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ANNO 2020

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Un vecchio silo missilistico trasformato in un lussuoso bunker da 1,2 milioni
Da idealista.it del 31 luglio 2020

Tutto sembra uscito da un film: un vecchio silo missilistico trasformato in un bunker per milionari. Se vedi la fine del mondo vicina, questo è uno dei tuoi paradisi, ovviamente se disponi di 1,5 milioni di dollari, circa 1,2 milioni di euro. Ecco come è stata trasformata questa zona militare in un'abitazione sotterranea con piscina inclusa.
Questo bunker si presenta come un autentico complesso di sopravvivenza per trascorrervi lunghi periodi di tempo. Sviluppato dall'ingegnere Larry Hall, secondo il quale questo edificio sotterraneo "potrebbe essere bollato dai media come una struttura per i pazzi della sopravvivenza, ma in realtà è per le persone di successo, istruite e facoltose che vogliono semplicemente tranquillità in caso di un disastro naturale o di una pandemia causata dall'uomo". Per il suo creatore è una delle strutture artificiali più resistenti mai create. Un bunker costruito nel 1960 per ospitare e proteggere i missili nucleari Atlas, in piena guerra fredda, che è stato rafforzato da mura spesse quasi 30 m. Il cancello che fa da ingresso all'edificio da solo pesa otto tonnellate ed è realizzato in acciaio blindato.
Con una superficie di oltre 5.000 m2, ha tutto il necessario per vivere fino alla fine dei giorni. Il complesso si sviluppa su 15 piani, a 60 metri di profondità e può ospitare fino a 75 persone. Sette piani hanno diversi appartamenti di lusso con tre camere da letto e due bagni. Per quanto riguarda i servizi, si può trovare uno spazio per gli animali, una parete da arrampicata, un'aula, una biblioteca, una palestra, un bar e un cinema. Ha anche una piscina di acqua salata, con uno scivolo d'acqua e una cascata. E poi una sala di tiro.
Per sopravvivere, c'è un negozio in cui i residenti possono acquistare tutto il cibo che desiderano, compresi i prodotti freschi. Questo perché esiste un sistema di acquacoltura che può essere utilizzato per allevare pesci come il salmone e l'idroponica per coltivare ortaggi biologici come pomodori, lattughe o frutti come fragole e mirtilli.

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Palazzo Baronale Granafei a Sternatia
Da lavocedimaruggio.it del 31 luglio 2020

Palazzo Granafei di Sternatia, dal nome dell’omonima famiglia feudataria a partire dal 1733, sorge sui resti di una precedente fortezza. Con ogni probabilità il primissimo nucleo era un fortilizio risalente all’epoca bizantina e successivamente passato di mano e riadattato nel corso delle varie dominazioni succedutesi. L’ultimo riadattamento risale all’età aragonese e di tale antico castello rimangono oggi i resti del portale in stile durazzesco, annessi ad un’abitazione privata. Durante la campagna per la liberazione di Otranto, caduta in mano turca nel 1480, la fortezza ospitò il quartier generale dell’esercito napoletano, agli ordini del Duca di Calabria Alfonso d’Aragona, e delle milizie al comando del Conte di Conversano Giulio Antonio Acquaviva. Sempre da qui partì la spedizione che liberò la città nel 1481.
Nel 1593 il castello ed il feudo furono proprietà della famiglia Personé e cinque anni più tardi passarono ai Cicala. Fu nella prima metà del XVIII secolo che, su disposizione della famiglia Granafei, l’antica fortezza venne demolita ed al suo posto costruito il Palazzo Baronale, sembra ad opera del celebre architetto Mauro Manieri da Lecce. L’attuale aspetto, tuttavia, è dovuto ad un successivo intervento effettuato nel XIX secolo.

L’imponente struttura si presenta a pianta quadrangolare, con un ampio cortile centrale della medesima forma, e si sviluppa su tre livelli: pianterreno, i cui ambienti erano adibiti a scuderie, piano nobile e secondo piano. Il prospetto principale presenta un sontuoso portale sovrastato dalle armi della famiglia Granafei e da una lunga balaustra che si sviluppa per tutta la facciata. Più sobrio è invece il versante posteriore, totalmente privo di decorazioni e con la base a scarpa. Le sale del piano nobile recano affreschi rococò a motivi mitologici, ed ospitano alcune opere pittoriche di valore. Cosimo Enrico Marseglia

 

Torre di Tuono, gioiello dell'architettura a due passi da un mare da favola
Da siciliafan.it del 30 luglio 2020

La Torre di Tuono, cioè la Torre della Tonnara di Cofano, sorge in un invidiabile contesto naturalistico. Si trova, infatti, all’interno della Riserva di Monte Cofano (https://www.siciliafan.it/riserva-di-monte-cofano/), sul golfo di Macari (https://www.siciliafan.it/sicilia-le-15-spiagge-piu-belle-dallesabbie- dorate-di-macari-a-quelle-nere-di-lipari/). Risale al XVI secolo e faceva parte del sistema di torri costiere della Sicilia (https://www.siciliafan.it/leggenda-della-torre-delle-ciavole/).

Le torri venivano utilizzate come sistema difensivo dalle incursioni dei saraceni. Ci troviamo nell’ambito del territorio del comune di Custonaci (https://www.siciliafan.it/perlato-di-sicilia-marmo-di-custonaci/), in provincia di Trapani, in una parte della Sicilia che ha davvero molto da offrire in termini naturalistici, storici ed enogastronomici.
La peculiarità della Torre di Tuono è una pianta quadrata stellare a quattro punte. Con le sue pareti concave rappresenta un impianto unico per la Sicilia. Sorse tra il 1156 e il 1560, connessa alla Tonnara di Monte Cofano. La tonnara, di fronte allo scoglio dello Scialandro, risale al XVI secolo. Intorno al 1450 fu concessa alla famiglia del Bosco, poi appartenne alla famiglia Balducco, fino alla metà del 1900.

Da un punto di vista architettonico, la torre è un tronco di piramide a pianta quadrangolare stellata. Ci sono quattro lati concavi, costruiti interamente in pietra calcarenitica. Il piano terra è un unico ambiente a pianta quadrata e con volta a botte. Sul pavimento si trova l’apertura di una cisterna, scavata nella roccia.
Una scala, posta a sinistra dell’ingresso, consente l’accesso al livello superiore, anch’esso a pianta quadrata, con un sottile tramezzo. Il tramezzo divide lo spazio in due stanze di diversa dimensione. Attraverso una scala ripida a pioli di accede a una botola aperta sulla volta a botte, che serve ad accedere al piano di copertura. Torre di Tuono, architettura nella riserva di Monte Cofano
La Torre di Tuono è solo una delle attrattive della riserva di Monte Cofano (https://www.siciliafan.it/leggenda-di-monte-cofano/). Ci troviamo in un ambiente suggestivo e significativo dal punto di vista naturalistico, con l’imponente rilievo che abbraccia un mare cristallino. La costa Trapanese è ricca di insenature e spiagge da scoprire (https://www.siciliafan.it/spiaggepiu-belle-di-san-vito-lo-capo/).

 

Forte Boccea, il Comune di Roma promette il restauro: "Tornerà fruibile ai cittadini"
Da romatoday.it del 30 luglio 2020

Allo studio un piano per la riqualificazione del Forte, abbandonato da anni, grazie a una collaborazione avviata tra Roma Capitale e la Presidenza del Consiglio dei ministri

l complesso di Forte Boccea, una delle storiche fortificazioni militari di Roma che si trova nel municipio XIII, edificato nel periodo compreso fra gli anni 1877 e 1891, tornerà al suo antico splendore. O almeno questa è la promessa. È il Comune ad annunciare un progetto di riqualificazione e messa in sicurezza che interesserà la struttura e l'area esterna del sito. Un'iniziativa frutto di una collaborazione avviata tra Roma Capitale e la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Forte Boccea verso il restyling

"Una significativa porzione dell'area esterna al sito sarà riqualificata per essere fruibile da cittadini e turisti" spiega il Campidoglio in una nota stampa. "Mentre la rimanente porzione continuerà ad essere utilizzata dalla Presidenza del Consiglio, che intende recuperarla per interventi funzionali alle attività della Scuola di formazione del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza".

Pulizie e messa in sicurezza

L'area da anni si trovava in uno stato di abbandono. "Ora grazie a un programma di interventi si procederà alla messa in sicurezza, al recupero del patrimonio ambientale circostante e alla pulizia completa della struttura" assicura ancora il Comune. "Si procederà poi alla rimozione di piante e cespugli infestanti, allo sfalcio dell’erba, e alla messa a dimora di nuove piante di pregio sia lungo la recinzione perimetrale che sul terrapieno del Forte. In seguito partiranno gli interventi di restauro e consolidamento del Forte, notevolmente alterato durante il lungo periodo di abbandono. La volontà è quella di riqualificare il comprensorio anche per finalità di diretto interesse per i cittadini".

 

Palmanova, la città a forma di stella a nove punte
Da mediterranews.org del 30 luglio 2020

Palmanova, in provincia di Udine, è una città fortezza. La struttura delle fortificazioni di Palmanova ricorda una stella a nove punte.

Palmanova, la storia

Palmanova si trova in provincia di Udine ed è patrimonio mondiale dell’Unesco,nonché uno dei borghi più belli d’Italia. A renderla un unicum è la sua planimetria: una stella a nove punte. La spettacolare forma è il frutto delle fortificazioni militari che l’hanno resa, per secoli, una fortezza inespugnabile. Palmanova nel 1521 diventa un possedimento della Serenissima che la dota di un grandioso sistema difensivo. Nel corso dei secoli sono state costruite altre due cinte murarie, l’ultima delle quali è opera di Napoleone Bonaparte. Le strutture militari che circondano il centro cittadino forniscono informazioni preziose sull’evoluzione dell’arte della guerra e delle armi da fuoco.

Palmanova, cosa vedere

L’accesso alla città del Friuli Venezia Giulia avviene tramite tre porte: porta Udine, porta Cividale e porta Aquileia. Il duomo dogale del Santissimo Redentore è in stile barocco e risale al XVII secolo; all’esterno è presente il leone di San Marco, stemma di Venezia. Al suo interno custodisce importandi dipinti e quadri. L’edificio si affaccia su piazza Grande, in passato chiamata piazza d’Armi. La piazza, voluta dalla Serenissima, è di forma esagonale e da sempre rappresenta il cuore vitale di Palmanova. Al centro di piazza Grande svetta lo stendendardo mentre ai lati sono disposte undici statue.

 

Castello di Torremuzza di Bronte: spettacolo suggestivo in Sicilia
Da viaggiamo.it del 30 luglio 2020

Visita al castello di Torremuzza, vicino Bronte, in Sicilia, tra le rovine dell'antico maniero, un'esperienza incredibile nella storia del castello.

Un sito suggestivo che testimonia una storia importante è il Castello di Torremuzza, nelle vicinanze di Bronte. Un maniero affascinante che riporta le cicatrici e i segni dell’abbandono, ma che regala esperienze incredibili in uno dei luoghi più interessanti della Sicilia.

Castello di Torremuzza, Bronte

Il castello, detto di “Torremuzza”, deve il suo nome alla torre originaria, di probabile epoca bizantina o araba, spaccata in due da un fulmine, e quel che oggi resta, è una metà di essa. La rocca, risalente intorno al IX secolo, è uno dei tesori compresi tra Bronte e Troina, testimone di una storia lunga secoli. Infatti, durante il periodo normanno-svevo-aragonese, attorno alla torre si costruì una prima cinta muraria, dotata di merlatura e caditoie. In quell’epoca la torre faceva parte di una catena di torri e fortificazioni interne della Sicilia che servivano per la trasmissione delle notizie mediante segnalazioni ottiche o con fuochi. Il castello di Torremuzza fu una fortezza inaccessibile, ed era posizionato in un sito strategico accessibile da un solo lato. Infatti, i ripidi pendii lo proteggevano da tutti gli altri lati.
Le prime testimonianze dell’esistenza del castello risalgono al 1139. Tuttavia, il luogo sembrerebbe frequentato fin da epoca remota. Pare, infatti, che siano stati rinvenuti in zona persino deposizioni funerarie e sarcofagi databili intorno al III sec. a.C..Nel 1535 il casale di Cattaino, che si era formato attorno al castello, venne abbandonato da i suoi abitanti che per volere dell’imperatore Carlo V dovettero unirsi agli abitanti degli altri casali a formare un unico paese: Bronte. Durante il periodo Borbonico il castello di Torremuzza continuò ad essere in uso in qualità di carcere forse fino ai moti rivoluzionari legati all’unità d’Italia. In seguito venne abbandonato.
Ad oggi, infatti, del castello restano solo pochi ruderi, anche se la struttura principale è ancora ben visibile.

Come arrivare

Il castello è di difficile accesso, in quanto la macchina dovrebbe rimanere lungo la strada ss120 venendo da Randazzo o la sp165 venendo da Bronte. Da qui, infatti, bisogna proseguire a piedi per circa un’ora e mezza.
Tuttavia, per chi è in possesso di un fuoristrada può tentare di proseguire lungo le strade rurali e arrivare a qualche centinaio di metri dal castello.
Al momento il castello è chiuso per pericolo crolli, ma in genere la visita è gratuita e libera. Infatti, non vi è alcuna recinzione. Tuttavia è vivamente consigliato prestare grande attenzione durante la visita per il pericolo di crolli.
Scritto da Ilenia Albanese

 

I sette castelli di Napoli
Da fanpage.it del 29 luglio 2020

Napoli è l’unica città al mondo ad avere ben sette castelli. Scopriamo insieme quali sono, quali possiamo ancora ammirare e quali, invece, sono ormai distrutti.

Nell’antichità Napoli contava all’interno delle sue mura perimetrali ben sette castelli, un caso unico al mondo. Queste fortezze, costruite in epoche diverse, servivano a difendere la città dagli attacchi provenienti soprattutto dal mare, ma non solo. Alcuni di questi sono ancora oggi ammirati dalle frotte di turisti che affollano la città partenopea, mentre alcuni sono in avanzato stato di degrado. Ecco l'elenco dei castelli di Napoli.

Castel dell’Ovo

In latino Castrum Ovi, è il castello più antico della città, risalente a epoca normanna.

Sorge sull’isolotto di Megaride, che si collega al resto della città tramite un sottile istmo. Già nel I secolo a.c. vi fu costruita la Villa di Licinio Lucullo, fortificata poi nel V secolo. A costruire il castello su Guglielmo I di Sicilia, detto il Malo, durante la sua reggenza che è durata dal 1131 al 1166. Il nome Castel dell'Ovo deriva da una leggenda, secondo la quale Virgilio ha nascosto un uovo chiuso in una gabbietta alla base di Megaride.

 Il castello e la città che difendeva, sarebbero rimasti integri fino a quando non sarebbe stato trovato e distrutto quest’uovo.

 

Castel Capuano

 Castel Capuano è il secondo castello più antico di Napoli.

Il suo nome deriva dalla vicina Porta Capuana e venne eretto come Castel dell’Ovo da Guglielmo I di Sicilia che lo rese residenza reale. Solo con la costruzione del Maschio Angioino venne sostituito da quest’ultimo, pur continuando ad ospitare familiari dei regnanti, funzionari e personaggi di spicco tra i quali ricordiamo Francesco Petrarca nel 1370. Nel XVI secolo, però, con don Pedro de Toledo si trasformò in palazzo di giustizia e carcere.

Oggi si possono ancora ammirare gli affreschi del Salone della Corte d’Appello, la Sala dei Busti, dedicata ai più grandi giuristi partenopei e all’esterno, sul retro, la Fontana del Formiello.

 

Maschio Angioino

Costruito tra il 1279 e il 1282 da Carlo I d’Angiò quando la capitale del regno fu trasferita da Palermo a Napoli, il Maschio angioino è stato sottoposto ad ampliamenti e ristrutturazioni già nei suoi primi 100 anni di vita.

È chiamato anche Castel Nuovo perché nel ‘400 Alfonso d’Aragona lo trasformò in una fortezza più moderna. Non c’era più bisogno di torri alte e merlate per fronteggiare gli assalti, ma di torri che fossero in grado di resistere alle armi da fuoco. Anche sul Maschio Angioino c’è una leggenda: si dice che nei sotterranei ci fosse un coccodrillo che entrava nei sotterranei e trascinava via con sé i prigionieri. Sempre secondo la leggenda sarebbe arrivato lì per volere di Giovanna II (1373-1435) che lo avrebbe usato per liberarsi dei suoi amanti una volta soddisfatte le proprie voglie.

Da visitare anche la sala del trono, ribattezzata Sala dei Baroni dopo la congiura del XV secolo, quando Ferrante I d'Aragona accortosi che i nobili ordivano contro di lui, li riunì in questa stanza e li fece arrestare, condannandone poi molti a morte. Nei sotterranei, nella fossa dei baroni, sono state trovate 4 bare senza iscrizioni, presumibilmente contenenti i corpi di alcuni dei nobili condannati.

 

Castel Sant’Elmo

Il suo nome deriva dal fatto che sulla stessa collina del Vomero, prima vi era una chiesa dedicata a Sant'Erasmo.

Un tempo chiamato Patricium, Castel Sant’Elmo venne costruito dal 1336 al 1343 per volere di Roberto d'Angiò, detto il Saggio, e negli anni ha subito parecchi assedi. Non sono stati i conflitti, però, le uniche cause di danneggiamento al castello: nel 1587 un fulmine cadde nelle polveriere causando una forte esplosione in cui morirono anche circa 150 persone. Durante i moti del 1799 fu occupato dal popolo e poi dai repubblicani, dei quali divenne in seguito anche la prigione. Il castello ha mantenuto il ruolo di carcere fino agli anni ’70, quando fu restaurato e aperto al pubblico il 15 maggio 1988 nella nuova veste di museo. Piccola curiosità: Castel San’Elmo è il più esteso tra i sette castelli di Napoli.

Castello del Carmine

Fu costruito nel 1382 per volere di Carlo III di Durazzo nel quartiere Mercato. Il castello fu edificato intorno a un torrione chiamato Sperone, da cui deriva un altro nome col quale viene indicato, ma aveva funzioni esclusivamente militari a differenza dei precedenti castelli che abbiamo visto. Nel 1906 il Castello è stato parzialmente distrutto per ragioni di viabilità. Oggi è possibile vedere solo la Torre Spinella e un tratto di mura aragonesi.

Castello di Nisida

È una fortificazione che sorge sull’omonima isoletta dell’arcipelago flegeo.

Costruito per volere del vicerè Don Pedro de Toledo nel XVI come ulteriore fortificazione, è stato poi adibito a lazzaretto durante ‘epidemia di peste del 1626 e successivamente a carcere.

Oggi ospita il penitenziario minorile.

 

Fortezza di Vigliena

Situata nel quartiere di San Giovanni a Teduccio, fu costruita nel 1702 per volere del marchese di Villena, da cui prese il nome. Sostanzialmente usata per l’allenamento dei cadetti, è anche la fortezza più meridionale di Napoli. Il 13 luglio 1799, fu teatro di scontro tra le forze della Repubblica Partenopea e quelle sanfediste. Messi alle strette, il comandante e sacerdote delle forze repubblicane, Antonio Toscano, fece esplodere le polveri da sparo, provocando sia la morte dei nemici che la sua e dei suoi alleati. Al momento resta ben poco della Fortezza Vigliena, proclamata nel 1891 monumento nazionale. L’area versa nell’abbandono e nel degrado, nonostante si sia più volte parlato della possibilità di farne un parco archeologico.

Giuditta Danzi

 

Storia di Castel dell’Ovo, lo spettacolare castello di Napoli sul mare
Da fanpage.it del 29 luglio 2020

Castel Dell’Ovo a Napoli custodisce storie e leggende che affondano le radici nella notte dei tempi. Sull’isolotto di Megaride morì Parthenope, nacque l’aggettivo “luculliano”, perì l’ultimo imperatore di Roma e fu imprigionato, prima dell’esecuzione, il sedicenne Corradino. Il tutto mentre un uovo regge i destini della città.

Il Castel dell’Ovo è un imponente castello di Napoli che si trova sull’isolotto di Megaride, laddove si sviluppa il Borgo Marinari adiacente a via Partenope. Tra i tanti castelli del capoluogo della Campania, questo è quello più antico, precedendo di pochi anni Castel Capuano e di oltre un secolo il Maschio Angioino. Oggi tutti possono visitare il castello, nel quale tra l’altro si organizzano eventi e concerti.

Storia del Castel dell’Ovo

Impero romano

Si dice che il primo proprietario del castello sia stato Lucio Licinio Lucullo, ma si tratta di un’approssimazione abbastanza grossolana. Stando a questa dichiarazione bisognerebbe dedurre che il Castel dell’Ovo sia stato costruito nel secolo I d. C., ma è molto più corretto dire che sia stato costruito nel 1128. E’ tuttavia vero che l’isolotto di Megaride – prima non collegato alla terra – fosse parte della grande villa di Licinio Lucullo, che si estendeva fino al Monte Echia e, alla luce dei ritrovamenti emersi grazie agli scavi per la linea 1 della metropolitana, addirittura fino a Piazza Municipio.
Questo passato antico del Castel dell’Ovo lo si ritrova ancora oggi nel sottosuolo, accedendo nella Sala delle colonne. Qui si trovano colonne di epoca romana, che successivamente vennero riadattate nella nuova forma che acquisì la villa con il declino dell’Impero romano. Il complesso infatti vide negli occhi il crollo dell’Impero: dopo essere stato fortificato da Valentiniano III, ospitò Romolo Augustolo, ultimo imperatore di Roma, dopo la deposizione nel 476 d.C.

Alto Medioevo

Morto a Napoli l’ultimo imperatore di Roma, nella villa si insediarono monaci basiliani provenienti dalla Pannonia, una regione che si estendeva tra le attuali Austria, Ungheria e Croazia. I monaci usarono la villa come monastero, adottarono la regola benedettina e, probabilmente agevolati dalla ricca biblioteca di Lucullo, crearono uno scriptorium. Il cenobio divenne anche lazzaretto e quarantena per i pellegrini che tornavano dalla Terrasanta. Nell’872 l’isolotto di Megaride – che intanto aveva preso il nome di Insula Maris e poi di Insula Sancti Salvatoris – fu conquistato dai saraceni, che imprigionarono il vescovo Atanasio di Napoli. La flotta sorta dall’alleanza tra il Ducato di Napoli e la Repubblica di Amalfi riuscì a cacciare i musulmani, ma l’esperienza suggerì di distruggere le fortificazioni dell’isolotto di Megaride per impedire che i nemici se ne potessero impossessare di nuovo. I monaci si stabilirono a Pizzofalcone. Prima villa, poi monastero, infine castello. Per molti il Castel dell’Ovo fu costruito nel 1128 o, quantomeno, fu cominciato secondo le sembianze odierne. Risale a quell’anno un documento che fa riferimento ad una fortificazione chiamata Arx Sancti Salvatoris, con chiaro riferimento alla chiesa di San Pietro che costruirono i monaci e che è testimoniato oggi dall’ingresso preceduto dagli archi del loggiato.

Normanni

Nel 1140 Ruggiero il Normanno conquista Napoli e stabilisce la propria residenza sull’Isolotto di Megaride. Benché il re non abitasse che di rado questa abitazione (ben più vissuto sarà Castel Capuano), aver scelto la fortezza come propria residenza determina il destino del castello e si può dire, che così come lo conosciamo, un embrione del Castel dell’Ovo è stato costruito nel secolo XII. Vengono progettati lavori di ampliamento e fortificazioni che portano alla costruzione della torre Normandia. Federico II di Svevia fece del castello reggia e prigione, stabilendovi anche la sede del tesoro reale. Nel 1222 vennero costruite – con l’ausilio dell’architetto Nicolò Pisano – torre di Colleville, torre Maestra e torre di Mezzo.

Angioini

Con l’arrivo di Carlo I d’Angiò la corte viene trasferita nel vicino Maschio Angioino, mentre la famiglia reale resta nel Castel dell’Ovo, ritenuto una fortificazione inespugnabile e, perciò, luogo in cui continuare a custodire il tesoro. E’ proprio lì che il sedicenne Corradino di Svevia, dopo la sconfitta nella Battaglia di Tagliacozzo (23 agosto 1268) contro gli angioini, viene tenuto prigioniero prima della decapitazione a Piazza Mercato. Agli eventi storici si intrecciano quelli naturali: nel 1370 un terremoto-maremoto danneggia gravemente alcune strutture del castello. La regina Giovanna I fece ricostruire in muratura l’arcata crollata a causa dell’evento sismico, mentre venne restaurata la parte della fortezza costruita in epoca normanna.

Aragonesi

Nel 1441 Alfonso V – re di Trinacria, Sardegna e Aragona, detto “il Magnanimo” – ebbe la meglio su Renato d’Angiò per la successione al trono e riunì il territorio italiano che fu dei Normanni diventando rex Utriusque Siciliae. La capitale fu spostata da Palermo a Napoli e il Castel dell’Ovo venne reso ancora più efficiente dal punto di vista militare grazie all’abbassamento delle torri e all’ispessimento delle mura, utile anche a favorire il movimento dell’artiglieria: unità militare che iniziava a diffondersi in Europa e che avrebbe imposto una razionalizzazione di tutte le strutture difensive. L’ammodernamento di questi edifici venne reso definitivo sotto la dominazione degli Spagnoli, che prima divisero a tavolino il Mezzogiorno con i francesi e poi lo sottrassero agli stessi con la forza (battaglia del Garigliano nel dicembre del 1503). Durante il vicereame il castello ospitò anche tre mulini che sfruttavano gli insistenti e poderosi venti che soffiano nel Golfo di Napoli. A parte quest’insolita opera di efficientamento, il castello venne integralmente votato alla guerra: via gli uffici amministrativi e gli appartamenti residenziali e dentro le bocche di fuoco dell’artiglieria. Le batterie di cannoni minacciano il Golfo, nonché le vie Santa Lucia e Mezzocannone contro cui gridare “fuoco” in caso di attacco da terra.

Borbone

Carlo di Borbone tentò a più riprese di incentivare un’economia moderna basata sulle manifatture e, sulla linea di Capodimonte e Castellammare, provò a creare – tra il 1755 e il 1758 -, all’interno del castello, una fabbrica di cristalli e specchi. A parte questa parentesi “civile”, il castello torna nella cronaca di guerra nel 1799, quando vi si asserragliano strenuamente i rivoluzionari della Repubblica partenopea.

Regno d'Italia

Nei primi anni del Regno d’Italia, nel 1871, il Castel dell’Ovo rischia di essere abbattuto per far posto ad un rione. Scongiurato il pericolo, la fortezza viene riadattata a carcere militare e ad alloggio delle truppe. Durante il Ventennio fascista – e in particolare nel corso della Guerra d’Africa del 1937-37 – la fortezza dell’isolotto di Megaride diventa deposito di un reparto libico. Sarà durante la Seconda Guerra Mondiale che il Castel dell’Ovo, ospitando la contraerea, tornerà a vestire la pesante corazza della fortezza bellica, anche se il pericolo questa volta non verrà tanto dal mare, quanto da cielo.

Repubblica italiana

Oggi il castello è in congedo militare. A partire dal 1975 la fortezza è stata sottoposta ad una serie di lavori di restaurazione ad opera dell’ingegnere Paolo Martusciello, Provveditore alle Opere pubbliche della Campania. I lavori hanno comportato interventi tanto nelle parti architettoniche che nella roccia tufacea che sorregge l’imponente molte della fortezza. Il profilo del Castel dell’Ovo con alle spalle il Vesuvio è oggi una delle “cartoline” che meglio rappresenta la città. In essa c’è il mito di Parthenope, ci sono i romani e il loro declino, ci sono preghiere e guerre, predatori impauriti da predatori e c’è il vulcano che, conquistatori e conquistati, minaccia tutti.

Si chiama Castel dell’Ovo perché un uovo lo sostiene

Si chiama “Castel dell’Ovo” per la leggenda dell’uovo, risalente almeno al 300 a.C.: una gabbia di ferro contenente una caraffa piena d’acqua e con un uovo dentro sarebbe stata appesa dal poeta Virgilio ad una trave di quercia nei sotterranei del castello. Quell’uovo, secondo il racconto, reggerebbe il destino non solo del castello – che in sua assenza sarebbe crollato – ma di tutta la città di Napoli. La fama dell’uovo che reggeva i destini del capoluogo della Campania raggiunse una popolarità tale che quando il maremoto del 1370 causò ingenti danni al castello, tutti credevano che l’uovo magico si fosse rotto. La regina Giovanna I dovette immediatamente ricorrere ai ripari, giurando di aver visto con i suoi occhi che l’uovo era stato sostituito.

La leggenda di Parthenope è un altro racconto ancora – questa volta mitologico e di origine greco-cumana – legato al Castel dell’Ovo. La sirena Parthenope, avendo provato ad incantare Ulisse per attirarlo in fondo al mare, si suicida per l’amore negato e le sue spoglie vengono portate sulle coste dell’isolotto di Megaride.

Arrivare al Castel dell’Ovo e al Borgo Marinari

Metropolitana. La scelta migliore è arrivare al Castel dell’Ovo e all’area pedonale del Borgo Marinari senza auto, anche se bisogna camminare un po’. La fermata più vicina della metropolitana è “Toledo” (Linea 1 che va da Piazza Garibaldi a Piscinola), che dista quasi due chilometri dal castello. Si tratta comunque di una passeggiata gradevole, per lo più in ZTL, quindi senza la seccatura delle auto. La stazione Toledo si trova a via Roma, per cui bisogna percorrerla quasi tutta fino ad arrivare a Piazza Plebiscito. Superata la piazza procedendo verso il mare, voltate a destra al primo incrocio (superata la piazza, quindi anche le strade che costeggiano). Siete a Via Santa Lucia. Percorretelatutta e vi troverete il Castel dell’Ovo quasi di fronte. Chi viene dal Vomero, oltre a poter prendere la metro 1, può scegliere di salire a bordo della Funicolare Centrale. Si troverà sempre a Via Roma (fermata “Teatro Augusteo”), ma in una posizione leggermente avvantaggiata rispetto alla stazione Toledo.

