
I vettori missilistici sono elicotteri da ricognizione e d'attacco Ka-52 Alligator

 

Passeggiata guidata a Verona sulle colline degli Asburgo
Da veronasera.it del 8 aprile 2021

Un trekking ad anello di 8 km sulle Torricelle alla scoperta della storia e dei forti austriaci e con soste panoramiche strepitose.

Il percorso ondulato e lontano dal traffico è adatto a tutti. Si percorreranno i tratti di "lasagna" scavati nella roccia, un percorso naturalistico fino alla fontana di Sommavalle e il sentiero lungo le mura. Camminerete tra ulivi e vigne e farete fantastiche foto dall'alto con scorci sempre diversi e molto suggestivi.

• La partenza con Aurora è fissata per domenica 11 aprile 2021 alle ore 9.30 davanti alla Chiesa di San Giorgio in Braida.
• La durata prevista è di 3 ore.
• Costo: 10 euro

Informazioni e contatti

Prenotazione obbligatoria per email: info@infoverona.it o whatsapp 339 8717091

 

Batteria di Granarolo, il M5s solleva il problema della riqualificazione e messa in sicurezza
Da genova24.it del 8 aprile 2021

Realizzata nel 1889 e disarmata nel 1914, si trova nei pressi del capolinea del bus 38 e della funicolare

Genova. “Il Comune di Genova prenda posizione per la Batteria di Granarolo, realizzata nel 1889 e disarmata nel 1914, si trova nei pressi del capolinea del bus 38 e della funicolare di Granarolo, in via Bartolomeo Bianco 38. L’area, di proprietà dell’Agenzia del Demanio, presenta interesse culturale e per tale motivo è stata sottoposta a vincolo nel 2014”. Lo dichiara il capogruppo del M5S Genova Luca Pirondini illustrando l’interrogazione discussa oggi in Consiglio comunale.
“Come appurato durante i sopralluoghi effettuati – spiega -, l’intero complesso, che è stato utilizzato nel tempo come sede di attività da parte di uno sfasciacarrozze, ha accumulato una serie di detriti come carcasse di automobili, motociclette, pneumatici ed ogni sorta di altro rifiuto ingombrante, rendendo, di fatto, questo spazio una discarica a cielo aperto”.
“La vegetazione infestante e il totale abbandono dell’area hanno peggiorato ulteriormente la situazione già molto precaria. Inoltre, le strutture originarie e interrate sono state in parte nascoste da riempimenti arbitrari, ma alcuni elementi dell’epoca sono ancora ben visibili, come le targhe in marmo recanti i numeri di ogni singolo vano, le tracce semicircolari dei paioli e quelle degli elevatori”, continua Pirondini.

“Oggi, in Consiglio comunale, ho chiesto al Sindaco e alla Giunta quali siano le intenzioni dell’amministrazione in merito sia alla bonifica dell’area, sia alla valorizzazione di una così importante architettura militare. La risposta dell’assessore è stata evasiva e non ha chiarito se la Giunta intenda eventualmente attivarsi presso il Demanio perché la Batteria possa diventare uno spazio del Comune di Genova. Al netto del valore culturale, andrebbe affrontato anche un discorso di sicurezza dei muri che perimetrano questa zona, che devono essere comunque presi in carico dall’amministrazione al di là del fatto che siano o no comunali”, conclude Pirondini.

 

Sottomarino russo "Belgorod" armato con i droni "Poseidon" ultimerà test quest'anno
Da sputniknews.com del 7 aprile 2021

Il sottomarino sperimentale russo Belgorod (progetto 09852) armato con i droni sottomarini Poseidon terminerà i test entro settembre 2021, ha detto a Sputnik una fonte nel settore della difesa russa.

Nell'aprile 2019 presso i cantieri Sevmash, situati presso il porto di Severodvinsk (Russia settentrionale), si è svolta la cerimonia di varo del sottomarino a propulsione nucleare Belgorod.

"A Belgorod hanno già avviato il reattore, attualmente sono in corso i test all'ormeggio e poi inizieranno i test statali. Il sottomarino dovrebbe concludere l'intero ciclo di prove entro settembre", ha detto l'interlocutore dell'agenzia.

Il sottomarino nucleare multifunzionale Belgorod è un mezzo sperimentale sviluppato per trasportare i droni Poseidon. Appartiene al progetto Antey 949A (analogico Kursk) che è stato appositamente ridisegnato per il sistema Poseidon.

Il presidente russo Vladimir Putin, nel suo messaggio annuale al Parlamento del 2018, aveva annunciato che la Russia ha sviluppato i droni sottomarini Poseidon in grado di trasportare testate nucleari e convenzionali.

Questi nuovi mezzi potranno essere utilizzati per attaccare vari obiettivi come le portaerei e le loro navi di scorta, fortificazioni costiere e infrastrutture.

 

Forte Tron in pieno degrado L’assessora Mar: «Verrà restaurato e valorizzato»
Da nuovavenezia.it del 6 aprile 2021

I residenti di Ca’ Sabbioni e Marghera denunciano lo stato di grave abbandono della struttura. Il consigliere Giglio scrive al Comune

Di Alessandro Abbadir

L’appello
Un appello da parte del Pd e dei residenti di Ca’ Sabbioni e Marghera per salvare Forte Tron dal degrado. A farsi portavoce è Dario Giglio consigliere di opposizione alla municipalità di Marghera. A chiedere la sistemazione del Forte è stato anche l’ex presidente della municipalità Flavio dal Corso. Giglio ha scritto una lettera all’assessora comunale Paola Mar.

L’assessora comunale interpellata promette interventi in tempi rapidi: restauro delle parti che ne hanno più necessità e rimozione dei rifiuti abbandonati. «Devo informarla», scrive Giglio all’assessora, «della situazione in cui versa il Forte Tron a Ca’ Sabbioni. I cittadini denunciano lo stato di abbandono e di incuria del Forte. La struttura oramai è invasa da una folta vegetazione ed è accessibile a chiunque in quanto sono stati forzati i cancelli di ingresso. Molte persone entrano al suo interno per bivaccare, specialmente nei giorni festivi, lasciando sporcizia dappertutto. È necessario intervenire al più presto altrimenti rischiamo di perdere questo bene storico. Va evitato che diventi un luogo fuori controllo frequentato da sbandati». «Forte Tron», conclude Giglio, «rappresenta un patrimonio storico unico, che non possiamo perdere. E’ una struttura con delle peculiarità che va fatta entrare una volta per tutte nel circuito dei beni da valorizzare del Comune di Venezia. Tutto ciò con ricadute e benefici importanti per il territorio circostante di Ca’ Sabbioni di Malcontenta contribuendo così alla sua riqualificazione e rigenerazione urbana e ambientale attesa da anni».

