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ANNO 2018

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NARDÒ, TORRI COSTIERE E SPIAGGE ACCESSIBILI: FINANZIAMENTI REGIONALI PER TORRE ULUZZO E SANT’ISIDORO

Da piazzasalento.it del 31 dicembre 2018

 

Quando Mussolini, Saragat, Moro e Andreotti giocavano alla guerra nucleare globale

Da sputnik.news.com del 30 dicembre 2018

 

Castello di Tabiano, il fascino della fortezza feudale in Alta Emilia

Da turismo.it del 30 dicembre 2018

 

Fortezze e Castelli di Puglia: Il Castello dei Cavalieri di Maruggio

Da lavocedimaruggio.it del 30 dicembre 2018

 

Forte Antenne: un fantasma seppellito nel degrado

Da lastampa.it del 28 dicembre 2018

 

Rinasce Torre Uluzzo: arriva finanziamento per la conservazione

Da leccesette.it del 28 dicembre 2018

 

Guerra nucleare, Putin fa sul serio: la Russia testa una nuova arma ipersonica

Da money.it del 27 dicembre 2018

 

Ricerca sul bunker della Maginot, ‘AirCrash Po’ in campo

Da laprovinciacr.it del 27 dicembre 2018

 

La Russia di Putin che sovrintende test di hypersonic weapon

Da dailyviewsonline.com del 26 dicembre 2018

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Fulcignano

Da corrieresalentino.it del 26 dicembre 2018

 

Forte di Fortezza aperto ancora fino a fine anno

Da ladigetto.it del 25 dicembre 2018

 

Ecco il bunker antiatomico del governo italiano

Da startmag.it del 25 dicembre 2018

 

SpaceX, lanciato un satellite GPS durante l’ultima missione del 2018

Da tg24.sky.it del 24 dicembre 2018

 

Cesana: il convegno “Chaberton tra Passato e Presente” per approfondire la conoscenza sulla batteria fortificata più alta d’Europa Giovedì 27 dicembre alle ore 17.30 presso la sala consiliare del comune

Da lagendanews.com del 24 dicembre 2018

 

Forte Marghera, Pettenò lancia comitato per la salvaguardia

Da vvox.it del 23 dicembre 2018

 

Messina: il Museo Storico di Forte Cavalli firma la Carta di Corfù - Messina: Forte Cavalli nelle rete Euro-Mediterranea dei forti
Da strettoweb.com del 24 dicembre 2018

 

Fortezze di Puglia: La Torre Federiciana di Leverano
Da corrieresalentino.it del 23 dicembre 2018

 

Mercatino dell'incredibile, il Natale nei tunnel segreti dell'ex base Nato di Bagnoli
Da ilmattino.it del 22 dicembre 2018

 

Il nuovo Parco delle Mura Urbiche si apre alla città
Da corrieresalentino.it del 22 dicembre 2018

 

United States Space Force: alla conquista dello spazio
Da difesaonline.it del 22 dicembre 2018

 

RUBRICA LECCO IERI&OGGI: IL PONTE VECCHIO FORTIFICATO
Da lecconews.lc del 22 dicembre 2018

 

Pescara, c'è un sotterraneo della Piazzaforte da recuperare e ora c'è l'occasione per farlo
Da pescaranews.net del 21 dicembre 2018

 

Ecco 10 castelli siciliani che dovreste visitare
Da siciliafan.it del 21 dicembre 2018

 

Piacenza “piazza militare”, la storia della direzione di Artiglieria in un libro
Da ilpiacenza.it del 20 dicembre 2018

 

Viaggio tra i castelli della Terra dei Castelli
Da modenatoday.it del 19 dicembre 2018

 

Luci d’emergenza nelle viscere del Moscal
Da larena.it del 19 dicembre 2018

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Roca Vecchia
Da corrieresalentino.it del 19 dicembre 2018

 

La storia mirabile della Rocca di Sassocorvaro - Durante occupazione nazista fu riparo segreto capolavori d'arte
Da ansa.it del 16 dicembre 2018

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Dentice di Frasso di Carovigno
Da corrieresalentino.it del 16 dicembre 2018

 

Missile M.B.D.A. (Italia) "TESEO - OTOMAT" (antinave) e "MILAS" (ASW)
Da svppbellum.com del 15 dicembre 2018

 

Ex maresciallo del 1° Roc nuova vittima del radon
Da mattinopadova.it del 15 dicembre 2018

 

“Container” é il nuovo radar russo “oltre l’orizzonte” capace di tracciare 5000 bersagli!
Da ikommentidikahani.it del 15 dicembre 2018

 

Verona vuole valorizzare i suoi forti: dal 2019 via alla raccolta di proposte
Da veronasera.it del 14 dicembre 2018

 

Lanciata dal comune,  La campagna per far rivivere i forti
Da tgverona.it del 14 dicembre 2018

 

Nucleare, preoccupazione Nato per i nuovi missili russi
Da affaritaliani.it del 13 dicembre 2018

 

Palmanova, sbloccati i fondi per i lavori sulle fortificazioni UNESCO
Da imagazine.it del 14 dicembre 2018

 

Un forte patrimonio europeo - Cadine
Da valledeilaghi.it del 13 dicembre 2018

 

Un libro dedicato a Castelfranco. Sabato la presentazione a Finale
Da savonanews.it del 13 dicembre 2018

 

Fortezze di Puglia: Il Palazzo-De Angelis-Viti, ex del Balzo, di Altamura e l’assassinio di Giovanni Antonio Orsini del Balzo
Da corrieresalentino.it del 12 dicembre 2018

 

Fort Alexander visto dall’alto con un drone. Immagini meravigliose del “Forte della Peste”
Da newnotizie.it del 12 dicembre 2018

 

Un parco sportivo nell'ex Base Militare
Da Primo Giornale del 11 dicembre 2018

 

Quel report che avverte la Nato: carenze strategiche sul fronte orientale
Da occhidellaguerra.it del 11 dicembre 2018

 

Marco Polo sgomberata e 15 milioni di cantieri
Da nuovavenezia.it del 11 dicembre 2018

 

MARCO POLO SGOMBERATA DA FORTE MARGHERA, PETTENO': «RIPICCA POLITICA»
Da reteveneta.it del 11 dicembre 2018

 

MARCO POLO SGOMBERO parziale. Pettenò: «non ci fermiamo»
Da vvox.it del 11 dicembre 2018

 

«I castelli di Napoli»: si parla del Maschio Angioino
Da ilmattino.it del 10 dicembre 2018

 

A Bacoli l'eccellenza italiana dei radar
Da adnkronos.com del 10 dicembre 2018

 

"I forti spezzini varebbero duecentomila visitatori l'anno"
Da cittadellaspezia.com del 10 dicembre 2018

 

Poligoni militari, aree militarizzate e inquinamento del territorio
Da umanitanova.org del 9 dicembre 2018

 

UN BALUARDO DELL'OCCIDENTE DURANTE LA GUERRA FREDDA: Base "Tuono" e il "Nike Hercules"
Da svppbellum.com del 9 dicembre 2018

 

Fortezze di Puglia: Il Castello del Garagnone a Spinazzola
Da corrieresalentino.it del 9 dicembre 2018

 

I segreti del bunker di Tito finanziato dagli Stati Uniti
Da ilpiccolo.it del 9 dicembre 2018

 

"Padova sotterranea", presentazione del libro ai Musei Eremitani
Da padovaoggi.it del 7 dicembre 2018

 

Bergamo oltre le nuvole
Da latitudeslife.com del 6 dicembre 2018

 

PARMA SEGRETA E SUGGESTIVA: IL RIFUGIO ANTIAEREO N.11 SAN PAOLO
Da gazzettadellemilia.it del 6 dicembre 2018

 

Pyongyang rafforza base militare nel nord e costruisce nuova struttura per esercito – CNN
Da sputniknews.com del 6 dicembre 2018

 

500 mila euro per la cinta magistrale
Da tgverona.it del 6 dicembre 2018

 

Fortezze di Puglia: Il perduto Palazzo Federiciano di Foggia
Da corrieresalentino.it del 5 dicembre 2018

 

Il reggimento Peschiera schiera i suoi missili a Curtatone
Da gazzettadimantova.it del 5 dicembre 2018

 

Le Architetture Fortificate della Campania
Da castcampania.it

 

Due turisti detenuti sul territorio di una base militare in Svezia
Da sputniknews.com del 3 dicembre 2018

 

A RIMINI L'ESERCITO SI ALLENA CONTRO UN ATTACCO MISSILISTICO
Da corriereromagna.it del 2 dicembre 2018

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Massafra
Da corrieresalentino.it del 2 dicembre 2018

 

Recupero torri costiere e spiagge accessibili, 400mila euro dalla Regione
Da lecceprima.it del 1 dicembre 2018

 

Puglia, tutela delle torri costiere: ok alle linee guida per l’erogazione dei contributi
Da ilrestodelgargano.it del 30 novembre 2018

 

Faro, firmata la Carta di Corfù per la valorizzazione del patrimonio fortificato
Da agcult.it del 27 novembre 2018

 

Aeronautica Militare e Agenzia Spaziale Italiana per il volo suborbitale
Da money.it del 29 novembre 2018

 

La Fondazione Crc acquista l’ex frigorifero militare
Da laguida.it del 29 novembre 2018

 

Fortezze di Puglia: Il Palazzo Marchesale di Arnesano
Da corrieresalentino.it del 28 novembre 2018

 

Scozia, in vendita ex base NATO “orecchie dell'apocalisse”
Da sputniknews.com del 27 novembre 2018

 

Leonardo da Vinci al Porto Cesenatico
Da corrierecesenate.it del 27 novembre 2018

 

Difesa. Trenta: "Razionalizzazione delle spese dismettendo immobili"
Da avionews.it del 27 novembre 2018

 

Lavori in Fortezza Nuova Così cambierà l’identikit
Da iltirreno.it del 26 novembre 2018

 

Chioggia, Forte San Felice smilitarizzato. Il ministro sigla la cessione
Da nuovavenezia.it del 26 novembre 2018

 

Fortezze di Puglia: Le Torri di Belloluogo e del Parco a Lecce
Da corrieresalentino.it del 25 novembre 2018

 

Bordighera, vandali scardinano porta del Marabutto. Ennesimo danno all’antica polveriera
Da riviera24.it del 24 novembre 2018

 

Comiso (Rg): verso la cessione gratuita dell’ex base Nato
Da ecodisicilia.com del 23 novembre 2018

 

Mura civiche, si punta a sistemare le torri alle Fortezze, Pilastro e Raniero Capocci
Da lafune.eu del 22 novembre 2018

 

Il Castello di Conegliano: alla scoperta di uno dei siti medievali più belli del Veneto
Da luxgallery.it del 21 novembre 2018

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Imperiali di Francavilla Fontana
Da corrieresalentino.it del 21 novembre 2018

 

La Grande Muraglia Cinese, una delle meraviglie del mondo
Da viaggiare.moondo.info del 21 novembre 2018

 

 

Castello di Fénis, dimora medievale a un’ora da Torino
Da mole24.it del 21 novembre 2018

 

“Le fort de Fenestrelles ovvero il forte Mutin” – Conferenza di Bruno Usseglio, autore del libro
Da bdtorino.eu del 20 novembre 2018

 

Progetto Bellezz@, i luoghi dimenticati che stanno per rinascere
Da edilportale.com del 19 novembre 2018

 

Al Radar russi a Cuba per spiare gli USA
Da lastampa.it del 19 novembre 2018

 

Al via la maxi esercitazione sulle rive del Po delle Forze Armate
Da piacenzasera.it del 19 novembre 2018

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Sannicandro di Bari
Da corrieresalentino.it del 18 novembre 2018

 

Firmata la Carta di Corfù per la valorizzazione del patrimonio fortificato
Da lepantonetwork.eu del 18 novembre 2018

 

Prima conferenza internazionale contro le basi militari USA/NATO
Da sputniknews.com del 15 novembre 2018

 

Forte Umbertino Siacci: siglata la preintesa per il trasferimento del bene al Comune di Campo Calabro
Da strettoweb.com del 15 novembre 2018

 

6 castelli diroccati del Regno Unito ricostruiti in gif
Da wired.it del 15 novembre 2018
Nella foto a sinistra il Bothwell Castle ricostruito in Gif

Ecco allora, direttamente dal XIII secolo, il suggestivo Bothwell Castle, teatro di innumerevoli battaglie tra le truppe del Regno di Scozia e quelle del Regno d’Inghilterra.

 La gif, in questo caso, ricostruisce il torrione principale, attorno al quale – vogliono le credenze locali – si aggiri ancora il fantasma di Bonnie Jean, una nobildonna affogata nel vicino fiume Clyde.

Nella foto a sinistra il Dunluce Castle ricostruito in Gif

 

Il Dunluce Castle, nell’Irlanda del Nord, è stato invece costruito nel 1500 e abbandonato solamente 140 anni dopo.

Questa fortezza ha visto un tragico incidente, probabilmente causato da un errore di progettazione: la cucina del castello, costruita a strapiombo sulla scogliera, è infatti crollata portando con sé nel mare tutto lo staff di cuochi e camerieri.

Nella foto a sinistra il Dunstanburgh Castle ricostruito in Gif

Il conte Thomas di Lancaster non fece in tempo a vedere ultimato il suo colossale Dunstanburgh Castle, perché fu giustiziato prima della fine dei lavori di costruzione a causa di un qualche attrito di troppo con re Edoardo II. La fortezza fu poi danneggiata durante la Guerra delle due rose.

 

Nella foto a sinistra il Goodrich Castle ricostruito in Gif

Il Goodrich Castle, che sorge nell’Inghilterra occidentale, non lontano dalla città di Hereford, porta i segni (più che evidenti) delle cannonate ricevute nel corso delle Guerre Civili del Seicento.

Nella foto a sinistra il Caerlaverock Castle ricostruito in Gif

 

Il Caerlaverock Castle scozzese, rarissimo esempio di fortezza triangolare, racconta invece una storia complessa e tormentata: dal 1280 a oggi, è stato costruito e distrutto ben tre volte.

 

Nella foto a sinistra il Kidwelly Castle ricostruito in Gif

 

Il nostro viaggio si conclude nel Galles, dove è possibile visitare le rovine del possente Kidwelly Castle, costruito inizialmente in legno intorno al 1100 e fortificato in pietra due secoli dopo, giusto in tempo per affrontare la guerra civile e resistere, in qualche modo, fino ai nostri giorni.

 

 

Lavori e nuovo leone a Porta Nuova
Da larena.it del 15 novembre 2018

 

PRIMA DI KIM JONG UN, IL MISSILE "ALFA" E IL PROGRAMMA NUCLEARE ITALIANO
Da svppbellum.com del 15 novembre 2018

 

Le città murate in Fvg, Austria e Slovenia
Da ilfriuli.it del 14 novembre 2018

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Canne della Battaglia
Da corrieresalentino.it del 14 novembre 2018

 

Palermo, il Cga giudica il Muos. Legambiente: "Violato il vincolo di inedificabilità
Da repubblica.it del 14 novembre 2018

 

Turismo: Palmanova, la stella a nove punte
Da ansa.it del 13 novembre 2018

di Elena Viotto

E' dall'alto che Palmanova, la città fortezza e città ideale secondo l'utopia rinascimentale, fondata alla fine del '600 nel bel mezzo della Bassa pianura friulana come baluardo dei confini orientali della Serenissima Repubblica di Venezia, regala l'immagine più affascinante e suggestiva di sé. Quella di una stella a nove punte, geograficamente perfetta, che sembra intagliata tra i campi. Quella che è le valsa l'appellativo di "città stellata" con cui la cittadina friulana, Monumento nazionale e Patrimonio mondiale Unesco, uno degli esempi meglio conservati di architettura militare dell'epoca, è conosciuta in tutto il mondo. Un'altra uguale non ce n'è. Correva l'anno 1593. All'incrocio tra la strada ungaresca, la via per Aquileia e quella per Forum Iulii, nel bel mezzo della pianura friulana contesa tra l'impero asburgico e la Repubblica di Venezia e saccheggiata dalle scorribande ottomane, c'erano solo campi. Nessun agglomerato urbano. E' lì che, per la sua perfetta posizione logistica, i cinque ispettori generali inviati da Venezia decisero di fondare il baluardo a difesa dei confini orientali della Serenissima. La prima pietra fu posata il 7 ottobre, in occasione della ricorrenza della vittoria nella battaglia di Lepanto e di Santa Giustina, patrona dei domini veneziani. Simbolica anche la scelta del nome: "Palma", come allegoria di vittoria, a cui solo in seguito venne aggiunto l'appellativo di "nova" a comporre il nome attuale.

Realizzata secondo il progetto dell'architetto Giulio Savorgnan, con un impianto urbanistico poligonale, sviluppato intorno alla centrale piazza d'armi dalla forma esagonale, composto da 18 strade radiali intersecate con 3 strade anulari a formare una fitta ragnatela, la fortezza era e doveva essere "invisibile". Impossibile scorgere dall'esterno le sagome dei suoi palazzi ed edifici, protetti e nascosti dalla vegetazione delle colline e dei bastioni delle tre cerchie murarie fortificate, le prime due di epoca veneziana e la terza napoleonica, costruite in asse sulle precedenti a creare tre stelle a 9 punte, concentriche e perfettamente simmetriche. Il nemico non doveva neppure immaginare la presenza in quel punto di una piazzaforte di tali dimensioni. Bastò la sua costruzione, di cui si sparse rapidamente la voce, per fungere da deterrente agli assedi nel periodo veneziano. La città fortezza, mirabile esempio di ingegneria militare difensiva, non dovette così mai mettere in atto all'epoca le sue caratteristiche difensive di sistema a tiro incrociato. Immutata nel corso dei secoli, passata negli anni sotto il controllo dell'impero asburgico e sotto il dominio di Napoleone, che a inizio '800 stabilì qui il suo quartier generale prima della definitiva annessione sotto il Regno d'Italia, Palmanova mantenne fino in anni recenti la sua caratteristica di cittadina militare, di cui porta ancora i segni visibili nelle numerose caserme, molte delle quali oggi dismesse, che ancora costellano il centro cittadino, tuttora accessibile solo dalle tre antiche porte: porta Udine, porta Aquileia e porta Cividale. Palmanova conserva intatta, allo stesso tempo, anche la sua caratteristica di città ideale in cui vivere, affacciata sull'elegante salotto di piazza Grande, circondato dai più importanti edifici dell'epoca: il Palazzo del Provveditore generale, in cui ha sede ora il Municipio, la Loggia della Gran Guardia, il Palazzo del Governatore alle armi, il Monte di Pietà e il Duomo Dogale, edificio caratteristico per il suo basso campanile, alto quanto il corpo principale della chiesa: non doveva essere visibile dall'esterno.

 

Forte Puin, Santa Tecla e torre Gropallo: percorsi di rilancio turistico per la “grande muraglia” genovese
Da genova24.it del 12 novembre 2018

Siglato protocollo d'intesa tra Agenzia del Demanio e Comune di Genova Genova.

Due bastioni sulle alture e una torretta sugli scogli, dalla funzione difensiva originaria a quella turistico-ricettiva. Forte Santa Tecla, forte Puin e torre Gropallo sono gli immobili al centro del protocollo d’intesa siglato tra l’Agenzia del Demanio e il Comune di Genova, protocollo che definisce il quadro istituzionale di riferimento e la condivisione dell’iter di valorizzazione. Gli edifici, parte del patrimonio immobiliare pubblico, saranno inseriti nei bandi di concessione e riqualificazione del Demanio “Cammini e percorsi” (che mira al recupero di palazzi e fortezze lungo itinerari storico-religiosi) e “Fari, torri ed edifici costieri”, che punta al rilancio degli edifici presenti sulle coste italiane. L’ipotesi è di affidarli in gestione per trasformarli, ad esempio, in alberghi, centri informativi, basi per attività sportive, chioschi e ristoranti. Questi nuovi percorsi si aggiungono a quelli intrapresi nel 2015 con un macroprogramma di valorizzazione dei forti Belvedere, Crocetta, Tenaglie, Begato, Sperone, dell’ex Torre Granara e dello stesso forte Puin, trasferiti in proprietà al Comune grazie alla procedura del federalismo demaniale. “Le operazioni di valorizzazione sono un impegno importante che dobbiamo assumere per la città tanto più in un momento in cui la comunità e particolarmente provata”, ha affermato il neo direttore dell’Agenzia del Demanio Riccardo Carpino. “La nostra cinta muraria è la seconda al mondo dopo la Grande Muraglia – ricorda il sindaco di Genova Marco Bucci – per questo dobbiamo sfruttarla sempre di più, il cerchio sarà chiuso quando realizzeremo anche la cabinovia”. L’obbiettivo è arrivare a un utilizzo degli spazi 365 giorni l’anno. “Ci piacerebbe – afferma Mario Baroni, consigliere delegato alla predisposizione di progetti per la valorizzazione di specifici immobili comunali – che i progetti di gestioni coincidessero con idee permanenti, strutturate”.

 

Cosa fare dell’ex polveriera il Comune chiede idee a tutti
Da tribunatreviso.it del 12 novembre 2018

Parte il progetto di progettazione condivisa, venerdì il primo di tre incontri Cento ettari e ben 67 mini-casette. Il sindaco: «Sarà il motore del Montello»

VOLPAGO L’amministrazione comunale avvia il coinvolgimento della popolazione per elaborare il progetto di recupero dell’ex polveriera del Montello. Comincia venerdì prossimo, con un incontro a Santa Maria della Vittoria, proprio vicino a dove si estendono i cento ettari dell’ex area militare ora di proprietà del comune. Seguiranno altri due incontri in auditorium e successivamente tavoli aperti nei centri di Volpago, Selva e Venegazzù per raccogliere le idee della gente e poi sintetizzarle in un progetto che dia una destinazione a quella vasta area boschiva ma dove ci sono anche 67 edifici tra caserma vera e propria, bunker e le cosiddette casermette che però hanno una pianta di 250 metri quadri ciascuna.

«In un’area così vasta e con così tanti fabbricati – spiega il sindaco di Volpago, Paolo Guizzo – si può fare di tutto e soprattutto farla diventare il vero motore del Montello». Venerdì sera, in sala parrocchiale a S. Maria della Vittoria, è stato chiamato a parlare Moreno Baccichet, dell’università di Udine: spiegherà cosa è stato fatto in aree militari dismesse in Friuli. Sempre lui col suo staff curerà i tavoli aperti che si terranno nei centri dei tre paesi e dove saranno raccolte le idee della gente. Ma anche Fondazione Benetton sarà chiamata in un incontro in auditorium a illustrare il progetto che aveva a suo tempo elaborato per l’ex polveriera. «Adesso avviamo la fase conoscitiva con la popolazione – aggiunge Guizzo – poi raccoglieremo le proposte che arriveranno dai tecnici e dalla popolazione e ne faremo una sintesi per arrivare alla fase progettuale del recupero di un’area così importante». —

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Serracapriola
Da corrieresalentino.it del 11 novembre 2018

Il Castello di Serracapriola risale all’XI secolo, durante la dominazione normanna. In un documento del 1045 è riportata la cessione della città di Gaudia o Civita a Mare al Monastero di Tremiti, operata da Tesselgardo Conte di Larino ed effettuata proprio in detto castello. In origine si trattava di una delle tante torri di avvistamento sul Fortore, che rientravano nelle fortificazioni a presidio del confine tra i territori longobardi e quelli bizantini. Nel 1100 furono i monaci benedettini dell’Abbazia di Montecassino a prendere possesso della struttura e ad essi, nel corso dei secoli, subentrarono le diverse famiglie che ebbero il feudo di Serracapriola, fra cui gli Sforza, i Guevara ed i Maresca.

La torre originaria aveva una pianta a forma di stella ed era possibile accedere al terrazzo grazie ad una scala a chiocciola. Successivamente, fra il XVI ed il XVIII secolo, il complesso fu ampliato sino ad assumere l’attuale aspetto. Nel 1453 il castello fu donato al Gran Siniscalco Innico Guevara e fu anche la prima sede della Dogana delle Pecore, successivamente trasferita a Lucera ed in seguito a Foggia. Nel 1627 un terremoto causò seri danni alla struttura che venne sottoposta ad interventi di riparazione. Ai Guevara successero nel feudo i Di Capua, quindi i Gonzaga, i D’Avalos ed infine i Maresca, che ne entrarono in possesso nel 1742 e ne sono tuttora proprietari. Nel 2011 sono iniziati dei grandi lavori di restauro del castello. Il complesso, si presenta a pianta quadrangolare con quattro torri angolari cilindriche scarpate, di cui quella sud-occidentale è in parte inglobata in altri corpi di fabbrica costruiti successivamente sul versante meridionale. Suggestiva è la tecnica costruttiva, composta da file di mattoni sistemati a spina di pesce, intervallati da altri disposti in maniera regolare. La facciata principale, rivolta in Piazza Vittorio Emanuele II, ingloba l’originale Mastio rappresentato dalla torre normanna a pianta quadrata leggermente stellata, che presenta una base a scarpa ed è anche il corpo di fabbrica più alto del complesso. Il castello era circondato da un fossato in parte ancora visibile con uno dei due ponti di accesso. L’ampio cortile centrale si presenta a pianta quadrangolare ed ospita una botola profonda, nota come il Trabocchetto, che secondo un’antica leggenda conterrebbe un dispositivo a ruota dentata capace di triturare le ossa dei malcapitati gettati all’interno.

Gli ambienti interni, tenuti in buone condizioni, presentano delle sale molto ampie, fra cui quella detta del Trono, mentre diversi camminamenti perimetrali consentono di gettare l’occhio sul panorama circostante. Lungo il corridoio sud, in corrispondenza di una finestra murata ma visibile da fuori, si accede ad una cappella con un piccolo altare, la cui costruzione è strettamente connessa ad un triste fatto di cronaca avvenuto intorno al 1716, epoca in cui era feudatario Giovanbattista, figlio naturale di Cesare Michelangelo D’Avalos-D’Aragona.  Cosimo Enrico Marseglia

 

Caposaldo Autonomo Acceglio – VALLE MAIRA
Da nakture.com del 11 novembre 2018

Storia: intorno agli anni Trenta anche in Valle Maira furono costruite molte fortificazioni che diedero vita ad una robusta linea di difesa. Il Confine dopo il Trattato di Pace del 1947, non subì modifiche. Pertanto molte opere furono in parte distrutte.

Dopo la visita al Caposaldo Ponte Maira https://www.nakture.com/caposaldo-ponte-maira-vallemaira/

continuiamo il nostro viaggio. Superato l’abitato di Acceglio, andando verso valle, circa 2 km dopo, sulla nostra sinistra vediamo una baita. Siccome ci eravamo informati, dopo esserci guardati un po’ intorno, capiamo che si tratta dell’Opera 316, ormai ristrutturata e trasformata in abitazione. Era un opera monoblocco tipo 7000 armata con una mitragliatrice ed un cannone. Speriamo in cuor nostro che i proprietari siano presenti, invece non vediamo anima viva. Decidiamo così, di far un giretto intorno a quel “mascheramento”: capiamo che al posto delle finestre un tempo c’erano le due postazioni e che la “cuccia del cane” doveva essere la fotofonica in collegamento con l’Opera 317, che appunto per questo motivo riusciamo ad individuare. Ci affacciamo poi ad un foro ed abbiamo così conferma che trattasi veramente della 316, in quanto notiamo la cupola della fortificazione praticamente nascosta dal tetto. A dir il vero non so se essere contenta perché l’Opera, in un certo senso, è stata recuperata oppure non esserlo perché è diventata una casa privata, mentre poteva essere un’attrazione turistica se solo giustamente valorizzata.

Ci rifletto ancor su ancora qualche istante, ma poi propendo per questa mia ultima affermazione. A questo punto proseguiamo sul medesimo versante della montagna e poco sopra, tra i rovi, individuiamo l’Opera 316 bis. Si tratta sempre di un’Opera di tipo 7000 munita di una mitragliatrice. La piastra corazzata è sparsa ovunque. Il mascheramento è ben visibile ed è presente anche una falsa finestra dal lato della postazione armata. Entriamo e scopriamo che la 316 bis in realtà è piccolina, con un solo locale in cui compare una scritta ovvero il motto della GaF che però non risulta completamente leggibile. A questo punto non ci resta che cercare di raggiungere l’Opera 317 che avevamo visto dalla strada SP422, ma “piccolo” problema è… che c’è il fiume da superare. Imbocchiamo la strada non asfaltata davanti all’Opera 316 e con il nostro mezzo 4wd ci addentriamo nel fiume sperando di non essere invasi dall’acqua.

Con mio stupore tutto fila liscio e pertanto perveniamo fin sotto la 317. Qualche passo a piedi ed eccoci davanti al blocco per cannone controcarro. Entriamo da una feritoia. Affrontiamo una scalinata che ci conduce ad un’altra postazione armata in parte distrutta. Riscendiamo e ci troviamo nel camerone truppa dove appare, quasi per intero, il motto della GaF , acronimo di Guarda alla Frontiera, nata il 24 maggio 1934: era il nuovo corpo militare che aveva il compito di presidiare il Vallo Alpino. La GaF era composta da reparti delle tre armi: la Fanteria, l’Artiglieria, il Genio e da nuclei di vari altri servizi. Con l’istituzione della GaF tutta la frontiera fu divisa in settori, che a loro volta venivano suddivisi in sottosettori ed in capisaldi. Il motto del nuovo corpo militare fu, secondo la tradizione, dettato dal principe Umberto di Savoia “Dei sacri confini guardia sicura”. Uscendo dalla casamatta notiamo il mascheramento della stessa che si presenta in parte staccato. Ripercorriamo il camerone e troviamo così l’entrata dell’Opera 317, scavata praticamente nella roccia L’Opera in sostanza era dotata di due postazioni per mitragliatrici e di un pezzo anticarro.

Sta iniziando a piovere ed è meglio affrettarsi e riattraversare con il fuoristrada il fiume, prima che si ingrossi!  di Erika Ambrogio

 

UnGrande successo per le visite al Faroe all'aeroporto miltare
Da algheroeco.com del 11 novembre 2018

Si sono svolte domenica 4 novembre le due visite guidate al Faro di Capocaccia e all’Aeroporto Militare. L’evento, organizzato dal Comitato di Quartiere Alghero Sud , è stato un successo sotto tutti i punti di vista. E anche la pioggia prevista non c’è stata. Era molto tempo che non venivano aperte le porte dell’accesso al Faro di Capo Caccia. I visitatori hanno potuto non solo vedere lo splendido panorama che si gode dal promontorio, ma visitare tutte le stanze del faro , sino a salire attraverso una ripida scala a chiocciola sino alla sommità della lanterna. Anche la 2° visita effettuata all’Aeroporto Militare è stata molto interessante. Emozionante e suggestiva la visita del Bunker anti bombardamento, dove durante la guerra trovavano rifugio e si riparavano dalle bombe soldati e civili.

Una giornata ben organizzata a cura del Comitato di Quartiere Alghero Sud, che con questa escursione ha toccato quota 6 gite, 2 ogni anno, nei tre anni nei quali ha sempre avuto un occhio di riguardo non solo nelle segnalazioni delle criticità e problematiche del quartiere all’Amministrazione Comunale, che ha sempre risolto i molti problemi segnalati, ma ha cercato di svolgere una azione di promozione del territorio della Sardegna e di Alghero, attraverso il Progetto “Conoscere e Viaggiare insieme”. E proprio questo progetto ha toccato il suo punto più alto nella giornata di domenica 4 novembre con uno speciale annullo postale, fatto in collaborazione con Poste Italiane.