Autobus. Chi invece viene da aree non servite dalla Linea 1 della metro non ha altra scelta che l’autobus. Poiché da Via Partenope a metà via Nazario Sauro l’accesso delle auto è interdetto, chi viene con l’autobus il più delle volte non potrà che fermarsi a Piazza Vittoria, che dista 750 metri dal Borgo Marinari. Qui giungono, tra gli altri, le linee 154, C12, C18, C18E, C24, R7. Nella vicina Via Santa Lucia le linee 140 e 128. Consigliamo comunque di consultare il sito ufficiale dell’ANM.

Automobile. Arrivare con l’auto al Castel dell’Ovo può essere davvero molto seccante. Poiché il castello e il Borgo Marinari si trovano in un’area pedonale che inizia a Piazza Vittoria, è difficile sostare l’auto. Si può parcheggiare a via Chiatamone, via Santa Lucia e via Generale Orsini, dove le strisce blu impongono comunque il pagamento della sosta (attenzione: si tratta di vie “presidiate” anche da parcheggiatori abusivi). Nelle stesse vie è possibile diversi parcheggi privati: a via Giorgio Arcoleo (prima del Tunnel della Vittoria e di via Chiatamone), voltando a sinistra prima del tunnel c’è il bellissimo parcheggio Morelli (ricavato parzialmente in un tratto dei sotterranei di Napoli), a via Chiatamone, via Generale Orsini e nelle sue traverse. Insomma, i parcheggi
custoditi non mancano: basta pagare.

Orario di apertura e prezzi: visitare il Castel dell’Ovo

Visitare il castello non costa nulla. L’accesso è infatti gratuito. L’interno degli edifici è visitabile – durante il periodo dell’ora legale (marzo-ottobre) – dalle 9 alle 19.30 (ultimo accesso alle 18.45) nei giorni feriali e dalle 9 alle 14 nei feriali e festivi (ultimo accesso alle 13.15). Durante i mesi di ora solare, la chiusura viene anticipata di un’ora nei giorni feriali. Orari invariati nei giorni di festa. Per informazioni è possibile chiamare lo 081.2400055 o lo 081.7954593.

Noleggiare le sale del castello

Il Comune di Napoli affitta anche alcune sale per meeting, congressi, mostre ed eventi. Le aree in questione sono le sale Italia, Sirena, Antro di Virgilio, Compagna, Megaride e delle carceri. I prezzi sono disponibili sul sito del Comune. E’ possibile anche noleggiare alcuni spazi per servizi fotografici e video di uso personale (per matrimoni, comunioni o altre cerimonie): ecco le istruzioni su come procedere in questo caso.

Cosa vedere e fare nel Castel dell’Ovo

In quanto fortezze militari, i castelli in genere non hanno un granché da dire da un punto di vista artistico. Essenziali e solidi, devono prima di tutto difendere e il loro fascino è legato alla storia dei propri conflitti. Il Castel dell’Ovo non differisce dagli altri e, allo stesso tempo, ha qualcosa in più. Oltre al panorama che offrono le mura del castello e le sue torri (Normandia, di Colleville, Maestra e di Mezzo), l’edificio si sviluppa sulla preesistente villa romana e "buttare un occhio" – poiché visitare non si può – alla Sala delle colonne è suggestivo se accompagnate la mente fino a Lucio Licinio Lucullo che proprio in quei luoghi rese luculliano il piacere, fino ai melanconici pensieri di Romolo Augustolo – che qui morì insieme all’Impero – o fino alle prefiche silenziose dei religiosi. Ma quella sala è precedente appunto al Castello, che si sviluppa su tre livelli:
• Primo livello: Batteria del Ramaglietto, Sala dell'arco maggiore, Prigioni della regina Giovanna;
• Secondo livello: Torre Normandia, Chiesa del Salvatore, collocazione probabile della Torre maestra, Catacombe basiliane, Romitorio di santa Patrizia, Sala delle colonne, Batteria del cavaliere (otto cannoni), Batteria da tre cannoni;
• Terzo livello: Loggiato aragonese, appartamento aragonese, loggiato angioino, batteria superiore.

A proposito di “luculliano”, altra particolarità del Castel dell’Ovo è il Borgo Marinari, la cui esistenza permette di incastonare l’austero e prezioso complesso militare in mezzo a tante piccole luci che illuminano bar e ristoranti, alcuni dei quali di fama internazionale. Qui si trovano i ristoranti Zi’ Teresa e la Bersagliera, famosi soprattutto per i propri piatti di pesce. Volendo spendere di meno (ma la zona è comunque molto turistica) si può optare per qualche trattoria (soprattutto nella piazzetta) o per qualche cocktail nei bar.

Eventi e mostre d’arte nel Castel dell’Ovo non sono proprio all’ordine del giorno, ma non mancano. Soprattutto a partire dal Maggio dei Monumenti in primavera – e oltre fino all’estate – aumenta il numero di eventi che con il bel tempo vogliono portare i visitatori ad apprezzare non solo la manifestazione in sé, ma anche la vista offerta dal castello. La pagina dedicata dal sito del Comune offre un aggiornamento circa gli eventi. Fuor dalla “Bella stagione” sta diventando un appuntamento fisso il “Presepe Vivente”, che si organizza nel castello dal 2013. Occasionalmente vengono organizzati anche spettacoli pirotecnici, come è successo a Capodanno o durante la Festa della liberazione.

 

La rinascita del Forte Bramafam a Bardonecchia: da rudere a Museo fra i più conosciuti d’Europa
Da laboratoriovalsusa.it.it del 29 luglio 2020

Il tricolore che sventola sul pennone del Forte Bramafam è il simbolo della nuova vita della fortezza iniziata il 18 maggio 1995, quando l’A.S.S.A.M. (Associazione per gli Studi di Storia e Architettura Militare), prendeva formale consegna dal Demanio di ciò che restava del Forte, vilipeso da decenni di abbandono e saccheggio. Da quel giorno si è avviato un cantiere di recupero che dura da 25 anni: al centro dell'iniziativa la realizzazione di un Museo sulla storia del Regio Esercito.

Pier Giorgio Corino, fra i fondatori dell’ASSAM, direttore del Museo nonché ideatore e progettista dell’intero impianto museale, racconta la storia di questo “cantiere” mai interrotto:
«Alcuni di noi non ci sono più, ma la gran parte è ancora qui a lavorare con la “lucida follia visionaria” di allora. Per fortuna con alcuni giovani che si sono uniti al gruppo fatto da entusiasti volontari, che cura la gestione del Museo, degli allestimenti, i restauri e le mostre. L’obiettivo primario è stato raggiunto. Abbiamo salvato un bene straordinario dall’oblio e dallo sfascio e un passo alla volta gli abbiamo ridato dignità

Con orgoglio rivendichiamo di essere stati il primo Museo completamente sostenuto e gestito da privati ad essere accreditato dalla Regione Piemonte. Insieme al recupero strutturale abbiamo via via creato gli allestimenti ambientali, con acquisizione di una notevole quantità di materiale storico che ci ha permesso di ridare vita alla struttura rendendola un percorso museale quasi unico nel suo genere in Italia.
Oggi è cambiato il rapporto nel reperimento del materiale storico. Sono moltissimi coloro che si rivolgono a noi per consegnarci oggetti e reperti “perché non vadano perduti”. E questa è la soddisfazione più grande. Essere considerati uno strumento per la conservazione della memoria».

Un lavoro immane iniziato con lo sgombero di tonnellate di macerie, di vegetazione di invasione, e culminato con qualche epica risalita al forte di artiglierie lungo la strada militare che dopo il Bramafam raggiunge Punta Colomion.
Al recupero della struttura, con investimenti di oltre 2 milioni di euro, hanno contribuito all’inizio la Regione Piemonte, e anche il Comune di Bardonecchia, tuttavia a sostenerlo sono state soprattutto le fondazioni: la Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT, e Fondazione Magnetto.
Ma nel conto vanno messe almeno 80.000 ore di lavoro volontario, il denaro sborsato di tasca propria e la fatica di rompere il “muro del silenzio” che per decenni dopo la guerra ha circondato non solo la memoria dei fatti militari del Paese, fatica oggi orgogliosamente ripagata.

«Cerchiamo così di riportare indietro l’orologio della storia, ma sempre sforzandoci di trasmettere al visitatore la sensazione di un’immersione nella vita quotidiana delle persone che hanno attraversato, vissuto e fatto quelle epoche. Per questo per noi sono importanti anche i piccoli oggetti come un pettine o una lettera personale. Dietro ogni piccolo manufatto, sia una pietra o un piccolo attrezzo c’è un racconto che dobbiamo imparare a riconoscere, leggere e tramandare» .
«Sono queste le storie che vanno raccontate - conclude Corino - Dobbiamo capire che il nostro passato è una finestra temporale, attraverso la quale possiamo comprendere meglio i tempi che viviamo in questa Europa nata dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Che sarà imperfetta, ma ci consente di non considerare la guerra come evento sempre imminente o possibile. E ricordare che anche i grandi avvenimenti passano attraverso la storia delle persone. Agli errori della storia non si può rimediare. Si può solo imparare per non ripeterli».

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Il Palazzo Marchesale di Roseto Valfortore
Da lavocedimaruggio.it del 28 luglio 2020

La prima notizia relativa al borgo di Rositum in nostro possesso è un documento risalente al XII secolo e, con ogni probabilità, il nome deriva dal toponimo latino rosetum cioè roseto. L’aggiunta Valfortore invece risale al 1862, probabilmente per distinguerlo geograficamente da altri centri di uguale nome.
Purtroppo abbiamo notizie molto scarse in merito alle origini del borgo anche se è possibile affermare che durante la dominazione bizantina venne eretto in loco un fortilizio a scopo difensivo, intorno al quale, successivamente, andò a formarsi il centro abitato. Come è possibile osservare, tale fortilizio si trovò ad occupare il versante occidentale del borgo.
Il feudo ed il castello passarono attraverso le varie dominazioni che si susseguirono nel Regno di Napoli: Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli, Austriaci e Borboni, prima dell’annessione al Regno Sabaudo nel 1861 ed, ovviamente, nel corso dei secoli il castello subì diversi interventi di ampliamento e ristrutturazione, in particolare fra il XIII ed il XIV secolo ad opera del Signore del luogo Bartolomeo III de Capua, che lo trasformarono in Palazzo Marchesale o Baronale. 

Posto sul versante sinistro della chiesa matrice, la struttura si caratterizza per un possente torrione cilindrico, fatto erigere proprio dal de Capua. Attualmente il palazzo è stato restaurato ed è adibito ad abitazioni private che però ne hanno stravolto l’aspetto. Da quanto possiamo arguire, in origine dovepresentarsi a pianta quadrangolare intorno ad un cortile di uguale forma.

Cosimo Enrico Marseglia

 

Salento di un tempo, le torri per difendere la costa dai pirati saraceni
Da leccenews24.it del 27 luglio 2020

Fra le attrazioni del Salento ci sono le innumerevoli torri costiere di avvistamento risalenti alla fine del Medioevo, molte si sono conservate nel loro aspetto originario e fanno bella mostra di sé su promontori a picco sul mare, in scenari incredibilmente suggestivi.

Per secoli il territorio salentino è stato esposto alle scorribande degli arditi eserciti dell’impero ottomano. Da tutto l’Oriente pirati e corsari guardavano al Salento come ingresso privilegiato dell’Italia e dell’Europa. Le incursioni non si contano, specie nel periodo dell’alto Medioevo, quando più forte ed imponente sembrò la minaccia saracena. Eventi tragici e violenti che ebbero il culmine nel Sacco di Otranto del 1480. Dopo quella tragedia le cose cambiarono. Il governo aragonese volle mettere in atto una organizzazione difensiva “diversa” per proteggere la costa salentina dagli attacchi via mare.

Ecco che cominciarono a sorgere le famose torri di avvistamento in grado di comunicare tra di loro “a vista” e diffondere gli eventuali messaggi di allarme all’immediato entroterra. Costruite seguendo canoni e criteri ben precisi per permettere alle sentinelle di cogliere subito i segnali luminosi degli eventuali pericoli provenienti dal mare.

Torri Costiere, antiche sentinelle a picco sul mare

Ancora oggi molte località della nostra provincia portano il nome di quelle torri. Partiamo dall’alto versante orientale del litorale salentino. Da Casalabate a Torre Rinalda, da Torre Chianca a Torre Veneri, restano preziose testimonianze di quel sistema difensivo, altre sono cadute in rovina, erose dall’impietosa azione degli agenti atmosferici, alcune volontariamente abbattute. Ed ancora, procedendo verso sud, la torre Specchia, quella di San Foca, di Roca vecchia (posta su un isolotto), quella di Torre dell’Orso e di Torre Sant’Andrea. Attorno ad ogni torre sorgeva quindi un nucleo urbano, un centro abitato, oggi località balneari rinomate.

Il viaggio continua con Torre Santo Stefano, la Torre del serpe a capo d’Otranto, Torre Sant’Emiliano, Torre Minervino, Torre Miggiano e a tante altre poste sulla sommità della serra che digrada verso il mar Jonio.

Tra le più belle e suggestive per via delle posizione che occupano vanno ricordate Torre Palane e Torre Nasparo, nel profondo sud Salento. A Santa Maria di Leuca si trova la Torre dell’Omo Morto, nome dato per il ritrovamento di antichi resti umani.

Continuando sul versante jonico occidentale non si possono dimenticare le Torri di San Gregorio, Torre Vado, Torre Pali a Salve, Torre Suda, quella di Lido Pizzo, quella di Gallipoli sud e Gallipoli nord, la Torre dell’alto a Nardò, la Torre dell’Omo morto, la Torre Inserraglio, le torre chianca di Porto Cesareo e la Torre lapillo. Solo alcune, quindi, fra le più note e magari meglio conservate.

Si nota come cambi a seconda del versante costiero la fisionomia architettonica delle torri di avvistamento, più piccole e semplici quelle del basso Adriatico e del tratto jonico orientale del Salento, e più grandi e sontuose quelle del fronte jonico occidentale, alcune suddivise su due piani e con metrature di gran lunga superiori, somiglianti a vere e proprie residenze.
Certamente una delle caratteristiche più interessanti del Salento costiero, da scoprire lungo le litoranee nei giorni di festa .

 

Realizzata una cartoguida delle fortificazioni della valle Stura
Da cuneodice.it del 27 luglio 2020

È in vendita presso l'Unione Montana e gli esercizi comerciali della valle. Stasera la presentazione presso l'Atl del Cuneese

Nel pomeriggio di oggi, lunedì 27 luglio, la Sala Gianni Vercellotti dell’ATL del Cuneese ha ospitato una conferenza stampa dedicata a molteplici iniziative outdoor che rafforzano le proposte di fruizione turistica delle Alpi di Cuneo.
Tra i progetti presentati la realizzazione di una Carta Escursionistica delle Fortificazioni della Valle Stura ideata e finanziata dall’Unione Montana Valle Stura. La carta, realizzata da Fraternali editore su base cartografica Fraternali in scala 1:25.000, rappresenta sentieri, strade e borghi alpini con particolare attenzione a tutte le fortificazioni presenti in Valle Stura, realizzate tra il 1861 e il 1945 con accenno anche ad opere più antiche. Si tratta, nello specifico, di oltre 150 forti, bunker, caserme e teleferiche riportanti descrizione, curiosità, posizione gps e indicazioni utili agli utenti come la possibilità di raggiungere a piedi o in bici il punto di interesse.
“Riusciamo a dare nuova vita alle opere che ci sono state lasciate in eredità - ha osservato il presidente dell’Unione Montana valle Stura Loris Emanuel -. Negli ultimi secoli il nostro è stato un territorio dai commerci fiorenti, ma anche strategico dal punto di vista militare. Questa mappa nasce per valorizzare questo aspetto”.
"Continua l’impegno dell’Atl nel mondo outdoor - ha detto il presidente dell’Ente Turismo Mauro Bernardi - Uno strumento utile per scoprire nuovi sentieri attraverso la storia delle nostre valli”. La carta è stata realizzata con la consulenza tecnica dell’Associazione ASFAO (Associazione per lo Studio delle Fortificazioni delle Alpi Occidentali), con il coordinamento della guida turistica Stefano Melchio collaboratore dell’Unione Montana per il servizio turistico culturale e grazie all’appoggio dell’ATL del Cuneese, del Club di prodotto Cuneo Alps di Conitours, di MTB Valle Stura e Bike Park Tajaré, nonché di Terres Monviso. La guida è in vendita presso l'Unione Montana Valle Stura e presso gli esercizi commerciali della Valle Stura.

 

Il bastione delle Maddalene rovinato dalla riqualificazione urbana
Da verona-in.it del 26 luglio 2020

Di Giorgio Massignan

Anziché prevedere il recupero delle migliaia di appartamenti sfitti a Veronetta, il Comune ha individuato una zona verde e libera su cui costruire alle ex caserme Passalacqua e Santa Marta.

Tra il 1863 e il 1865, in un’area difesa dalle mura cittadine, gli austriaci realizzarono la provianda di Santa Marta, su progetto di Andreas Tunklen, dotata di enormi silos, di mulini a vapore e di 14 forni, di cui due a fuoco continuo, in grado di produrre ogni giorno 52 mila razioni di pane da 750 grammi e 20 quintali di gallette. Si può considerare sia stato il primo vero impianto industriale di Verona.

La struttura architettonica austriaca, si trova all’interno del bastione delle Maddalene. Fu Ezzelino III da Romano che, dopo l’alluvione del 1239, ampliò la cinta muraria di Verona. In seguito, nel 1278, Alberto I della Scala, estese le fortificazioni di Campo Marzo, sino a Porta Vescovo, sulla riva sinistra dell’Adige. Cangrande I della Scala, intervenne, rafforzando ulteriormente la cinta muraria. Dopo la fine della signoria scaligera, la Repubblica di Venezia costruì, su progetto di Pier Francesco da Viterbo, il bastione triangolare e pentagonale delle Maddalene, che si collegava a Porta Vescovo. Durante la dominazione austriaca, il feldmaresciallo Josef Radetzky incaricò l’architetto militare asburgico Franz Von Scholl di modificare le postazioni superiori per artiglieria a cielo aperto, sostituendole con un secondo ordine di casematte, sistemate ai lati e sopra quelle esistenti.

In questa zona si possono leggere 600 anni di storia veronese. Infatti, al bastione delle Maddalene e alla provianda di Santa Marta, si respira un atmosfera pregna di storia e di tragedia. In quel luogo, nel 1860, venne fucilato un giovane patriota, Luigi Lenotti di 18 anni, che aveva avuto il solo torto di aiutare un concittadino, poi rivelatosi una spia degli austriaci, ad evitare la leva militare.

L’interno del bastione è stato magistralmente restaurato ed ora ospita un interessante museo sulla storia delle nostre mura. Il Bastione delle Maddalene è un esempio di come potrebbe diventare la nostra cinta fortificata, se adeguatamente recuperata. Il nostro centro storico sarebbe circondato da un meraviglioso parco storico-monumentale, in un contesto verde di impareggiabile bellezza. Ma, all’interno del bastione, a ridosso della Provianda di Santa Marta, ora sede universitaria, è stata costruita una serie di edifici che ha irreparabilmente, rovinato l’equilibrio estetico, storico e paesaggistico dell’intera zona.

La speculazione edilizia, sostenuta dal rapporto malato tra il potere politicoamministrativo e quello economico-affaristico, ha voluto segnare, con un intervento dissennato, il grado di cultura e di sensibilità che caratterizza la nostra epoca. La rovina di un luogo magico come quello del bastione delle Maddalene è stato giustificato come “riqualificazione urbana per alloggi a canone sostenibile”, realizzati con fondi pubblici. Anziché prevedere il recupero delle migliaia di appartamenti sfitti a Veronetta, il Comune ha individuato una zona verde e libera su cui costruire all’interno dei contesti delle ex caserme Passalacqua e Santa Marta, grazie ai finanziamenti regionali, corrispondenti a 10 milioni di euro, metà dei quali sono stati erogati al Comune.
Il meccanismo, che ha permesso l’autorizzazione per la costruzione di quegli edifici, è stato impugnato dalla Procura della Repubblica, che ha individuato e condannato alcuni colpevoli. Ma lo sfregio è stato compiuto ed mi chiedo: con oltre 10.000 appartamenti sfitti, proprio in quel luogo magico dovevano costruire? La Soprintendenza non aveva nulla da eccepire?

 

Alla scoperta del Salento: il Castello di Melendugno
Da corrieresalentino.it del 26 luglio 2020

MELENDUGNO (Lecce) – Il Castello o Palazzo Baronale d’Amely, dal nome di una delle famiglie che ne ebbero il possesso, ha l’aspetto di una grande torre a pianta stellare a quattro punte, che in piccolo ricorda il Castello Sant’Elmo di Napoli. Venne costruito nella seconda meta del XVI secolo sotto la direzione dall’architetto militare Gian Giacomo dell’Acaya, per conto del Barone di Lizzanello e Melendugno Pompeo Paladini, e sorgeva marginalmente e piuttosto isolato rispetto alla cinta muraria difensiva del paese, nonché circondato da un fossato.

La base della struttura è scarpata, mentre la facciata principale è suddivisa in tre parti da due tori, o cordoni, marcapiano. Alla vista il complesso si sviluppa su due piani, il pianterreno e quello nobile, che sul prospetto principale si caratterizza per tre finestre, di cui la centrale è sovrastata da un piombatoio che, un tempo, proteggeva il ponte levatoio. Furono i Baroni d’Amely a sostituire l’originale ligneo con uno in muratura, cui si accede tuttora attraverso un portale sovrastato dal blasone della famiglia, a sua volta sormontato da una statua della Madonna Immacolata. In alto, sul terrazzo, un piccolo campanile a vela richiama la presenza di una cappella gentilizia al pianoterra, in cui sono conservati alcuni interessanti affreschi.

La caratteristica ed insolita, almeno in Puglia, pianta stellare sembra richiamare anche alcuni aspetti costruttivi riscontrabili sull’isola di Malta, ad opera dell’architetto salentino Evangelista Menga. Si tratta dei torrioni a pinza, capaci di garantire l’ottimale volume di fuoco sul nemico, fra due cortine stellari.

Cosimo Enrico Marseglia

 

Riapre la Palmanova Underground
Da ilfriuli.it del 25 luglio 2020

Di nuovo visitabili, sabato e domenica, le Gallerie di contromina del rivellino

Dopo la chiusura forzata a causa delle misure anticontagio, riapre anche il percorso di visita attrezzato e illuminato tra le vie militari sotterranee della Fortezza Unesco di Palmanova. I visitatori potranno immergersi nella Palmanova del 1600, seguendo i percorsi sotterranei utilizzati dalle milizie per difendere la città dai nemici, alla scoperta delle tecniche militari dell’epoca.

“Torniamo alla normalità. Palmanova si riapre ai molti turisti, anche stranieri, che giorno dopo giorno, sempre più spesso, scelgono Palmanova come meta di visita", commenta il sindaco Francesco Martines. "È un piacere e un orgoglio vedere sempre più cicloturisti affollare Piazza Grande, i bar cittadini, il Parco Storico dei Bastioni. Ma anche molti corregionali stanno riscoprendo le meraviglie del nostro territorio. Invito tutti a visitare la città stellata, patrimonio Unesco”.

E aggiunge l’assessore comunale con delega ai Bastioni Luca Piani: “Ora tutti potranno nuovamente godere di una visita unica alla Palmanova sotterranea a cui, da quest’anno si aggiungerà anche la magnificenza di Balardo Donato. Dai suoi due belvedere si può ammirare tutto il sistema difensivo realizzato per proteggere la città, ammiare, dal di dentro, la tecnica ingegneristica della Serenissima, capire la complessa struttura di una città invisibile da fuori ma molto articolata al suo interno”.
Le gallerie, che si snodano per alcune centinaia di metri sottoterra, saranno aperte al pubblico da sabato 25 luglio, ogni fine settimana (sabato e domenica, dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19).

Da quest’anno, il biglietto unico del costo di 2 euro (gratuito per under16, disabili e possessori di FVGCard) prevede anche l’accesso all’area visite di Baluardo Donato, il meglio conservato delle mura della città stellata, con i suoi due belvedere. Ad ogni gruppo errà fornita la possibilità di usufruire di un’audioguida dedicata. I biglietti possono essere acquistati all’Infopoint di Borgo Udine 4 oppure direttamente in galleria, durante gli orari di apertura. L’accesso alla gallerie sarà consentito per un massimo di 5 persone alla volta, muniti di mascherine protettive e previo disinfezione delle mani.

Per arrivare al percorso di visita attrezzato delle Gallerie Veneziane del Rivellino e Baluardo Donato, è necessario, fuori Porta Udine, scendere sotto le arcate dell’acquedotto veneziano e proseguire per circa 300 metri (5 minuti in biciletta) seguendo il percorso del Fossato. Dall’Infopoint di Borgo Udine 4, circa 600m (10 minuti a piedi).

I rivellini fanno parte della seconda linea di difesa della fortezza di Palmanova: sono nove, posti oltre il fossato, davanti alle cortine. La loro costruzione, su progetto dell’ingegner Verneda, fu decisa dal Senato veneziano per garantire la sicurezza difensiva, venuta meno per effetto dell’aumentata gittata dell’artiglieria pesante. L’intero intervento si concluse nel 1682. Tutta la cinta bastionata di Palmanova è percorsa nel suo sottosuolo da un sistema di gallerie, alcune delle quali percorribili e visitabili. Le gallerie costruite all’interno dei rivellini furono denominate “gallerie di contromina” perché, all’occorrenza, potevano essere “minate” e fatte esplodere, per danneggiare i nemici in avvicinamento.

Il Baluardo Donato fa parte della prima cerchia difensiva della Fortezza: una punta di freccia che crea la forma di stella a nove punte di Palmanova, famosa nel Mondo. Agli angoli del baluardo, gli “orecchioni”, sono presenti due logge di guardia per i soldati. Quella collocata sul lato sinistro è dotata di una rampa di sortita (galleria) che collega la Città direttamente all’esterno delle fortificazioni. Questa veniva utilizzata per i movimenti delle truppe, dotate di picche (aste) lunghe fino a sei metri, e delle milizie a cavallo. Sul Baluardo sono ancora visitabili la Riservetta delle Munizioni, le Logge e il Belvedere della Cortina.

Per i gruppi superiori alle 15 persone, è possibile organizzare aperture extra orario: la prenotazione è obbligatoria all’Infopoint Palmanova Promoturismo FVG - Borgo Udine 4, Palmanova tel. 0432 92 48 15.

 

A CHIOGGIA RIAFFIORANO LE BATTERIE COSTIERE
Da informazione.campania.it del 25 luglio 2020

“Ho scoperto una postazione antibombardamento aereo del 1916, dunque risalente alla Prima Guerra Mondiale. Dopo un lungo periodo di studi posso affermare che quella rinvenuta da me nel Bosco Nordio a Sant’Anna di Chioggia che è una frazione del Comune di Chioggia è una batteria anti – aerea della Grande Guerra, nelle retrovie del fronte italiano”. Lo ha affermato Luciano Chiereghin, storico di guerra, per passione, non nuovo a queste scoperte. Negli anni scorsi Chiereghin era riuscito a scoprire anche reperti bellici riportati alla luce dalla ritirata del Po.

“Io sono anche sulle tracce del sistema di telegrafia che sarebbe stato realizzato dalla Ditta Marconi di Genova– ha proseguito Chiereghin – ed il Covid ha solo rallentato le ricerche ma sono ad un buon punto. Intanto è arrivata questa scoperta nel bosco. La storia dei bombardamenti aerei e delle prime sperimentazioni di contrattacco iniziò anche nel Bosco di Sant’Anna di Chioggia già nella fase iniziale della Prima Guerra Mondiale, quando l’aereonautica Austro – Ungarica eseguiva bombardamenti aerei su obiettivi militari italiani. Ovviamente, in quel periodo, i bombardamenti erano ancora primordiali ma costrinsero la Regia Marina a servirsi del Regio Esercito per edificare manufatti in cemento atti ad accogliere artiglierie come i cannoni campali da 75 mm con affusto su ruote, costruiti dalla Armstrong di Pozzuoli nel 1906 e che non si prestavano assolutamente a colpire gli aerei nemici in volo e dunque vennero adattati. Furono edificati sul terreno dei pozzi circolari in calcestruzzo non armato avente una profondità di circa un metro e un diametro di 3,30 metri. La corona era circolare e graduata. Il cannone era completo di ruote con asse portante sostenuto e rialzato con un pilastro di cemento a tronco di cono conficcato nel terreno al centro del pozzo. C’erano vari sistemi per alzare il cannone. Nel caso del Bosco di Sant’Anna ad esempio sono stati usati il pilastro centrale ma anche dei travetti lignei disposti a raggiera che avevano il compito di attutire i colpi del cannone, scaricandoli sulla corona circolare del pozzo. Dal piano di difesa, redatto dall’Ammiraglio Taon di Revel, risulta che tale batteria antiaerea era composta da 4 pozzi identici allineati con direzione Nord – Ovest, Sud – Est e distanti 11 metri l’una dall’altra e tutti individuato dallo stesso Chiereghin. Per il rilevamento dei velivoli in avvicinamento si utilizzava un sistema di ascolto degli aerei in volo. Mediante autofoni si ascoltavano i rumori dei motori degli aerei in avvicinamento. Nel caso specifico del Bosco di Sant’Anna, il centro di ascolto era sulla a Loreo sulla vecchia Torre e ad Adria sul campanile della Cattedrale, assieme alla stazione radiotelegrafica la quale inviava, alle singole batterie, i messaggi di allarme”. Nel 2016, Luciano Chiereghin scoprì alcune Fortificazioni sul Delta del Po ed ancora nel 2017 ha scoperto a Rosolina una postazione radar della seconda guerra mondiale, nel 2018 riuscì ad individuare il relitto della nave San Giorgio nelle acque del Po, notizia che ebbe notevole risalto mediatico. Numerose sono state le sue scoperte e spesso Luciano Chiereghin viene accolto nelle scuole ed incontra studenti. Per questa scoperta vuole ringraziare il Signor Gabriele Citro di Cà Lino per avergli segnalato una strana edificazione in calcestruzzo nel Bosco S. Anna

 

“L’Italia entra in guerra”: il nuovo libro dell’autore Mauro Minola 10-25 Giugno 1940: quindici giorni che sconvolsero la nazione
Da lagendanews.com del 25 luglio 2020

S. AMBROGIO DI TORINO – “L’Italia entra in guerra, 10-25 Giugno 1940“: il nuovo libro dell’autore Mauro Minola. È uscito in questi giorni per le edizioni Susalibri, il primo dei tre volumi della guerra sul fronte delle Alpi Occidentali. Il 10 giugno 1940, l’Italia entrava in guerra contro la Francia e la Gran Bretagna. I primi quindici giorni dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale ebbero come teatro delle operazioni proprio la frontiera occidentale del Piemonte, della Valle d’Aosta e della Riviera Ligure.

