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ANNO 2020

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Il castello di domenica 31 maggio
Da castelliere.blogspot.com del 31 maggio 2020

TROFARELLO (TO) - Castello Rivera

Nella suddivisione amministrativa introdotta dai Longobardi, Trofarello fu feudo tenuto dalla famiglia Guaggoni o Vangioni (poi Vagnone). Il documento più antico di cui si conserva traccia, ove si fa cenno a Trofarello come ad una unità territoriale fisica specifica, risale al 1228, cioè all'epoca di Federico II, nipote del Barbarossa; in esso si fa atto di donazione del Contado di Celle ai Signori di Revigliasco e di Trofarello: appunto i Vagnoned. Il dato che valorizzò il Contado fu la funzione di posto difeso, di sosta e di rifornimento che esso svolse lungo la via di comunicazione tra Genova e la Francia.

Trofarello seguì poi da vicino tutte le vicende storiche che coinvolsero le città di Chieri e Testona e rispetto a questi non si è distinto per particolari avvenimenti. A circa un chilometro dal centro del paese, in origine di proprietà dei Monaci di Testona, sorge il Castello Rivera. Appartenente all'antico Contado di Celle, presenta quattro torrette laterali, l'ingresso a sesto acuto con tracce di graffiti. Come si può vedere da un disegno della metà del '400, esisteva una forca, o più, erette dai Signori di Revigliasco come avvertimento dei confini per l'amministrazione della giustizia a seguito delle discordie per il torrente Val Suchana (Sauglio) e l'uso dei forni per la cottura del pane. Il castello probabilmente era circondato da un fossato che lo rendeva aggiormente difendibile. Le modifiche subite dalla costruzione durante i secoli sembrano modeste, qualche finestra e basta, per il resto nonostante il degrado attuale (la vegetazione ha invaso gli interni del cortile e anche parte del bellissimo portale d'ingresso), è forse tra gli edifici più suggestivi e interessanti di Trofarello.

 

Oggi risulta abbandonato e deturpato dall'ambiente nonostante il notevole interesse storico che possiede. Inoltre, essendo di proprietà privata, è sconosciuto a molti e raramente viene descritto nelle documentazioni bibliografiche del settore, essendo pressoché inesistenti delle ricostruzioni storiche dettagliate degli eventi che lo hanno interessato.

Link suggerito: https://www.youtube.com/watch? v=mno1RU_8TXs (video di Roberto Carisio),

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Trofarello, http://rete.comuniitaliani. it/foto/2009/377661, https://webthesis.biblio.polito.it/4823/ (tesi "Il Castello Rivera a Trofarello: una rete territoriale sostenibile tra storia e innovazione / Stefania Messaglia, Giulia Miletto; rel. Michela Benente; correl. Filiberto Chiabrando),

http://web.tiscali.it/BelferTM/Elementi_Monumentali.htm,

http://www.podisticanone.org/percorso_CrossTrofarello.html

Foto: la prima è di DANIELE075 su http://rete.comuniitaliani. it/foto/2009/377661/view, la seconda è di F. Ceragioli su https://it.wikipedia.org/wiki/Trofarello#/media/File:Trofarello_castello_rivera.jpg

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Lo scomparso Castello di Soleto
Da lavocedimaruggio.it del 29 maggio 2020

Ben poche notizie abbiamo in merito allo scomparso Castello di Soleto, posto sul versante meridionale del paese e, secondo lo studioso salentino Cosimo De Giorgi, restaurato per l’ultima volta sul finire del XIX secolo.

La sua costruzione risaliva ai primissimi anni del XV secolo per volere di Raimondello Orsini Del Balzo (1361 – 17 gennaio 1406), secondogenito di Nicola Orsini adottato da uno zio materno della famiglia Del Balzo, Conte di Soleto (1382), Duca di Benevento (1385-1401), Principe di Taranto (1393-1406), Conte di Lecce (1401-1406), Duca di Bari, Gran Connestabile del Regno di Napoli, Gonfaloniere della Sacra Romana Chiesa, nonché marito della Contessa di Lecce Maria d’Enghien, successivamente Regina di Napoli dopo le seconde nozze con Ladislao d’Angiò Durazzo. Nella prima metà del XX secolo il castello venne adibito a manifattura tabacchi, tuttavia a causa delle pessime condizioni in cui versava fu demolito nel 1948.

La struttura si sviluppava su due livelli e presentava diversi ambienti, al piano nobile la zona residenziale mentre il piano terra era riservato a locali di servizio quali vari magazzini, scuderie, stalle,due trappeti per la molitura delle olive ed infine una cappella dedicata al Santo Spirito. Al suo posto oggi c’è un’abitazione civile mentre è rimasto il grande giardino che lo circondava su tre dei suoi lati.

Cosimo Enrico Marseglia

 

Finale Ligure, il Forte San Giovanni riapre ai visitatori il 9 giugno
Da ivg.it del 29 maggio 2020

Esempio di architettura militare spagnola arroccato alle spalle di Finalborgo

Regione. La Direzione regionale Musei Liguria, che riunisce i musei statali sul territorio, annuncia le prime riaperture secondo le disposizioni previste per la Fase2 dell’emergenza da COVID-19.

I musei e le aree archeologiche

Le prime ad accogliere i visitatori il prossimo 2 giugno saranno le aree archeologiche che comprendono ampi spazi all’aperto immersi nella natura.
In provincia di La Spezia riaprirà il Museo archeologico Nazionale di Luni e zona archeologica, dove saranno visitabili, con una lunga passeggiata, un’ampia parte degli scavi e le sale espositive del Casale Gropallo. Anche la Villa romana del Varignano, raggiungibile lungo la strada per Portovenere, immersa in un antico uliveto, prevede un piacevole percorso all’aperto per la visita degli scavi.
A Ventimiglia la riapertura consentirà di accedere al Museo preistorico dei Balzi Rossi, situato sul mare a pochi passi dal confine con la Francia. In forma ridotta, sarà visitabile anche la zona delle grotte. A Ventimiglia sarà inoltre aperta l’Area archeologica di Nervia che offre ai visitatori un percorso tra gli scavi delle antiche terme e il Teatro romano, uno dei meglio conservati dell’Italia settentrionale, oltre alla sala museale – Antiquarium.

Il 7 giugno riaprirà anche il Castello di San Terenzo, dalle cui terrazze si gode di una affascinante vista sulla baia tra Lerici e Portovenere, mentre il 9 giugno sarà pronto ad accogliere i visitatori Forte San Giovanni a Finale Ligure, esempio di architettura militare spagnola arroccato alle spalle di Finalborgo, raggiungibile con una brevissima passeggiata lungo la strada Beretta: dalle sue ampie terrazze la vista spazia tra il mare e le valli dell’interno.

Modalità di visita

Gli ambienti espositivi sono pronti ad accogliere i visitatori, dopo essere stati sottoposti ad un intervento completo di sanificazione attento alla conservazione delle opere esposte.

I percorsi all’interno delle strutture e all’esterno nelle aree archeologiche sono stati ripensati per consentire il transito dei visitatori nel rispetto delle distanze di sicurezza e apposite dotazioni di gel igienizzante saranno a disposizione nel museo. Ditte specializzate provvederanno giornalmente alla sanificazione degli spazi e alla pulizia delle parti comuni. In questa prima fase di riapertura, per consentire una visita sicura e confortevole, alcuni spazi saranno temporaneamente non accessibili.
Al pubblico del museo sarà chiesta una collaborazione attiva nell’attuazione delle misure di protezione: indossare la mascherina (naso e bocca), mantenere la distanza di almeno 1,5 mt e lavare spesso le mani.

Per evitare code o assembramenti è in corso di realizzazione un portale di prenotazione dedicato. Dal 1 giugno per visualizzare i posti disponibili e prenotare la propria visita basterà collegarsi al sito internet http://musei.liguria.beniculturali.it/PRENOTA  o contattare i musei al numero indicato.

Orari e contatti:

Museo Preistorico dei Balzi Rossi e zona archeologica, Ventimiglia
Dal 2 giugno Orario: da martedì a domenica 8.30-19.30, Tel 0184 38113

Area archeologica di Nervia, Ventimiglia
Dal 2 giugno Orario: giovedì, sabato e domenica 9.00-18.00, Tel 0184 252320

Villa romana del Varignano, Portovenere
Dal 2 giugno Orario: da mercoledì a domenica 9.00-16.00; chiuso ultima domenica del mese, Tel 0187 790307

Museo archeologico nazionale di Luni e zona archeologica, Luni
Dal 2 giugno Orario: da martedì a domenica 8.30-19.30, Tel 0187 66811

Castello di San Terenzo, Lerici
Dal 7 giugno Tel 350 5324301

Forte San Giovanni, Finale Ligure
Dal 9 giugno Orario: da martedì a venerdì 16.00-20.00; sabato e domenica 14.00-20.00, Tel 338 1276580

 

Area della Linguella e Fortezze Medicee di nuovo aperte
Da tenews.it del 29 maggio 2020

Di Nadia Mazzei Assessore alla Cultura e al Turismo - Comune di Portoferraio

L’area archeologica della Linguella e le Fortezze Medicee sono di nuovo aperte.

Adulti e bambini possono così riprendere a passeggiare in due aree particolarmente suggestive di Portoferraio dalle ore 9,00 alle ore 18,30.
Nell’attesa della prossima apertura del Museo Archeologico e del Forte Falcone, all’Area della Linguella e alle Fortezze Medicee non solo la popolazione, ma anche i turisti e i residenti di altri comuni hanno accesso gratuito.

L’Amministrazione Comunale raccomanda di rispettare il distanziamento sociale, di evitare gli assembramenti e , data la particolarità dei luoghi, di sorvegliare i bambini.

Nadia Mazzei Assessore alla Cultura e al Turismo

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Il Castello di Cellamare
Da lavocedimaruggio.it del 26 maggio 2020

Purtroppo non esistono documenti che attestino una data certa della costruzione del Castello Baronale di Cellamare, e tantomeno il nome di chi ne volle l’erezione. Tuttavia un primo nucleo fortificato esisteva sicuramente già dal XIII secolo, epoca in cui venne avviata anche l’erezione della cinta muraria con il contemporaneo insediamento dei primi signori: Roberto e Galeotto Venato, succeduti alla signoria del vescovo.

Con ogni probabilità, la parte più antica del maniero è l’ala posta alla destra del portale d’ingresso che, successivamente, nel corso del XVI secolo venne modificato, perdendo le tipiche caratteristiche di una fortezza militare, diventando una dimora residenziale dei feudatari. Nel 1544 vennero svolti ulteriori lavori di riadattamento, su commissione del feudatario Felice Della Marra, come testimonia un’epigrafe che accompagna il blasone della famiglia. Ulteriori trasformazioni alla struttura furono operate a partire dal 1631, per volere dei nuovi signori, i Principi Del Giudice.

La struttura si presenta a pianta quadrangolare, la cui base bugnata e limitata da un toro interrotto dal portale di ingresso ad arco a tutto sesto, sovrastato dal blasone della famiglia Del Giudice – Caracciolo, da cui si accede ad un atrio con volte a botte. Da qui si raggiunge la piazza d’armi , caratterizzata da archi perimetrali, sulla quale si aprono i locali di servizio, come il mulino, il frantoio, le scuderie, nonché la porta di accesso alla torre, i cui locali adiacenti con volte a botte potrebbero risalire alla struttura originaria del maniero. L’antica base scarpata è oggi pressoché scomparsa, con l’eccezione di breve tratto lungo la via Marconi.

Cosimo Enrico Marseglia

 

Messina, forzato il portone di ingresso di Forte Ogliastri
Da gazzettadelsud.it del 26 maggio 2020

Forzato il portone di ingresso di Forte Ogliastri, a Messina. Ricevuta la segnalazione della sala operativa della polizia municipale, l’assessore Enzo Caruso, con delega alla Valorizzazione delle Fortificazioni, ha avvisato l’ufficio “Pronto Intervento” del Comune coordinato dal geometra Marco Mancuso, che si è attivato per la riparazione.

Durante l’intervento, alla presenza dell’assessore Caruso e del presidente della V Municipalità Ivan Cutè, è stata così rinforzata la chiusura e, in settimana, si provvederà alla sistemazione della cancellata di ingresso al fossato.

Poco prima dell’emergenza, nell’ambito del progetto di valorizzazione dell’intero sistema fortificato, Caruso aveva già programmato con “Messina Servizi Bene Comune” la scerbatura delle aree di pertinenza del Forte e concordato con l’Assessore Minutoli un piano di intervento per la messa in sicurezza dai cinghiali che si aggirano in prossimità della struttura.

“Quanto prima – ha assicurato l’assessore – il Forte tornerà ad essere fruibile alla collettività e già si pensa ad una soluzione di cogestione per la manutenzione, la sorveglianza e l’organizzazione di attività culturali”.
Restaurato nel 2002 dall’amministrazione Buzzanca, quando era assessore Gianfranco Scoglio, con i fondi del Piano Urban, insieme a S. Maria Alemanna ed al primo lotto dell’Istituto Marino, Forte Ogliastri rappresentò al momento dell’inaugurazione un splendido esempio di restauro conservativo e, per anni, accolse eventi culturali, musicali e teatrali organizzati in collaborazione con il Quartiere, il Conservatorio Corelli, la Parrocchia di S. Matteo e gli Istituti Marconi, Antonello e Basile.

Oggi versa in condizioni pietose e necessita di interventi importanti relativamente agli spazi esterni, con particolare riferimento al parco Giochi e all’anfiteatro con gradinate in legno, totalmente distrutte.

 

I tredici incantevoli luoghi del circuito Castelli del Ducato in Emilia
Da informacibo.it del 26 maggio 2020

Nel weekend (30 e 31 maggio, 1 e 2 giugno 2020) aprono i bellissimi saloni e in via straordinaria i loro giardini

di Silvia Armati

L'Emilia-Romagna della storia, delle torri, dei paesaggi collinari più dolci, dei castelli e delle fortezze dall’Appennino al Grande Fiume Po punta sull’outdoor per l’estate 2020!

Nel circuito Castelli del Ducato riaprono sabato 30 maggio e domenica 31 maggio  quattro nuove roccaforti, mettendo in campo nei percorsi l’accesso straordinario a spazi prima non visitabili – come meravigliosi parchi e giardini privati -, mentre altre due location tornano visibili il 1 e 2 giugno. Salgono così a 13 i manieri che hanno spalancato di nuovo i blasonati portoni ed i segreti giardini ai visitatori.

Fino al 3 giugno, in piena Fase 2, potranno accedere gli abitanti dell’Emilia-Romagna e, poi, se riapriranno (se non ci saranno ulteriori ristrettezze) i confini delle regioni poi per i turisti da tutta Italia.

“Castelli del Ducato sposa la filosofia di un “cultural new green” e la valorizzazione del “cultural heritage”. I Castelli del Ducato propongono visite guidate che diventano, di fatto, esperienze autentiche in luoghi di grande bellezza, fortezze e dimore storiche immerse nella natura o in suggestivi caratteristici borghi storici!” spiega il Presidente il Conte Orazio Zanardi Landi, proprietario del Castello di Rivalta in Val Trebbia, quest’ultimo già aperto dal 19 maggio.

Il Castello di Scipione dei Marchesi Pallavicino (Parma)

Da vedere, new entry, dunque il millenario Castello di Scipione dei Marchesi Pallavicino, in provincia di Parma, sulle colline a 2 km da Salsomaggiore Terme, dal 30 maggio: il più antico della provincia di Parma. Immerso nella natura, in un imperdibile paesaggio collinare, apre eccezionalmente anche il suo grande giardino affacciato sul paesaggio il loggiato seicentesco con le sue finestre che si aprono come quinte sceniche sul paesaggio in fuga prospettica, lo scalone quattrocentesco dei cavalli e il giardino segreto.

Il Castello si erge sul Parco regionale dello Stirone e del Piacenziano, un’area naturale protetta della Regione Emilia-Romagna, in un suggestivo e tranquillo borgo medievale da dove partono numerosi percorsi di trekking in mezzo alle colline. Nel rispetto dell’ultimo DCPM e delle ordinanze regionali, sono state attuate tutte le misure per garantire una visita in massima sicurezza. Si potrà visitare il Castello su prenotazione per evitare attese e assembramenti, con l’obbligo della mascherina, rispettando le distanze di sicurezza. Sono stati rivisti alcuni punti del percorso e programmati il numero massimo di persone per ciascuna sala. La biglietteria è stata riorganizzata con le protezioni necessarie e verranno messe a disposizione tutte le indicazioni utili per i visitatori, che avranno a disposizione anche diverse postazioni igienizzanti. La guida accompagnerà i visitatori durante tutta la visita. Riaprono anche le due Suites a disposizione degli ospiti all’interno del Castello di Scipione, intere porzioni del Castello di 70 mq, compresa la romantica Suite Azzurra che occupa l’intera torre a pianta quadrata del Castello, dotate di salotto e cucina, per trascorrere un soggiorno in un contesto esclusivo, in un’atmosfera romantica e ricca di storia.

Da vedere in Appennino il Castello di Gropparello (foto di copertina) che permette di abbinare anche un goloso spuntino, pranzo o merenda come preferite, al Ristorante Taverna Medievale. Per giornate in relax nel verde della natura, in una magica dimensione come fuori dal tempo. Il maniero è immerso nella verdissima Val Vezzeno, sopra uno sperone di serpentino verde, a picco sul torrente. Riapre anche la Taverna Medievale,con il suo splendido giardino delle rose. Lo chef vi offre piatti tipici della tradizione locale e piatti gourmet abbinati ai vini Dop dei colli piacentini. Visite guidate. Obbligo di mascherina. info@castellidelducato.it

Il Castello di Rivalta

Anche la Rocca Viscontea di Castell’Arquato riapre! Castell’Arquato ti racconta il Medioevo. Si arriva a Castell’Arquato attraversando colline morbide punteggiate dai vigneti d’uve bianche e rosse, tra campi coltivati. Già da lontano avvisti le magnifiche torri e la Rocca Viscontea che domina il borgo e la Val d’Arda. Sovrasta l’intero complesso il mastio di 42 metri d’altezza, un tempo isolato, perno della difesa urbana e del sistema di sorveglianza dell’intera vallata

Sabato, domenica e festivi: dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle ore 18.00
Feriali: apertura con visita accompagnata alle ore 10.30 – 14.30 – 16.00 Chiuso lunedì non festivi
L’ultimo ingresso, sia al mattino che al pomeriggio, avviene mezz’ora prima dell’orario di chiusura. In Rocca non sarà possibile l’acquisto di biglietti, che saranno venduti solo in Ufficio Turistico.

Modalità di visita: i visitatori potranno entrare solo indossando la mascherina.

Gli ingressi saranno contingentati (fino ad un massimo di 15 persone ogni 30 minuti). Verrà utilizza segnaletica, anche a pavimento per far rispettare la distanza fisica di almeno 1 metro.

Verranno posizionati dispenser per sanificazione delle mani in più punti. info@castellidelducato.it

L’iniziativa Trekking del Vino (che era previsto il 23 maggio) è stato posticipato al 27 giugno

Riaprono domenica 31 maggio

Castello Pallavicino di Varano de’ Melegari

La Rocca Meli Lupi di Soragna riapre il 31 maggio e lo fa consentendo in via eccezionale la visita al meraviglioso Parco per i visitatori che ne faranno richiesta, sempre con le limitazioni date dal tempo atmosferico. La Rocca resterà aperta anche il 1 giugno. E poi riprenderà con la periodicità consueta.

Gli orari di apertura saranno quelli normalmente previsti. La prenotazione è obbligatoria anche per turisti singoli, per regolare al meglio il flusso delle persone all’interno delle bellissime sale arredate e affrescate. info@castellidelducato.it

Sempre da domenica 31 maggio il Castello di Roccabianca, nel circuito dei Castelli del Ducato, nelle terre di Giovannino Guareschi, il papà letterario di Peppone e Don Camillo. Il Castello di Roccabianca fu costruito attorno alla metà del Quattrocento per l’amata Bianca Pellegrini dal Magnifico Pier Maria Rossi da cui il nome Roccabianca, in provincia di Parma. E’ il Castello degli innamorati e degli amanti. E’ il Castello di liquori, acquaviti, aceto balsamico con il Museo della Distilleria nelle antiche cantine e le stanze di stagionatura dei Culatelli.

Visite dalle ore 15.00; ultima visita ore 18.00. Lunedì 1 giugno visite dalle ore 15.00; ultima visita ore 18.00. Martedì 2 giugno visite dalle ore 15.00; ultima visita ore 18.00
Tutti i week-end per il mese di giugno le aperture saranno di sabato e domenica visite dalle ore 15.00; ultima visita ore 18.00. Obbligo di mascherina. info@castellidelducato.it

Continuano le aperture già avviate dal 23 maggio al Labirinto della Masone a Fontanellato nel cuore della Food Valley, al Castello di Montechiarugolo, al Castello Malaspina di Bobbio in Val Trebbia nel borgo eletto nel 2019 “Borgo dei borghi” d’Italia, alla Rocca d’Olgisio in Val Tidone, alla Fortezza di Bardi tra Val Ceno e Val Noveglia, al Castello di Rivalta in Val Trebbia dove dimorano i Conti Zanardi Landi, al Mastio e Borgo Fortificato di Vigoleno, Bandiera Arancione del Tci e al Castello di Torrechiara.

Riaprono invece da giugno

Riapre dal 1 giugno la Rocca Sanvitale di Sala Baganza dalle 10 alle 13.00 e dalle 15 alle 18 00. Nelle settimane a seguire aprono dal martedì alla domenica compresa, ed i festivi con lo stesso orario. Percorsi, sanificazioni necessarie e dispositivi di sicurezza, mascherine, guanti, gel battericida. Adagiata sulle prime colline dell’Appennino, presso il torrente Baganza. Ebbe un ruolo di primaria importanza nel sistema difensivo dei castelli parmensi: qui vissero conti e duchi per secoli, i Sanvitale, i Farnese, i Borbone. Conserva al suo interno preziosi affreschi e stucchi, scenografie dove donne di cuori, cultura e congiure filarono destini e trame. Visite guidate. Obbligo di mascherina. info@castellidelducato.it

Riapre dal 6 giugno la Rocca Sanvitale di Fontanellato che trovate visitabile, al momento, solo nel fine settimana, il sabato e la domenica, con orario 10.00–13.00 e 14.00 –17.00, con attiva la prenotazione obbligatoria tramite biglietteria on line per l’acquisto dei biglietti su VivaTicket, proprio per evitare assembramenti davanti all’ingresso e garantire un flusso monitorato. I gruppi potranno essere composti al massimo di 8 persone. Incantevole, al centro del borgo, la Rocca è ancora circondata da ampio fossato colmo d’acqua: racchiude uno dei capolavori del Manierismo italiano, l’Affresco dipinto dal Parmigianino nel 1524 con il mito di Diana e Atteone.

L’apertura rispetta ogni DCPM e Ordinanze Regionali in costante aggiornamento.info@castellidelducato.it

Riapre da domenica 7 giugno il Castello Pallavicino di Varano de’ Melegari sull’Appennino Parmense: i visitatori possono tornare a vederlo con visite guidate! Ecco le modalità di accesso: – Apertura del Castello al pubblico, con visite guidate, tutte le Domeniche; partenza visite alle ore 10:30, 11:30, 14:30, 15:30, 16:30, 17:30, e massimale di dieci visitatori per turno (la prenotazione è molto consigliata). – I visitatori dovranno presentarsi muniti di mascherina e sarà disponibile in castello il disinfettante per igienizzare le mani prima dell’inizio della visita; durante la visita occorrerà indossare la mascherina e mantenere il distanziamento interpersonale di almeno un metro.
– Possibilità di pagare i biglietti sia in contanti presso la biglietteria del castello, sia anticipatamente mediante bonifico bancario.
– Visite guidate private disponibili, solo su prenotazione, da Lunedì a Sabato. info@castellidelducato.it

Riapre dall’11 giugno il Castello di Tabiano nel suggestivo borgo con i suoi giardini e terrazze fiorite, lo scalone d’onore e gli spazi verdi è un luogo di relax di grande bellezza. Visite guidate. Obbligo di mascherina. Il Castello è in posizione dominante sulle prime colline che sovrastano la Pianura Padana, con un panorama unico che spazia dall’Appennino fino alla catena alpina. E’ raggiungibile attraverso un bellissimo viale alberato è uno dei più importanti monumenti di difesa dell’epoca feudale nell’Alta Emilia. Nel Borgo si trova il Relais di Charme Antico Borgo di Tabiano Castello con stanze, suite e appartamenti. L’apertura rispetta ogni DCPM e Ordinanze Regionali in costante aggiornamento. info@castellidelducato.it

Riapre dal 1 giugno come suites e “appartamento-casa-vacanza” dal 1 giugno Castello di Gambaro in Appennino in Alta Val Nure: da giugno a settembre ala esclusiva in affitto vacanze vuoi vivere in castello? per 7 – 15 – 30 giorni un piano-appartamento con cucina abitabile di 160 metri quadrati è disponibile in affitto per rigenerarti. info@castellidelducato.it

Se tra le parole più cercate, nei trend dei motori di ricerca, c’è “casa vacanze”, qui si può soggiornare in un borgo storico con soli 20 abitanti, dove è possibile nei paraggi fare trekking e passeggiate, itinerari in mountain bike, andare a pesca, andare per funghi, visitare i Castelli nei dintorni.

Riapre dall’8 giugno Palazzo Dalla Rosa Prati in centro storico a Parma. E’ pronto ad accogliere i turisti con la sua facciata di sobria gentilezza settecentesca. Qui vi alloggiano ancora oggi i Marchesi dell’antica casata parmigiana. info@castellidelducato.it

“I visitatori sono i benvenuti: sono loro l’altra metà dei Castelli del Ducato Ricominciamo insieme con rispetto delle persone, delle regole e dei luoghi, responsabilità per le azioni e un nuovo ritmo slow! Le visite del pubblico saranno gestite attraverso nuove misure organizzative di accoglienza, in linea con gli indirizzi governativi della Fase 2 nei luoghi della cultura”. Eccole:
– obbligo di mantenere la distanza di sicurezza interpersonale;
– obbligo di indossare la mascherina per tutta la durata della visita;
– ingressi contingentati;
– saranno esposti cartelli informativi e segnaletica per il rispetto delle norme di sicurezza;
– dotazione di gel igienizzanti a disposizione dei visitatori;
– ambienti costantemente puliti e servizi igienici sanificati;
– in alcuni luoghi è prevista la misurazione della temperatura corporea all’ingresso;
– in alcune biglietterie sono allestiti dispositivi trasparenti, parafiato e antibatterici;
– attenzione, informarsi prima di partire: molti castelli hanno introdotto la prenotazione obbligatoria; alcuni hanno attivato solo la biglietteria on line su piattaforme dedicate; in altri non c’è obbligo di prenotazione ma è comunque gradita e molto consigliata.

Le prenotazioni

Per prenotare giorni, orari di visita e prendere visione delle modalità di accesso i turisti possono scrivere a info@castellidelducato.it oppure consultare il website www.castellidelducato.it in quanto si entra nei castelli pochi per volta, nel rispetto di tutte le normative del DCPM e Ordinanze Regionali, per proteggere la sicurezza dei visitatori e quella del personale e delle guide in servizio.
Per approfondimenti, orari, modalità di accesso e prenotazione (se obbligatoria o no, se telefonica o on line) e aggiornamenti vari trovate tutto su www.castellidelducato.it

 

Reggio: Roccaforte del Greco-Stazione TLC Usafe.
Da cmnews.it del 25 maggio 2020

Nota stampa.

Nella giornata odierna l’Agenzia del Demanio – Direzione Regionale Calabria –Servizi Territoriali Città Metropolitana di Reggio Calabria ha effettuato la consegna dell’immobile“Stazione TLC Usafe” di Monte Nardello al Sindaco di Roccaforte del Greco dott. DomenicoPenna. Un passaggio formale, giunto al termine di un iter iniziato nel 2016.
In estrema sintesi, la Stazione Radio di Monte Nardello insisteva per la quasi totalità nel territorio comunale di Roccaforte e in minima parte in quello del Comune di Reggio Calabria.

Una particella di circa 200 mq posti all’ingresso della struttura che ha significato, per lunghi anni, l’impossibilità di gestire al meglio il bene immobile attraverso organici progetti di sviluppo dell’area.