Una postazione di Poste Italiane sul piazzale di Capo Caccia ha consegnato ai presenti bellissime cartoline affrancate e timbrate con lo speciale annullo, che riportava oltre la data, la dicitura “Il Comitato di Quartiere Alghero Sud promuove il Territorio – Conoscere e Viaggiare insieme” . Sono state consegnate su richiesta di appassionati e non circa 200 cartoline, pergamene ed altro materiale messo a disposizione da Poste Italiane. A coronamento di una giornata ben organizzata e graditissima dai partecipanti, presso la Borgata di Guardia Grande, nel salone, si è tenuto il pranzo, a cura del signor Antonio Arca.

“Un ringraziamento particolare va al Capitano di Fregata Giuseppe Maruccia ed al Colonnello Bruno Mariani – scrive il comitato in una nota-. Inoltre l’escursione è stata possibile grazie al lavoro dell’Agenzia di Viaggi Open Sardinia e del vettore Cattogno. Visto il successo dell’evento e visto che ben 35 persone, pur avendone fatto richiesta, non hanno potuto partecipare alla giornata per motivi di sicurezza, il Vice Presidente del Comitato Alghero Sud, Avvocato Fabio Bruno, riproporrà l’escursione nella Primavera del 2019”

 

Un labirinto di 2 chilometri e mezzo sotto i padiglioni del San Martino
Da ilsecoloxix.it del 11 novembre 2018

Genova - Un dedalo di due chilometri e mezzo corre sotto i padiglioni del San Martino, fino a ieri dimenticato.

Oggi la mappatura è completata: 1.300 metri di gallerie costruite a partire dal 1907, pensate già dall’ingegnere Giuseppe Celle per collegare i padiglioni con la rete dei servizi dell’epoca, molto diversi da quelli attuali; altri 600 metri di tunnel scavati per sopperire a nuove esigenze nel corso degli anni.

E 500 metri - i più incredibili - con le stalattiti che a tratti scendono dai soffitti e dettagli che riportano i visitatori al tempo della guerra: scritte, resti di infissi. La ricostruzione del mondo sotto il San Martino non soddisfa solo legittime curiosità, ma apre a sviluppi futuri: «Sotto l’ospedale corrono anche due rami del rio Noce, responsabile di tanti danni in occasioni delle più recenti alluvioni, nel tratto di corso Europa dove si interseca con il rio Papigliano che scende con grande forza dalla collina del forte di San Martino - racconta il direttore tecnico del Policlinico Alessandro Orazzini – a breve seguirà l’intervento per metterli in sicurezza».

Le gallerie della guerra invece potrebbero essere aperte al pubblico, in via sperimentale, in occasione di una prossima Giornata del Fai.    

 

Una nuova rete valorizza il patrimonio fortificato. Da Forte Marghera a FARO per i forti
Da marcopolosystem.it del 10 novembre 2018

Il portone d'ingresso a Forte Marghera

Si è concluso a Forte Marghera il congresso annuale della rete internazionale Efforts.

Anni di lavoro, ricerca, studio e progettazione svolti con passione da Marco Polo System assicurano a Venezia un ruolo strategico di dimensione europea nella valorizzazione del patrimonio fortificato.

Un’azione pionieristica, nata dal dialogo e dalla collaborazione con numerosi associazioni di volontari con cui, insieme, abbiamo costruito un percorso, raccogliendo esperienze di gestione e prospettive di recupero dagli anni ‘80 in poi.

La capacità di strutturare relazioni internazionali, concependo e realizzando progetti europei e ricerche scientifiche hanno consegnato negli anni a Marco Polo System un ruolo primario come agenzia di promozione e propulsione nel campo della tutela e valorizzazione del patrimonio fortificato.

Oggi, si guarda avanti, aprendosi ancora maggiormente all’Euro-mediterraneo. Saremo a Corfù sabato prossimo per inaugurare la mostra “Forti che Uniscono – FARO per i Forti”, che sancirà la nascita della Rete euro-mediterranea per la valorizzazione del patrimonio fortificato.

 

I pannelli della mostra

 

Oggi, si guarda avanti, aprendosi ancora maggiormente all’Euro-mediterraneo.

Saremo a Corfù sabato prossimo per inaugurare la mostra “Forti che Uniscono – FARO per i Forti”, che sancirà la nascita della Rete euro-mediterranea per la valorizzazione del patrimonio fortificato.

Scarica la locandina in tre lingue

 

Marina: intervento d’urgenza all’Isola d’Elba dei palombari del Comsubin per bonifica residuati bellici
Da grnet.it del 10 novembre 2018

Su richiesta della Prefettura di Livorno sono stati neutralizzati una mina ed un proiettile di grosso calibro

LIVORNO – Si è conclusa nelle acque dell’Isola d’Elba una complessa operazione subacquea per neutralizzare due pericolosi ordigni esplosivi da parte dei Palombari del Gruppo Operativo Subacquei (GOS) del Comando Subacquei ed Incursori della Marina Militare (Comsubin), distaccati presso i Nuclei S.D.A.I. (Sminamento Difesa Antimezzi Insidiosi) della Spezia. L’intervento d’urgenza, richiesto dalla Prefettura di Livorno a seguito della segnalazione da parte di un subacqueo circa la presenza di probabili residuati bellici, è avvenuto grazie al supporto di Nave Pedretti, unità della Marina Militare dotata di camera di decompressione multiposto. Le operazioni degli uomini del GOS hanno permesso di rinvenire, a Punta delle Cannelle, una mina ormeggiata modello P5 alla profondità di 40 metri e un proiettile di grosso calibro alla profondità di 26 metri. Al termine di 5 giorni di delicate operazioni subacquee gli ordigni esplosivi sono stati rimossi, trasportati nelle aree di sicurezza individuate dalla competente Autorità Marittima, e distrutti dagli operatori del COMSUBIN attraverso le tecniche consolidate che preservano l’ecosistema marino. Al termine dell’operazione, il comandante del Nucleo S.D.A.I. della Spezia, Tenente di Vascello Angelo Pistone, ha dichiarato: «Grazie al supporto di Nave Pedretti, siamo intervenuti effettuando immersioni a profondità considerevoli allo scopo di verificare le diverse segnalazioni pervenuteci. Oltre ai 4 contatti risultati non pericolosi, sono stati individuati e neutralizzati una mina ormeggiata, contenente 200 Kg di esplosivo, ed un proiettile da 175 mm«.

«Mi preme raccomandare – ha continuato il responsabile delle operazioni – a chiunque dovesse imbattersi in oggetti con forme simili a quelle di un ordigno esplosivo o parti di esso, di non toccarli o manometterli in alcun modo, denunciandone il ritrovamento, il prima possibile, alla locale Capitaneria di Porto o alla più vicina stazione dei Carabinieri, così da consentire l’intervento dei Palombari di COMSUBIN per rispristinare le condizioni di sicurezza del nostro mare». Lo scorso anno i Palombari della Marina Militare hanno recuperato e bonificato un totale di 22.000 ordigni esplosivi di origine bellica, mentre dal 1 gennaio 2018 sono già 29.011 i manufatti esplosivi rinvenuti e neutralizzati nei mari, fiumi e laghi italiani, senza contare i 42.640 proiettili di calibro inferiore ai 12,7 mm e 12 ordigni a caricamento speciale. Questi interventi rappresentano una delle tante attività che i Reparti Subacquei della Marina conducono a salvaguardia della pubblica incolumità anche nelle acque interne, come ribadito dal Decreto del Ministero della Difesa del 28 febbraio 2017, svolgendo operazioni subacquee ad alto rischio volte a ripristinare le condizioni di sicurezza della balneabilità e della navigazione. Con una storia di 169 anni alle spalle, i Palombari del COMSUBIN rappresentano l’eccellenza nazionale nell’ambito delle attività subacquee essendo in grado di condurre immersioni lavorative fino a 1.500 metri di profondità ed in qualsiasi scenario operativo, nell’ambito dei propri compiti d’istituto (soccorso agli equipaggi dei sommergibili in difficoltà e la neutralizzazione degli ordigni esplosivi rinvenuti in contesti marittimi) ed a favore della collettività. Per queste peculiarità gli operatori subacquei delle altre Forze Armate e Corpi Armati dello Stato possono essere formarti esclusivamente dal Gruppo Scuole di Comsubin che, attraverso dedicati percorsi formativi, li abilita a condurre immersioni in basso fondale secondo le rispettive competenze.

 

Viterbo, al via il restauro di tre torri civiche
Da civonline.it del 8 novembre 2018

VITERBO - Cinta muraria e torri civiche di viale R. Capocci, via del Pilastro e via delle Fortezze, al via i lavori di riqualificazione e messa in sicurezza. Lo comunica l'assessore ai lavori pubblici Laura Allegrini, che spiega: "Possiamo finalmente procedere con quell'intervento di riqualificazione e messa in sicurezza delle nostre mura civiche e di tre importanti antiche torri. I lavori partiranno lunedì prossimo. A realizzarli sarà la ditta PRO.MU Restauri artistici - ha aggiunto e concluso l'assessore Allegrini -. Il termine è previsto per il prossimo gennaio. Tutti i dettagli di questo importante intervento verranno illustrati nell'ambito di una conferenza stampa che si terrà a Palazzo dei Priori all'inizio della prossima settimana". Per tale intervento è stata emanata apposita ordinanza da parte del settore lavori pubblici, che prevede alcuni provvedimenti alla circolazione e alla sosta veicolare. Dalle ore 7 del 12 novembre fino al termine dei lavori, il 28 gennaio 2019, sarà istituito il restringimento della carreggiata stradale in via R. Capocci, nel tratto interessato dall'intervento; sarà inoltre istituito il divieto di sosta in via delle Fortezze, su entrambi i lati, a scendere, verso Santa Maria delle Fortezze.

 

INAUGURAZIONE HANGAR CANSIGLIO. FORCOLIN: “DIVENTA UN SIMBOLO
PER IL RIAVVIO DELLE ATTIVITA’ DI QUESTI TERRITORI”
Da regione.veneto.it del 9 novembre 2018

Il vicepresidente Gianluca Forcolin è intervenuto oggi in rappresentanza della Regione all’inaugurazione, molto partecipata, dell’Hangar Cansiglio, presente fra gli altri il direttore di Veneto Agricoltura, Alberto Negro, che ha curato il recupero dell’ex struttura militare della NATO, divenuta patrimonio regionale circa 10 anni fa grazie all’allora ministro delle risorse agricole e forestali Luca Zaia. Forcolin ha sottolineato che, in questi giorni molto difficili per la montagna veneta, questa inaugurazione è il segnale di un veloce ripristino e riavvio delle attività per non lasciar morire questi territori. “Il Cansiglio – ha detto - è un luogo che molti conoscono e una tappa importante per la bellezza del paesaggio e per la buona cucina. La Regione non ha nessuna intenzione di abbandonare queste aree e continueremo quindi ad intervenire per dare la giusta valorizzazione naturalistica, ambientale, ma anche economica, del patrimonio esistente in questi straordinari luoghi”. Dieci anni fa, dopo una lunga battaglia burocratica durata quasi 20 anni, erano stati riportati nel patrimonio forestale della Regione del Veneto oltre 12 ettari di territorio, che negli anni sessanta erano stati consegnati al Demanio Militare per consentire la realizzazione di una base missilistica della NATO. L'area era però in stato di totale abbandono. Grazie a finanziamenti regionali ad hoc e con fondi europei oggi è stata recuperata. “Mettendo in conto anche le risorse derivate direttamente dal bilancio di Veneto Agricoltura – ha concluso Forcolin - possiamo affermare che qui sono stati investiti circa 1,5 milioni di euro. L’auspicio è che possa costituire un punto di aggregazione per iniziative culturali e di sensibilizzazione sui temi della pace, oltre che sulla tutela e sulla valorizzazione delle risorse ambientali del Cansiglio”.

 

Le fortificazioni in Valle Maira e i 15 giorni di guerra
Da laguida.it del 8 novembre 2018

Serata a San Damiano Macra sulla rete difensiva militare realizzata negli anni Trenta e Quaranta

San Damiano Macra - (errebi) - Parlare per due ore di Bunker, casematte, caserme, blocchi d'arma, mulattiere, teleferiche, reticolati, a quasi ottant’anni di distanza da quando li hanno piazzati sulle nostre montagne, è stata un’esperienza di grande interesse, storico, culturale ed anche umano, soprattutto al pensiero dei soldati della guardia alla frontiera che, loro malgrado, ne sono stati artefici, ma anche vittime.

Un’iniziativa della Pro Loco di San Damiano che si è affidata alla “Asfao, Associazione studio fortificazione alpine occidentali“ di Peveragno, per una lezione sul “Vallo Alpino“, il sistema di fortificazioni a protezione dei confini italiani, avviato nel gennaio del 1931 e proseguito con quattro diverse tipologie progettuali fino all’ottobre 1942.

L’introduzione del presidente, Daniele Rubero, ha evidenziato l'enorme dotazione documentale dell'Asfao: 1500 fascicoli dell’archivio Pier Giorgio Garrone, 250 volumi della biblioteca, 20.000 diapositive, i reperti storici del museo, oltre al lavoro di convegni, mostre e rievocazioni in uniformi d'epoca. Ha quindi preso la parola lo studioso Matteo Grosso, illustrando nel dettaglio come era e quanto rimane di quell’insieme di strutture militari in Valle Maira.

Un accenno alle “trune” di fine Ottocento, all'enorme rete di sentieri e mulattiere a collegare l’intero territorio, per passare alle trincee in caverna, dotate di blocchi d'arma, cameroni, corridori, magazzini, riserve d’acqua, gruppi elettrogeni, impianti di ventilazione, collegate fra loro come quelle tra il monte Scaletta e passo Peroni, Le casermette difensive alla colletta di Bellino, al Maurin, al Sautron, delle Munie, i monoblocchi di Acceglio, la Bandia, il Pont d’la Ceina, la Provenzale, Ponte Maira, alle strade del Colle Carbonet, del passo della Cavalla, le teleferiche della Scaletta e di Saretto, i bivacchi, le caserme di fondovalle a Dronero, Prazzo, Saretto, quella incompiuta di Acceglio. Il Vallo conobbe il battesimo del fuoco dal 10 al 24 giugno del 1940, con la nota “pugnalata alla schiena“ contro la Francia, che per l’esercito italiano comportò la morte di 62 ufficiali, 1185 soldati, 2600 feriti e 2151 congelati: nonostante si fosse all’inizio dell’estate, in quota ci furono ancora nevicate e bufere.

Terminata la guerra, le strutture più importanti vennero fatte saltare con l’esplosivo, così come previsto dal trattato di pace. Per anni e anni e montanari portarono a valle tonnellate di ferro tolte dalle costruzioni militari. Poi venne il tempo del silenzio e dell’abbandono: ma nel cimitero di Acceglio sono rimasti ancora alcune croci a conservare il ricordo di quei giorni, di quei luoghi e di quegli uomini.

 

Viterbo, al via il restauro di tre torri civiche
Da civonline.it del 8 novembre 2018

VITERBO - Cinta muraria e torri civiche di viale R. Capocci, via del Pilastro e via delle Fortezze, al via i lavori di riqualificazione e messa in sicurezza. Lo comunica l'assessore ai lavori pubblici Laura Allegrini, che spiega: "Possiamo finalmente procedere con quell'intervento di riqualificazione e messa in sicurezza delle nostre mura civiche e di tre importanti antiche torri. I lavori partiranno lunedì prossimo. A realizzarli sarà la ditta PRO.MU Restauri artistici - ha aggiunto e concluso l'assessore Allegrini -. Il termine è previsto per il prossimo gennaio. Tutti i dettagli di questo importante intervento verranno illustrati nell'ambito di una conferenza stampa che si terrà a Palazzo dei Priori all'inizio della prossima settimana". Per tale intervento è stata emanata apposita ordinanza da parte del settore lavori pubblici, che prevede alcuni provvedimenti alla circolazione e alla sosta veicolare. Dalle ore 7 del 12 novembre fino al termine dei lavori, il 28 gennaio 2019, sarà istituito il restringimento della carreggiata stradale in via R. Capocci, nel tratto interessato dall'intervento; sarà inoltre istituito il divieto di sosta in via delle Fortezze, su entrambi i lati, a scendere, verso Santa Maria delle Fortezze.

 

Caltanissetta, l'ultimatum dei No Muos ai 5 stelle: "Smantellate o dimettetevi"
Da repubblica.it del 7 novembre 2018

 

Ettari di bosco distrutti in Cansiglio, ma l’hangar verrà inaugurato lo stesso
Da oggitreviso.it del 7 novembre 2018

CANSIGLIO - Era previsto per venerdì prossimo 9 Novembre alle ore 11:00, con la presenza del vice Governatore Gianluca Forcolin e dell’assessore regionale Gianpaolo Bottacin, nonché i sindaci del territorio: e Veneto Agricoltura conferma l’evento. Non sarà la furia del vento o i temporali di intensità disastrosa a bloccare la volontà dell’Agenzia regionale a migliorare ancor di più la foresta demaniale regionale del Cansiglio. Ed il progetto di riqualificazione dell'ex base missilistica, va in questa direzione. Ecco perché, come ha ribadito il direttore Alberto Negro, “venerdì comunque inaugureremo l'Hangar del Cansiglio”. Ma com'è ad oggi la situazione nella bella faggeta dell'Alpago? La foresta del Cansiglio per il forte vento del 28-29 ottobre scorso è stata danneggiata in particolar modo nelle aree di Pian Canaie-Pian Rosada-Vivaio-Due Ponti schiantando in particolar modo i boschi di faggio.

Altra zona colpita dal vento è la Valmenera, con numerosi schianti di abete rosso e quella di Col Campon- alughetto. Le altre aree della foresta sono indenni o soggette solo a singoli schianti di poca rilevanza. Comunque stiamo parlando di quantità di schianti, seppur rilevanti, sopportabili dall’ecosistema foresta del Cansiglio. In effetti, la superficie schiantata a raso delle aree maggiormente colpite è di qualche decina di ettari. Gli schianti hanno riguardato anche la via principale di accesso al Cansiglio, ma il personale di Veneto Agricoltura è intervenuto prontamente liberando la strada dalle piante e mettendo in sicurezza la viabilità; pertanto le strade di accesso all’altopiano sono agibili. Permangono invece non percorribili le strade forestali, per le quali serve una verifica puntuale e dettagliata dei danni. Registrati danni anche alle linee elettriche e telefoniche. L’unica struttura danneggiata dal vento è stata la stalla Moretto in Valmenera, ed il concessionario sta già provvedendo al ripristino della copertura. Veneto Agricoltura si è attivata subito con le ditte boschive locali per esboscare le aree maggiormente schiantate in modo da non perdere il valore economico del legname. Le ditte hanno risposto prontamente alla richiesta di collaborazione dell’Agenzia e già questa settimana saranno predisposti i cantieri; da lunedì prossimo 12 novembre partiranno le lavorazioni.

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Avetrana
Da corrieresalentino.it del 7 novembre 2018

AVETRANA (Taranto) – Ciò che resta oggi del Castello di Avetrana sono la torre quadrata conosciuta anche col nome di Torrione, evidenziandone in tal modo l’elemento più antico, parte della torre angolare cilindrica posta tra le cortine occidentale, ancora esistente, e settentrionale, ormai diruta, da una torretta quadrata più bassa ed una cortina fra la torre cilindrica e la torretta. Sotto il complesso si sviluppa una serie di ambienti ipogei probabilmente con funzioni di trappeti, magazzini, depositi e, sotto la torre tonda casematte. Con molta probabilità la struttura si innestava nel dispositivo difensivo rappresentato dalla cinta muraria. La parte più antica, dunque, è il Torrione, già esistente nel 1378 e probabilmente risalente alla dominazione sveva, simile alle torri di Leverano, Rutigliano ed Adelfia. In epoca angioina il casale di Avetrana venne concesso al Gran Siniscalco del Regno Pietro Tocco, al quale venivano assegnati due militi nel 1378. Successivamente subentrò la famiglia De Raho ma, estintosi il ramo, il feudo tornò alla Corona per essere nuovamente concesso dalla Regina Giovanna II al napoletano Giovanni Dentice che a sua volta lo vendette a Francesco Montefusco. Dopo ulteriori passaggi, nel XVIII secolo il castello fu acquisito dalla famiglia brindisina Romano. Il Torrione presenta tracce di merli con piccole e strette finestre soltanto ai piani alti, mentre l’interno era suddiviso in piani da solai lignei. L’accesso all’interno avveniva attraverso una rampa di scale collegata attraverso un ponte levatoio di cui restano alcune tracce nelle mura. Tutto il complesso era circondato da un fossato. Nato nell’epoca in cui le guerre si combattevano con armi da getto, armi bianche e macchine balistiche, con l’avvento delle armi da fuoco e dei pesanti pezzi di artiglieria, il Torrione rivelò la sua inadeguatezza alle nuove tecniche belliche, pertanto si resero necessari diversi ammodernamenti di tutto il dispositivo difensivo. Nel XVI secolo quindi si provvide ad effettuare i suddetti adeguamenti sia nella cinta muraria cittadina, sia nel complesso in questione e proprio a questa epoca va attribuita la costruzione della torre cilindrica e della torretta, di cui però non è ancora chiara la funzione. Persa definitivamente la sua funzione militare, il complesso è stato adibito alle più svariate funzioni, sino a quando una serie di restauri non lo restituito ai suoi antichi apparenti splendori. Cosimo Enrico Marseglia

 

LA FAKE NEWS DEL MUOS «MAXI RADAR»
Da nogeoingegneria.it del 6 novembre 2018

L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

«M5S diviso sul maxi radar siciliano», titola il Corriere della Sera, diffondendo una maxi fake news: non sul fatto che la dirigenza del Movimento 5 Stelle, dopo aver guadagnato in Sicilia consensi elettorali tra i No Muos, ora fa marcia indietro, ma sullo stesso oggetto del contendere. Definendo la stazione Muos di Niscemi «maxi radar», si inganna l’opinione pubblica facendo credere che sia un apparato elettronico terrestre di avvistamento, quindi difensivo. Al contrario, il Muos (Mobile User Objective System) è un nuovo sistema di comunicazioni satellitari che potenzia la capacità offensiva statunitense su scala planetaria.

Il sistema, sviluppato dalla Lockheed Martin per la U.S. Navy, è costituito da una configurazione iniziale di quattro satelliti (più uno di riserva) in orbita geostazionaria, collegati a quattro stazioni terrestri: due negli Stati uniti (nelle Hawaii e in Virginia), una in Sicilia e una in Australia. Le quattro stazioni sono collegate l’una all’altra da una rete terrestre e sottomarina di cavi in fibra ottica (quella di Niscemi è direttamente connessa alla stazione in Virginia). Il Muos, già in funzione, diverrà pienamente operativo nell’estate 2019 raggiungendo una capacità 16 volte superiore a quella dei precedenti sistemi. Trasmetterà simultaneamente a frequenza ultra-alta in modo criptato messaggi vocali, video e dati. Sottomarini e navi da guerra, cacciabombardieri e droni, veicoli militari e reparti terrestri, statunitensi e alleati, saranno così collegati a un’unica rete di comando, controllo e comunicazioni agli ordini del Pentagono, mentre sono in movimento in qualsiasi parte del mondo, regioni polari comprese. La stazione Muos di Niscemi non è quindi un «maxi radar siciliano» a guardia dell’isola ma un ingranaggio essenziale della macchina bellica planetaria degli Stati uniti.

Se la stazione fosse chiusa, come ha promesso disinvoltamente il M5S in campagna elettorale, dovrebbe essere ristrutturata l’architettura mondiale del Muos. Lo stesso ruolo svolgono le altre principali basi Usa/Nato in Italia. La Naval Air Station Sigonella, a poco più di 50 km da Niscemi, è la base di lancio di operazioni militari principalmente in Medioriente e Africa, effettuate con forze speciali e droni. La Jtags, stazione satellitare Usa dello «scudo anti-missili» schierata a Sigonella – una delle cinque su scala mondiale (le altre si trovano negli Stati uniti, in Arabia Saudita, Corea del Sud e Giappone) – serve non solo alla difesa anti-missile ma alle operazioni di attacco condotte da posizioni avanzate. Il Comando della Forza Congiunta Alleata, a Lago Patria (Napoli), è agli ordini di un ammiraglio statunitense, che comanda allo stesso tempo le Forze Navali Usa in Europa (con la Sesta Flotta di stanza a Gaeta in Lazio) e le Forze Navali Usa per l’Africa con quartier generale a Napoli- Capodichino. Camp Darby, il più grande arsenale Usa nel mondo fuori dalla madrepatria, rifornisce le forze Usa e alleate nelle guerre in Medioriente, Asia e Africa. La 173a Brigata aviotrasportata Usa, di stanza a Vicenza, opera in Afghanistan, Iraq, Ucraina e altri paesi dell’Europa Orientale. Le basi di Aviano e Ghedi – dove sono schierati caccia statunitensi e italiani sotto comando Usa, con bombe nucleari B61 che dal 2020 saranno sostituite dalle B61-12 – fanno parte integrante della strategia nucleare del Pentagono. A proposito, si ricordano Luigi Di Maio e gli altri dirigenti del M5S di essersi solennemente impegnati con l’Ican a far aderire l’Italia al Trattato Onu, liberando l’Italia dalle armi nucleari Usa?

 

Elvas, la città del Portogallo racchiusa in una stella
Da siviaggia.it del 6 novembre 2018

Può, una città, essere racchiusa in una stella? Se quella stella è fatta di possenti mura, la risposta è: sì, può. E il risultato – visto dall’alto – è spettacolare. Stiamo parlando di Elvas, cittadina fortificata a difesa del confine con la Spagna, nella regione portoghese dell’Antejo, venuta di recente alla ribalta per la trasformazione in hotel dei suoi monasteri. È talmente spettacolare, e talmente significativo dal punto di vista storico, che il suo complesso sistema di fortificazioni è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. Perché è così famosa, Elvas? Perché la sua cittadella antica, la Muralhas, del Portogallo è la fortezza più grande. La sua costruzione ebbe inizio nel XVII secolo, su indicazione dell’ingegnere militare francese Vauban. E le sue robuste mura grigie, perimetro d’un irregolare poligono a forma di stella, sono testimonianza della sua travagliata storia, dei combattimenti condotti per difendere l’autonomia nazionale. Ecco perché, Elvas, è tutto un susseguirsi di mura, di torri, di fossati, di bastioni e di porte che si aprono su quello che – oggi – è uno splendido centro storico.

Due forti, posti su alture esterne all’abitato, sono il luogo giusto in cui cominciare una visita a a questa città tra il Portogallo e la Spagna: a est troviamo il Forte de Santa Luzia, a nord il Forte de Nossa Senhora da Graça, capolavoro dell’architettura militare europea del XVIII secolo progettato dal Conte di Lippe Friedrich Wilhelm Ernst Von Shaumburg-Lippe, chiamato in città per riorganizzare l’esercito portoghese e affrontare così l’invasione della Spagna, durante la Guerra di Restaurazione. Un’altra spettacolare costruzione che disegna il paesaggio di Elvas è l’Aqueduto da Armoreira, costruito tra il 1498 e il 1622. Il progetto è di Francisco de Arruda, già autore della Torre Belém di Lisbona. E la sua lunghezza – che si estende per 7 chilometri – vede l’ordinato susseguirsi di 843 archi disposti su cinque livelli.Del resto, le cose da vedere ad Elvas non si contano. C’è l’Igreja de Nossa Senhora da Consolaçao, meravigliosa chiesa costruita laddove un tempo sorgeva una chiesa dei Templari a pianta circolare e che – con la sua pianta ottagonale – presenta oggi un interno molto decorato, col suo interno in azulejos giallo e blu e la cupola sorretta da colonne barocche. Oppure, l’antica cattedrale del XIII secolo Igreja de Nossa Senhora da Assunçao, coi suoi pinnacoli, le merlature, e i portali laterali finemente decorati. Senza dimenticare il Castello di Elvas, costruito sulle rovine di vecchie strutture moresche e rinforzato – durante il periodo della Reconquista – con giri di mura, torri e porte. Si gode da qui, il panorama più bello sulla città e sui suoi dintorni, fatti di verde e d’ulivi.

 

Tomaso Montanari, La “bellezza inutile” delle città
Da emergenzacultura.org del 5 novembre 2018

Spopolamento; espulsione dei residenti, degli artigiani e dei negozi di necessità; moltiplicazione degli alberghi e soprattutto degli airbnb, dei negozi di gadget; crescita verticale del turismo; pianificazione urbanistica che inverte le priorità, preferendo infrastrutture per i visitatori a quelle per i residenti. Risultato finale: distruzione del tessuto sociale, museificazione del tessuto monumentale, gentrificazione (che vuol dire “borghesizzazione” di quartieri già popolari), e in un’ultima analisi perdita del tono democratico. La città non è più una città, ma una quinta per film, una location per eventi. È la storia di Venezia: le cui recentissime ferite da acqua alta sono la conseguenza non solo del cambio climatico, e del conseguente innalzamento del Mediterraneo, o della follia criminogena del Mose, ma anche dell’inarrestabile emorragia dei suoi cittadini, ridotti a meno di un terzo rispetto al 1871.

Espulso il popolo, le pietre iniziano a cedere: anche quelle di San Marco. Ma non c’è solo Venezia, ormai sono centinaia le città italiane incamminate lungo questo viale del tramonto che una classe politica inconsapevole e irresponsabile dipinge invece come la via luminosa di una modernissima vita di rendita da turismo. C’è Firenze, ormai senza anima. E c’è Napoli, il cui ventre popolare perde giorno dopo giorno i propri connotati in una marcia forzata verso una gentrificazione da overtourism. E poi c’è Bergamo, per esempio. Quando, qualche settimana fa, si è riunita proprio a Napoli la Set, la “Rete di Città del Sud Europa di fronte alla Turistificazione”, uno tra gli interventi più istruttivi è stato proprio quello dei cittadini bergamaschi. Bergamo è una città stupefacentemente ricca: e non per rendita, ma per una religione del lavoro che sfiora la maniacalità. Eppure non appena si è scoperta “città d’arte” (un’espressione in sé malata, che nega l’identità tra città e arte e identifica una tipologia commerciale), anche Bergamo si è lasciata sedurre dall’idea di mettere a reddito tutta quella “bellezza inutile”. Ma quando si sceglie di vivere di turismo diventa molto difficile governare le conseguenze: ed è per questo che raccontare il declino della Città Alta di Bergamo significa parlare di cento altre città storiche infelici. Infelici perché disgraziate nello stesso modo, a differenza delle famiglie di Tolstoj. Prendiamo i dati sui residenti, su un lungo arco di tempo, dal 1951 al 2016: ebbene, se in questo periodo Venezia ne ha persi il 52%, la Città Alta di Bergamo ne ha contati il 38% in meno, arrivando al minimo di 2400. Un’emorragia di popolo, che cambia radicalmente l’uso, e dunque il senso, di quelle antiche pietre. Negli ultimi quarant’anni le case vuote in Bergamo Alta sono aumentate di sei volte, le abitazioni di proprietà sono raddoppiate, quelle in affitto sono dimezzate: un trend che vieta la città storica alle giovani coppie con bambini, e apre la strada ad una omogeneità sociale fatta di famiglie piccole e benestanti.