Il rombo del cannone tuonò sulle montagne e i soldati italiani attaccarono i francesi. I quali, protetti dalle opere fortificate, erano ben decisi a resistere. Il racconto di quei giorni rivive in queste piacevoli pagine di storia. Per non dimenticare le testimonianze di quei protagonisti che si trovarono, loro malgrado, proiettati in una serie di eventi epocali. Eventi che avrebbero cambiato la propria esistenza e il volto del paese.

L’AUTORE

Mauro Minola, nato nel 1958, risiede a Giaveno. Da sempre appassionato di storia e di architettura militare, ha intrapreso approfonditi studi sulle fortificazioni italiane delle Alpi occidentali. E sull’evoluzione delle tipologie dei sistemi difensivi dell’intero arco alpino. Ha scritto numerose pubblicazioni sull’argomento e sulla storia locale della Valle di Susa e della Val Sangone. Ha tenuto conferenze ed interventi presso convegni di studio promossi da associazioni culturali e circoli privati. Ha svolto e svolge tuttora attività di docente nelle UNITRE di Avigliana, Giaveno, Sangano. Trattando tematiche di storia locale, architettura militare e salvaguardia dei beni storici. È infine socio volontario del gruppo FAI-Valsangone.

 

Forte austriaco, bandiera rodigina
Da polesine24.it del 24 luglio 2020

Una ditta rodigina si è aggiudicata la gestione del compendio bellico di Forte Pozzacchio Werk Valmorbia, in Trentino alle pendici del Pasubio. Raffineria Creativa srls, un’azienda nata nel 2015 che punta alla creazione, alla promozione e alla valorizzazione del prodotto turistico nel territorio italiano, è stata selezionata dal Comune di Trambileno, e da questo mese è impegnata in questa nuova avventura.
Forte Pozzacchio è l’ultima delle fortezze austro-ungariche realizzate tra Ottocento e inizio Novecento sull’allora confine tra il Trentino asburgico e il Regno d’Italia. Interamente scavata nella roccia, rappresentava la più moderna macchina da guerra della monarchia danubiana. I lavori di costruzione del forte iniziarono nel 1913 e proseguirono fino allo scoppio della guerra con l’Italia, ma l’opera non fu mai completata. Abbandonato dall’esercito austro-ungarico, il 3 giugno 1915 venne occupato dai soldati italiani. Con l’offensiva del maggio 1916 il forte ritornò in mano austriaca e vi rimase fino alla conclusione del conflitto. Già fortemente danneggiato dai bombardamenti, nel dopoguerra venne completamente spogliato delle parti metalliche.

Recentemente restaurato, la nuova gestione ha così permesso di riaprire il sito al pubblico. “Abbiamo la responsabilità di valorizzare un luogo dal grande fascino e dalla grande storia”, ha commentato Lodovico Ottoboni, ceo di Raffineria Creativa, che ha già reso possibile la riapertura al pubblico nei giorni di venerdì, sabato e domenica dalle 10 alle 18. La domenica sono previsti due turni di visita guidata al compendio, uno alle 14 e uno alle 16, con accesso di 15 persone per gruppo che dovranno obbligatoriamente prenotarsi all’indirizzo e-mail info@fortepozzacchio.it oppure al numero di telefono 345 1267009. Il recente restauro della struttura, promosso dalla Provincia autonoma di Trento su progetto degli architetti Francesco Collotti e Giacomo Pirazzoli, ha reso il forte nuovamente visitabile la struttura.

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Il Castello di Corigliano d’Otranto
Da lavocedimaruggio.it del 24 luglio 2020

Posto sul lato meridionale dell’antica cinta muraria, il Castello di Corigliano d’Otranto è un vero gioiello tra le piazzeforti di epoca rinascimentale che è possibile ammirare in Puglia, rappresentando inoltre il momento di passaggio dal torrione a pianta quadrata a quella rotonda di forma cilindrica, infatti: “Il Castello di Corigliano, nella sua completa ristrutturazione operata da Giovan Battista Delli Monti, si pone come lo stereotipo più rappresentativo del cambiamento della tipologia architettonica difensiva che passa dallo sviluppo verticale delle torri prismatico trecentesche alle fortificazioni turrite, basse e scarpate” ( G.O. D’Urso – S. Avantaggiato, “Il Castello di Corigliano d’Otranto”, Lecce, Edizioni del Grifo, 2009).

Sorto probabilmente in epoca medievale, fu successivamente ristrutturato ed ingrandito nel periodo compreso fra il 1514 ed il 1519 da Giovan Battista de’ Monti Signore di Corigliano che, in seguito alla presa di Otranto da parte dei Turchi nel 1480 ed alla successiva riconquista, lo adeguò ai canoni difensivi dell’epoca.
La struttura si presenta a pianta quadrata con quattro torri angolari cilindriche, munite di cannoniere lungo i fianchi, con casematte ubicate sia al pianterreno sia al primo piano. Su tutte le torri sono presenti le armi della famiglia de’ Monti. Il castello è circondato da un ampio fossato. Le torri sono dedicate a quattro santi, partendo da quella settentrionale, esattamente a sinistra guardando la facciata principale, e procedendo in senso antiorario sono dette: di San Michele Arcangelo, di Sant’Antonio Abate, di San Giorgio e di San Giovanni Battista.
Nel XVII secolo viene a perdersi l’originaria funzione difensiva del castello ed ha inizio la trasformazione in residenza signorile. In particolare il Duca Francesco Trane, nuovo signore che aveva precedentemente acquistato nel 1651 la fortezza dalla famiglia de’ Monti, provvide nel 1667 alla costruzione della nuova facciata principale interamente barocca, addossata alla precedente, munita di tredici nicchie in cui vennero poste altrettante statue allegoriche, nonché otto busti di grandi comandanti di epoche passate. Iscrizioni celebrative completano la facciata cui si aggiunse una bellissima balconata in pietra leccese ed una balaustra ornata di fregi, fiori, animali mitologici, nonché il blasone dei signori. L’originale ponte levatoio ligneo venne sostituito da uno in  pietra.
Dal 1999 il castello è proprietà del Comune ed al suo interno ospita una biblioteca, un museo multimediale ed un book shop.

Cosimo Enrico Marseglia

 

Cultura: ad agosto mostra in sei torri costiere della Puglia
Da ansa.it del 23 luglio 2020

Dal 5 al 30 agosto percorso espositivo da Vieste a Taranto

(ANSA) - BARI, 23 LUG - "Sta Come Torre" è il titolo della mostra allestita all'interno di sei torri lungo 865 chilometri di costa pugliese, in programma dal 5 al 30 agosto. L'inedito progetto espositivo a cura di Paolo Mele, diffuso tra Vieste, Trani, Polignano a Mare, Brindisi, Tricase Porto e Taranto, alla porte delle sei province pugliesi, è promosso dalla Regione e realizzato dal Teatro Pubblico Pugliese nell'ambito del progetto "Destinazione Puglia".
Ogni torre è presidiata da un artista e accoglie opere dalla torre precedente e successiva.
Le torri così sono artisticamente connesse le une alle altre. Sei mostre in dialogo tra di loro in un'unica grande mostra: non una mostra itinerante, dunque, ma una mostra unitaria che è essa stessa un viaggio, un'esplorazione del paesaggio costiero pugliese. I sette artisti a guardia delle sei torri sono Luigi Presicce, Pamela Diamante, Lucia Veronesi, Coclite/De Mattia, Elena Bellantoni e Gabriella Ciancimino. La scelta delle location rispecchia una sorta di geografia della diversità culturale del litorale pugliese con l'obiettivo di valorizzare le torri costiere e mettere insieme politiche culturali e promozione turistica: l'auditorium San Giovanni a Vieste che è una ex chiesa, lo chalet del XIX secolo della villa comunale a Trani, il museo d'arte Fondazione Pino Pascali a Polignano a Mare, il Monumento al Marinaio a Brindisi, il Porto Museo a Tricase e il centro culturale indipendente Crac a Taranto.
L'ingresso a tutte le mostre è gratuito, ma per entrare alla Fondazione Pino Pascali e al Monumento al Marinaio è necessario acquistare il biglietto di ingresso ai siti. Tutte le informazioni sono disponibili sul sito https://www.stacometorre.it/venues/. (ANSA).

 

Il Bastione delle Maddalene apre le porte ai cittadini
Da larena.it del 23 luglio 2020

Una veduta del complesso militare che sorge a due passi da Porta Vescovo FOTO MARCHIOR

Tra rampe e casematte, addentrandosi in luoghi dal nome affascinante e desueto giù per gallerie di contromina, rampari e traversoni di defilamento. È un percorso attraverso le epoche che hanno segnato la storia veronese, in un cuore verde, a due passi da Porta Vescovo, il Bastione delle Maddalene che ha riaperto i battenti al pubblico. I cittadini possono visitarlo gratuitamente, non solo accedendo al parco e godendo della tranquillità tra viottoli e muraglioni, ma anche entrando nella fortezza, costruita in epoca veneziana e rifortificata dagli austriaci senza tralasciare vezzi e dettagli architettonici. Al giardino si accede dalle 8.30 alle 20. Al bastione, invece, da martedì a domenica, dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 16 alle 19. Fino a settembre. Il bastione è anche il punto di partenza dei Tramonti Unesco, le visite guidate che si tengono ogni venerdì dalle 18.

All’apertura, la settimana scorsa, sono stati 40 gli iscritti. E stasera si fa il bis. Il gruppo, scortato da due guida accreditate, parte a piedi dal Bastione delle Maddalene e prosegue per Porta Vescovo e poi lungo le mura magistrali fino alla Batteria di scarpa e alla rondella di San Zeno in monte dove si termina guardando il tramonto, con il sole che cala alle spalle della città. Ci si iscrive via mail a tramontiunesco@comune.verona.it Venerdì a parte, di giorno il Bastione delle Maddalene si può visitare all’interno entrando dalla casamatta di destra. Si scende poi tra cunicoli e ampi locali che contenevano i cannoni. Dai cannonieri laterali al ramparo. Lì sotto corrono, seguendo le spesse mura di fortificazione, le gallerie di contromina che si dirigono verso Porta Vescovo. In ogni sala ci si può soffermare sui pannelli della mostra sulle fortificazioni e sulle mura condotta dall’università di Pavia. Il bastione, incastonato nella cinta magistrale, è l’ ultimo baluardo del sistema difensivo austriaco, preesistente al quale c’era la cinta scaligera del 1287-1289.

L’interno con le caratteristiche volte a vela FOTO MARCHIOR

Nel 1527, sotto la Serenissima, fu costruito il bastione con la cortina fino a porta Vescovo. Tra il 1815 e il 1866, i genieri dell’Impero austriaco modificarono le mura. «I primi bastioni», spiega Ettore Napione, dell’Ufficio comunale Unesco, «furono progettati da Venezia. La Serenissima entrò da questo punto e qui fortificò, seguendo le linee dell’ingegnere militare Pierfrancesco da Viterbo. Gli austriaci trovarono un manufatto semiditrutto dai francesi e lo ricostruirono con la loro idea di difesa, su progetto dell’ingegnere militare Franz von Scholl, curando anche i dettagli. Ciò rende le fortificazioni luoghi affascinanti rispetto alle casematte in cemento armato del secolo successivo». «Verona deve partire dal turismo culturale anche locale. In questo senso va fatto il salto di qualità», commenta un cittadino venuto con il nipotino per visitare il bastione. «E i veronesi devono conoscere questi luoghi». Un assist per l’Ufficio Unesco che, anche con i Tramonti, sta cercando di trovare nuovi percorsi turistici di qualità e alternativi ai tradizionali, meno generalisti e che attirino soprattutto i veronesi.

Non solo balcone di Giulietta, nsomma. «La promozione delle mura proseguirà con un percorso didattico arricchito da ologrammi e strumenti multimediali», spiega l’assessore agli affari Unesco, Francesca Toffali. «I punti cardine del rilancio passano dalla convenzione con l’università di Pavia dello scorso anno per approfondire la conoscenza del patrimonio della cinta, ma anche per effettuarne il rilievo e capire lo stato di degrado. Il secondo è l’accordo quadro con lo Iuav di Venezia, unica università veneta con una cattedra Unesco, con il quale comporre un comitato scientifico in ausilio al nostro Ufficio Unesco». •

Maria Vittoria Adami

 

Col quarto ponte, Forte Marghera continua il rilancio
Da metropolitano.it del 22 luglio 2020

Forte Marghera come… il Canal Grande. Perché, con l’inaugurazione della nuova passerella, anche la grande area della terraferma veneziana, oggetto di un’importante opera di recupero, adesso è servita da quattro ponti. E, a conferma che Venezia è un’unica grande città, pur articolata in tante sfaccettature diverse, si tratta di un ponte galleggiante. Proprio come si usa fare nella città d’acqua in occasione di eventi importanti come il Redentore o la Madonna della Salute (e, dallo scorso anno, riprendendo una tradizione di inizio Novecento, anche nei giorni di novembre dedicati ai defunti).

Il quarto ponte di Forte Marghera

Il collegamento inaugurato ora è una passerella pedonale, costruita proprio alla maniera dei ponti votivi a Venezia. Collega l’isolotto cuore dell’ex forte militare alla striscia fortificata a punte che lo separa dalla terraferma. «Questo ponte dà circolarità alla camminata all’interno del forte», ha sottolineato il sindaco Luigi Brugnaro in occasione del taglio del nastro, alla presenza dei rappresentanti della Fondazione Forte Marghera e di Insula, che ha curato i lavori della passerella.

I ponti di Forte Marghera

Forte Marghera conta su 2 ponti d’accesso, ricostruiti e consolidati seguendo il loro progetto originale, lungo l’asse principale del complesso fortilizio. Gli altri 2 sono posti simmetricamente, per collegare l’isolotto con le estremità della striscia a corona che una volta difendeva la fortificazione dagli attacchi che potevano provenire dalla terraferma.

L’intervento infrastrutturale sul Forte

Negli ultimi anni, il Forte è stato oggetto di una profonda opera di riqualificazione. Sono state rifatte le infrastrutture che riguardano la fornitura elettrica, le acque meteoriche e le acque nere. Le fognature preesistenti erano infatti delle fosse biologiche della città antica, che scaricavano in laguna. Lavori hanno riguardato anche il sistema antincendio e l’acquedotto, che ora prende l’acqua sia da San Giuliano che da via Torino. E questo ha facilitato l’arrivo al Forte di una serie di attività. Nell’ampio progetto rientrano anche l’asfaltatura della via principale che attraversa il forte e l’asfalto drenante e colorato sulle vie laterali per distinguere gli itinerari e le vie minori con lo stabilizzato “Sarone”.

Gli interventi sulle strutture

Anche i lavori sugli edifici del Forte sono a buon punto, procedendo passo dopo passo. Sono già stati ristrutturati gli immobili di pregio sulla baia e ora le casermette austriache. E il 5 agosto parte il recupero dell’edificio numero 39.

«A Forte Marghera – ha ricordato Brugnaro – sono stati investiti 15 milioni di euro. Quando lo abbiamo preso in carico abbiamo trovato una situazione complicata. Nello stato di abbandono c’erano cavi volanti dappertutto, tutto era fuori norma, non c’erano sottoservizi».

La gestione del Forte

Nell’ottica del recupero è stata creata anche la Fondazione Forte Marghera, che cura la gestione dei vari luoghi recuperati. La concessione, ha annunciato il sindaco, verrà rinnovata per altri 2 anni. «La Biennale e la Fondazione dei Musei Civici hanno confermato la loro presenza con mostre ed esposizioni, con altre esposizioni che partiranno a breve. Senza contare la fruibilità dei luoghi da parte dei cittadini la sera. Il sistema dei forti che serviva a difendere la città, ora difende il suo futuro», ha concluso Brugnaro.

 

Tra bunker e maschere antigas: così l’URSS insegnava ai bambini a difendersi da possibili attacchi
Da rbth.com del 22 luglio 2020

Di Anna Sorokina

Le lezioni di difesa civile presero piede durante il primo conflitto mondiale e si intensificarono con lo scoppio della Guerra Fredda. Alla popolazione si spiegava come reagire in caso di bombardamenti, attacchi chimici o nucleari
In Russia, così come in Europa, si cominciò a insegnare le basi della difesa civile alla popolazione durante la Prima guerra mondiale. Per la prima volta iniziarono a circolare avvertimenti su imminenti bombardamenti e sulle regole di comportamento in caso di attacco chimico o di necessaria assistenza medica. Negli anni ‘30 venivano organizzati regolarmente incontri per spiegare ai cittadini come proteggersi dalle varie minacce della guerra.

Il sistema di difesa civile dell’URSS prese forma definitivamente negli anni ‘60, durante la Guerra Fredda, quando apparvero quartieri generali della protezione civile praticamente in ogni città e in ogni impresa più o meno importante.

Dai bambini ai pensionati

In URSS era obbligatorio assistere a conferenze sulla difesa civile fin da bambini. L’obiettivo principale di questi incontri era quello di insegnare ai cittadini come proteggersi da eventuali attacchi con armi nucleari, chimiche o batteriologiche. Le lezioni introduttive iniziavano a scuola: esistevano corsi per ogni fascia d’età, e anche gli alunni delle scuole elementari erano in grado di cucire mascherine per il viso utilizzando garza e cotone, e condurre un’evacuazione ordinata in caso di allarme. Fin da piccolissimi i bambini conoscevano l’esistenza delle armi di distruzione di massa e sapevano che, in caso di esplosione nucleare, avrebbero dovuto nascondersi in un bosco o in un fossato, o in un bunker in caso di radiazioni. Se anche voi pensavate che i campi per i giovani pionieri servissero per far divertire i bambini all’aria aperta… vi sbagliate di grosso. Venivano organizzati giochi di squadra come “Zarnitsa”, in cui i giovani si allenavano per orientarsi geograficamente e amministrare i primi soccorsi. Nelle scuole superiori e nelle aziende, gli addestramenti di difesa civile venivano svolti in accordo alla specializzazione scelta.
Furono realizzati speciali sistemi di protezione con finestrini trasparenti da installare sulle carrozzine per i neonati che non potevano indossare normali mascherine facciali. Gli enti locali di difesa civile organizzavano conferenze per i pensionati nei cortili dei condomini e nei parchi. Inoltre si prestava particolare attenzione alla formazione morale e psicologica, per insegnare alla gente a mantenere la calma e a seguire le istruzioni anche nelle situazioni di emergenza.

Il rischio esplosioni

Oltre a partecipare a incontri e conferenze, i cittadini sovietici erano tenuti a rispettare certi standard di addestramento. Per esempio, si esigeva che la gente fosse in grado di scegliere e indossare una maschera antigas in tutta velocità: al momento del via, i partecipanti dovevano salire su un tavolo, prendere la misura della propria testa, trovare la giusta misura della maschera antigas, avvitare il contenitore del filtro alla maschera, indossarla e controllarne l'ermeticità. L’operazione doveva essere svolta al massimo in un minuto. Un’altra prova consisteva nell’indossare la propria maschera antigas in 10 secondi.
Al comando di “Esplosione a sinistra (o a destra)”, ci si doveva buttare a terra e cercare qualcosa con cui proteggersi. I partecipanti avevano 3 secondi a disposizione e venivano valutati sulla base della qualità del rifugio individuato e di come avevano protetto mani e testa. Addestramenti simili venivano condotti anche per esercitare l’assistenza medica, per costruire rifugi e per valutare la velocità con cui le persone cercavano riparo.
Inoltre, venne pubblicato un opuscolo dal titolo: “Ciò che tutti dovrebbero sapere e fare”, destinato a un vasto pubblico di lettori. Il volantino si apriva con l’affermazione secondo la quale “il campo imperialista sta preparando il più terribile crimine contro l'umanità: una guerra termonucleare mondiale che potrebbe portare a una distruzione senza precedenti”; e così il dovere di ogni cittadino sovietico era quello “di studiare modi e mezzi per garantire la protezione contro le armi di distruzione di massa e sapere come metterle in pratica anche in tempo di pace”, al fine di proteggere la propria famiglia.
Il volantino spiegava in dettaglio le misure da adottare: ad esempio, in caso di armi batteriologiche (in URSS l’antrace, la peste e il colera erano considerati gli agenti batteriologici più pericolosi), si doveva imporre la quarantena nelle zone colpite, chiudendo le istituzioni culturali e controllando il transito in entrata e uscita. Era inoltre prevista la sanificazione degli edifici e del personale medico e di controllo.

Qual è la situazione al giorno d’oggi?

Sebbene molte persone non prendessero troppo sul serio le esercitazioni di questo tipo, molte famiglie dell'URSS possedevano maschere antigas, e i ragazzini sapevano cucire mascherine con materiali improvvisati e sapevano dove si trovava il più vicino rifugio antiatomico. Dopo il crollo dell'URSS, la protezione civile è stata posta sotto la giurisdizione del Ministero delle Situazioni di Emergenza, e oggi nelle fabbriche e nelle imprese si tengono solo esercitazioni antincendio: in altre parole, le persone vengono addestrate ad evacuare gli edifici quando suona l'allarme. Ogni tanto si svolgono ancora lezioni di protezione civile, ma non su così vasta scala. Gli ex rifugi sono diventati luoghi di “pellegrinaggio” per gli esploratori urbani, o sono stati trasformati in musei, o semplicemente chiusi. La generazione più anziana, tuttavia, ricorda ancora come comportarsi in caso di minaccia.

 

Somma, apertura speciale in notturna per il Castello Visconteo
Da malpensa24.it del 21 luglio 2020

Di Sergio Zara

SOMMA LOMBARDO – Il Castello Visconteo apre i cancelli anche dopo il tramonto, con una visita guidata serale in programma per il 25 luglio. In occasione dei cinquecento anni dalla morte di Raffaello, prendendo spunto dalle riproduzioni di alcuni capolavori dell’artista, si farà un tour tra le stanze della nobile dimora raccontando e collegando le importanti testimonianze al mecenatismo visconteo. L’appuntamento sarà dalle 19 alle 22, con obbligo di prenotazione, a causa dei posti limitati dalle norme anti- Covid. Necessario anche l’utilizzo della mascherina. Per informazioni e prenotazioni è possibile telefonare ai numeri 0331256337 o 3667507462. Oppure mandare una mail a castellovisconti@libero.it. Costo del biglietto 8 euro.

Il Castello Visconti di San Vito

Il Castello Visconti di San Vito è una dimora ricca di storia, arte e da sempre ha apportato cambiamenti politici, territoriali, tradizionali alla comunità e alla città di Somma Lombardo.
A contraddistinguere il ramo di questa longeva casata, fino ad accomunarla al Duomo di Milano e al murale di Andrea Ravo Mattoni, è sicuramente l’amore per il bello, il senso estetico, oltre agli affreschi e ai quadri commissionati e conservati. Ma anche le stampe d’arte e l’arredamento.
E ancora: Dalla piccola guglia del Duomo di Milano, agli affreschi di inizio ‘600 che impreziosiscono le pareti del piano nobile del castello. Dalle stampe d’arte e copie di alcune opere di Raffaello (“Il Parnaso” delle Stanze Vaticane e “Santa Cecilia”) ai ritratti di famiglia del Novecento ad opera di artisti ancora legati al movimento simbolista, come Glauco Cambon e Bice Visconti. Fino all’opera più recente, il murale dell’artista Andrea Ravo Mattoni, ritraente un quadro seicentesco custodito nell’antica dimora.

 

Monte Urpinu, sgomberati gli edifici: "Da agosto polo ambientale nell'ex servitù militare"
Da youtg.net del 21 luglio 2020

CAGLIARI. Vanno avanti spediti i lavori di riqualificazione dell'ex deposito carburanti dell'Aeronautica a Monte Urpinu. Dopo la pulizia dei terreni è la volta dello sgombero degli edifici: "Stiamo procedendo con il conferimento in discarica di rifiuti, invio al macero di cartone e recupero del patrimonio. Entro agosto pulizia completa e avvio della realizzazione del polo ambientale", annuncia il direttore generale dell'assessorato agli Enti locali Umberto Oppus.

L'area tra viale Europa, via dei Conversi e via Is Guadazzoni, dismessa nel 2008 sulla base degli accordi del ministero della Difesa con la Regione, è stata a lungo tenuta in stato di abbandono. Poi la Regione non aveva trovato niente di meglio che utilizzarla come depositi di materiali dismessi. Di recente la svolta, con l'annuncio della creazione di un parco urbano e del trasferimento, negli edifici già a disposizione, degli uffici di Forestas e dell'assessorato all'Ambiente".

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Il Palazzo Baronale e la Torre Guevara di Orsara
Da lavocedimaruggio.it del 21 luglio 2020

Il Palazzo Baronale di Orsara ha delle radici abbastanza antiche. Sappiamo che in origine faceva parte dell’abbazia di Sant’Angelo ed includeva una struttura adibita a ricovero per i pellegrini di passaggio. Nell’anno 1229 fu ceduto all’Ordine Spagnolo dei Cavalieri di Calatrava, venendo elevata al rango de Casa – Madre dell’Ordine Cavalleresco – Militare per tutta l’Italia.
Nella prima metà del XVI secolo, esattamente nel 1524, il palazzo fu acquistato dalla famiglia di origine spagnola Guevara, Duchi e Signori di Bovino, nelle cui mani restò per molto tempo. Furono proprio i Guevara ad avviare una serie di interventi di ampliamento e modifica che trasformarono la struttura in residenza signorile. Nel palazzo si distingue un torrione con finestre monofore centinate, ossia ad arco. Inoltre, il quinto in ordine cronologico Duca di Bovino, Giovanni Guevara, costruì nel 1680 anche un altro palazzo che prese nome dalla stirpe: Torre Guevara (nella foto), in una zona ricca di selvaggina ed immersa nel verde, che venne utilizzato come sontuosa riserva di caccia. A tal proposito, nella struttura soggiornò anche il Re di Napoli Carlo III di Borbone nella prima metà del XVIII secolo.

Quest’ultima struttura, che più che una torre è un palazzo di campagna, si presenta a pianta quadrangolare e si sviluppa su tre livelli sovrastati da una maestosa cornice aggettante. Gli interni sono con volte a botte e si caratterizzano per una muratura  particolarmente spessa.

Cosimo Enrico Marseglia

 

Sette affascinanti fortezze russe circondate dall’acqua e da splendidi paesaggi
Da rbth.com del 21 luglio 2020

Di Anna Sorokina

Per secoli queste maestose fortificazioni hanno protetto il paese dai nemici. Oggi sono musei a cielo aperto, che ricordano a tutti la gloria del passato

1 / Sviyazhsk, Tatarstan

La città fortificata di Sviyazhsk, situata sull’isola omonima, fu costruita in soli 24 giorni, nel 1551, per ordine di Ivan il Terribile; alla sua realizzazione parteciparono 75.000 persone. Fu la prima città ortodossa del Tatarstan, e doveva diventare un avamposto russo contro il Khanato di Kazan. Inizialmente sorgeva sulla cima di una montagna chiamata Kruglaya (“Rotonda”).

Il lago apparve solo nel 1957 dopo la costruzione di una centrale elettrica. Sull'isola si possono ammirare ancora oggi alcune antiche chiese in pietra, oltre alla chiesa in legno dell'Assunzione, risalente al XVI secolo: è l'unico edificio dell'epoca di Ivan il Terribile giunto intatto fino a noi. Nel 2017 l'UNESCO ha incluso Sviyazhsk nella lista del patrimonio mondiale dell'umanità.

 

2 / Shlissenburg (Oreshek), San Pietroburgo

Questa fortezza sull'isola di Orekhovy fu costruita per proteggere la Russia dagli svedesi, nella metà del XIV secolo. Nacque su una via commerciale marittima e passò agli Svedesi un paio di volte, prima di essere riconquistata da Pietro il Grande, che le attribuì il nome attuale. Qui furono applicati alcuni interessanti concetti militari e architettonici: l’ingresso, per esempio, è ad angolo retto rispetto alle mura, in questo modo il nemico sarebbe stato attaccato più facilmente quando entrava.
Shlissenburg è spesso chiamata la "Bastiglia russa". Dal XVII secolo ospita una prigione per detenuti politici, dove fu rinchiusa anche la prima moglie di Pietro, Evdokiya Lopukhina, e il fratello del leader della rivoluzione russa Vladimir Lenin.

 

3 / Forte di Alessandro I (Forte della Peste), San Pietroburgo

Costruito nella metà del XIX secolo a Kronstadt, nel golfo di Finlandia (San Pietroburgo), il Forte di Alessandro I non è mai stato teatro di battaglie. Tuttavia, ha ospitato una guarnigione della Marina militare dove hanno prestato servizio circa 1.000 soldati.

Fu chiuso nel 1896 perché considerato inutile, ma la gente vi fece ritorno l’anno successivo, a causa di un’epidemia di peste bubbonica.
Durante il periodo sovietico, il forte fu utilizzato come magazzino per le attrezzature militari, e fu poi abbandonato nuovamente negli anni Ottanta. Negli anni Novanta, questo luogo divenne popolare per alcuni rave illegali. Oggi è aperto alle visite guidate.

 

4 / Fortezza di Vladivostok

Una delle fortezze più potenti del paese si trova nell'Estremo Oriente russo.

Fu costruita sull'isola di Russkij, vicino alla città di Vladivostok, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo. La linea di difesa principale fu costruita dopo la guerra russo- iapponese del 1905 e qui si contano 16 torri collegate tra loro da tunnel e gallerie: un vero e proprio capolavoro di architettura militare!

L'isola Russkij era un tempo la base principale della flotta russa del Pacifico, ma è stata chiusa fino alla fine del XX secolo. È stata riaperta ai turisti solo di recente.