“Una empasse superata grazie ad un serio coordinamento tra il Comune di Roccaforte, il Comune di Reggio Calabria, l’Agenzia del Demanio e il Consiglio Regionale della Calabria – ha sottolineato a margine della consegna il Sindaco grecanico Domenico Penna -. Oggi mettiamo un punto fermo su un iter lungo e complesso che consentirà, nel prossimo futuro, di pianificare nuove iniziative turistiche e di valorizzazione paesaggistica per un territorio straordinario che chiede di essere riscoperto e promosso. La cessione, a titolo gratuito, della particella da parte del Comune di Reggio è potuta avvenire grazie alla straordinaria sensibilità del Sindaco Giuseppe Falcomatà e del Civico Consesso reggino e, allo stesso tempo, grazie all’impegno fattivo del Consigliere regionale Francesco D’Agostino. Proprio quest’ultimo – ha proseguito – ha avviato il percorso di modifica della legge regionale vigente in materia di trasferimenti territoriali al fine di evitare lunghe e costose pastoie burocratiche, tra cui un referendum, per la formalizzazione dell’atto di cessione. Un ringraziamento, dunque, va a Francesco D’Agostino per il supporto concreto e per la vicinanza dimostrata anche in questa circostanza. Grazie a tutti gli Enti che hanno contribuito a questo risultato e grazie all’Agenzia del Demanio per aver seguito passo dopo passo l’iter burocratico, fornendo anche utilissimi suggerimenti, e grazie, infine, al responsabile dell’Agenzia dott. Daniel Condello per la disponibilità e la competenza dimostrata”.  

 

Gara sulle fortezze genovesi in Crimea, scontro diplomatico tra Russia-Ucraina
Da ilsecoloxix.it del 25 maggio 2020

La disputa per la candidatura dei bastioni di San Giorgio tra i beni archeologici. Unesco coinvolge due architetti liguri

Di EMANUELE ROSSI

Genova – Quando i mercanti genovesi avevano le loro roccaforti sul Mar Nero, sapevano  districarsi tra gli Ottomani e i Bizantini e mantenere i loro floridi commerci senza mettersi contro l’esercito dell’Imperatore o quello del Sultano. Seicento anni dopo, sono ancora i genovesi a trovarsi in mezzo ad una guerra, diplomatica e culturale, in Crimea.
Succede infatti che le fortificazioni genovesi nella penisola contesa tra Russia e Ucraina (Putin l’ha occupata e annessa con un referendum nel 2014, ma parte della comunità internazionale non ha mai riconosciuto l’annessione) siano al centro di una disputa tra i due Stati, con black list, sanzioni e colpi bassi. E che ci siano due progetti rivali per portare l’eredità delle colonie di San Giorgio nella prestigiosa lista del Patrimonio dell’ Umanità dell’ Unesco: uno portato avanti dai russi, l’altro dagli ucraini. Su entrambi lavorano professori genovesi: con i russi l’architetto Giovanni Spalla, con gli Ucraini il collega professore Paolo Stringa.

L’ultima puntata è stata raccontata da un articolo di El Pais: il 14 maggio l’Ucraina ha deciso di inserire in una lista nera con sanzioni prestigiose istituzioni culturali russe come il museo Hermitage di San Pietroburgo o la Società Geografica russa perché hanno realizzato scavi e studi archeologici in Crimea. Non potranno avere più rapporti, nemmeno economici, con le istituzioni ucraine. E visto che l’Unesco non ha riconosciuto l’annessione della Crimea alla Russia, il clima politico non appare favorevole per domande di inserimento nella lista dei beni tutelati.

Ma la “fatwa” ucraina non riguarda solo i russi: «Ebbene sì, mi hanno messo nella lista nera, come Al Bano», conferma l’architetto Spalla, che proprio con la Società geografica russa, per conto di Italia Nostra, sta portando avanti lo studio sulle fortificazioni genovesi di Sudak, Caffa, Cembalo e altre. «Noi portiamo avanti un lavoro sull’eredità genovese in tutto il Mediterraneo, dalla Tunisia alla Corsica al medio oriente - puntualizza Spalla - certo, in Crimea abbiamo fatto un bellissimo lavoro di studio, sarebbe un peccato se finisse boicottato per ragioni geopolitiche, d’altronde oggi se uno vuole andare sul posto deve fare il visto in Russia».

Ma non finisce qui: sulle fortificazioni genovesi era già stata presentata nel 2007 una domanda (allora sostenuta dall’ Ucraina) all’Unesco, supportata dalla storica Gabriella Airaldi e dal professore di Architettura Paolo Stringa. Fu respinta. Ma Stringa non ha mai finito di lavorare sul dossier, con la sua fondazione Alte Vie. Di fatto, i due progetti in parte si sovrappongono. «Io ci lavoro da 50 anni, non dallo scorso anno - si infervora Stringa - avremmo continuato sul posto con i bravissimi ricercatori ucraini se non ci fosse stata l’occupazione. I russi hanno fatto degli interventi di restauro terribili. Ma intanto stiamo andando avanti sia con il museo Santa Sofia di Kiev sia con la prefettura di Beyoglu, ad Istanbul, che era l’antica colonia genovese di Galata. Il Comune di Genova? Purtroppo su questo tema è sostanzialmente assente. Mi auguro che l’Unesco prenda la regia dell’operazione, alla candidatura al Patrimonio dell’umanità credo che potremo arrivarci nel 2023».

Lapidario il giudizio sul collega Spalla: «È molto bravo, a copiare le idee degli altri. Mi stupisco solo che Italia Nostra gli vada dietro». Ruggini ricambiate, anche se Spalla lascia aperta la porta ad una collaborazione: «Ho scoperto stamattina che il professor Stringa lavora al dossier per l’Unesco insieme agli ucraini - dice Spalla - io sapevo che ci avevano già provato nel 2007 e non era andata bene, non pensavo che ci lavorasse ancora. Comunque sono disposto anche a lavorare insieme, per il bene della conservazione di quei monumenti».

 

Alla scoperta del Salento: Il Bastione di San Francesco a Lecce
Da corrieresalentino.it del 24 maggio 2020

Di.Cosimo Enrico Marseglia

Foto Giulio Rugge

La città di Lecce è stata sempre dotata di una cinta muraria, sin dall’epoca messapica, pertanto i suoi abitanti sono stati sempre protetti da una struttura difensiva che, nel corso dei secoli, ha sempre avuto nuovi interventi di riadattamento e ripristino, a seconda delle mutate esigenze difensive e strategiche. Nel corso del Medioevo, tuttavia, la cinta muraria venne periodicamente violata ed anche abbattuta. In particolare nella seconda metà del XII secolo Lecce fu distrutta, al pari di altre città pugliesi, alcune delle quali non si ripresero più e furono abbandonate del tutto, dalla furia del Re di Sicilia, il normanno Guglielmo I de Hauteville detto il Malo. Successivamente, nel 1285, durante la Guerra del Vespro, la città ed il suo castello medievale furono presi da Ruggero di Lauria. Riconquistatala, il Conte di Lecce Ugo de Brienne provvide a riedificarla ma, ancora una volta nel 1296, Ruggero scatenò una violenta offensiva ed in una sola notte la espugnò, dimostrando la debolezza delle strutture difensive che necessitavano di un urgente adeguamento.

Per la modifica della cinta muraria però bisognerà attendere il XVI secolo, sotto il regno di Carlo V, i cui consiglieri militari compresero che, se non si fosse intervenuti in tempo a rinforzare le città pugliesi con un adeguato dispositivo difensivo, queste non avrebbero retto l’urto delle armate ottomane ed il volume di fuoco dei loro pezzi di artiglieria. Così nel 1539 l’architetto militare Gian Giacomo dell’Acaya ebbe l’incarico di ricostruire la cinta muraria ed il castello di Lecce. I lavori proseguirono per ventiquattro anni, conferendo alla città l’aspetto tipico della città-fortezza moderna, ossia munita di possenti bastioni capaci di offrire una valida azione difensiva al tiro delle artiglierie. Fra i vari baluardi che si ergevano ad intervalli più o meno regolari lungo le mura cinquecentesche, particolare interesse riveste il Bastione di San Francesco che, tra l’altro, è anche l’unico conservatosi integralmente sino ai giorni nostri e che ultimamente è stato oggetto di restauro insieme a parte della cinta muraria. In realtà si tratta di un duplice baluardo a tenaglia, composto da due parti a pianta pentagonale, a facce cieche, cioè prive di aperture verso l’esterno, e sviluppati su tre piani: interrato, primo livello e copertura, uniti fra loro grazie ad un corridore o cassero che attualmente al primo piano è privo di copertura ed è fruibile solo al piano interrato.
L’interno dei due baluardi presenta una casamatta con varie bocche strombate, alcune delle quali destinate al tiro radente e fiancheggiante. Sui fianchi esterni dei due bastioni in alto si aprono sei troniere (Feritoia, apertura praticata nelle mura di una fortificazione medievale per inserire una bocca da fuoco” Enciclopedia Garzanti) tre invece sono sulle cortine. Gli ambienti interni del duplice bastione, tendenzialmente oscuri, prendono luce da piccoli lucernai posti sulle volte e dalle stesse bocche o troniere. L’intero fronte della difesa ammonta a circa 60 metri articolati su due livelli: uno superiore al livello del fossato, l’altro invece interrato e parzialmente scavato nella roccia sottostante. I due livelli sono separati esteriormente da un toro marcapiano.

Sulle mura del bastione si nota un graffito che rappresenta un tipico gentiluomo del XVI secolo, mentre in alto, lungo uno dei fianchi campeggia l’incisione F.D. LOFREDO, riferita a Don Ferrante Loffredo, Governatore delle Provincie di Terra di Bari e di Terra d’Otranto. Inoltre, nel corso dei lavori di restauro, sono venute alla luce alcune pallottole infisse nelle mura, cosa che fa intuire il fatto che il fossato venisse utilizzato come luogo di esecuzione di condanne capitali per fucilazione fra la fine del XVIII e ed i primi quindici anni del XIX secolo. Tale ipotesi è plausibile giacché nel vicinissimo, quasi confinante, Palazzo Giaconia era dislocato il presidio militare delle milizie francesi presenti a Lecce.

 

La cinta muraria di Pompei: da strumento di difesa a costruzione monumentale
Da madeinpompei.it del 24 maggio 2020

Di.Alessandra Randazzo

POMPEI. Pompei nel corso della sua storia fu difesa da mura che però non sempre garantirono protezione, come avvenne durante l’assedio di Silla, che portò alla presa della città e alla riduzione a colonia romana. Già dalle origini l’abitato si dotò di mura difensive e una cinta in blocchi di pietra fu costruita a partire dal V secolo a.C. La città, in quella fase, non aveva le stesse dimensioni dell’attuale, ma l’espansione urbanistica doveva essere notevolmente ridotta.
Quando Pompei fu coinvolta nelle guerre sannitiche, nel IV secolo a.C., le mura, ritenute inadeguate a fronteggiare un pericoloso nemico, vennero parzialmente ricostruite sostituendo ed integrando la cortina esterna con una nuova di maggiore altezza. I rifacimenti delle mura si inseriscono in un generale riassetto urbanistico di Pompei che vede, a partire dal IV secolo a.C., una consistente espansione urbanistica sia a nord che ad est del nucleo più antico. L’ultimo sostanziale intervento sulle mura di Pompei risale però al periodo della guerra sociale, tra il 90 e l’89 a.C. In questa occasione vennero effettuati numerosi rifacimenti della cortina esterna, danneggiata nelle precedenti vicende storiche e, soprattutto, furono aggiunte al circuito delle fortificazioni una serie di torri di guardia, poste ad intervalli più o meno regolari, a cavallo della cortina.
Le nuove opere edilizie furono eseguite in opus incertum, costituite da scaglie di pietra legate con malta con un paramento irregolare e, pertanto, facilmente riconoscibile dalle fasi edilizie precedenti.

Con il consolidarsi dell’autorità di Roma e il venire meno di pericoli esterni, la funzione difensiva delle fortificazioni perse la sua importanza originaria. La pacificazione dell’Impero, avvenuta sotto Augusto, aveva favorito i commerci: così, gradualmente, le mura acquistarono un valore monumentale e simbolico, urbanistico piuttosto che strategico. Per le nuove esigenze dei traffici le aperture delle porte vennero ampliate, affiancando all’arco di ingresso originario altri varchi: Porta Ercolano, ad esempio, venne ricostruita con tre fornici, di cui quello centrale, il più ampio, riservato ai carri, quelli laterali ai pedoni.
Verso la fine del I secolo a.C., si assiste ad una progressiva occupazione di alcuni tratti delle mura, dove si svilupparono lussuose ville che si estesero su più piani terrazzati, in particolare lungo i pendii occidentali e meridionali del costone lavico, sfruttando la posizione panoramica verso il mare. Quando il terremoto del 62 d.C. provocò la distruzione di Porta Vesuvio, non si reputò necessario ricostruirla e così rimase fino all’eruzione del 79 d.C.

 

Ponte levatoio, mura fortificate e antiche botteghe nel cuore di Torino
Da livornosera.it del 24 maggio 2020

SI TRATTA DEL BORGO MEDIEVALE NEL PARCO DEL VALENTINO

di Patrizia Caporali
TORINO – Un borgo medioevale che medioevale non è, è semplicemente il Borgo Medievale di Torino costruito tra 1882 e il 1884, in occasione dell’Esposizione Generale Italiana come padiglione esterno alla manifestazione, creato da un gruppo di intellettuali e artisti, che vollero riprodurre qualcosa di artigianalmente ineccepibile, il più fedele possibile a quell’affascinante periodo del passato, su modello di chiese e castelli piemontesi e valdostani Uno splendido scenario studiato sia nell’uso dei materiali sia nei particolari degli edifici, con finalità didattiche ed educative, ma che vuole essere anche il racconto della vita di un’epoca, nel rispetto per la qualità dell’artigianato tradizionale e con la particolare attenzione al patrimonio architettonico e artistico del territorio.
E così, in un attimo, si abbandona la sontuosa Torino del XXI secolo per entrare in questo angolo del Parco del Valentino, lungo le rive del Po e cominciamo a viaggiare nel tempo e nello spazio. Un ponte levatoio introduce nel medioevo con i suoi cavalieri, le dame, le regine, i castelli e tutto l’immaginario fiabesco testimoniato in tante località italiane, ma certo non qui a Torino che fondamentalmente conserva un’architettura barocca e risorgimentale.
Il Borgo Medievale di Torino è un vero museo a cielo aperto racchiuso da palizzate, mura, fortificazioni e costituito da un’unica via zigzagante, dove si affacciano case maestose e tante botteghe ispirate all’epoca tardo medievale, come la stamperia, la bottega del pane, dello speziale, del ramaio, del falegname e le due Osterie. Quindi la piazzetta con la fontana ottagonale in ferro battuto sovrastata dalla maestosa Rocca che domina dall’alto, articolata su quattro piani con diverse stanze splendidamente affrescate, due cucine e addirittura una prigione al piano sotterraneo.
La visita continua con una passeggiata nel Giardino Medievale, allestito nel 1998, dove si passa dal Giardino delle Delizie con rose e primule, al Giardino dei Rimedi Semplici, con erbe e piante utilizzate nella farmacia medievale, all’Orto delle verdure e degli alberi da frutto. Una incredibile meraviglia che continua a incantare torinesi e visitatori, una vera attrazione trasformata nel 1942 in un museo civico unico nel suo genere, sebbene l’intero complesso fosse destinato alla demolizione al termine dell’Esposizione Generale. Il Borgo Medioevale, oggi sede di mostre, eventi, conferenze, attività didattiche e culturali, è indubbiamente un luogo pittoresco e molto curato che consente di vivere un sogno a occhi aperti, compiendo un suggestivo viaggio immaginario in un’epoca storica piena di fascino, erroneamente definita l’età dei secoli bui.

 

Sbarramento arretrato Villar Pellice
Da piemontealps.it del 24 maggio 2020

Di Erika Ambrogio

Storia: la Val Pellice faceva parte del VI/A Settore Germanasca-Pellice. La funzione delle opere era quella di contrastare discese di truppe francesi.

Il sistema difensivo arretrato della Val Pellice era composto da 4 opere tipo 7000, numerate 201, 202, 203 e 204, e da un muro anticarro che non è mai stato realizzato. Inoltre erano state approntate due camere di mina che in caso di necessità sarebbero servite per far crollare il ponte sul Rio Rospart ed il muraglione di sostegno stradale compreso tra l’abitato di Villar ed il ponte. I lavori vennero iniziati ed ultimati nel 1939.

La vicinanze delle Opere ai centri abitati le ha preservate da demolizioni post belliche imposte dal Trattato di Pace tra Italia e Francia.

Dopo il Caposaldo Villanova (https://www.nakture.com/caposaldo-villanova-valpellice/), continuiamo il nostro tour alla scoperta dello sbarramento arretrato Villar Pellice, che si trova appunto, provenendo da Torre Pellice, prima del centro di Villar Pellice.

Postazione per mitragliatrice - Opera 201

Percorrendo la SP161, nei pressi di un curvone, dove è presente uno spiazzo in cui sono collocati vari cassonetti della spazzatura, fermiamo l’auto. Da qui ci avviamo su di un sentiero che porta alla borgata Ciarmis. Dopo una prima salita iniziale, raggiungiamo un piano erboso. Non riusciamo a veder traccia di un’Opera in questa zona. Proseguiamo, osservando lo spazio circostante con più attenzione. Ecco, sulla sinistra, comparire tre camini di aerazione. A questo punto non abbiamo dubbi e ci dirigiamo verso di essi. Scendiamo in direzione del Torrente Rospart e finalmente troviamo l’Opera 201. Per accedere all’ingresso dobbiamo superare diversi rifiuti, cosa che proprio mi fa andare il sangue al cervello!! Non riesco a capire che gusto ci sia a rovinare il paesaggio e le memorie del passato! A parte ciò, entriamo, ed attraverso un breve corridoio perveniamo a due postazioni per mitragliatrici.

Torniamo da dove siamo venuti e sul muro di cinta di un’abitazione, scorgiamo una particolare incisione.

Poi, per fare quattro passi, oltrepassiamo il ponte che si trova alla nostra destra. Ad un tratto, per puro caso, scorgo,sul muro lungo la strada, un maniglione in ferro. Mi affaccio giù e con mio enorme stupore ecco comparire una bella scala alla marinara in ferro, ovviamente invasa dai rovi.

Non resisto, sono troppo curiosa. Scendo, cercando di non rimanere aggrovigliata tra le piante spinose, e ad un tratto, intravedo una porticina in ferro. Stiamo a fatica, cercando di raggiungerla, quando sentiamo ” ehi, tutto bene ragazzi?”.

Delle persone, preoccupate, si sono sporte dal parapetto in muratura. Molto probabilmente ci avevano visto sù e poi scompare dopo pochi istanti.

Incisione su muro

Scala alla marinaria - Camere da mina

Rassicurando questi “sconosciuti” e cercando di non fare passi falsi, raggiungiamo la porticina: è una camera da mina! Dall’altro lato ne è presente un’altra. Fino a questo momento non avevo mai avuto l’onore di vederne una!.

Diamo un’occhiata e risaliamo.

Ritorniamo verso l’auto e proseguendo sulla strada provinciale, a sinistra, nel prato, vediamo l’Opera 202.

Opera 202

Opera 204

Entriamo dalla bocca per pezzo anticarro in quanto, poco prima, scopriamo che l’ingresso è in proprietà privata. E’ presente anche una postazione per la mitragliatrice ed il condotto fotofonico. Un corridoio conduce all’ingresso chiuso con un pallet in legno.

Avanzando sulla SP161, giunti al pilone votivo, svoltiamo a destra, verso borgata Praferrero, in cerca dell’Opera 203. La vediamo, ma non troviamo l’ingresso e pertanto anche questa volta entriamo dal pezzo anticarro. La struttura è praticamente la medesima dell’Opera 202. Una postazione per mitragliatrice ed un ingresso, questa volta munito di scalinata. La fortificazione si trova sicuramente
in terreno privato. 

Ingresso/uscita opera 203

Non ci resta che cercare la quarta opera che si dovrebbe trovare parecchio distante.

Pertanto, raggiunta l’auto, andiamo verso il centro di Villar Pellice, svoltiamo in Via Maestra e successivamente in Via Cros, superiamo il ponte sul Pellice e poi, a piedi, deviamo sulla sinistra in un sentiero che costeggia il fiume.

L’Opera 204 si trova poco più in alto della via e si confonde con una tipica baita con il tetto in lose.

Trattasi di un monoblocco tipo 7000, armato con due mitragliatrici, un 47/32 e dotato di impianto fotofonico in comunicazione con le opere 202 e 203.

Anche per oggi, abbiamo terminato la nostra ricerca e vi assicuro che ogni ” settore” ha le sue peculiarità!

 

Nuovo varco attraverserà le Mura - Sarà il primo passaggio pedonale
Da ecodibergamo.it del 24 maggio 2020

Si apre una breccia nelle Mura venete. Alla base del baluardo di San Giovanni, dove oggi c’è una grata, un varco porterà in via Tre Armi.

Si tratta del primo passaggio pedonale che collega la città dentro e fuori le Mura, attraverso lo spalto della «Meridiana». Il cantiere inizierà entro la fine dell’anno: «Stiamo per affidare l’incarico al progettista, l’avremmo già fatto se non fosse esplosa l’emergenza sanitaria», spiega Angelo Colleoni, vicepresidente del Parco dei Colli di Bergamo. Che nell’interlocuzione aperta con l’operatore dell’area al civico 8, ha chiesto la cessione, a favore del Parco, di un ritaglio di terra. C entocinquanta metri quadri che consentono all’ente di Valmarina di ricavare un passaggio fruibile dai cittadini. La progettazione e la realizzazione dell’intervento è in carico al Parco, sarà poi il Comune di Bergamo a gestire l’apertura e la chiusura, parallelamente alla cannoniera di San Giovanni, fruibile al pubblico dal 2009 (prima dell’epidemia, l’apertura era garantita durante i fine settimana).

L’elemento difensivo fu riportato alla luce nel 2007 quando vennero rimossi 1.800 metri cubi di terreno, uno scavo offerto dall’impresa Pandini, che, all’epoca, celebrava il mezzo secolo di attività. L’idea di aprire il passaggio con città bassa è nata nell’ambito del cantiere privato in via Tre Armi, dove la famiglia Vitali ha abbattuto una vecchia cascina per costruire la propria residenza (operazione che ha fatto storcere il naso a più di qualcuno, vista la vicinanza con le Mura, vedi articolo qui sotto). «Ho lanciato il sasso alla proprietà che ha accettato e che si è resa disponibile a cedere l’area; dopo aver condiviso il progetto con tutto il direttivo del Parco dei Colli di Bergamo siamo allora andati avanti - premette Angelo Colleoni -. È questione di giorni e il privato ci cederà l’area, subito dopo siamo pronti ad affidare l’incarico per la progettazione dell’intervento.

Si tratta di realizzare un collegamento tra la cannoniera di San Giovanni e l’esterno, dove sarà realizzato un percorso protetto di circa 4 metri che avvolge, al piede, l’orecchione del baluardo di San Giovanni. Come Parco abbiamo già stanziato 25 mila euro per questo intervento. Tra le proposte, c’era anche quella di realizzare un marciapiede lungo il tratto nord di via Tre Armi, per metterla in sicurezza, vista la pericolosità viabilistica».
Il primo passo ora è la riapertura del passaggio, che già in passato era possibile percorrere, attraverso la sortita il cui accesso si trova al riparo dell’orecchione del possente baluardo, spigolo ovest della fortezza. Risale probabilmente all’Ottocento il riempimento della cannoniera con terra e materiale. Cessati gli usi militari, la popolazione iniziò infatti a frequentare le Mura e gli accessi sotterranei che potevano risultare pericolosi vennero colmati e livellati. Dopo le operazioni nel primo decennio del Duemila, il baluardo è pronto ad essere esplorato nella sua interezza: le due ampie sale voltate, le aperture quadrangolari dove si inserivano le bocche da fuoco. Un impianto di difesa che non venne mai utilizzato perché mai assediato, ma che oggi trova un nuovo utilizzo di connessione dentro e fuori le Mura.

 

Il forte di Vinadio e le fortificazioni del colle di Tenda candidati a diventare patrimonio Unesco?
Da cuneodice.it del 23 maggio 2020

La proposta viene da Torino, l'idea è 'legare' tra loro i complessi difensivi dell'arco alpino. Mentre si lavora alla formazione di un comitato promotore è stata lanciata una petizione online

Il forte di Vinadio e le fortificazioni del colle di Tenda candidati a diventare patrimonio Unesco insieme ai complessi difensivi dell’arco alpino piemontese e valdostano? La proposta di legare con un filo conduttore le strutture militari delle nostre valli a Fenestrelle, Exilles, Bard e altre viene da ‘Il Caffè Torinese’, magazine online nato nel febbraio del 2018 su iniziativa di un gruppo di studenti universitari under 25, volto e voce del mondo culturale del capoluogo regionale. L’arco alpino è disseminato di costruzioni difensive erette già in epoca medievale e successivamente riadattate alle esigenze della guerra: un patrimonio dal valore storico inestimabile dalle potenzialità turistiche enormi e che potrebbe essere ‘spinto’ dal raggiungimento del riconoscimento dell’organizzazione internazionale.

“Un’idea nata qualche mese fa parlando con un amico friulano che mi ha raccontato di iniziative di candidatura partite ‘dal basso’ dalle sue parti”, racconta Nicola Decorato, torinese, studente di Storia all’Università di Bologna. “Dalla battaglia dell’Assietta al passaggio della Grande Armée napoleonica a Bard, sino agli scontri avvenuti all’ombra dello Chaberton al momento dell’entrata dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, i forti sabaudi sono stati teatro di alcuni dei principali avvenimenti della storia locale e nazionale - spiega il laureando 23enne con l’hobby della scrittura e della divulgazione -. Sono almeno quattro i secoli di storia segnati dall’edificazione, dall’impiego, dalla modernizzazione e anche dalla dismissione di questa vera e propria corona delle Alpi, che rivela uno straordinario tratto di unitarietà alla luce della funzione a cui era chiamata: la difesa dagli attacchi provenienti da oltralpe”.

Secondo lo studente è proprio la sistematicità funzionale, unita alla sostanziale unicità nel panorama storico-architettonico nazionale ed europeo, a rendere questi gioielli ideali per una candidatura Unesco. I sostenitori dell’iniziativa, oltre a lavorare alla costituzione di un comitato promotore, hanno lanciato una petizione su change.org: “Candidiamo i forti alpini piemontesi e valdostani a patrimonio dell’Unesco”, indirizzandola al presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio e all’assessore alla Cultura Vittoria Poggio.

Sono già alcune decine le persone che hanno sottoscritto il documento, che ha anche avuto diverse condivisioni sui social. Se avesse l’appoggio delle istituzioni, la candidatura, che al momento è poco più di una suggestione (il percorso è lungo e irto di ostacoli, lo possono testimoniare i promotori della momentaneamente naufragata presentazione delle Alpi del Mediterraneo), potrebbe prendere effettivamente corpo. Molto dipenderà da quanto ‘rumore’ l’iniziativa riuscirà a fare, a partire dal web. I complessi difensivi dell’arco alpino potrebbero diventare il sesto sito patrimonio dell’Unesco che il Piemonte potrebbe vantare oltre alle Residenze Sabaude, al sistema dei Sacri Monti, ai siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino, ai paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato e, novità dello scorso anno, alla città di Ivrea.