«Ho visionato di recente Forte Tron», risponde l’assessore Paola Da Mar, «e ho incaricato gli uffici a procedere alla rimozione dei rifiuti e alla chiusura dei cancelli di accesso. Il Comune di Venezia eseguirà a breve lavori di restauro mirati alla messa in sicurezza di alcune porzioni e sta terminando la predisposizione degli atti necessari per la valorizzazione della struttura». —

 

Due passi lungo la linea Gotica in Casentino - Parte da Moggiona uno dei percorsi più suggestivi cosigliati dall'Ecomuseo
Da lanazione.it del 6 aprile 2021

Arezzo, 6 aprile 2021 - 320 chilometri di fortificazioni dal Tirreno all’Adriatico. Con la Linea Gotica tornano i percorsi all’aria aperta consigliati in Casentino, tra immagini e racconti sulla pagina Facebook dell’Ecomueseo. La Linea Gotica rappresenta un significativo esempio di struttura difensiva tedesca, progettata con l’idea di sfruttare la natura impervia del territorio per effettuare un controllo militare esteso, utilizzando un basso numero di soldati. Divideva l’Italia in due, da Massa Carrara a Pesaro, per un totale di circa 320 km di fortificazioni tra il Tirreno e l’Adriatico, toccando anche la valle del Casentino. Questo sistema di posizioni, articolato su allineamenti progressivi, aveva l’obbiettivo di ritardare l’avanzata alleata verso il nord. I segni delle fortificazioni sono ancora riconoscibili sui crinali del Casentino; si tratta di buche scavate sull’orlo del crinale, rivolte a sud verso Serravalle e la vallata di Soci, che ospitavano cannoni di medio o grosso calibro.

Presenti anche numerosi esempi di vere e proprie trincee, punti di avvistamento e centri di fuoco. Il sentiero della linea Gotica in Casentino si può scoprire partendo da Moggiona percorrendo la strada che porta all’Eremo di Camaldoli. Dopo circa 3 km si deve girare a sinistra imboccando la strada sterrata per Asqua. Dopo circa 1 km si arriva al pannello informativo da cui parte il percorso. Il sentiero ad anello dedicato alla linea gotica è ben segnalato e non presenta particolari difficoltà. Il tratto iniziale, di circa 500 metri, si presenta in salita, mentre il resto del percorso mantiene un andamento pianeggiante fino a poggio Muschioso per poi scendere verso località La Rota. Il primo tratto costeggia la Riserva naturale biogenetica di Camaldoli che rappresenta uno dei complessi boschivi italiani di più antica gestione.

La riserva ha una storia millenaria e da 150 anni è gestita dal Corpo Forestale dello Stato; si estende per oltre 1.100 ettari, con una copertura forestale di oltre il 90%, costituita da abeti e faggi. Lungo l’itinerario sono presenti alcune segnalazioni che indicano le postazioni tedesche. L’ultimo tratto ripercorre scendendo il sentiero dei tedeschi. Il tempo di percorrenza è di circa 2 ore.

Per info: www.ecomuseo.casentino.toscana.it/linea-gotica

 

Forte Procolo, il nuovo parco urbano (con teatro) da sette ettari nel futuro di Verona
Da veronasera.it del 6 aprile 2021

Un progetto in quattro fasi già studiato dal Comune, per un costo di circa un milione e mezzo di euro, ma si attende l'ok definitivo da parte del Demanio per il trasferimento del bene

L'obiettivo è il 2021: l’amministrazione comunale di Verona spiega infatti di aver compiuto ogni passo per ottenere dal Demanio il trasferimento di Forte Procolo.

Si tratta di ben sette ettari di verde che potrebbero diventare subito un grande parco urbano, con annesso teatro all’aperto . Nel progetto di riqualificazione e valorizzazione del complesso, richiesto per ottenere la proprietà del compendio, è ben specificato che si procederebbe infatti a step concentrici,sistemando prima la parte esterna per metterla immediatamente a disposizione della città. Per poi procedere con il recupero delle mura centrali e della corte interna. In questo modo i cantieri più invasivi non costituirebbero un impedimento all’utilizzo del parco, che diventerebbe un polmone verde a ridosso di più quartieri altamente urbanizzati e residenziali, Navigato i, Savale rione Catena. Così come un prolungamento del Parco dell’Adige.

Un progetto, quello redatto dal Comune, che prevede un impegno economico complessivo di un milione e mezzo di euro e che, in queste settimane, è stato messo a punto accogliendo anche le osservazioni della Soprintendenza. Un programma di valorizzazione fatto a più mani, dagli uffici dell’Urbanistica, del Patrimonio e del Bilancio, per rientrare quanto prima nel cosiddetto "federalismo culturale demaniale". Affinché vi sia il trasferimento del Forte, spiegano da palazzo Barbieri, a differenza di quanto accade per le mura, serve una vera e propria programmazione di gestione del sito. E la relativa sostenibilità finanziaria. Tutto è pronto, nero su bianco. Manca solo il via libera da parte del Demanio. Il programma prevede,sotto il profilo culturale, l’implementazione delle iniziative di scoperta e promozione del Forte, già avviate negli anni scorsi,prima della pandemia, con le gite fuori porta per i veronesi e le giornate di pulizia. Attività rese possibili grazie anche al supporto dell’associazione "Verona Città Fortezza". Mentre, dal punto di vista ricreativo e sociale, si andranno a rendere fruibili e vivi tutti gli spazi verdi.

Quattro le fasi di realizzazione del progetto. Un primo stralcio preliminare, da attuarsi nel triennio 2021-2023, per l’acquisizione del Forte, la rimozione della vegetazione infestante, così come la pulizia degli spazi verdi, delle mura e delle coperture in terra. Questo permetterebbe subito di utilizzare il parco, in quanto rilievi e verifiche sui manufatti esistenti,grazie ad una autorizzazione anticipata da parte del Demanio, sono già stati realizzati. Con la seconda fase potrà essere progettato e realizzato il giardino pubblico vero e proprio, nella zona sud verso viale Colombo. Previste un'area giochi per i bambini, un teatro all'aperto, un'area cani e una parte boscata da conservare e potenziare in virtù della biodiversità che il Forte custodisce, fatta di un’ampia gamma di specie di flora e fauna. Dopodiché nel triennio 2023-2025 saranno avviati gli interventi di messa in sicurezza, restauro architettonico e adeguamento statico delle quattro mura traverse. E completati gli ultimi lavori sugli spazi aperti. Il quarto stralcio prevede, infine, l’ultimazione del recupero della corte interna, del varco di accesso, della galleria fucilieri e del terrapieno difensivo.