 

5 / Por-Bazhyn, Tuva

Nel cuore della Repubblica di Tuva (Siberia del Sud), nel mezzo del lago di montagna Tere- Khol, c'è un'isola-fortezza chiamata “Por-Bazhyn” (la casa di argilla). I primi esploratori della Siberia trovarono questa fortezza nel XVII secolo.

Gli archeologi moderni ritengono che Por-Bazhyn appartenesse al popolo degli Uiguri e che potrebbe essere stata costruita intorno all'VIII-IX secolo, quando il lago ancora non esisteva. Il bacino d’acqua apparve a seguito di un terremoto, che costrinse gli Uiguri ad abbandonare la fortezza.

Oggi di quell’antica costruzione restano solo le fondamenta.

 

6 / Castello di Vyborg, Regione di Leningrado

Questa fortezza sull'isola di Zamkovy (Castello) fu costruita dagli svedesi alla fine del XIII secolo, durante la loro crociata contro le tribù finlandesi in Carelia. Il castello aveva il compito di proteggere gli svedesi dagli attacchi della Repubblica Russa di Novgorod, che non aveva intenzione di cedere la regione al re di Svezia.

Il castello e la stessa città di Vyborg divennero russi nel 1710 dopo la Grande Guerra del Nord. Ora, è uno dei rari castelli medievali presenti in Russia: vale proprio la pena visitarlo!

 

 

7 / Isola di Solovetskij, regione di Arkhangelsk

All’epoca della sua costruzione, nel XVI secolo, questa era la fortezza più settentrionale della Russia; fu realizzata da Ivan il Terribile per proteggere il monastero Solovetskij dagli svedesi. Le mura, costruite con massi del Mar Bianco, hanno uno spessore di ben 7 metri alla base.

La fortezza fu attaccata due volte: durante la rivolta dei Vecchi Credenti contro la riforma della chiesa, nel XVII secolo, e durante la guerra di Crimea, nel 1854.

Negli anni 1920-1930, qui si trovava anche il campo Solovetskij.

 

Sit in a Conetta per scongiurare l’arrivo dei profughi alla ex base militare
Da veneziatoday.it del 20 luglio 2020

La protesta contro la riapertura della struttura che per anni ha ospitato migliaia di migranti

E' in corso lunedì pomeriggio a Conetta, proprio davanti all'ex base militare, un sit in di protesta per scongiurare la riapertura. La struttura, fino a qualche tempo fa, aveva ospitato migliaia di migranti e nei giorni scorsi, anche dopo la scoperta di un nuovo focolaio di Covid 19 alla Croce Rossa di Jesolo, dove 43 stranieri ospiti sono stati trovati positivi, i timori che l'ex base militare possa riaprire si sono fatti sentire tra i cittadini e nel mondo della politica.
I migranti positivi al tampone sono già stati trasferiti da Jesolo a Cavarzere, ma a Conetta si respira un'aria di protesta tra molti cittadini, che vogliono far sentire la propria voce nel mostrarsi contrari a un'eventuale ipotesi di riaprire l'ex base missilistica. Al loro fianco, anche il sindacato Fsp Polizia di Stato, che sottolineano le problematiche relative alla gestione della sicurezza. «Auspichiamo che l’ipotesi di riportare qui i profughirimanga tale o per il commissariato di Chioggia, che ha già abbondantemente dato per ben tre anni e mezzo, sarebbe da collasso - tuona Mauro Armelao, segretario regionale -. Ci permettiamo di ricordare al prefetto che il commissariato di Chioggia, come il resto degli uffici della provincia che si trovano in zone turistiche, non ha avuto il benché minimo rinforzo estivo. Sensibilizziamo il prefetto a non prendere assolutamente in considerazione l’ex base di Conetta, difficile da controllare per le dimensioni e per la distanza da uffici delle forza dell’ordine e da altri servizi. Non si facciano più gli stessi errori del passato. Come Fsp Polizia di Stato diciamo no alla riapertura».

Il Prefetto: «Stiamo valutando varie strutture»

Da parte sua, il prefetto di Venezia Vittorio Zappalorto precisa che si stanno «valutando altre strutture in cui trasferire i migranti, tra Cui Conetta. Ma non ho mai detto che domani riapro Conetta. E' fondamentale che queste persone non abbiano contatti con altre persone per evitare nuovi contagi».

 

Degrado della torre aragonese di Porto Torres
Da sardegnareporter.it del 19 luglio 2020

Degrado della torre aragonese di Porto Torres, denunciato dai Riformatori sardi di Forza Paris. La trasformazione della Torre Aragonese di Porto Torres da monumento simbolo della città a emblema dell’incuria.
Questo è il messaggio dei Riformatori Sardi che intendono attirare l’attenzione delle istituzioni denunciando il precario stato di conservazione monumento che fa parte del preziosissimo patrimonio culturale turritano.

Un monumento tutelato con apposito decreto dal MiBACT e inserito dalla Regione Autonoma della Sardegna tra i Beni Identitari da proteggere e valorizzare. Enrico Costa a proposito della torre del porto di Porto Torres ha scritto che fu la corona d’Aragona che ordinò la costruzione della torre dando disposizioni all’ammiraglio Francisco Carroz, il quale la ultimò nel 1326.

In base all’importanza del sito da sorvegliare fu edificata un imponente torre “Gagliarda”, che era armata da almeno quattro cannoni.
In un disegno del 1608, realizzato da Erasmo Magno in occasione di una visita a Porto Torres, la torre appare in primo piano nella sua forma ottagonale.

Baluardo della difesa dell’isola

Pertanto risulta l’unico esempio architettonico a pianta ottagonale del complesso costiero militare delle torri erette nell’isola per proteggere la popolazione dalle incursioni barbaresche.
Da anni la torre è chiusa al pubblico a causa delle precarie condizioni igienico sanitarie un cui si trova. Ciò che preoccupa maggiormente è il fatto che sia stata dimenticata. La torre aragonese di Porto Torres nel 2010 è stata anche il simbolo della protesta dei lavoratori della Vinyls, ma sembra che insieme alla morte delle speranze dei lavoratori sia defunta anche l’attenzione delle istituzioni cittadine.

Uno stimolo per cercare nuove opportunità di sviluppo

Eppure proprio la manifestazione per il lavoro doveva risultare da stimolo per spingere proprio le istituzioni a ricercare nuove opportunità di sviluppo da contrapporre alla caduta occupazionale determinata dalla crisi dell’industria chimica, puntando, a parere dei Riformatori, sulla valorizzazione dei Beni Culturali e sul turismo culturale.

Attualmente la torre aragonese, bene demaniale dello Stato, si trova all’interno del perimetro dell’area portuale di competenza dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sardegna.

Il codice Urbani

Il Decreto Legislativo 42/2004, Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, all’Articolo 30. Obblighi conservativi, comma 1, recita: “Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico hanno l’obbligo di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza. Mentre il comma 3 specifica: “I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a garantirne la conservazione”.

Si auspica intervento del Sindaco

Tutto ciò premesso i Riformatori sollecitano un autorevole intervento del Sindaco di Porto Torres affinché convochi tutte le parti interessate ad un tavolo per analizzare la situazione e per studiare la maniera più celere per procedere alla bonifica e alla disinfestazione del monumento che richiederebbe, tanto per cominciare, un intervento di somma urgenza. Ci risulta che il Comune di Porto Torres sia in possesso di un progetto riguardante la valorizzazione della Torre Aragonese elaborato in occasione dei finanziamenti POR, presentato dal Comune alla Regione unitamente al progetto di restauro del Ponte Romano.
Ci risulta inoltre che il Liceo Artistico di Sassari si sia interessato ad un progetto di recupero e di riuso della Torre Aragonese in occasione di un PON nazionale sulle torri costiere.
Sappiamo anche di una interessante tesi di laurea della giovane turritana Grazia Carcangiu (Università degli Studi di Sassari, Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica)

 

L’ex caserma di Tricesimo diventa un museo dinamico e interattivo
Da friulioggi.it del 18 luglio 2020

Il progetto per l’ex caserma di Tricesimo.

“Un museo dinamico e interattivo, che ponga la storia e i suoi insegnamenti al servizio della comunità locale, con un focus particolare dedicato agli studenti, ma anche un’iniziativa in grado di attrarre turismo culturale e sviluppare contatti e sinergie a livello internazionale”.
È questo il progetto per l’ex caserma Sante Patussi di Tricesimo che il presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, Piero Mauro Zanin, ha condiviso con i sindaci dei Comuni friulani di Tricesimo (Giorgio Baiutti), Moruzzo (Albina Montagnese) e Reana del Rojale (Emiliano Canciani) nel corso si un incontro con l’associazione Cingoli e Ruote che gestisce l’ex struttura militare, ora riconvertita a uso pubblico.
L’idea emersa dall’incontro si rifà al Parco della Storia militare di San Pietro del Carso-Pivka, in Slovenia, che sta riscuotendo ampio successo tra i visitatori.
“La differenza sostanziale – ha spiegato Zanin – è che in Friuli la maggior parte dei mezzi esposti sono stati restaurati e resi funzionali al punto da essere disponibili per delle visite guidate in movimento, naturalmente accompagnate da testimonianze storiche finalizzate a promuovere i valori della pace e della convivenza tra i popoli”.

“L’obiettivo finale – ha concluso Zanin – è un museo didattico dinamico e sostenibile, dove il rispetto dell’ambiente debba essere alla base della sua istituzione e del conseguente utilizzo”.

 

Bechevinka, base sovietica fantasma della Guerra Fredda
Da yahoo.com del 17 luglio 2020

Russia, Bechevinka: la città abbandonata dai sommergibilisti sovietici

In Russia, la città abbandonata di Bechevinka si staglia nel paesaggio della penisola di Kamchatka, in mezzo al verde e alla natura incontaminata. Un tempo era una base militare sovietica, che aveva il nome in codice di Petropavlovsk-Kamchatsky-54, lista delle più vicine città e ultime due cifre del codice postale del campo.

 

 

Russia, Bechevinka: città abbandonata

La penisola di Kamchatka, dove si trova l’abbandonata Bechevinka, è un’area inospitale piena di ghiacciai e vulcani, conosciuta ai più come la russa “Landa del fuoco e del ghiaccio”. Si può raggiungere solo via mare, elicottero oppure mezzi adatti a slittare sulla neve, in inverno. Per questo motivo venne considerata la zona perfetta per costruirvi una base segreta per missioni in sottomarino. Fondata nel 1960, durante la Guerra Fredda, a Bechevinka i sommergibilisti potevano sostare anche per riposarsi, data la costruzione di case che ora si trovano in parte distrutte.

La casa dei sommergibilisti sovietici

C’erano otto unità residenziali da tre a cinque piani di altezza, tutte numerate nell’ordine di costruzione. C’era persino un asilo per bambini, una scuola, un supermercato e un ufficio delle poste, un club per lo svago con spazio per l’orchestra. Purtroppo, un incendio nel 1987 ne decretò la rovina. Nella città fantasma sono presenti anche un quartier generale, baracche, un ufficio per il comandante, magazzini di stoccaggio, un’area rifornimenti con carburante. In questo modo, una volta a settimana Bechevinka riceveva beni di prima necessità e militari dalle vicine Petropavlovsk e Kamchatsky, così da consentire la sopravvivenza dei residenti.

Oggi, la ex base militare sovietica è città fantasma e meta di turisti appassionati di luoghi abbandonati. L’area della Kamchatka, inoltre, è divenuta popolare tra i pescatori ma anche tra gli amanti di sci e snowboard durante i mesi invernali.

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Il Castello Baronale dei Gallone-Pignatelli a Nociglia
Da lavocedimaruggio.it del 17 luglio 2020

Il primo nucleo dell’attuale Palazzo Baronale di Nociglia era un castello risalente alla fine del XIV secolo, successivamente riadattato nel ‘500, di cui resta oggi un’alta torre quadrangolare munita di feritoie, di beccatelli angolari e di caditoie per la difesa piombante. La struttura originaria subì nel corso dei secoli diversi ampliamenti e modifiche, in special modo alla fine del XVII secolo e nel corso dell’800 e del ‘900. Negli anni ’80 del XX secolo sono stati effettuati dei lavori di restauro che lo hanno reso fruibile ed attualmente viene adibito ad eventi di carattere culturale.
La struttura ha una pianta quadrangolare, i cui ambienti si articolano perimetralmente intorno al cortile, in cui si trova la torre antica che si sviluppa su due piani, voltati a crociera, di cui quello superiore ospita un bellissimo camino di fattura medievale. Il prospetto principale del palazzo ha un aspetto austero e si distingue per la presenza di un ampio balcone aggettante, costruito fra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII, sorretto da grosse mensole. Diversi ambienti al pianterreno presentano volte a botte risalenti all’epoca medievale. Sulla struttura, inoltre, è possibile rinvenire le tracce di alcuni archetti risalenti al XV secolo.

L’ingresso al palazzo è garantito da un portale con arco a tutto sesto di epoca rinascimentale, sovrastato dal blasone della famiglia dei Principi di Tricase Gallone – Pignatelli. Il lato nordorientale del palazzo consente di accedere al cortile attraverso un ambiente ad archi a tutto sesto, aperto negli anni ’80 del XX secolo, che conferisce al prospetto laterale un aspetto simile ad un chiostro. Alle spalle del palazzo si sviluppa l’ampio giardino pubblico che richiama alla memoria il vecchio orto del maniero.

Cosimo Enrico Marseglia

 

Il bunker di lusso per sopravvivere all'Apocalisse e al Coronavirus
Da corrieredellosport.it del 17 luglio 2020

ROMA - Larry Hall ha acquistato dal governo americano un rifugio sotterrato a 60 metri di profondità nel Kansas, costruito durante la guerra fredda per custodire un missile balistico. Un vero e proprio palazzo, dotato di tutti i possibili comfort extralusso e a prova di Apocalisse, in grado di resistere agli attacchi nucleari e di "tenere fuori" anche il Coronavirus. Immagini sbalorditive mostrano due silos dell'ex missile governativo che ora sono diventati lussuosi spazi abitativi, con il proprietario che sostiene addirittura che può "tenere fuori" il Coronavirus

https://www.corrieredellosport.it/news/notiziaultima-ora/2020/07/17-71856403/coronavirus_un_milione_di_casi_in_india/). 14 piani all'avanguardia, che risalgono al 1960, quando fu costruita la struttura sotterranea.

 

Il bunker di lusso per il Coronavirus

Le pareti in cemento indurito con resina epossidica dei rifugi sono spessissime e sono in grado di resistere alle condizioni più critiche, sia naturali che provocate dall'uomo, tra cui anche un attacco nucleare e venti che superano i 500 miglia all'ora. La porta in acciaio e cemento pesa ben otto tonnellate. Situato nel Kansas, negli Stati Uniti, l'attuale proprietario e ingegnere Larry Hall ha trasformato il complesso in condomini nel 2008. Larry ha trovato il modo anche di dedicare alcuni spazi al tempo libero e allo svago in caso di fine del mondo: nella struttura infatti ci sono anche bar, cinema, jacuzzi e persino un poligono di tiro.

"L'acquisto di un appartamento comprende fornitura di cibo, interni completamente arredati e progettati su misura, attrezzature speciali per i membri registrati, accesso al computer e ai sistemi di condominio - sono le parole di Larry Hall riportate dal Mirror - La nostra filtrazione dell'aria nucleare, biologica e chimica (NBC) può filtrare agenti patogeni come il Covid-19. La struttura è dotata di una completa sicurezza di livello militare per garantire la sicurezza dei residenti e della struttura, indipendentemente dalla minaccia".

 

"Restauro e valorizzazione delle mura storiche": il progetto di Davide Frisoni
Da riminiduepuntozero.it del 17 luglio 2020

Il recupero delle mura storiche dall’Anfiteatro a Porta Montanara, con una dedicazione per ogni torre. E' la proposta avanzata ieri in consiglio comunale dal rappresentante di Patto civico-Italia Viva, che non risparmia critiche dure all'amministrazione per come sono state "compensate" le alberature abbattute in concomitanza con il passaggio del Psbo.
Nel consiglio comunale di ieri sera il consigliere di Patto civico-Italia Viva, Davide Frisoni, ha presentato al Sindaco, agli assessori all’ambiente, Anna Montini, e alla cultura, Giampiero Piscaglia, una interrogazione che è anche qualcosa di più perché nel depositarla è stata già allegata una documentazione che qualifica il tutto come un progetto da realizzare per successivi step. Di seguito l’intervento di Frisoni.

Faccio questa interrogazione sul tema della valorizzazione delle Mura storiche depositando anche una bozza di un progetto a stralci, che dia inizio da subito al recupero, restauro e valorizzazione della importante cinta muraria della nostra città.
Un percorso che inizia dal Parcheggio Start Romagna e che passa per l’Anfiteatro, l’Arco di Augusto, la Porta Montanara fino ad arrivare al Ponte di Tiberio e finendo alle Mura Federiciane a fianco di Porta Galliana.
La cinta prosegue poi anche lato San Giuliano, dove possiamo ammirare ancora meglio la monumentalità originaria. Una importantissima Cinta Muraria composta anche da 22 Torri ancora visibili o parzialmente visibili, nella porzione che va da Porta Montanara al Parcheggio Start.
Per riappropriarsi di questi spazi così importanti della nostra storia vado a fare alcune proposte partendo da un pensiero.
Da sempre l’uomo ha avuto bisogno di dare un nome a ogni creatura e oggetto, per farne memoria, per renderli amici, per fare sua la realtà. Abbiamo bisogno che la realtà sia nostra amica, conoscibile e riconoscibile. Per questo, ipotizzando un progetto di recupero e valorizzazione delle mura storiche dall’Anfiteatro a Porta Montanara, si sta pensando a una dedicazione per ogni torre. Questa riconoscibilità, che avrà un nome preciso, ci permetterà di identificare immediatamente i luoghi, le torri, su cui intervenire, principalmente per progetti di valorizzazione, secondariamente per le eventuali emergenze.
Un progetto che, ben coscienti delle dimensioni delle strutture, non potrà che essere spalmato su più anni, forse legislature, tra interventi di riorganizzazione del verde, consolidamento delle strutture murarie e valorizzazione attraverso, perché no, la collaborazione con associazioni del territorio affinché, una volta recuperate e salvate, queste mura e torri possano essere gestite e manotenute in modo sussidiario con cittadini e associazioni. Questo percorso prevede alcuni passaggi fondamentali.
Il primo e il secondo punto si possono realizzare subito.

1 – Spostamento di tutte le nuove piantumazioni di alberi appena realizzato lato Mura Storiche. Queste alberature sono state organizzate senza senso e senza tener conto proprio di un recupero e valorizzazione delle mura storiche. Messe giù a caso senza un progetto preciso né tanto meno condiviso. Per non parlare di quelli che erano cespugli che oggi arrivano a oltre tre metri di altezza perché non sono mai stati potati e che ad oggi coprono coni ottici verso le mura di oltre 30/40 metri.
Anche se riteniamo giusto compensare le potature dovute al passaggio del PSBO nel parco, non possiamo dire che quanto fatto sia adeguato. L’accordo è stato fatto solo con le associazioni ambientaliste ma non con quelle che si prendono cura della storia e della valorizzazione dei nostri monumenti, me compreso. Anziché mettere alberature in un polmone già esistente come quello del parco, perché non sono state messe 30/40 alberature su piazzale Gramsci o lungo via Anfiteatro dove sarebbero fondamentali per mitigare l’eccessivo calore prodotto dall’asfalto? Oppure perché non sono state previste alberature nel grande piazzale della stazione o nei parcheggi quasi terminati sempre in stazione? Tutti luoghi giganteschi senza verde. Ciò che meraviglia ancora una volta è il silenzio della Sovrintendenza. Non ha voluto giustamente alberature nel progetto di riqualificazione di Castel Sismondo, ma per questo assurdo progetto di piantumazione di decine di alberi davanti al percorso delle mura storiche non ha detto nulla.
Ma sono convinto che non sia nemmeno stata interpellata, perché “è una promessa da mantenere” per tenere buoni gli ambientalisti, con buona pace dei monumenti che, “chissenefrega”, tanto gli storici non attaccano striscioni sulle mura (perché le rispettano) come fanno gli altri sugli alberi. Vorrei sapere dove sta scritto che Cultura e Ambiente non possano fare un progetto condiviso!

2 – L’eliminazione di alcune alberature dentro le torri che mettono a rischio sia le strutture che le persone. Si parla in realtà di alcuni Pini che nel tempo si sono pericolosamente appoggiati alle mura e che ne stanno minando la stabilità. Un progetto di piantumazione fatto credo negli anni ottanta, senza nessuna coscienza del pericolo che quel tipo di alberature potevano creare alle strutture murarie.
Contemporaneamente sarà necessario liberare alcune torri da rampicanti piuttosto invasivi che stanno muovendo i mattoni delle mura, mettendo in serio pericolo le mura stesse. Quanto richiesto fin qui, è già stato verificato con alcuni tecnici, restauratori, archeologi e storici che sono tutti concordi che questa prima fase sia già realizzabile senza correre rischi particolari, perché sostanzialmente si tratta di potature e taglio di arbusti, utili per salvare le mura.

3 – Realizzare il restauro, recupero e valorizzazione della torre di origine romana lungo le mura adiacenti al Parcheggio Start, che faccia da modello per tutto il progetto. Start Romagna sappiamo essere già pronta a sostenere un intervento (come dichiarato in consiglio dall’Assessore Piscaglia). Bene, questo deve essere di vera valorizzazione andando a scavare 2/3 metri alla base del profilo delle mura, come fatto nel Campone di Castel Sismondo, andando a liberare la visuale e mettendo in evidenza la parte più antica delle mura Aureliane, le più antiche di tutta la cinta muraria.

4 – Si potrà creare all’interno delle torri, liberate dalle pericolose alberature, un percorso di allestimento di opere d’arte pubbliche, creando una relazione fra antico e contemporaneo di grande interesse culturale e turistico. Deposito questa sera in consiglio comunale questo primo progetto che darà ufficialmente inizio ad un vero e proprio intervento di restauro e valorizzazione della cinta muraria storica. Su questo punto c’è pieno accordo per una valutazione seria e puntuale con l’Assessore Piscaglia, sempre sensibile a queste tematiche.

 

Nuove biblioteche e aule studio per gli studenti: il Comune punta sull'ex Polveriera
Da trevisotoday.it del 16 luglio 2020

Il noto complesso militare di via Tronconi a Treviso potrebbe finalmente aver un destino. Cà Sugana è infatti pronta ad acquisire l'area dal Demanio, previa però totale bonifica

Di Brando Fioravanzi

Nuove biblioteche e aule studio per gli studenti: il Comune punta sull'ex Polveriera

opo veri decenni di attesa è, forse, giunto il momento per pensare ad un effettivo nuovo destino per l'area dell'ex Polveriera di via Tronconi a Treviso. La struttura, in totale abbandono nei pressi degli istituti Palladio e Mazzotti, è stata negli ultimi anni oggetto di varie proposte di recupero, dalle associazioni (come Treviso Sotterranea) ai più svariati gruppi politici locali, soprattutto della sinistra trevigiana con in primis l'ex sindaco Giovanni Manildo che, durante il proprio mandato, aveva proposto di creare proprio su quell'area un progetto di co-studying, co-working e counseling. Insomma, l'idea di tramutare l'ex Polveriera in uno spazio fruibile a tutti è da sempre al centro dei pensieri delle varie amministrazioni comunali che si sono seguite a Cà Sugana e il sindaco Mario Conte prosegue proprio su questa linea.

«L'idea che abbiamo, come Amministrazione comunale, è quella di riqualificare l'intera area dell'ex Polveriera - dichiara ai nostri microfoni il primo cittadino trevigiano, a margine della presentazione del progetto "Scuola sicura" al Palladio - Da ormai troppi anni i residenti del quartiere chiedono provvedimenti per recuperare la struttura, ma purtroppo devo ricordare che l'area è di proprietà del Demanio. Il nostro obiettivo è però quello di acquisire quanto prima tutta la superficie, ma per poterlo fare abbiamo bisogno che lo Stato bonifichi tutto quanto, sia sotto l'aspetto bellico che ambientale. Il problema - continua Conte - è difatti legato ai costi: mentre per la parte bellica si può preventivare un'eventuale spesa, per quanto riguarda la parte ambientale i costi sono del tutto inquantificabili. Possono essere migliaia di euro come centinaia, se non addirittura milioni. Siamo però ormai a buon punto con i colloquio con Roma e, appena dovesse procedere con la bonifica definitiva, noi saremo pronti per trasferire la proprietà dell'area. A quel punto potremmo finalmente dare il via a diversi progetti che abbiamo in mente».

Per Mario Conte, infatti, «è necessario fornire alla comunità trevigiana dei nuovi spazi da adibire ad aule studio e biblioteche. Insomma, una zona studio per tutti gli studenti, dai liceali agli universitari. Un complesso che si unirebbe anche "fisicamente" con il polo universitario del San Leonardo attraverso la nuova "Ciclopolitana" prevista tra il centro città e viale Europa. tutto questo per una città sempre più a misura di studente».



 
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Dopo veri decenni di attesa è, forse, giunto il momento per pensare ad un effettivo nuovo destino per l'area dell'ex Polveriera di via Tronconi a Treviso. La struttura, in totale abbandono nei pressi degli istituti Palladio e Mazzotti, è stata negli ultimi anni oggetto di varie proposte di recupero, dalle associazioni (come Treviso Sotterranea) ai più svariati gruppi politici locali, soprattutto della sinistra trevigiana con in primis l'ex sindaco Giovanni Manildo che, durante il proprio mandato, aveva proposto di creare proprio su quell'area un progetto di co-studying, co-working e counseling. Insomma, l'idea di tramutare l'ex Polveriera in uno spazio fruibile a tutti è da sempre al centro dei pensieri delle varie amministrazioni comunali che si sono seguite a Cà Sugana e il sindaco Mario Conte prosegue proprio su questa linea.
«L'idea che abbiamo, come Amministrazione comunale, è quella di riqualificare l'intera area dell'ex Polveriera - dichiara ai nostri microfoni il primo cittadino trevigiano, a margine della presentazione del progetto "Scuola sicura" al Palladio - Da ormai troppi anni i residenti del quartiere chiedono provvedimenti per recuperare la struttura, ma purtroppo devo ricordare che l'area è di proprietà del Demanio. Il nostro obiettivo è però quello di acquisire quanto prima tutta la superficie, ma per poterlo fare abbiamo bisogno che lo Stato bonifichi tutto quanto, sia sotto l'aspetto bellico che ambientale. Il problema - continua Conte - è difatti legato ai costi: mentre per la parte bellica si può preventivare un'eventuale spesa, per quanto riguarda la parte ambientale i costi sono del tutto inquantificabili. Possono essere migliaia di euro come centinaia, se non addirittura milioni. Siamo però ormai a buon punto con i colloquio con Roma e, appena dovesse procedere con la bonifica definitiva, noi saremo pronti per trasferire la proprietà dell'area. A quel punto potremmo finalmente dare il via a diversi progetti che abbiamo in mente».
Per Mario Conte, infatti, «è necessario fornire alla comunità trevigiana dei nuovi spazi da adibire ad aule studio e biblioteche. Insomma, una zona studio per tutti gli studenti, dai liceali agli universitari. Un complesso che si unirebbe anche "fisicamente" con il polo universitario del San Leonardo attraverso la nuova "Ciclopolitana" prevista tra il centro città e viale Europa. tutto questo per una città sempre più a misura di studente».

 

La vita nella base della Luftwaffe
Da italiaoggi.it del 16 luglio 2020

L'archeologia alla scoperta della seconda guerra mondiale

di Andrea Brenta

Una struttura «non regolamentare», dall'architettura sconosciuta. In Francia, nei pressi di Caen, in Normandia, scavi archeologici hanno portato alla luce una base militare della Luftwaffe, l'aviazione militare tedesca, parte integrante della Wehrmacht durante il secondo conflitto mondiale. In quest'area, infatti, a partire dal 1941, l'armata di Hitler insediò diverse basi della difesa antiaerea, tra cui quella di Bretteville-sur-Odon. Qui era presente una batteria di cannoni da 200 millimetri e una guarnigione di 120 uomini, retroguardia del Vallo Atlantico, l'esteso sistema di fortificazioni costiere costruito dal Terzo Reich tra il 1940 e il 1944.
«Contrariamente ai bunker, che sono standardizzati», ha spiegato al quotidiano Le Monde Benoît Labbey, l'archeologo dell'Inrap (Institut national de recherche archéologiques préventives) che ha condotto gli scavi di Bretteville, «noi abbiamo in questo caso una struttura non regolamentare con un'architettura sconosciuta». Poiché Hermann Göring aveva ordinato la distruzione degli archivi della Luftwaffe, non vi è nulla che possa contribuire a descrivere l'organizzazione del sito.
Gli scavi rivelano che la struttura era divisa in due parti. A Sud la zona difensiva, dove erano  installati i cannoni antiaereo. In disparte si trova una trincea rettilinea di una cinquantina di metri di lunghezza che serviva tre locali quadrati di 3,5 metri per lato dove erano conservate le munizioni. Per costruire i muri di queste camere interrate i tedeschi hanno utilizzato il materiale locale, il calcare di Caen.

La zona Nord della base era riservata all'acquartieramento della guarnigione. I soldati hanno scavato una decina di fossi ampi e profondi per installarvi degli chalet in legno, dove essi vivevano e che erano al riparo in caso di attacchi o esplosioni. Queste strutture sono inedite e non sono documentate nelle fonti ufficiali. Interessanti anche le testimonianze della vita quotidiana dei soldati portate alla luce dagli scavi: reti da letto in metallo, bicchieri, spazzolini da denti, una confezione di dentifricio Gibbs, fiale di profumo, una bottiglia di Perrier, stoviglie francesi, ma anche piatti destinati agli ufficiali della Luftwaffe, con il marchio dell'aquila e della croce uncinata.
L'archeologia della seconda guerra mondiale è una disciplina recente, il cui avvio è segnato dalla scomparsa dei testimoni diretti. Nel 2013 Aurélie Filippetti, allora ministro francese della cultura, aveva dichiarato che le vestigia dei conflitti armati del XX secolo dovrebbero «godere di una considerazione e di una protezione identiche a quelle degli altri elementi del patrimonio archeologico».