Samuele Matttio

 

Da sabato riapre la biblioteca di Forte Marghera
Da ilnuovoterraglio.it del 22 maggio 2020

Da sabato riapre la biblioteca di Forte Marghera: 27 postazioni singole per leggere e studiare. Brugnaro: “La città sta tornando a vivere. Rispettiamo le misure di sicurezza”
Dopo importanti lavori di ristrutturazione e la realizzazione, tra gli altri, del ponte ciclo pedonale di collegamento con via Torino e l’area universitaria, domani, sabato 23 maggio, riapre Forte Marghera e con esso tante attività compresa la Biblioteca del Centro Studi per la valorizzazione delle architetture militari e dei sistemi difensivi.
“La Biblioteca di Forte Marghera è parte integrante della Rete Biblioteche Venezia del Settore Cultura del Comune e da quando è stata inaugurata, il 14 maggio 2019, sono stati quasi 8.000 gli studenti, studiosi e appassionati che l’hanno frequentata fino alla chiusura forzata prima per i lavori e poi per gli effetti del Covid-19 – spiega l’assessore alla Coesione sociale Simone Venturini. Finalmente si riparte ed è una riapertura molto importante e significativa perché è la prima biblioteca che riapre al pubblico le proprie sale consentendo lo studio e le lettura in sede. Questo è possibile – precisa Venturini – grazie al fatto che nella biblioteca di Forte Marghera, contrariamente alle altre 17 biblioteche della Rete, non si effettua il prestito e i libri possono essere isolati da ogni possibile contatto non pianificato con l’utente. Ricordiamo infatti che vige ancora l’obbligo di quarantena (14 giorni) per i libri che vengono dati in prestito e/o consultati su appuntamento. La riapertura della biblioteca, contestuale a quella del Forte, è un segnale molto importante per la città. In questo caso poi c’è il valore concreto e simbolico del ritorno del pubblico in biblioteca, per studiare, leggere, fare ricerca. Un valore che ci auguriamo tutti possa essere ritrovato presto anche nelle altre biblioteche e ovviamente in tutte le situazioni della nostra vita sociale ed economica – conclude l’assessore – Ma per questo servono grande responsabilità e rispetto delle regole”.
“Venezia sta tornano a vivere – commenta il sindaco Luigi Brugnaro. Giorno dopo giorno si alzano sempre più saracinesche, si aprono i cancelli dei parchi, ed ora è il momento di aprire anche Forte Marghera, luogo che in questi ultimi anni abbiamo voluto far tornare al suo splendore originario e che ora, conclusi anche alcuni importanti interventi di asfaltatura, è pronto ad accogliere anche i ragazzi che vogliono utilizzarne gli spazi per studiare. Tutto questo dobbiamo farlo rispettando le norme di sicurezza proprio per non vanificare gli sforzi fin qui fatti, ma, almeno, sarà possibile avviare veramente una nuova fase. Una notizia che arriva di pari passo con quella della riapertura, sempre da domani, della spiaggia del Blue Moon del Lido e con quella della programmata riapertura, dal prossimo 3 giugno, degli asili nido. Venezia non si ferma e vuole fare in modo che, appena possibile, tutti possano tornare a viverla in sicurezza. Grazie quindi a tutti coloro che, in questi mesi, si sono impegnati per rendere possibili queste riaperture e soprattutto a tutti quei lavoratori che, in un momento di grande difficoltà, non hanno perso l’entusiasmo e la fiducia”.

Per quanto riguarda la riapertura della Biblioteca di Forte Marghera, rispetto ai 50 posti normalmente disponibili, ce ne saranno 27, tutti numerati, nella piena osservanza del distanziamento di almeno un metro tra persona e persona. Per una maggiore sicurezza sono stati installati dei pannelli in plexiglas sui tavoli ove sono previsti 2 posti a sedere, uno alternato all’altro a debita distanza. All’ingresso in biblioteca, l’utente, che riceverà un numero corrispondente al posto assegnato, è tenuto al rilevamento della temperatura, a firmare un’autocertificazione relativa al suo stato di salute, ad igienizzare le mani con il gel messo a disposizione e ovviamente a indossare la mascherina. In base ai numeri dell’affluenza del servizio si valuterà se procedere con un sistema di prenotazione delle postazioni di studio.
Gli orari di apertura saranno i consueti: da martedì a domenica compresi, dalle 14 alle 21 (lunedì chiuso). Per contatti con la biblioteca: biblioteca.fortemarghera@comune.venezia.it, tel. 0412744250 (in orario di apertura). Per ogni ulteriore informazione è possibile consultare le pagine web della Rete Biblioteche Venezia culturavenezia.it/biblioteche e la pagina facebook.com/VEZMestre

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Il Castello Ducale di Torremaggiore
Da lavocedimaruggio.it del 22 maggio 2020

Il primo nucleo del bellissimo Castello di Torremaggiore risale alla dominazione normanna e consisteva nella classica torre di avvistamento e difesa dell’epoca. Successive modifiche ed ampliamenti nel corso delle varie dominazioni, succedutesi sul trono napoletano, hanno portato la struttura ad assumere le caratteristiche rinascimentali che oggi è possibile osservare. In particolare fu il marchese Paolo II de Sangro a commissionare dei lavori di ristrutturazione e, per lasciare a sua imperitura memoria la paternità dei lavori, fece incidere un’epigrafe su uno dei balconi che si affacciano sul versante orientale.
La struttura si presenta a pianta quadrata con quattro torri angolari a pianta circolare e scarpate. Un’altra torre, a pianta quadrangolare è addossata nel centro della cortina meridionale, mentre nel centro del complesso sorge un’altra torre quadrangolare più grande, che rappresenta la parte più antica, o Mastio, del maniero e si caratterizza per la presenza di una meridiana che si affaccia sulla Piazza d’Armi o cortile interno. Questo, cui si accede dal portale principale, ha forma quadrangolare e presenta una pavimentazione in pietra lavica. Attraverso un cancello è possibile accedere al piano ammezzato, un tempo sede del Corpo di Guardia, e da li, attraverso una doppia scala, si raggiunge la Sala del Trono ed il piano nobile. La suddetta Sala presenta un fregio ad affresco risalente al XVII secolo. Il lato opposto del cortile è corredato da un porticato e da un pozzo che un tempo serviva all’approvvigionamento idrico.

Nei pressi del castello si trova il Teatro Ducale, anticamente collegato alla fortezza tramite un arco non più esistente ma di cui resta visibile la traccia dell’attaccatura. Un fossato, un tempo superabile con un ponte levatoio ligneo, ora sostituito da uno in pietra, circonda all’esterno la struttura.
All’interno del castello, dichiarato Monumento Nazionale nel 1902, nacque il 30 gennaio 1710 Raimondo de Sangro, VII Principe di Sansevero, noto esoterista, scienziato, anatomista, militare, alchimista, massone, letterato ed accademico italiano, cui si deve la Cappella Sansevero di Napoli, in cui sono custodite opere d’arte quale il Cristo Velato e le Macchine Anatomiche dello stesso Raimondo, sulla cui origine e fattura sorgono seri dubbi.
Secondo un’antica tradizione esisterebbe un passaggio segreto sotterraneo che collega una delle torri alla Cappella del SS Rosario nella Chiesa Madre dedicata a San Nicola.

Cosimo Enrico Marseglia

 

Una nuova vita per il “Fortino” della Grande Guerra tra Noventa e San Donà
Da voitg.net del 21 maggio 2020

Dopo oltre trent’anni è tornato a vedere la luce quello che per molte generazioni di noventani e sandonatesi era il “Fortino”. Un edificio ridotto a rudere situato al confine tra i due Comuni in prossimità dell’ex iutificio, oggi accessibile e visitabile transitando da via Torquato Tasso a Noventa.

Il mito popolare del “Fortino” nasce nel Novembre 1917 durante la Grande Guerra con l’occupazione Austro-Ungarica delle nostre campagne e con la ritirata delle truppe italiane al di là del fiume Piave a tenere la linea. Nelle zone occupate adiacenti al “fiume sacro” sorsero trincee, postazioni di mitragliatrice e di artiglieria. Molti edifici vennero requisiti ad uso militare, tra questi ci fu anche il “Fortino”.

In origine era un’abitazione civile sorta a inizio novecento. Secondo alcune ipotesi, con la fuga dei suoi residenti gli austroungarici la convertirono a stazione radio e comunicazione in contatto con le trincee in prima linea. Nell’ottobre 1918 le truppe Italiane sfondarono le linee nemiche e un probabile colpo di artiglieria cadde sopra l’edificio danneggiandolo parzialmente mettendo fine al suo servizio bellico. La natura e l’incuria dell’uomo con il tempo fecero il resto.

(Il “Fortino” prima dell’opera di pulizia)

Per decenni è stato un luogo abbandonato nella campagna, divenuto discarica abusiva e ritrovo per tossicodipendenti e cacciatori.

Alla fine degli anni ottanta la natura iniziò a prendere il sopravvento sul rudere, ingoiandolo tra arbusti e cespugli spinosi senza lasciar traccia della sua storia.

La riesumazione è avvenuta durante il recente periodo del lockdown, grazie ad alcuni residenti del posto, probabilmente colti dalla nostalgia e con molta voglia e tempo a disposizione per fare qualcosa di utile.

 Attenendosi alle ordinanze regionali, armati di mascherine e guanti, per diverse ore al giorno pezzo dopo pezzo lo hanno ripulito dentro e fuori, riportandolo alla luce nelle scorse settimane.

 

(Il “Fortino” dopo l’opera di pulizia)

«Oggi dopo oltre trent’anni il destino vuole che dalla finestra di casa lo possa ammirare più splendente di allora a poche decine di metri – commenta Morris Pavan, appassionato storico locale -.

La mia speranza è che, finita l’emergenza, la riscoperta del “Fortino” possa sensibilizzare alcune associazioni storiche della zona, coadiuvate magari dalle amministrazioni dei due territori, e che dopo un’accurata bonifica e messa in sicurezza, lo si possa fregiare con l’istallazione di una targa ricordo e preservarlo dal corso della natura che inesorabile proseguirà nel tempo».

 

Castello di Augusta, al via iter di restauro
Da qds.it del 21 maggio 2020

Pubblicato sul sito dell’assessorato regionale al BB.CC. il bando per il consolidamento del maniero. Nel 2017 erano stati eseguiti degli interventi di somma urgenza per la messa in sicurezza

AUGUSTA – Al via l’iter per il restauro del Castello Svevo di Augusta (http://qds.it/regione-siciliana-stornai-finanziamenti-destinati-ad-alcunimonumenti-della-provincia/).

Infatti il Dipartimento dei Beni culturali e dell’identità siciliana ha pubblicato sul proprio sito il bando per “Il consolidamento, il restauro e la fruizione” del monumento simbolo della città di Augusta.

La stazione appaltante è il Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei templi di Agrigento. Si tratta del primo stralcio funzionale dei 5 milioni (4 milioni e 100 mila a base d’asta) finanziato nell’ambito del Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 – Patto per il sud. La procedura verrà espletata interamente in modalità telematica e le offerte dovranno essere formulate dagli operatori economici all’UREGA esclusivamente per mezzo del Sistema di Appalti Telematici denominato Sitas e-procurement, entro e non oltre le ore 13.00 del giorno 10 giugno 2020.

C’è da dire che il finanziamento per gli interventi di restauro del Castello Svevo, inizialmente, ammontava a 10 milioni di euro. Tuttavia, all’inizio di quest’anno, la Commissione Bilancio dell’Assemblea regionale siciliana ha approvato, su proposta del dirigente del Dipartimento dei Beni Culturali, la riprogrammazione delle risorse del Patto per il Sud. Detta
riprogrammazione è stata approvata anche dalla Giunta regionale e dal Presidente della Regione, Nello Musumeci, che, in quel periodo, era assessore ai Beni Culturali ad interim. Di conseguenza alcune opere sono state definanziate ed altre sono state finanziate con le risorse stornate.

Fra le opere definanziate, figura anche il Castello Svevo di Augusta cui sono stati sottratti i 5.000.000 di euro destinati per il secondo stralcio dei lavori di consolidamento e fruizione. Detta somma è stata stornata perché il secondo stralcio risulta “sprovvisto di progettazione e il progetto definitivo potrà essere redatto solo dopo l’inizio dei lavori inseriti nel progetto concernente il primo stralcio. Lavori che inizieranno nel 2020”.

Il Castello Svevo, da anni, versa in un forte stato di degrado dovuto all’azione erosiva degli agenti atmosferici ed alla mancata manutenzione. Praticamente il monumento sta cadendo a pezzi. La Procura della Repubblica di Siracusa nel febbraio del 2016 aveva disposto il sequestro del Castello in seguito all’esposto presentato da “Italia Nostra” Augusta in cui si denunciavano cedimenti e smottamenti dei terrapieni e delle mura di contenimento dello storico edificio.

Nel 2017 sono stati eseguiti degli interventi di somma urgenza per la messa in sicurezza del bene monumentale, realizzati in seguito al sequestro. Inoltre sono stati effettuati dei rilevamenti per impostare gli interventi. La Sovrintendenza ai Beni Culturali di Siracusa ha elaborato un progetto che si articola in due distinte fasi. La prima prevede la demolizione di quelle sovrastrutture che appesantiscono il castello ed il ripristino della struttura originaria. Si procederà anche alla riqualificazione del portico del lato ovest, al consolidamento delle volte del piano terreno, alla sistemazione dell’area esterna per agevolare l’accesso allo storico edificio; all’interno si allestirà una sala espositiva. Previsti anche lavori di consolidamento della cinta muraria. La seconda fase verrà effettuata in base a quello che ci si aspetta di trovare durante gli interventi.

 

Torre Tornola a Termoli
Da mynews.it del 21 maggio 2020

Borgo Antico Termoli: Torre Tornola

TERMOLI – Nel 1239 l’Imperatore Federico II concede ai cittadini di Termoli l’apertura di un mercato “intra muras veteris civitatis“. Dal momento che la riorganizzazione dell’assetto difensivo della città, così come lo conosciamo oggi e che vede protagonisti il Castello e la cinta muraria, avviene solo dopo il 1240 (e più precisamente, tra il 1241 e il 1247), è evidente che esistesse, già prima del XIII secolo, una recinzione fortificata.

Infatti, l’assalto da parte dei Veneziani nel 1240 provoca danni ingenti, tanto da inserire nello statuto federiciano “De reparatione castrorum” anche il “Castrum Termolarum”. Ma cosa resta, oggi, delle mura del Borgo erette prima di questa data?

Gli scavi archeologici condotti qualche anno fa nella Torre Tornola, presso il faro, hanno permesso di individuare tratti di mura precedenti alla sistemazione dell’Imperatore, attualmente situate sotto Via Federico II di Svevia.

Borgo Antico Termoli: Torre Tornola

Inoltre, è stato possibile datare i resti di questa torre, di cui oggi resta la base di forma circolare impostata direttamente sulla scogliera, al XIII secolo. La stratigrafia archeologica ha documentato anche la presenza di livelli di frequentazione precedenti alla sua costruzione e relativi a un silos, poi divenuto fossa di scarico.

Oltre ai reperti ceramici, tra cui frammenti di protomaiolica, è stata rinvenuta anche una moneta del libero comune di Rimini (1250 – 1385), conferma dei commerci marittimi della città con gli altri centri adriatici durante il Medioevo. Me.Mo Cantieri Culturali

 

Cultural new green e cultural heritage in Emilia: Castelli del Ducato per esperienze slow
Da informazione.it del 21 maggio 2020

22 luoghi del circuito riaprono tra fortezze, relais, locande, palazzi.

Fontanellato, 21/05/2020 (informazione.it - comunicati stampa - arte e cultura)
Riaprono dopo oltre 75 giorni di lockdown, molti manieri e rocche del circuito Castelli del Ducato tra Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia. Riaprono step by step per dare un messaggio di speranza all'Italia per un "cultural new green" e la valorizzazione del “cultural heritage”.
Propongono visite guidate che diventano, di fatto, esperienze autentiche in luoghi di grande bellezza, fortezze e dimore storiche immerse nella natura o in suggestivi caratteristici borghi storici! Già dal fine settimana 23 e 24 maggio trovate aperte 6 meraviglie: il Labirinto della Masone a Fontanellato nel cuore della Food Valley, il Castello Malaspina di Bobbio in Val Trebbia nel borgo eletto nel 2019 "Borgo dei borghi" d'Italia, Rocca d'Olgisio in Val Tidone, la Fortezza di Bardi tra Val Ceno e Val Noveglia, il Castello di Rivalta in Val Trebbia dove dimorano i Conti Zanardi Landi, il Mastio e Borgo Fortificato di Vigoleno, Bandiera Arancione del Tci.
“I visitatori sono i benvenuti: sono loro l'altra metà dei Castelli del Ducato. Ricominciamo insieme con rispetto delle persone, delle regole e dei luoghi, responsabilità per le azioni e un nuovo ritmo slow! Le visite del pubblico saranno gestite attraverso nuove misure organizzative di accoglienza, in linea con gli indirizzi governativi della Fase 2 nei luoghi della cultura”.

- obbligo di mantenere la distanza di sicurezza interpersonale;
- obbligo di indossare la mascherina per tutta la durata della visita;
- ingressi contingentati;
- saranno esposti cartelli informativi e segnaletica per il rispetto delle norme di sicurezza;
- dotazione di gel igienizzanti a disposizione dei visitatori;
- ambienti costantemente puliti e servizi igienici sanificati;
- in alcuni luoghi è prevista la misurazione della temperatura corporea all'ingresso;
- in alcune biglietterie sono allestiti dispositivi trasparenti, parafiato e antibatterici;
- attenzione, informarsi prima di partire: molti castelli hanno introdotto la prenotazione obbligatoria; alcuni hanno attivato solo la biglietteria on line su piattaforme dedicate; in altri non c'è obbligo di prenotazione ma è comunque gradita e molto consigliata.
Per prenotare giorni, orari di visita e prendere visione delle modalità di accesso i turisti possono scrivere a info@castellidelducato.it oppure consultare il website www.castellidelducato.it in quanto si entra nei castelli pochi per volta, nel rispetto di tutte le normative del DCPM e Ordinanze Regionali, per proteggere la sicurezza dei visitatori e quella del personale e delle guide in servizio.


Da segnare in agenda e iniziare a programmare:

Castelli del Ducato e luoghi d'arte già visitabili dal weekend 23-24 maggio
Il magnifico Castello di Rivalta in Val Trebbia
La Fortezza di Bardi, castello spettacolare in Appennino
Il Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci a Fontanellato
La bella Rocca d'Olgisio in Val Tidone sull'Appennino.
Il Castello Malaspina dal Verme di Bobbio

Riaprono da sabato 30 maggio

Riapre il millenario Castello di Scipione dei Marchesi Pallavicino sulle colline a 2 km da Salsomaggiore Terme, dal 30 maggio: il più antico della provincia di Parma. Immerso nella natura, in un imperdibile paesaggio collinare,il Castello aprirà eccezionalmente anche il suo grande giardino affacciato sul paesaggio, il loggiato seicentesco con le sue finestre che si aprono come quinte sceniche sul paesaggio in fuga prospettica, lo scalone quattrocentesco dei cavalli e il giardino segreto.

Il Castello di Gropparello e il Ristorante Taverna Medievale. Per giornate in relax nel verde della natura, in una magica dimensione come fuori dal tempo. Il maniero è immerso nella verdissima Val Vezzeno, sopra uno sperone di serpentino verde, a picco sul torrente. Riapre anche la Taverna Medievale,con il suo splendido giardino delle rose. Lo chef vi offre piatti tipici della tradizione locale e piatti gourmet abbinati ai vini Dop dei colli piacentini.

La Rocca Viscontea di Castell'Arquato riapre! Castell’Arquato ti racconta il Medioevo. Arrivi a Castell’Arquato attraversando colline morbide punteggiate dai vigneti d’uve bianche e rosse, tra campi coltivati. Già da lontano avvisti le magnifiche torri e la Rocca Viscontea che domina il borgo e la Val d'Arda. Sovrasta l'intero complesso il mastio di 42 metri d’altezza, un tempo isolato, perno della difesa urbana e del sistema di sorveglianza dell'intera vallata

La Rocca Meli Lupi di Soragna riapre il 31 maggio e lo fa consentendo in via eccezionale la visita al meraviglioso Parco per i visitatori che ne faranno richiesta, sempre con le limitazioni date dal tempo atmosferico. La Rocca resterà aperta anche il 1 giugno. E poi riprenderà con la periodicità consueta. Gli orari di apertura saranno quelli normalmente previsti. La prenotazione è obbligatoria anche per turisti singoli, per regolare al meglio il flusso delle persone all'interno delle bellissime sale arredate e affrescate.

Riaprono da giugno

Riapre dal 1 giugno la Rocca Sanvitale di Sala Baganza adagiata sulle prime colline dell'Appennino, presso il torrente Baganza. Ebbe un ruolo di primaria importanza nel sistema difensivo dei castelli parmensi: qui vissero conti e duchi per secoli, i Sanvitale, i Farnese, i Borbone.

Riapre da giugno il Castello di Tabiano nel suggestivo borgo con i suoi giardini e terrazze fiorite, lo scalone d’onore e gli spazi verdi è un luogo di relax di grande bellezza. Riapre dal 6 giugno la Rocca Sanvitale di Fontanellato che trovate visitabile, al momento, solo nel fine settimana, il sabato e la domenica con attiva la prenotazione obbligatoria tramite biglietteria on line per l’acquisto dei biglietti su VivaTicket.

Riaprono per sopralluoghi per matrimoni

Tutti i manieri sopra indicati e ad essi si aggiungono per "incontri wedding con i futuri sposi" il Castello di Paderna, il Castello di Agazzano, il Castello di Contignaco. Obbligo di mascherina. info@castellidelducato.it

Riapre dal 1 giugno come suites e “appartamento-casa-vacanza” dal 1 giugno Castello di Gambaro in Appennino in Alta Val Nure: da giugno a settembre ala esclusiva in affitto vacanze vuoi vivere in castello? per 7 - 15 - 30 giorni un piano-appartamento con cucina abitabile di 160 metri quadrati è disponibile in affitto per rigenerarti. info@castellidelducato.it
Se tra le parole più cercate, nei trend dei motori di ricerca, c'è “casa vacanze”, qui si può soggiornare in un borgo storico con soli 20 abitanti, dove è possibile nei paraggi fare trekking e passeggiate, itinerari in mountain bike, andare a pesca, andare per funghi, visitare i Castelli nei dintorni.

Per approfondimenti, orari, modalità di accesso e prenotazione (se obbligatoria o no, se telefonica o on line) e aggiornamenti vari trovate tutto su |> www.castellidelducato.it #CustodiDiStoria #CustodiDiVita #turismoculturaleitaliano Ufficio Stampa Castelli del Ducato

Le presenti comunicazioni sono autorizzate dai Soci del Circuito Castelli del Ducato in base alle informazioni fatte pervenire dagli stessi ad Associazione Castelli del Ducato. Si declina ogni responsabilità in caso di cambiamenti work in progress. Per aggiornamenti costanti e versione estesa della presentazione consultare www.castellidelducato.it

 

Accesso gratuito a Linguella e Fortezze medicee
Da quinewselba.it del 21 maggio 2020

Veduta dall'area archeologica della Linguella

Lo ha stabilito la giunta comunale di Portoferraio per mettere a disposizione di cittadini e ospiti più spazi da fruire osservando il distanziamento

PORTOFERRAIO — La giunta comunale di Portoferraio ha deciso con propria delibera di rendere accessibili gratuitamente a cittadini ed ospiti alcuni spazi, sia per le regole di distanziamento sociale previste per fronteggiare l'emergenza Covid, sia per promuovere il territorio.

Perciò l'amministrazione comunale ha stabilito che cittadini e visitatori possono accedere gratuitamente sia all’interno dell’Area della Linguella, con esclusione del Museo Archeologico e della Torre del Martello, sia alle Fortezze Medicee con esclusione dell’accesso al Forte Falcone, per dare loro la possibilità di effettuare delle camminate rispettando le norme di distanziamento sociale e senza creare assembramenti.

 

Le Torri costiere nella "pianura di mare" tra storia e fascino
Da latinaoggi.eu del 21 maggio 2020

Latina - Il percorso tra le roccaforti si snoda da Astura a Porto Badino

Le torri costiere che delimitano la pianura di mare. Sono due le imponenti costruzioni che cingono la splendida costa dell'agro pontino lungo i suoi confini: Torre Astura e Torre Badino. I due avamposti che per secoli hanno avuto funzioni di difesa, offesa e avvistamento, ovviamente non solo i soli, e sono affiancati da altre roccaforti di epoche differenti. Il primo, Torre Astura, in realtà sorge nel territorio del comune di Nettuno e si raggiunge percorrendo la strada Acciarella che collega la cittadina della provincia romana a Latina. Astura probabilmente deve il suo nome all'astore, un uccello rapace, la sua costruzione è cominciata nel 1193 per volontà della famiglia Frangipane con lo scopo di proteggere il territorio dalle invasioni saracene provenienti dal mare.
La torre, a pianta pentagonale, attualmente non è visitabile all'interno, anche se è possibile ammirarla esternamente (via terra) esclusivamente nei mesi di luglio e agosto, poiché è situata all'interno di un poligono militare. Proseguendo, nell' area del comune di Latina si possono notare altre strutture fortificate, la Torre Foce Verde e la Torre Fogliano, entrambe sono a base quadrangolare. La prima è stata costruita dalla famiglia Caetani nel 1681 e fu edificata per attuare un piano di difesa della costa deciso dallo Stato Pontificio. La struttura conserva tuttora il proprio aspetto e si può ammirare dall'esterno, l'altra torre, quella di Fogliano non ha avuto la stessa sorte, dopo aver resistito per secoli è stata distrutta durante i combattimenti della Seconda Guerra Mondiale. E' comunque possibile visionarne i resti, rimangono alcuni ruderi della base, accedendo sul litorale di Latina, nei pressi della strada interrotta. Una lunga schiera di torri costiere si snoda lungo il percorso della pianura marina, ed è sicuramente Torre Paola la star delle strutture fortificate. Immortalata in migliaia di cartoline è diventata un'immagine iconica del promontorio del Circeo. Realizzata nel 1563 conserva ancora la sua splendida struttura originaria.
Sopravvissuta agli attacchi saraceni ed inglesi, non ha seguito la sorte delle altri torri di San Felice Circeo, Torre Fico, Torre Cervia che dopo essere state danneggiate furono ricostruite o come la Torre Moresca che fu praticamente rasa al suolo, anche se sul promontorio sono ancora visibili le macerie della base della costruzione. Queste torri avevano come caratteristica comune la base edificata a quadrilatero e le sommità ornate da merlature di varie altezze. Proseguendo nel viaggio tra queste particolari roccaforti il Circeo offre la possibilità di osservarne altre, tra queste la Torre Vittoria. Edificata nel 1699 deve il suo nome ad un combattimento che la vide protagonista della sconfitta di una fregata inglese nell'anno 1808. Presente anche in una mappa disegnata da Leonardo da Vinci, c'è anche Torre Olevola che tuttora domina la spiaggia del litorale, dopo varie ricostruzioni a seguito di danneggiamenti provocati da combattimenti è stata anche sede di colonie estive per i bambini durante il periodo fascista. A collegare le torri del Circeo con quelle di Terracina, nel complesso sistema organico di difesa della costa che delimita la pianura dell'Agro svetta Torre Badino che deve il suo nome al fiume che le scorre accanto. La torre edificata nel 1616 per volontà di Papa Paolo V, dista solo 5 chilometri dalla città di Terracina ed è attorniata da alcuni edifici, un casale, delle abitazioni e una chiesa che ora è dedicata alla Madonna di Porto Salvo. Ovviamente Terracina ha altre torri, la Gregoriana, (ora un rudere), Torre Pesce e Torre Epitaffio, queste, come quelle edificate dall'Argentario erano parte del più vasto piano di fortificazione e difesa del litorale istituito dallo Stato Pontificio. Il complesso sistema di torri permetteva, da un avamposto all'altro segnalazioni di pericolo in pochissimo tempo allertando i territori interessati in brevissimo tempo.
Queste fortificazioni che circoscrivono idealmente il litorale dell'agro hanno perso la loro funzione originale e se pur dimenticate e non valorizzate mantengono un loro fascino particolare, probabilmente perchè nell'arco dei secoli sono rimaste testimoni silenziose della trasformazione dei luoghi e della storia della pianura costiera.

 

Da sabato apre di nuovo i battenti Forte Marghera
Da ilnuovoterraglio.it del 20 maggio 2020

Da sabato apre di nuovo i battenti Forte Marghera. L'assessore Zaccariotto: "Venerdì ultime asfaltature. Grazie agli oltre 15 milioni investiti dall'Amministrazione il compendio ora entra in una nuova era" Il cantiere è durato mesi ma ora ...