Gli assessori all’Urbanistica Ilaria Segala e al Bilancio Francesca Toffali hanno illustrato i dettagli di una vera e propria"operazione Forte Procolo". «Forte Procolo è un gioiello della città, eppure da troppo tempo in stato di abbandono e ancora sconosciuto a tanti veronesi – ha detto Segala -. Ecco perché non vogliamo aspettare oltre. L’anno scorso abbiamo dato il via all’iter per il trasferimento e ora auspichiamo che il Demanio lo autorizzi quanto prima. Avere a disposizione questo compendio significa aprire alla cittadinanza 7 ettari di verde, un’area ricca di biodiversità fruibile da diversi quartieri altamente urbanizzati. La valorizzazione del Forte è prioritaria, per questo abbiamo redatto un programma di recupero e riqualificazione dettagliato, in accordo anche con le osservazioni della Soprintendenza. Prima della pandemia le giornate alla scoperta del Forte e di pulizia avevano riscosso grande interesse tra i veronesi. È un’area unica, accelerare il trasferimento significa restituire quanto prima il Forte alla città».
«La copertura finanziaria c’è, manca solo il trasferimento che ormai dovrebbe essere prossimo – ha aggiunto Toffali -.L’obiettivo è sì la riqualificazione del Forte e del parco verde, ma anche la sua valorizzazione attraverso l’inserimento in un circuito molto più ampio. Partecipando ai bandi Europa Creativa, vogliamo progettare e organizzare un vero festival delle fortificazioni europee, assieme ad altre città come Danzica, Bolzano, Norimberga e Salisburgo. Metteremo in rete tante realtà diverse per creare un evento internazionale. Verona è città patrimonio dell’umanità Unesco proprio per la sua cinta magistrale,valorizzarla significa anche farla conoscere al resto del mondo in tutta la sua bellezza».

 

I condomini rurali cinesi che sembrano delle fortezze
Da siviaggia.it del 5 aprile 2021

Ospitano fino a 800 persone e sono rinforzati con rami, strisce di legno e trucioli di bambù: benvenuti nei Tulou del Fujian, delle vere e proprie fortezze

Alti muri color fango, finestre minuscole e una grande porta in legno e ferro, che aprendosi svela un fitto intrecciarsi di vite e attività. No, non stiamo descrivendo un antico borgo medievale, anche se, a dirla tutta, la suggestione è simile: stiamo invece parlando dei tolou del Fujian in Cina, condomini rurali che dal 2008 fanno parte del Patrimonio dell’Umanità UNESCO. I tolou sembrano delle vere e proprie fortezze e, almeno in passato, lo erano davvero: incastonati nelle aree montuose del Fujian sudorientale, sono le abitazioni (passate e presenti) degli Hakka, popolo cinese di origini anticamente nomadi, che trovò stabilità in una regione già naturalmente difesa da eventuali attacchi interni grazie alle scoscese aree verdi e alle ripide pareti rocciosi che la circondano.
Per citare proprio la ragione del loro inserimento nel Patrimonio Unesco, i tolou in Cina sono «esempi eccezionali di una tradizione e funzione edilizia che esemplificano un particolare tipo di vita comune e organizzazione difensiva in rapporto armonioso con il loro ambiente». D’altronde basta osservarli da fuori per comprendere quanto somiglino a delle città fortificate.

Generalmente circolari o rettangolari, si presentano come edifici chiusi su sé stessi. Le strutture interne sono racchiuse nell’abbraccio difensivo delle enormi mura periferiche, costruite con terra, pietra, bambù e legno. Nessun materiale extra, nessuna intromissione artificiale: quando è necessario, gli hakka usano rami, listelli di legno e trucioli per rinforzare le mura.
Ciò che ne viene fuori, per via della forma e dell’uso dei succitati materiali, è una struttura antisismica, perfettamente ventilata e illuminata, che si adatta alle stagioni: è fresca d’estate e calda d’inverno. Un capolavoro che li rende tra le più gettonate mete green degli ultimi tempi.
Sì, perché i tolou del Fujian hanno riscosso, negli ultimi anni, un enorme successo in termini di attrattiva turistica. Presi in esame e consigliati dalle guide e dagli esploratori del National Geographic, stupiscono per la loro ecosostenibilità e per la dualità che li caratterizza. Esatto, dualità, poiché l’aspetto esteriore non prepara affatto a ciò che si trova all’interno, alla vita più fervente, all’organizzazione attiva.

Da fuori, i tolou ricordano quasi una casa circondariale. All’interno, invece, sembra invece d i trovarsi in un villaggio fuori dal tempo e dallo spazio, costruito come un teatro, con travi in legno che si elevano in modo maestoso, incorniciando un cortile centrale pieno di luce.
Tutti i piani sono costruiti in legno scuro, con stanze di modeste dimensioni disposte una accanto all’altra e non ci sono disparità: ogni abitazione è di dimensioni identiche all’altra. Tutte si affacciano sul succitato cortile, al cui centro si trovano dei pozzi per l’approvvigionamento d’acqua e un piccolo tempio per adorare gli antenati.
Intorno al cortile centrale, si intersecano viottoli e vicoli pavimentati in pietra, dove le circa 800 persone che i tolou possono ospitare svolgono le loro attività di compravendita. Tutto il necessario è a portata di mano e il contatto con il mondo esterno si riduce al minimo indispensabile.
I tolou del Fujian sono un vero spettacolo, da non perdere. Luoghi magici, dove è possibile riprendere fiato quando la vita sembra troppo frenetica: camminando al loro interno, infatti, è possibile realizzare quanto, in fondo, basti poco per essere felici.

 

Come cambierà la difesa missilistica dell’Italia
Da startmag.it del 5 aprile 2021

Il ruolo della difesa missilistica per l’Italia tra Nato e Ue. L’approfondimento di Affari Internazionali

di Karolina Muti e Alessandro Marrone

Il progressivo smantellamento dei regimi di non proliferazione, disarmo e controllo degli armamenti che hanno regolato le relazioni tra le maggiori potenze fin dalla Guerra fredda, e l’innovazione tecnologica galoppante e globalizzata, rappresentano una sfida cruciale per l’Italia, l’Europa e la Nato.