La città storica diventa la città dei ricchi. E, in prospettiva vicina, la città dei turisti. L’inclusione delle Mura venete della città nella lista Unesco (un bollino che ormai assomiglia al bacio della morte sulla tenuta sociale del nostro patrimonio culturale) ha fatto raddoppiare le vendite “di pregio” in Città Alta: vendite che preludono nella quasi totalità alla creazione di strutture alberghiere di fatto (dal 2010 ad oggi gli airbnb crescono del 79%, gli alberghi veri calano del 9,2%). La città storica diventa un dormitorio per turisti di lusso: in Città Alta ogni notte dormono 12,4 turisti per abitante, mentre i posti letti sono ormai 30 ogni 100 abitanti. Se allarghiamo lo sguardo dai pernottamenti alle presenze turistiche in generale, vedremo che i turisti che ogni anno visitano il cuore storico e artistico di Bergamo sono stimati in circa 200.000 l’anno, arrivando ormai alla fatidica proporzione dei cento per singolo abitante. Conseguenza: al posto dell’ultima parrucchiera apre l’ennesima yogurteria, e nella Città Alta non c’è più un solo idraulico, un meccanico, un elettricista e nemmeno un restauratore, per quella sorta di “pulizia etnica” delle professioni che fa sembrare tutti eguali i nostri centri storici. È questo il drammatico quadro che spinge la parte più consapevole della cittadinanza (come per esempio la benemerita Associazione per Città Alta e Colli) a contestare radicalmente la costruzione di un parcheggio interrato di 9 piani (!) che l’amministrazione guidata da Giorgio Gori (l’anello mancante tra il berlusconismo e il renzismo) sta costruendo proprio sotto le famose Mura venete consacrate dall’Unesco. Un parcheggio pensato “per i visitatori” (per ammissione della stessa giunta) a servizio di una Città Alta che avrebbe invece un enorme bisogno di politiche per residenti non selezionati per censo. La giunta si trincera dietro il fantasma delle penali che si dovrebbero pagare cassando il parcheggio. Ecco l’ultima frontiera della post-democrazia, l’ultima reincarnazione del Tina (There Is No Alternative) della Thatcher e di Blair. Non si discute più della conseguenze a lungo termine del Tav, del Tap o del parcheggio di Bergamo: una politica senza progetto e senza coraggio si nasconde dietro l’alibi del “non-possiamo-cambiare-perché-ci-sono-le penali”. E pazienza se, facendola, quell’opera farà danni più gravi e profondi. Non la “rivoluzione della modernità” venduta dalla retorica renziana di Gori, insomma, ma la cancellazione del nesso vitale tra le pietre e il popolo: guardando Bergamo si capisce l’Italia.

 

Augusta : La realtà del Museo della Piazzaforte
Da augustaonline.it del 5 novembre 2018

5 novembre 2018 – Il Museo della Piazzaforte si conferma punto di riferimento culturale e di identità della città, grazie all’impegno del suo direttore e dei suoi collaboratori che da decenni mantengono vivo il progetto che fu di Tullio Marcon. Il Museo è stato istituito nel 1986 . La sua prima sede fu il Bastione del Castello Svevo dove per oltre sei anni aveva accolto migliaia di visitatori. Il Museo fu costretto alla chiusura per lavori di sistemazione del castello Federiciano che, di fatto, non sono mai terminati.

Da oltre 15 anni il castello è chiuso al pubblico. Per un decennio Marcon e Forestiere hanno tentato in tutti i modi di ridare una sede al museo. Ricordiamo che per un breve periodo fu trovata una soluzione , concedendo i locali all’interno della cinta del castello Svevo, che erano stati già l’ingresso dell’ex carcere. Una soluzione che consentiva di sfruttare anche lo spazio del cortile “esterno” della Torre Bugnata come area museale per i pezzi più voluminosi. Il museo nel duemila fu costretto ad un ennesimo trasloco.

Quando l’amministrazione Carrubba ha dato la disponibilità di allocare il Museo nei locali al piano terra del Palazzo di Città dove si trova attualmente. Questa sede ricordiamo è stata inaugurata nel maggio 2012 da allora il museo è meta di numerosi visitatori, scolaresche, fa parte di un virtuoso circuito culturale cittadino grazie alla buona volontà di amanti della storia e soprattutto amanti della città, lo testimonia anche il continuo interesse di numerosi cittadini e famiglie Augustane che donano cimeli che hanno raggiunto circa 700 reperti . – 2018 © www.augustaonline.it / Augusta News

 

 

Perché #NoMuos
Da sebastianogulisano.com del 5 novembre 2018

«Io sono contro il MUOS, ma so anche che c’è il terrorismo internazionale».
Con queste parole, nell’estate del 2013, durante un dibattito a Caltagirone, il deputato catanese del PD Giovanni Burtone sintetizzava la posizione sua e del suo partito nell’epoca del cosiddetto scontro tra civiltà, quello esaltato l’indomani dell’11 settembre 2001 da una Oriana Fallaci in preda al «fervore guerresco» contro la «Crociata al contrario» dichiarata dal mondo musulmano a quello occidentale e mirata «all’annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci». E ci esortava a respingerli, a impedirne «l’invasione» a prescindere dal fatto che «usino i cannoni o i gommoni». «Io sono contro il MUOS, ma so anche che c’è il terrorismo internazionale». È questa “ineluttabile” logica guerresca che trova nuova linfa nel terrore suscitato dagli attentati di Parigi e di Copenaghen, nell’orrore per i barbari assassinii dell’Isis, di Boko Haram, di al-Qaeda ad avere condannato i niscemesi a essere «danni collaterali» a medio/lungo termine del presunto scontro tra civiltà. Proprio così: danni collaterali. Come i civili inermi vittime delle guerre. Con la differenza, rispetto all’Iraq o alla Libia, all’Afghanistan o al Donbass, alla Palestina o all’Ukraina, che nessuno ci mostrerà i corpi dilaniati dai bombardamenti, ché a Niscemi i “bombardamenti” sono invisibili: ci si ammala di cancro e si muore lentamente e in solitudine, lontano dalle cineprese e dalle fotocamere. «Abbiamo letto in questi giorni che la decisione del TAR sarebbe inopportuna in un momento in cui il MUOS potrebbe avere interesse per la difesa nazionale», hanno ricordato stamattina gli avvocati Paola Ottaviano e Nello Papandrea, legali dei comitati che si sono opposti alla realizzazione del Muos, sottolineando che «il MUOS non è ancora in funzione non essendo in orbita tutti i satelliti necessari al suo funzionamento». E perché il TAR, con la sentenza del 13 febbraio ha sancito che tutte le autorizzazioni sono da rifare e che, nella sostanza, al momento il MUOS di Niscemi è un’opera abusiva. Il MUOS s’ha da fare ripetono da anni governanti regionali e nazionali, che in tal senso si sono impegnati con gli Stati Uniti d’America, e gli USA all’impianto di Niscemi tengono particolarmente, perché è una delle quattro stazioni terrestri che, “dialogando” con altrettanti satelliti, mettono in comunicazione istantanea l’intero apparato bellico statunitense su tutto il pianeta: uno strumento essenziale nello «scontro tra civiltà». Talmente essenziale da essere stato realizzato senza valide autorizzazioni e con la repressione sistematica della popolazione e degli attivisti NO MUOS che si sono apposti alla costruzione. Talmente essenziale che stando alle dichiarazioni dell’ex senatore Sergio De Gregorio, si sarebbe attivata la CIA per fare cadere il governo Prodi nel 2008, partecipando alla presunta compravendita di senatori che provocò la fine anticipata della legislatura: «Vi erano preoccupazioni forti da parte degli americani sulle questioni di sicurezza e difesa, in ordine alle opposizioni che venivano dall’ala più radicale del governo Prodi. In particolare c’era preoccupazione sul rafforzamento della base Nato di Vicenza e sulla installazione radar di Niscemi». Davide contro Golia, che ricorrerà al Consiglio di Giustizia Amministrativa per ribaltare l’esito della sentenza del TAR di Palermo che, senza entrare nel merito, ha l’effetto di continuare a tutelare la salute di una comunità che già paga la vicinanza al petrolchimico di Gela. Una vicinanza che «suggerisce» all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) «che il territorio di Niscemi è interessato da fumi industriali» e, citando dati dell’ISTAT e del ministero della Salute relativi al periodo 2005-2010, racconta che, rispetto alle percentuali regionali, a Gela, a Niscemi si riscontrino «eccessi significativi di ospedalizzazioni per tumori maligni». Seguono dieci righe di diverse patologie tumorali che colpiscono gli uomini, mentre per le donne si registra «un eccesso di tumori maligni del sistema linfoemopoietico». Inoltre, «meritevole d’attenzione è l’eccesso significativo sia di mortalità che di ospedalizzazione per mieloma multiplo tra gli uomini». D’altronde, lo stesso Rosario Crocetta, il presidente della Regione ed ex sindaco di Gela che quel territorio lo conosce bene, all’inizio del 2013, inun’intervista rilasciata al regista Enzo Rizzo per il film NO MUOS, quando ancora si ergeva a “paladino” dell’opposizione all’installazione alle antenne satellitari statunitensi, osservava che il sistema immunitario delle persone che abitano in questa zona della Sicilia da decenni è messo a dura prova e deve difendersi dagli “attacchi” del petrolchimico, a cui negli ultimi ventiquattro anni si sono aggiunte le sollecitazioni delle emissioni elettromagnetiche provenienti dalle 46 antenne NRTF esistenti. E che ulteriori insidie alla salute delle persone troverebbero il sistema immunitario già impegnato a combattere altre “guerre” e non sarebbe in grado di reagire come dovrebbe a nuove possibili “aggressioni” provenienti dal MUOS. I bambini sono le principali vittime delle onde elettromagnetiche emesse dal sistema di telecomunicazioni NRTF della US NAVY. A Niscemi non s’erano mai visti bambini depressi, né autistici: ora ci sono. Così come c’è un vistoso aumento dei tumori infantili, con percentuali superiori alla media nazionale. Di nuovo, rispetto al passato, c’è solo la base USA. Questa realtà emerge dai dati raccolti dal dottore Marino Miceli fra pediatri e medici di base che operano nel territorio comunale; un’indagine da cui emerge che anche gli adulti non se la passano bene, considerando che 14 cittadini su 100, a fronte di una media nazionale del 4%, sono affetti da tumore alla tiroide, mentre 7 uomini su 100 patiscono tumori ai testicoli, contro il 2% nazionale. Che i bambini siano soggetti a rischio ha dovuto ammetterlo persino la prudente relazione dell’ISS dell’estate 2013: «Cè una evidenza diretta che i bambini sono più suscettibili degli adulti ad almeno alcuni cancerogeni, incluse sostanze chimiche e varie forme di radiazioni». La base di telecomunicazioni NRTF-8 della Marina militare statunitense (US NAVY), al cui interno è stato realizzato il sistema MUOS, si trova in piena zona A della riserva naturale della Sughereta; è stata realizzata alla chetichella nel 1991 mentre a Niscemi (e nell’intero territorio circostante) era in corso una sanguinosa guerra di mafia protrattasi per tutti gli anni Ottanta,provocando decine e decine di morti e seminando terrore fra la popolazione, con diverse vittime innocenti fra le quali due bambini proprio nel 1991. La presenza mafiosa in quegli anni era talmente pervasiva che nel luglio del ’92 il Consiglio comunale di Niscemi fu sciolto dal ministro dell’Interno (con replica nel 2004).

La popolazione, dunque,aveva altro di cui preoccuparsi e non si diede pena per la ragnatela futuristica che stava prendendo il posto di un pezzo consistente di bosco, intorno a una mega antenna alta circa 140 metri. Né gli amministratori si posero  domande. O, se sele posero, non cercarono risposte. Fino al 9 settembre del 2008, ufficialmente, nessuno amministratore si pose domande; quel giorno, il direttore della ripartizione urbanistica comunale, prima vistò il nulla osta decisivo alla realizzazione del MUOS e poi partì per Palermo per partecipare alla conferenza dei servizi convocata dall’assessore regionale al Territorio «per il rilascio del nulla osta prescritto per la realizzazione di opere all’interno della riserva naturale». Una mera formalità risolta all’unanimità dai partecipanti: «il Comune di Niscemi, l’Ispettorato Regionale Foreste, l’UPA di Caltanissetta, il DRU – Servizio 10, la ditta U.S. NAVY e 41° Stormo – Sigonella (assente la Soprintendenza)», annotano i giudici del TAR nella recente sentenza che ha bloccato il MUOS. Il giorno successivo, informato da un giornalista sui possibili rischi per la salute dei cittadini esposti alle onde elettromagnetiche,finalmente un sindaco di Niscemi, Giovanni Di Martino del PD, eletto dopo la scadenza del secondo commissariamento governativo per infiltrazioni mafiose, cominciava a porsi domande e a cercare risposte intanto dall’ARPA, che per la prima volta, a diciotto anni di distanza dalla nascita della base USA, iniziava a svolgere il suo compito e ad «effettuare le misurazioni delle emissioni elettromagnetiche mediante centraline mobili poste sulle case di abitazione più prossime alla stazione radio», registrano i giudici. Nel marzo dell’anno successivo, Di Martino, le risposte iniziò a chiederle anche a degli scienziati indipendenti come il professore Massimo Zucchetti, docente di Impianti nucleari al Politecnico di Torino, e al ricercatore dello stesso ateneo Massimo Coraddu. E sulla scorta dei loro studi, il 5 settembre del 2011 ricorreva al TAR di Palermo chiedendo l’annullamento delle autorizzazioni per la realizzazione del MUOS. Quattro anni e mezzo dopo, il procedimento innescato da quell’esposto è arrivata la sentenza. Ma non è finita ancora. Nell’attesa del CGA. Per gli Stati Uniti d’America le leggi italiane non hanno valore e, malgrado la sentenza del TAR di Palermo che azzera le autorizzazioni illegali del MUOS di Niscemi, hanno riattivato le antenne dell’installazione bellica niscemese. E nessuno dei soggetti istituzionali preposti a fare rispettare la sentenza ha finora mosso un dito, ché sono gli stessi soggetti – Ministero della Difesa e Regione Siciliana – che, in barba alla Costituzione e alle leggi, hanno fortemente voluto le antenne satellitari statunitensi e hanno fatto di tutto per ottenere il proprio servile obiettivo. Anzi: lo scorso 26 febbraio la polizia italiana ha scortato all’interno all’interno della base un convoglio di militari e operai: «Poteva apparire una normale squadra addetta alla manutenzione degli impianti presenti nella base – osservano i legali del Coordinamento regionale dei comitati NO MUOS, Nello Papandrea, Paola Ottaviano e Nicola Giudice, nella diffida inviata ieri al Ministero dell’Interno, alla Questura di Caltanissetta, a Carabinieri e Polizia di Niscemi –, senonché dopo il loro ingresso è stata notata la movimentazione delle parabole del MUOS». Sembra il bis della revoca farsa del 29 marzo 2013, quando la Giunta Crocetta annullò le autorizzazioni concesse dalla precedente Giunta regionale guidata da Raffaele Lombardo: una revoca propagandistica che intendeva depotenziare la manifestazione nazionale del giorno successivo a Niscemi (oltre diecimila partecipanti), garantendo alla Marina militare USA di proseguire indisturbata i lavori con il pretesto della «messa in sicurezza» degli impianti. Talmente propagandistica che lo stesso Crocetta sentenziò preventivamente la «inutilità» della manifestazione, ergendosi a “paladino” unico dell’opposizione al MUOS. Così propagandistica da diventare surreale quando la Regione a guida Crocetta, dopo la revoca, si costituisce al TAR al fianco del Comune di Niscemi, contro se stessa. «Alla luce della sentenza del TAR di Palermo, emerge chiaramente come i comitati territoriali NO MUOS siano stati gli unici soggetti ad essersi opposti alla realizzazione di opere illegittime e abusive». Paola Ottaviano e Nello Papandrea, due dei legali del movimento che da anni si oppone alla realizzazione della base di telecomunicazioni satellitari della Marina USA all’interno della Sughereta di contrada Ulmo a Niscemi, non ci girano intorno e sottolineano che, mentre tutto ciò avveniva, «paradossalmente, le forze dell’ordine si adoperavano per garantire l’illegalità, persino consentendo l’ingresso in cantiere a una ditta priva di certificazione antimafia». Il riferimento è alla Calcestruzzi Piazza, al centro di un’interrogazione parlamentare del senatore Giuseppe Lumia. Non solo: per tentare di fiaccare la resistenza, decine e decine di esponenti dei comitati sono stati bersagliati con salatissime multe, l’avvio di procedimenti amministrativi, persino l’arresto e conseguenti processi penali: «Per avere difeso il territorio e la salute, essersi opposti a un sistema di guerra, rifiutandosi di diventare “obiettivo sensibile”, bersagli di un possibile attacco bellico o terroristico», chiariscono Ottaviano e Papandrea. In realtà, la storia del MUOS di Niscemi non sarebbe mai dovuta iniziare, essendo prevista la sua installazione in piena zona A della Riserva naturale orientata “La Sughereta” (fra l’altro, sito SIC di interesse europeo), dove vige l’inedificabilità assoluta. Ma in Italia le leggi sono fatte per essere infrante dalle istituzioni stesse. Come dimostra il seguito della vicenda, ché in un Paese vagamente normale, anche dopo il primo strappo alla legislazione vigente, tutto si sarebbe concluso quando, in seguito alla circostanziata relazione degli esperti del Comune e dei movimenti, Massimo Zucchetti e Massimo Coraddu, docenti al Politecnico di Torino, le Commissioni riunite Ambiente e Sanità della Regione Siciliana affrontano la questione. Ed è in questa circostanza che emerge che le relazioni “scientifiche” su cui erano basate le autorizzazioni iniziali non erano solo lacunose, ma contenevano clamorosi falsi. E che gli “esperti” che le avevano firmate non erano indipendenti ma al soldo degli statunitensi. Emblematico, in tal senso, il commento del presidente della Commissione Sanità, Pippo Digiacomo (PD): «C’è stata in tutta evidenza una volontà omissiva di coprire gli effetti dannosi del MUOS». Era il 5 febbraio 2013. Quel giorno poteva sostanzialmente concludersi questa squallida vicenda che vorrebbe condannare i niscemesi a essere «danni collaterali» di interessi sovranazionali, invece è cominciata la farsa messa in scena dal presidente della Regione, Rosario Crocetta (anch’egli PD), l’uomo che sulla “opposizione” al MUOS ha incentrato ben tre campagne elettorali, arraffando voti a più non posso, per poi gettare la maschera quando non c’era più nulla da ramazzare in chiave elettoralistica, emanando l’illegittima «revoca della revoca». È proprio fra la revoca delle autorizzazioni (29 marzo 2013) e la successiva revoca della revoca (24 luglio 2013) che si intensifica la repressione nei confronti degli attivisti NO MUOS, che, coi blocchi stradali, tentano quotidianamente di impedire l’ingresso in base degli operai incaricati di completare i lavori, malgrado l’assenza di autorizzazioni. È in questo periodo che la strategia repressiva delle istituzioni italiane tenta di sfiancare il movimento con le multe, di dividerlo, di criminalizzarlo con una raffica di procedimenti penali. Mentre i media mainstream nazionali e regionali suonano la grancassa contro gli «anarchici insurrezionalisti» (sinonimo di «terroristi», nell’immaginario collettivo) e le fantomatiche «infiltrazioni mafiose» nei comitati millantate da Crocetta. A partire dal mese di aprile 2013, una fitta corrispondenza fra Prefettura di Caltanissetta, Governo nazionale, Regione Siciliana e Ambasciata USA a Roma racconta come le istituzioni sia siano mosse per “aggiustare” le cose. Una corrispondenza resa pubblica dagli attivisti di Anonymous, dopo un’incursione nella banca dati del Ministero dell’Interno, in agosto, e raccontata da Antonio Mazzeo sul periodico I Siciliani giovani. Una corrispondenza dalla quale emergono preoccupazioni e tresche di Stato finalizzate a continuare i lavori, tanto che il 3 maggio il dirigente generale dell’assessorato Territorio e Ambiente, Vincenzo Sansone, rivendica per iscritto «che questo Assessorato non ha mai impedito alcuna azione all’interno della base». Quattro giorni dopo, nella memoria che l’ufficio legale della Regione deposita al TAR nella controversia col ministero della Difesa, gli avvocati di Crocetta confermano che «eventuali disagi o ritardi» nella costruzione del MUOS non sono attribuibili alla Regione, bensì «riconducibili ai presìdi spontaneamente organizzati dalla popolazione del territorio interessato e da simpatizzanti». E chi vuole intendere, intenda. Oggi, malgrado una sentenza del TAR che azzera le autorizzazioni, Governo e Regione continuano a fare i sudditi degli statunitensi e, invece di vigilare affinché siano rispettate le leggi nazionali, lasciano che la Marina militare USA possa proseguire indisturbata nei propri intenti e, per essere certi che ciò possa avvenire, così come in passato, fanno scortare gli operai da Polizia e Carabinieri, come denunciato dai legali dei comitati.

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Nardò
Da corrieresalentino.it del 4 novembre 2018

NARDO’ (Lecce) – Discordanti ed imprecise sono le fonti relative ad un castello antecedente a quello attuale nell’abitato di Nardò. Probabilmente esisteva un antico fortilizio o castrum di epoca bizantina, sui cui resti il normanno Roberto il Guiscardo avrebbe fatto erigere una nuova struttura, forse un torrione. Nel 1271 il Re di Napoli Carlo I d’Angiò concesse la fortezza ai frati francescani. Il luogo in cui sorgeva il maniero dovrebbe essere quello indicato come castelli veteris, cioè vecchio castello. La fine della struttura in questione può essere al momento dedotta solo per congetture giacché la scomparsa della fortezza neretina dovrebbe coincidere con la guerra scatenata in Puglia dalla Repubblica di Venezia contro il Re di Napoli Ferrante d’Aragona, che portò le armate della Serenissima ad assediare diverse città costiere come Monopoli, Brindisi, Otranto e Gallipoli, per poi spingersi nell’entroterra.

Nardò venne assediata e si arrese nel luglio del 1484, spinta dal Conte di Ugento e Signore di Nardò Anghilberto del Balzo, sostenitore della causa veneziana. Terminate le ostilità e stipulata la pace, Nardò venne punita dall’aragonese dandola in stato di vassallaggio a Lecce, abbattendone la cinta muraria e tutte le strutture difensive, tra le quali probabilmente doveva essere incluso il castello. Dopo una decina di anni, nel 1495, in seguito alla Pace di Bagnolo, Nardò fu tolta ai del Balzo ed affidata a Bellisario I Acquaviva d’Aragona che nel 1516 ne fu elevato al rango di duca. A lui si deve la costruzione del castello e della cinta muraria che oggi possiamo ammirare. Il nuovo Castello di Nardò ha una pianta quadrangolare con quattro torri angolari a mandorla di cui una maggiormente sporgente delle altre rispetto al tracciato perimetrale ed alle mura di cinta cittadine, e che probabilmente si collegava ad una delle porte urbiche. Inizialmente aveva un ponte levatoio che scavalcava il fossato non più esistente perché colmato, oltre ad essere fornito di bocche cannoniere, feritoie e balestriere laterali. Successivi interventi e modifiche hanno cambiato il prospetto del castello che nel tempo è andato perdendo parte delle sue caratteristiche militari per trasformarsi in residenza signorile. Diversi blasoni della famiglia Acquaviva d’Aragona campeggiano sui torrioni e sulla facciata principale.

Il cortile interno quadrangolare, piuttosto piccolo e spostato ad occidente rispetto all’asse della struttura, costituiva la piazza d’armi mentre i duchi risiedevano al piano nobile. Subentrata nella proprietà la famiglia dei Baroni Personé, nel XIX secolo la facciata principale fu abbellita con fregi e piccoli archi, nonché altre decorazioni i cui lavori furono affidati alla direzione dell’Ingegnere Generoso De Maglie di Carpignano Salentino. Sulla facciata fu aggiunto anche lo scudo con le armi dei Personé. Nel 1933 il castello veniva acquistato dal Comune. Cosimo Enrico Marseglia

 

Fiandre. La quiete sul Fronte occidentale
Da nationalgeographic.it del 3 novembre 2018

FOTOREPORTAGE A cento anni dalla fine della Grande Guerra un viaggio sui campi di  battaglia simbolo del conflitto fotografie e testi di Andrea Contrini

Il paesaggio lunare del campo di battaglia di Passchendaele (foto 3) è uno tra i più intensi simboli di devastazione e orrore della Prima guerra mondiale. Ma sono molti gli episodi avvenuti tra il 1914 ed il 1918 nella piccola provincia belga delle Fiandre Occidentali che diventarono emblematici di quel conflitto: la cosiddetta “tregua di Natale”, il primo utilizzo su larga scala di gas tossici e la guerra sotterranea nelle alture di Messines. Il tratto di fronte che andava dalle spiagge di Nieuwpoort ai boschi di Ploegsteert si stabilizzò dopo la cosiddetta "corsa al mare" del 1914. Poi il fulcro della lotta diventò il saliente di Ypres, vedendo contrapporsi le truppe tedesche a quelle britanniche, del Commonwealth e francesi.

Le quattro furiose battaglie attorno alla cittadina - nel 1914, nel 1915, nel 1917 e nel 1918 - spostarono le linee di appena qualche chilometro facendo sprofondare gli eserciti in un inferno di sangue e fango. Dilaniarono quella che era una fiorente area agricola e nel dopoguerra popoleranno gli incubi dei veterani. Ancora oggi il paesaggio fiammingo mostra la violenza subita: a Passendale l'acqua color ruggine nei canali agricoli rivela la presenza di migliaia di proiettili sepolti; tra Langemark e Bikschote i pascoli sono disseminati di relitti di fortini in calcestruzzo; talvolta capita che il terreno collassi portando alla luce oscuri labirinti sotterranei. Con queste fotografie Andrea Contrini ha voluto proseguire l'esplorazione iniziata con "La quiete dopo la battaglia" e con "Echi nel silenzio", fotoreportage pubblicati online da National Geographic Italia, rivolta ai campi di battaglia del 1914-1918.

Il progetto è nato, nelle parole dell'autore, "dal senso di meraviglia verso il tempo e la natura, che hanno saputo reinterpretare la devastazione lasciata della guerra". Diversi sopralluoghi sul terreno e ricerche bibliografiche, in gran parte all'estero, sono stati poi necessari per sottolineare quell'imprescindibile nesso tra paesaggio attuale e vicende del passato. Spiega Contrini: "Ho realizzato queste fotografie intendendole come piccoli tasselli volti a ricomporre una parte di quel grande mosaico che fu la prima guerra totale e di massa. Perché quel conflitto ha ancora molto da dirci sulla modernità che oggi ci circonda, la quale vide la luce nel bagliore delle esplosioni di cent'anni fa". Nella fotografia di questa pagina: La spiaggia di Nieuwpoort. L'immensa teoria di trincee, fortificazioni e filo spinato del Fronte Occidentale partiva dalle Alpi svizzere per terminare tra queste dune digradanti nel Mare del Nord. Il faro, distrutto dal conflitto e poi ricostruito, segna il punto più settentrionale dell'intera linea alleata.

 

Forte Lugagnano nel degrado: rifiuti e prostituzione
Da larena.it del 3 novembre 2018

Di giorno, sede di lodevoli iniziative culturali, sportive e ricreative; di notte, nascondiglio per incontri a luci rosse e per lo scarico abusivo di rifiuti.

Questa è la doppia vita di forte Prinz Rudolf, meglio conosciuto come forte Lugagnano, al numero 87 dell’omonima via, un chilometro e mezzo a ovest dell’abitato di San Massimo.

Lo stupendo complesso austriaco, costruito nel 1860-61, e nonostante tutto ancora strutturalmente in buono stato, sta soffocando tra cumuli di pneumatici consumati, vecchi sanitari, macerie edili ed elettrodomestici rotti.

Tutto materiale che viene abbandonato con un furtivo viavai di furgoni. Non bastasse, si aggiungono i piccoli rifiuti disseminati qua e là, fra l’erba, dai giri di prostituzione, molto «attivi» nei dintorni. Il prato e la boscaglia che circondano il forte, infatti, fungono da perenne alcova a cielo aperto. Le associazioni che hanno sede nell'edificio chiedono aiuto al Comune: «Situazione ingestibile, gli studenti che vengono in visita camminano in un campo minato». di Lorenza Costantino

 

Gemona nel vortice bellico: le fortificazioni e lo strazio nelle fotografie ritrovate
Da messaggeroveneto.it del 3 novembre 2018

S’inaugurerà domani, domenica, alle 13 nelle sale D’Aronco di palazzo Elti, la mostra fotografica "Gemona in guerra", voluta dall’amministrazione comunale gemonese in occasione del centenario della Grande Guerra. Il taglio del nastro sarà preceduto alle 11.45 dalla presentazione del libro “I caduti gemonesi della Grande Guerra” di Gabriele Marini: l’allestimento è l’occasione per scoprire immagini molto rare della storia della cittadina nel periodo del primo conflitto mondiale che possono suscitare l’interesse di tutti i friulani.

«Questa rassegna – spiega l’assessore alla cultura Flavia Virilli – ha il pregio di avere liberato dalla polvere del tempo ricordi, documenti e immagini che, provenendo dall’archivio storico comunale e da alcune collezioni private, riprendono vita, parlandoci della Gemona di un secolo fa, raccontandoci le paure, le difficoltà e le immani tragedie che la guerra portò in tutto il Friuli, ma riuscendo a offrire uno sguardo privilegiato sulla vita quotidiana dei nostri avi». La mostra, che si articola in quattro sezioni, si compone di una serie di fotografie di grande formato, con opportune didascalie esplicative, di documenti d’epoca e di brevi testi che orienteranno la lettura e lacomprensione degli eventi rappresentati. La prima sala illustrerà il sistema di fortificazioni dell’alto Tagliamento, realizzato tra il 1904 e il 1914.

La seconda documenterà l’occupazione di Gemona dopo Caporetto, tra il 29 ottobre 1917 e il 3 novembre 1918. La terza sala esporrà gli originali delle fotografie stampate, documenti dell’anno di occupazione e il diario manoscritto coevo del sindaco Luciano Fantoni. La quarta mostrerà i paesaggi di Gemona, e di alcune delle sue borgate, nel primo ventennio del Novecento. «A cento anni dalla fine della Grande Guerra – ha detto il sindaco Roberto Revelant -, l’amministrazione comunale ha ritenuto doveroso ricordare i suoi caduti e rammentare questa pagina di storia: uno sforzo che dobbiamo ai nostri concittadini di allora, affinché quel sacrificio non sia stato vano». Gli orari di apertura al pubblico saranno i seguenti: lunedì: dalle 9.30-12.30; dal martedì alla domenica: 9.30-12.30; 14.30-18.30.