Il cantiere è durato mesi ma ora mancano solo gli ultimi dettagli. Forte Marghera, uno dei punti di riferimento principali per i cittadini veneziani e non solo, da sabato può finalmente riaprire completamente i battenti. Lo annunciano l’assessore ai Lavori pubblici, Francesca Zaccariotto, e il presidente della Fondazione Forte Marghera, Stefano Mondini: da sabato l’area trincerata mestrina tornerà completamente visitabile, con i consueti orari di apertura.

“Venerdì l’accesso all’intero compendio sarà interdetto per permettere la conclusione dei lavori di asfaltatura del ponte di ingresso, rimesso completamente a nuovo – spiega l’assessore Zaccariotto – In questi giorni è stata visitabile solo l’area verde pubblica del forte. Dal 23 maggio, invece, saranno fruibili anche le altre zone, compresa quella adibita a ristorazione.

Non sarà però lo stesso Forte Marghera di prima. Grazie a investimenti dell’Amministrazione comunale per oltre 15 milioni di euro il compendio è stato completamente infrastrutturato e può ora contare su nuovi allacciamenti e servizi realizzati da Insula. Si apre una nuova fase contraddistinta da nuova illuminazione pubblica, nuovi servizi igienici, manutenzione straordinaria dei ponti di accesso e di collegamento, recupero delle Casermette Napoleoniche (per cui sono stati investiti 7 milioni di euro) e ristrutturazione degli edifici 1, 28 e, in futuro, 29 e 53. Forte Marghera diventerà una realtà sempre più ‘pulsante’ e interconnessa con la città grazie alla prossima realizzazione del nuovo ponte a cavallo del Canal Salso e del percorso ciclopedonale che unirà via Torino al Parco di San Giuliano attraverso proprio il Forte”.

Forte Marghera aprirà da martedì a domenica, dalle 9 alle 24, con giorno di chiusura il lunedì. L’area ristorazione è stata organizzata per rispettare le linee guida anti Covid-19.

“Sono stati mesi intensi di progettazione, lavoro e impegno – dichiara il presidente della Fondazione Forte Marghera, Stefano Mondini – ora possiamo finalmente raccogliere i frutti grazie a un piano lungimirante dell’Amministrazione comunale, che ringraziamo per aver voluto fortemente investire sul sito. Da sabato Forte Marghera sarà pronto per la ‘Fase 2’, con tutti i presupposti per incrementare ancora di più il numero di realtà che la arricchiscono”.

 

I test nucleari della guerra fredda hanno cambiato le precipitazioni
Da buongiornoslovacchia.sk del 20 maggio 2020

Secondo lo studio “Precipitation modification by ionisation”, pubblicato su Physical Review Letters da un team di ricercatori britannici delle università di Reading, Bath e Bristol, i test atomici realizzati durante la guerra fredda potrebbero aver cambiato i modelli di pioggia a migliaia di miglia dai siti nei quali sono esplose le bombe nucleari.

Gli scienziati hanno studiato in che modo la carica elettrica rilasciata dalle radiazioni delle detonazioni dei test, effettuate negli anni ’50 e ’60 soprattutto da Stati Uniti e dall’Unione Sovietica – ma poi anche da Gran Bretagna, Francia e Cina – abbia influenzato le nuvole temporalesche. Per Farlo, lo studio ha utilizzato la documentazione riguardante il periodo tra il 1962 e il 1964 raccolta in una stazione di ricerca in Scozia e hanno confrontato i giorni con una carica generata da radioattività alta e bassa, scoprendo che nei giorni con più radioattività «Le nuvole erano visibilmente più spesse e che c’era una media del 24% di pioggia in più».

Il principale autore dello studio, Giles Harrison del Department of meteorology dell’università di Reading, spiega che «Studiando la radioattività rilasciata dai test sugli armamenti della guerra fredda, gli scienziati all’epoca hanno appreso i modelli di circolazione atmosferica. Ora abbiamo riutilizzato questi dati per esaminare l’effetto sulla pioggia. L’atmosfera politicamente carica della guerra fredda ha portato a una corsa agli armamenti nucleari e all’ansietà mondiale. Decenni dopo, quella nuvola globale ha prodotto una pallottola d’argento, dandoci un modo unico di studiare come la carica elettrica influisce sulla pioggia».

Harrison sta conducendo un progetto che studia gli effetti elettrici su polveri e nuvole negli Emirati Arabi Uniti, come parte del più vasto programma nazionale nell’ambito del loro programma nazionale Rain Enhancement Science degli EAU ed è convinto che «Questi nuovi risultati aiuteranno a mostrare le cariche tipiche possibili nelle nuvole dei temporali non naturali». Si ipotizzava già da molto tempo che la carica elettrica modifichi il modo in cui le goccioline d’acqua nelle nuvole si scontrano e si combinano, determinando potenzialmente la dimensione delle goccioline e svolgendo un ruolo nele precipitazioni, ma si tratta di un fenomeno difficile da osservare nell’atmosfera. Mettendo insieme i dati dei test delle bombe atomiche con i dati meteorologici, gli scienziati sono stati in grado di indagare retrospettivamente su tutto questo, capendone di più su come la carica elettrica influisce sulle nuvole non temporalesche, cosa che potrebbe dare agli scienziati una migliore comprensione di importanti processi meteorologici.

La guerra fredda Usa-Urss è stata caratterizzata dallo sviluppo di armi nucleari e dall’equilibrio del terrore, con le due superpotenze del mondo di allora che hanno dissipato enormi risorse materiali e umane per dimostrare le loro accresciute capacità militari dopo la seconda guerra mondiale nella quale avevano sconfitto insieme il nazifascismo tedesco, italiano e giapponese. Anche se i test nucleari sono stati effettuati – quasi sempre – in aree remote del mondo, come il deserto del Nevada negli Usa e sulle isole del Pacifico e dell’Artico, l’inquinamento radioattivo si diffuse rapidamente e massicciamente in tutta l’atmosfera. All’università di Reading spiega no che «La radioattività ionizza l’aria, rilasciando carica elettrica» e per questo il team di ricercatori hanno studiato i non soli i dalla ben attrezzata stazione meteorologica di ricerca del Met Office a Kew vicino a Londra, ma anche di quella di Lerwick nelle Isole Shetland, a 300 miglia a nord-ovest della Scozia, in un sito relativamente non influenzato da altre fonti di inquinamento antropogenico. I ricercatori evidenziano che «Questo lo rendeva adatto come sito di test per osservare gli effetti delle precipitazioni che, sebbene probabilmente si fossero verificati anche altrove, sarebbero stati molto più difficili da rilevare. L’elettricità atmosferica viene misurata più facilmente nelle belle giornate, quindi le misurazioni di Kew sono state utilizzate per identificare quasi 150 giorni in cui vi è stata una generazione di carica alta o bassa nel Regno Unito mentre era nuvoloso a Lerwick. La pioggia delle Shetland in questi giorni ha mostrato differenze che sono svanite dopo la fine di un grande episodio di radioattività. I risultati potrebbero essere utili per la ricerca sulla geoingegneria legata alle nuvole, che sta indagando come la carica elettrica potrebbe influenzare la pioggia, alleviare la siccità o prevenire inondazioni, senza l’utilizzo di sostanze chimiche».

(Fonte Greenreport.it )

 

Rocche e fortificazioni, ecco i lavori in corso a Sommocolonia ed a Barga dopo la ripresa dal “lockdown”
Da giornaledibarga.it del 20 maggio 2020

BARGA E SOMMOCOLONIA – Da un paio di settimane sono ripresi a pieni ritmo i lavori riguardanti alcuni cantieri importanti nel comune di Barga mirati al recupero ed alla valorizzazione di fortificazioni o luoghi storici.

Il primo è quello riguardante la messa in sicurezza dei resti dell’antica rocca di Sommocolonia. Qui sorgerà il museo di Sommocolonia ed utilizzando la parte in piedi dell’antica rocca integrata da una struttura in acciaio, verrà realizzato anche un belvedere a disposizione di tutti i visitatori.

Un sopralluogo al cantiere, dove è impegnata l’impresa edile Luti Giuliano di Barga, è stato effettuato ieri mattina dall’assessore ai lavori pubblici Pietro Onesti. I lavori si erano fermati con il lockdown, ma sono stati sbloccati dal 5 maggio scorso.

Rispetto ai tempi previsti non mancano dunque i ritardi sulla tabella di marcia, ma c’è l’intenzione, spiega proprio Onesti, di poter completare l’opera entro il 2020 se tutto andrà bene. Si tratta di una operazione da 250 mila euro di cui 114 mila finanziati grazie al contributo previsto dalla regione nell’ambito delle “Città murate della Toscana” ed i restanti 136 mila coperti con fondi propri dal comune di Barga.

Dopo la rimozione di parte delle macerie accumulatesi negli anni, i lavori prevedono adesso il consolidamento della parte ancora in piedi della Rocca e la realizzazione di una struttura in acciaio che come detto ospiterà il museo ed un belvedere esterno, raggiungibile con le le scale che permettevano di salire al primo piano e che proseguivano con un ponte levatoio: verrà ristrutturato il collegamento e realizzata una nuova passerella che permetteranno di raggiungere una terrazza panoramica.
Sono inoltre ripresi nell’area della rocca, finanziati però in questo caso dall’associazione Ricreativa Sommocolonia, i lavori per il completamento del punto ristoro a servizio della Rocca, che sarà gestito dall’associazione. Dopo il completamento dei due locali previsti, un pergolato e rivestimenti in legno di alcune pareti, dovranno rendere, secondo le intenzioni del progetto, tutto il manufatto più confacente all’area.

A Barga invece, sul Fosso, sono ripresi i lavori interrotti per il restauro conservativo e la valorizzazione delle mura castellane. Il progetto prevede prima l’intervento alle mura del Fosso ed a Porta Reale e poi quello al tratto di mura che da via dell’Acquedotto arriva fino a porta Macchiaia. In questo caso, visti i ritardi accumulati, anche questo cantiere aprirà prossimamente ed i lavori andranno avanti dunque in contemporanea.
Per quanto riguarda il cantiere del Fosso, dove è impegnata l’Impresa Lorenzini Pietro di Barga, l’intervento dovrebbe essere completato forse con la fine di giugno con la ripulitura di tutte le mura e dell’antica Porta Reale, il loro consolidamento ed anche interventi di contorno, come la valorizzazione della soprastante piazzetta delle Mura che il comune, spiega Onesti, intende migliorare negli arredi e non solo. L’intervento alle mura zona Porta Macchiaia, dovrebbe invece essere completato, salvo imprevisti, entro la fine del 2020.

Tutta l’operazione costerà alla fine circa 600 mila euro e fa parte del progetto delle “Rocche e fortificazioni”; sono fondi che arrivano grazie al CIPE. Intanto, tra i lavori in corso (questi in verità non si sono mai fermati) quelli per la sostituzione di corpi illuminanti con nuovi lampioni a led, dei 1800 punti luce presenti nel comune di Barga. la ditta Idealuce sta provvedendo in questi giorni alla sostituzione di quelli nella zona di Albiano.

 

Sottomarina: Forte San Felice, procede il restauro - Prosegue l’intervento di ristrutturazione e valorizzazione dell’area Forte San Felice a Sottomarina
Da lapiazzaweb.it del 19 maggio 2020

Forte San Felice

Prosegue l’intervento di ristrutturazione e valorizzazione dell’area Forte San Felice a Sottomarina. Seppur con numerose interruzioni e tempistiche ancora non certe, i lavori vanno avanti. In particolare c’è molta attesa per sapere chi saranno i soggetti interessati alla realizzazione di strutture ricettive all’interno dell’area. Per quattro edifici è già stato realizzato un bando dal Ministero della Difesa per ottenere manifestazioni di interesse di potenziali investitori.
Le aree restanti (circa l’ 87% dell’intera superficie) sono state trasferite alla competenza del Ministero delle Infrastrutture (a livello locale ex- Magistrato alle Acque), con destinazione di “uso pubblico”.

In particolare a fruizione pubblica dovranno risultare le strutture storiche più significative: il portale monumentale del Tirali del 1704 (da cui si gode di una magnifica vista su Chioggia e Sottomarina), il castello della Luppa del 1385, la block haus austriaca, la polveriera veneziana, i bastioni cinquecenteschi. Gli importi stanziati dal Ministero per queste ultime dovrebbero aggirarsi intorno ai 7 milioni di euro.

“Il vero bando per l’assegnazione della parte riservata al Ministero della Difesa sarà pubblicato dopo che si sarà realizzato il restauro della parte destinata ad uso pubblico – dichiara Erminio Boscolo, presidente del Comitato – e dopo che saranno determinate le modalità della sua gestione. Questo aspetto è ancora oggetto di discussione tra Ministero Difesa e Ministero dei Beni Culturali. In ogni caso su tutti gli interventi è prevista la partecipazione diretta della Soprintendenza, a garanzia del mantenimento dei valori storici e culturali dell’intero sito”. All’inizio di febbraio è iniziato il cantiere per il primo stralcio del progetto per la “parte pubblica”, che prevede il restauro del portale monumentale e la realizzazione di percorsi di visita sopra i bastioni (importo dei lavori: 2 milioni). Il tempo stimato per la conclusione dei lavori era di 9 mesi, ma chiaramente l’emergenza Coronavirus inciderà notevolmente sulle tempistiche pianificate. Secondo e terzo stralcio (per il quale resterebbero a disposizione 5 dei 7 milioni di euro stanziati) devono ancora essere approvati in via definitiva. Nei mesi prossimi, verosimilmente entro l’estate 2020, dovrebbe inoltre concretizzarsi l’idea di un “convegno pubblico” promosso da Comune e Comitato, in cui i cittadini possano essere aggiornati puntualmente sull’andamento lavori e prossimi sviluppi.

Luca Rapacciuolo

 

Forte Marghera: tra natura e storia nasce uno spazio museale
Da metropolitano.it del 19 maggio 2020

Un’oasi immersa nel verde che soprattutto con la bella stagione invita a trascorrere qualche ora in relax. Forte Marghera è il più antico e maestoso complesso del campo Trincerato di Mestre.

Furono gli austriaci durante la loro prima dominazione ad iniziarne la costruzione agli inizi del XIX secolo e i francesi lo portarono a termine.

Ci sono la splendida baia con le Casermette Napoleoniche, le ex polveriere francese e austriaca e tanta natura.

Forte Marghera sta diventando sempre più un luogo simbolo della terraferma veneziana che si sta riqualificando grazie a molti interventi sui suoi edifici e i suoi spazi.

Ultima in ordine di tempo, l’approvazione del progetto definitivo di recupero dell’edificio 29.

 

Edificio 29: un nuovo spazio espositivo

La struttura sarà completamente ricostruita visto che dell’edificio sono rimasti oggi solo i muri perimetrali. L’intervento finanziato dal MIBACT, per un importo di 1,8 milioni di euro, rientra nello stanziamento complessivo di 7 milioni che riguarda la riqualificazione delle Casermette  Napoleoniche i cui lavori si concluderanno entro maggio.

“E’ previsto il rifacimento completo della copertura a capanna – spiega il presidente di Insula S.p.A. Nicola Picco – realizzando le strutture con carpenteria metallica e falde elevate sui 22 pilastri esistenti ai quali se ne aggiungono dieci in acciaio. Le murature, così come le fondazioni, saranno rinforzate con l’applicazione sul lato esterno di fasce in fibra e barre di acciaio per migliorare la connessione con i pilastri adiacenti.

All’interno dell’edificio lo spazio sarà mantenuto unitario per favorire la massima flessibilità organizzava nell’utilizzo espositivo – museale. Saranno perimetrali solo i locali di servizio e i servizi igienici, accessibili anche dall’esterno. Anche la dotazione impiantistica è studiata per garantire la massima funzionalità e adattabilità ai futuri percorsi espositivi.

Il recupero dell’edificio 29 comprende la realizzazione del collegamento con l’adiacente 30, già precedentemente ristrutturato, che ospita esposizioni temporanee”.

La rinascita di Forte Marghera

Negli spazi del Forte militare ottocentesco sono intanto in fase di completamento le opere di urbanizzazione che riguardano l’illuminazione, le fognature, la realizzazione delle reti elettriche e di telefonia, l’asfaltatura dei vialetti e la manutenzione dei ponti d’accesso.

“In questi anni – precisa l’assessore ai Lavori pubblici del Comune di Venezia Francesca Zaccariotto – sono stati investiti più di 15 milioni di euro per riqualificare Forte Marghera e renderlo uno spazio attrattivo per i cittadini e chiunque voglia visitarlo.

Una cifra significativa finanziata dal MIBACT con l’obiettivo di recuperare gli edifici per i quali si privilegia un utilizzo a fini espositivi e museali. Oggi questo spazio sta ritornando a vivere e si sta arricchendo di iniziative e mostre grazie all’impegno di molte associazioni ed enti tra i quali Muve e la Biennale di Venezia”.

A oggi sono già stati rimessi a nuovo gli edifici 53 vicino all’ingresso del Forte e l’edificio 1, di maggior pregio storico.

Alla sua base c’è infatti il ponte cinquecentesco, unica testimonianza ancora esistente dell’antico borgo medioevale di Marghera, sotto il quale scorreva un ramo del Marzenego prima di confluire nel canale Osellino verso Campalto.

Completamente restaurati anche l’edificio 28 che ospita le attività degli Scout e il 34 dove ci sono i servizi igienici pubblici.

A questo si aggiunge la realizzazione del nuovo ponte a cavallo del canal Salso e del percorso ciclo pedonale che unisce via Torino e il Parco di San Giuliano passando proprio per Forte Marghera.

 

Il Forte di Bard riapre in sicurezza dal 22 maggio
Da fortedibard.it del 19 maggio 2020

Il Forte di Bard riapre al pubblico con nuove modalità di accesso e di visita nel rispetto delle direttive regionali e nazionali in materia di contenimento della diffusione del Covid-19. L’Associazione Forte di Bard ha stabilito per il mese di maggio un’apertura parziale per testare i nuovi percorsi e le misure adottate per garantire il distanziamento sociale ed una visita in sicurezza ai visitatori. Il Forte sarà aperto a partire da venerdì 22 maggio, dal venerdì alla domenica, oltre a martedì 2 giugno (feriali: 10.00-18.00, sabato, domenica e festivi 10.00-19.00).
La modalità e le date di apertura, a decorrere dal 3 giugno, saranno comunicate quanto prima. «In questa Fase 2 è importante che le attività culturali riprendano per garantire a tutti un ritorno alla normalità che si completi anche attraverso l’approfondimento intellettuale – commenta il Presidente del Forte di Bard, Ornella Badery -. La riapertura del Forte di Bard consente di riattivare un polo di attrazione strategico per la Bassa Valle e pone le basi per un ritorno del turismo, soprattutto quello di prossimità, indispensabile per garantire una ripresa economica ed occupazionale alle attività del territorio».
«La bella stagione consente di poter sfruttare gli spazi esterni e la passeggiata di grande suggestione che la salita al Forte da sempre offre, di modo da garantire una riapertura in sicurezza secondo le norme in materia di prevenzione e distanziamento – spiega il Direttore del Forte di Bard, Maria Cristina Ronc -. Con un percorso pedonale obbligato attraverso il Borgo medievale i visitatori potranno vivere un viaggio nella storia, tra gli antichi palazzi e dimore signorili medievali e salire poi lungo la strada panoramica alla scoperta dei corpi di fabbrica della fortezza ottocentesca. L’offerta espositiva attuale sarà prorogata a partire dalla mostra Capolavori della Johannesburg Art Gallery che sarà visitabile sino al 24 giugno».

Il Forte di Bard pone massima attenzione alla sicurezza. In questa prima fase di riapertura, si potrà accedere al monumento attraverso la comoda passeggiata panoramica esterna con accesso dal Borgo medievale. I disabili e loro accompagnatori, persone con difficoltà motorie e famiglie con passeggino potranno usufruire degli ascensori panoramici salendo per gruppi omogenei., L’offerta espositiva sarà aperta parzialmente: sarà possibile visitare unicamente la mostra Capolavori della Johannesburg Art Gallery. Dagli Impressionisti a Picasso allestita nelle sale delle Cannoniere. Gli altri spazi espositivi temporanei e i musei resteranno chiusi e apriranno nel mese di giugno secondo modalità che verranno comunicate in seguito.
L’accesso al Forte e alla mostra nelle sale delle Cannoniere sarà segnalato con apposita segnaletica orizzontale e verticale; l’ingresso in mostra verrà contingentato dal personale di sala e avverrà secondo un percorso monodirezionale.

Il nuovo calendario mostre

La prolungata chiusura del polo museale e culturale ha determinato un cambiamento della programmazione in corso e futura: la mostra Capolavori della Johannesburg Art Gallery. Dagli Impressionisti a Picasso è prorogata sino a mercoledì 24 giugno. Le mostre fotografiche Wildlife Photographer of the Year, PhotoAnsa 2019, On assignment una vita selvaggia, saranno tutte prorogate e visitabili nel corso dell’estate, secondo un calendario in fase di definizione.

Altre informazioni utili

Il Forte di Bard si è dotato di tutti i dispositivi richiesti dai decreti governativi:
. Il gel disinfettante sarà reperibile agli ingressi e nei punti strategici; percorsi e distanze sono segnalate;
. Un termoscanner all’ingresso potrà rilevare la temperatura dei visitatori e sarà anche in grado in automatico di rilevare la presenza o meno della mascherina;
. I visitatori potranno accedere al Forte solo se muniti di mascherina; a tutti sarà distribuito un dépliant con le norme di comportamento e i percorsi da seguire;
. Le biglietterie saranno regolarmente funzionanti ma è consigliabile utilizzare il più possibile il canale di vendita online sul sito fortedibard.it;
. Il costo dei biglietti non subirà variazioni. L’accesso al monumento costa 3,00 euro (tariffa unica),

il biglietto di ingresso agli spazi espositivi include l’accesso al Forte;
. In bookshop verranno distribuiti guanti monouso per sfogliare i volumi e scegliere i gadget esposti;
. Verranno assicurate procedure di igienizzazione ripetute nel corso della giornata e di sanificazione periodica all’interno delle sale, degli ascensori e delle toilette;
. La Caffetteria di Gola sarà aperta al pubblico;
. L’Hotel Cavour et des Officiers e il Ristorante La Polveriera resteranno chiusi sino a nuova comunicazione.

info@fortedibard.it
T. + 39 0125 833811
 

 

Sei incredibili castelli per scoprire l'Irlanda
Da idealista.it del 18 maggio 2020

Castello di Blackrock, contea di Cork / Turismo de Irlanda

Molte persone sognano il loro prossimo viaggio quando l'emergenza coronavirus sarà passata.

Una meta molto interessante e conveniente è l'Irlanda. Non solo Dublino, ma anche gli incredibili castelli che si estendono in tutto il territoro.

Dai castelli fiabeschi ad altre fortezze medievali meglio o meno conservate, la maggior parte si trova in splendidi scenari naturali.

Molti sono stati fonte d'ispirazione per libri e film.

 

Castello di Ballynahinch, contea di Galway

 

 

 

 

 

Castello di Birr, contea di Offaly

 

 

 

 

 

Contea di Dunluce, contea di Antrim

 

 

 

 

 

Castello di Glenarm, contea di Antrim

 

 

 

 

 

Castello di Tullynally, contea di Westmeath

 

#laculturanonsiferma: alla scoperta della storia del Castello di Copertino
Da vivoumbria.it del 17 maggio 2020

La storia

Circondata da un fossato quadrangolare, con pianta a stella tipica dei castelli del Cinquecento, il forte sorge intorno al Mastio Angioino del XIII secolo. Le mura ripartite in tre fasce marcate da due cordoni sono attraversate da imponenti gallerie, per consentire il rapido spostamento in sicurezza delle truppe all’interno del complesso durante gli assedi. Lo splendido portale, un autentico gioiello scultoreo in pietra bianca di Lecce, effigia nei medaglioni i diversi dominatori del salentino: normanni, svevi, angioini, rappresentati da Goffredo il Normanno, Manfredi e Carlo I. Dichiarato monumento nazionale nel 1866, dal 1955 il castello è tutelato dall’allora Ministero della Pubblica Istruzione, oggi Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Lo scomparso Castello di Mottola
Da lavocedimaruggio.it del 15 maggio 2020

Una prima fortificazione a Mottola venne edificata intorno al 1023 per volere del Catapano Bizantino Basilio Boioannes, che incaricò del compito un mercenario di origine saracena di nome Rayca, tuttavia non abbiamo notizie del fortilizio relative ai secoli seguenti. Secondo una tradizione, nell’area compresa fra l’attuale slargo di via Torretta e dei fabbricati adiacenti, un tempo si innalzava una alta torre cilindrica, risalente al 927, in piena dominazione bizantina, eretta dalla cittadinanza per difesa contro le incursioni saracene. Tale fortezza fu distrutta nel XIX secolo. In base all’analisi di un listello in pietra presente nella ex Cattedrale di Mottola, lo storico Marco Lupo avrebbe dedotto che a cavallo fra i secoli XII e XIII, il paese era dotato di un castello edificato, o riedificato da Enrico VI Hohenstaufen, padre di Federico II di Svevia. Questo potrebbe essere una riedificazione della precedente fortezza bizantina.

Sempre muovendoci nel campo delle ipotesi, il suddetto castello sarebbe stato distrutto nel XVI secolo ma comunque riedificato secondo le modalità dell’architettura militare del ‘500, quale baluardo contro le frequenti incursioni dei pirati turchi. Secondo una descrizione risalente alla metà del XVII secolo, appena entrati, sulla destra, si presentava un cortile con una stalla, una legnaia scoperta e un ambiente che consentiva l’accesso ad un grande deposito, alle stalle per i cavalli, ed infine alle cucine. Sulla sinistra, invece, vi erano dei magazzini, il pozzo della cisterna e l’abbeveratoio. Uno scalone privo di copertura portava al piano nobile, costituito da quattro stanze e da una loggia coperta da tetti lignei e tegole. Seguiva un ulteriore appartamento con un salone di maggiori dimensioni ed altre tre camere con volta a botte. La sala permetteva l’accesso alla Torre, articolata su due piani. Al primo livello c’erano tre piccole stanze, mentre al secondo due altre camere. Dal terrazzo la vista poteva spaziare sino al mare.

Di quella fortezza oggi esiste molto poco, in seguito ai soliti maldestri interventi di ristrutturazione effettuati nei secoli XIX e XX secolo. Gli ultimi danni avvennero in seguito a lavori svolti negli anni ’50 del XX secolo, quando sul versante meridionale furono abbattuti gli ambienti che ospitavano una taverna e la torre, per la costruzione del Mercato Coperto e di una palazzina di abitazioni. Restano ancora alcuni sotterranei, gli antichi ambienti relativi al primo livello di costruzione ed un muro esterno leggermente scarpato, utilizzati come cantine, rimesse, oltre ad ospitare botteghe artigiane.

Cosimo Enrico Marseglia

 

La Giunta approva il progetto definitivo di recupero dell’edificio 29 di Forte Marghera: lavori per 1,8 milioni
Da vicenzapiu.com del 14 maggio 2020

La Giunta comunale, che si è riunita oggi in Web-conference dalla sede della nuova Smart Control Room del Tronchetto, ha approvato il primo lotto dei lavori di recupero degli edifici storici di Forte Marghera, intervento finanziato dal MIBACT e destinato al recupero degli edifici di maggior pregio all’interno dell’isola del Ridotto del Forte militare ottocentesco, dove oggi sono in fase di completamento le opere di urbanizzazione: fognature, illuminazione, reti elettriche, vialetti, asfalti oggi in gran parte completati, tanto da permettere la fruibilità degli spazi già dai prossimi giorni.

L’intervento all’esame della Giunta riguarda il recupero dell’edificio denominato “29”, per un finanziamento totale di 1,8 milioni euro che rientra in uno stanziamento complessivo di 7 milioni riguardante la sistemazione delle Casermette Napoleoniche. Per quest’ultime entro maggio sarà completato il loro recupero.