La rapidità con la quale le nuove tecnologie mischiano le carte in tavola nello scacchiere strategico-militare spesso supera la capacità degli Stati e delle organizzazioni internazionali di adattarsi con la stessa velocità ai nuovi equilibri di forza che tali rivoluzioni tecnologiche provocano.
Un tassello importante in questo contesto quanto mai mutevole è quello della difesa missilistica, perché gli equilibri in questo particolare aspetto della difesa sicurezza nazionale sono stati intaccati dalla caduta di regimi di controllo cruciali, quali l’Intermediate-range Nuclear Forces (Inf) Treaty, dallo sviluppo di sistemi ipersonici e tecnologie stealth, e dal perfezionamento e aumento della letalità di missili da crociera. Questi ultimi sviluppi rendono in certi casi desueti i regimi che regolano l’uso dei vettori missilistici, mentre in altri casi tali regimi sono del tutto assenti.
In più, la parte offensiva gode di un vantaggio dal punto di vista capacitivo ed economico; infatti, tecnologie missilistiche anche datate sono oggi potenzialmente alla portata di molti attori, statali e non, mentre mettere in campo una difesa efficace è molto più costoso e difficile.

TRA NATO E UE

In questo quadro, la responsabilità per la protezione del territorio europeo da minacce missilistiche rientra nella missione di deterrenza e difesa collettiva della Nato. L’Integrated Air and Missile Defence (Iamd) dell’Alleanza comprende la difesa contro i missili balistici (Ballistic Missile Defence – Bmd) e mira a proteggere sia il territorio europeo sia le forze alleate dispiegate nei teatri operativi da missili balistici a corto e medio raggio. Il pilastro fondamentale della Bmd alleata in Europa è lo European Phased Adaptive Approach (Epaa), statunitense, con il sistema americano Aegis Ashore schierato in Romania e le navi Aegis per la Bmd stazionate nelle acque spagnole. Il sistema radar della Iamd si trova in Turchia, e l’infrastruttura di comando e controllo in Germania. Nei prossimi anni, anche la Polonia ospiterà un sistema Aegis Ashore.
La difesa missilistica è dunque interforze e interoperabile per eccellenza, nonostante i differenti approcci nazionali e culture strategiche degli alleati, poiché il fallimento o il ritardo anche di un solo elemento può produrre il fallimento dell’intero sistema. L’Ue contribuisce alla difesa missilistica dell’Europa con il progetto Timely Warning and Interception with Space-based TheatER surveillance (Twister), nel quadro della Permanent Structured Cooperation (Pesco), la cooperazione strutturata permanente in materia di difesa. Twister svilupperà entro il 2030 un intercettore europeo endo-atmosferico multi-ruolo, capace di rispondere tanto a obiettivi convenzionali come aerei da caccia di prossima generazione, quanto a minacce provenienti da missili balistici di manovra con distanze intermedie, missili da crociera ipersonici o supersonici, alianti ipersonici. Non è un caso che Twister sia tra i progetti Pesco più ambiziosi in termini capacitivi, né che siano coinvolti in questa iniziativa alcuni tra i Paesi più forti nella difesa missilistica quali Francia – con un ruolo di guida – Germania, Italia e Spagna, insieme a Finlandia e Paesi Bassi.

LA POSIZIONE DI ROMA

Per l’Italia, la partecipazione attiva alla Iamd svolge un ruolo molteplice, oggetto di discussione in un webinar organizzato dallo Iai il prossimo 7 aprile. In primis, il Paese ospita armi nucleari tattiche degli Stati Uniti e partecipa all’iniziativa di nuclear-sharing della Nato. Ciò rende il territorio italiano un potenziale bersaglio di minacce e attacchi da parte dei rivali dell’Alleanza, come la Russia che sta fortemente investendo in capacità missilistiche, e lega ancor più l’Italia alla dimensione transatlantica di difesa collettiva e deterrenza.
Allo stesso tempo, in un passato non lontano la condizione di instabilità nel vicinato nel Mediterraneo allargato ha già prodotto attacchi missilistici diretti contro l’Italia, in particolare nel 1986 con il lancio di missili SS-1 Scud verso la Sicilia da parte del regime libico di Gheddafi. Il rischio da sud è oggi aumentato anche a seguito del saccheggio post-2011 degli arsenali libici da parte delle varie fazioni in lotta nel Paese nordafricano.
La partecipazione particolarmente attiva delle Forze armate italiane in missioni all’estero, inclusi i teatri di conflitto a più alta intensità, rende le capacità di difesa missilistica un asset fondamentale anche per la protezione delle forze in teatro. Alla luce del recente ruolo guida che Roma ha assunto nella missione Nato in uno dei teatri più pericolosi – l’Iraq –, la rilevanza di una adeguata protezione da questa minaccia aumenta d’importanza. Gli asset di difesa missilistica infine hanno permesso a Roma di sostenere alleati come la Turchia, con un dispiegamento di una batteria Samp-T per rassicurare Ankara di fronte alle minacce missilistiche provenienti dalla Siria, in un’ottica di solidarietà transatlantica e come strumento a sostegno della politica estera italiana.

CAN CHE ABBAIA NON MORDE…?

La difesa missilistica rimane uno strumento che l’Italia auspica di non dover mai utilizzare, e qualsiasi sviluppo capacitivo in questo settore non può prescindere da un’attenta valutazione di tutti gli aspetti che determinano oggi una condizione difficile dello scenariointernazionale, con l’obiettivo di evitare pericolose dinamiche di escalation.
Le attuali tensioni tra Russia e Occidente, come tra Stati Uniti e Cina, non permettono in nessun modo scivoloni in questo senso e impongono a tutti strategie quanto più ponderate, in raccordo con gli alleati in seno alla Nato e con i partner europei. L’auspicio è di seguire – senza eccezioni – il principio del can che abbaia ma non morde; ma se non dovesse bastare, mostrare i denti a volte è necessario.
Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

 

IL CASTELLO DI ROCCA CILENTO
Da cilentano.it del 4 aprile 2021

Le prime informazioni che si hanno riguardo questa località si trovano in un manoscritto del 1110 in cui si riporta la decisione di Guglielmo I Sanseverino di spostare la sede della “Baronia del Cilento” dalla fortezza (la mitica città di Castellum Cilenti) posta sulla cima del Monte Stella alla collina di Rocca. Precedenti notizie del villaggio appaiono però in documenti risalenti al 963 ed al 994. Per la sua posizione geografica, all’incrocio della “via di Laureana” con la “via di S. Arcangelo”, incominciò ad assumere un ruolo sempre più importante tra i paesi circostanti.