 

Luoghi "speciali" da vedere a Palermo nel weekend tra bunker, saloni e giardini
Da balarm.it del 3 novembre 2018

Erano diciotto i luoghi "speciali" da visitare su prenotazione: luoghi piccoli e sotterranei, come i Qanat o i Miqveh – il bagno rituale ebraico – oppure fabbriche aziendali dove scoprire i segreti dell’anice, del caffè o delle caramelle di carruba. E ancora piccole collezioni o depositi di Musei, luoghi da scoprire, a piccoli gruppi, scegliendo comodamente il giorno e l’orario di visita. Iniziamo proprio dall'aeroporto di Boccadifalco dove si visitano la torre di controllo, i due bunker e il giardino dell’antica villa. Un viaggio nel cuore dell’aeroporto di Boccadifalco, con un bus navetta che consente di visitare le parti più lontane dall’ingresso principale. Ed è un itinerario pieno di scoperte quello che porta, attraverso distese verdi, alla torre di controllo dove si osserva dall’alto la pista asfaltata lunga 1224 metri e dove è allestita una preziosa mostra documentaria che racconta la storia dell’aeroporto, e con esso della storia dell’aviazione civile e militare in Sicilia (prenota da qui). Un aeroporto molto attivo come base aerea militare durante la Seconda Guerra mondiale, e ne sono testimonianza i due bunker che possono essere visitati, uno dei quali – utilizzato anche come deposito munizioni – reca su una parete la scritta di un soldato americano. Infine, visita allo straordinario parco di Villa Natoli, con i suoi splendidi e tentacolari alberi.

 

Cos’è il Muos, il gioiello della tecnologia satellitare Usa che rischia di spaccare il M5s
Da ilsole24ore.com del 2 novembre 2018

Chiuso un capitolo, se ne è aperto un altro. Dopo le proteste della base movimentista dei Cinque Stelle contro la decisione dei vertici pentastellati di “rimangiarsi” le promesse fatte in campagna elettorale e di dare il via libera al Tap, in Puglia, si scatena ora una nuova fronda all’interno di M5s, questa volta in Sicilia. Anche questa volta, come nel caso del gasdotto del Salento, c’è di mezzo un acronimo: “Muos”, che sta per “Mobile User Objective System”, un gioiello della tecnologia satellitare gestito dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, nella riserva naturale della Sughereta di Niscemi, in provincia di Caltanissetta. Lo strappo potrebbe essere, potenzialmente, altrettanto, se non più divisivo, considerato che la partita coinvolge anche il nostro alleato di sempre, gli Usa. I 5 Stelle siciliani sono convinti che il leader politico Luigi Di Maio annuncerà lo smantellamento del mega satellite*, ma il ministero della Difesa, guidato da un’altra pentastellata, Elisabetta Trenta, frena.

Il forte interesse Usa dietro ai dossier Tap e Muos

Se dietro al sì al Trans-Adriatic Pipeline si nascondono le pressioni esercitate dagli Stati Uniti - di fatto il gasdotto pugliese si pone come alternativa al Nord Stream 2, la pipeline che dovrebbe raddoppiare la capacità di export della Russia verso la Germania e che proprio non piace a Donald Trump - la sensibilità Usa, sotto l’ombrello Nato, nei confronti del “dossier Muos” non è meno accentuata.

Il gioiello della tecnologia satellitare in una riserva naturale di Niscemi

A differenza del caso pugliese, nel mirino della popolazione locale e della base pentastellata è una “base di comunicazione”: un sistema satellitare ad alta frequenza e a banda stretta. Oltre a essere una soluzione d’avanguardia dal punto di vista delle tecnologie utilizzate, questo mega satellite smista le comunicazioni militari destinate a forze navali, aeree e terrestri in movimento in qualsiasi parte del mondo. Il sistema Uhf ad alta frequenza permette di tenere in collegamento i centri di comando e controllo delle Forze armate Usa, i centri logistici e gli oltre 18mila terminali militari radio esistenti, i gruppi operativi in combattimento, i missili Cruise e i Global Hawk (Uav- elivoli senza pilota).

Gli effetti dello smantellamento del mega radar sui rapporti Italia-Stati Uniti

Lo strumento ha dunque un elevato peso strategico, sia per gli interessi della Nato, sia per l’Italia, che sul Mediterraneo rivendica da sempre un ruolo di leadership. Se il Governo italiano decidesse di smantellare il Muos, come chiede il movimento No Muos, che intercetta molti attivisti grillini, la scelta avrebbe un effetto molto forte sui rapporti tra Roma e Washington che, al di là dell’interesse manifestato in più di una occasione dal vicepremier Salvini nei confronti della Russia di Vladimir Putin, rimangono tuttora forti e interconnessi. Soprattutto in questi giorni che separano dalla Conferenza internazionale sulla Libia, il 12 e 13 novembre, sulla quale l’Italia ha registrato l’appoggio Usa.

Non solo Muos: da Sigonella partono i droni per colpire l’Isis

Nel braccio di ferro tra Muos sì - Muos no sono in ballo gli interessi geostrategici della Nato in proiezione africana e mediorientale. Anche perché l’importanza del sistema satellitare va letta in un contesto, quello della presenza Nato in Sicilia, che vede la base di Sigonella ospitare gli hangar con i droni da teleguidare verso gli obiettivi Isis in Medio Oriente e Africa, senza dimenticare i porti militari di Augusta e le stazioni aeree di Birgi (Trapani).

Una vicenda iniziata nel 2006

La vicenda di Niscemi non è nuova. È iniziata nel 2006, quando sono state rilasciate le autorizzazioni per l’installazione dell’impianto, di proprietà della Marina militare statunitense,nella base Naval Radio Transmitter Facility Niscemi. Terminato nel 2014, è stato installato a seguito di un accordo bilaterale siglato da Italia e Stati Uniti. Fin dall’inizio la popolazione locale ha chiesto che il sistema satellitare venisse smantellato. Nel mirino, la decisione di destinare un’area così estesa - oltre un milione di metri quadrati - a questo progetto, sottraendola alla riserva naturale della Sughereta, e il timore che l’impianto fosse pericoloso per la salute della popolazione locale. I Cinque Stelle siciliani hanno poi fatto propria la protesta. Ma contrario all’ipotesi di smantellare il mega satellite è il ministero della Difesa, al cui vertice siede una pentastellata, Elisabetta Trenta. Si delinea così uno scontro all’interno del Movimento, con la ministra da una parte e la fronda siciliana dall’altra. Quest’ultima confida nell’appoggio del leader politico M5s, Luigi Di Maio.

Di Maio annuncia «importanti novità».

E si riaccende la protesta Negli ultimi giorni la polemica è tornata ad accendersi. Ad “accendere la miccia”, le parole del vicepremier. In occasione di una recente visita a Scordia, nei pressi di Catania, Di Maio ha annunciato «importanti novità sul Muos». A stretto giro, stretto dal pressing degli attivisti No Muos, fattosi più consistente dopo le dichiarazioni del vicepremier, il deputato cinquestelle dell’Assemblea regionale Siciliana, Giampiero Trizzino, ospite di Obiettivo Radio1, ha fatto capire che sul mega radar la decisione è presa. «Il M5S e il governo - ha affermato - hanno già preso una posizione, quella che hanno sempre avuto, e Luigi Di Maio a breve la comunicherà. La nostra posizione resta la stessa: siamo contro il Muos. Non ci sono alternative. Noi ci proviamo, ovvio. La memoria della ministra Trenta, che incontrerò il 7 novembre, è un fatto passato».

Il ministero della Difesa guidato da un esponente M5s: il satellite non si tocca

La memoria a cui ha fatto riferimento Trizzino è quella presentata dal ministero della Difesa per chiedere al tribunale di giustizia amministrativa di respingere il ricorso presentato dagli attivisti No Muos per bloccare l’attività del mega satellite. L’uscita di Trizzino ha spinto fonti della Difesa a ricordare che «l’unica voce ufficiale sul tema è e sarà quella del governo». Le stesse fonti hanno dunque sconfessato «qualsiasi altra esternazione o posizione assunta da esponenti non appartenenti all’esecutivo».

 L’opportunità di rimandare una decisione a dopo il vertice sulla Libia

Allo stato attuale l’intenzione dei vertici pentastellati è di rinviare per quanto possibile la comunicazione sulle decisioni su questo nuovo dossier. Anche perché il vertice sulla Libia di Palermo è alle porte. E far saltare il banco con un alletato così importante proprio a pochi giorni da questo appuntamento non è nell’interesse dell’esecutivo giallo verde, che su questa iniziativa per la stabilizzazione del paese del Nord Africa ha puntato più di una fiche. Dopo la battaglia finita in tribunale, il 14 novembre spetterà al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia decidere sulla sentenza emessa nel 2016 dallo stesso Consiglio che aveva sbloccato i lavori. Ma il vertice sulla Libia, quel giorno, sarà già alle spalle. * Il termine radar, utilizzato in precedenza, è stato sostituito con quello tecnicamente più corretto di satellite   di Andrea Carli          

 

 

Italia Nostra: «Non si devono abbattere le antiche mura della città»
Da ilgazzettino.it del 2 novembre 2018

di Davide Lisetto  PORDENONE Le antiche mura della città - finite al centro di una bufera politica poiché corrono il rischio di essere abbattute nella parte in fondo a vicolo del Lavatoio - ricevano un'ancora di salvataggio dall'associazione Italia Nostra. Il sodalizio nazionale più importante sul fronte della tutela dei beni storici, artistici e medievali ha inserito il caso dell'ultimo tratto rimasto di cinta muraria di Pordenone, nella Lista Rossa. Una sorta di agenda-campagna dei beni maggiormente meritevoli di salvaguardia.

«Siamo venuti a conoscenza - ha spiegato Roberto Caragnolini, responsabile per Italia Nostra di Udine e Pordenone - di questa situazione. E pure non entrando nel merito dell'iter autorizzativo in corso, riteniamo che quel bene culturale vada salvaguardato. È poi importante e positivo che si sia mossa la comunità locale a tutela di un elemento del passato che, evidentemente, rappresenta oltre che un valore storico-architettonico anche un aspetto identitario per la comunità pordenonese. È per questo che abbiamo ritenuto di dargli un rilievo anche istituzionale inserendolo nella lista rossa».

 

Tap, Muos, F-35: così gli «auspici» degli Stati Uniti trovano ascolto a Palazzo Chigi
Da corriere.it del 1 novembre 2018

I tagli al bilancio militare, o marce indietro su opere e impianti di cui si era già discusso, rischiano di non essere visti di buon occhio da Washington. Che ha messo in chiaro — tramite il Dipartimento di Stato prima, e le parole di Trump poi — i propri desideri di MARCO GALLUZZO

ROMA — Quando ancora il Tap era un discorso aperto, ancorato alle parole e alle promesse della campagna elettorale, toccò al Dipartimento di Stato americano mettere nero su bianco tre righe in cui si rimarcava che Washington auspicava che l’Italia non avesse alcuna incertezza su un’opera che diversifica le nostre fonti energetiche, nostre e del resto d’Europa, rispetto alle forniture russe. Pochi giorni dopo fu lo stesso Trump, direttamente, nel faccia a faccia alla Casa Bianca, a dirlo a Giuseppe Conte. Ora che sul Tap sembra sciolto qualsiasi residuo interrogativo anche Luigi Di Maio, qualche giorno fa di fronte al Copasir, ha trattato l’argomento con un profilo squisitamente istituzionale e tecnico, non più politico: «È funzionale alla diversificazioni delle nostri fonti di approvvigionamento» nel settore, ha chiosato, in modo secco. Dichiarazione che però Di Maio giovedì ha smentito: «Mai detto che è un’opera utile». Ma ora, dopo il Tap, sembra entrato, o meglio ri-entrato, nel mirino dei 5stelle, anche il Muos, il gigantesco e strategico sistema radar americano installato a Niscemi qualche anno fa, in base ad un trattato internazionale siglato fra i due governi, costato 7 miliardi di dollari, utile alle comunicazioni satellitari della marina a stelle strisce, e anche alla nostra sicurezza interna, e con una copertura che fa della Sicilia il centro nevralgico di informazioni e comunicazioni che riguardano circa il 30% del pianeta, compreso il Medioriente.

Nel governo si commenta la cosa con una punta di imbarazzo: dalla Lega nemmeno una parola, dal ministero della Difesa con una nota che non chiarisce molto, si ammette che si sta facendo una valutazione di impatto ambientale, ma è anche vero c’è stata una contesa giudiziaria già risolta a favore degli impianti radar, così come è vero che il nostro ambasciatore presso la Nato qualche mese fa ha portato una delegazione dei 5 Stelle sul sito, e sembrava che i proclami No Muos fossero rientrati con una visita ravvicinata alle grandi parabole montate a 60 km dalla base americana di Sigonella. Fonti del governo, istituzionali e italiane negli organismi Nato, considerano il solo discutere del No Muos una mezza follia. Confermano che una marcia indietro di palazzo Chigi pregiudicherebbe le relazioni con Washington, tanto più in un momento in cui l’idillio fra Palazzo Chigi e la Casa Bianca è basato in primo luogo sul rapporto critico di Roma verso Bruxelles, più che sul piano militare. Romania e Albania si stanno infatti reciprocamente e progressivamente candidando (nel secondo Paese gli americani stanno costruendo una nuova base logistica) a sostituire l’Italia nella rete delle basi strategiche Usa. E i tagli al bilancio del ministero della Difesa, mentre Trump chiede a tutti i Paesi europei di aumentare sino al 2% i contributi alla Nato (Roma è ferma all’1,1%), rischiano di rendere meno affidabile il nostro Paese agli occhi di Washington. Di sicuro a Washington monitorano da vicino posizioni politiche e decisioni istituzionali di Roma. La riduzione del programma di acquisto di F35, decisa dal precedente governo, se avesse ulteriori sforbiciate, rischia di compromettere i contratti siglati e la garanzia che tutta la manutenzione europea dei nuovi aerei da combattimenti si svolga effettivamente in Italia. La missione in Afghanistan è stata ulteriormente limata, di circa 200 unità, ma era e resta, insieme alla nostra presenza in Libano, una moneta di scambio per il nostro scarso contributo al bilancio della Nato. La Merkel a Bruxelles ha incassato una strigliata da Trump, Conte no. Ma sino a quando?

 

Le fortificazioni nell’area del Delta
Da polesine24.it del 1 novembre 2018

Viene inaugurata oggi pomeriggio (1 novembre) alle 16 la mostra “Giovani terre contese: tre secoli di fortificazioni nel Delta del Po”. L’esposizione è allestita nella sede della biblioteca comunale e sarà aperta, con ingresso libero, nei seguenti orari: da domani a martedì 6 dalle 10 alle 12 e dalle 15.30 alle 18.30, da mercoledì 7 al 10 novembre soltanto il pomeriggio dalle 15.30 alle 18.30. L’iniziativa rientra nel calendario delle manifestazioni della Fiera del libro e fa parte di un progetto di alternanza scuola-lavoro che ha visto coinvolti gli studenti del triennio del Colombo, indirizzo economico, in collaborazione con il Centro di documentazione e ricerca del Delta e il patrocinio dell’amministrazione comunale.

La mostra focalizza l’attenzione su un aspetto di grande interesse ma sconosciuto alla quasi totalità delle persone: le diverse fortificazioni che, dal periodo della Repubblica di Venezia e dello Stato Pontificio al dominio napoleonico e austriaco, alla Prima guerra mondiale, sono state costruite nel Delta per difendere il territorio da attacchi e invasioni. Le fortificazioni vengono documentate non soltanto da mappe e descrizioni precise ma anche da fotografie di resti dei manufatti talora molto significativi, che costituiscono un percorso di notevole valore storico e turistico: pertanto offre alla cittadinanza, in particolare agli studenti dei diversi ordini di scuole, ai turisti o ai semplici curiosi un’occasione per conoscere la ricca e complessa storia di questo territorio.

I pannelli sono in lingua italiana e inglese: la mostra è già stata ospitata all’Archivio di Stato di Rovigo e di Ferrara, a Sinalunga in Valdichiana e al museo della Terza Armata di Padova, ad Adria, Porto Tolle e Taglio di Po. La mostra è stata messa a punto da un gruppo di studiosi del Ce.Ri.Do. formato da Luigi Contegiacomo direttore dell’Archivio di Stato di Rovigo, Maurizio Tezzon esperto di grafica, Luciano Chiereghin ricercatore dei dati storici e ambientali, quindi Raffaele Peretto e Luciano Scarpante.

 

Giornata dei Castelli, Palazzi e Borghi Medievali 2018
Da ilmessaggero.it del 1 novembre 2018

Domenica 4 Novembre 2018 sarà l’ultima occasione dell’anno per poter partecipare alle visite guidate di Castelli, Palazzi Storici e Borghi Medievali della Lombardia. Luoghi di solito non fruibili, imponenti e suggestive fortificazioni, dimore di grandi condottieri, borghi e palazzi saranno aperti contemporaneamente per dare l’opportunità di trascorrere una giornata all’insegna di rievocazioni, cultura, leggende e battaglie, alla scoperta di arte e storie d’altri tempi. Tra gli eventi davvero imperdibili per questo weekend autunnale, al castello di Pandino, oltre alle visite guidate, sarà una domenica magica alla scoperta dei draghi! Un percorso didattico di Dragologia, un’area laboratorio per i bambini più piccoli e un’area dedicata ai giochi da tavolo. Nel comune di Pumenengo, oltre alle visite del Castello Barbò, la giornata sarà arricchita dalla visita a Palazzo Sauli, edificio del XVI secolo edificato ad opera del conte Socino Secco, con la possibilità di pranzare nelle sale del palazzo (su prenotazione), mentre nel comune  i Cologno al Serio a farla da padrona sarà la deliziosa polenta taragna.

PROGRAMMA INIZIATIVE LOCALI

Di seguito i dettagli degli orari, dei costi e le iniziative di ogni Comune:

Brignano Gera d’Adda: Visite alle 14.30 e alle 16 (costo 7€ – gratis fino a 12 anni e oltre i 75 anni) Calcio – Castello Silvestri: visite dalle 14.00 alle 18.30, (costo 3€ – gratis fino ai 12 anni) Caravaggio: visita solo alle 16 (costo 5€ – dai 18 ai 26 anni 2€ – gratis fino ai 18 anni)

Cavernago – Castello di Cavernago: Visite dalle 9.30 alle 12 e dalle 14 alle 17.30 (costo 5€ – gratis fino ai 12 anni)

Cavernago (fraz. Malpaga) – Castello di Malpaga: visite dalle 10.00 alle 18.00 (costo 9€ adulti – 4€ dai 6 ai 12 anni – gratis fino ai 5 anni)

Cologno al Serio: visite alle 10.00, 11.00, 14.30, 15.30, 16.30 (costo 3€ – gratis fino ai 12 anni)

Martinengo: visite alle ore: 10, 15 e 16.30 (costo 3€ – gratis fino ai 12 anni)

Pagazzano: visite dalle 10.00 alle 12.00 e dalle ore 14 alle ore 18.30, ultimo ingresso ore 17.30. Prenotazioni online. Le visite guidate partono ogni 30 minuti, si invitano i visitatori ad accedere per la visita guidata 10 minuti prima della partenza delle visite.

Pandino (CR): visite alle 11.00, 15.30 e 17.00 (costo 5€, 4€ dai 6 ai 18 anni e over 70, gratis fino a 6 anni)

Pumenengo: visite dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 14.00 alle 17.00 (costo 3€ – gratis fino ai 12 anni).

Romano di Lombardia: visite alle 15 e alle 16.30 (costo 5€ – gratis fino ai 12 anni)

Torre Pallavicina: visite alle 10.00, 15.00 e 16.00 (costo 6€ – gratis fino ai 12 anni)

Treviglio – Museo Verticale: salite alle ore 16.00-17.00-18.00 con possibilità di altri orari concordato con l’Ufficio cultura per gruppi di più di 10 persone (costo 5€, 4€ dai 6 ai 18 anni)

Trezzo sull’Adda (MI): visite alle 10.30 e dalle 14.30 alle 17.00 con partenza ogni mezzora. (costo 6€, 3€ dai 6 ai 12 anni, under 6 gratis)

Urgnano: visite dalle 14.30 alle 18.00 (costo 5€ – gratis fino ai 10 anni). I visitatori sono liberi di pianificare il proprio percorso in base agli orari di apertura di ciascun aderente.

Ogni visita durerà circa 1 ora. Per prenotazioni e informazioni, rivolgersi all’indirizzo mail: info@bassabergamascaorientale.it o allo 0363988336 dal lunedì al sabato dalle 9 alle 12.

 

Muos, i 5 stelle: lo smantelleremo. Ma il ministero della Difesa frena
Da ilmessaggero.it del 1 novembre 2018

Si riaccende la polemica sulMuos, il mega impianto satellitare di comunicazione americano in costruzione nella riserva naturale della Sughereta di Niscemi, in provincia di Caltanissetta, in Sicilia. «Smantelleremo il Muos. La memoria della ministra Trenta contro il ricorso dei No Muos per bloccare l'attività del sistema di comunicazione satellitare militare americano? Un fatto già passato», assicura Giampiero Trizzino, consigliere 5 stelle dell'Assemblea regionale Siciliana, a Obiettivo Radio1, replicando agli attivisti No Muos. «Il M5S e il governo hanno già preso una posizione, quella che hanno sempre avuto, e Luigi Di Maio a breve la comunicherà - dice Trizzino -. La nostra posizione resta la stessa: siamo contro il Muos. Non ci sono alternative». Il fatto è che da giorni Di Maio ha annunciato novità sul Muos, da sempre osteggiato da grillini e ambientalisti, ma finora una presa di posizione chiara non è ancora arrivata. La titolare 5 stelle della Difesa, Elisabetta Trenta, ha invece scritto una memoria per chiedere al Tar di respingere il ricorso presentato per bloccare la costruzione dell'opera.

In sostanza quindi un parere favorevole al radar. Oggi fonti del ministero si sono limitate a confermare la presa di posizione: «La linea sul Muos è molto chiara e in questi giorni il governo è al lavoro sul dossier. Qualsiasi altra esternazione o posizione assunta da esponenti non appartenenti all'esecutivo è da considerarsi espressione del singolo soggetto politico, non del ministero della Difesa e men che meno del governo. L'unica voce ufficiale sul tema è e sarà quella del governo». «Giampiero Trizzino dichiara guerra agli Stati Uniti. Siamo di fronte a follia politica e incompetenza strutturale. Il no al Muos è una scelta irrealizzabile tanto più che già c'è stato l'ok anni fa in Trattati sottoscritti tra Italia e Stati Uniti», commenta in una nota il deputato Gianfranco Librandi (Pd). «Uno dei tanti no dei Cinque Stelle viene a colpire il Muos ed è come fare guerra agli Stati Uniti. Si vuole infatti smantellare l'attività del megaradar satellitare di Niscemi ed è una crociata del deputato dell'Assemblea Regionale Siciliana Giampiero Trizzino. Forse ignora che è una scelta difficile primo perché implica la rottura di accordi già in essere da diversi anni e poi perché costerebbe una fortuna (20 miliardi) rompere questo tipo trattato e procedere allo smantellamento. Un ultimo aspetto riguarda anche la sicurezza che un simile apparato può garantire e che non va sottovalutata». Così in una nota la parlamentare Stefania Prestigiacomo (FI).

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Castro
Da corrieresalentino.it del 31 ottobre 2018

CASTRO (Lecce) – Il primo nucleo del Castello di Castro risale probabilmente al periodo compreso fra il XII ed il XIII secolo e venne edificato sul luogo di una precedente roccaforte bizantina. Fu il Re di Napoli Carlo I d’Angiò a definirlo nella seconda metà del XIII secolo: “Una fortezza di rilevanza strategica per la difesa del regno”, grazie alla sua posizione elevata che consentiva un ampio raggio di osservazione sul mare. A partire dal 1460, in seguito ai ripetuti assalti turchi, il Conte Giulio Antonio Acquaviva, ottenuti alcuni rinforzi di truppe, provvide a fortificare la città ed il castello.

Quando nel 1480 i Turchi presero Otranto, su disposizione del Principe di Calabria Alfonso d’Aragona furono dislocate alcune forze militari a Castro che, insieme a Roca, venne utilizzata come base per la riconquista della città. In questo periodo al castello fu aggiunto un torrione cilindrico munito di scarpa. Nel 1537 il Sultano Solimano II inviò lungo il litorale adriatico il pirata Barbarossa, che decise di attaccare proprio Castro. Il comandante della piazza, Antonio Gattinara, rifiutò di arrendersi ed i Turchi assediarono la città, conquistandola e costringendo gli abitanti a fuggire. Successivamente, dopo che i pirati si furono ritirati, la città fu ripopolata.

Nel XVI secolo furono proprio i Gattinara, Signori di Castro, a ricostruire in luogo della vecchia roccaforte una nuova fortezza a pianta quadrilatera, con quattro bastioni ed un terrapieno. Ulteriori assalti spinsero nella seconda metà del XVI secolo il Viceré Don Pedro de Toledo a rinforzare ulteriormente la fortezza con la costruzione di un bastione a sperone, nominato Torre del Catalano, per la difesa della Porta Terra, e di una cinta muraria di forma pressoché esagonale allungata che inglobava le torri della cortina medievali. I lavori furono commissionati all’ingegnere militare Tiburzio Spannocchi di Siena. Durante il XVIII secolo cominciò la lenta decadenza del castello sino a quando, su richiesta del prelato Monsignor Del Duca, il Re di Napoli Ferdinando IV non ordinò l’effettuazione di alcuni lavori di restauro. Attualmente il maniero appartiene al Comune di Castro, che ha effettuato diversi interventi di conservazione e restauro, ed ospita al suo interno il Museo Civico. Il Castello di Castro si presenta a pianta rettangolare con quattro torri di differenti forme agli angoli. L’ingresso avveniva scavalcando il fossato grazie ad un ponte levatoio non più esistente. Nel cortile una volta esisteva una scala, ormai rimossa, che consentiva l’accesso ai piani superiori. Cosimo Enrico Marseglia

 

IL PROGETTO DI RICOSTRUZIONE DEL PRINCIPALE BALUARDO VERSO I VALICHI ALPINI VALDOSTANI: IL FORTE DI BARD
Da STORIA DELL’URBANISTICA ANNUARIO NAZIONALE DI STORIA DELLA CITTÀ E DEL TERRITORIO del 10/2018

di Chiara Devoti
Tra i baluardi alpini di primo rilievo la fortezza di Bard ha sempre occupato una posizione di preminenza. Eppure, le mutate condizioni della guerra «à la moderna» prima, poi delle campagne napoleoniche, ne sanciscono un inarrestabile declino, cui i diversi ingegneri militari inviati dal duca di Savoia e poi dal re di Sardegna cercano di porre un freno con interventi di modernizzazione e di rinforzo. Il giudizio impietoso di Carlo Morello, inviato in sopralluogo nel 1622 da Carlo Emanuele I, di «un recinto di muraglia con alcuni risalti di poca considerazione»1, peraltro facilmente aggirabile, come era ben noto, pesa a lungo nella ricerca di maggiore rispondenza alle mutate esigenze strategiche senza che gli emendamenti proposti siano poi effettivamente risolutivi. Durante la Guerra di successione spagnola, il 7 ottobre 1704, la fortezza capitola (ma non per carenze difensive, per il tradimento del proprio comandante), e nel 1706 si dimostra ancora un baluardo in grado di reggere gli assalti, tuttavia i rinforzi attestati da un noto disegno attribuito al Garove2 o non vennero eseguiti se non parzialmente, o si rivelarono insufficienti, ma certamente il forte non era più considerato militarmente affidabile, né sarebbero stati sufficienti gli scarsi ripari apportati alla conclusione della contesa, quando in ogni caso ormai la Valle d’Aosta non è comunque più priorità strategica. Sul finire del Settecento (1792), l’introduzione della cosiddetta «teppata», una batteria in terra e zolle, è segno distintivo della presenza di progetti di rinforzo da parte del Genio Militare, ma ancora una volta in modo inefficace se la fortezza cade allo scoccare del secolo. Il disegno del 1797, firmato V. Denis3, e legato proprio alla presa del baluardo, mostra un’efficace delineazione, da parte del francesizzato misuratore già a servizio della corona, Vincenzo Denisio4, della situazione di Bard e delle aree immediatamente limitrofe, quali l’abitato di Jacquemet con il ponte di scavalco sul corso della Dora e le alture di Albard (qui indicate per contrasto con la «plaine d’Alebard»), da sempre sede di batterie difensive, perfetto contraltare a un rilevamento più tardo (e di ruderi), che precede la totale ricostruzione operata negli anni trenta dell’Ottocento [fig. 1]. Al passaggio di Napoleone, nel 1800, sono proprio le alture di Albard a dimostrare la loro vulnerabilità: aggirate e prese diventano il punto dominante dal quale cannoneggiare sul forte che, dopo due settimane di strenua, impossibile, resistenza, capitola. Complemente atterrato, resta come un mozzicone privo di ogni reale funzione fino alla decisione (1827) di Carlo Felice di una completa ricostruzione, poi conclusasi in età carloalbertina (1838). Ne rende conto uno strepitoso atlante illustrato, in grande formato, preceduto da una lunga relazione redatta, come i disegni stessi, da Antonio Olivero, nel suo Mélanges historiques sur la Vallée d’Aoste dépuis le Xme siècle jusqu’au Siège de Bard en 1800 par A. Olivero Officier Supérieur du Génie Directeur des travaux pour la construction du nouveau Fort, 1838 5. Il manoscritto, dedicato già a Carlo Alberto, si compone di quasi duecento pagine di testo che precedono la parte iconografica, formata da diciotto tavole, splendidamente acquerellate6. Dei cinque capitoli della relazione, quelli di maggior rilievo riguardano lo scorcio del XVIII secolo e il celebre episodio di assedio e distruzione operati dalle truppe napoleoniche, formando il necessario preambolo al progetto di ricostruzione proposto7. La descrizione del contesto anche paesaggistico del forte ha il suo peso8 e serve a meglio rendere comprensibile l’arditezza della nuova proposta, che segue l’andamento scosceso del «rocher», ossia dello sperone roccioso, e digrada verso la Dora e la cui posizione è militarmente confermata come indubbiamente propizia9. Le annotazioni di Olivero, a corredo di una tavola sciolta di cui si parlerà tra poco, rilevano come la scelta di ricostruzione confermi comunque la posizione che era propria della precedente fortezza, ancora considerata da tenersi: «1830. S.M. il Re Carlo Felice ordina la ricostruzione della fortezza sul luogo stesso dove esisteva prima, ed i lavori sono tosto intrapresi e regolarmente proseguiti negli anni successivi»10. Anche quella che viene definita «ville de Bard», e quindi non villaggio e nemmeno borgo, ma città a tutti gli effetti, appare come luogo per il quale comunque persistono ampie potenzialità11, ben lontano da quell’immagine delle «tristes bourgades» consolidata dalle prime guide di Ottocento12.