“L’intervento all’edificio 29 – spiega il presidente di Insula S.p.A. Nicola Picco – prevede il rifacimento completo della copertura dell’edificio, ricostituita a ‘capanna’ realizzando le strutture delle due falde con carpenteria metallica a sviluppo reticolare spaziale, falde elevate sui 22 pilastri esistenti coadiuvati da 10 nuovi pilastri in acciaio. Per le murature di tamponamento di laterizio di mattoni sono previsti interventi di rinforzo, mediante applicazione, sul lato interno, con configurazione a ‘X’, di fasce in fibra, e di miglioramento della connessione coi pilastri adiacenti, mediante posa di barre di acciaio. È previsto l’impiego di mattoni pieni di recupero per la ricostruzione delle parti sommitali fino al raggiungimento della quota di imposta della falda. Sempre a fini antisismici, su entrambe le facciate minori, a Nord e Sud è previsto un ringrosso murario all’interno. Si eseguiranno rinforzi fondazionali, che troveranno attuazione mediante la realizzazione in opera di 9 travi ipogee per il collegamento trasversale dei dadi di fondazione esistenti corrispondenti alle coppie di pilastri in muratura. All’interno dell’edificio lo spazio verrà mantenuto unitario, favorendo così massima flessibilità organizzativa per la funzione espositiva/museale. Saranno perimetrati solo i locali di servizio e i servizi igienici, accessibili anche dall’esterno. Anche la dotazione impiantistica è studiata per essere funzionale e favorire molteplici utilizzi degli spazi espositivi e garantire un adeguato livello di adattabilità dei sistemi al variare della forma del percorso espositivo. Il recupero del ’29’ comprende la realizzazione di due volumi di collegamento con il ’30’, l’edifico adiacente a capannone binato, già recuperato dall’Amministrazione comunale e sfruttato per esposizioni temporanee”.

“In questi cinque anni di amministrazione abbiamo investito più di 15 milioni di euro per la sistemazione di Forte Marghera – spiega l’assessore ai Lavori pubblici Francesca Zaccariotto – con l’obiettivo di recuperare gli edifici per i quali si privilegia un utilizzo a fini espositivi e museali. Nello specifico 5 milioni sono stati destinati per interventi per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria del sito come l’illuminazione pubblica, gli scarichi fognari e di acque meteorologiche, la realizzazione di una rete di cavidotti per la telefonia e l’energia elettrica e la manutenzione straordinaria dei ponti d’accesso al Forte e di collegamento della cinta esterna con il Ridotto. A questi si aggiungono altri 1.340.000 euro per la ristrutturazione, già eseguita, dell’edificio 53 situato nei pressi del portone d’ingresso del Forte ed altri 670mila euro per l’edificio 1, di maggior pregio dal punto di vista storico-testimoniale visto che, nella sua struttura, è integrato, come parte basamentale, il ponte cinquecentesco, unica testimonianza storica ancora esistente dell’antico borgo medioevale di Marghera, sotto il quale scorreva un ramo del Marzenego prima di confluire nel canale Osellino verso Campalto. E’ stato integralmente restaurato, con un investimento di 100mila euro, l’edificio 28, che ospita le attività degli Scout, e sono stati stanziati ulteriori 280mila euro per restaurare l’edificio 34 realizzando un insieme di servizi igienici a disposizione di tutti gli utenti del Forte. A questi poi abbiamo aggiunto un altro milione di euro che abbiamo investito per la realizzazione di un nuovo ponte a cavallo del Canal Salso e del percorso ciclopedonale che unirà via Torino e il Parco di San Giuliano passando proprio per la zona di Forte Marghera. Questi lavori testimoniano quanta attenzione il sindaco Luigi Brugnaro e la Giunta stiano mettendo per la valorizzazione e il recupero del compendio, anche attraverso l’impulso dato con la creazione della nuova Fondazione. Un luogo che, passo dopo passo, e grazie all’impegno di tanti, tra i quali Muve e la Biennale, sta tornando a vivere e si sta arricchendo di iniziative e mostre”.

 

LA GRANDE GUERRA TRA MITI E REALTÀ
Da limesonline.com del 14 maggio 2020

Carta di Francesca La Barbera.

Conversazione con Mario Isnenghi, storico. a cura di Fabrizio Maronta, Lucio Caracciolo

LIMES Cosa resta oggi del progetto geopolitico che portò l’Italia in guerra? Quali le conseguenze del conflitto sul processo di sviluppo dell’identità nazionale e sulla legittimazione dello Stato italiano?

ISNENGHI Queste domande me le sento spesso rivolgere nelle conferenze che vado facendo in giro per l’Italia e all’estero. Di dibattiti sul tema ne vengono organizzati molti, segno che i motivi d’interesse per la prima guerra mondiale non mancano, anche se non sono necessariamente gli stessi per tutti.
Per me sono soprattutto quelli sottesi alle domande di cui sopra; per altri – per la maggior parte, credo – stanno invece nella stupefazione davanti all’accettazione della strage. In questo momento papa Benedetto XV gode di una notorietà postuma assolutamente straordinaria: quasi che la sua definizione della guerra come «inutile strage» riassumesse in sé tutti i significati e le sfaccettature di quel conflitto enorme e complesso, svelando ciò che molti fraintendevano o disconoscevano volutamente. Naturalmente le cose sono più complesse. Ma dato che qui in realtà non stiamo parlando di storiografia, bensì di echi e rimbalzi nella memoria e soprattutto di politica della memoria, quel che è vero conta fino a un certo punto. Conta piuttosto l’uso pubblico che se ne può fare. Mi trovo spesso a discutere, anche esplicitamente – come nella prefazione all’ultima edizione del Mito della Grande guerra, appena uscita per i tipi del Mulino – con gli storici francesi, o francesizzanti, che della Grande guerra tendono a vedere solo l’assurdo, il nonsenso, l’inutile strage appunto. Stiamo attenti però: c’è l’assurdità della carneficina, della «guerra totale»; ma c’era anche chi in quella guerra vedeva moventi e scopi, cioè un senso. Cercando di fare storia, piuttosto che politica della memoria, mi dico: la storiografia serve a capire ciò che pensavano i contemporanei e come vivevano il loro presente, non a sovrapporre al loro il nostro. Del conflitto quelle persone vissero anche l’assurda violenza, dunque la retorica dell’inutile strage ha una sua legittimità. Tant’è che si impone appunto nel 1917, anche se i suoi sviluppi sono soprattutto postumi.
Oggi, ma già dalla fine del Novecento, la lettura prevalente della prima guerra mondiale è quella di un evento assurdo, privo di senso logico. La frase di Benedetto XV è semplicemente un modo per conferire ufficialità a una visione che in realtà nasce fuori dal perimetro della Chiesa cattolica. Altrimenti non si spiega perché essa sia fortemente sostenuta dalla storiografia francese, che di per sé cattolica non è. Credo che il senso dell’assurdo maturi in realtà dalla crisi della storia e della legittimità della storiografia. La cosiddetta «fine della storia» proclamata da Fukuyama dopo il 1989 trascina con sé anche l’intenzione di non riconoscere alcuna legittimità ai modi di pensare e di vivere del passato. Siccome non siamo più capaci di produrre grandi narrazioni, neghiamo anche ai nostri predecessori di averne avute. Questo per me è inaccettabile.

LIMES Ma com’è possibile, da un punto di vista strettamente storiografico, negare che in passato vi fossero grandi narrazioni?

ISNENGHI Basta – si fa per dire – relativizzare tutto, non credere più nell’oggettività dei fatti, enfatizzare sempre e comunque il prevalere dell’interpretazione, cioè dei fatti di secondo grado rispetto a quelli di primo grado. Si tratta di un atteggiamento molto diffuso, persino tra gli storici e a maggior ragione tra gli esponenti di altre scienze sociali. I presentisti, categoria numerosa oggi, non credono nella storia e se ne disfano. Viene loro naturale negare – ovvero distorcere – le grandi narrazioni altrui, piegandole ad usi attuali. Paradossalmente, anche la storiografia è stata invasa da questo atteggiamento di negazione della liceità storiografica. In un certo qual modo ciò mi favorisce, perché dai tempi di I vinti di Caporetto mi sono sempre tendenzialmente mosso controcorrente. Da diversi anni vivo una situazione paradossale: da fautore di una storia fattuale e non puramente interpretativa, coltivo una sana eterodossia rispetto alla tendenza prevalente, pur essendo i miei lavori basati per l’appunto da sempre su fonti d’ordine soggettivo.

LIMES Veniamo dunque ai fatti. La lettura della prima guerra mondiale come inutile strage, evento assurdo, sembra escludere la presenza di intenti razionali nei suoi protagonisti, tanto a livello di élite, quanto di popolo. Lei però ricorda che l’assurdità è solo una delle chiavi di lettura del conflitto, che vide incrociarsi e sovrapporsi diverse narrazioni. Ce ne parli.

ISNENGHI Sgombriamo intanto il campo da un possibile equivoco: la narrazione non implica necessariamente un progetto. Ad essa basta l’esperienza – in questo caso l’esperienza, terribile e intensa, della guerra. Non dimentichiamo che la prima guerra mondiale è una guerra di massa, perché basata sulla coscrizione obbligatoria: 6 milioni e 600 mila morti nella sola Italia. Aggiungiamoci l’influenza spagnola, la cui incidenza devastante è in parte collegata al deterioramento delle condizioni mediche e sanitarie indotto dal conflitto, e il totale delle vittime schizza a cifre enormi, che cancellano la memoria delle guerre d’indipendenza. La quale, tuttavia, fa parte di quella componente progettuale che pure c’è nel 1914-18, perché per alcuni settori interventisti il conflitto si configura come quarta guerra d’indipendenza.
Il progetto sta nel completare la costruzione della nazione  italiana, del suo sentimento d’identità (al tempo questa parola non si usava), attraverso la «liberazione» di Trento e Trieste. Come se queste fossero già state italiane. C’erano fondati motivi per sostenere che lo fossero, almeno in parte, sotto il profilo culturale, ma dal punto di vista politico-amministrativo non lo erano mai state. Ma il mito dipingeva Trento e Trieste come città irredente e se il mito funziona, il resto passa in secondo piano, perché in ultima analisi sono le convinzioni a determinare le azioni, a prescindere da come esse si siano formate. Nei miei studi preparatori alla prima edizione del Mito della Grande guerra, un’importanza fondamentale l’ha avuta ciò che i vociani e gli altri fiorentini ad honorem primo-novecenteschi fanno dire a Vilfredo Pareto sulle loro riviste riguardo al mito: a che pro discutere se le classi sociali esistono o meno, se ci sono milioni di persone che ci credono? Che senso ha discettare di plausibilità della rivoluzione, se in milioni la vogliono fare? Attrezzatevi piuttosto con contro-miti adeguati, se volete mantenere il potere. Questo mi ha permesso, dagli anni Sessanta ad oggi, di lavorare sì alla smitizzazione della Grande guerra, ma ponendo all’ordine del giorno i miti. Nella recente prefazione alla settima edizione del libro dico proprio questo: con il mio lavoro posso partecipare alla smitizzazione di quel conflitto, come oggi va di moda. Ma da parte mia tale smitizzazione non sarà mai completa, perché io pongo all’attenzione le ragioni per le quali al tempo quei miti furono sentiti come veri, portando al fronte molte persone. Gli incanti non mi interessano meno del disincanto.
Una questione fondamentale poi, che ponevo nei miei primi libri e che ad oggi mi pare irrisolta, riguarda gli increduli di allora, quelli che non ci credono, ma fanno la guerra lo stesso. Che succede in quella vasta zona intermedia, fatta di milioni di persone, dove non arrivano i miti che mobilitano le classi dirigenti e, in particolare, gli interventisti? Come vivono e come elaborano la guerra quanti sono costretti a combatterla, facendone esperienza viva e tangibile, ma non ne condividono alcuna spinta ideale?

Carta di Laura Canali

LIMES In oltre quarant’anni di ricerche, che risposta si è dato?

ISNENGHI Una risposta che ha a che fare con l’importanza storica, sociale e psicologica dell’obbligo nella società di massa e nella sua espressione bellica, la guerra di massa. Gran cosa, l’obbligo. Pensiamo alla scolarizzazione. Ancora nel primo Novecento in Italia era consentita la cosiddetta «educazione paterna»: in certe grandi famiglie i bambini non andavano a scuola, erano educati in casa. È chiaro però che ciò riguardava una ristretta élite; per tutti gli altri, la scuola pubblica era l’unica chance di ricevere un’istruzione. Ma ci sarebbe stata la scolarizzazione di massa senza un obbligo di legge, senza una «coscrizione scolastica» obbligatoria? L’obbligo scolastico fa il paio con quello militare: scuola pubblica ed esercito sono pensati e vissuti come fattori di formazione di un’identità e di una psicologia collettive. È forse sulla base del volontariato che si è diffusa la pratica di far frequentare la scuola ai figli? Davvero pensiamo che il proletariato contadino, ma anche operaio, in gran parte illetterato o semianalfabeta, si sarebbe privato in massa di così tante braccia senon fosse stato costretto? Ma allora: dobbiamo maledire l’obbligo, perché tutto deve sempre e comunque passare dal libero arbitrio?
Questo individualismo autocentrato mi appare debole, del tutto incompatibile con l’esistenza di società articolate. Sono ben consapevole dell’insidiosità di questo discorso, che si presta a legittimare forme di arbitrio e di oppressione dell’individuo. Ma è un fatto che senza forme di obbligazione non ci sarebbero gli Stati. Ora, una delle formule riassuntive della prima guerra mondiale è la trincea: al contempo prigione e rifugio dei soldati al fronte. Ma un’altra formula, altrettanto efficace e riassuntiva, è l’assalto: uscire da quei ripari, saltare oltre i sacchi di sabbia ed esporre il proprio corpo al fuoco nemico. È immaginabile che un simile gesto, contrario ai più elementari e umanissimi istinti di sopravvivenza, sia lasciato all’arbitrio del soldato, alla libertà di migliaia, milioni di singoli io? È possibile che un tale atto di eroismo si ripeta per anni unicamente in virtù dell’adesione di milioni di soldati agli ideali e agli scopi della guerra? Possiamo solo provare a immaginare la tragicità di un assalto in cui l’ufficiale che esce per primo per trascinare i commilitoni ha buone probabilità di essere colpito, mentre quello che esce per ultimo è costretto, pistola in pugno, a spronare i più recalcitranti. Episodi come quello narrato da Emilio Lussu in Un anno sull’altipiano – i due soldati che si suicidano pur di non esporsi alle pallottole delle mitragliatrici nemiche – vanno credo al di là della nostra comprensione. Pertanto comprendiamo le diserzioni, gli ammutinamenti, l’obiezione di coscienza spinta all’estremo. Ma siccome i più non compiono questi gesti di sottrazione e di rifiuto, occorre chiedersi: perché combattono? Perché vanno in trincea e perché ne escono per andare all’assalto? La cruda risposta è: l’obbligo, uno dei grandi protagonisti delle guerre novecentesche, a cominciare da quella del 1914-18.

LIMES Torniamo al fronte interventista. Lei ha accennato al progetto nazionale, incarnato dalla questione di Trento e Trieste. Ci illustri come si articola quel progetto e chi ne sono i suoi principali fautori.

ISNENGHI Il discorso è più ampio. Più che di progetto, occorre parlare di progetti, al plurale.Il primo e più chiaro è quello cattolico. In I giornali di trincea, il libro sulla propaganda che ho pubblicato nel 1977, parlo di supplenza cattolica. Pensiamo alle Case del soldato. Ma prima ancora: qual è il primo atto politico del generale Luigi Cadorna, quando subentra ad Alberto Pollio – morto nel momento peggiore per un generale, cioè allo scoppio della guerra? Ripristinare e potenziare la figura del cappellano militare. Del resto i Cadorna, questa grande dinastia militare, erano una famiglia cattolica. Luigi non tiene un diario, ma lo scrive indirettamente attraverso le lettere alla moglie Giovanna e alla figlia Carla: da quell’epistolario si evince che egli era circondato da suore e da terziarie. La visione odierna della guerra unicamente come crudele assurdità presuppone che tutti i generali siano assassini sanguinari; non si immagina che il generale Cadorna, quello delle stragi e delle fucilazioni, colloqui quasi giornalmente con questo retroterra etico-religioso. Dunque Cadorna ripristina i cappellani militari: un migliaio di preti cattolici e alcune unità fra pastori protestanti e rabbini, in ossequio ai princìpi liberali del Regno. Fuori gli intellettuali, i volontari e gli interventisti: che non s’immischino, perché è alla disciplina che si guarda, confortata e favorita dai preti in grigioverde. È dunque questo il progetto cattolico: la reintegrazione della Chiesa che garantisce l’ubbidienza delle masse contadine irreggimentate, in una nuova stagione politica, culturale e sociale dei rapporti tra Stato e Chiesa. Cambio di linea, superamento del clerico-intransigentismo, passaggio al clerico-moderatismo e all’accordo simbiotico Stato- Chiesa. Questo processo non comincia nel 1914: primi tentativi si hanno già a fine Ottocento. Per esempio a Venezia, quando la giunta laico-progressista Selvatico del 1890 vieta l’affissione di crocefissi nelle scuole e negli edifici pubblici, suscitando scandalo e scatenando le ire del patriarca. Ma chi è il patriarca? È Giuseppe Sarto, il futuro papa Pio X, leader dell’intransigenza clericale in una Venezia che al tempo è sede dell’Opera dei Congressi (l’Azione cattolica del tempo), guidata dal laico Giovan Battista Paganuzzi. Certo, Venezia è una realtà complessa e contraddittoria, dove la borghesia progressista convive con i bastioni della conservazione. E operazioni di questo tipo non sono da tutti: ci vuole un leader clerico-intransigente della taglia di Sarto per sospendere il non expedit nella Serenissima, anticipando di una decina d’anni il ritorno in campo nelle elezioni amministrative e il patto Gentiloni nelle elezioni politiche del 1913, reso «necessario» a sua volta dal suffragio (quasi) universale introdotto da Giolitti. Così come, ottant’anni dopo, ci vorrà Andreotti per fare il centro-sinistra. Ma, come si vede, queste sono tappe di un processo, che ha nel 1914 un momento cruciale. La Chiesa vede nella guerra la grande opportunità di forgiare un patto con lo Stato italiano, alla cui esistenza si deve ormai conformare. Accanto a Cadorna c’è padre Agostino Gemelli, il futuro fondatore dell’Università cattolica del Sacro Cuore, che viene da una famiglia laica e progressista, è stato un positivista, è medico e psicologo, ma si è convertito diventando un frate: una grande speranza dei cattolici.

Tra i suoi progetti c’è la consacrazione al Sacro Cuore di Gesù dell’intero Esercito italiano: questo è pensare in grande, coltivare un progetto, che mira niente meno che a riconsacrare un intero paese, moltiplicando per milioni di volte la sua stessa conversione, o reversione che sia. Del resto già verso il 1880, sotto Leone XIII, ad essere negata non è l’Italia, bensì lo Stato liberale, il Risorgimento «senza Dio». La nazione va bene – ma guelfa, com’è sempre stata. La Grande guerra può essere l’occasione di esplicitare e attuare il progetto di nazione guelfa: nazionalizzazione delle masse anche questa.

LIMES Ma il progetto di nazione guelfa non implica l’esistenza di uno Stato guelfo. L’Italia poteva ben essere – come in effetti è stata – un territorio con un’anima cattolica che prescinde da un «involucro» statuale unitario. Il progetto cattolico implica invece proprio questo: far coincidere Stato e nazione sotto il segno del cattolicesimo.

ISNENGHI È così, ma ciò è figlio del 1861. L’espressione «nazione guelfa» può intendersi in senso stretto – quello di una comunità cultural-religiosa che prescinde dallo Stato – ancora nell’ultimo quarto dell’Ottocento. Ma alla vigilia della Grande guerra è ormai chiaro che la storia non può essere riportata indietro: l’unità d’Italia è una realtà con cui la Chiesa deve fare i conti, e li fa in modo pragmatico e realistico. Lo Stato c’è, occorre dargli un’anima e quest’anima dev’essere cattolica. A Cadorna e a molti altri va bene; ad altri, come il generale massone Luigi Capello, un po’ meno.

LIMES Dunque c’è il progetto cattolico. Ma c’è anche, lo ha appena ricordato, un interventismo laico. Rispondeva anch’esso a un progetto?

ISNENGHI Se nel caso cattolico si può parlare apertamente di progetto, nel caso liberal-democratico la questione è più sfumata. Il termine «progetto» implica un intento consapevole, una finalità esplicita cui subordinare una politica. Esiste, in questo senso, un progetto Battisti, un progetto Bissolati, un progetto Salvemini? Di certo vi è una consapevole relazione al Risorgimento, a Mazzini, c’è la volontà di inserire un nuovo capitolo storico nel solco di una storia preesistente. Ma un simile intento non è risolvibile in una politica: per gli interventisti democratici la guerra non è una tattica, è una strategia. E nemmeno una strategia italocentrica, perché Battisti è deputato di Trento a Vienna, mentre Salvemini crede nell’Intesa e nel buon accordo con gli slavi. Gli interventisti democratici, insomma, non sposano il «sacro egoismo» del presidente del Consiglio Antonio Salandra. Essi sono sulle posizioni dell’Intesa e, pur senza accoglierne in toto la propaganda, contribuiscono alla propagazione degli ideali di libertà di quell’alleanza. Più a sinistra dell’interventismo democratico – in tutte le sue sfumature: radicale, repubblicano, socialista riformista – c’è quello strano fenomeno, mai sufficientemente indagato, che è l’interventismo rivoluzionario, «sporcato» a posteriori dal fascismo – anche se Alceste De Ambris, «fiumano» prima, sarà poi un leader della diaspora antifascista, mentre il fratello Amilcare fu un sindacalista fascista della prima ora, a riprova della complessità delle vicende storiche. Tra gli esponenti di quest’interventismo dell’estrema vi fu il leader operaio milanese Filippo Corridoni, la cui prematura scomparsa nel 1915 sul Carso, nella Trincea delle Frasche, stroncò una carriera politica di non facile decodifica. Poi ci sono i fratelli Garibaldi: quando la guerra in Italia non era ancora scoppiata, sei dei sette figli di Ricciotti vanno a combattere in Francia. Anche loro sono convinti d’interpretare una storia e una leggenda che viene da lontano: non vi è nulla di tattico e di contingente in questo, piuttosto un’adesione spirituale e operativa all’ideale della libertà dei popoli, per il quale si combatte ovunque ve ne sia bisogno, senza strettoie territoriali. Perché la guerra, come ebbe a dire Giuseppe Garibaldi – che aveva della guerra una visione piuttosto pratica, non ideologica – si fa quando serve, per poi tornare a occuparsi d’altro. Si può parlare qui di progetto? Sì, se per progetto s’intende la continuazione e l’adeguamento di quanto fatto da Mazzini, che quando fondò la Giovine Italia pensava anche alla Giovine Germania, o alla Giovine Polonia – cioè alla liberazione dei popoli. Mentre invece la Prussia fondava la Germania con altri metodi – per atto d’imperio dall’alto, non con uno sforzo corale dal basso – e con altre finalità, grosso modo riassumibili nell’espressione «politica di potenza». Quanti mettono in dubbio il Risorgimento italiano, sottolineandone i piccoli numeri – ma tralasciando l’entità effettiva del volontariato, cifra caratterizzante di quella stagione – non colgono l’eccezionalità di figure come Mazzini e Garibaldi, assenti nella genesi dello Stato tedesco e il cui impatto non è certo limitato alla storia italiana. Figure di lungo periodo, la cui eredità è ancora viva e attuale nel 1914. Più che di progetto, parlerei dunque di un sentire comune, un modo di concepire e fare la guerra come strumento per riprendere il progetto di edificazione di uno Stato nazional-popolare. Concetto che non è un’invenzione di Gramsci, come non lo fu di Mussolini. Il problema di costruire uno Stato di popolo nasce con l’Unità e si trascina, in varie forme, per buona parte del Novecento.

Carta di Laura Canali

LIMES Esiste anche un «progetto Salandra»? Quali sono i moventi governativi prima e durante il conflitto?

ISNENGHI Giovanni Giolitti dà il nome a un’età – quella giolittiana appunto – tale è stata la sua importanza. Liberal-riformista, leader dell’ala sinistra del partito al governo dal 1861, all’inizio degli anni Dieci Giolitti, oltre a riprendere l’attività coloniale con la guerra di Libia del 1911-12, vara la nuova legge elettorale. È il 1912 e per la prima volta in Italia è introdotto il suffragio universale maschile. Sarà questa la legge con cui si voterà alle elezioni politiche dell’anno seguente. Si tratta di un suicidio politico? È la scelta di uno statista che pensa più in grande rispetto a un capo partito? Possibile che Giolitti ignorasse che la nuova legge avrebbe penalizzato i candidati liberali? Probabilmente no, ma sta di fatto che il risultato del voto mette il Partito liberale di fronte alla necessità di un accordo con i cattolici, suggellato dal patto Gentiloni. Il parlamento eletto nel 1913 durerà per tutta la guerra. Non è un parlamento antigiolittiano: malgrado tutto, in esso siede un cospicuo numero di deputati rimasti fedeli a Giolitti. Tuttavia, allo scoppio della guerra in Europa il presidente del Consiglio non è Giolitti. Non è la prima volta – e non sarà l’ultima – che l’Italia ha un «governicchio»; è però la prima volta che un simile esecutivo incrocia un’occasione esterna come la guerra, gravida di opportunità ma anche di rischi e di enormi responsabilità per chi siede a Palazzo Chigi. Antonio Salandra era all’altezza? Probabilmente no, o almeno non forse quanto lo sarebbe stato Sidney Sonnino, un altro liberal-conservatore di propensioni tripliciste che guida il dicastero degli Esteri. Anche il suo predecessore Antonino di San Giuliano, morto di malattia nell’autunno del 1914, era uomo di consentanea e comprovata esperienza. A lui spetta la prima scelta decisiva, quella di non scendere in guerra subito al fianco dell’Austria. Fatto sta che allo scoppio delle ostilità l’Italia ha un governo privo di maggioranza, che deve decidere se, con chi, quando e per quali scopi portare il paese in guerra. Non è poco per un esecutivo così debole, che non a caso ricorre alla sospensione dell’attività parlamentare. Si trattò di un sopruso? È da allora che ci si chiede se sia stato o meno un colpo di Stato, spesso si parla di semi-golpe. È un fatto che lo Statuto albertino delegava molti poteri al capo dello Stato, specie nel camp della politica estera e della guerra. Non a caso, fino ai primi del Novecento il ministro della Difesa – che allora si chiamava ministro della Guerra – era sempre stato un generale di casa reale, fortemente legato al partito di corte. Il peso del re nella scelta dell’Italia di entrare in guerra trova pertanto riscontro in una circostanza giuridica. Che poi Salandra e Sonnino, insieme al re, si siano avocati le scelte cruciali culminanti nei primi giorni del maggio 1915, configura quanto meno un eccesso di zelo statutario. E che il parlamento si riunisca solo il 20 maggio, a cose ormai fatte – il patto di Londra è firmato il 26 aprile e impegna l’Italia a entrare in guerra entro un mese – non giova granché alla democraticità del liberalismo italiano. Non mancano peraltro i risvolti tragicomici, come la vicenda dei trecento e passa biglietti da visita – extraparlamentari per necessità – recapitati dai parlamentari giolittiani a Giolitti per fargli sapere che gli restano fedeli e che, pertanto, sono contrari alla guerra. Ma la vera contraddizione politica è un’altra: da un lato, la coscrizione obbligatoria – vecchia quanto lo Stato unitario – tratta gli italiani non già da sudditi, ma da cittadini, mettendo loro in mano un fucile; dall’altra, lo Stato diffida di loro al punto da concedergli il voto solo alla vigilia della guerra. Dunque l’ingresso dell’Italia in guerra è opera dell’ala conservatrice del Partito liberale, quella antigiolittiana… Torniamo all’interrogativo iniziale: c’è un progetto liberal-conservatore dietro la decisione di schierare l’Italia in guerra? Se di progetto si può parlare, innanzi tutto esso non prescinde dal patto Gentiloni e dai cappellani militari di Cadorna. Non può prescinderne, perché la guerra di massa si combatte solo con le masse contadine in armi, su cui la Chiesa esercita un ascendente fondamentale. Ma i conservatori liberali non vogliono prescinderne. In fin dei conti, Sonnino pensava già a fine Ottocento di allargare il diritto di voto, convinto che gli abitanti delle campagne restassero egemonizzati dai possidenti e che, dunque, non gli si sarebbero rivoltati contro nelle urne. Non va poi sottovalutato il peso istituzionale dell’aristocrazia, cui nel caso specifico sono ascrivibili sia Sonnino sia San Giuliano. Dopo tutto, al tempo in Italia vige la monarchia. Ciò detto, non è certo per ragioni ideologiche che Salandra, Sonnino e il re scelgono di schierare l’Italia con l’Intesa. Leggendo le memorie di Salandra, o il carteggio quasi giornaliero tra questi e Sonnino, Battisti e Mussolini sono quasi assenti. È come se l’interventismo, che pure circondava questi statisti, esulasse completamente dalla loro ottica e le ragioni della guerra restassero, per le classi dirigenti interpreti del «sacro egoismo», quelle tradizionali della geopolitica. Mentre alle masse dovevano bastare la disciplina, la rassegnazione, l’ubbidienza. La geopolitica, dunque. Salandra, Sonnino e gli altri non possono fare a meno di constatare i vincoli geografici, economici e strategici dell’Italia: un paese separato dal resto d’Europa dalle Alpi e circondato per tre quarti da mari che, al tempo, erano dominati dall’Inghilterra. Un paese privo di materie prime e dipendente, anche per l’approvvigionamento alimentare, dal commercio marittimo. Quanto avrebbe resistito l’Italia se si fosse messa contro Londra? Per Salandra e Sonnino, dunque, la retorica irredentista della quarta guerra d’indipendenza, che per altri è la vera posta in gioco, è solo lo zucchero sulla torta. Un nazionalista come Francesco Coppola parlerà del «fecondo inganno» degli interventisti democratici, che si scagliano contro l’imperialismo tedesco. Per un nazionalista come Coppola, o come Enrico Corradini, Alfredo Rocco, Luigi Federzoni e gli altri componenti dell’Associazione nazionalista italiana, che al tempo non era ancora un partito, l’Italia non combatteva l’imperialismo in quanto tale; essa combatteva contro l’imperialismo altrui e in favore di quello italiano. Questi nazionalisti erano contro l’idea mazziniana di nazione, in quanto difensiva: essa infatti riconosceva dei confini frutto della storia, ma senza prendere atto che tale storia era a sua volta il risultato di guerre passate e che, dunque, nuove guerre avrebbero potuto modificare l’assetto territoriale esistente. Così si prenderà Bolzano: non perché non si sappia che sia tedesca, ma perché si ritiene di poterla italianizzare in un lasso di tempo ragionevole. Idem dicasi delle terre slave. Viceversa, Gaetano Salvemini e gli altri interventisti democratici sono slavofili e austrofobi, in quanto legati ancora all’idea mazziniana di nazione. Per Salandra, Sonnino, San Giuliano e gli altri liberali conservatori invece l’impero multinazionale non è un male; anzi, è un antemurale rispetto alla Russia e agli slavi. Si tratta piuttosto di recuperarne i territori ritenuti necessari allo Stato italiano; i quali, peraltro, possono non coincidere con quelli che gli interventisti democratici considerano da redimere. Il progetto degli uomini d’ordine è insomma quello della grande potenza: del resto, è dal 1861 che si ragiona in termini di potenza. L’Italia è arrivata per ultima nel concerto delle potenze europee, sicché deve recuperare terreno. Da qui l’inizio quasi immediato dell’avventura coloniale, interrotta nel 1896 dalla disfatta di Adua e ripresa da Giolitti in Libia nel 1911. Se di progetto si può parlare per il campo conservatore, è dunque questo: l’Italia deve continuare a perseguire una politica di potenza all’altezza dei tempi e i tempi richiedono una guerra, che peraltro nel 1914-15 nessuno immagina così lunga, dispendiosa e tragica. Si osa sperare anzi che, una volta in guerra, Cadorna possa raggiungere Lubiana e addirittura Vienna entro il 1915. Oggi ci appare un pronostico assurdo, la riprova dell’asserita follia dei generali; il fatto è che al tempo furono in molti, e non solo in Italia, a sbagliare clamorosamente i calcoli, perché non vi era ancora la piena consapevolezza del nuovo tipo di guerra che si andava a combattere. Quella del 1914-18 è stata la prima guerra moderna: meccanizzata, di massa e totale. Nessuno era davvero preparato all’impatto, umano e materiale, che essa avrebbe prodotto.