 

Bastione di San Bernardino: spettacoli, musica e intrattenimento
Da verona-in.it del 16 luglio 2020

Francesca Toffali, assessore all’Unesco: «È un sogno che si realizza, finalmente le mura diventano spazi da vivere. Una prima pietra miliare nel percorso per valorizzare questo patrimonio, bene dell’umanità».

L’estate accende il Bastione di San Bernardino, quello tra Porta Palio e San Zeno. Così come era stato annunciato durante il Covid (https://www.verona-in.it/?s=Covid) per fornire ai veronesi occasioni di svago in città, l’Amministrazione comunale ha indetto la manifestazione d’interesse per portare all’interno dell’area verde (https://www.veronain.it/?s=bastioni) spettacoli, musica, visite guidate e animazione per bambini. Un cartellone di eventi da realizzare nei mesi di agosto e settembre, una sorta di ”prova generale” in vista del Festival delle Mura (https://www.verona-in.it/2020/05/28/un-nuovoprogetto-per-unestate-al-parco-delle-mura/) che si terrà l’anno prossimo. L’iniziativa, insieme ai Tramonti Unesco (https://www.comune.verona.it/nqcontent.cfm? a_id=69844&tt=verona_agid) lungo la cinta di Veronetta, si inserisce nel calendario delle proposte promosse quest’anno dal Comune per i 20 anni dal riconoscimento di Verona quale patrimonio mondiale Unesco (http://www.unesco.it/it/PatrimonioMondiale/Detail/135).

«È un sogno che si realizza, finalmente le mura diventano spazi da vivere – spiega l’assessore all’Unesco Francesca Toffali -. Una prima pietra miliare in quello che è il percorso che stiamo portando avanti per valorizzare questo patrimonio, bene  dell’umanità.
Dopo le visite guidate dell’anno scorso, che hanno smosso l’attenzione di tantissimi veronesi, ora puntiamo a valorizzare questi luoghi non convenzionali con iniziative mai fatte prima in città. Speriamo che tanti operatori economici partecipino, se l’interesse sarà alto potremo non solo farlo diventare un appuntamento fisso ma anche allargarlo ad altri tratti della cinta muraria».

Il bando

(https://www.comune.verona.it/media/_ComVR/Cdr/SegreteriaConsiglio/Allegati/Unesco/Estate%202020%20ai%20Bastioni%20di%20S.%20Bernardino/AVVISO_PUBBLICO.pdf), che è pubblicato sul sito del Comune (https://www.comune.verona.it/nqcontent.cfm?a_id=69957), premierà la migliore offerta culturale, quella più variegata e interessante, rivolta a diverse fasce d’età. L’obiettivo, infatti, è sia di dare il via ad una sperimentazione all’interno dei bastioni che potrebbe diventare poi un appuntamento fisso, sia valorizzare il patrimonio della cinta magistrale. Il Comune, proprietario dell’area del Bastione di San Bernardino, metterà a disposizione gratuitamente il compendio, affidandolo in concessione a terzi, che si occuperanno della programmazione, organizzazione e gestione degli eventi, alcuni dei quali potranno essere a pagamento. Verrà, inoltre, data la possibilità di aprire dei chiostri per la somministrazione di bevande e alimenti. Gli eventi potrebbero proseguire anche nel mese di ottobre, se il meteo lo consentirà.

 

Bardonecchia: fortificazioni, bunker e fortini delle Seconda Guerra Mondiale Una conferenza organizzata dalla Pro Loco Bardonecchia
Da lagendanews.com del 16 luglio 2020

BARDONECCHIA – Introdotta e animata da Simone Bollarino mercoledì 15 luglio nella Sala Giolitti del Palazzo delle Feste la Conferenza Bardonecchia Bunker e Fortezze. Durante la quale Fabio Cappiello, il relatore, ha espletato il servizio militare in zona nel corpo degli alpini. Ha illustrato ai numerosi presenti, con l’ausilio di diverse immagini, reperti e giornali d’epoca, gli itinerari del Vallo Alpino. Con particolare riferimento alle numerose fortificazioni, ai bunker e i fortini edificati a ridosso della Francia. Allo scopo di difendere i confini nazionali, a cavallo tra la Prima. Soprattutto, della Seconda Guerra Mondiale e tuttora presenti, sia pure in gran parte semidistrutti sul territorio della Conca di Bardonecchia.

LE FORTIFICAZIONI

Il relatore, nel sottolineare che il governo fascista italiano il 10 giugno 1940, ha dichiarato guerra alla Francia, sia pure si trovasse in una condizione generale e strategica fortemente svantaggiosa. Solo in parte compensata dall’l’impegno profuso delle nostre truppe contro avversari meglio alloggiati, attrezzati ed informati. Una conferenza, organizzata dalla Pro Loco Bardonecchia, in collaborazione con la Civica Amministrazione. Ha testimoniato come esista una buona fetta di persone di tutte le età che sale in alta montagna alla ricerca di quanto rimasto di quegli anni. Alimentando, al pari di altre regioni alpine italiane di confine, una forma di turismo bellico e il relativo indotto.

A BARDONECCHIA

Accorato l’invito finale del relatore, rivolto non solo ai presenti: “Non cercate di entrare nei bunker e nelle fortificazioni presenti italiane di confine, fatte saltare dopo il trattato di pace del 1947 ed in particolare, non portate a casa eventuale materiale bellico ritrovato perché può essere molto pericoloso. Non imbrattate le strutture con disegni e scritte, salite in quota a piedi o in montainbike, limitandovi a vedere dall’esterno ciò che rimane, scattando, perché no, tante belle foto ricordo. Un bel modo per rispettare chi, comandato, ha stazionato in condizioni molto al limite nelle varie fortificazioni zonali, combattuto e, talvolta morto, per la difesa dei confini della Patria”.

 

FORTE DI EXILLES, RINVIATA L’APERTURA DEL 18 LUGLIO “A DATA DA DESTINARSI”
Da valsusaoggi.it del 16 luglio 2020

dall’ENTE DI GESTIONE DEI PARCHI DELLE ALPI COZIE

EXILLES – Doveva aprire da sabato 18 luglio, come da notizia diffusa dal parco Alpi Cozie, ma l’appuntamento è stato rinviato a data da destinarsi.

“Il Forte di Exilles non aprirà ancora da questo sabato – spiega il presidente dell’associazione Riccardo   Humbert – la data prevista era il 18 luglio, ma non è ancora possibile. Forse riusciremo dal 24 luglio, ma non è ancora ufficiale”.

 

Fuga di americani in Nuova Zelanda continua, vendite di bunker sotterranei alle stelle
Da notiziescientifiche.it del 16 luglio 2020

La fuga degli americani verso la Nuova Zelanda, probabilmente anche a causa della pandemia di COVID-19 in corso, continua ancora, anzi aumenta, come rileva un nuovo articolo apparso sul sito della CNN.
In luoghi anche remoti (anzi, più remoti sono, meglio è) della Nuova Zelanda, di  per sé già una delle più remote nazioni del mondo, probabilmente la regione più remota escludendo i due poli, circolano sempre più voci, è sempre più insistenti, di famiglie o gruppi di americani che hanno comprato un bunker.

Molto spesso a comprare questi bunker sono personaggi ricchi, talvolta miliardari. Non si comprano solo bunker sotterranei, ma anche normali alloggi come ville e simili. Una delle regioni più quotate in tal senso è quella di Queenstown, una località della provincia di Otago, a sud del paese, fino a qualche anno fa visita solo da qualche turista. Inserita in un’insenatura al centro di unlago a forma di Z, è una località nota per chi ama l’avventura.

Le voci dicono che sarebbero decine, se non centinaia, i bunker e i nascondigli segreti nascosti sottoterra nella regione di questa tranquilla cittadina ma le notizie naturalmente sono molto scarse in quanto chi fa questi acquisti insieme agli stessi venditori tendono a non aprire bocca e a lasciare pochissime informazioni sulle località dove gli stessi bunker sono posizionati.
Come spiega il direttore generale di Rising S, una delle varie aziende costruttrici di bunker, tutti quelli che si rivolgono a detta azienda cercano qualcosa per proteggere le loro famiglie, qualcosa che possa essere autosufficiente e in cui possono vivere per un periodo di tempo indefinitamente lungo, anche per anni. E quasi tutti gli acquirenti sembrano essere americani, un interesse che sarebbe aumentato esponenzialmente tra il 2017 e il 2018 nonché negli ultimi mesi con la pandemia di COVID-19.

 

L’Osservatorio di Monte Cimone e il sentiero dell’atmosfera
Da ilmeteo.net del 15 luglio 2020

Nell’Appennino Tosco Emiliano c’è uno dei più importanti Osservatori meteorologici di montagna. Il sentiero dell’atmosfera porta in vetta al Monte Cimone con un percorso didattico-ambientale.

Il Monte Cimone, 2165 m sul livello del mare, è la più alta cima dell’Appennino settentrionale. Sulla sua vetta si trova una stazione meteo sinottica, uno dei più importanti osservatori meteorologi di montagna e un centro di ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Inoltre si può salire in vetta attraverso a una passeggiata nei cambiamenti climatici, nella meteorologia di montagna e nelle curiosità dell’inquinamento atmosferico.

La costruzione, dal 1881, dell'Osservatorio di Monte Cimone, voluto da P:F.Parenti e da Pietro Tacchini, e inaugurato il 27 settembre 1892. una stele ne ricorda ancora oggi l'inaugurazione della torre Osservatorio, faro di Scienza e Civiltà

La storia dell’Osservatorio di Monte Cimone

La storia di questo osservatorio ha le sue radici fin dal 1655, quando i padri Gesuiti Riccioli e Grimaldi salirono in vetta e fecero le prime misure precise della sua altezza. Nel 1671 vi fu portato per la prima volta un barometro, e nel 1815 fu eseguita una triangolazione attraverso l’accensione di fuochi su Monte Cimone e su Monte Baldo, nelle Prealpi, osservati dall’Osservatorio di Modena.
Nel 1881 fu iniziata la costruzione di una torre ottagonale di osservazione meteo, inaugurata il 27 settembre 1892 e che raccolse dati fino al 1928. Fu costruita anche una chiesetta dedicata alla Madonna delle Nevi, celebrata ogni anno il 5 agosto.
Dopo anni di salite a piedi con materiale in spalla e muli, nel 1951 fu costruita una galleria con una funicolare interna alla montagna che da Pian Cavallaro, a 1850 m, facilita l’accesso in vetta agli operatori dell’Osservatorio.
Una curiosità, negli anni della guerra fredda si diceva che nella montagna  c’era un missile con armi nucleari pronto al lancio attraverso unacomplicata apertura della vetta. Era una leggenda metropolitana, prima di ogni fondamento.

La stazione meteorologica e di misura della CO2

La stazione meteorologica codice WMO 16134 – METAR LIVC è gestita dal Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare. Entrò in funzione nel 1937 e, dopo una pausa durante la seconda guerra, è operativa dal 14 agosto 1945.
Nel 1950 il Comandante Ten. Ottavio Vittori, uno dei padri delle scienze dell’Atmosfera in Italia e non solo, diede impulso alla parte scientifica della stazione. Nel 1975, quando si iniziava a parlare di un possibile buco nell’ozono, si iniziarono misure di contenuto colonnare di ozono. Nel 1979 si aggiunsero le misure di CO2 in atmosfera che sono una delle più lunghe serie mondiali di misure di gas serra.

Dal 2011, grazie alle collaborazioni fra servizio Meteo AM e CNR ISAC, la stazione è stata inserita nella rete mondiale GAW, Global Atmospheric Watch del WMO Organizzazione Meteorologica Mondiale.

Il Laboratorio Ottavio Vittori del CNR

A fianco dell’edificio dell’osservatorio Meteo si trova il laboratorio scientifico “Ottavio Vittori” del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Questo laboratorio si trova fuori dallo strato limite atmosferico dove ristagnano gli inquinanti e ha orizzonte libero a 360°.
E’ così luogo ideale per lo studio dell’inquinamento atmosferico di fondo, dei trasporti transfrontalieri di inquinanti, di particolato atmosferico e di polveri desertiche.
L’osservatorio partecipa a progetti e programmi di ricerca per lo studio dell’atmosfera, dei cambiamenti climatici e della qualità dell’aria.
Alcuni cartelli illustrativi del Sentiero dell'atmosfera, una passeggiata nei cambiamenti climatici, meteorologia, inquinamento transfrontaliero. Visite guidate della stazione meteo e laboratorio O.Vittori

La salita in vetta col sentiero dell’atmosfera

La zona è soggetta a rapidi sbalzi di temperatura, venti impetuosi e soprattutto fulmini, dunque salite solo con tempo buono e stabile e quando non vi è neve o ghiaccio al suolo.
Scelta la giornata ideale grazie alle previsioni e con un occhio al radar meteo, le condizioni cambiano in fretta, si può salire con una faticosa ma bella camminata di circa 2 ore dal sottostante Lago della Ninfa, a circa 1500 m, fino a Pian Cavallaro, 1850 m circa. Da Pian Cavallaro si imbocca il sentiero CAI 449, che conduce in vetta senza particolari difficoltà tecniche. Necessario adeguato equipaggiamento: scarponcini, maglione e a vento antipioggia, acqua e qualcosa da mangiare perché non vi sono luoghi di ristoro pubblici.
Il percorso è un itinerario didattico-ambientale con 14 cartelli informativi che illustrano l’atmosfera l’effetto serra, l’inquinamento atmosferico e la sua diffusione e trasporto, i cambiamenti climatici e aspetti botanici e naturalistici della zona in relazione ai cambiamenti climatici. La stazione meteo AM e il laboratorio sono visitabili in alcune giornate dell’anno in cui vi sono aperture al pubblico, o con visite guidate per scuole e gruppi.
Dalla vetta del Cimone si vede quasi la metà dell’intero territorio nazionale. Se il cielo è molto limpido si osserva la catena alpina al di là della pianura Padana spesso coperta da un rigo nero carico di inquinanti il Mar Tirreno e la Corsica fino al Monte Terminillo a Sud e, in casi rari, perfino il Mar Adriatico e l’Istria.

 

Moiola avvia il recupero del forte “Opera 5” del Vallo Alpino: l’obiettivo è l’apertura alle visite
Da lastampa.it del 14 luglio 2020

Di Carlo Giordano

Visitare l’«Opera 5» di Moiola, l’enorme fortino in caverna del Vallo Alpino, poco a monte del paese, sulla sinistra orografica dello Stura, è un’emozione non soltanto per gli appassionati di storia. Tra poco più di un anno lo si potrà fare, in sicurezza, grazie a un progetto del Comune, che può contare su un finanziamento di 350 mila euro della Regione. L’«Opera 5», costruita tra il 1940 e il 1942, mai entrata in funzione, si articola su 8 livelli.

«La progettazione è già in una fase avanzata - spiega il sindaco di Moiola, Loris Emanuel -. I lavori di sistemazione dovrebbero iniziare il prossimo anno. Si procederà con la sistemazione dell’area esterna per rendere visibili da fuori le varie postazioni e gli osservatori che spuntano dalla montagna, anche con la realizzazione di un sentiero che permetta ai visitatori di avvicinarsi. Per quanto riguarda la parte interna, completata la pulizia, verranno sistemati dei mancorrenti luminosi sufficienti per consentire ai visitatori di muoversi in sicurezza lungo i cunicoli. Si tratta di interventi poco impattanti».
È previsto anche il recupero dei due piccoli caseggiati, utilizzati dagli operai impegnati nella costruzione dell’«Opera 5», che si trovano sul pianoro d’ingresso.
«Sempre tenendo conto dei vincoli architettonici e ambientali, non dimentichiamo che la fortificazione si trova nel Parco Alpi Marittime - spiega ancora Emanuel -, un caseggiato sarà conservato salvaguardando la colonia di pipistrelli che si trova all’interno. L’altro, invece, verrà trasformato in centro di accoglienza visitatori».
Una colonia di pipistrelli si trova anche nei piani superiori dell’«Opera», per questo motivo una parte del forte sarà visitabile soltanto in alcuni periodi dell’anno, per non disturbare i chirotteri. Il Comune ha allo studio un percorso di avvicinamento alla fortificazione con partenza dal centro di Moiola. Nel territorio comunale si trovano altre 7 «Opere» del Vallo Alpino.
L’architetto Dario Castellino, che con i colleghi Alice Lusso e Valeria Cottino, ha predisposto il progetto di recupero, spiega: «L’Opera 5, non è mai stata armata. È una struttura, però, molto importante dal punto di vista architettonico. Abbandonata da tempo è stata poi ceduta dal Demanio al Comune».

 

Sant’Erasmo: la Torre Massimiliana casa delle produzioni di eccellenza
Da metropolitano.it del 14 luglio 2020

Sant’Erasmo è una delle isole più amate dai veneziani. Tante le eccellenze, che possono ora trovare un’unica, spettacolare vetrina: la Torre Massimiliana

Da sempre definita la “perla della laguna“, Sant’Erasmo, isola di Venezia caratterizzata da una biodiversità unica, avrà anche un suo centro di promozione della cultura e dei prodotti locali. La Giunta comunale ha infatti dato il via libera all’emanazione di un bando pubblico per la concessione venticinquennale dell’ex Forte di Sant’Erasmo (meglio noto come Torre Massimiliana), destinata a diventare una sorta di “vetrina” delle eccellenze dell’isola.

Voluta dall’arciduca Massimiliano Giusseppe d’Austria-Este, la torre, alta appena due piani, fu costruita tra il 1843 e il 1844 dagli austriaci sul sedime di una precedente fortificazione napoleonica, il Forte Sant’Erasmo (1811-1814) appunto. E’ circondata da un fossato acqueo e ha una terrazza dalla quale oggi si può godere di una spettacolare vista sull’intera isola e sulla bocca di porto del Lido.

Utilizzata durante la seconda guerra mondiale come batteria contraerea, è rimasta a lungo abbandonata e ricoperta da un terrapieno.
Ristrutturata nel 2003 dagli architetti Carlo Cappai e Maria Alessandra Segantini, in base all’accordo di programma tra il Comune di Venezia (oggi proprietario della Torre) e il Magistrato alle Acque/Consorzio Venezia Nuova, la Torre Massimiliana è attualmente inserita nel nuovo sistema di infrastrutture e paesaggio dell’isola di Sant’Erasmo. Negli ultimi anni ha ospitato diverse attività espositive tra i quali, nel 2007, in occasione della Biennale di Venezia, una grande mostra personale dedicata al pittore Emilio Vedova.

Il bando per la torre

L’ottocentesca Torre Massimiliana ospiterà infatti un edificio polifunzionale, con spazi dedicati alla lavorazione, preparazione, consumo e vendita dei prodotti locali d’eccellenza, un bar e un punto informativo. All’interno dell’antica struttura saranno inoltre organizzate varie attività didattiche volte a promuovere e valorizzare le attività produttive tradizionali, con particolare riferimento all’agricoltura, fulcro del sistema socio-economico isolano. “Con tale provvedimento – spiega l’assessore al Patrimonio Renato Boraso – andiamo a dare seguito ad una promessa fatta dal sindaco Luigi Brugnaro ai residenti dell’isola di Sant’Erasmo, dando quindi loro la possibilità di trasformare i prodotti coltivati nell’isola direttamente in loco”.

Sant’Erasmo: un’isola dalle mille sorprese

I veneziani amano Sant’Erasmo. L’isola delle delle “castraure”, del miele, del mosto e del “vin salso” è da sempre un punto di riferimento estivo fondamentale. Proprio davanti alla Torre, infatti, c’è il famoso “Bacan”, l’area balneabile che, con la sua spiaggetta, le sue secche e il suo bar-ristorante da maggio a settembre viene raggiunta dai cittadini in barca.

Ma Sant’Erasmo resta soprattutto il polmone verde della laguna. Fra “acqua e tera” è caratterizzata dalla presenza di numerosissimi orti dedicati ad alcuni prodotti peculiari dell’isola, come il famoso carciofo violetto, al quale è dedicata anche una festa. Sono presenti, inoltre, aree verdi, filari di vigne in cui si svolgono memorabili vendemmie e canali navigabili.

Un’isola che pullula di idee e di associazioni

Ha pochi abitanti Sant’Erasmo. Ma negli ultimi tempi ai residenti storici si sono aggiunti alcuni altri giovani. Da sempre, ciò che non è mancato nell’isola sono però le idee.

A Sant’Erasmo si produce anche vino, quello della tenuta “Oro di Venezia” della famiglia Thoulouze, un vino generato da antichi vitigni italiani coltivati nel rispetto delle dinamiche naturali.
Ma questa piccola isola della laguna nord è anche un luogo dove trovare pace, vivere esperienze di riflessione, di risveglio del corpo, di svago, di scambio e confronto. Varie attività promosse da diverse realtà esistenti in isola, come “Benestare a Sant’Erasmo”, associazione ideata nel febbraio del 2019 che oggi conta circa cinquanta iscritti. La sede associativa, una piccola casa in legno dotata di acqua corrente, energia elettrica e servizio igenico, è circondata da un giardino di 5mila metri quadri con orto, alberi da frutto, spazio grill, gazebo, tavolate con panche, piscine gonfiabili, dondoli, amache e qualche bicicletta ad uso degli associati.
“Qui svolgiamo varie attività in collaborazione anche con altre realtà dell’isola come “Daghe do ponti” che si occupa di taglio e cucito e l’azienda “Sapori di Sant’Erasmo”, il tutto nell’ottica di promuovere un turismo di qualità, sostenibile e rispettoso dell’ambiente”, spiega Carolina Zambelli, una delle ideatrici di “Benestare a Sant’Erasmo”, architetto veneziano che qui ha scelto di trascorre il periodo del lockdown dedicandosi alla cura dell’orto. Tra le varie attività in calendario, eventi olistici con esperti del settore, volti a ritrovare l’equilibrio psicofisico personale, balli popolari come la famosa pizzica salentina e poi concerti dal vivo, riciclo di materiale da discarica, produzione di prodotti naturali come la melassa con i fiori di tarassaco, il detersivo naturale con l’edera ed il sapone di Aleppo creato artigianalmente con cenere e olio di oliva.

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Il Palazzo Ducale di Cerignola
Da lavocedimaruggio.it del 14 luglio 2020

Durante il Medioevo Cerignola possedeva una cinta muraria che si raccordava su un castello, munito di fossato, che in seguito sarebbe stato modificato sino ad assumere l’aspetto dell’attuale Palazzo Ducale. La struttura è stata nel corso dei secoli la residenza dei vari signori succedutisi nel feudo di Cerignola. Fra questi riveste una certa importanza la famiglia Caracciolo, che ebbe la signoria a partire dal 1417, e quella Pignatelli dal 1616, alle quali va principalmente attribuita la trasformazione del castello in dimora residenziale. Oggi l’edificio ospita il locale presidio della Guardia di Finanza ed i locali dell’Ufficio del Registro.

Attualmente il Palazzo si presenta a pianta quadrata con un cortile interno. La facciata principale presenta un ampio portale di pietra finemente decorato con conci di forma rettangolare, e con la sezione ad arco dello stesso occupata da una grata in ferro battuto con al centro un disco recante il blasone dei Duchi Pignatelli, rappresentato da tre pignatte, disposte 2; 1. Ai due lati del portale vi sono quattro finestre disposte simmetricamente, di cui due hanno conservato l’originale balconcino mentre alle altre è stato rimosso. Sempre al pianterreno, sulla sinistra di chi guarda, c’è un secondo ingresso ad arco che consente l’accesso ad un ampio locale, probabilmente un tempo sede delle stalle o delle scuderie Al piano nobile sopra il portale si sviluppa un balcone con ringhiera in ferro battuto, cui si accostano sei balconcini disposti asimmetricamente quattro ad un lato e gli altri due sull’altro. Un’epigrafe ricorda il musicista Pasquale Bona nativo di Cerignola. Dal Portale si accede ad un androne, su cui si affaccia lateralmente l’antico Corpo di Guardia, al termine del quale si entra nel cortile interno. Qui si notano subito due scalinate disposte sui due lati opposti mentre di fronte si staglia un porticato. Inoltre nel cortile è presente un tombino attraverso il quale è possibile accedere ad un tunnel sotterraneo che un tempo sbucava nel fossato del castello antico.
Il versante laterale destro, rivolto su Piazza Tortora, presenta sempre due livelli. Al pianterreno vi sono diversi ingressi ad arco mentre al piano nobile ricorre il tema dei balconcini, tuttavia differenti da quelli della facciata principale. Della seconda facciata laterale, anch’essa disposta su due livelli, purtroppo oggi non è più visibile il pianterreno a causa dell’addossamento di una più recente struttura. Tale versante un tempo si affacciava su un giardino conosciuto col nome di Villa Ducale. Visibile è invece il piano nobile che presenta un balcone decentrato con colonnine che reggono la balaustra e poggiante su un arco di pietra.Anche la facciata posteriore si sviluppa su due livelli.

Cosimo Enrico Marseglia

 

Da bunker militare a scrigno d’arte: a Bordeaux le luci danno nuova vita alla base di sommergibili nazisti
Da lastampa.it del 14 luglio 2020

Di NOEMI PENNA

C'è voluto un po' più di tempo del previsto, ma alla fine ha aperto. Il coronavirus non ha spento le luci de Les Bassins de Lumières, il più grande centro di arti digitali al mondo allestito a Bordeaux, in Francia, in un bunker sotterraneo della Seconda Guerra Mondiale.
La colossale base sotterranea delle U-boat naziste è diventata uno scrigno d'arte. Le pareti in cemento alte 12 metri sono diventate la tela di colossali opere di luce. Una suggestione creata da 100 chilometri di fibra ottica, 90 videoproiettori e 80 altoparlanti in grado di riprodurre ogni genere di immagine o video che si riflette scenograficamente sull'acqua.

«Lo spazio è magico. Unisce calcestruzzo, grandiosità, acqua e riflessi», afferma Augustin de Cointet de Filain, direttore del Bassins de Lumières. «Quando abbiamo visitato lo spazio per la prima volta, sapevamo che dovevamo lavoraci sopra», trasformarlo senza sconvolgerlo. «Lo spazio è costituito da 600 mila metri cubi di cemento armato. Distruggerlo non sarebbe stato economicamente praticabile». E con questa alternativa, storia e arte si fondono all'unisono, portando bellezza proprio dove ce ne era bisogno.

 

Alla scoperta del territorio di Spoleto in Umbria tra castelli e borghi fortificati
Da tgtourism.tv del 12 luglio 2020

Di Giulia Pace

Un breve itinerario storico per conoscere Eggi, Bazzano Inferiore e Silvignano: oggi tre piccole frazioni del Comune di Spoleto, nel Medioevo importanti centri per il controllo del territorio del Contado e delle vie commerciali.

Iniziamo questo percorso alla scoperta del territorio di Spoleto da Eggi, uno dei molti borghi che si possono incontrare lungo gli oltre 40 chilometri di uliveti della “Fascia Olivata Spoleto-Assisi”. Nato in epoca romana, questo borgo fortificato inizia ad assumere la sua attuale configurazione a partire dal XIV sec., con la costruzione dell’omonimo Castello, che presenta la caratteristica pianta triangolare di molte delle fortificazioni costruite su pendii. Grazie alla sua posizione tra la Valnerina e la Valle Umbra, dal XV sec. il borgo conosce un lungo periodo di ricchezza, che porta all’espansione del centro abitato oltre le mura e che si riflette anche a livello artistico, nelle decorazioni dei suoi luoghi di culto. Il primo che incontrerete, alla porta principale del Castello, è la Chiesa di San Michele Arcangelo: nonostante i lavori che ne hanno più volte modificata la struttura, all’interno è possibile ancora ammirare gli affreschi attribuiti all’anonimo “Maestro di Eggi”. Allontanandovi dal centro storico, potrete imbattervi nella Chiesa della Madonna delle Grazie, che dietro la povertà della sua struttura nasconde una serie di ricchi affreschi, per lo più raffiguranti la Vergine e realizzati dalla scuola di Giovanni di Pietro, detto “Lo Spagna”. Tra questi una singolare Madonna a cavallo, opera del Maestro in persona. Infine, a poche centinaia di metri, incontrerete la Chiesa di San Giovanni Battista, dove si può riconoscere la mano dello Spagna negli affreschi che ne abbelliscono l’abside.

Terminata la visita di Eggi, incamminatevi alla volta dei piccoli centri di Bazzano Inferiore enbspBazzano Superiore. Per questo breve itinerario alla scoperta dei paesi fortificati dello spoletino ci fermeremo a “Bazzano di sotto”: alle pendici del Monte Giove viene sovrastato dal suo Castello, sulla cui porta potrete notare una piccola edicola con una Madonna con bambino. Nonostante i segni del tempo, si può ancora intuire, nelle alte mura della rocca e nelle sue quattro torri, posizionate strategicamente in modo da dominare l’intera area circostante, l’importanza difensiva che questa fortificazione doveva avere durante il Medioevo.

Lasciate Bazzano Inferiore e dirigetevi verso la terza e ultima tappa del nostro percorso. La piccola frazione di Silvignano, proprio come Eggi, rientra nella categoria dei “borghi fortificati”: a partire dal XIV sec., infatti, viene fortificato in virtù della sua posizione tra la via Flaminia e l’antico Passo della Spiga (che attraverso la Valnerina porta verso le Marche), il che lo rendeva un importante tassello nel sistema difensivo del Contado di .Spoleto

 

Lecco, Torre Viscontea acquisita dal Comune
Da lamilano.it del 11 luglio 2020

Di Noemi Piantanida

Lecco, la Giunta comunale ha infatti approvato la bozza dell’accordo di valorizzazione che sarà sottoscritto con l’Agenzia del Demanio – Direzione regionale Lombardia (attuale proprietario) e con il Ministero per i beni e le attività culturali (che ha approvato il progetto di valorizzazione del valore di circa 1.500.000 euro da perfezionare in 3 anni) e che prevede la realizzazione di una serie di interventi sulla torre trecentesca. Parte integrante dell’accordo, che sarà sottoposto al Consiglio comunale per l’approvazione definitiva a fine mese, prevede l’acquisizione della piena proprietà del bene da parte del Comune di Lecco.