Il progetto è ampiamente definito da alcune tavole relative alla relazione tra quanto rimaneva della pregressa fortificazione – sia a livello di rudere, sia come opera ancora in qualche misura impiegabile – ossia il piano topografico, in doppio formato, alla tav. 10, il rilevamento di dettaglio all’1:2000, in formato triplo, alla tav. 11, la pianta, in formato doppio, alla tav. 9 [fig. 2], le sezioni in scala 1:500 alla tav. 12, pianta e sezione del corpo di guardia (1:500) alla tav. 14, mentre una serie di disegni, del 1834, a cantiere ampiamente avviato, quando Olivero è direttore dei lavori, riportano ancora sezioni di caserme e resti di antiche strutture (tav. 13), i corpi di guardia Cornalei e Isserts (tavv. 15, 16) in pianta e sezione, tutti in scala 1:50013. Una tavola riassuntiva, di notevole qualità formale, sia nell’impaginato, sia nel segno grafico, sciolta dall’album, raggruppa in un angolo il rilievo delle fortificazioni smantellate («vestigia dell’antico Forte») in giallo, mentre rosa, verde, azzuro e bruno definiscono la grande pianta annotata al centro e le sezioni dei profili longitudinali a contornarla14 [fig. 3]. Il progetto porta la capienza del forte a 416 uomini15, con 50 bocche da fuoco di vario calibro e depositi per munizioni in grado di renderlo autonomo per tre mesi16; il costo della realizzazione, già previsto di 1.975.938,40 lire, si è poi ridotto di ben 276.104,62 lire, denotando anche l’efficienza dell’esecuzione, volta a non sprecare inutilmente preziose risorse. Questa annotazione, enfatizzata nel lungo resoconto economico dei lavori, entro il riquadro denominato «Annotazioni», coincidente a quello richiamato in apertura come «Specchio della Spesa occorsa per la riedificazione della Fortezza di Bard», assieme alle «Notizie cronologiche sulla Fortezza di Bard sino al 1835», completate dalla lista dei «Governatori e Comandanti di Bard in varie epoche» occupa tutto il lato sinistro del disegno, andando ad arricchire e rendere più completa la tavola, mentre sul lato destro si colloca la lunga sezione trasversale dello «spaccato sulla linea BBB», parte del rilievo dei ruderi (che sta in gran porzione al centro assieme allo «spaccato sulla linea AAA»), e la legenda testuale dei «Segni convenzionali». Anche a un primo impatto visivo il grande impianto del «Forte Carlo Alberto» – protetto dall’«Opera Vittorio» a mezza costa e dall’«Opera Ferdinando» verso il fiume, nonché sul fianco verso il borgo (qui peraltro chiamato più propriamente «villaggio di Bard» con conseguente fine del ruolo urbano! e preceduto verso Aosta dal non piccolo «Sobborgo di Jacquement») dall’«Opera Supplementaria» – mostra tutta la sua compatta, massiccia forza, quella stessa che ancora oggi stupisce chi, procedendo sulla assai più recente autostrada, prima di poter imboccare la strada della piana, trova di fronte a sé un imponente, invalicabile, sbarramento grigio come la roccia scoscesa sulla quale si erge.

Fig. 1. Le relazioni territoriali tra il baluardo roccioso su cui si erge il nuovo Forte di Bard nel progetto del colonnello Olivero e il borgo omonimo appaiono evidenti nella veduta dall’alto. Da parte opposta, fuori dall’immagine, si colloca, a scavalco del corso della Dora Baltea, il ponte, più antico, di Jacquemet.

1 Carlo Morello, Avvertimenti sopra le fortezze di S.A.R., 1656. BRT, Militari 178, riportato e commentato in Micaela Viglino, Chiara Devoti, Aspetti dell’età moderna nell’architettura valdostana (secoli XVI-XVIII), in Sergio Noto (a cura di), La Valle d’Aosta e l’Europa, 2 voll., L.S. Olschki, Firenze 2008, I, pp. 293-331, in particolare la sezione di Viglino relativa a Le fortificazioni di età moderna e il presidio della Valle, e in specifico p. 305.

2 La pianta, datata al 1704, in BRT, Disegni, II 85, è firmata semplicemente «G.», ma l’attribuzione al Garove risulta dall’antica schedatura (O V 72) ed è riportata ancora da Viglino che pure avanza qualche perplessità.

3 V. Denis, Plan du fort de Bard avec le Camp pris en 179[7]. ASTo, Corte, Carte topografiche segrete, Bard, 14 AI. rosso.

4 Vincenzo Denisio è misuratore costante sui beni soprattutto delle Commende appartenenti al patrimonio dell’Ordine Mauriziano, tra cui specialmente quella magistrale; rimando a Chiara Devoti, Cristina Scalon, Disegnare il territorio di una Commenda Magistrale. Stupinigi, Ferrero, Ivrea 2012, in particolare alle schede relative ai documenti iconografici.

5 BRT, Storia Patria 140.

6 A Bard sono riservate in tutto nove tavole, di cui la prima è tratta dal Theatrum Sabaudiae, altre derivano dalla prima indagine sui ruderi della fortezza operata nel 1827 con rilievo di posizione e consistenza, cui seguono i dati sul progetto di ricostruzione, profilato come un’ombra sul rilievo dei ruderi. Ancora Viglino, Le fortificazioni di età moderna, cit., nota 74.

7 Il quinto capitolo, relativo alla Rélation du siège de Bard en 1800, è stato pubblicato a stampa con il titolo Relation du siège de Bard en 1800 par le général A. Olivero, Imprimerie Louis Mensio, Aosta 1888 come Extrait du quatorzième bulletin de la Societé académique religieuse et scientifique du Duché d’Aoste.


Fig. 2. Pianta della rocca di Bard rilevata nel 1827. Eugenio Olivero, Plan géométrique du rocher de Bard, lévé en 1827, et des fortifications, découvertes et lévées (BRT, Storia Patria, 140, Atlante, tav. 9).

8 «[…] Le rocher de Bard, placé entre la Doire et la ville, occupe avec sa masse presque tout l’espace de la gorge ; dans le sens longitudinal, il ne laisse à l’un de ses côtés, que le lit resserré de la rivière bordé sur la droite de son cours par le smontagnes escarpées du Porcil ; du côté opposé se trouve la ville formée de deux seuls rangées de maisons au milieu des quelles passe, comme dans un défilé, l’unique rue qui la traverse ; la rangée de maisons au sud est adossèe aux escarpéments d’Albarédo», Ibid., pp. 119-120.

9 «Concluons donc, en résumant tous les avantages militaires réunis dans la position de Bard, soit rélativement à la situation que par rapport à la structure de son rocher dominant tout à l’entour la campagne environnante, que peu de terrains dans les gorges des vallées offrent autant de convenances pour y eriger une forteresse», Ibid., p. 124.

10 Annotazione nelle Notizie cronologiche sulla Fortezza di Bard sino al 1835 sul fianco della tavola dedicata a Pianta e spaccati del forte di Bard. BRT, Disegni III, n. 76.

 


Fig. 3. Eugenio Olivero, Pianta e Spaccati del Forte di Bard, 30 luglio 1838 (BRT, Disegni III, n. 76).

11 «Fortifications de la Ville. Du côté tourné à Ivrée, l’entrée de la ville de Bard est protegée par deux enceintes, espacées entr’elles de 10. mètres, précédées d’un parapet de muraille, en crémaillère; l’enceinte la plus avancée a la forme d’un petit front dont les faces des bastions se prolongent sur les escarpements lateraux; les bastions se prolongent sur les escarpements lateraux; les bastions seuls sont terrassés; au milieu de la cortine était ouverte la porte par la quelle passait la route de la vallée; la porte avait devant elle un petit fossé surmonté d’un pont lévis; l’enceinte établie derrière le petit front bastionné, est une ligne droite et parallèle à la cortine du dit front; elle s’étend aussi à ses deux extrémités sur les escarpements latéraux; cette enceinte est formée d’une muraille assez élévée dont l’intérieur est renforcé par des voûtes en décharge sur l’extrados des quelles se plaçaient les défenseurs; tout près de l’endroit où la route de la vallée perçait cette enceinte on avait construit un corps de garde extérieurement et contre la même […]. A quelques pas on avait du palais des Comtes de Bard, sur le bord à droite de la route, l’entrée du côté d’Aoste de la ville de Bard, est assurée par un corps de garde dont une des voûtes surmontait la route même; le passage était, ici, intercepté par une barrière; une ligne de retranchement en pierre et chaux s’étend depuis le corps de garde sur les rochers qui entourent le palais et se terminent au sentier de la Bardetta, qu’ils ferment, en une petite tour ronde, ouverte à la gorge; quelques autres portions de retranchemens en pierre à sec précédents, vers Jacquemet, sur ces mêmes hauteurs, la ligne décrite. Le bord de la route, du côté de la Doire, était bordée depuis le corps de garde, d’un parapet très solide, élévé de 2 mètres, percé de créneaux et d’embrasures; ce parapet s’étendait jusqu’à l’endroit où la route était, dans un petit trajet, couverte aux feux et à la vue même du fort; là où se trouvait une simple barrière qui fermait la route». Ibid., pp. 133-134.

12 È la definizione che campeggia nella celebre e assai diffusa opera di Amé Gorret, Claude Bich, Guide de la Vallée d’Aoste, Tipografia Mensio, Torino 1877, ristampa anastatica ITLA, Aosta 1965. Per una lettura di quest’immagine a suo modo stereotipata, dove Bard è ridotto alla condizione di «paesetto» costretto dal forte, Chiara Devoti, Paesaggio e insediamenti storici alpini: i borghi valdostani lungo la viabilità transfrontaliera, in Mauro Volpiano (a cura di), Territorio storico e paesaggio: metodologie di analisi e interpretazione (Quaderni del Progetto Mestieri Reali, 3), L’Artistica, Savigliano 2011, pp. 187-197.

13 Ancora Viglino, Le fortificazioni di età moderna, cit., nota 75.

14 Antonio Olivero, Colonnello del Corpo Reale del Genio Militare, Pianta e spaccati del forte di Bard, 30 luglio 1838. BRT, Disegni III, n. 76. Sul fianco destro in alto la legenda dei «Segni convenzionali» annota: «Il nero caricorappresenta avvanzi ancora esistenti delle antiche difese. Il detto colore meno carico denota le abitazioni ed i fabbricati civili. Il rosso indica le nuove costruzioni. Le opere demolite all’epoca della riedificazione della Fortezza sono distinte col color giallo».

15 L’annotazione contrassegnata con «N.b.» in alto al centro recita: «La fortezza è capace di contenere sul piede di casermamento una forza di 416 uomini ed il doppio in accantonamento»

16 Ibidem.

 

IL PROGETTO DEL COMUNE - Illuminare i bastioni per renderli sicuri
Da tgverona.it del 31 ottobre 2018

Illuminare i bastioni e la cinta magistrale cittadina per renderla più bella, vivibile e più sicura. Il progetto presentato dall’amministrazione è in linea con l’idea di città prevista dalla variante 29 e, in particolare, con la valorizzazione delle mura magistrali e la cintura dei forti. In realtà, come precisato dall’assessore alla Pianificazione urbanistica Ilaria Segala, la stesura del progetto è stata avviata nel 2011, dopo che il Comune aveva ottenuto un finanziamento di 95 mila euro dal MIBAC per il piano di illuminazione della cinta muraria. Terminato nel 2015, il progetto era stato poi accantonato, lasciando alle mura la sola luce solare. La giunta così ha deciso di approvare un vero e proprio piano urbanistico, uno strumento cioè che può essere realizzato in più stralci, ma che è fondamentale per le linee guida dei futuri interventi. Il piano, che sarà valutato dalla Soprintendenza, stabilisce infatti quali tipologie di luci usare, i colori, le forme, le modalità di utilizzo, fornendo direttive e prescrizioni per la progettazione dei singoli contesti.

A testare il piano di illuminazione pubblica saranno per primi Porta Palio e Bastione Santo Spirito, per i quali la progettazione definitiva è già in fase avanzata. L’obiettivo è quello di rendere le mura riconoscibili e identificabili, ma anche permettere a cittadini e turisti di accedervi in sicurezza. “Le mura magistrali sono uno dei motivi per cui siamo città patrimonio dell’Unesco – ha detto l’assessore Segala -. Negli ultimi anni sono state un po’ dimenticate, noi invece abbiamo intenzione di recuperare il tempo perso, perché crediamo che il nostro patrimonio storico-monumentale sia una ricchezza da tutelare e valorizzare. Partiamo in via sperimentale a Porta Palio e Bastione Santo Spirito, per chiudere la progettazione complessiva delpiano urbanistico attuativo entro l’anno prossimo”.

 

Finalmente partiti i lavori per il cantiere del Torrione degli Spagnoli
Da voce.it del 31 ottobre 2018

Iniziati in piazza Martiri e dietro al torrione di Galasso Pio i tanto attesi lavori di ristrutturazione e restauro di quella parte del castello.

L’annuncio lo aveva anticipato l’assessore e vicesindaco Simone Morelli il 28 del mese scorso: “Assegnati i lavori di restauro del torrione degli spagnoli”.

All’annuncio però, con tanto di incontro di presentazione alla stampa dell’impresa appaltatrice, la Bottoli di Mantova, si pensava avrebbe fatto seguito l’immediata cantierizzazione dell’opera di consolidamento e restauro del torrione che fu di Galasso Pio.

Invece, per quattro setitmane, niente. (ci scusiamo per il precedente refuso, dovuto al fatto che la narrazione del restauro è stata a lungo soprattutto un...torrone)

 

Marina Militare: a Taranto l’esercitazione di ricerca di sottomarini sinistrati
Da pressmare.it del 31 ottobre 2018

31 ottobre – E’ in corso di svolgimento fino al 09 novembre 2018, nelle acque prospicienti Ginosa Marina nel Golfo di Taranto, l’esercitazione Submarine Escape Rescue Exercise 2018 (SMEREX 2018) per la ricerca, soccorso e fuoriuscita da sommergibile sinistrato. L’obiettivo dell’esercitazione è quello di testare la catena di allarme ed il sistema nazionale di ricerca e soccorso basato sul sistema satellitare impiegato normalmente per la ricerca e la localizzazione di navi in difficoltà denominato COSPAS-SARSAT, verificando il corretto svolgimento di tutte le procedure per trarre in salvo l’equipaggio di un sottomarino posato sul fondo a seguito di un’avaria. Quest’anno l’esercitazione avrà un carattere internazionale e vedrà la partecipazione del sottomarino greco Matrozos, della classe U214, del personale dell’ISMERLO (International Submarine Escape and Rescue Liaison Office) e, per la Marina Militare, del Sommergibile Romei, classe Todaro tipo U212A.

Il ruolo di soccorritore è affidato alla nave di salvataggio e soccorso sommergibili Anteo della Marina Militare italiana che imbarca, tra gli altri sistemi di ricerca e soccorso, un minisommergibile SRV 300. Alle varie fasi dell’esercitazione partecipa il nucleo di pronto intervento aviolanciato SPAG (Submarine Parachute Assistant Group) del Gruppo Operativo Subacquei (GOS), supportato dallo SMERAT (Submarine Escape and Assistance Group) del Comando Subacquei ed Incursori (COMSUBIN) di La Spezia. Il soccorso ai sommergibili svolto dal COMSUBIN, vera e propria eccellenza in campo subacqueo del nostro Paese riconosciuta anche all’estero, è una peculiarità unica nel contesto delle Marine del Mediterraneo e rientra nell’ambito delle molteplici capacità che la Marina Militare pone al servizio della collettività nell’ambiente marino. In virtù di questo, alla SMEREX 2018 saranno presenti in qualità di osservatori anche i rappresentanti delle marine del Brasile, Cile, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Francia, Israele, Olanda, Pakistan, Russia, Turchia e Spagna.

Il 07 novembre si svolgerà presso la Scuola Sommergibili di Taranto il media day dell’esercitazione e ai giornalisti accreditati sarà data la possibilità di assistere da bordo di nave Anteo ad uno degli eventi addestrativi che vedrà coinvolto il sottomarino Romei. I giornalisti accreditati saranno attesi dalle ore 08.15 alle 08.45 presso la porta Principale dell’Arsenale MM di Taranto - Piazza Amm. Cattolica, 1. PROGRAMMA DEL GIORNO 07 NOVEMBRE 08:30 - 09:00 afflusso stampa presso la Sala Conferenze del Comando Flottiglia Sommergibili presso l’Arsenale M.M. Taranto – Scuola Sommergibili; 09:00 - 10:00 presentazione della IT SMEREX 2018 e visita al Simulatore di Rush Escape; 10:00 – 10:30 trasferimento da banchina Sommergibili a bordo di Nave Anteo in zona di operazioni; 10:30 - 14:00 visita a bordo e possibilità di interviste a equipaggio/operatori GOS da parte della stampa; 14:00 - 17:00 esercitazione di soccorso; 17:00 - 17:30 rientro a Taranto presso Banchina Sommergibili.   

 

IL DESIDERIO DI MORTE NUCLEARE IN  AMERICA – L’EUROPA DEVE RIBELLARSI
Da controinformazione.info del 30 ottobre 2018

di Finian Cunningham

L’amministrazione della Trump, dichiarando la demolizione di un trattato cruciale sul controllo degli armamenti, sta mettendo in guardia il mondo da una guerra nucleare, prima o poi. Qualsiasi guerra del genere non è vincibile. È una distruzione assicurata reciprocamente. Eppure gli arroganti governanti americani – alcuni di loro almeno – sembrano essere illusi nel pensare di poter vincere una simile guerra. Ciò che rende la posizione americana ancora più esecrabile è che viene sospinta da persone che non hanno mai combattuto una guerra. Infatti, da persone come il presidente Donald Trump e il suo falco consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, personaggi che hanno entrambi evitato il servizio militare nel loro paese durante la guerra del Vietnam. Cosa è questa se non una macabra beffa ? Il mondo è stato sospinto in guerra da un gruppo di vigliacchi che non sanno nulla della guerra. Trump ha annunciato la scorsa settimana che gli Stati Uniti stanno finalmente tirandosi fuori dal Trattato sulle Forze Nucleari a raggio Intermedio (INF), una mossa confermata da Bolton in un viaggio di follow-up a Mosca. Quel trattato fu firmato nel 1987 dall’ex presidente Ronald Reagan e dal leader sovietico Mikhail Gorbaciov. È stato un importante risultato di cooperazione e fiducia tra le superpotenze nucleari. Entrambe le parti hanno rimosso missili nucleari a corto e medio raggio dall’Europa. Con Trump che intende stroncare il Trattato INF, come il suo predecessore GW Bush aveva fatto con il Trattato Anti- Ballistic Missile (ABM) nel 2002, l’Europa si trova ora di fronte alla disastrosa prospettiva di reinstallare missili americani sul suo territorio come lo era stata nel 1980. Tuttavia, una grande distinzione tra allora e adesso è che dopo anni di espansione da parte della NATO, il territorio europeo è ancora più in grado di interfacciarsi con il cuore della Russia. Quando il trattato INF è stato attuato tre decenni fa, gli arsenali nucleari statunitensi e russi sono stati seriamente rimandati al livello strategico dei missili balistici intercontinentali (ICBM) confinati nelle rispettive masse terrestri separate da migliaia di chilometri. Come Igor Korotchenko, caporedattore di Natsionalnaya Oborona, ha detto al canale di notizie russo Vesti, gli ICBM hanno in  enere un tempo di volo di 30 minuti dal lancio. Quel gap temporale avrebbe dato ai sistemi di difesa russi il tempo di rispondere efficacemente a un bombardamento in arrivo dagli Stati Uniti, e viceversa.

Ma, come ha osservato Korotchenko, l’imminente installazione di missili a raggio intermedio da parte degli americani negli stati europei ridurrà il tempo di volo di un possibile attacco nucleare USA sulla Russia a un paio di minuti, persino secondi. Ciò metterebbe seriamente in discussione le difese antimissili russe, oltre a innalzare notevolmente il margine di errore nel rilevamento di un attacco, portando forse a un’errata escalation. In altre parole, l’equilibrio strategico è stato messo in disgregazionedagli Stati Uniti sull’INF, così come è stato nuovamente gettato nel caos nel 2002, quando Bush ha distrutto l’ABM. Questo presenta anche agli americani la tentazione di esercitare la loro “dottrina del primo colpo”. Nella pianificazione militare statunitense, ci si riserva il “diritto” di utilizzare un attacco preventivo. Al contrario, il presidente russo Vladimir Putin ha ribadito nuovamente la scorsa settimana che la Russia non utilizzerà mai un’opzione di primo colpo, che userebbe le armi nucleari solo come azione difensiva. Ricordiamo che all’inizio di questo mese, l’inviato americano della NATO, Kay Bailey Hutchison, ha affermato che le forze americane avrebbero “distrutto” i missili russi se si riteneva violassero l’INF. È stata un’espressione terrificante della prerogativa di un attacco preventivo che Washington si concede, anche se le informazioni su cui si basano per azione sono altamente discutibili.

Mettendo insieme la logica americana si può dire che i governanti degli Stati Uniti hanno un desiderio di portare la morte sul pianeta. Con l’imprudenza criminale, si stanno muovendo per allentare i controlli internazionali sullo schieramento di armi nucleari e stanno creando una situazione in Europa che mette la guerra nucleare sul filo di un capello. Mosca ha promesso la settimana scorsa che risponderà “militarmente” se Washington andrà avanti con la demolizione del Trattato INF. Ci si può aspettare che la Russia neutralizzi dispiegando missili a raggio più corto che metteranno l’Europa alleata della NATO nella linea di fuoco. Sicuramente, gli stati europei devono chiedersi quale tipo di alleati avrebbero dovuto avere negli Stati Uniti. Che tipo di alleato mette i suoi presunti amici nella linea di fuoco, sotto la scusa di “proteggerli”, mentre rimane a una distanza relativamente più sicura? L’Unione europea ha reagito all’annunciato ritiro di Trump dal trattato INF con orrore. L’UE chiede agli Stati Uniti di aderire al trattato e di negoziare con la Russia le presunte denunce. Il presidente francese Emmanuel Macron ha telefonato a Trump, facendo notare che il trattato è stato un elemento vitale per la pace dell’Europa negli ultimi 30 anni.

Washington ha sostenuto negli ultimi quattro anni, dall’amministrazione Obama, che la Russia sta violando l’INF presumibilmente sviluppando missili da crociera a medio raggio e lanciati a terra. Mosca ha ripetutamente negato le affermazioni, sottolineando che gli americani non hanno presentato prove per sostenere le loro accuse. Washington dice che le sue informazioni sono classificate e quindi non possono essere rivelate pubblicamente. Questo non è affatto convincente se si considerano i passati inganni americani sulle armi di distruzione di massa in Iraq, Iran e Siria. In ogni caso, sono gli americani che stanno creando un grosso problema sulle presunte violazioni della Russia dell’INF.

Se gli europei erano davvero preoccupati, perché non hanno sollevato un polverone? Il fatto che gli europei stiano supplicando Washington di aderire all’INF suggerisce che non sono convinti dalle accuse secondo cui dalla Russia proviene una minaccia missilistica. Inoltre, se ci sono dispute e reclami da parte americana, allora lascia che questi problemi vengano sbrogliati attraverso la diplomazia e negoziati. Trump sta dicendo che gli Stati Uniti vogliono invece intensificare le tensioni e i rischi della guerra in modo così avventato.

Ciò tradisce la sua vera agenda di cercare di militarizzare i problemi, piuttosto che esplorare soluzioni politiche. La differenza sembra che gli Stati Uniti non abbiano effettivamente una valida argomentazione politica, quindi devono esercitare il proprio potere attraverso il militarismo come mezzo per nascondere la sua mancanza di validità razionale. Il problema alla radice delle tensioni e delle presunte violazioni del trattato INF deriva dalla configurazione a guida statunitense delle forze militari che invadono sempre più il territorio russo. Se gli Stati Uniti fossero sinceramente interessati a garantire la sicurezza e la pace in Europa, ascolterebbero la preoccupazione della Russia per la provocatoria espansione delle forze NATO guidate dagli Stati Uniti verso il confine occidentale russo.

Quando Reagan firmò l’INF con Gorbaciov, fu la comprensione e l’impegno da parte degli Stati Uniti a non far avanzare le proprie forze armate verso la Russia “di un pollice”. In 30 anni, le forze americane hanno spinto dalla Germania fino al Mar Baltico e il Mar Nero alle porte della Russia. Washington sta cercando di arruolare l’Ucraina e la Georgia nell’alleanza NATO, e in effetti sta conducendo esercitazioni di guerra con questi due ex Stati dell’Unione Sovietica che condividono i confini con la Russia.

Se gli Stati Uniti reintroducono missili nucleari a medio raggio con tempi di volo su Mosca ridotti in pochi secondi, possiamo constatare che l’abbandono dell’INF è un grave spartiacque verso la guerra nucleare. La via d’uscita da questo atroce dilemma non è solo il mantenimento del Trattato INF. Inoltre, dovrebbe esserci un ridimensionamento generalizzato delle forze della NATO in Europa sui fianchi occidentali, settentrionali e meridionali della Russia.

Proprio in questo mese, la NATO sta attuando le sue più grandi manovre di guerra dopo la Guerra Fredda nella regione artica al confine con la Russia con 50.000 soldati, accompagnata da una raffica di voli di sorveglianza sulle coste della Russia. La pazzia del desiderio di morte dell’America per la guerra nucleare deve finire. La classe dirigente americana non la fermerà perché la loro mentalità di desiderio di morte è talmente soffusa di arrogante cieca tracotanza e ignoranza ed è così parte integrante del funzionamento “normale” del loro complesso capitalistico-industriale militare. La Russia mantiene la linea con le sue indubbie capacità militari e la sua prudenza  diplomatica di principio.

Ma è  tempo che gli europei facciano un passo avanti sul terreno e che esercitino una certa influenza sugli americani. Per cominciare, gli stati dell’UE dovrebbero dire a Trump che qualsiasi piano di reinstallazione di armi nucleari a medio raggio sul loro territorio non è ammissibile. In secondo luogo, gli europei devono ridimensionare l’espansione della NATO verso il territorio russo. In terzo luogo, hanno bisogno di dire a Washington che la Russia è un partner, non uno stato paria da abusare a vantaggio del militarismo americano e delle ambizioni egemoniche. Gli europei lo faranno? I loro leader potrebbero non avere la spina dorsale, ma i cittadini europei dovranno, se vogliono impedire al loro “alleato” americano di incitare un cataclisma nucleare. L’arroganza americana sta fomentando una ribellione europea contro i propri leader criminali che desiderano far morire milioni di persone innocenti. Fonte: Strategic Culture Traduzione: Luciano Lago 

 

Rocca di Verrua, la fortificazione spartiacque tra Torino e Vercelli
Da mole24.it del 30 ottobre 2018

In passato la Rocca di Verrua divideva il Marchesato del Monferrato e il Ducato di Savoia. Oggi fa da confine tra Torino e la provincia di Vercelli.

Costruita tra il X e XI secolo, si sente menzionare per la prima volta la Rocca di Verrua, in documento di Ottone III di Sassonia. La fortificazione è posizionata su una collina sulle sponde del Po e come abbiamo detto, ancora oggi, fa da confine tra Torino e Vercelli. Un altro documento che ne ha parlato è del 1167, quando l’Imperatore del Sacro Romano Impero, Federico Barbarossa, di ritorno da Roma, vedendosi rifiutare il passaggio nella fortezza, rase al suolo le fortificazioni e il borgo al suo interno. Ma è nel XIV secolo che la Rocca di Verrua diviene protagonista; viene utilizzata come punto strategico dato che controllava la pianura vercellese, il Po e le attuali province di Alessandria, Asti e Vercelli. Inoltre in questo periodo cadde nelle mani della dinastia Savoia e, nonostante i marchesi del Monferrato (che l’avevano persa) tentarono più volte di riconquistarla, fallirono sempre. La Rocca resistette a numerosi assedi, soprattutto a quello del 1704 conto i franco-spagnoli durante la Guerra di successione spagnola. Il suo punto strategico lo utilizzò persino Napoleone che la usò come ricovero per i suoi soldati feriti e invalidi. Nel 1957, dopo tanti anni in cui è stata abbandonata, viene venduta a un’azienda molto importante la quale estrasse della marna dalla collina nelle immediate vicinanze. Nel 2007 la Famiglia Piazza ha donato la Rocca alla Fondazione Eugenio Piazza Verrua Celeberrima – Onlus che si occupa della sua organizzazione culturale. Di recente il sito è stato restaurato cosicché tutti possano apprezzarne la bellezza.

Costruzione

Prima dell’assedio del 1704, la Rocca era circondata da un muro di cinta e quattro bastioni: il Bastione della Vigna, il Bastione dell’Alle, il Bastione di Camus e il Bastione di Santa Maria. La parte principale era formata da: il Dongione, le Caserme del soldati e un pozzo. Qua sotto c’era il Borgo di Verrua costituito da: Quartiere degli Ufficiali, Piazza Reale, Casa del Governatore, Caserme della Chiesa, Chiesa di San Giovanni Battista e Caserma del Soccorso. Al centro della piazzaforte sorgevano i magazzini a prova di bomba contenenti munizioni e armi. L’unica parte visibile oggi è il Dongione con le relative strutture e il Ponte del Soccorso, il solo ingresso raggiungibile di quel periodo. By Carmen Terrazzino
Informazioni
Loc. Rocca – 10020 Verrua Savoia (TO)
Telefono 01119838708
fondazione.piazza@alice.it

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Ducale di Ceglie Messapica
Da corrieresalentino.it del 28 ottobre 2018

CEGLIE MESSAPICA (Brindisi) – Il primo nucleo del Castello Ducale di Ceglie Messapica risale probabilmente alla fine dell’XI secolo, negli anni compresi fra il 1070 ed il 1100, ed era costituito da una classica torre normanna, con funzioni di difesa, controllo ed avvistamento. Primi a risiedervi furono i componenti della famiglia Pagano. Durante le successive dominazioni sveva ed angioina furono effettuati diversi ampliamenti con l’elevazione di nuove strutture difensive tra le quali tre torri cilindriche, databili al periodo compreso fra i secoli XII e XIII. Sotto la dominazione aragonese, per la precisione nel 1484, dopo diversi passaggi di proprietà il Castello giunse alla famiglia Sanseverino, promotrice di nuovi ampliamenti e nuove costruzioni, fra i quali la Torre Quadrata con la sua altezza di 34 metri, risalente al XV secolo.

Nella prima metà del XVIII secolo i Sanseverino cedettero la fortezza ai Lubrano e, da quel momento, questa cambiò diversi proprietari sino a giungere ai Verusio che, però, nella prima metà del XX secolo cominciarono a frazionarlo per esigenze ereditarie. Nel contempo ebbe inizio una fase di decadimento della struttura, puntualizzata anche dal crollo di volte e controsoffitti lignei. Attualmente il castello è in parte privato ed in parte proprietà dell’amministrazione comunale che ne ha acquisito diverse aree, tra cui la Torre Normanna e la Torre Quadrata, che attualmente non sono visitabili, oltre ad alcuni ambienti attigui. Le aree pubbliche ospitano la Pinacoteca Emilio Notte e la Biblioteca Pietro Gatti, mentre la zona privata appartenente ad un ramo della famiglia Verusio e che oltretutto è quella meglio conservata, è arredata ancora con mobilia ed arredi originali e comprende anche il giardino. La fortezza sorge nella parte più alta del paese, su uno dei due colli sui quali si sviluppa l’abitato. Un grande portale con arco a tutto sesto ed un ingresso con volta ogivale permettono di accedere in un cortile di forma irregolare, sulla cui sinistra si erge la Torre Normanna affiancata dalla Torre Quadrata.