LIMES All’inizio del Novecento la guerra era insomma considerata consustanziale alla potenza: non si poteva essere una potenza senza fare la guerra.

ISNENGHI Nell’Ottocento la misura della potenza di un paeseerano state le colonie; nel Novecento, saranno le corazzate. E naturalmente, le corazzate servono, prima o poi, per fare la guerra. Il fine era «la più grande Italia», per dirla con l’espressione ambigua – ma anche per questo efficace – di D’Annunzio, che avrà grande fortuna sui monumenti ai caduti. Meno tragico e suicida del dannunziano «vittoria mutilata», ma disastroso dal punto di vista mediatico, è il «sacro egoismo » di Salandra, perfetto esempio di ironia della storia. Salandra non aveva nulla di dannunziano, anzi; quella volta volle descrivere in modo colorito il suo operato, che era poi quello di qualsiasi altra cancelleria: fare l’interesse nazionale. Lo fece usando le logiche di un politico conservatore aduso al realismo, ma con una espressione micidiale sul piano dell’immaginario collettivo e dell’immagine pubblica, perché scopre le carte e dà l’idea che l’Italia sia «sul mercato».
Non che non lo fosse; illuminante al riguardo ciò che San Giuliano fece in tempo a dire prima di morire commentando con dei colleghi parlamentari la propria esperienza di ministro degli Esteri: «Mai stato così facile. L’Italia è corteggiata da tutti». Ovvio che lo fosse: in una guerra in cui ben presto i belligeranti si impantanano, l’ingresso di un paese dotato di un esercito inizialmente mal equipaggiato, ma numeroso, poteva fare la differenza. Come in effetti nel 1915 fece. Lo storico inglese G.M. Trevelyan scrive che l’entrata in guerra dell’Italia salva la Francia. Molti storici, inglesi e francesi, mostrano di esserselo dimenticato. Peraltro, l’Italia si mise ben presto al passo in termini di armamenti ed equipaggiamenti, segno che il paese aveva potenzialità economiche e che la guerra – su questo Martinetti non si sbagliava – ha, almeno nell’immediato, concreti effetti di volano per l’economia. Quella economica può essere dunque annoverata tra le varie, molteplici spinte alla guerra; ma per i liberali conservatori non era la motivazione principale. In loro il concetto di potenza non si declinava tanto in termini economici, quanto soprattutto territoriali e di prestigio. Giolitti, da parte sua, non rigettava la guerra per motivi ideali, ma per ragioni eminentemente pragmatiche; era convinto che l’Italia non avesse le risorse sufficienti. D’Annunzio e i dannunziani lo liquidavano con disprezzo come portatore di una visione bottegaia, mediocre e rinunciataria dell’Italia. Per altri invece, Giolitti era un uomo concreto e realista, che faceva politica con i mezzi a sua disposizione. Ma con tutto il suo pragmatismo, anche Giolitti sbaglia clamorosamente i calcoli: non solo l’Italia concluderà la guerra, ma la vince benché tanto più lunga e impegnativa del previsto. Questa Italia di Salandra e di Sonnino, che porta dentro di sé anche quella di Giolitti e di Turati, e quella dei cattolici di Cadorna e dei suoi cappellani – questo agglomerato complesso e contraddittorio, che come dice Ruggero Romano esiste da duemila anni come paese, ma da poche generazioni in quanto Stato, decide di entrare in guerra e le sue risorse, materiali e mentali, si rivelano bastevoli. Su questo si sorvola troppo spesso, anche perché la storiografia dell’assurdo, che legge la Grande guerra come un atto di follia collettiva, frena una compiuta riflessione al riguardo. Si pensa quasi solo a Caporetto, come se fosse la chiave e l’esito finale della guerra italiana.

Carta di Laura Canali

LIMES Qui lei solleva un punto importante, che consente di riallacciarsi all’attualità. Perché oggi, più che la vittoria, noi ricordiamo la guerra?

ISNENGHI È una questione centrale, che resta attualissima perché emarginata. Ogni 4 novembre ricevo telefonate di giornalisti che mi chiedono di commentare «il giorno della fine della guerra», «il giorno delle Forze armate», «il giorno dell’unità». E puntualmente mi trovo a rivelargli che, nossignore, si tratta del giorno della vittoria. Questa ricorrenza è stata variamente ribattezzata, come se ci si vergognasse di considerare la vittoria una vittoria. Come se, per essere amanti della pace oggi, si dovesse rimuovere dalla memoria collettiva il fatto che l’Italia del primo Novecento, pur con tutte le sue arretratezze e le sue contraddizioni, sia riuscita nel compito non facile, né scontato, di uscire vittoriosa da un conflitto di quella portata. Dal punto di vista identitario, questo per noi è un bel problema. Certo, il «né aderire, né sabotare» dei socialisti non sarà stato il massimo dal punto di vista dell’immedesimazione patriottica. Però, a quanto pare, bastò. Prima me la sono presa con la «vittoria mutilata» di D’Annunzio: espressione terribile, ma evidentemente condivisa da molti, data la sua fortuna. Terribile perché reca in sé un senso di sconfitta nella vittoria, di inadempienza, quasi di vacuità dell’enorme sacrificio umano e materiale. Capisco il «ma non per questo» dei mazziniani, che nel 1861 avrebbero voluto un’Italia altra rispetto a quella monarchica. Ma il «non abbiamo combattuto per questo» del 1919, scandito a gran voce dalla pattuglia di nazionalisti militanti, intercetta un sentimento nazionalista ben più diffuso e trasversale, micidiale nel suo autolesionismo. Nel momento in cui l’Italia poteva finalmente alimentare forme di autostima collettiva assolutamente inusitate, sulla scorta di un’impresa a dir poco eccezionale come la sconfitta dell’impero asburgico, niente. Il solo problema, l’unica ossessione è come rapportarsi agli slavi: prendere o non prendere Fiume? Conquistare o no la Dalmazia? La pace comincia male fin da subito. Con ciò non mi schiero, da cittadino del 2014, dalla parte dei nazionalisti di allora. Cerco piuttosto di calarmi nel clima dell’epoca, all’interno dello spazio e del dibattito pubblico italiano che, tra la fine del 1918 e il 1919, ruota in gran parte attorno a un grande quesito: che fare della vittoria? Bene, c’è un bel pezzo d’Italia, quella socialista – i comunisti non esistono ancora – che pensa di fare come la Russia: rivoluzione. Il problema dei socialisti non è che manchino di forza politica: alle elezioni del novembre 1919, con 156 deputati sono il primo partito in parlamento e la Cgil cresce enormemente. Il punto è: che fare di questa forza? Qui i socialisti, e le sinistre in generale, si scontrano con l’impossibilità di riconciliare l’aver fatto la guerra – pur controvoglia – con il voler fare la rivoluzione, per di più in un paese vincitore, non sconfitto, come quasi tutti quelli che nel periodo postbellico registrano fermenti rivoluzionari. Gli arditi del popolo sembrano suggerire una via: con la guerra abbiamo imparato a usare la violenza perché costretti e per scopi che non condividevamo, ora usiamola per sovvertire lo Stato monarchico-liberale. Del resto, anche i liberali avevano mostrato di aver bisogno del popolo per fare la guerra. Perché ora il popolo non poteva imbracciare le armi e fare la guerra per i propri scopi? In realtà, anche gli arditi adottano una posizione difensiva rispetto allo squadrismo fascista, dunque mancano di un progetto in positivo, che contraddistinguerà invece Mussolini e il suo movimento. La sinistra massimalista non appare il punto di partenza migliore per tentare di stabilire, in campo socialista, una continuità – per quanto critica – tra guerra, vittoria e dopoguerra. Sicché alle elezioni del 1919 il Partito socialista riesce a capitalizzare il «no» alla guerra, moltiplicando i consensi elettorali, ma poi non riesce a volgere i numeri in progetto. Non riesce nell’impresa di raccordare guerra e rivoluzione. Ma dove sono, in questa fase, gli interventisti democratici? Dov’è quella classe dirigente che forse avrebbe potuto sostituire i notabili liberali? Morti Battisti e Bissolati, il politico borghese più avanzato e il meno anziano è Francesco Saverio Nitti. Poi c’è Gaetano Salvemini, che però non ha la stoffa dello statista. E Ivanoe Bonomi. È proprio lui, il flebile Bonomi, un socialista all’acqua di rose, a diventare presidente del Consiglio. Un uomo portatore delle mediazioni del 1914-15, che pure non avevano impedito al futuro azionista Guido Dorso di scrivere sul Popolo d’Italia quella frase terribile: «Noi cacceremo avanti, a pedate nel sedere, chi non vuol fare la guerra», perché sappiamo che è giusto farla. Un tempo queste parole mi scandalizzavano, ma a ben vedere non è che la dinamica del Risorgimento sia stata molto diversa. E forse lo stesso può dirsi della Resistenza. Purtroppo le società, anche nei regimi democratici, devono fare i conti con il fatto che le maggioranze non hanno sempre ragione.

LIMES Cosa resta oggi della «più grande Italia»?

ISNENGHI Non è un bel vedere. Davanti ai nostri occhi si stende un paesaggio squallido. Eppure, malgrado tutto mi sforzo sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno. Di fronte a un Berlusconi o a un Grillo, mi dico che l’Italia non è morta nel momento in cui riesce a inventare fenomeni politici che, piaccia o meno, fanno scuola. E mi dico: in che misura avere come capo del governo un magnate dei media sarebbe peggio dell’avere un petroliere, un generale o il figlio di un altro presidente, come avvenuto a più riprese negli Stati Uniti, paese guida dell’Occidente? Forse le ragioni dell’ascesa di Berlusconi sono le stesse che portarono al potere Mussolini: per governare una società di massa – per giunta, oggi, società dello spettacolo – occorre un grande comunicatore, in grado di entrare in sintonia con i tempi. Sarà una spiegazione consolatoria, ma credo che non manchi di fondamento. Da cittadino antifascista mi spiace constatare che l’Italia abbia inventato il fascismo e che questo, al pari del populismo berlusconiano, sia diventato motivo d’attenzione e merce d’esportazione. Ma come italiano, quando mi sento continuamente rinfacciare la mediocrità della nostra storia non posso fare a meno di constatare che così mediocre questa storia non è stata. Nel male e nel bene: il Risorgimento italiano non è affatto una piccola cosa, Garibaldi e Mazzini ce li invidiano in molti. Battere l’Austria-Ungheria non è affatto una piccola cosa, come non lo è stato avere il Partito comunista più forte dell’Occidente e un partito socialista non risolvibile nella socialdemocrazia. L’eterogeneità dell’Italia e le sue fratture politiche, storiche e sociali sono state spesso un fattore di debolezza; ma sono anche il terreno fecondo da cui trae linfa la nostra vicenda storica. Forse è  il conflitto la vera essenza della nostra identità nazionale. Dobbiamo prendere atto che l’Italia è un paese di opposti. È il paese della «doppia cittadinanza», italiana e cattolica, perché il papa non è rimasto ad Avignone e con questo dobbiamo fare i conti. È stato il paese del fascismo e dell’antifascismo, e quest’ultimo – lo dico da antifascista – ha ragion d’essere solo in presenza del primo. In ultima analisi, siamo forse tutti, in varia misura, discendenti del papa: una frequentazione secolare ci predispone a seguire leader carismatici, cui tributiamo una fedeltà che spesso sconfina in devozione, in abbandono fideistico. È stato così per Garibaldi, Mussolini, Berlusconi. In parte per Grillo e chissà, magari sarà così anche per Renzi. Si tratta di un atteggiamento molto diffuso, che riaffiora periodicamente. Ci piacerebbe che così non fosse.

Ma così è. Anche questa è storia d’Italia.

 

Il Forte Mondascia rimarrà chiuso sino a fine settembre
Da laregione.ch del 13 maggio 2020

Rinviati a ottobre tutti gli eventi previsti in primavera ed estate, comprese le manifestazioni per l'80° della linea Lona

"Le restrizioni comunicate dal Consiglio federale valide sino a fine agosto, per le manifestazioni con folta partecipazione, ci obbligano a malincuore ad annullare o a posticipare determinanti eventi", spiega Osvaldo Grossi, presidente dell'associazione Opere fortificazioni del Cantone Ticino, dichiarandosi preoccupato per il futuro del museo militare di Biasca a causa del Covid19. "Abbiamo tuttora praticamente a nostro carico tutti i costi, ma nessuna entrata. E in pratica non riceviamo alcun sostegno pubblico". L'idea a questo punto è di ripartire il weekend del 3/4 ottobre. Dal canto suo il Forte Mondascia "si rimette in moto, con idee e progetti nuovi. Noi non ci fermiamo - riprende Osvaldo Grossi - e stiamo programmando la ripresa della stagione per l'autunno. Naturalmente rispettando le disposizioni di sicurezza e igiene che influiranno sulla scelta degli eventi da proporre". In questo periodo di chiusura al pubblico "stiamo proseguendo la manutenzione interna ed esterna". In previsione di una prossima apertura, l'associazione cerca volontari tra i militi in congedo e appassionati (cucina, artigiani e giardinieri). Il volontariato prevede incontri di formazione e un impegno il più possibile regolare. Nelle giornate intere di lavoro è previsto un pranzo in comune (per informazioni contattare grossiosvaldo@ticino.com). A causa della pandemia e del conseguente annullamento delle manifestazioni legate all'80° della linea Lona, anche le escursioni attraveso la Riviera sono posticipate al prossimo autunno.

 

Alla scoperta delle fortificazioni della Linea Maginot
Da finance.com del 13 maggio 2020

Il turismo in Francia è in genere associato a Parigi. Ma per i turisti curiosi, c’è una Francia insolita, fatta di luoghi segreti da scoprire. Al confine con la Germania, infatti ci si può imbattere nella scoperta di luoghi ricchi di storia: si tratta delle fortificazioni della Linea Maginot.

La Francia e le fortificazioni della Linea Maginot

La Linea Maginot prende il nome dall’allora ministro della guerra francese, André Maginot, che fece realizzare lungo tutto il confine con la Germania un sistema difensivo fatto di presidi sotterranei e casematte. L’opera costò tanto per il Paese. Questi luoghi segreti di una Francia insolita sono ricchi di storia. Nella realtà, le fortificazioni della Linea Maginot si rivelarono costose e inutili, perché la Germania di Hitler invase la Francia passando dal Belgio.

I luoghi segreti della Francia in Lorena

E così, dismesse le costruzioni, delle fortificazioni della Linea Maginot si è persa la memoria. Eppure, per i turisti curiosi, questi luoghi segreti possono essere ancora visibili. Come nel caso del presidio nei pressi di Vecrking, piccolo paese della Lorena: un vero e proprio luogo fortificato con casematte e ambienti di raccolta dei soldati.

La casamatta della Linea Maginot: cos’è

La casamatta è un luogo chiuso con un’apertura che consente ai soldati di far fuoco sul fronte nemico. È un complesso che può ospitare decine di soldati e sorge in luoghi ampi, che consentono il controllo visivo.

All’inizio erano in muratura. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il progresso delle armi e la loro precisione ha reso le casematte fisse obsolete. Si è pertanto optato per quelle in metallo: più facili da spostare e anche più resistenti alla forza distruttiva dei proiettili.

Ancora oggi nella campagna della Lorena sono visibili le casematte della Linea Maginot, nascoste come luoghi segreti fra gli alberi. Quello di Vecrking è un tipico esempio di fortificazioni militari caratterizzate da campane blindate sulla sommità equipaggiate con mitragliatrici.

I luoghi segreti della Linea Maginot

Le campane della Linea Maginot nascondono luoghi segreti, il vero cuore della linea difensiva: le fortificazioni. In Lorena alcune casematte, realizzate in cemento, sono state abbandonate. L’ingresso aveva un sistema di blocco esterno contro l’attacco dei nemici.

All’interno c’era tutto l’occorrente per la difesa, dalle munizioni ai beni di prima necessità. Una casamatta della Linea Maginot poteva ospitare una dozzina di soldati, aveva un vano di rifornimento per l’acqua e un filtro per l’aria.

 

Pescara/ritrovamento stanze: "i ruderi sono i sotterranei del Bastione S. Vitale" nella Piazzaforte
Da giornaledimontesilvano.com del 13 maggio 2020

Scritto da kim redy

planimetria di Gambacorta e le foto di Baldacci - ritrovamento e visita Sindaco Masci

Di Biase: " i sotterranei del Bastione S. Antonio, dietro al Centro Nazareth, ma immediatamente rinchiusi e resi inaccessibili dalle stesse ferrovie. Ma quei sotterranei furono fotografati da Luigi Baldacci e sono testimonianze importanti".

Scoperta a Pescara ieri di grande valore storico ed archeologico. Si legge sul social del Comune cittadino che durante i lavori per la realizzazione del terzo binario della ferrovia tra la stazione centrale e il fiume Pescara, all’altezza del campo Rampigna, sono venutI alla luce due locali di quella che fu l’ex Fortezza del XVI sec. fatta realizzare da Carlo V d’Asburgo e improvvidamente abbattuta dopo l’Unità d’Italia. Della presenza di alcuni resti della Fortezza si era avuta già prova a marzo quando venne allo scoperto parte della parete di cinta; restava da comprendere se questi tratti murari fossero appunto appartenuti alla piazzaforte di Pescara o se fossero strutture portanti del ponte di attraversamento del corso d’acqua. Su questo ha lavorato negli ultimi mesi la storico ed archeologo della Soprintendenza Andrea Staffa che ha realizzato una relazione in cui si afferma come il tratto di cinta muraria, e ora di conseguenza anche i due spazi, siano appartenuti alla Fortezza. Il sindaco Carlo Masci ha visitato il sito per verificare lo stato dei luoghi e di conservazione delle strutture rinvenute. "La nostra città è sempre stata al centro di una sorta di nebulosa circa le sue origini - spesso volutamente costruita - anche se diverse sono le prove documentali e fisiche che dimostrano il percorso che da Ostia Aterni in poi ci ha caratterizzato. A differenza di quanto avvenuto in passato – ha continuato – questa volta non sotterreremo o cancelleremo le tracce del passato. Ci daremo da fare perché questo sito divenga un luogo di testimonianza storica che non interferisca con i lavori in atto da parte di Rete ferroviaria Italiana". Di Biase, ruderi sono la Piazzaforte.

Lo studioso Licio Di Biase oggi interviene precisando: "I ruderi sono i sotterranei del Bastione S. Vitale, uno dei sette Bastioni che articolavano la Piazzaforte di Pescara (e non fortezza o castello). Piazzaforte in quanto le mura circondavano l'abitato preesistente. I lavori, infatti, vennero ealizzati nella seconda metà del 1500. Abbiamo testimonianze del 1574 e poi del 1598 che sanciscono i tempi. I lavori, iniziati negli anni '50 del 1500, furono voluti da Filippo II di Spagna, figlio di Carlo V che, dunque, della Piazzaforte non seppe nulla perchè abbondantemente deceduto. Gli spagnoli vollero realizzare questa importante struttura a livello del mare e sulla unica strada di collegamento nord-sud, quale elemento difensivo del confine settentrionale del Regno di Napoli, rappresentato dal Tronto. Nel 1574 è Padre Serafino Razzi che parla di questa grande struttura, ma la prima planimetrie è del 1598 ad opera del Marchese di Celenza, Carlo Gambacorta".
"I Bastioni erano, come già detto, sette e ogni Bastione aveva dei sotterranei, per cui i rinvenimenti di questi giorni sono relativi al sotterraneo del Bastione San Vitale su cui le ferrovie nel 1863 poggiarono i binari e, ovviamente, le vecchie mura della Piazzaforte furono contaminate dai lavori delle ferrovie stesse. Il rinvenimento è di eccezionale valore storico-documentario per la città, soprattutto per conservare pezzi di memoria, come la città non è riuscita a fare nel 1973 quando, anche a quel tempo grazie ai lavori delle ferrovie, vennero individuati i sotterranei del Bastione S. Antonio, dietro al Centro Nazareth, ma immediatamente rinchiusi e resi inaccessibili dalle stesse ferrovie. Ma quei sotterranei furono fotografati da Luigi Baldacci e sono testimonianze importanti.

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Il Castello e la Torre – Casa dei Montano di Salve
Da lavocedimaruggio.it del 12 maggio 2020

Più che un castello, quello di Salve era in origine un piccolo fortilizio edificato dagli abitanti, a cavallo fra il XIV ed il XV secolo e terminato nel 1415, con compiti di difesa contro le incursioni dei pirati ottomani provenienti dal mare. La struttura originaria presentava quattro torri agli angoli ed era dotata di un fossato sulla facciata principale, scavalcabile per mezzo di un ponte levatoio in legno.

Successivamente vennero erette nel paese delle torri, di cui particolare interesse desta la Casa Torre dei Montano, risalente al 1563, data che appare su una delle garitte di forma semicircolare di cui è dotata la struttura, alla quale venne addossato nel XVII secolo, precisamente nel 1617 come riporta un’incisione su una finestra al piano nobile, un palazzo col quale oggi forma un unico complesso architettonico.

L’insieme si presenta a pianta all’incirca quadrangolare, con torrette, o garitte, agli angoli. La torre è caratterizzata da grate e feritoie, mentre alcune mensole scolpite danno al complesso una certa grazia ed eleganza.

La struttura è stata adibita a varie destinazioni nel corso degli anni.

Cosimo Enrico Marseglia

 

La Rocca d'Anfo su Le Monde
Da vallesabbianews.it del 11 maggio 2020

di Cesare Fumana

L’edizione online del noto giornale francese alcuni giorni fa ha pubblicato un articolo dedicato alla fortezza napoleonica valsabbina che ha incantato l’architetto Philippe Prost «La scoperta di un edificio che lo ha segnato per la vita». Così viene scritto nell’articolo pubblicato sabato sull’edizione online di Le Monde, noto e prestigioso giornale francese, in riferimento alla Rocca d’Anfo, la fortezza napoleonica che si affaccia sul lago d’Idro, che ha incantato Philippe Prost, architetto e urbanista parigino, conosciuto per alcuni importanti progetti internazionali. L’articolo, a firma di Isabelle Regnier, riporta come l’architetto francese abbia scoperto il complesso militare valsabbino durante le ricerche, presso la biblioteca del Genio a Parigi, per la sua tesi sul lavoro degli ingegneri militari, imbattendosi nelle carte del progetto.

Un progetto all’avanguardia per l’epoca, realizzato utilizzando metodologie nuove: «Ho scoperto un piano tecnico con linee di contorno equidistanti. Questo tipo di documento è ottenuto da un'indagine di rilievo, una forma di cartografia che decolla con Gaspard Monge, il fondatore dell'École Polytechnique». Monge, infatti, è passato alla storia soprattutto per la rappresentazione grafica di carattere tecnico, come padre della geometria descrittiva e codificatore del metodo delle proiezioni ortogonali.
Philippe Prost si chiese, allora, se questo progetto era rimasto sulla carta oppure era stato effettivamente realizzato, e così scoprì dell’esistenza della fortezza in Valsabbia. A metà degli anni 80 riuscì ad avere il permesso di visitare il sito, allora ancora di proprietà dell’Esercito e fu accompagnato da un militare.
«Ritornerò due volte – racconta Prost – il secondo con una scala che mi permetterà di salire più in alto nella torre, ma non in cima, poiché gli sbarchi sono stati demoliti. Andrò alla biblioteca Firestone dell'Università di Princeton, dove sono stati conservati i libri di lavoro, che scriverò nei minimi dettagli, scriverò un articolo per la rivista italiana Casa Bella, farò una mostra presso Istituto Italiano, che mi porterà a scoprire il modello del sito che è stato tenuto in scatole nel seminterrato degli Invalides».
Prost rimane colpito da questa bellezza architettonica e dall’opera degli ingegneri militari dell’epoca, i primi formati alla scuola del Politecnico di Parigi. «È la portata dello sguardo che detta l'architettura – sono le considerazioni di Prost –, dalla posizione del sito, alla torre e alle casamatte che si dispiegano nelle fessure della roccia, con i loro coni di vista che spazzano lo spazio. Da questa razionalità emerge una bellezza inaspettata e strana, che non si assocerebbe necessariamente all'architettura militare.
Questa parentesi sarà stata resa possibile dai progressi della scienza e della tecnologia, dal fatto che stavamo costruendo lontano dai confini della Francia, che potevamo permetterci di sperimentare». A Vallesabbianews questo articolo è stato segnalato da Giovanni Zanolini, valsabbino originario di Livemmo di Pertica Alta, dove ha ancora tutti i parenti e una casa. Lui abita in Francia da 20 anni (vicino a Cannes) e insegna italiano ad Antibes al liceo J. Audiberti.