In un documento del 1119 risultava inserita nella cinta fortificata del castello dei Sanseverino e nel 1185 l’insediamento di Rocca figurava come castrum, cioè abitato fortificato.Rocca era anche la sede dell’importante ufficio diocesano dell’Arcipresbiterato. Il castello risale all’età della dominazione normanna nell’Italia meridionale I Sanseverino la utilizzavano come residenza e ufficio per esercitare l’attività giudiziaria e amministrativa. Rocca sarà feudo di questa famiglia fino al 1552. Da allora Rocca condividerà la sua sorte con gli altri paesi cilentani passando a diverse famiglie di feudatari. Rocca fu aggregata al comune di Lustra nel 1861.

Il castello è un complesso a pianta pentagonale allungata in direzione nord-sud, che domina il borgo di Rocca Cilento ad una quota di 635 m sul versante sud-ovest della collina. La struttura attuale è circondata da mura di origine angioina, che presenta torri circolari sul lato sud-ovest. Lo stretto passaggio di ingresso segnato da un brusco cambiamento di direzione era un accorgimento difensivo dell’architettura militare normanna usata per evitare che gli assedianti potessero abbattere il portone con l’ariete.
Il complesso difensivo è completato da un fossato che costeggia per un tratto limitato le mura. Il castello si inserisce poi in modo organico con l’abitato di Rocca. Il castello mostra i segni degli interventi fatti in epoca angioina, mentre rari sono quelli apportati in epoca normanna e sveva; comunque molti sono concordi sull’origine longobarda del primo maniero. Nei cortili resta ancora oggi traccia degli accorgimenti usati in epoche
anteriori per l’approvvigionamento idrico. Attualmente il castello si presenta piuttosto malridotta con la presenza di lesioni in vari punti come sul tetto e sulle volte.

 

Castelli Di Puglia: Il Castello Di Peschici
Da corrieresalentino.it del 4 aprile 2021

Il suggestivo Castello di Peschici sorge sul picco di una scogliera a strapiombo sul mare, da dove è possibile spaziare con lo sguardo sino a scorgere le Isole Tremiti, contribuendo ulteriormente a rendere particolarmente caratteristica la bella cittadina sul Gargano. Una prima fortezza sarebbe stata edificata in loco nella seconda metà del X secolo, sotto la dominazione bizantina, con scopi di avvistamento e difesa contro le continue incursioni saracene. Il castello vero e proprio, tuttavia, risale all’epoca della dominazione normanna, mentre sotto il regno di Federico II di Svevia venne edificata la torre, conosciuta col nome di Rocca Imperiale. Tale aggiunta, insieme a varie riparazioni, è sicuramente posteriore al 1239, anno in cui i Veneziani, al soldo del pontefice Gregorio IX che aveva scomunicato l’imperatore, devastarono le fortificazioni di Peschici, Vieste e Termoli, rimaste fedeli alla corona. Successivamente lo stesso Federico II le avrebbe fatte ricostruire, ringraziando in tal modo gli abitanti dei suddetti centri per la loro fedeltà ed abnegazione.

Nel 1504, sotto la dominazione spagnola, Peschici entrò a far parte del dispositivo difensivo costiero contro le incursioni dei pirati turchi ed a tale periodo va attribuita l’edificazione di una cinta muraria, nota come Recinto Baronale, che conferisce ancora oggi al castello un aspetto minaccioso a chiunque si avvicini dal mare. Nel 1735 il maniero venne ristrutturato per opera del Principe di Ischitella Francesco Emanuele Pinto, come ci viene ricordato da un’epigrafe apposta all’ingresso del Recinto Baronale. Ulteriori modifiche, aggiunte ed eliminazioni di ambienti ebbero luogo nel corso dei secoli seguenti. Nel complesso, oggi il castello presenta tutte le caratteristiche dei vari stili architettonici relativi alle dominazioni succedutesi nel corso dei secoli.

Dopo un restauro effettuato dai proprietari, la struttura è aperta al pubblico ed ospita eventi artistici e culturali. Inoltre è possibile visitarne le segrete ed i sotterranei. I muri dell’imponente fortezza risultano massicci e grezzi, inoltre è possibile scorgere i  resti di un’antica torre a pianta semicircolare, ed un magazzino ipogeo per le scorte di frumento, che venivano prelevate attraverso un’apertura simile ad un pozzo.

Per la cronaca ricordiamo che a Peschici esiste anche La Torre del Ponte, voluta sempre dal Principe di Ischitella nel XVIII secolo, al posto della precedente Vecchia Torre del Ponte o Torre Quadra, risalente al XVI secolo. Della vecchia costruzione sappiamo che era dotata di ponte levatoio ligneo ed ospitava un presidio militare, col compito di difendere la porta di accesso all’abitato.

Cosimo Enrico Marseglia

 

Castello di Ranco: i resti di un posto che emana ancora un fascino unico
Da arezzonotizie.it del 3 aprile 2021

Il silenzio del luogo, rotto solo dai suoni dell’acqua del fiume e del vento che muove le fronde degli alberi, aiuta chiunque lo visiti a fare un indimenticabile tuffo nel medioevo aretino