Nelle immediate vicinanze vi è un pozzo con colonne da cui, secondo un’antica tradizione, durante i periodi di siccità la cittadinanza poteva attingere acqua. L’intero cortile è corredato con scudi e blasoni della varie famiglie succedutesi. Sul lato opposto all’ingresso c’è una scala ed un portale del XVI secolo che permettono l’accesso all’area residenziale formata da una Sala del Consiglio, un vestibolo con volta affrescata nel XVI secolo ed un corridoio che permette di entrare in ambienti dotati di camini in pietra in stile monumentale. All’esterno, lungo l’area perimetrale, si incontrano le tre torri cilindriche.  di Cosimo Enrico Marseglia

 

Enna, cosa rende speciale il Castello della Lombardia
Da turismo.it del 28 ottobre 2018

Enna e la sua provincia vantano una posizione privilegiata al centro della Sicilia. Il sua grande patrimonio naturalistico, storico e culturale offre un’ampia scelta di attrazioni. Gli appassionati di storia ed architettura ben si fanno affascinare dal Castello di Lombardia, l’edifico simbolo di Enna. Si tratta del già grande ed antico castello del periodo medievale ancora esistente nell’isola, e vanta anche di essere uno dei più grandi in Italia con i suoi 26 mila mq. Prende il nome da una guarnigione di soldati lombardi che all’epoca della dominazione normanna si era stabilito nella zona. Non sono note le sue origini, anche se documenti risalenti al 1145 ne parlano. Venne realizzato per difendersi dagli invasori, a circa 970 metri di altitudine, cosi da permettere alla città, allora chiamata Henna, di assumere un ruolo di primo piano tra le polis greche della Sicilia. Dopo il dominio romano il castello venne rifondato dagli Arabi intorno al X secolo e successivamente rimaneggiato con altri interventi di rifacimento durante il regno di Ruggero II di Sicilia e sotto Federico II: a quest’ultimo si deve la realizzazione di 20 torri al fine di irrobustire i muraglioni stretti attorno agli atri residenziali. Fu in questo periodo che crebbe l’importanza del Castello, diventando uno dei fortini più inespugnabili d’Italia. Delle 20 torri oggi ne rimangono solo sei, tra cui la Torre Pisana dalla quale si gode un panorama spettacolare grazie al quale, data la sua vastità, ci si rende conto visivamente come Enna sia l’Umbilicus Siciliae. Una scala, scavata sulla roccia ed ora rifatta con materiali moderni, immette in uno spazio allungato, limitato da una cinta muraria. Qui si apre la porta d'accesso al primo cortile denominato Piazza degli Armati. Lungo la rampa che conduce al cortile centrale sono visibili le mura bizantine e tracce di rovine del castello. Tra il secondo e terzo cortile il Piazzale di San Nicola, quello meglio conservato, era la sede degli appartamenti reali: svetta qui la Torre Pisana e qui si trovano le stanze del re. Proprio la suddivisione in tre cortili è la caratteristica fondamentale del castello e quella per cui era inespugnabile. Ogni ambiente, infatti, era stato strutturato in modo tale da potere resistere l'uno indipendente dall'altro. La sua funzione essenzialmente difensiva giustifica la sobrietà della sua architettura.

 

Pola, scoperte tonnellate di ordigni bellici
Da ilpiccolo.it del 27 ottobre 2018

POLA Per decenni gli abitanti di Montegrande hanno vissuto ignari vicino a tonnellate di granate e proiettili di cannone che se fossero esplosi avrebbero spazzato via almeno la metà del rione. Si tratta di ordigni risalenti alla Seconda Guerra mondiale, ma stranamente trovati solo pochi giorni fa.

A confermare che la questione sia seria è giunta l’immediata recinzione dell'ex zona militare Vallelunga, dove appunto è casualmente venuto alla luce l'arsenale bellico. Sul posto sono stati collocati numerosi cartelli di divieto di accesso e per impedire alla popolazione di avvicinarsi è stato predisposto un servizio di sorveglianza 24 ore su 24. Evidentemente l'area rimarrà off limits fino a quando gli artificieri della Questura istriana non avranno rimosso tutto il materiale pericoloso. Un'operazione che potrebbe richiedere mesi di lavoro. E subito riaffiora alla memoria la tragedia di Vergarolla del 18 agosto 1948, quando sull'omonima spiaggia la deflagrazione di 9 tonnellate di materiale bellico residuo della seconda guerra mondiale, provocò almeno un centinaio di morti. Per il momento le fonti ufficiali non scendono nei dettagli secondo il quotidiano Glas Istre la scoperta sarebbe stata fatta da un reduce della guerra patriottica d’inizio anni Novanta, che spesso frequenta la zona. Ma come mai tonnellate e tonnellate di esplosivo con detonatori e micce sono rimaste nascoste per tanti anni?

Eppure nel 1991 la zona militare era stata setacciata palmo a palmo dalle Forze armate croate dopo che se ne erano andate le ultime unità dell'Armata popolare jugoslava. La risposta è che l'arsenale è rimasto sepolto sotto le macerie di edifici e altro materiale in seguito al bombardamento degli Alleati su Pola. Secondo alcune valutazioni, a Vallelunga - area destinata al turismo e a centro nautico da diporto - ci sarebbe altro materiale bellico ancora sepolto in punti per ora non individuti: di certo prima che si aprano i cantieri delle nuove strutture sarà necessario sondare il terreno molto per bene. Raul Marsetić, del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, proprio in questo periodo - premette - si sta occupando del passato di Vallelunga: «Qui si trovavano magazzini di armi e munizioni - dice - già ai tempi dell'Austria. Non solo: in qualche punto di Vallelunga risulta che le armi addirittura si fabbricassero per cui sarebbe interessante conoscere il punto esatto del rinvenimento così da poter ricostruire il complesso mosaico militare dell'epoca». «In ogni caso - conclude Marsetić - qui da sempre esistevano magazzini di armi e di munizioni, ed era così anche durante la Seconda guerra mondiale, quando venivano usati dai militari tedeschi e italiani». —

 

Esposto alla Soprintendenza: Salvi le ultime mura antiche
Da messaggeroveneto.it del 27 ottobre 2018

I residenti di vicolo del Lavatoio: la cinta sia dichiarata bene culturale pubblico. Rischio abbattimento per esigenze di cantiere, «ma esiste un altro accesso» di Martina Milia

PORDENONE. Uno studio di venti pagine inviato alla Soprintendenza Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia, e per conoscenza al Comune, per chiedere di salvare «le ultime mura antiche della città».I residenti del condominio “Le mura”, assieme a cittadini che hanno a cuore la storia e la memoria di Pordenone, hanno avviato l’istanza chiedendo di tutelare il tratto di cinta muraria che si trova tra il duomo e vicolo del Lavatoio. Come? Riconoscendolo «bene culturale pubblico».I condomini degli edifici che si trovano su vicolo del Lavatoio, hanno incaricato lo studio BM&A di Treviso, e in particolare l’avvocato pordenonese Emilio Caucci, di agire a difesa del bene. La ragione è legata a una concessione edilizia, non ancora rilasciata, che dovrebbe portare all’abbattimento di una parte delle mura per fare accedere mezzi di cantiere nell’area ex Tomadini. «Una simile scelta, oltre a contraddire le decisioni e le attenzioni del passato – sottolinea l’avvocato Caucci –, verrebbe assunta nella consapevolezza che la proprietà Tomadini, oggi divisa in due, doveva avere e ha tuttora una servitù di accesso altrove, cioè su Via San Marco».

Se il manufatto venisse effettivamente riconosciuto bene culturale, l’ipotesi sarebbe esclusa a priori. Come emerge dalla relazione – «che mettiamo a disposizione di tutti i cittadini di Pordenone» spiega il legale – quelle mura, o meglio ciò che ne resta, segnano da sempre la forma urbis, il confine fra città alta e città bassa, il fianco protetto del “vicolo degli Andadori” e, secondo i condomini possiedono ampiamente i caratteri storici che le rendono un bene culturale. Solo due metri ricadono poi in proprietà privata. La relazione parte dai primi riscontri sulla cinta muraria – che risalgono al ’600 – e testimonia, attraverso i secoli, le iniziative per salvaguardare il fronte portate avanti anche dal Comune. Per venire ad anni recenti, nel ’90, proprio all’epoca del recupero urbanistico unitario delle due aree costeggiate dalle mura (note come “Tomadini” e “Pavan”), il Comune e la Regione raccomandarono la conservazione d delle mura. Secondo il piano unitario di quegli anni le due aree da recuperare dovevano avere accessi carrabili nettamente distinti e autonomi, una su via San Marco, l’altra su Vicolo del Lavatoio, senza aprire varchi carrabili nelle mura. «Una memoria storica – commenta Caucci – non dovrebbe essere lasciata all’iniziativa di cittadini senza potere, o al giudizio pur autorevole di un tribunale amministrativo. Questo lacerto necessiterebbe di cura e attenzione da parte di tutti. A cominciare dal Comune. Come accadeva una volta».

 

I bunker di Atene: una città piena di segreti
Da sputniknews.com del 26 ottobre 2018

1936: Atene si prepara al peggio. Centinaia di rifugi pubblici vengono costruiti alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Cosa è successo loro in questi 80 anni? Collina Ardittos, via Zalokosta, il Licabetto, piazza Korai. Quattro zone di Atene unite da una cosa: hanno dato rifugio a migliaia di cittadini della capitale greca duranti i bombardamenti tedeschi della Seconda guerra mondiale. Durante la guerra, e anche dopo, ad Atene esisteva una rete di almeno 400 rifugi pubblici: piccoli, privati, sparsi per tutto il Paese. Ognuno con la propria storia e una propria eredità storica. Lo storico Konstantinos Kirimis ha segnato sulla mappa di Atene più di 80 rifugi. Con i suoi libri cerca di trasmettere la memoria storica alle generazioni più giovani. Prima del 1936 la parola "rifugio" era sconosciuta agli ateniesi. Tuttavia, la guerra e la paura dell'ignoto hanno portato il governo greco a prendere delle misure per difendere i propri cittadini e, dunque, ha costruito degli spazi in cui gli abitanti potessero difendersi dalle bombe tedesche. Durante i 4 anni di guerra ad Atene e dintorni sono stati costruiti più di 400 rifugi pubblici e circa un centinaio di privati perché ogni edificio più alto di tre piani doveva avere un rifugio. Così, sono state costruite centinaia di rifugi pubblici presso palazzi a più piani, edifici pubblici, stazioni ferroviarie, porti, fabbriche, teatri e altri punti in cui si poteva concentrare la popolazione ateniese. I rifugi pubblici ospitavano fino a 30.000-40.000 persone. Si ritiene che con i rifugi "privati" si copriva l'intera popolazione cittadina. A differenza delle leggende metropolitane che circolano su questi rifugi, la realtà è ben più semplice. Venivano effettuate simulazioni a cadenza regolare. Ogni abitante doveva sapere cosa fare in caso di bombardamento.

Chiaramente per comunicare meglio con i cittadini, le autorità avevano collocato dei cartelli all'ingresso dei rifugi pubblici. La legge stabiliva rigide norme per la costruzione di questi rifugi. Le pareti dovevano essere in cemento armato con uno spessore di almeno 30 cm. Inoltre, ci dovevano essere almeno 2 stanze: un'anticamera e la stanza principale. Requisito per i rifugi più grandi: presenza di spazio abitabile e bagni. L'entrata principale doveva avere una porta resistente e imperativa era la presenza di almeno un'uscita di emergenza. "Per prestare aiuto a tutti in tempo", spiega Kirimis. I rifugi possono essere di dimensioni diverse. Secondo Kirimis, alcuni erano molto piccoli, potevano ospitare tra le 30 e le 40 persone ed erano di solito quelli dei palazzi a più piani. Altri arrivavano ad ospitare 1300 persone. Gli ultimi rifugi includevano anche file di camere lunghe fino a 200 m. "Per una maggiore resistenza, si preferivano locali con file di piccole camere e non solamente grandi spazi aperti", precisa Kirimis. I rifugi erano ovunque: in centro, al Pireo, in periferia, in qualunque punto della città. Le "catacombe" di Atene non erano pensate per lunghi soggiorni. Non appena finiva il bombardamento e la città si "tranquillizzava", i cittadini tornavano alla "vita di tutti i giorni". Dunque, gli ateniesi trascorrevano nei rifugi non più di 3 ore. Ogni persona aveva a disposizione 1 m di spazio (e di aria) all'ora a condizione che non parlasse o si muovesse, altrimenti avrebbe avuto bisogno di più ossigeno e, dunque, di maggiore spazio. A regolare la situazione vi fu la legge del 1936 che rimase immutata fino al 1956 quando venne abolito l'obbligo di costruire i rifugi nei palazzi privati. La maggior parte dei rifugi furono costruiti dal 1936 al 1940. Ma a causa della legge vigente ogni casa costruita dopo la guerra doveva obbligatoriamente avere una stanza da utilizzare come rifugio in caso di necessità. Chiaramente, quando la guerra finì e la vita tornò come prima, la legislazione in materia si fece meno stringente. Bisogna anche menzionare i rifugi creati durante l'occupazione tedesca. Gli occupanti che possedevano una tecnologia più avanzata costruirono allora rifugi all'avanguardia tra il '42 e il '44 i quali avevano il compito di difendere dai bombardamenti della coalizione anti-hitleriana. La maggior parte di questi rifugi erano collocati vicino a siti militari come aeroporti, porti e magazzini. In particolare molti si trovavano nel Golfo di Egina e nelle isole vicine. "Sulle pareti di uno di questi abbiamo trovato degli affreschi. Vi erano persone che volevano esprimere cosa provavano con delle immagini sulle pareti", racconta Kirimis. Inoltre, l'esercito degli occupanti ha più volte conquistato i rifugi greci cambiandone in parte la destinazione e utilizzandoli per altri scopi: ad esempio, come luoghi per l'esecuzione di torture (piazza Korai).

Chiaramente i rifugi non furono utilizzati solo durante la Seconda guerra mondiale, ma anche in occasione dei bombardamenti del Pireo nel gennaio del 1944 e durante i "bombardamenti di dicembre" alla vigilia della guerra civile greca in cui i greci si difendevano dai… greci. Oggi i rifugi di Atene non possono essere utilizzati per varie ragioni: oggi le guerre sono diverse, la tecnologia ha fatto passi da gigante e la popolazione è cresciuta. Inoltre, nella stragrande maggioranza dei casi questi rifugi già da molti decenni non sono mantenuti in buono stato. Per questo, costerebbe moltissimo sistemarli. La maggior parte dei rifugi è stata demolita e in alcuni casi i rifugi privati sono diventati magazzini. Nonostante quello che si dice i rifugi non appartengono al Ministero della cultura o ad altre istituzioni. "Proprietario del rifugio è colui che detiene il diritto di proprietà sulla determinata area o sul determinato edificio", afferma Kirimis. Ad esempio: se il rifugio (pubblico o privato) si trova su un terreno privato, esso appartiene al proprietario del terreno. Tuttavia, questi siti sono controllati principalmente dalla polizia greca e da un'organizzazione per la pianificazione politica straordinaria in situazioni d'emergenza. Dei 400 rifugi pubblici solamente uno è in buono stato. E lo è grazie ai tedeschi perché il luogo delle torture in piazza Korai è diventato il simbolo del movimento greco di resistenza e per questo si è tramutato in un luogo di rilevanza storica. "Oggi solamente alcuni rifugi possono essere visitati", ha affermato Kirimis che è ottimista riguardo alla possibilità di sfruttare questi siti come attrazioni turistiche e culturali come succede in molti Paesi europei. Recentemente un ente statale ha espresso intenzioni serie riguardo al finanziamento della sistemazione di alcuni rifugi. Al momento si cerca il modo di attrarre fondi e di promuovere il progetto. Tuttavia, va detto che il progetto è ancora alla sua fase iniziale. Kirimis ha cominciato le sue ricerche qualche anno fa dopo aver visitato un rifugio a Drapetsona. "La visita fu per me molto interessante e ho deciso di capirne di più". "Durante le mie ricerche ho scoperto che vi sono molte lacune, le informazioni sono frammentarie e non è possibile tracciare un quadro completo. Per questo ho cominciato a visitare i rifugi alla ricerca di informazioni. Per me è importante che le informazioni riguardo ai rifugi siano il più possibile complete", spiega. "Questi dati non vanno persi. Temo che, se non si prenderanno le misure del caso, la prossima generazione non conoscerà nemmeno questi rifugi". Spinto dall'interesse personale Kirimis sta scrivendo il suo terzo libro sui rifugi ateniesi. Il primo e il secondo sono stati pubblicati nel 2015 e nel 2017 e il prossimo è atteso per il 2019. Questi libri non sono molto diffusi nelle librerie, sono stati stampati in tiratura limitata e vengono presentati nelle biblioteche, negli archivi storici, nei centri culturali e nelle organizzazioni militari. Giorno del No (in greco Επέτειος του Όχι, anniversario del no, o, semplicemente, Το όχι), il 28 ottobre 1940, è il giorno in cui si ricorda il rifiuto del primo ministro greco di lasciar entrare in Grecia le truppe di Benito Mussolini. Oggi questo giorno viene festeggiato con sfilate di ragazzi delle scuole, studenti e forze dell'esercito greco. Nelle prime ore del mattino del 28 ottobre 1940 venne così recapitato al primo ministro greco, Ioannis Metaxas, da parte dell'ambasciatore italiano Emanuele Grazzi, un ultimatum nel quale si intimava di lasciar entrare l'esercito italiano nel territorio greco per occupare determinati punti strategici con lo scopo di contrastare l'esercito inglese. Le richieste di tale ultimatum, umilianti e degradanti per la Grecia, dovevano essere accettate entro tre ore dalla ricezione dello stesso. Tre ore dopo, però, arrivò το μεγάλο Όχι, il grande no, con il quale la Grecia rifiutò le condizioni imposte da tale ultimatum.

 

Solo tre anni per iniziare a utilizzare l’ex 1° Roc
Da mattinopadova.it del 26 ottobre 2018

ABANO TERME Tre anni per iniziare ad utilizzare l’ex caserma Primo Roc di Giarre. Questo il tempo fissato per legge al Comune di Abano dal momento dell’acquisizione dell’ex sito militare per dar vita ad un progetto. La caserma, che qualche settimana fa è stata ceduta gratuitamente dall’Agenzia del Demanio al Comune di Abano, dovrà presto avere un futuro. «L’acquisizione è avvenuta libera da ogni vincolo», ha spiegato lunedì sera in consiglio comunale il sindaco Federico Barbierato rispondendo ad un’interrogazione presentata dal consigliere di opposizione, Matteo Lazzaro.

«C’è tuttavia una clausola prescrittiva, non voluta dai due enti, ma prevista per legge, che fissa in tre anni il tempo massimo entro il quale il Comune dovrà iniziare ad utilizzare il sito. Se la nostra città non riuscirà a produrre un progetto definitivo sul futuro di quella caserma il bene tornerà così come si presenta allo Stato, quindi all’Agenzia del Demanio». Il primo cittadino lunedì sera ha mostrato fiducia sulle capacità dell’amministrazione. Barbierato è convinto che il Comune non si farà trovare impreparato. «Nei 90 mila euro stanziati per la manutenzione del verde per il 2019, c’è anche una parte da destinare alla progettazione», rileva.

«Siamo convinti che tutti i cittadini parteciperanno presto alla realizzazione di un progetto di sviluppo di un’area che è vasta, 66 mila metri quadrati. Ne verrà fuori un progetto che prevede la collaborazione tra pubblico e privato e l’inserimento dell’ateneo». In caso di cessione di parte dell’area il Demanio ha fissato dei vincoli. «Il 25% dell’introito della cessione dovrà finire al Demanio, mentre il 75% rimarrà al Comune», spiega il sindaco. Il consigliere Matteo Lazzaro richiama tuttavia l’amministrazione. «Tre anni fanno presto a passare e a livello amministrativo equivalgono ad un dopodomani», osserva. «Se si vuole creare un processo partecipato, bisogna iniziare da subito a trovarsi. Non si può aspettare il 2019».

 

AUGUSTA : CONFERENZA DELL’ASSOCIAZIONE LAMBA DORIA
Da augustaonline.it del 25 ottobre 2018

25 ottobre 2018 – La conferenza si è tenuta sabato 20 ottobre al Circolo Filantropico Umberto I di Augusta in Piazza Duomo. Ha fatto gli onori di casa il presidente del circolo Domenico Di Franco. I relatori sono stati presentati da Vittorio Sardo e Alberto Moscuzza rappresentanti dell’associazione Lamba Doria ad Augusta e Siracusa Marinella Tino ha parlato della “Torre di Penisola Magnisi di Priolo Gargallo” :”Il primo documento certo di un progetto di difesa costiera affidato alle torri risale al 1402 quando il re Aragonese Martino I di Sicilia diede ordine di restaurare le torri esistenti e di costruirne altre lungo le coste siciliane, a difesa della pirateria.

Nel litorale Sud-Orientale, tra le nuove torri, venne compresa anche la Torre sulla penisola di Magnisi. In seguito, il progetto di Tiburzio Spannocchi del 1578, volto alla riparazione delle torri già esistenti e di costruzioni di nuove, riguardante anche rimase in buona parte non realizzato visto l’altissimo costo. Questo progetto prevedeva la costruzione di due torri di guardia alle due estremità della penisola Magnisi. Un altro progetto venne ripreso nel 1583 dall’ingegnere Camillo Camilliani. La costruzione della Torre Magnisi risale tuttavia al primo decennio dell’Ottocento, quando la Sicilia minacciata da Napoleone, divenne un protettorato inglese. Gli inglesi adottarono la tipologia delle cosiddette “Torri Martello” (da Martello Towers) costruite in molti luoghi del loro Impero con particolare resistenza ai colpi di cannone. Nel corso della Seconda guerra mondiale venne utilizzata dalla Regia Marina come osservatorio di artiglieria, nei suoi pressi vi era la Batteria A.S. 361 , con funzione di difesa antiaerea ed antinave“. Le vicende di “Torre Cuba di Siracusa, storico manufatto militare di epoca spagnola situata nel comune di Cassibile, sono state affrontate da Lorenzo Bovi che si è soffermato in particolar modo “sulla funzione che tale torre ha avuto nel Secondo conflitto mondiale, durante l’occupazione inglese, quando venne destinata a torre di controllo delle tre piste di atterraggio realizzata nei pressi. (che permettevano il decollo e l’atterraggio con quattro condizioni di vento possibili) ed una più piccola per aerei da ricognizione. Il Quartier Generale delle forze anglo americane era invece nelle vicinanze della masseria fortificata di San Michele, ai margini di quel terreno che passerà alla storia per aver visto mettere la famosa firma dell’armistizio. La torre presenta oggi una struttura diversa rispetto a quella riportata in alcune foto del periodo bellico, priva della parte superiore per via di un crollo verificatosi nel 1956 durante un uragano“.

Ciò ha reso difficile la sua esatta identificazione effettuata nel 2012 ad opera dello stesso Bovi. Francesco Paci ha parlato di “Torre Avolos di Augusta (https://www.augustaonline.it/glossary/augusta/)” :”realizzata dal Viceré di Sicilia Ferdinando di Avalos, Marchese di Pescara nel 1570 per incrementare le difese del porto di Augusta (https://www.augustaonline.it/glossary/porto-diaugusta/). Ubicata sopra una secca, nell’estrema punta sud dell’isola di Augusta (https://www.augustaonline.it/glossary/augusta/), aveva un’inusuale conformazione a settore semicircolare, a due livelli. Aveva una doppia funzione, difensiva ospitando quaranta cannoni da fortezza ed una funzione di avvistamento e di segnalazione con una torre elicoidale per favorire l’avvistamento ed ospitare in sommità una lanterna. La torre venne distrutta una prima volta dai francesi quando alla fine della loro breve permanenza abbandonarono Augusta (https://www.augustaonline.it/glossary/augusta/) nel 1678. Venne ricostruita dagli spagnoli nel 1681 ma il terremoto del 1693 che colpì la Sicilia Sud Orientale, la fece nuovamente crollare. Nel 1736 la torre assunse una funzione doganale, pur tuttavia non perse la sua efficienza militare. Nel 1823, lo scoppio accidentale della polveriera mutilò il forte lungo il semi arco di Ponente, mai più ricostruito. Sono stati ricostruiti tre episodi verificati durante il Secondo conflitto mondiale e che ebbero come scenario Torre Avalos. Il primo risale al 13 agosto 1940, durante un attacco di aerosiluranti inglesi alla navi italiane in rada, uno di questi lanciò il suo siluro contro la torre scambiandone la sagoma per quella di una nave. Il secondo si verificò il 24 settembre 1942 quando alcuni cacciabombardieri inglesi mitragliarono la stazione segnali di Torre Avalos e ferirono due marinai. Il terzo episodio avvenne il 12 luglio 1943 quando, a seguito dell’invasione alleata, Royal Navy diede l’onore al caccia ellenico Kanaris di effettuare l’accesso nella prima base navale italiana conquistata sul suolo metropolitano. In prossimità di Torre Avalos la nave mise a mare una motobarca con un drappello di marinai che vi issarono una bandiera, segnando così – di fatto – la cattura della base“. Ha concluso Alberto Moscuzza che ha descritto la storia di “Torre Xibini Pachino (https://www.augustaonline.it/glossary/pachino/)” “la cui costruzione viene fatta risalire al 1300, e completata dopo il suo rifacimento del 1494. La torre Scibini aveva anch’essa una funzione d’avvistamento per la sicurezza dell’entroterra, ospitava una guarnigione di uomini armati, assoldati dal barone , ed a sua volta serviva per rifugio dei servitori del barone, ed i contadini con le loro famiglie. Subì le conseguenze del terremoto del 1693, per cui rimase in piedi la sola parte posta a levante. Durante il secondo conflitto mondiale attorno alla Torre vennero costruite tre casematte/fortini in calcestruzzo”. Moscuzza, infine , ha ricordato “il sacrifico di dodici soldati italiani che, la sera del 9 luglio 1943 caddero falciati dal mitragliamento di tre aerei nemici”. – Antonello Forestiere 2018 © www.augustaonline.it / Augusta (https://www.augustaonline.it/glossary/augusta/) News Cutura

 

Augusta, viaggio nella storia delle torri costiere in provincia: Torre Avalos, Torre Cuba, Torre Magnisi e Torre Scibini
Da lagazzettaaugustana.it del 24 ottobre 2018

AUGUSTA – Il Centro studi storico-militari Augusta (Cssma) in collaborazione con l’associazione culturale “Lamba Doria” di Siracusa e l’associazione filantropica “Umberto I” di Augusta hanno tenuto, sabato 20 ottobre, nella sede di quest’ultima in via Principe Umberto un’interessante conferenza sul tema: “Torri costiere nell’area siracusana dal periodo spagnolo alla Seconda guerra mondiale”.

Dopo i saluti agli intervenuti dei presidenti degli enti organizzatori, rispettivamente Vittorio Sardo, Alberto Moscuzza e Mimmo Di Franco, hanno preso la parola i tre relatori dell’incontro.

Marinella Tino ha discusso sulla Torre Magnisi, situata nell’omonima penisola, oggi territorio del comune di Priolo. Il primo documento certo di un progetto di difesa costiera affidato alle torri risale al 1402 quando il re aragonese Martino I di Sicilia diede ordine di restaurare le torri esistenti e di costruirne altre lungo le coste siciliane, a difesa della pirateria. Nel litorale sud-orientale tra le nuove torri venne compresa anche la Torre sulla penisola di Magnisi. In seguito, il progetto di Tiburzio Spannocchi del 1578, volto alla riparazione delle torri già esistenti e di costruzioni di nuove, riguardante anche rimase in buona parte non realizzato visto l’altissimo costo; questo progetto prevedeva la costruzione di due torri di guardia alle estremità della penisola Magnisi.

Un altro progetto venne ripreso nel 1583 dall’ingegnere Camillo Camilliani. La costruzione della Torre Magnisi risale tuttavia al primo decennio dell’Ottocento, quando la Sicilia, minacciata da Napoleone, divenne un protettorato inglese. Gli inglesi adottarono la tipologia delle cosiddette “Torri  Martello” (da Martello Towers) costruite in molti luoghi del loro Impero con particolare resistenza ai colpi di cannone. Nel corso della Seconda guerra mondiale venne utilizzata dalla Regia Marina come osservatorio di artiglieria, nei suoi pressi vi era la Batteria A.S. 361 , con funzione di difesa antiaerea ed antinave. Le vicende di Torre Cuba, storico manufatto militare di epoca spagnola situata nel comune di Cassibile, sono state affrontate da Lorenzo Bovi. Questi si è soffermato in particolar modo sulla funzione che tale torre ha avuto nel Secondo conflitto mondiale, durante l’occupazione inglese, allorquando venne destinata a torre di controllo delle tre piste di atterraggio realizzata nei pressi (che permettevano il decollo e l’atterraggio con quattro condizioni di vento) ed una più piccola per aerei da ricognizione. Il quartier generale delle forze anglo-americane era invece nelle vicinanze della masseria fortificata di S. Michele, ai margini di quel terreno che passerà alla storia per aver visto mettere la famosa firma dell’armistizio. La torre presenta oggi una struttura diversa rispetto a quella riportata in alcune foto del periodo bellico, priva della parte superiore per via di un crollo verificatosi nel 1956 durante un uragano. Ciò ha reso difficile la sua esatta identificazione effettuata nel 2012 ad opera dello stesso Bovi.

Quindi Francesco Paci è intervenuto su Torre Avalos, realizzata dal viceré di Sicilia, Ferdinando di Avalos, marchese di Pescara, nel 1570 per incrementare le difese del porto di Augusta. Ubicata sopra una secca, nell’estrema punta sud dell’isola di Augusta, aveva un’inusuale conformazione a settore semicircolare, a due livelli. Aveva una doppia funzione, difensiva ospitando quaranta cannoni da fortezza, ed una funzione di avvistamento e di segnalazione con una torre elicoidale per favorire l’avvistamento ed ospitare in sommità una lanterna. La torre venne distrutta una prima volta dai francesi quando alla fine della loro breve permanenza abbandonarono Augusta nel 1678. Venne ricostruita dagli spagnoli nel 1681 ma il terremoto del 1693, che colpì la Sicilia sud orientale, la fece nuovamente crollare. Nel 1736 la torre assunse una funzione doganale, pur tuttavia non perse la sua efficienza militare. Nel 1823, lo scoppio accidentale della polveriera mutilò il forte lungo il semiarco di ponente, mai più ricostruito.

Sono stati ricostruiti tre episodi verificati durante il Secondo conflitto mondiale e che ebbero come scenario Torre Avalos. Il primo risale al 13 agosto 1940, durante un attacco di aerosiluranti inglesi alla navi italiane in rada, uno di questi lanciò il suo siluro contro la torre scambiandone la sagoma per quella di una nave. Il secondo si verificò il 24 settembre 1942 quando alcuni cacciabombardieri inglesi mitragliarono la stazione segnali di Torre Avalos e ferirono due marinai. Il terzo episodio avvenne il 12 luglio 1943 quando, a seguito dell’invasione alleata, Royal Navy diede l’onore al caccia ellenico Kanaris di effettuare l’accesso nella prima base navale italiana conquistata sul suolo metropolitano. In prossimità di Torre Avalos la nave mise a mare una motobarca con un drappello di marinai che vi issarono una bandiera, segnando così, di fatto, la cattura della base.

Ha concluso Alberto Moscuzza, che ha descritto la storia di Torre Xibini o Scibini, situata nel territorio del comune di Pachino, la cui costruzione viene fatta risalire al 1300, e completata dopo ilsuo rifacimento del 1494. La torre Scibini aveva anch’essa una funzione d’avvistamento per la sicurezza dell’entroterra, ospitava una guarnigione di uomini armati, assoldati dal barone, e a sua volta serviva per rifugio dei servitori del barone, e i contadini con le loro famiglie. Subì le conseguenze del terremoto del 1693, per cui rimase in piedi la sola parte posta a levante. Durante il secondo conflitto mondiale attorno alla Torre vennero costruite tre casematte-fortini in calcestruzzo. Moscuzza ha ricordato il sacrifico di dodici soldati italiani che, la sera del 9 luglio 1943, qui caddero, falciati dal mitragliamento di tre aerei nemici.