Lo ringraziamo per la segnalazione e per averci inviato il testo dell’articolo.

 

MONCENISIO: STORIA DI BATTAGLIE E FORTIFICAZIONI. DIRETTA STREAMING MARTEDÌ 12 MAGGIO
Da lavalsusa.it del 11 maggio 2020

Continua il percorso storico, promosso dall’Associazione Monte Chaberton – 515^ Btr. Gaf”, spostandoci di qualche chilometro rispetto alla vetta che ospitava la famosa batteria, su un tratto di confine storicamente ben più importate: il valico del Moncenisio, a cavallo tra le valli Cenischia e dell’Arc,limitatamente ad un particolare periodo storico a noi ancora vicino. A partire dagli anni Trenta, la sistemazione difensiva del Moncenisio fu completamente rivoluzionata dalle imponenti realizzazioni del “Vallo Alpino del Littorio”, l’estesa linea fortificata che il regime fascista e lo Stato Maggiore del Regio Esercito avevano voluto estendere su tutto l’arco alpino, da Ventimiglia a Fiume.
I progetti, attuati tra il 1933 ed il 1940, portarono alla sviluppo, sul Moncenisio, di ben tre linee difensive: solamente la prima linea risultò essere quasi ultimata allo scoppio del secondo conflitto mondiale ed alle ostilità con la Francia.

La sistemazione difensiva annoverava tra centri di resistenza, batterie in caverna, postazioni e ricoveri truppa, circa una sessantina di opere, distribuite su un fronte molto ampio e frastagliato che, partendo dal Malamot, seguiva la cresta Pattacreuse sino ai Rivers, piegava per raggiungere Forte Varisello ed il lago e risaliva sulla riva opposta, dalla vecchia statale sino al Forte Roncia e alla cresta del Lamet. In un percorso virtuale Mauro Minola ed Ottavio Zetta, autori del libro “Moncenisio battaglie e fortificazioni” ed. Val Susa, ci condurranno all’interno delle opere di questa vasta linea di difesa con particolare riferimento alle operazioni del giugno 1940 ed aprile 1945, senza trascurare l’importanza economica e strategica dell’ omonimo Ospizio e delle dighe che alimentarono la nascente industria metalmeccanica torinese.

L’appuntamento è in diretta streaming martedì 12 maggio, alle ore 21, sulla pagina Facebook Monte Chaberton.

 

Restauro Arsenale, al via a giugno i lavori sulle coperture
Da primadituttoverona.it del 10 maggio 2020

L’intervento, che prevede un investimento di 60 mila euro, anticipa i lavori di bonifica che saranno realizzati contemporaneamente al primo lotto di restauro del compendio militare austriaco.

Previsto un investimento di 60 mila euro.

Messa in sicurezza

Partiranno a giugno i cantieri di messa in sicurezza delle coperture della palazzina di comando dell’ex Arsenale. L’intervento, che prevede un investimento di 60 mila euro, anticipa i lavori di bonifica che saranno realizzati contemporaneamente al primo lotto di restauro del compendio militare austriaco. In vista di questo specifico intervento, all’inizio di giugno, il Comune provvederà a recintare due aree all’interno della corte sud dell’ex Arsenale.

Nessun pericolo per i cittadini

Le transenne saranno disposte in modo tale da creare due porzioni triangolari che lasceranno libero accesso alla corte, ma impediranno di camminare su quella parte di superficie interessata dalla bonifica. Non ci sono pericoli per i cittadini, ma la recinzione serve per evitare che il terreno venga rimosso o spostato, anche per gioco.

Il commento dell’assessore Segala

“Il progetto di restauro dell’Arsenale – dice l’assessore alla Pianificazione Urbanistica Ilaria Segala – si sta concretizzando. I lavori sulle coperture della palazzina di comando rappresentano il primissimo passo di un intervento complessivo che comprende anche la bonifica dell’area. Come Amministrazione ci siamo fatti carico di un’analisi seria e approfondita sulla presenza e sui valori degli inquinanti rinvenuti nei terreni dell’Arsenale. Era necessario realizzare questo tipo di indagini, in modo da garantire una soluzione definitiva al problema dell’inquinamento del suolo, in vista della partenza dei cantieri. Ora che le indagini sono concluse, abbiamo ben chiare le aree in cui intervenire e, di conseguenza, abbiamo definito un accurato piano di bonifica che sarà realizzato assieme al primo lotto di restauro dell’Arsenale”.

 

Sperone, storia e leggenda di uno dei forti più importanti di Genova
Da lavocedigenova.it del 9 maggio 2020

Dalle battaglie tra guelfi e ghibellini agli assedi degli austriaci, fino alle rivolte popolari e alla truce leggenda dell’omicidio e del fantasma

Genova, Forte Sperone. Foto di libero utilizzo –Bbruno -CC

Nella zona del Righi, a 489m di altezza, sorge una delle strutture più importanti delle fortificazioni di Genova, il forte Sperone, sulla cima del monte Peralto. La fortezza, collega le due cinta difensive domina il capoluogo. L'unione delle due mura, quella sul versante della Val Polcevera e quella sul versante della Val Bisagno, dà luogo ad un particolare bastione angolare, la cui forma assomiglia alla prua di una nave, da cui nasce il nome “Sperone”. Già dai documenti del 1319 sorgono notizie di una “Bastia del Peralto”, una fortezza ghibellina in legno e poi in pietra. Nel 1530 vennero stanziati 7400 lire dalla Repubblica di Genova per una ristrutturazione importante, che fu inglobata nelle “Mura Nuove” costruite tra il 1629 e il 1633. Nel 1747 il forte subì un assedio da parte degli austriaci, che procurarono ingenti danni. Solo alla fine della guerra ricominciarono i lavori di ricostruzione che portarono il forte alle sembianze che tutt’oggi possiamo osservare. I lavori proseguirono fino al 1830, e fu completata con una cinta muraria che proteggeva il forte dalle sommosse popolari dei genovesi, con annesso il portale monumentale d’ingresso, sovrastato dallo stemma dei Savoia in marmo e dotato di un ponte levatoio, ancora presente con il suo meccanismo di sollevamento.

Genova, Forte Sperone, il bastione angolare che dà il nome al forte. Foto di libero utilizzo –Bbruno -CC

Tra gli altri elementi architettonicamente molto significativi ci sono la polveriera, ancora ben conservata nella parte bassa del forte, la caserma centrale con le sue stanze e la cappelletta annessa.Tra la storia del forte, spicca anche una leggenda, a dir poco violenta, ambientata nel ‘600. La storia narra di un uomo possente e robusto, che un giorno incontrò sul Peralto una giovane pastorella, che riuscì ad attirare in un luogo appartato per poi violentarla e ucciderla mordendola alla gola. A quanto pare il fantasma dell’assassino tornò a fare visita a qualcuno all’inizio del ‘900, quando un gruppo di persone si recò nel forte per fare una seduta spiritica. Fu in questa apparizione mistica che l’uomo confessò i suoi crimini, dichiarando il suo tormento e i lamenti dei fantasmi della povera fanciulla e del suo cane, che il giorno dell’omicidio, era con lui.

Per scoprire altre storie, leggende e segreti della Liguria: “Borghi imperdibili della Liguria”, “Miti&Misteri della Liguria” e “Liguria da scoprire” di Dario Rigliaco (editoriale programma editore), in tutte le librerie.

Per seguire l’autore: Facebook: dario rigliaco autore Se volete conoscere la storia o la leggenda legata al vostro borgo o a un luogo della Liguria a cui siete particolarmente affezionati, potete fare una richiesta a dariorigliaco@gmail.com

 

IL CASTELLO senza tempo
Da napolispot.com del 9 maggio 2020

Sembra quasi sfiorare il cielo azzurro di Partenope; lassù, dal Vomero, l’antica fortezza, maestosa, domina la città. Da qui e da ogni suo angolo della città se ne può osservare un pezzo; è possibile riannodare i fili della storia e lenire patimenti lasciandosi catturare dalla dolcezza di certi panorami sempre gli stessi ma mai uguali. Puoi abbracciare il mare con gli occhi da quassù e le isole che, viste da qui, sembrano tranquille, dolcemente assopite. Le acque del mare appaiono rigate dalle imbarcazioni che si affiancano e si incrociano in un febbrile andirivieni.

Ha una lunga storia questo monumento: le prime notizie risalgono al lontano 1275, ai tempi di Carlo d’Angiò. La trasformazione da piccola fortificazione a castello la dobbiamo, invece, a Roberto d’Angiò che alla fine degli anni trenta del Trecento affida a Tino di Camino – già impegnato nel vicino cantiere di San Martino – i lavori di ampliamento. Termineranno qualche anno dopo la morte dell’architetto senese, quando giá la denominazione era ‘Castello di Sant’Erasmo’ evidentemente per la presenza di una cappella dedicata al Santo.
Per vederlo così come lo conosciamo oggi bisogna aspettare la prima metà degli anni cinquanta del Cinquecento – quando già il nome era diventato Castel Sant’Ermo ed infine Sant’Elmo – quando il viceré Don Pedro da Toledo affida l’incarico di un ulteriore ampliamento ad un noto architetto del tempo Pedro Luis Escrivá, molto famoso per essere tra i migliori nel campo delle costruzioni di fortificazioni. Ed ecco che l’edificio assume quella sua particolare forma esagonale che ancora oggi lo caratterizza. Eccolo trasformarsi in vera e propria cittadella con tanto di piazza d’armi ed anche la presenza di un castellano. Molti ed importanti sono stati gli architetti coinvolti nei lavori che hanno costituito la storia della nota fortezza che svetta sulla città. Tra questi si aggiunse anche Domenico Fontana – che pure nei primi anni del Seicento era impegnato nella costruzione di Palazzo Reale-che ebbe l’incarico di risistemare il Castello a seguito dell’ennesimo danneggiamento questa volta dovuto ad un fulmine. Nonostante molti altri interventi – necessari – la struttura è sostanzialmente rimasta quella di allora. Ma il magnifico castello fu usato molto più spesso come prigione. Nel 1799, vi furono rinchiusi alcuni patrioti della Repubblica Napoletana tra i quali Mario Pagano e Luisa Sanfelice.
Oggi, percorrendo la ripida rampa e superando il portale d’ingresso in piperno ornato dallo stemma imperiale di Carlo V si può raggiungere la piazza d’armi nella parte più alta del Castello che oggi accoglie diverse opere di artisti contemporanei. Quella che fu fortezza e, poi, prigione è ora un luogo dove liberare lo sguardo, ammirare la straordinaria intensità di un panorama della città unico e quella di opere di artisti contemporanei disseminate lungo tutto il percorso di visita. Mimmo Paladino, Rosy Rox, Sergio Fermariello sono solo alcuni dei nomi di artisti presenti a Castel Sant’Elmo e che hanno reso questo luogo uno spazio unico di bellezza e creatività in costante dialogo.

FOTO REPORTAGE DI GIUSEPPE CODISPOTI

 

Il Forte di Exilles, l’antico bastione dove fu imprigionata la Maschera di Ferro
Da lagendanews.com del 8 maggio 2020

di ANDREA CARNINO

EXILLES – Il Forte di Exilles, l’antico bastione dove fu imprigionata la Maschera di Ferro. Monumento emblematico della Valsusa insieme alla Sacra di San Michele, il Forte di

Ubicato in posizione dominante al centro di una strettoia dell’alta valle, l’edificio viene citato per la prima volta nel VII secolo.

Nel 1155 diventa di proprietà dei Bermond di Besançon, conti di Albon. La nobile famiglia voleva proteggere militarmente la strada che porta al Colle del Monginevro. Nel 1339 il forte è di forma quadrangolare, con torri, stalle e magazzini esterni.

LA CONTESA TRA SABAUDI E FRANCESI

A fine XV secolo diventa deposito per munizioni dell’esercito del re francese Carlo VIII. Nel secolo successivo viene conteso tra francesi e sabaudi.

Cade in mano francese nel gennaio 1595 e lo rimarrà fino al 1708. La dinastia capetingia ne rinforza le difese, rimoderna la struttura e fa costruire la rampa reale.

Lunga un chilometro, conduce all’ingresso principale. Da qui due ripide salite a tenaglia conducono alla cittadella vera e propria.

È edificata intorno all’enorme cortile del cavaliere. I francesi fanno costruire la cappella, oggi utilizzata per concerti e scavare il pozzo profondo 70 metri. Il forte diventa uno snodo logistico di primaria importanza.

IL FORTE DI NUOVO SABAUDO

di Vittorio Amedeo II di Savoia riescono ad aggirare il fronte attraverso i colli che mettono in collegamento Bardonecchia con la Moriana.

Il forte viene così attaccato dalla parte dell’alta valle e torna di proprietà sabauda.

Con il Trattato di Utrecht del 1713 Vittorio Amedeo II ottiene la corona reale e l’intera Valle di Susa, compreso il Forte di Exilles, entra a far parte del neonato Regno di Sicilia.

La nazione dopo poco diventa Regno di Sardegna. Il re dopo essere stato incoronato a Palermo, in seguito alle trattative di Londra e dell’Aia, cede infatti la Sicilia all’Austria in cambio della più vicina Sardegna.

GLI ALPINI

Il forte viene ancora rafforzato diventando un vero e proprio gioiello d’arte militare.

Riesce così a resistere nel 1745 alle truppe francesi che durante la Guerra di Successione Austriaca tentano di invadere la bassa Valsusa. Demolito durante l’occupazione napoleonica, viene ricostruito con il ritorno dei Savoia in Piemonte e aggiornato alle nuove esigenze militari.

Diventa quindi sede del battaglione Exilles del 3° Reggimento alpini. Disarmato durante la Prima Guerra Mondiale, trascorre gli ultimi anni di utilizzo come centro addestramento reclute. Abbandonato definitivamente dall’esercito l’8 settembre 1943, il forte cade nell’oblio per molti anni.

IL FORTE OGGI

Nel 1978, con l’impegno di ristrutturarlo, la Regione Piemonte lo acquisisce dal Demanio Militare con comodato. Ne diventerà proprietaria il 30 ottobre 2019. L’edificio grazie agli interventi di restauro è tornato agli antichi splendori. Oggi ospita due aree museali che presentano la storia del corpo militare degli Alpini e quella dell’edificio. Durante la stagione estiva è teatro di numerosi eventi.

LA MASCHERA DI FERRO

A questo luogo è legata la leggenda della Maschera di Ferro che vi soggiornò dal 1681 al 1687. La presenza di questo personaggio nel forte è documentata da un carteggio dell’epoca. Questa misteriosa figura aveva il volto sempre coperto da una maschera di velluto nero. Godeva di un trattamento di favore che gli garantiva cibo scelto e vestiti costosi. Poteva togliersi la maschera per mangiare e dormire, ma la doveva indossare in presenza di altre persone. Sulla sua identità circolano diverse ipotesi.

LE IPOTESI

Poteva trattarsi del fratello gemello di Re Luigi XIV, tesi avvalorata da Voltaire. Oppure del padre naturale del Sovrano, scelto tra i discendenti dei Borbone per procreare. Luigi XIII e Anna d’Austria erano infatti sposati da ventitré anni senza figli e mancavano altri eredi maschi.

Seguendo questa ipotesi bisogna tenere conto che la Regina due anni dopo ha partorito un altro erede maschio. Titolato Duca d’Orleans, è l’antenato degli attuali esponenti della Famiglia Reale. Secondo altre fonti parrebbe trattarsi del conte Ercole Antonio Mattioli, ministro del duca di Mantova e contemporaneamente a servizio di Luigi XIV. Il conte ingannando Nicolas de Catinat avrebbe procurato un grave danno alla corona francese.

Oggi è possibile visitare la “cella della Maschera di Ferro”, anche se è stata costruita trecento anni dopo la sua morte.

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Il Castello e la Torre di Minervino Murge
Da lavocedimaruggio.it del 8 maggio 2020

Posto sulla collina più settentrionale del paese, il Castello di Minervino ha sempre occupato, sin dall’epoca della sua costruzione, una posizione di notevole importanza strategica. Il primo nucleo della struttura risale all’epoca normanna, probabilmente intorno al 1042, tuttavia fu soggetto a diversi interventi di ampliamento ed adeguamento sino agli inizi del XIV secolo, sotto la signoria di Giovanni Pipino. Negli anni 1341 e 1350 la fortezza fu teatro di alcuni scontri armati fra le famiglie rivali Pipino e del Balzo, mentre agli inizi del XVI secolo fu abitato dall’eroe francese Cavalier Bayard, conosciuto anche come Cavaliere senza macchia e senza paura, all’epoca delle contese fra Francesi e Spagnoli per il possesso del Regno di Napoli.

Divenuti Signori di Minervino i Principi Pignatelli, il castello fu oggetto di diversi interventi di ristrutturazione fra il 1619 ed il 1657, che lo trasformarono in dimora residenziale signorile. In particolare venne aggiunto un nuovo corpo di fabbrica anteriore con una nuova facciata principale, separato dal nucleo normanno da un ampia corte. Inoltre venne costruito un passaggio interno fra la fortezza e la chiesa, all’epoca dedicata a San Francesco ma oggi conosciuta come Sant’Antonio, allo scopo di permettere ai principi di assistere alla messa senza attraversare il suolo pubblico.
Il castello nel corso degli anni è stato adibito alle più svariate funzioni, sino a non molti anni fa infatti era sede contemporaneamente del Comune, della Pretura, del Commissariato di Pubblica Sicurezza, della locale Stazione dei Carabinieri ed anche del carcere mandamentale. Oggi è sede del Municipio, del Museo Archeologico e dell’Ufficio del Giudice di Pace.
La struttura si presenta a pianta quadrangolare con un ampio cortile centrale che separa, come già asserito, il nucleo antico, posto sul versante settentrionale, dalla residenza seicentesca.
Altra struttura fortificata presente nel paese è la, edificata fra il 1454 ed il 1462 da Pirro del Balzo, figlio del Duca di Andria Francesco, che aveva sposato Maria Donata Orsini, figlia ed erede di Gabriele, Duca di Venosa e Barone di Minervino Murge, defunto proprio nel 1454. Come luogo per l’erezione della torre venne scelta una delle ultime propaggini collinari delle Murge nordoccidentali, a sud del paese, ed aveva funzioni essenzialmente di osservazione, come riportato su un’antica lapide, sovrastata dal blasone dei del Balzo. Oggi purtroppo sia l’epigrafe che lo stemma sono scomparsi, a causa dei vari atti vandalici perpetrati nel corso degli anni.

La struttura si collocava all’esterno del paese sino alla fine del secolo XVII, quando l’abitato cominciò a svilupparsi oltre il nucleo storico, in direzione sud, ed attualmente è letteralmente soffocata dalle abitazioni costruite intorno. In tempi recenti è stato costruito un chiosco sulla sua sommità, che continua l’opera di deturpamento.
La torre si presenta in forma cilindrica e si sviluppa su diversi livelli collegati fra loro da scale lignee mobili per motivi puramente di difesa. Le mura sono molto spesse. Un tempo la sua difesa era garantita da un bastione a pianta quadrata che la circondava, esistente sino al XII secolo ed in seguito inspiegabilmente demolito, sul cui versante interno erano addossati dei piccoli locali adibiti a magazzini, depositi e stalle. La struttura è interamente circondata da abitazioni.

Cosimo Enrico Marseglia

 

Torre Squillace, altri 25mila euro per renderla fruibile
Da corrieresalentino.it del 8 maggio 2020

NARDO’ (Lecce) – Torre Squillace, che sorge al confine nord del territorio neretino e che nel 1500 faceva parte del sistema difensivo costiero del Regno di Napoli, sarà presto fruibile anche all’interno. La Regione Puglia, infatti, ha finanziato con 25 mila euro un intervento di conservazione dell’immobile, nell’ambito delle risorse della legge regionale n. 44/2018 sulla tutela e fruibilità delle torri costiere pugliesi. Intervento cui il Comune di Nardò contribuirà con altri 5 mila euro di cofinanziamento.

La volontà dell’amministrazione comunale è quella di preservare l’immobile dal degrado e di valorizzarlo a fini turistici e culturali. Il progetto destinatario del finanziamento, che porta la firma dell’architetto Alessandro Giuri e che ha beneficiato del supporto in termini di idee e proposte del comitato “Torre Squillace – Villaggio San Lorenzo”, prevede innanzitutto l’asportazione della vegetazione erbacea le cui radici sono un rischio per la struttura muraria. Si procederà poi con la sostituzione degli elementi esterni in pietra che sono degradati e con interventi importanti nel vano al primo piano: rimozione della microflora, raschiatura di graffiti, scritte e segni vandalici, consolidamento dello strato corticale, ripristino delle parti d’intonaco mancanti, stuccatura e tinteggiatura, integrazione e pulitura del pavimento in graniglia di marmo. Saranno installate, inoltre, porte e finestre (attualmente assenti) e sarà ripristinato il muretto a secco di recinzione. Tutto ciò renderà possibile la fruizione del bene.

Le risorse a disposizione per Torre Squillace, così, diventano complessivamente 65 mila, considerando i 35 mila euro già messi a disposizione dal progetto “Rigeneri AMO la Natura” di Intesa Sanpaolo e Legambiente, finalizzato a valorizzare quattro oasi del sud Italia attraverso una raccolta fondi partita in occasione della ventiduesima edizione del festival “La Notte della Taranta”, nell’agosto 2019. Risorse che serviranno invece a migliorare la fruizione dell’area intorno alla torre in termini di accessibilità attraverso la realizzazione di percorsi guidati che permettano la massima godibilità dei punti di vista panoramici più belli (attraverso staccionate in legno, arredi e attrezzature, tabelle descrittive e altri interventi di minimo impatto e massima compatibilità paesaggistica). Favorendo, di fatto, la possibilità di aggregazione e incentivando al rispetto dell’ambiente e del paesaggio.
“Questa è una torre preziosa da un punto di vista storico, culturale e ambientale – spiega l’assessore all’Ambiente Mino Natalizio – e per questo si presta anche alla piena fruizione. La storia che può vantare, la sua importanza architettonica e il contesto straordinario in cui è posta, sono elementi che ci permettono di creare un motivo di attrazione in questa parte del nostro territorio. Già interessata da interventi di consolidamento nel 2009 e poi “attrezzata” con telecamere di videosorveglianza per l’ispezione continuativa dell’intorno, con questi ulteriori pacchetti di risorse disponibili la torre potrà diventare il centro di un’area molto più accessibile e fruibile. Con orgoglio posso dire che confermiamo la spiccata sensibilità del territorio per la difesa dell’ambiente e della natura. Grazie per questo ulteriore finanziamento alla Regione Puglia, al presidente Emiliano e all’assessore Piemontese”.
Torre Squillace è situata al centro dell’Area Marina Protetta e segna il confine nord della costa del comune di Nardò. Si staglia in un’ampia zona pianeggiante, a pochi passi da una piccola baia sabbiosa e circondata da vegetazione mediterranea. Il bene appartiene alla tipologia della “Serie di Nardò” caratterizzata da particolari elementi costruttivi come la tipica scala monumentale esterna. Ha una struttura a pianta quadrata e, al primo piano, un unico vano con volta a botte. Nel pavimento è presente una imboccatura che consentiva l’approvvigionamento idrico dalla cisterna sottostante racchiusa all’interno del basamento. La costruzione della torre rientra nel più vasto progetto, pianificato da Carlo V, per la realizzazione di un sistema difensivo lungo i 1500 chilometri di costa del Regno di Napoli. Secondo alcune fonti, la costruzione della torre, allora denominata Scianuri o Scianuli, risale al 1567. Una curiosità: nel 1707 nella torre furono rinchiusi 16 turchi naufragati lungo la costa e costretti a osservare una quarantena per evitare la diffusione della peste. Nel 1820 fu ceduta in custodia alle guardie doganali per poi essere affidata nel 1829 all’Amministrazione della Guerra e della Marina. Nel 1940 divenne una postazione di artiglieria dell’Esercito, attiva fino all’armistizio del 1949.

 Riapre al pubblico il parco della storica fortezza di Mont’alfonso
Da giornaledibarga.it del 7 maggio 2020

CASTELNUOVO DI GARFAGNANA – Chiusa dallo scorso 23 marzo a causa dell’emergenza da Covid 19 per il divieto di assembramenti e rischio di contagio dal virus, riapre al pubblico da oggi, 7 maggio, la storica Fortezza di Mont’Alfonso a Castelnuovo Garfagnana, anche se limitatamente al grande parco di circa 5 ettari racchiuso dalla cinta muraria fatta costruire, così come gli edifici in essa compresi, tra il 1579 e il 1586 da Alfonso II d’Este su progetto di Marc’Antonio Pasi.
La riapertura delle aree verdi della fortezza è frutto di un accordo tra la Provincia di Lucca e il Comune di Castelnuovo Garfagnana che hanno deciso, quindi, di consentire l’accesso al parco in condizioni di sicurezza: distanziamento fisico e mascherine indossate da parte dei visitatori.
La Provincia, così come prevedono le norme igienico-sanitarie derivanti dall’emergenza da Covid 19, ha sanificato tutte le aree di nuovo accessibili. La Fortezza sarà aperta dalle 8,30 alle 18 con ultimo accesso previsto alle 17,30. In loco, all’ufficio accoglienza, sarà presente un addetto della Provincia che attraverso gli schermi collegati alle telecamere controllerà che siano rispettate le distanze di sicurezza. Per il rispetto degli obblighi di distanziamento fisico è previsto anche un controllo periodico da parte della Polizia municipale di Castelnuovo Garfagnana.
Come prevedono, inoltre, gli accordi tra Provincia e Comune, dal lunedì al venerdì sarà presente al punto accoglienza personale provinciale mentre il sabato e la domenica, grazie all’accordo tra i due enti, è prevista la presenza dei membri dell’Associazione Autieri della Garfagnana.

Per maggiori dettagli e informazioni storiche: www.montalfonso.it (http://www.montalfonso.it/)

 

Montagnana, scoprire la Città Murata - E' una delle destinazioni più interessanti del Veneto, scopriamo il perchè
Da turismo.it del 7 maggio 2020

Adagiata tra i Colli Euganei, a pochi chilometri da Este, si trova la cittadina di Montagnana. Siamo in provincia di Padova, e il borgo spunta quasi come una visione nella distesa della pianura veneta. A colpire subito sono le possenti mura (nella foto sotto), che arrivano ad un'altezza di 8 metri, e le 24 torri di guardia. Montagnana, infatti, è conosciuta come la Città Murata, e proprio le sue mura, perfettamente conservate, sono tra le più affascinanti in Europa.

Già in tempi antichi il borgo era noto per il suo Castelliere, una struttura che si ergeva su un terrapieno e una rudimentale recinzione che proteggeva le abitazioni costituenti il primo nucleo cittadino. Fu durante il periodo romano che la cinta muraria venne irrobustita, cosa che fecero anche gli Estensi che ne aumentarono la robustezza.

Quelle che erano le mura originarie furono però distrutte nel 1242 dal Signore di Padova Ezzelino da Romano, che fece erigere il Castello di San Zeno a suggellare la sua vittoria.

Ammirare le mura e le porte

La passeggiata lungo la cinta muraria di Montagnana si sviluppa per circa 2 chilometri e permette di ammirare le mura del Trecento volute durante la signoria dei Carraresi di Padova. Vennero realizzate in trachite, mattoni e scaglie di calcare e da allora non sono mai state modificate. La porta di accesso più importante è Porta Padova, quella che attraversa il Castello di San Zeno, dominato dal mastio che tocca i 40 metri di altezza. Dopo aver svolto la sua funzione di difesa e dopo decenni di abbandono, il Castello è stato recuperato ed adibito a sede per l’Ufficio Turistico, la biblioteca e l’archivio comunale oltre ad ospitare il Museo Civico Giacomelli (qui altre informazioni).