Di Marco Botti

La Valcerfone, lungo corridoio naturale che mette in collegamento Arezzo e la Valtiberina, fin dall’epoca etrusca era attraversata da un’importante strada che nel periodo romano univa Arretium a Tifernum Tiberinum, l’odierna Città di Castello. In un territorio così strategico dal punto di vista economico, politico e militare, nel medioevo non poteva che sorgere un nutrito numero di castelli e borghi fortificati a controllo del fondovalle e del fiume Cerfone.
Di questi fortilizi si è persa gran parte delle tracce. Ai nostri giorni rimangono nella migliore delle ipotesi resti diruti qua e là, mentre in altri casi la loro presenza si può dedurre solo grazie ai toponimi che ancora li ricordano.
Uno dei più potenti manieri – per fortuna ancora visibile – si scorge percorrendo il breve tratto della strada E78 “dei Due Mari” che da Palazzo del Pero sbuca alle Ville di Monterchi o il vecchio tracciato della Sr73 Senese Aretina che porta sempre nell’Alto Tevere. Subito dopo Molin Nuovo, a destra spunterà infatti dalla fitta boscaglia ciò che rimane del Castello di Ranco.
Il luogo, definito “Rancaccio” a indicarne il degrado secolare, vanta una frequentazione antica. Angelo Tafi suggeriva che l’origine potrebbe affondare nel VI - VII secolo, periodo di lotte cruente tra Bizantini e Longobardi, altri lo ascrivono al XII secolo ma la sua prima fase di vita è tutta da indagare. Di sicuro il fortilizio era già presente nel Duecento. Nel XIV secolo, come tanti manieri aretini, Ranco era nell’orbita dei Tarlati da Pietramala di cui divenne un caposaldo. Nel 1337 la fortificazione venne citata nel trattato di accomandigia tra Pier Saccone Tarlati e la Repubblica Fiorentina, con il quale Arezzo era messa per dieci anni sotto il controllo e il protettorato di Firenze.
A metà di quel secolo i Tarlati entrarono a più riprese in conflitto con i vicini conti di Bivignano, esponenti del partito guelfo. Anche dopo il declino rovinoso, il castello rimase nelle loro mani fino al 1439, quando venne ceduto – sempre secondo Tafi – a Baldo di Piero Bruni, detto Baldaccio d’Anghiari, celebre capitano di ventura al soldo dei fiorentini, ucciso in una congiura il 6 settembre 1441 a Firenze. Silvano Pieri scrive invece che Baldaccio aveva già occupato il luogo fin dal 1430. Due anni dopo la vedova Annalena Malatesta vendette il fortilizio ai Brandaglia e ai Viviani. I Brandaglia segnarono la storia di Ranco per i successivi secoli e, persa ormai la funzione militare, lo trasformarono in dimora sfruttando le case torri presenti.
Intorno al 1503 il maniero fu uno di quelli citati nella celebre “Mappa della Valdichiana” di Leonardo da Vinci.
Nella visita pastorale del 1535, voluta dal vescovo Francesco Minerbetti, la chiesa interna era dedicata a Sant’Angelo e collegata all’ospedale del borgo di Ranco situato nei pressi del Cerfone. La dedicazione di Sant’Angelo è tipica delle chiese dei castelli del territorio aretino, in particolar modo se essi erano stati in mano ai Tarlati, molto devoti al santo. Entrambi gli edifici avevano come rettore don Pergentino, ma nell’ospedale non c’erano ospiti poiché una alluvione lo aveva devastato.
Nella visita del 1592 promossa dal vescovo Pietro Usimbardi si parlava della chiesa del fortilizio rifatta fare da Anton Maria Brandaglia, dedicata però a San Martino, dove era una “bella e buona campana”.
Lo “spedaletto” di Ranco era sempre unito a essa ma non aveva più la funzione originaria, perché risultava abitato da contadini, mentre la sua chiesetta era “rovinata”. Forse dopo l’allagamento di qualche decennio prima non era stata recuperata e il suo titolo (San Martino?) era stato trasferito a quella riammodernata dentro il maniero. L’ipotesi proposta in questa sede si basa sulle analisi nelle visite pastorali cinquecentesche, ma contrasta con quello che Angelo Tafi e Silvano Pieri riportano nelle loro pubblicazioni dedicate alla zona, dove indicano San Martino come la chiesa del luogo fortificato fin dal medioevo e Sant’Angelo come quella dell’ospedale collegato. Future ricerche documentali potrebbero fare migliore chiarezza.
Nel 1728 il visitatore inviato dal vescovo Giovanni Antonio Guadagni scrisse che il pavimento era ormai da rifare, ma probabilmente quei lavori non vennero mai compiuti, perché nella visita del 1778 del vescovo Angiolo Franceschi la chiesa di San Martino appariva in rovina. Nel 1802 venne soppressa. Anche il castello necessitava di interventi improrogabili almeno dalla metà del Seicento, che non furono mai eseguiti. Proseguì così l’inesorabile decadenza e il successivo abbandono. Nel XIX secolo ciò che restava passò dai Brandaglia ai Franceschi assieme ai terreni circostanti. Nella vicina pieve dedicata ai santi San Lorentino e Pergentino di Ranco, citata dall’XI secolo, dopo la ricostruzione conclusa nel 1822 fu trasferito un quadro di “San Martino” proveniente dalla chiesa del fortilizio, documentato nell’altare maggiore nel 1831. Dopo il terremoto del 1917, che rovinò anche la vicina Monterchi, nuovi lavori a metà Novecento permisero di rimettere in luce le tracce sopravvissute dell’edificio sacro medievale e di conferirgli l’aspetto odierno.
Proprio alla pieve, che si raggiunge attraversando uno stretto ponte sul Cerfone, merita lasciare l’auto per proseguire a piedi verso il maniero arroccato in una piccola altura, a circa mezzo chilometro a sud ovest della chiesa. Il bosco ormai copre tutto, ma in origine il castello era circondato da fossati, scarpate e spesse mura. Simone de Fraja, fine studioso di fortificazioni, individua una cinta esterna che accoglieva il nucleo abitativo e seguiva l’andamento irregolare del terreno.
Una seconda cerchia più piccola delimitava l’area signorile. Al suo interno si riconoscono ancora le rimanenze di due poderose torri duecentesche a pianta trapezoidale, oggetto di successivi interventi, come quello trecentesco dell’ultimo piano dove si vedono finestre con archi a sesto ribassato tipiche dell’Arezzo tarlatesca. La torre meridionale ha ancora due lati che si elevano per circa 22 metri, dove si notano persino i fori per i travi di sostegno dei ballatoi, mentre quella a nord ha subito crolli più pesanti ed è quasi illeggibile. Tra le torri ancora De Fraja osserva un ambiente ipogeo poi adibito a cisterna.
Nonostante sia ormai ridotto rudere, il Castello di Ranco emana ancora un fascino unico e non a caso è stato inserito nei “Luoghi del Cuore FAI”. I suoi resti gravitano all’interno della Fattoria di Rancaccio, tenuta della famiglia Trojanis che produce e vende prodotti tipici, provenienti perlopiù da coltivazioni biologiche. La struttura comprende anche un agriturismo.

 

Fiamme nella vecchia polveriera di Pissebus
Da ilfriuli.it del 3 aprile 2021

Vasto incendio, probabilmente doloso, sul monte Amariana, nel Tolmezzino. Grande spiegamento di forze per domare il rogo

di Paola Treppo

Un vasto incendio boschivo si è sviluppato intorno a mezzogiorno, sul monte Amariana, a Pissebus di Tolmezzo. Si tratta della zona della vecchia polveriera, esposta in questa giornata a forti raffiche di vento che non aiutano nello spegnimento. Le fiamme sono visibili dalla vecchia statale che porta a Tolmezzo. Le prime colonne di fumo tra la galleria e l'ex polveriera. In tanti hanno chiamato il 112.
Diversi anni fa, sempre in questa zona, si era sviluppato un rogo che aveva richiesto l'impiego anche di elicotteri di ben più grandi dimensioni e dedicati appositamente allo spegnimento di incendi boschivi.
Per tutta la giornata hanno operato i Vigili del fuoco del Comando di Udine con la squadra del distaccamento di Tolmezzo e un direttore operazioni di spegnimento della sede centrale. Le operazioni di spegnimento che quasi sicuramente proseguiranno anche nella giornata di domani si stanno svolgendo in collaborazione con il personale del Corpo Forestale Regionale e con i gruppi volontari antincendio boschivo della Protezione civile.