La Torre Viscontea, edificio di grande valore artistico e archeologico, che fino a oggi è stato utilizzato dal Comune di Lecco a titolo oneroso, andrà dunque ad arricchire e il patrimonio immobiliare dell’Ente. Parte integrante del sistema di fortificazioni a difesa della città, la torre di architettura medioevale è stata oggetto di più interventi di modifica e restauro, con cambiamenti di proprietà e destinazioni d’uso. L’acquisizione del bene consentirà di fatto la realizzazione di tutti gli interventi sulla struttura che si renderanno necessari.
“Il risultato si deve al grande lavoro del settore patrimonio – spiega l’assessore al patrimonio del Comune di Lecco Corrado Valsecchi – ed è giusto ringraziare in particolare il dirigente Luca Gilardoni, la dottoressa Diana Falasconi e tutto lo staff del Comune di Lecco, che ha collaborato a questa importante impresa. La Torre Viscontea è un emblema di Lecco e per la nostra Amministrazione è motivo di grande orgoglio che, dopo l’area dell’ex piccola velocità, anche questo prestigioso manufatto storico sia in procinto di diventare di proprietà comunale. In chiave culturale e turistica la Torre Viscontea rappresenta sicuramente un volano strategico per Lecco e con questa ulteriore dimostrazione di attenzione verso i beni della città mettiamo le basi per un rilancio in grande stile delle politiche culturali e turistiche, in previsione del superamento dell’emergenza sanitaria” L’accordo prevede l’attuazione degli investimenti necessari per la manutenzione e lo sviluppo culturale del bene. Il programma di valorizzazione e promozione della Torre si propone di realizzare infatti un nuovo allestimento con i servizi culturali e turistici al piano terra, la storia del manufatto e di Lecco nelle sale intermedie e un itinerario manzoniano nel paesaggio al quarto piano, con installazioni di realtà virtuale per creare ambienti totalmente immersivi.

 

STATI UNITI. Washington fortifica le isole per contenere i missili cinesi
Da agcnews.eu del 10 luglio 2020

Gli Stati Uniti stanno progettando di ammodernare le loro strutture in un avamposto nel Pacifico occidentale secondo le immagini satellitari. Le immagini mostrano come le infrastrutture esistenti a Wake Island, tra Guam e le Hawaii, gestito dall’aviazione militare statunitense, siano in fase di miglioramento e si stiano costruendo nuove strutture.

L’isola potrebbe anche ospitare difese antimissilistiche in caso di conflitto con la Cina o la Corea del Nord, che ora hanno missili in grado di colpire gli Stati Uniti continentali.
Il sito americano The Drive, ripreso a Scmp, e il blog War Zone, riportano che negli ultimi anni il Pentagono ha impiegato centinaia di milioni di dollari nella roccaforte, con una pista di decollo e di atterraggio lunga quasi 3 km e altre infrastrutture aeroportuali in fase di potenziamento, e la costruzione di un grande impianto solare e di altre strutture.
Il sito web ha detto che la base può essere utilizzata come “ripiego” per l’esercito statunitense, se le basi più a ovest venissero attaccate. Wake Island è stata teatro di intensi combattimenti tra le forze statunitensi e i giapponesi dopo l’attacco a Pearl Harbor nel 1941, ma la sua importanza strategica è svanita dopo la guerra.

Pearl Harbor, sull’isola hawaiana di Oahu, ad oggi rimane un’importante base navale, ma il lavoro per migliorare le strutture di Wake Island aiuterebbe a difendere il territorio statunitense da un attacco di missili cinesi.
Guam, un’altra base degli Stati Uniti, è dotata di una batteria di missili Terminal High Altitude Area Defence System, Thaad, per difendersi dagli attacchi missilistici della Corea del Nord. Ma l’anno scorso la Cina ha presentato il suo missile balistico DF-26, soprannominato “Guam killer”, e il DF-41 Icbm, che permetterebbe di colpire l’isola strategicamente vitale e la terraferma degli Stati Uniti.

Wake Island quindi è la prima buffer zone prima delle Hawaii, primo bersaglio dei missili del Pla.

La strategia degli Stati Uniti è quella di creare un sistema difensivo multistrato nel Pacifico, che si estende dalle basi in Giappone e nelle Filippine alle Hawaii, con Guam che gioca un ruolo chiave nella seconda linea di difesa. Questa strategia è stata progettata per scoraggiare attacchi navali cinesi. L’ammodernamento di Wake Island potrebbe essere visto come parte dei preparativi del Pentagono per un futuro conflitto con la Cina, date le crescenti capacità missilistiche del Pla. Graziella Giangiulio

 

Mi.Ma alla scoperta di bunker e denti di drago
Da livingcesennco.it del 10 luglio 2020

By Alessandro Mazza

Il ricercatore Walter Cortesi di Cesenatico può appuntarsi un’altra stella sul petto. Grazie alle sue ricerche e al Crb 360, team che ha costituito negli anni, ha portato a compimento il restauro di una fetta di storia. Il Comune di Cervia infatti ha pensato di riqualificare una fetta di lungomare a Milano Marittima e di sfruttare a fini conoscitivi alcune granitiche testimonianze della seconda guerra mondiale. Sulle colonne di questo sito lo abbiamo scritto spesso, ma la storia è così affascinante che val la pena ribadirlo. Sta di fatto che intorno al 43 i nazisti che occupavano lo stivale si aspettavano uno sbarco alleato proprio sulle coste romagnole. Hanno iniziato così un’opera di difesa sullo stampo di quello avviato in Normandia con bunker collegati tra loro utili a fronteggiare un eventuale sbarco che poi non c’è stato.

Oggi molti bunker sono ancora presenti, alcuni sono abbandonati, altri sono inglobati in abitazioni e altri sono stati restaurati grazie all’interesse di Walter. Quando la competenza del Crb 360 ha incontrato la disponibilità e la lungimiranza del comune di Cervia è stato possibile realizzare un progetto di riqualificazione di un tratto di città pensato come un museo a cielo aperto. Ieri è stato presentato l’esito del lavoro lungo mesi: da oggi chi passa da quel tratto di spiaggia (vicino al bagno Paparazzi) può vedere un bunker per mortai e i così detti denti di drago. Sono delle fila di spuntoni in cemento armato che venivano posizionati sulla spiaggia per arrestare l’avanzata delle truppe da sbarco tra cui i carroarmati.

A poca distanza continuano i lavori per la sistemazione di un bunker più grande che poteva contenere fino a sei persone che, se tutto andrà bene, anno prossimo sarà visitabile da pubblico e scolaresche. Al suo interno si celano tante curiosità e misteri. Primo tra tutti un murale con scritte gotiche che più che al nazismo sembra ispirarsi alla massoneria. In conclusione si può dire che c’è una fetta di “passato remoto” che ha ancora tanto da dire e svelare.
foto Elena Arcangeloni

 

Bunker in Alto Adige: il Forte di Fortzza cerca testimoni del ‘Vallo Alpino”
Da lavocedibolzano.it del 10 luglio 2020

Bunker n. 3 dello Sbarramento Landro Sud nella Val di Landro - Foto Heimo Prunster

Nell‘ambito di un progetto di ricerca il Forte di Fortezza cerca testimoni che abiano vissuto da vicino la costruzione del cosiddetto „Vallo Alpino“ fascista, il sistema difensivo dei tempi della Seconda Guerra Mondiale, o che abbiano delle informazioni a riguardo.
Nell’autunno del 2019 il Museo provinciale Forte di Fortezza ha avviato il primo di ricerca in assoluto, che si occupa del Vallo Alpino.
L’apparato difensivo fascista dei tempi della Seconda Guerra Mondiale, costruito con l’intento di difendere l’arco alpino con centinaia di bunker, nel linguaggio popolare ironicamente chiamato „linea non mi fido‘, Mussolini infatti lo fece costruire del suo alleato Hitler.

Il progetto di ricerca si concluderà a fine 2021 ed i suoi risultati verranno presentati nella futura mostra permanente sul tema “Bunker”, che verrà inaugurata al Forte nel 2021
Nell’ambito del progetto di ricerca il Forte di Fortezza cerca testimoni, che abbiano vissuto i lavori di costruzione dei bunker in prima persona o che ne abbiano sentito parlare da parenti o conoscenti.
Sono di particolare interesse le centinaia di lavoratori di allora, il loro vitto e l’effetto della loro presenza nei paesi dell’Alto Adige. Bighellonavano nei paesi dopo il lavoro? Si creavano amicizie o inimicizie? O il contatto con loro era vietato? Com'erano vestiti e da dove venivano?

Bunker n. 17 dello Sbarramento Bolzano Sud presso Castel Firmiano durante i lavori di sistemazione con il fiume Adige e i resti di materiale di scarto - Foto ISCAG fondo se

Verrà analizzato anche lo scomodo tema delle espropriazioni, che anticiparono la costruzione dei bunker. Come avvenivano, se tutto doveva essere organizzato sotto stretto riserbo? Chi le effettuò? E avvennero nel rispetto delle leggi di allora?
Ed anche i cantieri sono oggetto di studio: chi poteva osservare le cave, i magazzini, le cucine da campo o le consegne del materiale? Quali mezzi di trasporto vennero utilizzati? E come vennero trasportate nei cantieri le migliaia di tonnellate di cemento e sabbia?
Chiunque sia testimone o conosca qualcuno che potrebbe sapere qualcosa su questi temi può contattare il responsabile scientifico del progetto, Heimo Prünster (tel. 392-9811603), mail@heimopruenster.com).
Lui visiterà i testimoni e registrerà le loro deposizioni. In futuro, con il consenso testimoni, le dichiarazioni particolarmente interessanti verranno mostrate al pubblico della mostra permanente sui bunker al Forte di Fortezza

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Le strutture difensive nel territorio di Statte
Da lavocedimaruggio.it del 10 luglio 2020

Nel territorio di Statte, un tempo frazione di Taranto ma attualmente comune a se, esistono alcune strutture fortificate di interesse storico e militare, che andremo ad analizzare in rapida successione.
Il Castello Spagnolo (nella foto), risale alla fine del 1400, e venne edificato con la precisa funzione strategica di tenere sotto controllo il porto di Taranto, all’epoca dell’ascesa sul trono napoletano della dinastia spagnola. Già all’epoca dell’Impero Romano il sito era stato scelto per l’approntamento di fortilizi militari per via della sua ideale posizione. Il nome della struttura, che in realtà era una masseria fortificata, è probabilmente riferita al primo proprietario, un cavaliere iberico di nome Fabiano De La Torre. Nel corso dei secoli diverse famiglie si susseguirono nella proprietà del castello, adibito prevalentemente a residenza di campagna, e che sul versante posteriore si affacciava su un ampio giardino. Nel XIX secolo vennero effettuati alcuni lavori che modificarono l’assetto della struttura, rendendola simile ad un castello medievale, con tanto di merlatura ghibellina in alto. Accanto al corpo principale vi è una cappella con un campanile a torretta.

Oggi il Castello Spagnolo è adibito a sala ricevimenti ed è utilizzato come location per matrimoni, cresime e cerimonie in genere.

La Masseria fortificata Todisco fu costruita nel XVI secolo e si caratterizza per la presenza di strutture difensive quali guardiole, merlature sulle cortine e sul corpo principale, nonché torri per il controllo e l’avvistamento. Le funzioni difensive sono confermate dal fatto che essa sorge sul bordo di una gravina. Nel XIX secolo, sotto la proprietà dei Conti D’Ayala – Valva, subì alcuni interventi che ne modificarono l’aspetto.

All’interno della struttura, di rilevante interesse è un frantoio ipogeo, completo di due macine ed un dispositivo di torchi, ed una serie di ambienti un tempo adibiti a deposito di olive, stalle o alloggio del personale.

La Masseria fortificata Sava è un’altra struttura fortificata presente nel territorio di Statte. Munita di cinta muraria, è possibile accedere al suo interno attraverso un portale. Al lato della struttura si erge una cappella con campanile a vela, che però versa in pessime condizioni. Al centro della struttura si trova il corpo di fabbrica principale, munito, quali elementi difensivi, di garitte, mentre intorno si sviluppano altri corpi più sobri, una volta adibiti a stalle e depositi, a cui si aggiungeva una neviera per la raccolta e la conservazione della neve.

Cosimo Enrico Marseglia

 

Alla scoperta del castello di Osasco, storica fortezza dei conti Cacherano
Da piemontetopnews.it del 10 luglio 2020

Di Paolo Barosso

OSASCO. Adagiato nella placida pianura pinerolese, punteggiata di pascoli e di frutteti alternati a campi di grano e di mais, il castello di Osasco affascina il visitatore per l’aspetto di possente fortezza tardo-medievale, eretta nella seconda metà del Trecento per volere dei principi di Savoia-Acaia, signori di questi territori. La massiccia struttura, sopravvissuta pressoché integra alle trasformazioni settecentesche, che riguardarono principalmente gli interni, rende d’immediata evidenza la funzione difensiva che ne giustificò la costruzione, in uno scenario politico-militare turbolento come quello del Piemonte tre-quattrocentesco, caratterizzato dall’accesa conflittualità tra più forze in campo – conti di Savoia, principi d’Acaia, Visconti, marchesi di Saluzzo e del Monferrato, Angiò – tutte in competizione fra loro per l’egemonia.

Correva l’anno 1294 quando, per dirimere una questione successoria al vertice della contea di Savoia, si istituì una commissione arbitrale che sancì la suddivisione dei domini sabaudi fra tre contendenti, con l’accortezza, voluta dal vecchio conte Filippo I, di preservare l’unitarietà formale dello Stato, garantita dall’obbligo di omaggio vassallatico nei confronti del ramo comitale. Mentre Amedeo V e i successori si videro assegnare la Savoia, che costituiva la culla della dinastia ed era collegata al titolo comitale, il ducato d’Aosta e il corridoio valsusino fino a Rivoli, al fratello Ludovico venne attribuito il Vaud, oggi cantone elvetico, e all’altro pretendente Filippo, figlio del conte Tommaso III di Savoia, furono affidati i territori piemontesi dominati dai Savoia (ad eccezione della valle di Susa). Il matrimonio di Filippo con Isabella di Villehardouin, ultima discendente della nobile famiglia franca, portò in dote al Savoia il titolo di principe d’Acaia, regione storica del Peloponneso greco su cui i Savoia-Acaia, nonostante il viaggio intrapreso da Filippo, non esercitarono mai un potere effettivo. Rimase il titolo di principi d’Acaia di cui si fregiarono Filippo e i successori: dalla loro piccola capitale, Pinerolo, essi governarono su buona parte del Piemonte occidentale, scontrandosi sovente con i conti di Savoia nel tentativo di emanciparsi dall’obbedienza formale loro dovuta.

Proprio nell’ottica di un rafforzamento dei confini, minacciati sia dalle incursioni francesi, sia dalle ambizioni del marchese del Monferrato, nel corso del Trecento i principi di Savoia-Acaia diedero il via nei loro domini del Piemonte occidentale a un’importante azione edificatoria che da un lato portò alla fondazione di nuovi insediamenti (le “villenove del principe”) e dall’altro lato alla costruzione di fortezze come quella di Osasco, al centro di un territorio particolarmente esposto agli assalti nemici. Il castello, a pianta quadrilatera con torri rotonde agli angoli, presenta una struttura straordinariamente regolare e simmetrica, secondo uno schema di fortificazione castellana poco rappresentato in area piemontese, che trova un suo riferimento tipologico nel castello sabaudo di Ivrea.
La località di Osasco, come accadde anche per Bricherasio ed Envie, venne infeudata per volere dei Savoia-Acaia ai Cacherano, antica famiglia astigiana che, secondo quanto scrive l’abate Goffredo Casalis (1781-1856), storico piemontese, traeva il nome dallo scomparso villaggio di “Caquerano”, dove possedeva terre e aveva giurisdizione con titolo di “nobili magnati”. Come le altre illustri famiglie astigiane, tra cui gli Asinari, Guttuari, Isnardi, Malabayla, Pelletta, Roero, Scarampi, Solaro, Troya, i Cacherano avevano acquisito potere e influenza politica grazie alle considerevoli ricchezze accumulate con i traffici commerciali e, in seguito, con la finanza, mettendo in pratica la lucrativa attività del prestito di denaro su pegno e contribuendo, insieme con i Chieresi, allo sviluppo delle più moderne tecniche bancarie tramite la rete di “casane” istituite in molti Paesi d’Europa.

Poggiando su solide fondamenta finanziarie, queste famiglie ascesero la scala sociale e, a un certo punto, in concomitanza con il declinare delle autonomie comunali, si legarono ai principi territoriali, come i marchesi di Monferrato o i principi d’Acaia, investendo nell’acquisto di feudi e castelli, per incrementare il patrimonio fondiario. Fu così che, ad esempio, gli Scarampi s’insediarono nei feudi delle valli Belbo e Bormida, acquisiti dai marchesi del Carretto e dai marchesi del Monferrato, i Roero diedero con il tempo addirittura il nome a un’intera area geografica, le colline del Roero, in cui crearono una fitta trama di castelli e fortificazioni, e i Cacherano, che nei secoli seguenti avrebbero accresciuto il proprio peso politico unendosi con la famiglia Malabayla, famosa per aver gestito le finanze dei Papi nel periodo avignonese (XIV secolo), strinsero rapporti molto stretti con i principi d’Acaia ricevendo l’investitura di Bricherasio e Osasco nel Pinerolese e di Envie nel Saluzzese.

Come ci racconta l’abate Casalis, nel 1396, mentre il capitano di ventura Facino Cane compiva scorrerie nel Chierese per conto del marchese del Monferrato, lo stesso Teodoro II Paleologo, in compagnia del fratello Guglielmo, dava l’assalto alla città di Pinerolo, strappando agli Acaia gli abitati di Osasco e di Envie. Una volta rientrato in possesso di queste terre, Amedeo di Savoia-Acaia concesse l’investitura di Osasco a Bruno o Brunone Cacherano, che s’era distinto quale valente capitano di Francia al servizio di re Carlo VII e che fu il capostipite dei conti Cacherano di Osasco.

In questo modo i Cacherano, seguendo un percorso che fu proprio di tutti i “casanieri” astigiani, da mercanti e banchieri, con importanti incarichi nelle magistrature cittadine, si nobilitarono, entrando a far parte, con la nascita dello Stato assoluto, dell’orgogliosa aristocrazia piemontese di Ancien Régime. Numerosi furono i personaggi legati alla storia della famiglia che prestarono servizio per i Savoia rivestendo cariche amministrative o militari. Ci limiteremo a citarne due, che si distinsero in periodi cruciali delle vicende sabaude. Policarpo Vitaliano Cacherano di Osasco, soprannominato “il cavaliere di Cantarana”, fu “Grande di corona” (1815) e “Commendatore della Religione di Malta” (i Cacherano di Osasco vantano un gran numero di esponenti entrati nell’Ordine Gerosolimitano, poi ridenominato Ordine di Malta), ma viene ricordato soprattutto per essere assurto nel 1814 all’ufficio di comandante generale della Savoia e l’anno seguente a quello di “Governatore di S.A.S il signor Principe di Savoia- arignano”. Nelle vesti di precettore del principe Carlo Alberto, dando ulteriore prova delle proprie doti di “uomo di specchiata integrità, amico leale, generoso sovvenitore dei miseri e cristiano esemplare”, condusse le delicate trattative per il matrimonio del giovane sabaudo con la principessa Maria Teresa di Asburgo-Lorena, figlia del granduca di Toscana, e, all’indomani dei moti del 1821, agì per tutelare lo stesso Carlo Alberto dalle pressioni diplomatiche dirette a privarlo del diritto di successione al trono di Sardegna.

La seconda figura che ricordiamo è Giovanni Pietro Luigi Cacherano di Osasco, fratello di Policarpo, anch’egli nominato nel 1820 “Grande di corona” e investito dell’importante carica di ricevitore dell’Ordine di Malta nel gran priorato di Lombardia. Intrapresa la carriera militare, partecipò dal 1793 alle operazioni belliche in difesa del Piemonte dall’invasione francese, mentre, con la Restaurazione sabauda, nel 1814 venne inviato a Nizza in qualità di comandante generale della città e del contado. In tale veste dimostrò la propria abilità nel difendere la città dalla minaccia dell’occupazione francese, a seguito del ritorno di Napoleone dall’Elba. Senza colpo ferire indusse l’armata francese alla richiesta d’armistizio, facendo credere al nemico di disporre di un numero di difensori armati ben più alto di quello effettivo e diffondendo la voce di un imminente arrivo in soccorso di Nizza della flotta inglese, in realtà ancora molto distante.
Come accadde per molti altri castelli piemontesi, nel corso del Settecento anche la fortezza di Osasco, ormai perduta la funzione difensiva originaria, venne spogliata dei connotati “militari”, acquisendo il decoro tipico delle residenze aristocratiche piemontesi di campagna: si intrapresero importanti lavori di ammodernamento degli spazi interni, adeguati alle comodità e al gusto del tempo, e si affidò all’architetto di corte sabauda Benedetto Alfieri la direzione del cantiere. La mano dell’Alfieri si riconosce in particolare nel disegno del monumentale arco d’accesso e nella rimodulazione dell’area verde secondo i crismi del giardino all’italiana, con gradevoli geometrie definite dalle siepi di bosso. Tra i vari interventi realizzati, si interrò il fossato perimetrale, mantenendolo però sul lato sud, dove venne costruito un ponte in pietra per consentire il passaggio, e si provvide al tamponamento della merlatura ghibellina. La facciata e il lato ovest vennero intonacati e dipinti a fresco dal cuneese Amedeo Caisotti, che eseguì una decorazione a finto bugnato, con teste animali e volti umani e scene di storia romana e di fantasia.

La proprietà del castello, dall’investitura del capostipite Brunone nel 1406 fino ai giorni nostri, è rimasta saldamente in capo alla stessa famiglia, i Cacherano di Osasco, salvo per una breve parentesi nel Cinquecento e, in tempi più recenti, nei primi anni del Novecento, quando vi si insediò, apportando alcune modifiche, una comunità di monaci cistercensi provenzali, che s’era rifugiata in Piemonte temendo la confisca della loro abbazia, situata nell’arcipelago di Lérins, da parte della Repubblica francese. Per informazioni su accessibilità e visite al castello, consultate il sito https://castellodiosasco.com/

 

Recuperati i bunker della Seconda guerra mondiale sul lungomare di Milano Marittima
Da ravennaedintorni.it del 9 luglio 2020

Partite le visite guidate. «Un prezioso patrimonio culturale»

Si è conclusa la fase di recupero del bunker sul Lungomare di Milano Marittima in fondo a via Paganini, testimonianza considerevole dell’archeologia moderna della Seconda guerra mondiale. Sono tre i bunker tedeschi ritrovati durante i lavori per il nuovo lungomare di Milano Marittima, ora restaurati e visitabili, grazie al lavoro di recupero e ricerca coordinato dall’Associazione CRB 360° con il Comune di Cervia.

Questa operazione fa parte di un progetto partito nel 2019 per valorizzare i bunker cervesi, i manufatti e i materiali della Seconda guerra mondiale come i denti di drago, i pannelli delle piste d’atterraggio canadesi, e altri residuati bellici dell’epoca.
Infatti già da questa estate è possibile prenotare il tour con la guida, che si svolge al sabato mattina, fino ad ottobre, per visitare i bunker e i denti di drago (tutte le informazioni sul sito www.turismo.comuncervia.it) Queste le loro caratteristiche: un Tobruk, con tunnel e muri molto spessi, fino a oltre un metro. Una torretta molto angusta, poteva ospitare una sola persona; un Regelbau 668 un bunker con funzione informativa, dotato di comando radio. All’interno è conservato un murales con una frase del poeta tedesco Schiller; un altro Tobruk adiacente.
I bunker tedeschi e i denti di drago avevano l’obiettivo di difendere la Linea Gotica del fronte, in particolare dagli assalti via mare. Erano disseminati in un lungo tratto di costa e alcuni sono rimasti interrati per molto tempo. Gli avamposti erano costituiti da fili spinati, campi minati e sbarramenti anticarro chiamati Denti di Drago.

«Questi manufatti – commentano il sindaco e la consigliera Federica Bosi, delegata alle Bellezze e Beni culturali – sono un prezioso patrimonio culturale della nostra storia e per questo era necessario recuperarli. Il valore di questo progetto è da cercare in un’ottica di salvaguardia della nostra identità storica, evitandone l’oblio, e ricordare, anche attraverso le testimonianze materiali, la tragedia della guerra. Il progetto ha l’intento di mettere a sistema veri e propri percorsi storico-didattici per le scuole, ma anche per promuovere quel segmento di turismo culturale interessato alla Seconda guerra mondiale, che sempre più si sta diffondendo. Un ringraziamento particolare all’Associazione CRB 360° per l’impegnativo lavoro di recupero e a Cervia Turismo che organizza gli itinerari».

 

Il Forte Albertino di Vinadio storia e arte contemporanea
Da ideawebtv.it del 9 luglio 2020

Il Forte di Vinadio è da considerarsi fra gli esempi di architettura militare più significativi dell’intero arco alpino. I lavori di costruzione della fortezza, voluta da Re Carlo Alberto, iniziarono nel 1834, per concludersi solo nel 1847. Nonostante una breve interruzione, dal 1837 al 1839, in soli undici anni si realizzò un vero capolavoro dell’ingegneria e della tecnica militare e per la sua costruzione in alcuni momenti furono impegnate 4000 persone.

La fortificazione, che fiancheggia a ponente il paese, ha una lunghezza in linea d’aria di circa 1200 metri che si sviluppa dalla roccia del fortino al fiume Stura. Il percorso si snoda su tre livelli di camminamento ed è suddiviso in tre fronti: Fronte Superiore, Fronte d’Attacco e Fronte Inferiore, per un totale di circa 10 chilometri. Nel corso degli anni i rapporti politici instabili con la vicina Francia suggerirono di integrare al Forte nuove strutture: i Forti Piroat, Sarziera, Sources e Neghino.

Il Forte di Vinadio non fu mai teatro di scontri e la sua importanza andò con il tempo a scemare fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale quando l’Italia abbandona definitivamente la Triplice Alleanza per schierarsi a favore della Triplice Intesa. Il Forte venne declassato a enorme deposito, tuttavia riuscirà ancora ad essere protagonista della storia del ‘900: fu sede di un’importante colombaia militare, venne inglobato in una linea arretrata del Vallo Alpino e al suo interno venne costruita la “Caverna Comando” della Guardia alla Frontiera. La sua completa dismissione avvenne dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Oggi il Forte di Vinadio è tornato a “rivivere” grazie alla volontà e all’impegno del Comune di Vinadio, dell’Associazio-ne Culturale Marcovaldo, fino al 2016, e della Fondazione Artea, subentrata nel 2017, che si sono adoperati e si adoperano tuttora alla valorizzazione e promozione di uno dei più importanti esempi di architettura militare delle Alpi Occidentali. L’obiettivo primario è quello di migliorare e rafforzare la conoscenza e il valore identitario del Forte di Vinadio per la comunità locale, per le future generazioni, per il pubblico in genere. Far conoscere la sua storia, la sua evoluzione affinché il Forte sia un luogo di esperienza conoscitiva, di aggregazione sociale, di crescita civile e ridefinizione identitaria dei singoli e delle collettività. Lo spazio espositivo, che si sviluppa nell’area che dal Fronte d’attacco arriva fino alla roccia del Fortino, ospita il percorso multimediale permanente “Mon-tagna in movimento”, le postazioni di realtà virtuale “Vinadio virtual reality” e gli itinerari “Family&Kids Friendly”

“Mammamia che Forte!”. Queste esperienze immersive nel cuore della fortezza, permettono, attraverso la realtà virtuale un’idea di simulazione di un volo libero attorno al Forte con la possibilità di vedere l’intera costruzione da un nuovo punto di vista: sospesi in aria, in un’esperienza immersiva e coinvolgente. Piace ed affascina sempre anche la spy story, alla base dell’esperienza di realtà virtuale “Giallo Forte”: un vero e proprio intrigo internazionale in cui il visitatore, guidato dalla voce narrante di un ufficiale “incriminato”, scoprirà la fortezza attraverso percorsi avvincenti ed inediti. Il Forte, inoltre, è sede di importanti manifestazioni culturali, musicali e sportive e sperimenta un uso ricreativo: durante l’estate grazie al lago artificiale, in inverno con la pista di pattinaggio, registrando un grande afflusso turistico a dimostrazione della sua naturale vocazione turistica e attrattiva.
Il Forte di Vinadio è anche luogo in cui la storia e l’architettura del passato convivo con il presente e l’arte contemporanea. Alle porte della fortezza, sul ciglio della strada che collega l’Italia con la Francia, presidiano e sorvegliano l’abitato di Vinadio segnando la prima tappa italiana della Viapac (itinerario di arte contemporanea che si sviluppa per circa 200 chilometri tra Digne-Les-Bains e Caraglio), Giants, due figure imponenti e scenografiche, opera dell’artista scozzese David Mach, che alludono alle figure storiche dei giganti Battista e Paolo Ugo di Vinadio. Opera di Richard Long, esponente storico del movimento internazionale «Land Art», è invece “Circle”, un cerchio del diametro di 11 metri collocato nel fossato di Porta Francia, fatto di pietre bianche e massi sbozzati di carboncalcio. Un segno che sembra voler racchiudere l’eternità del luogo in cui si colloca, esposto alle stagioni del tempo ma avvolto da una magia che lo sottrae al deterioramento del mondo umano.

Sul lago antistante il Forte è presente infine Untitled – Renaissance, opera di Emmanuele De Ruvo vincitrice dell’Ottavo Premio Internazionale di Scultura Umberto Mastroianni della Regione Piemonte. Un’imponente scultura in bronzo in equilibrio che rappresenta la porzione di un guscio d’uovo simbolo di un’avvenuta nascita attraverso la rottura, condensando in quel momento il passaggio tra l’atto e l’esperienza.