 

Ex caserma Silvestri, una giungla
Da polesine24.it del 24 ottobre 2018

Sono trascorsi oramai sei anni da quando il quinto reggimento artiglieria contraerea “Pescara” ha lasciato la Caserma Silvestri. Quattro anni (era il 2014) da quando il Comune si è lasciato sfuggire l’occasione di presentare un progetto e destinarsi l’area da 30mila metri quadrati e 17 edifici con parco compreso.

Due anni (giugno 2016) da quando Archivio di Stato, Agenzia delle Entrate e Archivio notarile hanno ottenuto l’ok di massima per prendere possesso dell’immensa area e farne un’enorme cittadella dei documenti. In sei anni di abbandono pressoché totale il Demanio è intervenuto solo per ragionare sui progetti tutti in gestazione o per ragioni urgenti e contingenti. In una riunione tra maggio e giugno con i rappresentanti del Demanio e i tre soggetti interessati alla riqualificazione, è stato annunciato che l’intera sistemazione della caserma Silvestri è passata di competenza al Provveditorato generale delle opere Pubbliche.

Mentre l’ultimo lavoro che riguarda l’enorme quartiere è una disinfestazione da processionaria, dell’importo di 1.544 euro il cui bando è stato pubblicato nell’aprile del 2018. E il risultato è l’abbandono e il degrado completo in quella che un tempo in centro città era una zona animata per quanto non in stretto contatto con la vita del capoluogo. Gli edifici sono stati mano a mano divorati dall’erbaccia, gli alberi e il verde sono incolti e il parco una giungla disordinata e habitat ideale per ratti e zanzare.

Sotto i capannoni sono ammassati gli orinatori scardinati nel 2012, mentre dalle ampie aperture senza infissi degli uffici, entra di tutto, rovinandoli senza rimedio. 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Angioino di Mola di Bari
Da corrieresalentino.it del 24 ottobre 2018

Fu Carlo I d’Angiò ad ordinare la costruzione del Castello di Mola di Bari, congiuntamente alla ricostruzione della città, quale baluardo contro le incursioni saracene, affidando i lavori agli architetti militari Pierre d’Angicourt ed a Jean de Toul. In un primo momento si provvide all’edificazione del Palazzo Reale, corrispondente all’attuale ala sudorientale della fortezza, quindi si passò alla costruzione della restante parte che, con ogni probabilità, doveva avere l’aspetto di un torrione rettangolare su tre piani, munito di merlature sul terrazzo, di feritoie e caditoie per il lancio di pietre, frecce ed altre armi da getto.

Dell’originale struttura angioina sono stati ritrovati resti di mura nell’area compresa fra gli attuali bastioni meridionale ed orientale, nei pressi dell’ingresso principale. Intorno alla metà del 1300 la fortezza fu rinforzata con l’erezione a meridione e ad oriente di due torri cilindriche e, molto probabilmente, nello stesso periodo dovrebbe essere stato costruito un antico portale lungo la cortina orientale. Un secolo più tardi vennero effettuati ulteriori lavori di consolidamento e di rinforzo, tra cui tutta una serie di torrioni cilindrici ad opera dell’architetto Gaspare Toraldo, di cui oggi ne resta solo uno. Con l’avvento delle armi da fuoco, sorse la necessità di disporre di fortezze più solide e resistenti all’urto delle palle sparate dai pezzi di artiglieria quali cannoni e bombarde, pertanto l’assetto delle fortezze si modificò sensibilmente. Di conseguenza si provvide ad abbassare la cinta elevando accanto alle precedenti mura angioine delle altre oblique ad esse addossate e rinforzandone gli interstizi con materiale di risulta.

Inoltre vennero inseriti dei bastioni a difesa delle cortine e muniti di bocche traditore per il tiro di fianco e furono ricavate piazzole per i pezzi d’artiglieria. Nel 1508 la città di Mola subì un violento assedio da parte delle armate veneziane che creò non pochi danni al castello, pertanto si rese necessario un restauro dell’intero complesso.

Qualche anno dopo infatti l’Imperatore Carlo V dispose l’effettuazione dei lavori affidandone la direzione all’architetto Evangelista Menga, a cui si deve l’attuale forma del castello a poligono stellato, che era collegato alla cinta muraria della città da un ponte ed era circondato da un fossato. Le mura vennero ricostruite a scarpa, con angoli notevolmente inclinati, per meglio resistere ad eventuali assedi. A partire dal XVIII secolo cominciò la decadenza della struttura a causa dell’incuria umana che portò al crollo di alcune volte e di alcune cortine e, negli anni ’50 del XX secolo, fu anche addossato un cinema al maniero sul lato occidentale. Finalmente, dopo recenti restauri, il Castello di Mola di Bari ha riacquistato la sua imponente mole. Cosimo Enrico Marseglia

 

In MTB alla scoperta delle fortificazioni di Plan Puitz
Da aostasera.it del 23 ottobre 2018

La meta suggerita si trova nell’alta Valle del Gran San Bernardo e conduce fino alle fortificazioni di Plan Puitz, risalenti alla prima guerra mondiale e oggi visitabili (parzialmente) anche nelle parti interne. Lasciata l’auto nel piccolo piazzale della frazione Prailles Dessous nel Comune di Etroubles, si inizia a pedalare lungo la bella strada poderale che si addentra nel vallone di Menouve, seguendo le indicazioni del sentiero n°20. Il bel fondo e le pendenze non eccessive rendono gradevole l’inizio dell’escursione. Si pedala in un paesaggio tinto dal pennello dell’autunno che, grazie alla presenza di latifoglie e Larici, si sbizzarrisce con tinte gialle fiammeggianti. Proseguire per circa 4 chilometri fino a giungere nei pressi dell’alpe Menouve a quota 1.908 metri. Continuare a pedalare ancora per circa 200 metri lungo la strada poderale e prestare attenzione perché, in corrispondenza di un piccolo spiazzo inerbito, occorre imboccare sulla sinistra il tracciato del Ru Neuf d’Eternon. La strada si restringe per diventare una bella mulattiera dal fondo erboso che rende davvero gradevole la pedalata. Seguire l’intero tracciato del Ru che attraversa bellissimi boschi di conifere che talvolta si aprono rivelando panorami aperti sulla valle che conduce al Colle del Gran San Bernardo, antico luogo di passaggio per merci e viandanti. Dopo poche centinaia di metri si raggiunge il tracciato del Tour des Combins (segnavia giallo TDC) che occorre seguire per 3 chilometri, fino a raggiungere i pascoli dell’alpeggio Essanaz.

Con un breve tratto di discesa si raggiunge nuovamente la strada poderale che occorre imboccare a sinistra (non seguire più le indicazioni TDC) e percorrerla in discesa per alcuni tornanti fino a raggiungere l’intersezione con l’alta via n°1. Qui al bivio imboccare a destra la vecchia strada militare in direzione di Saint-Rhémy. Dopo circa 1 chilometro e mezzo, in corrispondenza del bivio, mantenersi a destra e seguire il segnavia n°14 lungo la strada militare che in ampi tornati e con una pendenza costante conduce alla fortificazione di Plan Puitz a quota 2.100 metri. La fortificazione è un’opera in caverna costruita fra il 1915 e il 1916 lunga 200 metri, con 4 postazioni di artiglieria. La batteria faceva parte della Linea Cadorna, linea  fortificata costruita in gran fretta per proteggere il confine fra Lombardia e Valle d’Aosta da una eventuale invasione da parte delle truppe austriache passando dalla Svizzera. L’andamento della guerra però fece si che i lavori non venissero ultimati e i cannoni di Plan Puitz furono destinati altrove. Lasciata la bici all’imbocco della galleria e usando gli interruttori è possibile illuminare gli interni e visitarli. Si trovano interessanti pannelli con informazioni riferite al periodo bellico. Per chi lo desidera, in pochi minuti a piedi lungo il sentiero n. 14, si può raggiungere un punto panoramico da dove si può ammirare l’ultimo tratto della Valle del Gran San Bernardo, i villaggi e la sella del Col Serena. Per il rientro seguire tutto il tracciato della strada militare fino alla frazione di Eternon quindi proseguire lungo la strada asfaltata per tornare nuovamente al punto di partenza. Percorsi Alpini propone questa escursione in sella a biciclette a pedalata assistita su prenotazione nel mese di ottobre e novembre 2018. Livello di difficoltà: TC (ciclo-escursionistico) Tempo di percorrenza: Mezza giornata Info e prenotazioni 344 293 4602 www.percorsialpini.com – info@percorsialpini.com

 

L'Aquila, mura urbiche: in cinquanta alla giornata ecologica
Da lanuovasardegna.it del 23 ottobre 2018

L’AQUILA – La Compagnia delle Mura, composta dalle associazioni che hanno sottoscritto con il Comune dell’Aquila l’accordo per la custodia della cinta muraria, ha concretizzato domenica 21 ottobre una “giornata ecologica” nel tratto Lungomura tra Porta Branconia e Porta San Lorenzo, per eliminare la vegetazione infestante che stava arrivando fino alle Mura stesse.

L’attività è stata posta in essere alla presenza dell’architetto Antonio Di Stefano della Soprintendenza unica ed in sinergia con l’Asm che ritirerà lo sfalcio delle erbe e l’immondizia accatastata.

Questa sinergia con le istituzioni viene posta in essere per tenere alta l’attenzione verso il completo recupero e la possibilità di fruizione di tutto il percorso delle Mura Urbiche, che la Compagnia considera il nostro monumento maggiormente identitario.

Altre attività si stanno preparando per i prossimi giorni.

 

22 ottobre: nel 1962 la crisi dei missili di Cuba
Da altolazionotizie.it del 22 ottobre 2018

Nei 13 giorni della «crisi dei missili di Cuba» il mondo si trovò per la prima volta da quando era iniziata la «Guerra Fredda» (la diffusione dell’espressione iniziò a partire dal 1947, quando il giornalista americano Walter Lippmann volle così definire lo stato delle relazioni internazionali che si andava delineando dopo la Seconda guerra mondiale, a causa della sempre più evidente spaccatura tra l’Unione Sovietica, che aveva occupato l’Europa orientale, e gli Stati Uniti, che si erano affermati come maggiore potenza dell’Occidente democratico) sull’orlo di un nuovo conflitto mondiale, che questa volta sarebbe diventata una guerra nucleare. In ottobre vi fu un’accelerazione nella posa di rampe e nella costruzione e attivazione dei missili. A questo punto Kennedy dovette decidere una contromossa diplomatica. Riunì il suo gabinetto e decise di informare il paese della situazione, nessun alleato era stato informato e conosceva la natura del discorso del presidente.

Kennedy il 22 ottobre del 1962 disse in televisione che il suo governo era a conoscenza di quello che stava avvenendo a Cuba e che se ci fosse stato un attacco diretto da parte dei cubani contro l’America la guerra si sarebbe estesa all’Unione Sovietica che riteneva direttamente responsabile di ciò che stava accadendo. «Credevo fosse l’ultimo sabato che avrei mai visto», disse l’allora ministro della Difesa dell’amministrazione Kennedy, Robert Mc Namara, il 27 ottobre 1962, commentando il giorno in cui la Crisi dei Missili di Cuba raggiunse l’apice e il mondo fu a un passo dalla guerra nucleare tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Tredici giorni che si sono a tal punto fissati nell’immaginario del mondo occidentale, che Stephen King in 22/11/93 (il capolavoro sull’omicidio del presidente John Fitzgerald Kennedy) vi ha ambientato una delle scene madri del libro. In seguito alla crisi venne creato il cosiddetto «Telefono rosso», un sistema di comunicazione diretto tra la Casa Bianca a Washington e il Cremlino a Mosca. Grazie al Telefono rosso i leader di Stati Uniti e Unione Sovietica potevano comunicare rapidamente scongiurando nuove crisi. La crisi non spostò, però, le lancette del cosiddetto «Orologio dell’apocalisse», un apparecchio simbolico creato nel 1947 dall’Università di Chicago, in cui la mezzanotte rappresenta l’apocalisse causata da una guerra nucleare. Nel 1961 Kennedy, appena diventato Presidente, tentò un’invasione dell’isola (episodio noto come «Sbarco nella Baia dei porci») che però fallì. Cuba concedette ai sovietici una base che si rivelò essere una base missilistica nucleare.

La vicinanza dei missili sovietici era una minaccia enorme per gli Stati Uniti. Kennedy si trovò dunque a dover decidere tra due soluzioni. Da un lato c’erano i militari che spingevano per un’invasione che poteva condurre alla guerra con l’Unione Sovietica, mentre da un lato c’era chi preferiva trovare un’intesa e non rischiare niente. Il 25 ottobre 1962, nel pieno della crisi dei missili di Cuba, l’americano Adlai Stevenson durante una sessione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, incalzò il rappresentante sovietico, Valerian Zorin chiedendogli se il suo Paese stesse installando missili a Cuba. Nel farlo pronunciò la celebre frase «Don’t wait for the translation!» («Non aspetti la traduzione!»), sollecitando una risposta immediata. Al rifiuto di Zorin di rispondere, Stevenson continuò dicendo che avrebbe aspettato una risposta fintanto che l’inferno fosse gelato («I am prepared to wait for my answer until Hell freezes over»). Quando finalmente Zorin rispose negando, Stevenson con un colpo teatrale esibì prontamente le fotografie che dimostravano la presenza dei missili. La crisi dei missili di Cuba che si concluse il 27 ottobre 1962 ebbe diverse interpretazioni. Sicuramente fu una vittoria di Kennedy che dimostrò la debolezza sovietica e l’intenzione a non volere arrivare ad una guerra atomica. Il presidente americano perse la considerazione di molti militari, anche del suo staff, che avrebbero voluto vedere risolta la situazione di Cuba in modo drastico anche perché c’erano forti sospetti, in seguito rivelatisi veri, che nell’isola ci fossero altri missili con testate nucleari. I sovietici ne vennero fuori male e Kruscev non riuscì a raccogliere pienamente i vantaggi del suo compromesso che il PCUS vide più come un ritiro maldestro che come una vittoria tattica.

 

Nuovo crollo a Palmanova, continua a franare il Patrimonio Unesco
Da udinetoday.it del 22 ottobre 2018

Nelle scorse ore un nuovo crollo si è verificato fra le mura della città-fortezza riconosciuta patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco a luglio 2017. Circa 12 metri quadrati di laterizi si sono staccati dalla parete esterna del baluardo "Contarini", quello che si trova in asse con l'omonima contrada. Gli inerti e i cocci del primo e del secondo strato dell'incamiciatura della prima linea difensiva veneta, la più antica, si sono staccati rimanendo impigliati nella rete di sicurezza che era stata installata dopo i crolli verificatisi negli anni passati. Le cause La parete della fortificazione compromessa si trova a ridosso del fossato che inanella la prima stella a nove punte, sul fianco di una delle tante sortite nascoste che permettevano a cavalieri e milizie di uscire inosservati e in sicurezza all'esterno della prima cinta muraria. Le cause, come noto, sono innumerevoli, oltre alla - purtroppo - ovvia scarsità di denaro necessaria per un restauro completo: la vetustà dell'opera, la mancata manutenzione dell'enorme cinta difensiva (che, lo ricordiamo, con le fortificazioni napoleoniche conta 27 punte), il maltempo, l'erosione dovuta alle piogge, e gli effetti della vegetazione sulle mura. Martines:"Fare presto con i fondi" «Le risorse che servono sono ancora tante per intervenire in maniera radicale sui paramenti murari - ha commentato sconsolato il primo cittadino di Palmanova, Francesco Martines-.

Questo non toglie che bisogna fare presto nell'utilizzare le risorse già acquisite, superando quelli che sono i blocchi e le procedure estremamente complicate e lunghe della legge sugli appalti e della contabilità pubblica, in particolar modo quando queste risorse vengono assegnate non direttamente al Comune ma al Segretariato Regionale per il Mibact. Questi crolli dimostrano che non si può abbassare la guardia su un problema impellente, anche perchè il riconoscimento UNESCO ci impone continui interventi di conservazione».
Gli ultimi crolli
Palmanova crolla, in frantumi il tetto dell'ex macello veneziano
Frana a Palmanova: cede una spalletta di un ponte del '500 Nonostante il riconoscimento Unesco continuano a franare le mura di Palmanova
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Palmanova, crolla un muro della fortezza veneta
Sanremo 2014: il momento di Palmanova VIDEO

 

«Forte Parona tra incuria e rifiuti: è una discarica»
Da larena.it del 22 ottobre 2018

«Resti di elettrodomestici, numerosi frigoriferi, pneumatici ammassati l’uno sull’altro.

Il Forte Parona, costruito nel 1861 sulla riva destra dell’Adige nei pressi del ponte della ferrovia di Parona, è vittima di noncuranza da anni. La struttura che ospitava 500 soldati nel 1866, oggi, nel 2018, è solo la patria di relitti industriali e domestici».
A denunciarlo è il consigliere comunale di Verona Civica, Tommaso Ferrari che spiega: «Il luogo, di proprietà del demanio, sarebbe ricco di storia tra le sue antiche mura e fa parte di quella Verona fortificata troppo spesso costretta a fare rima con abbandonata.

Ora alla dimenticanza si aggiunge la colpevole inciviltà di qualcuno che, un rifiuto ingombrante dopo l’altro, ha trasformato uno spazio della città in una discarica abusiva». E polemizza: «L’amministrazione si faccia sentire e non intervenga solo per qualche – notiziabile – occupazione abusiva, ma anche per questi sfaceli vergognosi».

 

Forte Cappellini ai privati: il Grig contro la Regione
Da lanuovasardegna.it del 21 ottobre 2018

ARZACHENA. «Forte Cappellini deve essere acquisito nel patrimonio comunale». È quanto sostiene il Gruppo di intervento giuridico (Grig) dopo che la Regione con una manifestazione di interesse è intenzionata a rinnovare con un canone annuo di 375mila euro l'affitto decennale del fabbricato a Baja Sardinia, oggi in mano ai privati (in funzione sino all'ultima estate il clubristorante- discoteca Phi Beach).

L'associazione ambientalista suggerisce all'ente locale di presentare a Cagliari un progetto di destinazione di interesse pubblico, ad esempio, un museo delle fortificazioni costiere. La struttura storica, d'altronde, è considerata alla stregua del Colosseo, cioè un monumento nazionale super tutelato. «Se il Comune di Arzachena desidera acquisirlo davvero, anziché limitarsi a intenzioni generiche, farebbe bene a predisporre almeno un progetto di massima per il suo durevole utilizzo a fini pubblici, per esempio, potrebbe trasformarlo in un museo delle fortificazioni costiere – dichiara il presidente del Grig, Stefano Deliperi –. In queste condizioni è quasi scontato che la Regione preferisca continuare a darlo in locazione per una bella cifra (375mila euro annui). È un bene culturale di interesse storico che, comunque, non può esser modificato». Nel frattempo è slittata dal 20 al 30 ottobre la scadenza per protocollare le domande di adesione alla manifestazione di interesse. Il contratto, come riportato nell'avviso regionale, si ipotizza possa essere sottoscritto entro il 4 novembre.

L'amministrazione di Arzachena continua a rivendicare il bene sottoposto a vincoli di interesse culturale, storico e artistico. Forte anche di un protocollo d'intesa sottoscritto da Regione e Comune nel 2013. «In cui si evidenziavano un elenco di beni demaniali e le rispettive finalità di interesse pubblico – sottolinea il presidente del Consiglio comunale, Rino Cudoni –. Non si capisce perché mentre all'epoca si avviavano le procedure per la cessione, poi siano stati acquisiti nel patrimonio dell'ente locale solo alcuni beni, ad esempio, Capriccioli, Punta Battistoni, l'ex albergo Santa Lucia nel borgo del centro storico. Su Forte Cappellini il corto circuito del dialogo fra i due enti deve essere riparato, Regione e Comune devono riavviare un dialogo politico, non tra funzionari».

Per l'amministrazione l'esito della manifestazione di interesse per Forte Cappellini non è scontato. «Dispiace che questi beni demaniali dismessi e abbandonati siano tenuti in scacco dalla Regione invece di essere ceduti agli enti locali», commenta il sindaco Roberto Ragnedda, che mesi fa dal Consiglio comunale aveva ricevuto il mandato, insieme alla sua giunta, di attivare una ricognizione e la successiva acquisizione dei beni immobili regionali nel patrimonio dell'Ente.

«Le istanze sono rimaste lettera morta, nonostante il Comune abbia spiegato a più riprese di puntare alla loro valorizzazione e tutela». di Walchiria Baldinelli

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Canosa
Da corrieresalentino.it del 21 ottobre 2018

Il Castello altomedievale di Canosa, di cui oggi restano solo ruderi, sorge nell’area dove un tempo vi era l’acropoli, le cui rovine vennero incorporate nella struttura difensiva dell’antica Canusium, città di grande importanza giacche costituiva un nodo fondamentale delle vie di comunicazione dirette in Puglia. Un primo fortilizio, di probabile origine bizantina, era già presente sulla collina dei SS Quaranta Martiri sotto il regno del sovrano longobardo Autari, verso la fine del VI secolo. In seguito gli stessi Longobardi provvidero a fortificare ulteriormente il fortilizio, come anche i Bizantini del resto, nei ripetuti passaggi di mano che la Puglia subì nel Medioevo. La struttura resistette strenuamente agli assalti condotti dai Saraceni specialmente intorno al IX secolo. 

Con l’arrivo dei Normanni la fortezza venne occupata dai nuovi signori che la resero una delle loro più importanti sedi nella neonata Contea di Puglia, ben presto trasformatasi in Ducato di Puglia e Calabria, dopo i travolgenti successi militari degli Uomini del Nord contro le armate di Bisanzio. Nel 1089 nelle sue ampie sale ebbero luogo i negoziati per porre fine alla contesa fra i due fratellastri Boemondo de Hauteville, Principe di Taranto, e Ruggero de Hauteville detto Borsa, Duca di Puglia e Calabria. Sembra che in epoca sveva, durante i lavori per l’edificazione di Castel del Monte, Federico II di Svevia abbia scelto il maniero come residenza temporanea, tuttavia non abbiamo prove documentarie di ciò. Un’altra notizia non certa riguarderebbe la presunta prigionia nel Castello di Canosa di Elena d’Epiro, seconda moglie di Manfredi, figlio di Federico II, e dei suoi figli ancora bambini.

Durante il regno di Carlo I d’Angiò vennero effettuati dei lavori di riparazione e rinforzo sotto la direzione dell’architetto Pietro D’Angicourt, mentre su disposizione di Carlo II il castello fu dato a Maria, figlia di Boemondo IV pretendente al trono di Gerusalemme e Cipro. Sotto le dominazioni aragonese e spagnola la fortezza fu appannaggio dei diversi feudatari, sino al 1643, anno in cui fu venduta all’asta. Nel 1704 divenne proprietaria del castello la famiglia Capece – Minutolo che, trasferitasi successivamente in Napoli, la affidò a procuratori. Dal XVIII secolo ha inizio la decadenza della struttura che subisce diversi e svariati crolli, anche a causa di terremoti. Nel 1956 finalmente il Comune di Canosa acquista ciò che rimane dell’antico castello. La struttura si presentava a pianta esagonale irregolare con due lati all’incirca paralleli sul versante meridionale e con sei torri angolari a pianta quadrangolare. Ai giorni nostri sono riuscite a giungere resti delle cortine e delle torri, di cui tre sporgono di poco rispetto al piano di calpestio. La torre sudorientale è la più alta, superando gli 8 metri, ed è quella che si è conservata di più. Dirigendoci in direzione nord si incontra un’altra torre con la base più larga della prima ma più bassa. Nel centro del lato settentrionale si trova una terza torre ancora in piedi, mentre le tre rimanenti, come già asserito, sporgono di poco dal pavimento. Di particolare interesse sono le tracce visibili relative a due diverse epoche costruttive, quella più antica, corrispondente anche alla parte inferiore, formata da blocchi in pietra a forma di parallelepipedo, mentre quella più recente costituita da blocchi di tufo particolarmente duri. Le prime sono attribuibili a materiale reimpiegato proveniente da altre costruzione dell’antica acropoli. Cosimo Enrico Marseglia

 

Palmanova 31 ottobre: giornata nazionale del trekking urbano
Da udine20.it del 21 ottobre 2018

Anche Palmanova sarà protagonista, per il quinto anno, della Giornata nazionale del Trekking urbano (giunto alla sua XV edizione a livello nazionale). Da Trento a Lentini, da nord a sud, passando per le isole, sono stati organizzati 54 itinerari all’interno delle mura cittadine per scoprire, a passo lento, luoghi unici del Bel Paese. Mercoledì 31 ottobre, giornata scelta per la manifestazione, a Palmanova è stato organizzato un tour “a spasso per le strade, tra arte, paesaggi e utopia alla scoperta della Città Fortezza”. “Abbiamo voluto rendere questa giornata un appuntamento fisso, mantenendo Palmanova all’interno di un circuito nazionale di riscoperta e valorizzazione dei territori. Unica località della regione che quest’anno partecipa. Un modo riuscito e alternativo per mostrare la Fortezza ai molti che vogliono godere di un turismo lento, visitando i luoghi più suggestivi del nostro paese, andando alla ricerca di paesaggi meno conosciuti ma ricchi di storia e atmosfere” commenta la vicesindaco e assessore alla cultura Adriana Danielis.

La partenza è prevista alle 14.30, dalla Loggia dei Mercanti, che si affaccia sulla piazza Grande: un salotto rinascimentale che offre una prospettiva unica sui palazzi storici veneziani e sul tessuto urbano disposto su assi radiali e vie anulari. Poi visita al Duomo Dogale (1615), la più interessante opera architettonica cittadina, che si impone sulla piazza con la sua maestosa facciata in pietra bianca. La passeggiata continua lungo Borgo Udine, proseguendo verso le fortificazioni costituite da tre cerchie difensive che caratterizzano la piazzaforte nella sua forma di stella a nove punte ancora intatta. L’itinerario ci porta in un suggestivo e unico paesaggio, tra cascatelle, corsi d’acqua e gallerie rinascimentali tra le vie militari della fortezza. Si ritornerà infine al centro, concludendo il percorso attraverso Porta Cividale.  percorso durerà circa due ore e si snoderà per 3 kilometri.

La partecipazione all’iniziativa è   gratuita. È richiesta la prenotazione all’InfoPoint Palmanova di PromoTurismoFVG (Tel. 0432 924815 – info.palmanova@promoturismo.fvg.it) “Raccontami come mangi e ti dirò chi sei”: sarà il viaggio tra cibo, arte e paesaggio, il filo conduttore della XV Giornata nazionale del Trekking Urbano. Nato nella città di Siena nel 2003, il Trekking Urbano è una proposta di turismo lento sempre più apprezzata e diffusa, che consiste in percorsi a piedi che toccano monumenti d’arte, punti panoramici, botteghe artigiane, mercatini, osterie di cucina tipica, praticamente tutti i luoghi dove è possibile entrare in contatto con gli aspetti più caratteristici della vita locale. Sviluppa un turismo sostenibile e rispettoso della qualità della vita dei residenti e, allo stesso tempo, consente di vivere in maniera partecipata l’esperienza di viaggio. Una passeggiata in città diventa per il turista un modo di scoprire le attrazioni turistiche locali realizzando un momento di crescita sia culturale che spirituale. Per conoscere tutti gli itinerari proposti dalle città aderenti all’edizione 2018 è possibile visitare il sito www.trekkingurbano.info, rimanere sempre aggiornati seguendo i social collegati alla Giornata Nazionale del Trekking Urbano.

 

Castello di Arco, interventi di sicurezza sulla parete
Da ladige.it del 20 ottobre 2018

Procedono i lavori di riqualificazione e rifacimento della lizza bassa del Castello di Arco e ieri la giunta comunale ha approvato il progetto esecutivo in linea tecnica dell’intervento di consolidamento. Durante la realizzazione dei lavori di messa in sicurezza e valorizzazione dell’area bassa al Castello, iniziati nell’estate del 2018, sono però emerse alcune problematiche di stabilità della roccia sovrastante. Da qui la necessità da parte dell’amministrazione comunale di intervenire per sistemare l’area in vista della realizzazione del «Giardino dei semplici». Come illustra la delibera, la dirigente dell’area tecnica ha affidato all’ingegner Giuseppe Bagattoli, dello studio professionale a Pietramurata, l’incarico per la progettazione e la direzione dei lavori di consolidamento delle pareti della Lizza Bassa». Il progettista ha consegnato il progetto esecutivo datato luglio 2018 dal quale si desume un costo complessivo di 64.546 mila euro di cui 38.854 per lavori e di 25.709 per somme a disposizione dell’amministrazione.

Tale progetto, spiega la delibera approvata dalla giunta ieri pomeriggio, ha ottenuto l’autorizzazione della Soprintendenza per i beni culturali della Pat; l’autorizzazione della Commissione per la pianificazione territoriale e il paesaggio della Comunità Alto Garda e Ledro; la conformità urbanistica da parte della commissione edilizia. Per quanto concerne le tempistiche, «le opere richiedono un tempo di realizzazione pari a sessanta giorni». Nella spettacolare lizza bassa del Castello di Arco, una zona rimasta per tanti anni inaccessibile al pubblico, sarà prossimamente realizzato il «Giardino dei Semplici», area didattica dove verranno messe a dimora delle essenze e piante particolari: un progetto su cui sta lavorando l’«archistar» piacentina Anna Scaravella, considerata tra i più talentuosi architetti paesaggisti italiani e appositamente ingaggiata dall’amministrazione comunale per il suo curriculum.

L’estate scorsa sono iniziati i lavori di messa in sicurezza della lizza secondo le indicazioni dell’architetto Barbara Monti di Arco e del geologo Stefano Facchinelli dello studio «Geologos» di Pergine. L’intervento, in fase di ultimazione, prevede il restauro e il ripristino dei brani di cinta muraria ancora presenti, oltre alla realizzazione di un parapetto di protezione e di un sistema di collegamento, tra le varie quote presenti sul terreno, tramite una scala. In aggiunta a questo, nell’opera è prevista la predisposizione del futuro impianto elettrico e dell’impiantistica necessaria. Ultimata questa fase si potrà finalmente procedere con l’attesa realizzazione del giardino botanico.

 

«Fortificazioni in Busa risorsa da sfruttare»
Da giornaletrentino.it del 20 ottobre 2018

Riva «La nostra zona custodisce un immenso tesoro. E' una terra in cui vicende che crediamo lontane sono, invece, ancora ben presenti, e rappresentano un enorme patrimonio che rischia di essere condannato all’oblio». Elvio Pederzolli, appassionato ricercatore storico e presidente dell’associazione culturale Trentino Storia Territorio, ha utilizzato la “location” della libreria Colibrì, al Blue Garden di Riva, per lanciare un appello rivolto alle istituzioni “colpevoli” di non tenere nella giusta attenzione il patrimonio storico (castelli e forti) di cui è ricco il nostro territorio. Un ammonimento emerso durante la presentazione del libro “Saxa Fracta. Storia e itinerari tra le fortificazioni dell’Alto Garda”, testo scritto a quattro mani, assieme a Renzo Saffi, per la Casa editrice Panorama di Trento. Pederzolli ha recuperato vicende e luoghi importanti quanto sconosciuti ai più ma, soprattutto, trasmette il suo grande amore per le escursioni e per la storia della propria terra.