Proseguendo verso destra e percorrendo le mura Nord si incrocia, vero metà, Porta Vicenza, che fu aperta nel 1500 per permettere un accesso più semplice al fiume Frassine. Si continua nella stessa direzione per incontrare la seconda porta storica, ovvero Porta Legnago con la Rocca degli Alberi (nella foto sotto), quest’ultima eretta tra il 1360 e il 1362 come gran parte delle mura grazie alla famiglia dei Carraresi. Successivamente si svolta per arrivare a Porta XX Settembre, da cui si gode il panorama sulle mura sud e la sagoma del campanile della Chiesa di San Francesco, una delle immagini più iconiche della cittadina. Costeggiando le mura all’interno, però, si incontrano gli scorci più pittoreschi. Si può scegliere tra due percorsi, il tratto di mura prima e dopo la Chiesa di San Francesco e le case colorate e addossate ai muri a destra e sinistra di Porta Vicenza.

Passeggiata per il centro

A dominare il centro c’è il Duomo, affacciato su Piazza Vittorio Emanuele II, la principale di Montagnana. Dedicato a Santa Maria Assunta, si presenta con le sue linee tardo gotiche a cui si sono aggiunte le modifiche del tardo Rinascimento, e il suo interno è arricchito dalla Trasfigurazione di Paolo Veronese, dipinti di Giovanni Buonconsiglio del Cinquecento e diversi altri affreschi tra cui la Giuditta e il David che in molti sostengono sia di Giorgione. Una particolarità la si può notare se si ci trova in piazza a mezzogiorno: la posizione asimmetrica della cattedrale rispetto alla piazza segue in realtà la direzione dei punti cardinali e l’ombra appare sulla facciata partendo dalle due sfere poste sulle sulle colonne ai lati del portone.

La facciata della chiesa, quindi, funge anche da meridiana. Sempre su Piazza Vittorio Emanuele II si trova anche Palazzo Valeri e, poco più lontano, c’è l’antico Monte di Pietà. In Via Matteotti si trova Palazzo Magnavin Foratti, in stile gotico veneziano, che con tutta probabilità era la ex residenza della moglie del condottiero Erasmo da Narni. Il Municipio sorge in Via Carrarese e venne realizzato nel 1532, mentre la tardo romanica Chiesa di San Francesco (nella foto di sotto), con l’annesso monastero delle clarisse, sorge a pochi metri dalle mura e al suo interno è conservato un notevole organo del celebre artigiano Callido del Settecento.

La gastronomia tipica

Montagnana vanta un prosciutto crudo dolce eccellente, che non ha nulla da invidiare al Parma e  al San Daniele anche se è molto meno conosciuto. A lui è dedicata la festa che si tiene ogni anno a maggio con degustazioni, eventi, spettacoli e appuntamenti culturali: l’occasione ideale per scoprire uno dei prodotti principe della gastronomia da degustare assieme agli altri prodotti della tradizione. A questo proposito vieni a dare un’occhiata qui. In pochi sanno che, oltre ad essere protagonista di ogni aperitivo, si trova anche in formato “cono da passeggio” (basta andare nella storica Gastronomia Zanini). Per un altro spuntino veloce si deve assaggiare lo schizzotto o schissotto, una focaccia senza lievito che si sposa benissimo col crudo dolce e i formaggi locali. I piatti tipici sono quelli della cucina padovana, come bigoli (spaghetti grossi e ruvidi) e i tradizionalissimi risotti tra cui quelli con piselli, asparagi, o radicchio. Anche i secondi piatti seguono la linea della tradizione, specie con il bollito misto alla padovana, il prosciutto di petto d’oca, i salami, la soppressa, la salsiccia luganega e il cotechino.

 

Il Generale Scrittore E L'Isola Di San Paolo: Storia Di Una Fortezza Abbandonata
Da extramagazine.en.it del 6 maggio 2020

Pubblicato da: Michele Fiorentino

Nel Mar Grande di Taranto sono chiaramente visibili le isole Cheradi, dal greco choirades. L’arcipelago era composto da tre isolotti, San Paolo, San Pietro e San Nicolocchio, quest’ultima sommersa nel tempo dal mare. Le isole erano sotto la giurisdizione della Chiesa ma nel 1594 la flotta turca assalì le coste ioniche e dopo violenti combattimenti furono sconfitti dalla flotta cristiana guidata dai Vescovi di Taranto e Mottola.
Nel 1796 l’Imperatore Napoleone Bonaparte decise di creare un avamposto fortificato nella rada di Taranto per supportare una eventuale campagna militare in Egitto.

Fortificò l’Isola San Paolo affidando le costruzioni militari al Generale d’artiglieria Pierre Chonderlos De Laclos. In breve tempo venne costruita sull’isola una pesante fortezza con una doppia cinta di mura difensiva e un fortino al suo interno. Fu dotata di pesanti bombarde e cannoni situati sugli spalti e intorno alla fortezza, assicurando una linea di fuoco per contrastare il naviglio nemico.

Nel 1803 il Generale morì e venne sepolto nella stessa fortezza, creando velate e antiche storie sul suo conto. Nel 1861 con l’avvento del nuovo Regno d’Italia il comando supremo della Regia Marina avviò in difesa delle basi navali una serie di fortificazioni composte da Torri corazzate girevoli muniti di grossi calibri, capaci di offendere il nemico attraverso la loro lunga gittata. Gli sforzi vennero concentrati sulle basi Navali di La Spezia, presso l’isola della Palmaria e Taranto sull’isola di San Paolo, entrambe ubicate in posizioni strategiche, per proteggere la flotta ed usare le strutture e le maestranze dei rispettivi arsenali.

La Cupola della Torre Corazzata Umberto 1 (foto archivio Fiorentino)

Sull’isola San Paolo furono intrapresi una serie di lavori di restauro della vecchia fortezza per consolidare la nuova con la costruzione nel suo interno di solide strutture, ben protette e create per ospitare sulla sommità la pesante torre binata corazzata. La Torre, costruita sulla vecchia batteria Ammiraglio Aubry, fu chiamata ”TORRE CORAZZATA UMBERTO 1”, (la stessa era presente sulla fortezza dell’isola Palmaria) e per movimentarla furono costruiti all’interno della fortezza una serie di locali contenenti i vari sistemi idraulici e possenti motori per poter ruotare la pesante cupola e per la movimentazione dei grossi calibri.
La torre era costruita in lastre di ghisa indurita e ospitava due Cannoni Krupp a retrocarica con sistema di brandeggio singolo, capaci di sparare proietti di grosso calibro dal peso di 920 Kg.ciascuno, trasportati su carrelli posti su binari che attraversavano le varie gallerie sottostanti. La torre in quegli anni fu considerata un capolavoro d’ingegneria.

Negli anni 1930, precisamente il 18 febbraio, con un regio decreto venne creata la Milizia per la difesa territoriale (DICAT). Nella piazzaforte di Taranto tale compito era affidato alla V°Legione della Milmart, costituita da oltre trecento uomini impiegati con il personale del Regio Esercito all’impiego delle batterie costiere, contraeree, sistemi di avvistamento acustico, proiettori e di telefonia, coordinati da una sala centrale di controllo ubicata nella piazzaforte di Taranto.

L’interno della Batteria posta all’ingresso del porticciolo

Sull’isola di san Paolo vennero incrementate le difese per contrastare gli attacchi aerei e accanto alla torre corazzata, (ormai in disuso) furono posizionati due batterie di tiro con cannoni da 120 mm. e sulla postazione superiore del fortino, furono collocate quattro postazioni binati di mitragliere pesanti Breda per uso contraereo, costantemente riforniti dalle riservette, collocate sotto i depositi e trasportate grazie a carrelli elevatori.

Erano presenti due postazioni di vedetta, una accanto alle postazioni contraeree e l’altra sulla sommità della fortezza collegati telefonicamente con tutte le batterie contraeree e con le stazioni contenenti proiettori collegati agli aerofani. All’ingresso del porticciolo era stata costruita una batteria a tiro rapido, (a oggi esistente) e sul perimetrale del porticciolo erano presenti diverse postazioni di mitragliere leggere. Le strutture logistiche dell’isola ospitavano alcuni Mas per il pattugliamento e diversi rimorchiatori, usati dal personale addetto per il servizio posa reti antisiluro e per i meccanismi dei palloni frenanti, inoltre era presente anche il personale delle contraeree leggere montate su zattere. I rimorchiatori curavano costantemente il rifornimento delle munizioni, viveri, acqua, medicinali e il trasferimento del personale per la franchigia in città.

La fortezza dell’isola di San Paolo ebbe il suo battesimo di fuoco la notte dell’11 Novembre 1940, quando gli inglesi con l’Operazione Judgement sferrarono un attacco a sorpresa con aerosiluranti alla flotta italiana ormeggiata in rada e le batterie contraeree effettuarono un violento tiro di sbarramento contraereo, pensando ad un attacco aereo in alta quota.

La foto mostra il fortino superiore dove erano ubicate le mitragliere e in fondo si nota la cupola corazzata con la postazione di vedetta (Archivio Fiorentino)

Durante il corso della guerra le batterie furono usate solo per uso contraereo per contrastare i bombardamenti aerei sulla città. Alla fine della guerra la Marina Militare costruì sull’isola di san Pietro una stazione radio presidiata da un distaccamento militare, abbandonando definitivamente le installazioni sull’Isola di san Paolo.

Con questa piccola descrizione storica della vita militare dell’Isola san Paolo si vuol evidenziare ed incentivare un fattibile recupero da parte delle Autorità preposte dell’enorme patrimonio storico/culturale appartenente all’antica Città di Taranto e magari osare di assistere alla realizzazione di un polo museale storico che potrebbe essere invidiato da tutti.

La storia non si dimentica!

 

Il castello di mercoledì 6 maggio
Da castelliere.blogspot.com del 6 maggio 2020

MARUGGIO (TA) - Torre dell'Ovo a Marina di Torricella E' una torre edificata nel 1473, anno di emanazione dei Capitoli della Bagliva, nell'allora feudo di Maruggio, per difendere il paese dagli attacchi dei Saraceni. La torre attualmente è situata nel comune di Maruggio, al confine con il comune di Torricella, e dà il nome alla marina di quest'ultimo paese. È situata su una scogliera a picco sul mare alta 15 metri, detta Monte dell'Ovo. La torre è una torre tipica del regno, di forma tronco-piramidale e a base quadrata. Le sue dimensioni sono 10,60 m x 10,80 m. Addossate alla sua struttura originaria, vi sono altre tre strutture costruite dopo. Le coperture dei locali, posti a piano terra , sono a "volta"; quelli al primo piano, ai quali si accede con una scala al centro del fabbricato, sono a "voltine in tufo". E’ provvista di caditoie. Comunica ad ovest con Torre Canneto, in Marina di Lizzano e ad est con Torre Moline, in Campomarino di Maruggio.

Alla postazione di avvistamento di "Monte dell’Ovo" stava lo spagnolo "caporale torriero" Michele Galvis. Questo guardiano della Torre, dopo aver prestato servizio per sei anni nella "Terra dell’Ovo", chiese di essere riconfermato. Francesco Carafa, Governatore di Terra d’Otranto, con lettera del 18 aprile 1584, riconfermava "lo spagnolo" a "far la guardia di giorno e di notte, fare i soliti segni acciocché le genti dei luoghi vicini stiano avvisati, poiché accorrendo possano ritirarsi al Fronte dentro la Terra, osservando gli ordini del viceré e attaché il tutto possa egli (il caporale) eseguire con facilità gli diamo la potestà bastante ordinando ai compagni di detta torre che lo debbano trattare, riputare et obbedire come loro caporale et ordiniamo ai sindaci , auditori, eletti et gabelotti del luogo che sogliono pagare detto Caporale che li debbano per il tempo in cui servirà detta torre, corrispondere la solita provisione di quattro ducati mese per mese ete provederlo delle cose necessaria et munizioni di detta torre conforme all’ordine di S.E." (da: Archivio storico di Lecce, 46/6, a. 1584, f. 346). Dopo il "caporale" Galvis, alla fortificazione di "Torre dell’Ovo", prestarono servizio le "guardie" Francesco Bracco (1591), Federico Nica (1681), Oronzo De Donno (1695) e gli "Invalidi" ( 1777).

Nel secolo XIX la Torre divenne sede delle Guardie Doganali. Nel XX secolo, durante la prima guerra mondiale, era utilizzata come "postazione logistico-militare". In seguito, fino agli anni Cinquanta, è stata utilizzata come sede della Marina Militare perché provvista di faro. Abbandonata all’ incuria degli amministratori locali del tempo e alla ingiustificabile indifferenza della Capitaneria di Porto di Taranto, la Torre è stata utilizzata, negli anni Settanta, anche come "pizzeria".

Gli ultimi interventi di piccola manutenzione sono stati effettuati negli anni 1968-1969, allorquando la Torre ha ospitato alcuni membri di una spedizione archeologica della Marina americana (Trocmorton Exspedition dell’Univesità di Pennsylvania) venuti ad esplorare il mare di "Monte dell’Ovo". Il suo mare custodisce i resti di una delle più antiche attività pescherecce del Mediterraneo, ovvero la tonnara, la pesca di tonni. La pesca dei tonni non viene più effettuata da circa 30 anni, tuttavia nei fondali di Torre Ovo possiamo rinvenire le antiche ancore che servivano da zavorra per le barche che gettavano le reti. Nello specchio d'acqua sottostante la torre, quando il mare è calmo e limpido, si possono notare antichi blocchi megalitici con incise scritte greche. Inoltre lo specchio d'acqua sottostante alla torre è molto importante per via della Prateria Pietrificata, la quale è un insieme di monoliti, molti dei quali in posizione eretta.

Si tratta del risultato di una diversa resistenza all'erosione di porzioni differenti della roccia sedimentaria. Quando qui vi era un fondale sabbioso, degli organismi hanno rimaneggiato e compattato il sedimento all'interno delle gallerie che scavavano. Sono proprio queste vie di scavo che hanno resistito all'azione erosiva e il risultato è un "prato" di bastoncelli che richiamano alla mente una prateria. Oggi la torre è in pericolo di crollo a causa della noncuranza degli enti locali.

Altro link suggerito: https://www.youtube.com/watch?v=Ie0OX35uc9k  (video di gabriel888st).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_dell%27Ovo, testo di Tonino Filomena su https://www.lavocedimaruggio.it/wp/torre-ovola-sentinella-del-mare.html,

Foto: la prima è presa da http://sirinoski.altervista.org/windsurf/ovo.html , la seconda è di Marcella Dalla Rena su https://www.flickr.com/photos/10944542@N06/16825878072

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Il Castello o Palazzo Ducale Pignatelli di San Marco la Catola
Da lavocedimaruggio.it del 5 maggio 2020

Il primo nucleo del Castello di San Marco la Catola risale probabilmente all’epoca della dominazione sveva, sotto il regno del Puer Apuliae Federico II. Nel corso dei secoli fu probabilmente ampliato e ristrutturato più volte sino ad assumere l’aspetto attuale, tipicamente quattrocentesco, di un Palazzo Ducale.

Per molto tempo la struttura fu di proprietà della famiglia Pignatelli, che le dette anche il nome, sino al 1821, anno in cui il Duca Giovanni Pignatelli lo vendette a Nicolangelo Cipriani. Negli ultimi anni è stato acquistato dalla famiglia Ferrara che ha provveduto ad effettuare dei lavori di restauro e di conservazione, che hanno permesso al maniero di arrivare sino ai nostri giorni, tamponando il rischio di una possibile scomparsa del monumento.

La struttura, che oggi purtroppo versa in uno stato di abbandono, occupa la cima della collina su cui sorge il paese ed ha l’aspetto di un palazzo fortificato, le cui mura di cinta sono bastionate e presentano dei contrafforti come rinforzo. Si distinguono nella struttura due torri di avvistamento, che consentono un ampio margine di vista sulle vallate limitrofe, ed una cappella intitolata a San Marco. Ci si augura di vero cuore che il complesso venga restaurato e reso fruibile.

Cosimo Enrico Marseglia

 

Campolongo, imbrattate le trincee di guerra
Da imagazine.it del 4 maggio 2020

di Livio Nonis

Prese di mira con spray. Stesso trattamento riservato anche ad altre aree comunali. Allertate le forze dell'ordine

Anche le trincee di Campolongo Tapogliano sono state bersaglio di imbrattamento dei writer.

Nonostante le limitazioni agli spostamenti causa coronavirus, nei giorni scorsi ignoti (uno o forse più), hanno imbrattato con bombolette spray diverse aree sul territorio comunale: dalle pensiline per l’attesa dei bus ai bidoni delle immondizie.
Non sono però state risparmiate nemmeno le trincee situate non lontano dalla chiesa di San Leonardo. Un bene storico della comunità, da molti anni protette dall'amministrazione comunale, ma anche simbolo della memoria di quanti hanno perso la vita per “fare” l'Italia unita.
Presi di mira anche i cassonetti dell'immondizia.

Sul territorio comunale sono presenti molte di queste trincee, alcune in mano ai privati altre del demanio, tutte tenute con cura. L'amministrazione comunale ha allertato le forze dell'ordine per cercare di risalire ai responsabili di questi atti vandalici.

 

Il sogno della città ideale del Rinascimento
Da vanillamagazine.it del 3 maggio 2020

di LETIZIA DESTEFANIS

Impianto planimetrico ippodameo della polis di Mileto, al Museo di Pergamo di Berlino. Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Il tema ricorrente del periodo rinascimentale è quello della “città ideale” che rispecchia i principi di razionalità e funzionalità in opposizione al sovrappopolamento urbanistico del Medioevo.

Le nuove città devono essere ordinate ed efficienti, con un piano regolatore, mai attuato prima, tanto che le città vengono progettate in maniera geometrica riproponendo elementi classici e tralasciando le fortezze a scopo difensivo dei secoli precedenti.

Molto spesso i progetti di queste “città ideali” sono rimasti sulla carta o sono stati parzialmente realizzati per i loro carattere utopico, per l’epoca.

Lo spunto principale e concreto per la formazione di questi nuovi piani urbanistici avvenne dall’osservazione di città classiche ancora ben conservate, ad esempio Mileto in Turchia, la cui pianta risale al 480 a.C. circa, e anche al trattato “De architectura” di Marco Vitruvio Pillione del 15 a.C., dove si trova una sezione di “Pianificazione della città”.

Città ideale, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino

Da questi studi, derivano alcuni principi delle città ideali: l’ordine, anche per quanto riguarda gli incroci tra le vie, la divisione degli spazi e degli abitanti in base alla classe sociale.

La piazza (riconducibile al foro delle epoche classiche) come la chiesa (il tempio) riprendono la loro funzione di fulcro della vita cittadina, in cui attorno sorgono gli altri importanti edifici, così come gli illustri personaggi dell’intero centro risiedevano vicino alla piazza dando un’ordine ben preciso alla disposizione delle abitazioni delle persone.

Antica pianta di Palmanova

Così la “città ideale” del 1490, conservata ad Urbino nella galleria nazionale delle Marche, diventa la più celebre di queste opere di progettazione, per la sua bellezza e il suo classicismo ortogonale: le strade sono spaziose, la piazza è ampia con al centro il tempio a pianta circolare e gli edifici sono minuziosamente allineati.

Pochissime sono le città che attuano questo modello: Urbino grazie al mecenate Federico da Montefeltro, papa Pio II nella città di Pienza e Ercole I d’Este a Ferrara.

Stupendo esempio, meno conosciuto, è anche la cittadina di Palmanova in Friuli Venezia Giulia, voluta dal governo di Venezia, presenta uno schema a pianta stellare con nove bastioni e tre portoni da cui si accede e si arriva direttamente alla piazza di forma esagonale, mentre tra i raggi si sviluppano i quartieri e le abitazioni.

E’ sorprendente notare la rigorosa simmetria tra tutte le sue parti.

Antica pianta di Terra del Sole, presso Forlì

Resta sulla carta, ma ancora visibile nel “Trattato di architettura” di Filarete del 1460 circa, il progetto di Sforzinda, dove Francesco Sforza non riuscirà a mettere in atto la costruzione dei fantastici monumenti, irrealizzabili, che fondevano elementi gotici e rinascimentali come ad esempio l’edificio a pianta stellare a otto punte, dove si trovavano otto torri e tra una e l’altra, un portone si apriva sulla piazza in praticamente tutte le direzioni.

Nella realtà moderna, di quei progetti, ora rimangono solo l’ordine geometrico delle strade, come si vede in alcune moderne città, come ad esempio New York, e dei complessi abitativi, che si sviluppano in altezza per sfruttare il maggior spazio possibile per creare nuovi appartamenti e uffici.

Dal punto di vista dello stile però, nelle grandi città e nei nuovi edifici manca del tutto quel sogno rinascimentale di fusione del classico e del moderno tipico dei progetti della “città ideale”.

 

Pompei, bando per restauro fortificazioni e Torre di Mercurio
Da agcult.it del 3 maggio 2020

Le offerte andranno presentate entro il 16 giugno 2020

Invitalia, in qualità di Centrale di Committenza per l’aggiudicazione dell’appalto per conto del Parco Archeologico di Pompei, ha pubblicato un bando di gara a procedura aperta per l’affidamento dei lavori di restauro e valorizzazione del settore settentrionale delle fortificazioni di Pompei – Torre di Mercurio. L’importo totale dell’appalto, comprensivo degli oneri della sicurezza,...

 

Tra suggestivi borghi e antiche fortezze
Da metropolitano.it del 2 maggio 2020

Come sarà il mondo dopo il COVID-19?
Alla fine di questo lunghissimo periodo di quarantena che ci ha costretti a guardarlo dal nostro balcone, sarà ancora più bello apprezzare piccole cose che prima, invece, erano date per scontate.
Poter raggiungere città vicine, rompendo gli schemi della monotonia, concedendosi dei piccoli momenti di svago con qualche gitarella fuoriporta, si rivelerà ancora più arricchente ed emozionante.
Dovendo considerare che alcune strutture potrebbero non riaprire immediatamente con l’inizio della fase 2 del periodo di restrizione (i musei potrebbero non rimanere ancora chiusi a maggio), serve trovare qualche attrattiva all’aperto che coniughi al meglio l’interesse della scoperta con la possibilità di girare tutelati ma liberamente, magari in spazi aperti e fruibili.

Sono testimonianze che permettono di ricostruire gli ultimi due secoli di storia, iniziando la narrazione dal periodo austriaco dei primi anni dell’Ottocento, fino ad arrivare ai due grandi conflitti del Novecento.
Sono luoghi in cui è possibile apprezzare sia l’aspetto storico sia degli spaccati naturali perfetti per un momento di pace. Alcuni di questi ambienti si sono rinnovati fino a diventare centri di diffusione culturale e vita cittadina.

Forte Marghera, il più famoso tra tutti, ha ospitato una parte della Biennale d’Arte di Venezia 2019 nell’ex Polveriera Austriaca, mentre Forte Mezzacapo è rinato come centro per esposizioni di vario genere che coinvolgono l’arte contemporanea, la storia della struttura e il territorio.

Arquà Petrarca, tra natura e letteratura Tra le meraviglie naturalistiche del Parco Regionale dei Colli Euganei è possibile ritrovare un particolare gioiello urbanistico: Arquà Petrarca.

Questo piccolo paese sulle pendici dei colli porta con sé tutto il carattere e la meraviglia del tipico borgo medievale e permette un vero e proprio salto temporale di qualche secolo.Le sue stradine intricate, le salite, le case in pietra e la perfetta coesione tra il paesaggio naturale circostante con lo sviluppo della vita cittadina, rendono la visita ancor più piacevole. Fu il paese di Francesco Petrarca, uno dei capisaldi della letteratura italiana, e da lui prende il nome.

Il poeta aretino trascorse gli ultimi anni della sua vita sui colli Euganei, trovando dimora proprio ad Arquà che definirà come “Il mio secondo Elicone (monte in cui il poeta greco Esiodo disse di aver incontrato le Muse)”. Il borgo risulta interessante anche per gli amanti della tavola che, oltre ai vari prodotti agricoli dei Colli Euganei, potranno gustare le produzioni locali, come il Brodo di Giuggiole (tipico del paese) o il Maraschino, prodotto poco distante.

Asolo, la città delle 3 donne Nella parte Occidentale della provincia di Treviso, un piccolo borgo di grande bellezza sovrasta la pianura dall’alto di un colle: Asolo.

Un paese dalla portata storica e letteraria strepitosa che, oltre ad essere stato nominato come uno dei “Borghi più Belli d’Italia”, porta ancora i segni indelebili delle ere che l’hanno visto protagonista, come la Rocca altomedievale, il Castello, il Duomo trecentesco e il Museo , con testimonianze storico artistiche che ricostruiscono lo sviluppo della città dai pre-romana a Canova. Forse non tutti lo sanno ma sono tre donne che hanno cambiato la storia di Asolo.
La prima fu Caterina Cornaro, regina di Cipro, che qui si ritirò dopo la morte del marito dando vita a un piccolo paradiso culturale e contribuendo alla nascita di opere come Gli Asolani di Pietro Bembo (uno dei primi trattati in difesa della lingua italiana). Poi fu la volta di Eleonora Duse, attrice di fama internazionale che ci dimorò e vi fu sepolta. A lei è dedicato il Teatro della città. Infine, Freya Stark, scrittrice britannica considerata tra i fondatori della moderna letteratura di viaggio, che scelse Asolo, dove oggi è ancora presente l’esotico giardino e una stanza del Museo a lei dedicata, come sua ultima dimora.

Oderzo e Portobuffolè: 10 km tra romanità e medioevo Sulla sinistra Piave, tra i numerosi spunti offerti, ci sono due paesi poco distanti l’uno dall’altro (10 chilometri) ricchi di testimonianze culturali, artistiche e archeologiche.

Sono Oderzo e Portobuffolè. Oderzo, cittadina del trevigiano situata a pochi chilometri dal confine con la provincia di Venezia, ospita uno dei siti archeologici più interessanti della zona. Sotto la piazza è stato ritrovato infatti l’antico Foro della Opitergium romana, oggi visitabile camminando liberamente per la piazza. Portobuffolè, invece, rientra (come Asolo e Arquà) nella guida dei “Borghi più belli d’Italia” e immerge il visitatore in un piccolo mondo conservato entro la cinta muraria medievale. Un luogo che racconta la storia della Repubblica Serenissima dagli ultimi secoli dell’Alto Medioevo, quando era un porto fluviale, a oggi, attraverso l’alternarsi delle epoche e degli stili nelle costruzioni del centro storico.

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Il Palazzo Marchesale di Montemesola
Da lavocedimaruggio.it del 1 maggio 2020

Il primo nucleo di una fortezza venne costruito a Montemesola a cavallo fra il XV ed il XVI secolo, i cui resti sono tuttora visibili sul versante meridionale del Palazzo Marchesale. Questi si distinguono per le particolari articolazioni delle mura, sulle quali sono inglobate due garitte, ed a cui sul finire del XVIII secolo vennero aggiunti altri corpi di fabbrica. Tali ristrutturazioni portarono alla realizzazione dell’attuale Palazzo Marchesale, che si impone alla vista in tutta la sua maestosità.

La struttura, a pianta quadrangolare, si sviluppa su due livelli, cui si aggiunge un sottotetto illuminato da alcune finestre di forma rotonda simili ad oblò. La facciata principale presenta un portale barocco, su cui campeggia l’arme della famiglia Saraceno, e nove finestre al piano nobile. Dal portale si accede al cortile quadrangolare, che sul lato opposto presenta un androne in cui è ricavato uno scalone a doppia rampa, che conduce ad un medesimo pianerottolo, da cui si accede al piano nobile. L’architrave riporta l’anno di costruzione, il 1794, e chi la volle, nella persona di Andrea Saraceno. L’interno presenta ampi saloni con decorazioni sui muri che comunque necessitano di interventi conservativi di manutenzione, mentre le coperture di legno, alte all’incirca cinque metri dal pavimento, sono formate da travi a vista ed assi di legno, ornate con motivi floreali. Si suppone che ulteriori affreschi murali siano coperti da diversi strati di calcina.

Un recente Decreto Ministeriale ha apposto il vincolo storico sulla struttura, dichiarata Monumento Nazionale.

Cosimo Enrico Marseglia