 

La Grande Guerra sullo Stelvio: nasce il museo di Bormio
Da milano.corriere.it del 9 luglio 2020

Investimento da 2,6 milioni. Verrà ricostruito il rifugio austriaco sulla cima del monte Scorluzzo, scoperto nel 2015: in un buco tra le rocce, a sei metri di profondità, tutto è rimasto intatto, comprese le scatolette di cibo

Di BARBARA GEROSA

L’ingresso è stretto e angusto: un buco tra le rocce della montagna, rimasto per oltre un secolo nascosto dal ghiaccio. Si scende fino a sei metri per raggiungere la baracca scavata nella roccia. Tutto è rimasto intatto: coperte, brandelli di divise, la stufa con ancora la legna da ardere, gavette e scatolette di cibo. Sembra quasi di vederli i soldati che per più di tre anni hanno vissuto sottoterra, stretti uno all’altro, il freddo a consumare le ossa, la fame, l’orrore della guerra. Il rifugio austro-ungarico sulla cima del Monte Scorluzzo, 3.095 metri di quota, nel cuore del Parco nazionale dello Stelvio, sarà l’attrazione principale del museo della Grande Guerra che troverà spazio all’interno dell’ex caserma Pedranzini di Bormio. Il bivacco, la cui scoperta risale al 2015, con una campagna di scavi iniziata un paio di anni più tardi, verrà minuziosamente ricostruito nel nuovo polo museale. All’interno gli oggetti rinvenuti, testimonianze della vita quotidiana dei reparti austriaci impegnati a presidiare il fronte lombardo.

Nei giorni scorsi l’approvazione dell’ipotesi di accordo di programma che prevede l’inaugurazione del museo nell’estate 2022. Costo 2 milioni e 600 mila euro, la maggior parte stanziati da Regione Lombardia. Previsto l’adeguamento del fabbricato, l’appalto della progettazione è già a bando, l’allestimento dell’esposizione e la predisposizione di percorsi didattici e informativi. Della partita fanno parte anche il Parco dello Stelvio, l’associazione Museo della Guerra Bianca in Adamello, i comuni di Bormio, Valdidentro, Valdisotto e Valfurva, Ersaf e la Comunità montana Alta Valtellina. «A distanza di cento anni permetteremo di riscoprire le tracce di quei tragici eventi che hanno segnato la storia italiana. Oltre al valore storico e culturale sarà un volano per il turismo», spiegano gli assessori regionali alla Montagna e alla Cultura, Massimo Sertori e Stefano Bruno Galli.

«Ricostruire l’intero bivacco in un museo è un’impresa che non ha precedenti. Ricordo ancora il giorno della scoperta: una cartolina ingiallita incastrata tra i sassi, la lettera dei famigliari a un soldato. Abbiamo capito che sotto il ghiaccio doveva esserci qualcosa», racconta ancora emozionato John Ceruti, direttore scientifico dell’associazione Museo della Guerra Bianca in Adamello. «La macchina del tempo dello Scorluzzo ci ha fatto un grande dono. Tra i pagliericci abbiamo trovato persino dei semi tornati alla vita dopo oltre un secolo: ci consentiranno di studiare gli aspetti biologici, glaciologici e morfologici del territorio», conclude Alessandro Nardo, direttore del Parco nazionale dello Stelvio.

 

Il Monte Orsa e le fortificazioni militari della Grande Guerra
Da actionmagazine.it del 8 luglio 2020

L’escursione che vi proponiamo questa volta è quella che porta alla scoperta del Monte Orsa e alle fortificazioni della Grande Guerra che si trovano in questa zona. Siamo a due passi da Varese,a cavallo tra Italia e Svizzera, con viste stupende sul Lago Ceresio.
A cavallo tra la Provincia di Varese e il Canton Ticino, esiste un piccolo gruppo montuoso le cui pendici sono coperte da fitti boschi che ne mitigano l’imponenza. Nostante i suoi soli 1.000 metri di altezza, queste cime sono davvero maestose e celano testimonianze di un tragico evento: la Prima Guerra Mondiale.
Stiamo parlando della zona del Monte Orsa – Monte Pravello – Poncione d’Arzo, che si elevano sopra gli abitati di Arzo e Meride nella parte del Canton Ticino, e Besano, Porto Ceresio e Viggiù nella Provincia di Varese.
Il massiccio del monte Orsa è una delle cime più belle della provincia di Varese. La sua cresta rocciosa cade a picco sul bosco sottostante. Con i suoi 984 metri di altezza, si erge a dominare tutta la Valceresio, il lago Lugano e il vicino Canton Ticino.
L’importanza di questa area sta nel suo valore storico, in quanto sono ancora presenti i resti delle fortificazioni volute dal generale Cadorna come difesa del confine settentrionale del Regno d’Italia. Strutture perfettamente mimetizzate e inserite nell’ambiente tanto che, ancora oggi, costituiscono uno splendido esempio di architettura militare.
Grazie alle sue caratteristiche, l’area permette di fare sia delle belle e facili passeggiati a piedi che dei bei tour in mountain bike. Data la sua posizione, la zona può essere frequentata tutto l’anno senza problemi. Per quanto riguarda l’itinerario che descriveremo in Mtb, è meglio evitare la discesa dopo lunghe giornate di pioggia, perché risulta un po’ viscido e fangoso.

Due passi sul Monte Orsa

L’itinerario che vi proponiamo si sviluppa all’interno dei confini della Comunità Montana della Valceresio e ha come punto di partenza l’abitato di Viggiù. L’interesse principale del percorso sta nel fatto che attraversa i resti degli edifici militari presenti sulla cresta Monte Orsa – Monte Pravello, oltre ad avere un sicuro interesse naturalistico, paesaggistico e geologico. L’itinerario è facile e non richiede particolare allenamento.
Si parte dall’abitato di Viggiù, che si attraversa lungo la strada principale seguendo le indicazioni per la località Sant’Elia. Lungo strette vie, si esce dal paese costeggiando il torrente Poaggia che si attraversa su un ponte in corrispondenza del quale è posto un pannello didattico sul Monte Orsa. Poco oltre si segue il sentiero in salita sulla destra che si ricongiunge, un po’ più in alto, con la strada asfaltata. Si prosegue sempre in salita per circa due chilometri fino ad arrivare ad un bivio. Sulla destra prosegue la strada militare rimodernata che, in salita, conduce direttamente al Monte Orsa. Verso sinistra invece si raggiunge la chiesa di Sant’Elia, che nel periodo bellico venne impiegata come “deposito batteria”.
Proseguendo verso destra, lungo la strada asfaltata, si costeggiano alcune ville, probabili vecchie residenze “di campagna”, e si entra nel bosco fino a raggiungere un tornante. Qui la strada diventa sterrata e c’è un cartello giallo che indica la salita per il Monte Orsa (45 minuti). Si segue la mulattiera sulla sinistra che, in salita, con una serie di tornanti si ricongiunge con la strada asfaltata poco sotto la vetta del Monte Orsa. Proseguendo verso sinistr,a in breve si raggiungono le antenne che conducono alla vetta del Monte Orsa dalla quale si gode di un ampio panorama sul Lago di Lugano e le Alpi svizzere. Da qui possiamo raggiungere il Monte Pravello seguendo il facile itinerario di cresta oppure scendere poco sotto la vetta ed imboccare la galleria militare che collega alcune postazioni di artiglieria pesante.
Da qui fino al Monte Pravello, l’itinerario, con una serie di saliscendi, passa per fortificazioni, camminamenti, trincee della Prima Guerra Mondiale. Alcuni pannelli didattici lungo il percorso forniscono informazioni sui resti che sono parzialmente visitabili.In circa un’ora, visita ai manufatti esclusa, si raggiunge la cima del Monte Pravello, facilmente riconoscibile per la presenza di una vecchia garitta militare e dell’antico cippo di confine. Anche da questa cima il panorama spazia sulla vicina Svizzera e le sue montagne. Per il ritorno dalla vetta, si segue la comoda strada sterrata che con alcuni tornanti scende prima al Rifugio Pravello e poi si ricollega alla strada asfaltata che sale al Monte Orsa. Dal bivio si prosegue verso sinistra, sulla strada asfaltata in discesa, passando accanto ad alcuni resti di edifici militari, fino a raggiungere un tornante verso sinistra in corrispondenza di un cartello segnaletico giallo. Abbandonata la strada si continua sul sentiero che, sempre in discesa, ritorna al ponte sul torrente Poaggia, e da qui si rientra in paese.

Monte Orsa, il percorso per gli amanti della mountain bike

Se volete fare l’escursione in bicicletta, si parte dal piccolo abitato di Besano, nelle vicinanze del Parco dei caduti di Nassirya, dove c’è un ampio parcheggio gratuito. Da qui si inizia a pedalare in direzione di Viggiù, e poco prima di giungervi si svolta a sinistra per una strada inizialmente asfaltata, e poi sterrata, che sale progressivamente di quota in direzione della località Bernesca. Lo sterrato, verso l’alto diventa faticoso a causa dell’erosione delle acque piovane che hanno creato un fondo molto pietroso e dissestato e che impone un breve tratto a mano per superare il punto più impegnativo, decisamente poco ciclabile.
Superato il tratto difficile, si prosegue fino alla Sella di Rendemuro dove si imbocca un sentiero sulla destra (cartello indicatore rotto) che, con un saliscendi a tratti impegnativo, raggiunge il Monte Sant’Elia con la sua chiesa e l’ampia area prativa con vista sulla sommità del Monte Orsa. Dal Colle si scende verso sinistra, lungo la strada asfaltata, in direzione di Viggiù per prendere, dopo circa 500 metri, la strada che sale verso la vetta del Monte Orsa. La strada alterna tratti in asfalto a tratti sterrati con alcune pendenze più impegnative, soprattutto nella parte finale, e termina nei pressi della antenna radiotelevisiva posta sulla sommità, con un brevissimo tratto da fare a piedi. Raggiunta la vetta del Monte Orsa possiamo ammirare l’ampio ed affascinante panorama con vista sulla Valceresio, sul Lago di Lugano, le Prealpi e diverse Alpi Svizzere. Consiglio anche la visita alla galleria posta sotto il monte, dove si trovano diverse ex postazioni di artiglieria.

Sul monte Orsa le fortificazioni militari della Linea Cadorna

Infatti, come già detto, la zona è caratterizzata dai resti delle fortificazioni militari, realizzate tra il 1915 ed il 1918, della “Linea Cadorna” e rappresentate da trincee e sentieri per unire postazioni di cannoni e mitragliatrici, nonchè spazi per fucilieri, collegati da continui saliscendi che utilizzano anche profonde grotte naturali. Dalla cima dell’Orsa si riparte in direzione del Monte Pravello, ripercorrendo in discesa la stessa strada per circa 2-300 metri e deviando verso sinistra, per la prima evidente e ben segnalata sterrata che si incontra. Attraversata una suggestiva galleria, dove è stato posizionato uno dei vecchi cannoni, si prosegue lungo un primo tratto piuttosto agevole con pendenze poco significative. Al primo bivio, possiamo seguire direttamente la facile ed agevole strada sterrata che porta al Rifugio Pravello. Oppure prendere il sentiero sulla sinistra e raggiungere il rifugio esplorando i vecchi resti militari, facendo alcuni brevi tratti di portage.aggiunto il rifugio, si prosegue sulla strada sterrata dal fondo sassoso, che rende più impegnativa la risalita, e raggiunge la sommità del Monte Pravello, facendo a piedi i pochi scalini che portano alla vecchia garitta militare e all’antico cippo di confine. Proseguendo per il sentiero, invece, in pochi minuti si arriva sulla cima del Poncione d’Arzo, immerso nel fitto del bosco. Ammirato il panorama dalla nuova cima, che offre un’interessante vista sul Ceresio e la catena alpina e prealpina, ci aspetta la discesa che presenta un primo tratto non ciclabile perché troppo ripido, stretto e roccioso… a meno che non possediate ottime doti trialistiche. La ciclabilità riprende nella parte finale, quando si incontrano le indicazioni per la località Crocefisso. Qui si affronta un bel flow, veloce e divertente, fino ad incontrare le indicazioni per il Monte Casolo. Si affronta un lungo e divertente traverso, anche se presenta due brevi ma intensi strappi in salita difficilmente ciclabili (pochi metri), per proseguire lungo la sassosa sterrata per il Monte Grumello. Evitando la successiva deviazione per il Sentiero dei fossili, ciclabile solo a tratti, si segue la facile strada sterrata che riporta a Besano al punto di partenza.

IL MONTE ORSA A PIEDI
Partenza: Viggiù (280 m)
Quota massima: Monte Pravello 1.015 m
Dislivello: 600 m circa
Lunghezza: 7 Km
Tempo percorrenza: 4 ore
Difficoltà: escursionistico (E)
Punti acqua: fontane nei paesi
Segnavia: giallo rosso
Note: pila o torcia frontale per visitare i resti militari

IL MONTE ORSA IN MOUNTAIN BIKE
Partenza: Besano (280 m)
Quota massima: Monte Pravello 1.015 m
Dislivello: 900 m circa
Lunghezza: 18 Km circa
Tempo percorrenza: 3 ore circa
Note: pila o torcia frontale per visitare i resti militari

 

Il castello di mercoledì 8 luglio
Da castelliere.blogspot.com del 8 luglio 2020

GALLIPOLI (LE) - Castello
Circondato quasi completamente dal mare, si erge con la sua imponente mole all'estremità orientale dell'isola che ospita il borgo antico. Edificato, molto probabilmente, già dall' XI secolo su preesistenti fortificazioni romane, fu ricostruito nel XIII secolo in epoca bizantina. Fu più volte rimaneggiato dai conquistatori che si susseguirono nel corso dei secoli. Posto a guardia della città e del porto, un tempo crocevia di fiorenti commerci, presenta una pianta quadrangolare munita di tre torrioni circolari e di una torre poligonale. Costruito dopo il 265 a.C. come fortezza per alloggio dei legionari e difesa per la città, molto probabilmente fu distrutto o almeno gravemente danneggiato nel V secolo dai Vandali e dai Goti. Fu ricostruito durante il dominio bizantino e la sua esistenza è attestata da una lettera recante l'anno 599 scritta da Papa Gregorio Magno che si congratulava con il nuovo tribuno bizantino Occiliano e lo invitava a non abusare del castello di Gallipoli perché esso è di proprietà della Chiesa di Roma. Il castello di Gallipoli aveva una sola torre (corrispondente all'attuale torre poligonale) che era collegata alla città tramite una struttura a puntone a sua volta provvista di fortificazioni e bocche di fuoco con all'estremità un ponte levatoio che lo collegava alla torre. Resistette all'assedio di Roberto il Guiscardo del 1055-56 e nel 1071 fu occupato dai Normanni. Durante la presenza nordica il castello fu abitato dalla guarnigione normanna anche se ridotto in stato di rudere, e l'unico ricordo di quel periodo è l'incisione dell'anno 1132 sull'attuale portone d'ingresso.

Ristrutturato nella prima metà del 1200 da Federico II di Svevia, fu ancora più potenziato dagli Angiò nel 1320 (incisa sempre sul portone d'ingresso). Tra il XV e il XVI secolo, sotto i domini degli Angioini e degli Aragonesi, il castello fu oggetto di sostanziali modifiche. In età aragonese fu ricostruito dopo che i Veneziani, nel 1484, avevano assediato ed espugnato la città, con la costruzione di tre torrioni circolari, funzionali alla difesa dai tiri di artiglieria. Successivamente venne isolato da un fossato su tutti i lati e, nel 1522, la necessità di rendere efficiente il sistema di difesa divenuto obsoleto, portò alla realizzazione della cortina di levante, il Rivellino. Progettato dall'architetto senese Francesco di Giorgio Martini, il quale lavorò per conto di Alfonso II di Napoli, era stato costruito per difendere la via d'ingresso alla città e per impedire un accampamento fisso a eventuali nemici che avessero attaccato da terra. Inizialmente attaccato al castello, nel XVII secolo fu staccato dalla fortificazione per aggiungere una torre quadrata che venne sovrapposta all'attuale torre della bandiera, nascondendone una parte. Accanto al Rivellino fu costruito un altro ponte che partiva dalla riva opposta, vicino alla chiesa di Santa Cristina, per finire direttamente in un accesso secondario del castello e dello stessoRivellino. Si possono ancora vedere i suoi resti accanto alla torretta difensiva del Rivellino (in pietra) e nell'accesso di quest'ultimo (in legno). La torre ospita ancora le originarie catapulte e i cannoni usatiper difendere la città. Nel Cinquecento, il ponte levatoio in legno che collegava il castello alla città fu sostituito da uno in muratura.

L'interno ospita grandi sale con volte a botte e a crociera, vari cunicoli e camminamenti. La forma della fortezza rimase invariata sino alla seconda metà dell'Ottocento; fra il 1870 e il 1879 fu riempito il fossato e la facciata fu coperta con la costruzione del mercato ittico. Nelle varie epoche vi trovarono rifugio, tra gli altri, Corradino di Svevia (1268), Filippo e Roberto d'Angiò (1306-1327), la regina di Napoli Giovanna II (1414), Ferdinando I (1463) e Isabella d'Aragona (1495). Secondo alcuni storici nel castello di Gallipoli nacque il pittore Giuseppe Ribera, lo Spagnoletto. L'amministrazione comunale di Gallipoli, nel 2013 ha pubblicato un bando per la riapertura e la gestione dell'antico maniero. Nel 2014, a seguito dell'aggiudicazione, in soli sei mesi, grazie al lavoro dell'Agenzia di Comunicazione Orione di Maglie, con il coordinamento generale di Luigi Orione Amato e la direzione artistica dell'architetto Raffaela Zizzari, è stato reso fruibile un percorso di visita che mira a ricostruire la storia della città e dell'antico maniero, senza alterarne il carattere e senza avere la pretesa di essere un restauro integrale del monumento che richiederebbe ben altre risorse per ritornare agli antichi splendori. Il castello demaniale ha riaperto per la prima volta al pubblico il 5 luglio 2014: hanno partecipato alla cerimonia le autorità civili, religiose e militari. Il Castello di Gallipoli è diventato meta per migliaia di turisti provenienti da tutto il mondo, dalla Puglia e dal Salento ma soprattutto per i cittadini della città bella che da decenni vedevano
negata la possibilità di apprezzare sale, torrioni, gallerie, corridoi, di ammirare la bellezza della luce del sole sulle pareti dell'atrio e il panorama mozzafiato che regalano le terrazze circondate dal mare Jonio.

Al suo interno si trovano diversi particolari architettonici come la Sala Ennagonale, le Sale Circolari, il Matroneo e l’Arco Tudor. Nel 2015 ha ospitato una bellissima mostra di e con Michelangelo Pistoletto che ha nominato il maniero gallipolino Ambasciata del Terzo Paradiso. Il castello di Gallipoli è stato scelto come una delle sedi dell'Esposizione universale del 2015; la notizia è stata diffusa nel mese di agosto 2014. Dall'estate 2015 è stato scelto come location del Premio Barocco. Grazie ai risultati della gestione e della valorizzazione, il castello, in solo diciotto mesi, beneficiando del federalismo demaniale culturale, dall'aprile 2016 è diventato patrimonio comunale contribuendo ad arricchire l'offerta culturale del territorio. Attualmente il castello presenta una base quadrata, con quattro torri disposte in corrispondenza degli angoli. Le torri sono a base scarpata, avvolte nel centro da un cordone, che segna il livello del piano interno, e ornate da piccoli archi nella parte superiore. È ancora visibile anche una quinta torre, aggiunta nel corso del XVI sec. e denominata Rivellino. Quest’ultima è una torre circolare, più bassa e più larga delle altre, e in posizione avanzata rispetto alla cinta muraria per svolgere la funzione di avanguardia nella difesa.

Per approfondire, suggerisco la visita del sito web relativo al castello:
http://www.castellocarlov.it/castello-di-gallipoli/, oltre che la visione di questi video:
http://www.salentoweb.tv/video/8860/gallipoli-scoperta-castelloangioino,
https://www.youtube.com/watch?v=Qj7b6f4iBwM (video di Città aperte in rete), https://www.youtube.com/watch?v=ZRsaJFYBbY (di Massimo Nalli)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Gallipoli,
http://www.castellocarlov.it/castello-di-gallipoli/,
https://www.gallipolinelsalento.it/castello/

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione,

la seconda è presa da https://www.ilviaggiatore-magazine.it/cultura-appuntamenti/alcastello-di-gallipoli-in-mostra-michelangelo-pistoletto/? upm_export=print

 

Underground House Plan B, un bunker di lusso
Da collateral.al del 8 luglio 2020

In seguito alla pandemia che ha colpito tutto il mondo, gli architetti dello studio Sergey Makhno hanno cominciato a rivedere il concetto di abitazione, progettando una casa super accessoriata e autonoma a 15 metri di profondità. L’Underground House Plan B è un vero e proprio bunker di lusso che offre sia la sicurezza di questo tipo di rifugi, sia il comfort e l’eleganza di lussuose ville.

Ovviamente, prima di pensare al design, gli architetti hanno dovuto seguire le raccomandazioni internazionali per questo genere di costruzione, motivo per il quale il piano superiore dell’Underground House Plan B si trova a ben 15 metri sotto la superficie del suolo. A collegare la struttura con l’esterno ci sono un ascensore, una scala a chiocciola principale e due destinate al personale di servizio e al carico e scarico merci. La parte esterna del bunker, dalle linee geometriche e dalle forme semplici e nette, copre una superficie di 172 metri quadrati, offre tre ingressi e un eliporto, permettendo il raggiungimento sia da terra che dal cielo.

La struttura vera e propria ha una pianta circolare e si suddivide in tre livelli differenti, uno solo è quello effettivamente abitabile, mentre gli altri due ospitano i sistemi di trattamento dell’acqua, il generatore di corrente, le apparecchiature elettriche e un pozzo che, affiancati da sistemi di fognatura, ventilazione e approvvigionamento idrico, rendono la struttura completamente autonoma.

 

Prima dei consueti spazi casalinghi, lo studio Sergey Makhno ha dotato l’Underground House Plan B di una vasca per l’allevamento dei pesci, una stanza in cui poter coltivare differenti varietà di vegetali, un magazzino alimentare e una sala dedicata alle cure mediche, in modo tale da offrire sempre beni di prima necessità.

Il bunker è stato pensato per ospitare più di una famiglia, per questo al suo interno troviamo diverse camere da letto, ognuna dotata di armadio e bagno. Per questi spazi è stata stravolta l’architettura tradizionale: le stanze non hanno spigoli e angoli, la loro pianta è infatti cilindrica perché la curvatura delle pareti allarga otticamente lo spazio. Da un punto di vista dell’arredamento sono stati inseriti solo i mobili necessari, per evitare che gli elementi decorativi stancassero e annoiassero.

Le camere però hanno degli elementi che le contraddistinguono, per esempio una è dotata di una grande finestra-schermo dove poter proiettare differenti paesaggi, in un’altra, più pop, troviamo un enorme Kaws di fianco al letto, in un’altra ancora un’enorme pianta di edera scenda dal soffitto.

Largo spazio è stato dato alle aree comuni, l’Underground House Plan B ospita, infatti, una sala da pranzo con un grande tavolo in legno, una cucina ampia e super accessoriata, una sala cinema, una biblioteca, un grande soggiorno con un divano accogliente dove l’intensità della luce segue quella naturale, per permettere alle persone di non perdere i propri ritmi biologici.

 

Inoltre, per permettere agli inquilini di rimanere in forma, il bunker è dotato di una piscina in cui l’illuminazione è debole e dà l’impressione di nuotare nel mare di notte, di una palestra e di una sala meditazione in cui poter godere di un cielo proiettato sulle pareti, a volte stellato, altre nuvoloso o limpido.

 

Objekat 505, la storia della base militare abbandonata
Da notizie.it del 8 luglio 2020

Impossibile demilitarizzarla, impossibile utilizzarla: il triste destino di Objekat 505, la base aerea abbandonata più grande d'Europa.

Nessuno direbbe che, nascosta tra le montagne di Plješevica nella Croazia orientale, sorga Objekat 505, la più grande base aerea abbandonata in Europa. Quella che oggi è nota anche come base aerea di Željava, è sconosciuta ai più perché nessuno sapeva della sua esistenza fino alla sua attivazione nel lontano 1968.

La realizzazione di questa base militare – una delle più famose in Italia è quella di Aviano – ai confini con l’odierna Bosnia-Herzegovina fu condotta in totale segreto. Oltre ad essere la base aerea militare più grande d’Europa, è stata di certo quella più costosa (circa 6 miliardi di dollari). Bisogna essere alquanto coraggiosi per addentrasi in quello che rimane di Objekat 505. In primo luogo, perché il sito – oggi solo parzialmente demilitarizzato – registra la presenza di gas nei bunker sotterranei e di diverse mine antiuomo che hanno causato un incidente nel 2000; in secondo luogo perché l’involucro dell’ex base aerea è una struttura decadente e a perenne rischio caduta di calcinacci.

La storia di Objekat 505

Objekat 505 aveva tutto l’occorrente per difendersi da potenziali attacchi di potenze straniere quella che all’epoca era chiamata Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia . Nonostante il non allineamento della Jugoslavia di Tito, niente poteva essere lasciato al caso: il campamento militare era dotato di quattro vie d’uscita sotterranee (ognuna delle quali sigillate da enormi porte pressurizzate di 100 tonnellate ciascuna), missili terra-aria ed uno dei radar più potenti in grado di tracciare qualsiasiaggressione esterna. Si dice che il suo bunker fosse attrezzato per resistere persino ad un attacco nucleare. Fuori alle vie d’uscita venivano posizionati i C-47 e gli F-48, alcuni dei quali sono ancora al proprio posto in completo stato d’abbandono.

I bunker sotterranei (alimentati dall’elettricità attraverso condotti nel sottosuolo direttamente collegati ad una centrale della vicina Bihac) ospitavano un mondo, popolato da 1000 soldati , con generatori per l’elettricità, stanze per i camerati e fonti d’acqua sotterranee. Si conta che il complesso poteva immagazzinare scorte sufficienti per le reclute fino ad un massimo di 30 giorni. La base fu fatta saltare in aria nel 1993 e da quel momento è stato il luogo di frequenti dilapidazioni.
Non si può effettuare nessun tipo di riqualificazione edilizia nè tantomeno destinarla ad addestramento militare perché le convenzioni internazionali su quell’area proibiscono categoricamente l’esistenza di qualsivoglia realtà militare nel raggio di 15 km dai confini. Perciò Objekat 505 è e rimarrà un luogo per sempre abbandonato: è il suo ineluttabile destino che fa da contraltare ad un passato di segreto e anonimato.

Di Vincenzo Bruno

Laureato in Scienze delle Comunicazioni, è stato redattore esterno per diverse testate, sia di stampa (‘CalabriaOra’ e ‘Il Meridione’) che online, dove ha trattato di ambiente, cronaca del sociale e cultura. Si occupa di fotografia e scrittura creativa per il web, e collabora come blogger e copywriter. Ha vissuto in Irlanda, Spagna e qualche mese in Tanzania. Calabrese di nascita e carattere (classe 1980), dall’incantevole Diamante (CS) si è trasferito nell’affascinante Andalusia, da dove scrive per Notizie.it e Actualidad.es

 

Genova: le camminate notturne tra i Forti con il gruppo Night Walkers
Da mentelocale.it del 8 luglio 2020

I Forti di Genova, che svettano sulla città, sono tra le attrazioni più amate da genovesi e turisti. Dal Begato al Diamante, dal Puin al Castellaccio, queste fortificazioni offrono diversi spunti per una giornata all'aria aperta. Si collocano in diverse vallate, ma partendo dal Parco del Peraldo (presso l'area attrezzata) si possono fare tante escursioni, indicate su appositi pannelli, come quella lungo il Sentiero delle Farfalle. Per l'estate 2020, viste le difficoltà causate dal Covid-19, in molti hanno deciso di restare in città o in Liguria. E quale occasione migliore per conoscere il nostro territorio? Non solo spiagge libere e scogliere, ma anche passeggiate nell'entroterra ed escursioni un po' più impegnative. Un appuntamento capace di unire le due cose è rappresentato  dalle passeggiate notturne intorno ai forti di Genova, organizzate da Night Walkers, organizzazione che propone queste camminate nella notte tra le fortificazioni genovesi dal 2016.

Il prossimo evento in agenda è sabato 11 luglio 2020, in direzione del luogo dove nell'800 sorgeva il forte Fratello Maggiore. Una passeggiata al chiaro di luna con partenza alle ore 21.30, con punto di ritrovo il cancello dell'Avvocato lungo la via del Peralto, a metà strada tra Forte Begato e lo Sperone. I partecipanti viaggiano alla volta del forte, esterno alle Mura Nuove di Genova, una delle due fortificazioni costruite negli anni venti dell’Ottocento dal Genio Militare del Regno di Sardegna sulle cime del monte popolarmente chiamato Due Fratelli, in posizione dominante tra Val Polcevera e Val Bisagno.

Il gruppo di Night Walkers bivaccherà poi sotto le stelle del forte, un evento gratuito al quale tutti possono partecipare. Non serve prenotare, ma è necessario essere puntuali al punto di partenza. L'evento al forte Fratello Maggiore è stato organizzato in collaborazione con l'associazione culturale Pepita Ramone e per ulteriori info si può visitare la pagina facebook dell'evento. Seguiranno altre iniziative tra i forti di Genova.

 

Peretti ripercorre la storia delle Torri della Bisocca
Da lanuovaprovincia.it del 8 luglio 2020

Patrimonio del paese e del territorio

Le Bisocche di Villanova sono patrimonio del paese e del territorio che per secoli hanno dominato, ricordando battaglie e fortificazioni di un tempo lontano e del quale sono rimaste uniche testimoni visibili, o quasi. L’attenzione sulla loro storia e sulla loro importanza culturale è ritornata prepotentemente all’attenzione dei cittadini e delle istituzioni, dopo che il comune, anche su sollecitazione della minoranza consiliare, ha deciso di candidarle fra i Luoghi del Cuore del Fai. Sono molti però ad ignorare quanto sia importante la loro storia e a quali grandi nomi del passato sia essa legata, sia che si voglia far risalire il nome delle Bisocche all’etimologia di incerta origine medievale ‘bicocca’, in Piemonte e nella bassa lombarda traslata in ‘bisocca’ (per Treccani il significato è di piccola rocca o fortino), sia che lo si voglia invece far discendere da latino bisulca, aggettivo declinabile nei tre generi e spesso usato con significato di doppio. Proprio come due sono le torri villanovesi, poste a nord e a sud del paese. Roberto Peretti, sindaco per un decennio, appassionato cultore di storia locale, ne ha ripercorso le origini, scoprendo che le torri devono la loro costruzione niente meno che a Francesco I, re di Francia e grande rivale di Carlo V, che fortificò Villanova erigendo le due torri e le alte mura di difesa dell’allora cittadella fra il 1520 e il 1548.