Considerata la vastità dell'incendio e la zona particolarmente impervia, sono stati impiegati anche due elicotteri regionali e due Canadair del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco. Il persone del Gruppo operativo speciale del comando Vigili del fuoco di Udine con i mezzi per il movimento terra è impegnato nella realizzazione di uno scavo sul fiume Tagliamento per realizzare una vasca di raccolta acqua che servirà al rifornimento dell’elicottero sikorky s64 dei pompieri, atteso per la giornata di domani.
In questo momento l'incendio, probabilmente di natura dolosa, non minaccia abitati. La situazione è seguita con attenzione anche dal sindaco Francesco Brollo.

 

Ex caserma, servono milioni «È quasi tutto da abbattere»
Da tribunatreviso.it del 3 aprile 2021

Per la prima volta dei civili hanno messo piede nell’area militare dismessa Confermato il progetto sportivo all’ex aviosuperficie

FRANCESCO DAL MAS

«Ci vogliono milionate per rigenerare la Gotti e l’aviocampo». È la sintesi che hanno tirato il sindaco Antonio Miatto e gli altri consiglieri dopo aver visitato, ieri pomeriggio, i due insediamenti ex militari. Era la prima volta che potevano entrare i civili. «Qui ci stanno cinque campi di calcio» ha spiegato Miatto, dopo aver messo piede sull’ex elisuperficie di San Giacomo, i campi invasi dalle lepri. La base degli elicotteri dell’ex 5° Corpo d’Armata è destinata a diventare una cittadella dello sport. Vi troveranno posto, come prime infrastrutture individuate, lo stadio del rugby ed una foresteria. Alla Gotti, invece, è quasi tutto da radere al suolo.

Gli stabili e le tettoie, oltre una ventina, si trovano in condizioni molto precarie, alcune strutture non sono dotate neppure di impianto elettrico ed acquedottistico. L’europarlamentare Gianantonio Da Re ha trovato interessante la presenza di un impianto di lavaggio delle auto. «È perfettamente funzionante» ha certificato. Chissà se l’amministrazione comunale lo vuole mantenere. È certo che alla Gotti troveranno sede alcune associazioni, a partire dai volontari dell’Avab, l’associazione di contrasto degli incendi. I suoi uomini hanno tagliato decine di piante, altre ne restano da abbattere. «Il lavoro è immane – ha ammesso Marco Dus, capogruppo del Pd -. gli spazi sono infiniti. Qui ci vuole un piccolo (grande per Vittorio) recovery plan per consentire la rigenerazione di tutti questi spazi. In ogni caso, immagino che la prima cosa da fare è la tabula rasa di quanto è presente».

I consiglieri erano accompagnati dal presidente dell’assemblea municipale, Paolo Santantonio. «Il nostro compito – ha spiegato il sindaco Miatto – è, d’ora in avanti, di spulciare ogni possibile norma di legge, regionale e statale, per individuare possibili fondi». Il solo aviocampo va oltre gli 80 mila metri quadrati e il solo stadio di rugby potrebbe costare non meno di un milione di euro, se provvisto anche dei necessari servizi. —

 

L’ombra di Gladio sul bunker
Da tiburno.tv del 2 aprile 2021

Il Divo etichetta, alla Camera, Gladio come una struttura di:” informazione, risposta e salvaguardia”.

In più occasioni ci siamo occupati del bunker Soratte: la struttura sotterranea costruita durante il Ventennio caratterizzata da decine di gallerie e destinato ad ospitare i vertici del governo italiano in caso di emergenza. L’imponente struttura sotterranea, costruita nel 1937, ha ospitato le truppe naziste durate il secondo conflitto mondiale e successivamente su richiesta della Nato il bunker è stato utilizzato nel pieno della minaccia nucleare durante la Guerra Fredda, fra Usa e Urss. Al suo interno si trovano anche le “sale tattiche”, che fortunatamente non sono mai state utilizzate.

La struttura, invece, sarebbe stata utilizzata per esercitazioni da Gladio: un’organizzazione paramilitare appartenente alla rete internazionale Stay-behind . Gladio è stata svelata dal Presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti, nel 1990, in quella occasione il Divo etichetta Gladio come una struttura di:” informazione, risposta e salvaguardia”. Gladio la troviamo in diverse inspiegabili storie del nostro Paese: nel sequestro Moro, negli “oscuri” rapporti con l’estrema destra, nella P2, nel Piano Solo, nel caso del giornalista Mauro Rostagno e il nome dell’organizzazione spunta anche nel “processo Ciancimino”, durante il quale il figlio Massimo racconta che suo padre (ex sindaco di Palermo) era legato a Gladio.

Secondo il collaboratore di giustizia Francesco Elmo l’organizzazione paramilitare era coinvolta in numerosi fatti di cronaca nera, ma le sue dichiarazioni non hanno trovato riscontri significativi. Gladio, ancora oggi, continua ad essere uno dei tanti misteri italiani.

 

Valvasone Arzene, «La Polveriera? Troppo ingombrante»
Da telefriuli.it del 1 aprile 2021

Il sindaco Markus Maurmair punta il dito contro la polveriera militare che impedisce lo sviluppo industriale del Comune, al quale arrivano indennizzi irrisori Qui di seguito il suo pensiero

La Guerra Fredda è terminata da decenni eppure a Valvasone Arzene continuiamo a pagarne le conseguenze con la struttura militare destinata ad accogliere materiale esplosivo e non solo.
Le vicende del pollaio colpito da un paio di cannonate a Vivaro rimettono in luce l'annoso fardello che il Friuli - Venezia Giulia continua a sopportare nonostante la cortina di ferro sia un ricordo del passato: oltre 2.000 insediamenti militari di cui la maggioranza dismessi e inutilizzati ma, soprattutto, i vincoli per i siti ancora operativi. La polveriera, che occupa oltre 9 ettari di superficie, porta con se ulteriori 18 ettari di vincoli di servitù i cui riflessi impattano sull'agricoltura e le attività produttive circostanti come nel caso di un'azienda che aveva intenzione di acquistare un vecchio stabilimento con tanto di fornace storica per attivare un nuovo polo produttivo.