Fortezza quasi inespugnabile

«Francesco I soggiornò a Villanova – sostiene Peretti – che a quell’epoca era una delle più importanti fortezze francesi in Italia. Una fortezza quasi inespugnabile perché non era possibile porvi delle mine, a causa dell’acqua stagnante che si trovava a meno di un metro sottoterra. Nel XVI secolo la fortezza e le sue bisocche, furono al centro della politica economico-militare d’Europa, tanto è vero che per poter siglare la pace di Chateau Cambresis, nel 1559, i francesi pretesero che Villanova restasse loro sino al 1562, a garanzia degli accordi raggiunti. Solo nel 1691, ardendo una nuova guerra fra il duca di Savoia ed il re di Francia, i baluardi ed i muri della piazzaforte vennero diroccati, affinché non servissero da rifugio ai nemici dei Savoia, nel frattempo diventati legittimi proprietari della fortezza . Di tanta storia, arte militare e gloria, restano le due torri bisocche, oltre alla torre civica, simbolo del paese. La mia speranza è che possano essere recuperate per essere di stimolo ai più giovani per meglio apprezzare la  città in cui vivono e una motivazione in più per i turisti per venirci a trovare.»

Confraternita dei Batu

A sostenere la storia villanovese e le sue tradizioni Peretti vedrebbe anche una rinascita della Confraternita dei Batù in senso laico e moderno: «Come la Confraternita di un tempo difendeva la cultura del paese e si occupava del sostegno ai bisognosi, non mi dispiacerebbe una rifondazione per promuovere la storia e la cultura del nostro paese, coinvolgendo chiunque abbia voglia di mettersi in gioco e di riscoprire la nostra storia e le nostre tradizioni.»

 

Fortezze e Castelli di Puglia: La scomparsa Torre di San Cataldo
Da lavocedimaruggio.it del 7 luglio 2020

San Cataldo, l’antico Porto di Adriano, scalo portuale di Lecce in epoca romana, disponeva di una fortezza ora scomparsa. Infatti, nel tomo di Antonio De Ferraris, noto come Il Galateo: De situ Yapygiae, pubblicato a Basilea nel 1553, è riportata la seguente frase che per ragioni di comodità traduciamo in Italiano dall’originale in Latino: “Chi procede da lì per 10 miglia s’imbatte nel castello che prese il nome da San Cataldo, antichissimo arcivescovo dei Tarantini, per il fatto che egli provenendo dall’oriente toccò dapprima questi luoghi, dove c’è anche un piccolissimo tempio a lui dedicato. Gualtiero fondò anche questo castello per emporio dei Leccesi più vicino alla città […]”.
Il Gualtiero cui si accenna era uno dei Conti di Lecce, appartenente alla famiglia de Brienne, ed il castello in questione doveva essere più probabilmente una torre, forse più imponente delle altre disseminate lungo la costa, infatti in un altro testo manoscritto dei primi anni del XVII secolo: I Castelli di Terra d’Otranto tra il 1584 e il 1610 in una relazione manoscritta del 1611, è riportato: “La Torre di S. Cataldo sta in funzione di guardia di un molo […]” ed il suo armamento nel 1610 consisteva in quattro pezzi di artiglieria leggera tipici dell’epoca rinascimentale: “Tre falconetti” e “Uno sparviero”.

Anche in alcune carte dell’epoca è rappresentata la posizione della fortezza, in particolare in una di esse appare la dicitura Castello di San Cataldo, che confermerebbe il fatto di trattarsi di una torre di dimensioni maggiori rispetto alle altre.

Cosimo Enrico Marseglia

Bibliografia:
A. Ferraris, De situ Yapygiae, Basilea, 1553, X, 12-13;
A.Polito, I Castelli di Terra d’Otranto tra il 1584 e il 1610 in una relazione manoscritta del 1611: TORRE DI SAN CATALDO (5/6) in https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/06/16

 

L’interessante storia del Castello di Acquafredda di Siliqua
Da viaggiamo.it del 7 luglio 2020

Di Ilenia Albanese

Nei pressi di Siliqua, in Sardegna, sorge il suggestivo castello di Acquafredda, un luogo ricco di storia in uno scenario suggestivo.

Storia del Castello di Acquafredda di Siliqua

Nel sud della Sardegna, rovine di un antico castello sorgono sulla cima di una collina, testimoni di un passato interessante e tutto da scoprire.
Parliamo del castello di Acquafredda, una rocca che dal XIII secolo domina la valle del Cixerri.
Ad oggi quel che rimane dell’antico castello sono solamente poche mura in pietra, che suscitano curiosità e suggestione al visitatore. L’impronta di un passato secolare che affascina e intriga il visitatore.
Ma scopriamo qual è la storia di questo castello e quali curiosità si celano tra le sue mura antiche e le informazioni per la visita a questo luogo incredibile della Sardegna.

La storia della rocca

Il Castello di Acquafredda è un’importante testimonianza di struttura fortificata che risale all’epoca medioevale. L’imponente struttura dista circa quattro chilometri dal centro abitato di Siliqua e si innalza su di un colle di origine vulcanica. Situato ad un’altezza di 256 metri sul livello del mare, il sito è stato nominato Monumento Naturale con un decreto legge del 1993, ed è denominato “Domo Andesitico di Acquafredda”. Dal ritrovamento di una bolla Papale del 30 luglio 1238, nella quale Gregorio IX dà disposizioni affinché si provveda a mettere in assetto di guerra le fortificazioni dei giudicati di Torres, di Gallura e di Cagliari, si ritiene, che il castello esistesse già dal 1215.

Tuttavia, è opinione diffusa attribuire la sua costruzione al celebre nobile pisano Ugolino Della Gherardesca, conte di Donoratico. Dal 1257 divenne Signore della parte sud – occidentale della Sardegna dopo la caduta del Giudicato di Cagliari. Il conte aveva la residenza nel castello di San Guantino ad Iglesias, oggi noto come Salvaterra, ed il poderoso castello di Acquafredda controllava l’accesso alla città mineraria. Infatti, la città era ricca di giacimenti di argento, zinco e piombo, fonte di inesauribile ricchezza per Pisa. Caduto in disgrazia, il conte fu imprigionato a Pisa nella torre dei Gualandi, poi chiamata “Torre della Fame”, dove muore nel 1288. Da quel momento il castello passa sotto il controllo diretto della repubblica pisana. Le vicende del conte Ugolino sono divenute illustri grazie ai profondi versi di Dante Alighieri nella Divina Commedia. “La bocca sollevo’ dal fiero pasto quel peccator…” recita il XXXIII canto della Cantica dell’Inferno.
Dopo i Pisani, il castello dal 1326 al 1410 diviene proprietà degli Aragonesi. Da allora, la fortezza è disabitata e passa, assieme ai terreni vicini, nelle mani di diverse famiglie feudatarie. Solamente nel 1785 la fortezza viene riscattata dal Re di Sardegna, Vittorio Amedeo III.

La visita

Il Castello di Acquafredda è visitabile tutti i giorni dalle 10:00 alle 18:00 e l’ultima visita è prevista prima del tramonto.

Il prezzo del biglietto è di 6 euro intero con visita guidata, 4,50 euro intero senza visita guidata, 3,50 euro ridotto per ragazzi dai 6 ai 13 anni e 2 euro per i residenti del comune si Siliqua.

 

Riduzione servitù militari in Sardegna? Al via discussione pubblica del M5s
Da cagliaripad.it del 6 luglio 2020

I 35 mila gli ettari di territorio sardo sotto vincolo di servitù militare si possono ridurre?

Questa la domanda a cui il Movimento 5 stelle proverà a rispondere il 10 luglio. Emanuela Corda e Luca Frusone, Portavoce alla Camera, illustreranno le proposte e lo stato di attuazione per ridurre gli spazi assegnati alle servitù militari in Sardegna, la programmazione delle bonifiche ambientali per un pieno recupero.

L’evento è promosso dal Facilitatore Formazione e Coinvolgimento Sardegna, Francesco Desogus. Per iscriversi all’iniziativa basterà cliccare su PARTECIPA e accettare l’informativa sulla privacy.

 

Fortezze etrusche e matematica delle origini
Da quinewselba.it del 6 luglio 2020

E' online una nuova ricerca dedicata agli etruschi all'Elba pubblicata dal docente universitario Mario Preti e all'archeologo Michelangelo Zecchini

MARCIANA — Mario Preti è professore presso il Dipartimento di architettura dell’Università di Firenze. Da venti anni studia i monumenti delle civiltà mediterranee (in particolare quella etrusca) applicando dati matematici e geometrici, entrambi densi di implicazioni religiose. Ora ha voluto testare il suo metodo anche sull’Elba, in particolare sulla vallata di Marciana e su alcune fortezze etrusche. Alla verifica dei risultati matematico-geometrici ha dato il suo apporto Michelangelo Zecchini, che l’archeologia elbana la ha studiata per mezzo secolo. La collaborazione fra i due studiosi ha dimostrato che non ha ragione di essere la corrente di pensiero minimalista, purtroppo persistente, sia pure più velata rispetto al passato, che vede sostanzialmente l’isola come un territorio dal quale si estraeva e si esportava ferro, senza ridurlo sul posto, e nel quale l’incidenza abitativa era del tutto modesta.

Secondo lo studio dei due autori, l’articolata suddivisione spaziale attuata secondo precisi ritmi modulari basati su unità di misura antiche quali lo shar, il bur e il cubito denota quale grande cura e quale importanza gli Etruschi attribuirono all’Elba nel suo insieme e non solo al settore minerario: tutto il territorio, con le sue acque, i suoi boschi, i suoi porti e approdi, i suoi punti strategici per la difesa e per il commercio, era il necessario complemento all’attività estrattiva.

La ricerca di Preti e Zecchini ha l'obiettivo di dimostrare inoltre che la riduzione del ferro sul suolo isolano ha un esordio e uno sviluppo ben più antichi (almeno VII secolo avanti Cristo) di quanto favoleggiano certi studiosi che la attribuiscono al II-I sec. a. C. basandosi sui reperti trovati nello strato superficiale dei cumuli di scorie sparsi un po’ dovunque.

Fra i tanti possibili sentieri di ricerca aperti da questa indagine, piena di importanti novità e condotta seguendo un metodo completamente inedito, emerge in particolare il diffuso ruolo sacrale degli insediamenti fortificati, che forse precede l’impianto degli insediamenti stessi e poi diventa interno ed essenziale per tutto il loro ciclo vitale.

 

Castel Nanno: cosa vedere e storia
Da viaggiamo.it del 6 luglio 2020

Di Debora Albanese

Castel Nanno è una meta da visitare assolutamente in Trentino, con una lunga e antica storia alle spalle. Durante una vacanza nella Val di Non è il luogo ideale per trascorrere una bellissima giornata.

Castel Nanno: la storia

Il Castel Nanno è uno dei castelli più belli del Trentino. La sua storia è piuttosto antica e inizia all’epoca della sua costruzione. La data dell’erezione della struttura si colloca verso la metà del XIII secolo. In quell’epoca la famiglia Enno cambiò il proprio cognome in Nanno, assumendo quello del castello feudale. A metà del XIV secolo Castel Nanno fu conquistato dalla famiglia Thun, dopo quasi un secolo di lotta con la famiglia Nanno. Alla fine del secolo gli Sporo lo rivendicarono con la forza e lo incendiarono.
I Nanno furono imprigionati ma dopo aver riconquistarono la libertà si ripresero anche la residenza. Provvidero poi alla ristrutturazione della struttura, al fine di ridarle l’antico splendore. Nel 1523 la proprietà passò ai Nadruzzo, che diedero al castello un’impronta dapprima medievale e poi rinascimentale. Nel 1661 la residenza divenne di proprietà della Chiesa. Il 1866 fu l’anno in cui Carlo Giuliani acquistò la fortezza. La prima e la seconda guerra mondiale videro le truppe italica e germanica invadere in sequenza il castello.
La storia travagliata del castello è decisamente affascinante e contribuisce a suscitarel’interesse dei numerosi visitatori.

La struttura oggi

L’aspetto attuale del Castello deriva dalle modifiche apportate dai Madruzzo. Visitandolo si può ammirare una bassa cinta muraria, che lo circonda insieme a quattro torri quadrangolari.
La fortezza risulta concentrata intorno a un’unica torre centrale. La funzione difensiva risulta pressoché assente, come si può notare già dalla presenza delle basse mura. La struttura è infatti ispirata alle costruzioni residenziali del XV secolo del Nord Italia. Attualmente è visitabile senza prenotazione l’esterno del bellissimo castello. Si tratta infatti di una proprietà privata, che tuttavia attira visitatori in virtù delle sue importanti vicende storiche. Per quanto riguarda le visite degli interni, bisogna attenersi agli orari
indicati. In questo modo è possibile visitare alcune stanze, con il supporto di una guida.

Orari

Castel Nanno si può visitare tutte le domeniche nei mesi che vanno da luglio a ottobre. In più, durante il mese di agosto è possibile accedere alla visita della residenza anche il sabato. L’orario di apertura è alle 10.00, mentre quello di chiusura alle 17.00. Oltre alla guida, sono disponibili interessanti pannelli illustrativi e una semplice guida audio. In questo modo la visita degli ambienti della struttura risulta molto semplice da effetturare.

 

Ostra: ripulite le mura storiche cittadine
Da viveresenigallia.it del 6 luglio 2020

Per il decoro della nostra città, ripulire le mura dalla presenza delle erbe infestanti era una priorità non più rinviabile. Da alcune settimane, Ostra può finalmente vantarsi di aver recuperato lo splendore della propria cinta muraria, grazie all’azione della Amministrazione Fanesi ed al lavoro degli operai comunali.
Un intervento che dovrebbe essere di ordinaria amministrazione ma, considerato lo stato di incuria protrattosi per l'intera gestione Storoni (più volte denunciato da Progetto Ostra), è diventato ora del tutto straordinario. Così come straordinario è stato il risultato ottenuto: uno spettacolo che ha stupito coloro che passandovi attorno, a piedi o in macchina, hanno visto finalmente le nostre mura libere da erbaccia e degrado che da anni le avvolgeva, deturpandole e rendendole un pessimo biglietto da visita per turisti e visitatori. Molti nostri concittadini hanno dichiarato di non aver mai visto le mura così ben curate!

L'operazione è stata effettuata con l’utilizzo di una miscela di prodotti di contrasto di origine naturale (come l’acido pelargonico, ricavato dal cardo), totalmente biodegradabili ed ecocompatibili, privi di effetti collaterali per l'uomo e assolutamente non nocivi per animali ed insetti, come certificato dalle schede tecniche allegate ai prodotti. Grande attenzione, dunque, è stata prestata dall’Amministrazione Fanesi nella scelta dei prodotti più adeguati per rimuovere la gran quantità di erbe infestanti, al fine di non danneggiare il patrimonio murario, nel pieno rispetto dell’ambiente e della normativa vigente in materia. Un intervento, che rientra in un quadro più vasto di recupero e di conservazione del centro storico, che denota grande attenzione ed affetto per la nostra città, in netta contrapposizione con chi, in un recente passato, ha fatto del degrado urbano il proprio marchio di fabbrica.

da Progetto Ostra www.progetto-ostra.it

 

Forte di Rivoli
Da fiabverona.it del 5 luglio 2020

Di Luca Reani

Nella stretta del fiume Adige ecco che svetta Forte Wohlgemuth. Visita guidata.

Un luogo pieno di storia ed un panorama a 360°.

Facile gita lungo la ciclabile del Biffis con sosta “tecnica” in pasticceria a Bussolengo e salita finale per arrivare a Rivoli e quindi al forte austriaco di Rivoli o di Wohlgemuth (generale dell’impero austriaco a cui il forte è dedicato). Il forte domina la piana destra d’Adige dove nel gennaio del 1797 Napoleone Bonaparte sconfisse l’armata austriaca condotta da Alvinczy. Ingresso 3 euro.

L’apertura del forte è alle 14.30 quindi arriveremo con tutta calma e potremo mangiare alla Bottega del Gilio con il bike menù (panino imbottito a piacere, 1/2 acqua e frutto) a 2,50 per i soci FIAB, in piazza Napoleone a Rivoli. Ovviamente chi preferisce può mangiare a sacco o ristorante in loco.

 

"La nostra idea per la Fortezza Spagnola"
Da lanazione.it del 4 luglio 2020

Sergio Scarcella è fra i dirigenti dell’associazione culturale ’Corte Storico di Orbetello’ che vuole valorizzare i costumi, la storia, la vita di quando la cittadina lagunare era la capitale del Reale Stato dei Presidi di Spagna in Italia. "Ho pronto un progettto – scrive a La Nazione – con il quale diamo la disponibilità al Comune per contribuire al recupero, alla pulizia e manutenzione straordinaria, ma anche alla successiva valorizzazione e riutilizzo della Fortezza Spagnola". "Ci potremmo fare a sede della nostra associazione Corteo storico e Spagnolo di Orbetello" un piccolo museo, percorsi storici e culturali da far visitare con gruppi e guide preparate in questa materia. "Un modo per riscoprire una parte di Orbetello – continua – i sotterranei spagnoli, le fortificazioni. Ho chiesto un incontro al senatore Roberto Berardi, che mi ha già dato la disponibilità a collaborare".

 

Trovato bunker della I Guerra Mondiale, dove probabilmente sono sepolte decine di soldati
Da ilmattino.it del 3 luglio 2020

Un bunker tedesco risalente alla I Guerra Mondiale, dove probabilmente sono sepolte dozzine di soldati, è stato scoperto durante i lavori a una fognatura in Belgio, secondo quanto riferito dall'Agenzia del Patrimonio. Il bunker si trova nel villaggio di Wijtschate, nella provincia delle Fiandre occidentali, dove la battaglia di Messines ebbe luogo nel giugno del 1917. Durante il combattimento, in cui morirono decine di migliaia di soldati, le truppe britanniche demolirono le fortificazioni tedesche. Il bombardamento di artiglieria causò il crollo delle pareti e dei soffitti in legno sopra gli ingressi, seppellendo probabilmente i militari all'interno.
«Gran parte di questo complesso tunnel potrebbe essere crollato durante la I Guerra Mondiale», ha spiegato l'archeologo Simon Verdegem, secondo quanto riferito dai media locali. «Esiste la possibilità che i soldati siano rimasti nel tunnel. Abbiamo trovato resti umani in altri tunnel nell'area, ma non è ancora chiaro se sia realmente così», ha aggiunto.
Durante lo scavo, gli archeologi hanno trovato una barella intatta, parti di una ferrovia a scartamento ridotto e una ruota di un carro in legno. Nelle prossime settimane, gli elementi trovati saranno portati alla luce, puliti e raccolti, in tal modo l'appaltatore sarà in grado di continuare con i lavori di fognatura.

 

A Cervia il nuovo «bunker tour» lungo la linea difensiva tedesca
Da ilsole24ore.it del 3 luglio 2020

Di Enrico Marro

Ritrovati durante gli scavi per i lavori di ristrutturazione del lungomare e restaurati, tre bunker tedeschi della guerra mondiale sono ora visitabili

Durante la seconda guerra mondiale, il litorale adriatico fu a lungo appostamento difensivo dell'esercito tedesco e che tutto il territorio di Cervia e Milano Marittima è disseminato di bunker, alcuni perfettamente conservati, altri interrati o inglobati in costruzioni private e hotel. La pineta, il lungomare e le vie dello shopping nascondono numerosi residuati bellici e anche i cosiddetti “denti di drago”, sbarramenti anticarro costruiti in ferro e calcestruzzo. Grazie ad un importante lavoro di recupero, da questo mese sarà possibile visitare tre di queste affascinanti costruzioni militari attraverso tour guidati di un'ora e mezza, durante i quali scoprire, anche grazie ad alcuni reperti, come fosse la vita dei soldati all'interno di queste fortificazioni con i muri spessi fino a tre metri, in grado di resistere alle bombe.

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Il Castello Marchionne di Conversano
Da lavocedimaruggio.it del 3 luglio 2020

Il Castello Marchionne si trova nel territorio di Conversano, tuttavia non si conosce l’etimologia e la derivazione del nome. In origine era una villa e rientrava nelle proprietà dei Signori di Conversano, che la utilizzavano quale residenza di campagna o di caccia, trovandosi immersa in un ampia area boscosa. Nei pressi del maniero sorge anche l’omonima borgata e, secondo un’antica tradizione, esisteva un passaggio segreto sotterraneo che lo collegava al Castello di Conversano, distante all’incirca 6 Km, utilizzato nel XVII secolo dal celebre Conte di Conversano Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, detto Il Guercio di Puglia e successivamente dai suoi successori.

Fu il Conte Giulio Antonio III Acquaviva d’Aragona, nella prima metà del XVIII secolo, a decidere la trasformazione del casino di caccia in residenza signorile, incaricando dei lavori l’architetto Vincenzo Ruffo, allievo dell’altro famoso architetto Luigi Vanvitelli, che in seguito avrebbe realizzato la Reggia di Caserta. Dopo la soppressione dei titoli feudali, nei primi anni del XIX secolo, la struttura entrò in uno stato di abbandono e decadenza, inoltre l’area circostante venne disboscata e resa coltivabile. Soltanto intorno agli anni ’20 del XX secolo il castello venne sottoposto ad interventi di restauro, grazie alla volontà della Principessa Giulia Acquaviva d’Aragona, continuata dal di lui figlio Fabio Tomacelli Filomarino. Nel 1976 la struttura è stata dichiarata monumento nazionale e dal 1993 è adibita a location per cerimonie e ricevimenti.

Il Castello si presenta a pianta quadrangolare con quattro torrioni mozzi cilindrici agli angoli, più bassi rispetto al corpo principale, e si sviluppa su tre livelli: pianterreno, rialzato e piano nobile. Le piccole logge delle finestre laterali sono poste in comunicazioni con le terrazze dei torrioni angolari. Uno scalone a doppia rampa consente l’accesso al piano nobile, contraddistinto da una splendida loggia a trifora. Il pianterreno, che costituisce la parte più antica di epoca medievale, all’interno presenta un grande salone con dipinti, armi nobiliari e riferimenti all’originale funzione di casino di caccia. I locali superiori, risalenti al ‘700, hanno un arredo in mobilia d’epoca, diverse opere d’arte in fine ceramica, oltre ai dipinti con i ritratti del Guercio di Puglia e della consorte Isabella Filomarino. Il soffitto ligneo riporta la genealogia e le armi degli Acquaviva d’Aragona. La struttura è circondata da un bellissimo ed ampio giardino.

Cosimo Enrico Marseglia

 

A Cervia tour nei bunker della Seconda guerra mondiale
Da ansa.it del 2 luglio 2020

Aprono al pubblico con guida dopo importante lavoro di recupero

CERVIA - Sono stati restaurati e sono pronti ad accogliere visitatori i tre bunker tedeschi della Seconda Guerra Mondiale ritrovati a Cervia (Ravenna) duranti gli scavi e i lavori per il nuovo lungomare di Milano Marittima. Al via tour guidati alla scoperta della storia e di curiosità legate a questi residuati bellici.

Durante la Seconda Guerra Mondiale il litorale adriatico fu a lungo appostamento difensivo dell'esercito tedesco e tutto il territorio di Cervia e Milano Marittima è disseminato di bunker, alcuni perfettamente conservati, altri interrati o inglobati in costruzioni private e hotel. Grazie a un importante lavoro di recupero, da questo mese sarà possibile visitare tre di queste costruzioni militari con una guida, per conoscere anche attraverso reperti come fosse la vita dei soldati all'interno di queste fortificazioni con i muri spessi fino a tre metri, in grado di resistere alle bombe.
I bunker tedeschi e i denti di drago avevano l'obiettivo di difendere il fronte, in particolare dagli assalti via mare, gli avamposti erano costituiti da fili spinati, campi minati e sbarramenti. I bunker potevano essere di tipo Tobruk, occupati da una a due persone, avevano un'apertura circolare nel tetto dalla quale si potevano utilizzare una mitragliatrice o un mortaio, o di tipo Regelbau, più grandi dei primi, avevano la funzione di rifugio, potevano contenere fino a sei soldati ed erano equipaggiati con tutto l'occorrente per la vita quotidiana e il riposo. Avevano per lo più funzione strategica ed erano dotati di comando radio per poter lanciare allarmi e messaggi tempestivamente. Di norma, a fianco di ogni Regelbau si trovava un Tobruk, con funzione di difesa, raggiungibile attraverso un corridoio. Ogni bunker aveva infine un'uscita di emergenza, percorribile solo a carponi.

Le visite saranno possibili il lunedì e il sabato dalle 17 con partenza da Largo Leoncavallo, con prenotazioni allo Iat di Cervia e online sul sito www.turismo.comuncervia.it.

 

Un altro libro sulla città
Da ilrestodelcarlino.it del 2 luglio 2020

La Società Operaia di Porto San Giorgio si conferma uno dei più attenti presidi per la raccolta delle memorie della città e la diffusione della sua storia. Dopo la pubblicazione ’La Villa Bonaparte a Porto San Giorgio’ del professor Fabio Mariano e ’Lettere agli amici della Società Operaia’, di Max Salvadori a cura di Alfredo Luzi e Fabrizio Annibali, è in uscita per la casa editrice Livi di Fermo il volume ’Porto San Giorgio, un castello sul mare’. Porto San Giorgio, antico e fiorente centro della costa marchigiana, vista da un’ottica particolare: la storia dello sviluppo urbano. Fu un porto fortificato medievale che ebbe due momenti centrali: il 1267 con la ricostruzione o ampliamento della rocca e il 1362 con la costruzione della cinta muraria, che lo resero una vera roccaforte ed, esteticamente, un gioiello dell’Adriatico. Nel Cinquecento finì insabbiato per il concorso di dinamiche naturali, ma la sua storia continuò con alterne vicende, senza perdere mai il rapporto con il mare, fino a ritrovare l’antica vocazione secoli dopo, quando fu costruito un nuovo porto (1983) molto distante da quello medievale. Sono autori del volume due cultori della storia locale: Maurizio Mattioli, avvocato, presidente della Società Operaia di Porto San Giorgio, che analizza e narra le principali vicende urbanistiche e architettoniche, e Mario Cignoni, studioso romano, segretario generale della Società Biblica in Italia, che presenta i documenti, pergamene d’archivio, lapidi e stemmi.

 

Anello verde, un percorso tra eredità storica e speranza ecologica
Da verona-in.it del 2 luglio 2020

Mappa dei forti austriaci

ASSOGUIDE (https://veronacityguide.it/) propone per sabato 11 luglio un tour ciclopedonale da Forte Parona a Forte Chievo alla scoperta del Parco nazionale delle mura e dei forti della città.

Quella volta si ballò per settimane. “Il congresso non cammina, balla!”, esclamavano i principi. Così a ritmo di valzer il Congresso di Vienna sancì nel 1815 la nascita del Regno Lombardo-Veneto.
Verona si ritrova città di un regno il cui governo mette in campo, dagli anni ’30 agli anni ’60 dell’Ottocento, una manovra militare e allo stesso tempo estetica: il restauro delle mura urbane e la costruzione di forti staccati dalla cinta magistrale. Una sorprendente multipla cintura difensiva guidata dai due criteri, per dirlo con le parole di Vitruvio, di utilitas et venustas: funzionali all’arte della guerra, le mura e i forti si rivelano capolavori di arte architettonica.

La manodopera è locale e viene pagata anche con monete che riportano la scritta tedesca Scheidemunze, da cui, abbreviato, il termine dialettale Schei. I materiali edili sono pure locali: mattoni d’argilla di pianura e calcari chiari delle colline e delle montagne fanno riemergere quell’armonia cromatica di rosso e bianco che da secoli caratterizzava Verona (basti pensare alle chiese romaniche di Santo Stefano o San Zeno) ad esempio nello stile neoromanico dell’Arsenale e della caserma di Castel San Pietro.

Particolare di mura

Le pietre sagomate e disposte a “opus poligonale” rispondono all’esigenza di ben sopportare eventuali colpi d’artiglieria e conferiscono ai muri l’aspetto di eleganti tessuti geometrici a nido d’ape. Protagonista è anche la terra, con lo scavo di fossati e l’innalzamento di terrapieni che oggi ci permettono di passeggiare e fare sport sui panoramici bastioni del Parco delle Mura. I forti staccati vengono eretti a distanze precise (da 1 a 4 chilometri dalla piazzaforte) ritrovandosi a punteggiare con precisione, balistica sarebbe il caso di dire, il paesaggio verde della campagna. La nostra campagna, la nostra periferia, purtroppo sempre meno verdi. E la prima, più antica, difesa della città di che colore era? Verde Adige, di carducciana memoria.

Collegando a colpo d’occhio i forti superstiti (una ventina sommando quelli collinari e quelli di pianura) appare un disegno, una linea anulare frammentaria. Ricucirla è possibile, recuperando e valorizzando dal punto di vista urbanistico, ecologico ed economico le aree di campagna interessate; creando un “Anello verde” ciclopedonale che rappresenti l’istituzione del Parco nazionale delle mura e dei forti di Verona. Questa è la proposta degli architetti Lino Vittorio Bozzetto e Alberto Ballestriero, su iniziativa del compianto Carlo Furlan di Legambiente Verona (https://www.legambienteverona.it/), e condivisa da chi scrive. Le strade poco trafficate permettono di incrociare anche la storia dell’artista Umberto Boccioni che fu disarcionato dalla sua cavalla a Boscomantico nel 1916. (La sua scultura futurista Forme uniche nella continuità dello spazio ancora oggi “cammina” sulla moneta da venti centesimi di euro). Il tratto lungo la riva transitabile del fiume offre poi lo spettacolo della rigogliosa vegetazione riparia in cui risuona il “cantus populi”, il canto del pioppo, lo stormire del vento tra le piante. Un percorso circolare, un “Anellino verde” nel più grande “Anello verde”, animato dalla consapevolezza della straordinaria eredità storica costituita dalla cintura di fortificazioni e dalla speranza che essa venga sempre più valorizzata nel suo potenziale turistico ed ecologico.

Katiuscia Lorenzini

Per approfondire la scoperta di questo itinerario in compagnia di guide professioniste seguite le visite organizzate di Assoguide Verona su Facebook. (https://www.facebook.com/events/286743602523115/)