Siccome la servitù militare incide anche per l'area distante oltre 500 metri l'Esercito Italiano ha posto il veto e il progetto industriale che avrebbe portato una ventina di posti di lavoro a Valvasone Arzene è stato abortito.
E' vero che sono riconosciuti 17mila euro di indennizzo annuale per la servitù apposta e gestita dall'Amministrazione comunale ma è necessario ricordare che gli importi assegnati, dopo una montagna di carte e burocrazia, raramente superano i 200 euro. Infine sorge spontanea la domanda... tenuto conto che lungo il perimetro nord della polveriera è presente la strada regionale di interesse provinciale nr. 58 e che la stessa è parecchio utilizzata anche con il transito dei pullman del trasporto pubblico locale e i militari dicono che uno stabilimento a più di 500 metri di distanza non è possibile autorizzarlo poiché potrebbero esserci delle conseguenze in caso di esplosione del materiale da loro custodito... come mai lasciamo aperta quella strada?

 

Uno sguardo su Ancona: la polveriera Castelfidardo di Laura Ansevini
Da vivereancona.it del 1 aprile 2021

"Uno sguardo su Ancona", l'appuntamento quotidiano con le foto dei lettori dedicate al territorio anconetano

Ogni giorno pubblicheremo uno degli scatti più suggestivi del territorio anconetano inviati  dai lettori alla redazione.

La foto di oggi, di Laura Ansevini, ci porta al Cardeto.

Inviate le vostre foto via mail all'indirizzo ancona@vivere.it o via chat su Whatsapp al numero 350 053 2033. di Redazione

 

Torri e fortezze sotto la lente per dare forza al turismo culturale
Da iltirreno.it del 1 aprile 2021

Coinvolte dalla fondazione Aglaia anche Elba e Maremma 40mila euro dal Comune di Piombino, capofila del progetto

Di Francesca Lenzi

PIOMBINO. Tre ambiti turistici, due province, svariati Comuni interessati, un filo rosso che li attraversa. È l’obiettivo del progetto di ricerca, valorizzazione e promozione “Il sistema difensivo degli Appiani”, fatto di castelli, rocche, fortezze e torri costruiti per il controllo dei mari e delle terre del principato. Capofila del progetto è il Comune di Piombino che ha stipulato una convenzione di tre anni con la fondazione Aglaia, nata negli ultimi mesi come trasformazione in continuità con l’associazione Past in Progress che già aveva in gestione l’area di Poggio del Mulino. La fondazione ha quindi affidato la direzione scientifica del progetto all’archeologa Carolina Megale e allo storico Marco Paperini.

I Comuni e le istituzioni partecipanti sono a oggi, oltre a Piombino: Scarlino, Follonica, Castiglione della Pescaia, Campo nell’Elba, Marciana, Marciana Marina, Portoferraio e Rio oltre al Parco archeologico tecnologico delle Colline metallifere grossetane. «Dopo la prima riunione fra tutti i Comuni dove ho presentato il progetto, ho mandato una mail con le indicazioni – afferma l’assessore piombinese, Giuliano Parodi – Tutti le amministrazioni sono rimaste entusiaste e hanno accettato di partecipare. Tutte meno Suvereto. Ha risposto che per ora non aderisce, riservandosi di fare approfondimenti».
Sia nella delibera di giunta che nella convenzione con Aglaia, il Comune di Piombino ha previsto una spesa complessiva per la realizzazione del progetto di 56.500 euro, di cui 40mila coperti dall’amministrazione piombinese, come rimborso delle spese sostenute dalla fondazione. «Non si tratta di un contributo – spiega Megale – I 40mila euro sono a rendicontazione e ogni voce verrà giustificata dietro fattura. Per noi questo passaggio è un bel salto in avanti, prima di tutto sul piano della credibilità. Tornando ai costi, i 16.500 euro che restano scoperti nella previsione di spesa saranno compensati da altri soggetti che potranno essere gli stessi Comuni aderenti come gli sponsor. Un primo piccolo contributo l’abbiamo già avuto dal consiglio regionale per il capodanno della Toscana».
Le azioni per il progetto del sistema difensivo degli Appiani sono già iniziate e si prevede la conclusione di ogni passaggio entro la fine del 2022. Quello della conoscenza, già avviato, considera la ricerca, la ricognizione e il monitoraggio dei monumenti. «Prendiamo ad esempio la torre degli Appiani di Marciana Marina – spiega Megale – È nostro compito capire di chi sia, lo stato di conservazione, se è soggetto a vincoli, se è visitabile o no. Ecco, dobbiamo in pratica farne l’identikit. È una prima fase nella quale togliere gli orpelli del sentito dire per andare alla ricostruzione storica del monumento. Perché, senza la conoscenza, non può esistere la narrazione».
Ancora, il progetto prevede, nel piano della comunicazione, la progettazione di un logo e la creazione di un’app, dal nome evocativo APP-IANI che avrà il compito di raccogliere ogni informazione storica e culturale, oltre a rappresentare lo strumento per cittadini e turisti nella fruizione del territorio. «L’obiettivo è creare un’app che fornisca al viaggiatore le informazioni di cui ha bisogno – dice Megale – La forza del nostro progetto è la base identitaria storica. In Italia spesso si fanno le cose a tavolino. Come facciamo noi, invece, ci permette di toccare altri ambiti e amplificare il progetto. Fra le idee che abbiamo ci sono anche percorsi bike e turismo on the road».
Nel programma ci sono pure una cartina generale con i monumenti e le informazioni per la visita, pannelli in prossimità di ogni monumento, disegni ricostruttivi e audio-tour. «Parliamo di audio guide gratuite dove si caricano direttamente i contenuti – spiega l’archeologa – oltre tutto covid-free perché collegate al proprio dispositivo». Via libera anche al merchandising e alla pubblicazione, nell’ultima fase del progetto, di brochure, guida e pubblicazione scientifica. «Teniamo moltissimo, infine, alla formazione rivolta agli operatori del turismo, e non solo – sostiene Megale – Non possiamo più permetterci, ad esempio, di avere negli alberghi personale che non conosce i luoghi, la storia e la cultura del territorio. È il nostro primo biglietto da visita. Non è fare la lezioncina, ma aiutare la gente, cittadini compresi, ad acquisire consapevolezza».
«Ho voluto fortemente questo progetto perché ritengo sia importante raccontare una parte di storia poco raccontata come quella degli Appiani, una famiglia che per storia e curiosità può essere paragonata ai Medici – le parole dell’assessore Parodi – È un’occasione reale per trasformare un’idea culturale in un prodotto turistico. E poi sono contentissimo che si possa collaborare con l’Elba. Questo progetto dovrebbe concludersi nella sua attuazione a fine 2022 ma la cosa bella è che, quando finirà la parte progettuale, in realtà prenderà il via la commercializzazione del prodotto e il suo relativo sviluppo. È un sistema a scatole cinesi che può solo portare del bene». –