«Se tutti iniziamo a pensare che ciò ha un valore, anche economico, allora si creeranno le risorse per far sì che questi posti non rimangano solo un cumulo di rovi – ha spiegato l’altra sera Elvio Pederzolli - spesso le istituzioni faticano a cogliere tutto ciò, e a trovare i fondi necessari per valorizzare la cultura così come si dovrebbe. È importante tutelare questi reperti, per poterli restituire alla ricerca ma, soprattutto, perché ci rammentano la nostra storia, quella che fa parte di ognuno di noi». “Saxa Fracta” è un viaggio trasversale nell’Alto Garda, attraverso secoli e territori, a volte non così noti nella loro importanza nonostante si trovino a pochi passi dalla consuetudine, a ritroso nel tempo fino alla Preistoria. Luoghi stratificati in molteplici forme i cui echi non sono solo nei libri, ma anche nelle leggende e nei racconti. Il testo accompagna il lettore lungo 15 itinerari virtuali e tre millenni di vicende su una terra di confine, qual’è l’Alto Garda trentino: dai castellieri preistorici alle fortificazioni della seconda guerra mondiale, passando attraverso castelli medioevali ricchi di fascino e leggende, trincee e caverne della Grande Guerra.

Da castel Sejano, sopra Bolognano, al castello Vecchio di Riva, dalla chiesa di Santa Maria Maddalena, sulla strada millenaria che collegava via terra l’Alto Garda al bresciano, alle chiese di San Tomè e di San Rocco, a Pannone. Dall’eremo di San Brizio, sopra Riva, al castello di Castellino, sul Monte Velo, luogo che ha restituito antichissimi segni alfabetici e storie di fantasmi. Il tutto incorniciato dal lago di Garda, l’antica “autostrada” costellata di vedette fortificate medievali e precedenti. «Le nostre montagne sono come un pettine – conclude Pederzolli – su cui è finito tutto, e ove tutto ha lasciato traccia. E di questo abbiamo una grande responsabilità».

 

VERSO LA GUERRA NUCLEARE: I FUNGHI NON FANNO PIÙ MALE?
Da difesaonline.it del 19 ottobre 2018

Troppo tempo si affrontano con disinvoltura le più disparate notizie riguardanti programmi di riarmo od aggiornamento delle dotazioni nucleari. Si pubblicano articoli su bombe, missili o semplici testate nucleari come si trattasse di un argomento ordinario. Chi scrive ha vissuto la propria adolescenza durante la “guerra fredda”, un’era in cui era il terrore di un nuovo confronto mondiale a segnare un limite invalicabile. Stiamo parlando di un sentimento “sano”: la consapevolezza delle tremende, attendibili e certe conseguenze di un olocausto nucleare. Non sto considerando conflitti moderni in cui la menzogna è la causa scatenante o quantomeno il fertilizzante della paura di qualcosa che non si comprende o non esiste.

Sto semplicemente ricordando la verità di un recente passato. 1983: lo choc Ricordate “The Day After”? Doveva essere un film per la televisione, quindi con ambizioni limitate. L’effetto fu invece globale e devastante. “The Day After” ha rappresentato per il pubblico mondiale un punto di svolta. Il film racconta l’esperienza della follia atomica dalla parte di persone comuni: la vita quotidiana, il crescere delle tensioni internazionali, il lancio di missili balistici, la risposta, gli effetti… Furono (anche) le conseguenze realistiche dell’uso di ordigni nucleari mostrate in quel lungometraggio a innescare il ripensamento dei programmi nucleari? Mi piace pensarlo. Negli anni '80 non si era figli di Hiroshima e Nagasaki, ne avevano sentito parlare e visto le immagini i nonni, reduci comunque di una tremenda guerra. I nostri genitori avevano vissuto il serio rischio della fine del mondo con la crisi dei missili di Cuba: il pacifico e democratico Kennedy aveva minacciato l'Unione Sovietica di utilizzare il proprio arsenale strategico se non fossero stati rimossi gli assetti nucleari dall'isola. I sovietici fecero un passo indietro ottenendo tuttavia una contropartita maggiore: lo smantellamento dei missili Jupiter dalla Turchia e dall'Italia (Gioia del Colle)...

Oggi si ragiona in termini di “nucleare tattico” o di “testate scalabili”. Lo si fa talvolta come ragazzini (deficenti!) di fronte ad un videogioco. Oggi non si vedono più folle in piazza a protestare contro arsenali che terminerebbero la vita sulla Terra. Oggi si lavora per il futuro impiego di missili di potenza limitata o limitabile. Questi ordigni saranno utilizzati operativamente, a differenza dei precedenti sono realizzati a tal fine. A quel punto un'intera generazione non avrà bisogno di "immaginare" o "temere" le conseguenze sul fisico e la mente delle radiazioni. Le vivrà. (immagine: fotogramma “The Day After”) di Andrea Cucco

 

L'AERONAUTICA MILITARE APRE LE PORTE DEL FORTE APPIA
Da aeronautica.difesa.it del 19 ottobre 2018

La struttura è uno dei quindici Forti storici di Roma
Venerdì 19 maggio, il Reparto Sistemi Informativi Automatizzati ha aperto le porte del Forte Appia, uno dei quindici forti di Roma. La visita guidata alla struttura, alla quale ha partecipato un gruppo attento di circa 30 appassionati di storia militare, è stata realizzata in collaborazione con l’associazione “Progetto Forti” e con il Parco Regionale dell’Appia Antica seguita e costituisce ulteriore testimonianza del radicamento del Reparto nel tessuto sociale del territorio che lo ospita.

Il Forte Appia, nei secoli è stato utilizzato per diversi scopi, in primis come punto di difesa di Roma ed in tempi più recenti, a partire dai primi anni del ‘900, quale sede della Direzione di Artiglieria del Corpo Aeronautico, ebbe l’ultimo utilizzo attivo tra gli anni ’80 e ’90 quale centro elaborazione dati del ReSIA ed è tutt’ora impiegato in parte quale deposito. Caratterizzato da un paramento lapideo in leucitite, è in ottimo stato di conservazione e presenta i volumi ipogei e terrapieni nella forma originale.

Nel fossato è visibile un profondo pozzo “romano” scavato nel locale banco lavico, che rappresenta un unicum tra strutture del genere. Il Reparto Sistemi Informativi Automatizzati ha sede nella prestigiosa area del parco Regionale dell’Appia Antica, ed opera alle dipendenze della 3^ Divisione del Comando Logistico dell'Aeronautica, con la mission di progettare, realizzare e gestire i sistemi e le reti telematiche non classificate garantendone al contempo la cyber defence assolvendo le funzioni di Computer Emergency Response Team (CERT) e provvedendo all’addestramento basico del personale nell’ambito dell’Information Communication Technology.

 

Augusta. “Alcune Torri costiere dell’aerea siracusana dal periodo spagnolo alla Seconda Guerra Mondiale”
Da libertasicilia.it del 19 ottobre 2018

Conferenza che si terrà sabato 20 ottobre 2018, presso il Circolo Filantropico Umberto I Piazza Duomo n.130, Augusta.

Saluti: Sig. Domenico Di Franco, Presidente Circolo Filantropico Umberto I Avv. Vittorio Sardo, Presidente Centro Studi storico-militari di Augusta. Dott. Alberto Moscuzza, Presidente Associazione culturale Lamba Doria. Relatori: Arch. Marinella Tino, Ass. Lamba Doria, la Torre di Penisola Magnisi, Priolo Gargallo.

Perito Lorenzo Bovi, Ass. Lamba Doria, Torre Cuba, Siracusa. Dott. Francesco Paci, componente Centro Studi storico-militari di Augusta. e referente di Augusta Ass. Lamba Doria, Torre Avalos, Augusta. Dott. Alberto Moscuzza, Ass. Lamba Doria, Torre Xibini, Pachino.

 

Il giro delle fortezze tra Tesimo e Prissiano - Consiglio escursionistico
Da altoadige.it del 18 ottobre 2018

Questo fine settimana autunnale dalle temperature ancora particolarmente miti vi portiamo con noi lungo un percorso tematico, immergendoci nella magia dei castelli. Ci aspetta un tour tra storia, paesaggio e cultura, durante il quale potremo immedesimarci nella vita medievale di questi centri mercantili. Il Sentiero dei Castelli tra Tesimo e Prissiano si snoda per quasi 10 km in una delle aree dell'Alto Adige più ricche di questi manieri storici, un tracciato particolarmente suggestivo e panoramico sulla bellissima Val d'Adige. L'itinerario ha inizio nel cuore del paesino di Prissiano, dove ci incamminiamo lungo il sentiero 13A. Qui incontriamo subito la prima fortezza: Castel Zwingenburg (anche chiamato Castel Zwingenberg) che ammiriamo nella sua magnificenza dall'esterno. Da qui in poi si incontreranno diversi incroci:


• al primo proseguiamo sulla marcatura 15 verso destra che ci conduce in salita;
• al secondo incrocio svoltiamo a sinistra, continuando sul segnavia 7;
• al terzo incrocio teniamo la sinistra camminando sulla marcatura 7A.
Arriviamo quindi alla frazione di San Giacomo dove continuiamo seguendo la segnaletica 8 e svoltando a destra al confine del bosco, dove ci incamminiamo lungo il sentiero 12A che ci conduce infine a Castel del Gatto. Qui ammiriamo una dei vitigni più antichi ed estesi dell'Alto Adige: si tratta dell'antica vite tirolese Versóaln, un vitigno che si estende su una tradizionale pergola di castagno su ben 300 metri quadri. Vale la pena scattare qualche foto – si tratta infatti di uno dei pochi esemplari di questa specie – prima di incamminarci sul sentiero di ritorno al paese di Prissiano. di Federica Raffini

 

Le fortificazioni del Mediterraneo “dalla guerra alla pace”: FORTMED 2018
Da poliflash.polito.it del 18 ottobre 2018

Sarà quest’anno il Politecnico ad ospitare il convegno proposto dall’associazione FortMed e dedicato in questa edizione a “Fortificazioni dalla guerra alla pace: modelli di ricerca, documentazione e rilievo del patrimonio mediterraneo, europeo, internazionale”; il convegno punta l’attenzione sul ruolo che le opere di difesa hanno rivestito in passato e rivestono oggi, concentrandosi in modo particolare sul progressivo abbandono dell’attività difensiva (volta all’inaccessibilità) in favore di nuove funzioni culturali (volte invece proprio all’accessibilità e alla condivisione, sia materiale che immateriale).

La conferenza ha raccolto più di 200 testimonianze da 40 nazioni diverse: si delinea quindi un panorama multidisciplinare che indaga l’argomento attraverso la blind review, il riesame di documenti storici come cartografie, trattati, biografie, con il supporto di nozioni di Ingegneria Militare - dai sistemi difensivi tradizionali all’artiglieria - e di petrografica-minerale, fisica, geochimica ma senza dimenticare l’indagine digitale che prevede strumenti come la fotogrammetria e il 3D laser scanner. Attraverso queste metodologie e i diversi approcci si “reinterpreta” questo ampio patrimonio culturale correlato all’assetto territoriale: le fortificazioni vanno considerate come un bene materiale e immateriale che, avendo perso oramai la funzione di difesa legata alla guerra, assumono la nuova funzione di percorsi culturali di pace. Dal passato alla contemporaneità, dalla conoscenza al progetto, per trovare nuove forme di fruizione e valorizzazione dell’architettura fortificata.

I lavori sono stati introdotti dal Rettore Guido Saracco, seguito da Paolo Mellano, Direttore del Dipartimento di Architettura e Design, Guido Montanari, vicesindaco della città di Torino, Vito Cardone, presidente dell’Unione Italiana del Disegno. A presiedere i lavori il professor Pablo Rodriguez Navarro, dell’Università Politecnica di Valencia; chairs del convegno Anna Marotta e Roberta Spallone, docenti del Politecnico di Torino. L’evento si inserisce nel ciclo di convegni internazionali dell’associazione FortMed, che vede come soggetti fondatori e aderenti docenti, ricercatori e studiosi delle università di Valencia e Alicante, con quelle di Firenze, Pavia, Politecnico di Torino, insieme a numerosi istituti culturali italiani ed europei.

 

Fort Hensel: rubata la bandiera dell'impero austro-ungarico
Da udine.diariodelweb.it del 18 ottobre 2018

MALBORGHETTO-VALBRUNA – E’ durata poco più di 3 mesi la permanenza della bandiera con l’aquila a due teste sulla cima di Fort Hensel. Nei giorni scorsi, infatti, qualcuno ha pensato bene di farla sparire, lasciando di stucco chi, negli ultimi anni, si è impegnato per ridare vita alla fortificazione austro-ungarica risalente al periodo napoleonico. Un colpo pianificato nel dettaglio, visto che il vessillo non è stato strappato dall'asta con il rischio di poterlo rovinare, ma è stato sfilato dopo aver smontato i sostegni che lo reggevano. Con attrezzi, come si leggi sulla pagina Facebook dedicata al Fort Hensel, che di solito le persone no si portano in auto. Quindi potrebbe essere l'azione di un collezionista o di qualcuno che non ha apprezzato il ritorno di una bandiera asburgica in valle.

L'AMAREZZA DI CHI LAVORA PER VALORIZZARE IL FORTE - «Tre cose ci dispiacciono – si legge ancora su Facebook – la prima è che quella bandiera era stata acquistata con fondi privati e rimessa nel suo luogo originario non per spirito di rivalsa o per mancare di rispetto a qualcuno, ma semplicemente per rendere omaggio a chi ha costruito e difeso Fort Hensel; la seconda è che questo furto è avvenuto a distanza di pochi mesi dalla bellissima festa per la creazione del Parco Tematico di Fort Hensel e del suo collegamento con il paese di Malborghetto attraverso il Soldatenweg; la terza, ed è quella che ci fa più male, è che abbiamo sbagliato noi riponendo troppa fiducia nel prossimo».

UNO SFREGIO AL TERRITORIO - Un gesto che ha lasciato certamente l’amaro in bocca a chi ha voluto ridare un senso storico e turistico a questa fortificazione, ma che non fermerà le attività di promozione e riscoperta del manufatto. «Una cosa è certa – conclude il post apparso su Facebook – se mai un'altra bandiera dovesse nuovamente sventolare su Fort Hensel allora, nostro malgrado, dovremo ricorrere ai ripari e fare in modo che nessuno possa più privare alcun bambino di guardare quello 'strano' vessillo e domandare 'perché quell'aquila ha due teste?'».

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Ducale di Bovino
Da corrieresalentino.it del 17 ottobre 2018

Il Castello di Bovino è una roccaforte di notevole rilevanza strategica giacché si erge su uno sperone di roccia che sovrasta l’omonimo vallo, consentendo un’ampia visuale. Tale importanza strategica è testimoniata dalla presenza in loco di vestigia militari risalenti all’epoca romana e probabilmente anche prima. Successivamente il luogo fu un’importante piazza di difesa anche per Longobardi e Bizantini.

Anche la Torre a Cavaliere, eretta sotto la signoria della famiglia di Loretello che ebbe il feudo di Bovino fra il 1059 ed 1182, sembra testimoniare l’importanza strategica della rocca. Sul finire del XI secolo d.C., con l’assestarsi del dominio normanno sul Meridione d’Italia, Drogone de Hauteville rase al suolo la precedente costruzione ed eresse un primo nucleo del castello inglobando anche la torre cilindrica. Successive modifiche furono effettuate sotto Federico II di Svevia a cui si deve anche la costruzione del cassero (con tale nome si intende in architettura, la parte elevata di una fortificazione) che attualmente è ciò che resta della residenza del luogotenente dell’esercito imperiale.

Nella fortezza ebbero dimora temporanea Manfredi, figlio di Federico II, e diversi sovrani Angioini, mentre la ebbero fissa la famiglia Estendardo, e la famiglia spagnola dei de Guevara, che risedettero sino al 1961. In particolare Don Giovanni de Guevara, nominato Duca di Bovino intorno al 1600 da Filippo III d’Asburgo Re di Spagna, provvide a trasformare il castello in una lussuosa residenza ducale. Sotto la signoria di questa famiglia ci fu un primo ampliamento del castello lungo i lati meridionale ed orientale con la costituzione di una struttura tipicamente seicentesca, mentre nel XVIII secolo venne eretta la torre dell’orologio ed il complesso architettonico fu arricchito con un bellissimo giardino pensile. Nella fortezza sembra siano stati ospitati nel corso della storia anche diversi personaggi illustri, fra cui ricordiamo il Pontefice Benedetto XII, Maria Teresa d’Austria ed i letterati Torquato Tasso e Giovan Battista Marino. Cosimo Enrico Marseglia

 

Messina: l’ex Polveriera di Campo Italia potrebbe diventare un ricovero per animali
Da strettoweb.com del 17 ottobre 2018

A margine dell’incontro che si è tenuto oggi tra il sindaco, il vicesindaco, l’assessore Minutoli e l’ing. Giusto Santoro dell’Agenzia del Demanio, oltre alle questioni legate al Palagiustizia, si è discusso di tutta una serie di questioni legate all’Agenzia del Demanio quali il sistema di fortificazioni della città di Messina, il Palazzo Reale in prossimità della Dogana e altri manufatti che sono parte del patrimonio dell’Agenzia del Demanio, ma in utilizzo al Comune .

Si è manifestata da subito l’intenzione di riattivare tutte le procedure strumentali o comunque sinergiche a quelle del programma dell’Amministrazione comunale e nello specifico il sistema di fortificazioni da legare ad un percorso sia turistico che sportivo, mentre per quanto riguarda il Palazzo Reale da collegare a tutto ciò che sarà il sistema del waterfront e un’altra serie di immobili da utilizzare per funzioni specifiche.

Precisamente si è parlato dell’ex Polveriera di Campo Italia, dove potrebbe essere allocato un primo ricovero per animali e insieme all’assessore Minutoli si è discusso di predisporre una dettagliata relazione per l’utilizzo di tali aree che poi potranno essere utili per le finalità discusse.

 

A Brezzo di Bedero la Linea Cadorna tra storia, cultura, valori sociali e misteri
Da luinonotizie.it del 17 ottobre 2018

di Roberto Bramani Araldi) Un sabato mattina come tanti di questo mese di ottobre poco autunnale e molto primaverile, quello appena passato, un pallido sole, filtrato dai fitti rami del sentiero, la temperatura frizzante, uno sparuto gruppo intento ad ascoltare un oratore ispirato e prorompente dinanzi ad una apertura misteriosa sotto una collinetta delimitata da un muro possente, in parte crollato: ma di cosa stiamo parlando? Dell’iniziativa voluta dal Comune di Brezzo di Bedero, patrocinata dal consigliere Dario Colombo e dall’assessore Giuliano Targa, di coinvolgere un insigne studioso come Antonio Trotti, conservatore, responsabile dei servizi educativi e del Centro di documentazione e Studio del Museo della Guerra Bianca in Adamello, per fornire un quadro esaustivo, a coloro che desiderassero approfondire l’argomento, sulle fortificazioni edificate durante la Prima Guerra Mondiale del 15/18, in tal modo allineandosi alle celebrazioni del centenario della sua conclusione. Trotti provoca, vuole provocare: “La dizione Linea Cadorna è un falso!

Il Generale Luigi Cadorna, Capo di Stato Maggiore dell’esercito italiano, non si occupava di fortificazioni! Inoltre la linea, così come in parte è stata realizzata, venne concepita, nei primissimi progetti, addirittura nel 1870 e il suo sviluppo aveva lo scopo di creare una serie di fortificazioni per costituire la Frontiera Nord in difesa dei confini della neonata Italia. Le prime costruzioni vennero attuate in Val d’Aosta per fronteggiare quello che poteva rappresentare il potenziale pericolo di allora: la Francia! Nella Grande Guerra, nessuno dello Stato Maggiore ipotizzava che gli austriaci, impegnati su un fronte vastissimo, potessero invadere la Svizzera e da lì colpire alle spalle l’Italia, allargando ulteriormente il fronte e aumentando le difficoltà connesse con approvvigionamenti sempre più scarsi!”. “Ma allora perché venne chiamata Linea Cadorna e, soprattutto, perché vennero portati avanti lavori imponenti proprio durante la belligeranza”, si domandano gli astanti? Trotti è ormai inarrestabile, il suo fluido eloquio straripa d’entusiasmo: “Ebbe una chiara valenza sociale il dare avvio ai lavori di completamento. La popolazione soffriva la fame, lo sforzo del Paese era rivolto a mantenere efficiente l’industria bellica, le braccia erano al fronte e chi era rimasto a casa aveva perso il loro sostegno, quindi aprire nuovi sbocchi di lavoro, pur mal retribuito ed irto di rischi, rappresentava una risorsa e il mantenimento di una pace interna, indispensabile per il proseguimento del conflitto”.

Dopo il chiarimento sul falso si procede a varcare la soglia misteriosa. Dopo pochi passi si è sommersi dall’oscurità, la tenue luce proveniente dall’esterno non riesce a sostenere che pochi metri di percorso, compaiono le torce elettriche a svelare tunnel enormi, nei quali potrebbe tranquillamente transitare un mezzo di trasporto pesante, finché si arriva alla sala della cannoniera “Sirpo”, molto ampia e con una feritoia rivolta all’esterno per consentire all’enorme cannone – almeno 6 tonnellate di peso -, che lì avrebbe dovuto alloggiare, di sparare i suoi colpi sul nemico. Ci sono residui vari, lo stato è ancora precario, i lavori da svolgere per conferirle un aspetto accattivante non saranno irrilevanti, tuttavia lo spazio potrebbe essere sfruttato per iniziative a carattere culturale, dai concerti alle rappresentazioni teatrali, naturalmente per un pubblico limitato, ma sarebbe davvero suggestivo poter osservare la trasformazione di un’opera di morte in un sacrario della cultura, una delle più nobili espressioni dell’animo umano. Forse questa è la sfida che l’Amministrazione sembra propensa a sostenere, di certo l’impegno profuso sinora a rendere agibile il percorso della carrareccia, per riportare alla luce cippi, scoli e postazioni è stato encomiabile, anche perché sovente attuato di persona, ma rimane ancora molto da fare per centrare altri obiettivi. E allora grazie, dottor Trotti, per aver illuminato i tunnel che portano alla cannoniera con la luce della storia: le torce sono state indispensabili per non inciampare, ma il sollevare il velo sul passato è stato un regalo per il quale Brezzo di Bedero non può provare che gratitudine.

 

Loano non solo mare, giovedì 18 ottobre gita ai Forti di Nava
Da savonanews.it del 16 ottobre 2018

Proseguono le escursioni di “Loano non solo mare”, il programma curato dalla sezione loanese del Cai con il patrocinio dell'assessorato a turismo, cultura e sport del Comune di Loano. La destinazione della prossima gita, in programma giovedì 18 ottobre, saranno i Forti di Nava. L'escursione, organizzata in collaborazione e “in compagnia” del gruppo “Giovedì in Liguria” e del Cai di Savona, segue un itinerario che toccherà le varie fortificazioni costruite nella seconda metà dell'ottocento a difesa del Colle di Nava, importante via di comunicazione fra Piemonte e Liguria. I partecipanti si ritroveranno alle 8.30 in piazza Valerga. Da qui si avvieranno in auto verso Ortovero e Pieve di Teco, proseguendo in direzione di Ormea. Superato Pornassio e pervenuti al Colle di Nava, si raggiungerà un ampio spazio situato poco oltre il Forte Centrale: qui verranno lasciate le auto e inizierà l'escursione a piedi.

All'inizio dell'escursione è prevista la visita agli ambienti interni ed esterni del forte. Terminata la visita i partecipanti imboccheranno una stradina che passa al fianco del successivo Forte Bellarasco, una possente struttura militare usata fino a pochi anni fa dall'esercito italiano. Si prosegue quindi per uno stradello e si imbocca a sinistra un evidente sentiero che risale la cresta fra boschi e slarghi erbosi. In questo modo si potrà raggiungere il punto più alto dell'itinerario, il Forte Richermo: si tratta di una costruzione rotonda e non molto grande, gemello del Forte Pozzanghi, posizionato sulla parte opposta della valle; ambedue le strutture avevano ovvii compiti di guardia e di copertura al forte Centrale. Dal forte Richermo si potrà godere di un vasto panorama sulle Alpi Liguri. Imboccando un sentiero roccioso e sempre immerso nel bosco, gli escursionisti arriveranno alla bella e vasta radura del colle di San Bernardo d'Armo, dove sorge la piccola omonima chiesetta risalente al '600 e ricostruita negli anni '50 del secolo scorso. Di qui un comodo percorso riporterà al forte Centrale di Nava ed alle auto.La gita avrà una durata di circa 4 ore e seguirà un itinerario ad anello con un dislivello di 400 metri circa. I capogita sono Mario Chiappero, Cesare Zunino, Gianni Simonato e Beppe Peretti.

Per la partecipazione alla gita di non soci Cai è necessario sottoscrivere l'assicurazione nominativa infortuni, da richiedere entro le ore 12 del giorno precedente lo svolgimento dell'attività stessa telefonando a Laura Panicucci (tel. 019.67.23.66, cell. 3497854220). L'obiettivo di “Loano non solo mare” è promuovere la pratica escursionistica come occasione di socializzazione, benessere personale, conoscenza e valorizzazione del territorio.

 

Giornate Fai, un successo le aperture del Torrione Visconteo e Vescovado
Da repubblica.it del 15 ottobre 2018

Grande successo per le Giornate Fai d'autunno con migliaia di parmigiani e turisti che hanno potuto visitare luoghi storici solitamente chiusi al pubblico. Nel week end in città sono state aperti in via del tutto straordinaria il Torrione Visconteo, la chiesa Sancta Maria Schola Dei all'interno Certosa di San Girolamo e il Vescovado.

La torre medioevale che sorge in via dei Farnese di fronte al palazzo della Pilotta, sul lato opposto del torrente, fu costruita da Bernabò Visconti nel XIV secolo per fortificare l'estremità del ponte allora esistente. Piacevole il panorama che si può osservare dalle finestre dell'ultimo piano del Torrione Visconteo che domina il Lungoparma, il parco Ducale, il ponte Verdi e il Complesso Monumentale della Pilotta. luoghi solitamente non accessibili al pubblico.

Nel week end, grazie all’impegno dei volontari Fai, è stato dunque possibile scoprire il monastero quattrocentesco della Certosa di Parma, il Torrione Visconteo, architettura militare di epoca medievale, e il palazzo del Vescovado, custode della storia religiosa e civile della nostra città dall'XI secolo ad oggi.

Luoghi solitamente non accessibili. (foto Marco Vasini)

 

Torri costiere dell’area siracusana, convegno storico provinciale ad Augusta
Da lagazzettaaugustana.it del 15 ottobre 2018

AUGUSTA – “Torri costiere dell’area siracusana dal periodo spagnolo alla Seconda guerra mondiale”. Questo il titolo di una conferenza storico-culturale che si terrà ad Augusta sabato 20 ottobre alle ore 18 nella sede dell’associazione filantropica “Umberto I”, in via Principe Umberto 130.

A promuoverla, oltre all’associazione ospitante, il “Centro studi storico-militari di Augusta” (Cssma) e l’associazione culturale “Lamba Doria” di Siracusa, i cui presidenti porgeranno un saluto, rispettivamente Mimmo Di Franco, Vittorio Sardo e Alberto Moscuzza.

Tra le torri costiere trattate, c’è Torre Avalos (nella foto in evidenza), che sarà oggetto di un approfondimento storico da parte di Francesco Paci, componente del Cssma e referente locale della “Lamba Doria”.

Tra le torri costiere in provincia, verranno attenzionate la Torre di Penisola Magnisi, in territorio di Priolo Gargallo, con una relazione di Marinella Tino, la Torre Cuba, a Siracusa, con una relazione di Lorenzo Bovi, e la Torre Xibini, a Pachino, con una relazione di Alberto Moscuzza, tutti e tre dell’associazione “Lamba Doria”.

 

PARLIAMO DI MISSILI? RIFLESSIONI SU UNA CAPACITÀ NEGLETTA
Da difesaonline.it del 15 ottobre 2018

L’argomento missili nel nostro Paese ha viaggiato sempre “sotto traccia”, eppure abbiamo una industria di prim’ordine. Se ne parla ora per le polemiche politiche sorte intorno al programma CAMM-ER, che sta per: “common anti-air modular missile extended-range” una sigla che ai più dice poco.

Stupisce che le attuali discussioni trascurino la valenza eminentemente difensiva del programma, che dovrebbe invece essere premiale nella visione strategica del nostro Paese che ha bandito il concetto di attacco anche dal lessico comune. Ma andiamo con ordine.

Nel contesto delle operazioni militari la difesa e l’attacco sono due distinti momenti tattici cui corrispondono due diverse predisposizioni fisiche e mentali. Pur distinti, difesa e attacco sono però inscindibili: l’una non avrebbe senso senza l’altro.

Così come non avrebbe senso la lancia – che dell’attacco è il paradigma - senza lo scudo, altrettanto vale per l’opposto. È un dato di fatto che buona parte dei “dividendi” derivanti dalla fine della “guerra fredda” siano stati pagati dal drastico ridimensionamento dello “scudo”. In sostanza, nel generale ridimensionamento delle spese della difesa è avvenuto che i tagli degli investimenti nella componente missilistica, sia di quella basata a terra sia di quella imbarcata sui mezzi aerei, siano stati proporzionalmente più ingenti rispetto ai tagli in altri settori.

È questa una situazione che si riscontra, pur con diverse accentuazioni, in quasi tutti i Paesi della NATO. L’Italia in particolare è fra i Paesi che nell’ultimo quarto di secolo hanno ridotto maggiormente gli investimenti. Come conseguenza il segmento missilistico nel suo complesso si trova ora in profonda sofferenza; gli esistenti sistemi missilistici divenuti obsoleti non sono stati rimpiazzati come a suo tempo si sarebbe dovuto e l’industria nazionale, che gode ancora di un notevole prestigio internazionale grazie a talune scelte lungimiranti effettuate in passato, è ora in evidente affanno.

Fra tutti, il segmento missilistico più “mortificato” è senza dubbio quello dei complessi e quindi costosi sistemi superficie-aria, deputati alla difesa da minacce provenienti dall’aria.

Il taglio egli investimenti nella difesa non è però la sola causa. L’accantonamento della “guerra fredda” ha reso più remota, almeno in termini percettivi, la prospettiva di un attacco aereo massivo al territorio nazionale, di conseguenza questi sistemi di difesa hanno perso progressivamente di priorità. Si aggiunga poi che anche il loro concetto di impiego, essenzialmente statico per la protezione del territorio nazionale, appare obsoleto in tempi di operazioni “fuori area”.

L’esperienza delle operazioni militari cui il nostro Paese partecipato dagli anni 90 del secolo scorso in poi, e che si sono svolte senza alcun vero contrasto dal cielo, hanno semmai rafforzato in molti l’idea che i complessi e costosi sistemi missilistici superficie–aria non costituiscono ormai una priorità. Le polemiche attuali sul CAMMER ne sono la dimostrazione.

Le vere priorità per contro sono diventate le operazioni di contro-insorgenza e le cosiddette operazioni “ibride” nei riguardi di attori internazionali, temibili quanto si vuole, ma comunque privi di una organizzazione statuale e quindi di una aeronautica capace di infliggere danni dal cielo e tantomeno di colpire il territorio italiano.

Coerentemente con questo sentire generalizzato gli investimenti della Difesa italiana, invero particolarmente risicati nel loro complesso, da almeno due decenni stanno andando in direzioni diverse rispetto alla difesa missilistica. Relativamente a quest’ultima ci si è limitati ad onorare gli obblighi internazionali assunti nei programmi PAAMS e SAMP/T e per il MEADS si è deciso, di malavoglia, di finanziare solamente il completamento dello sviluppo.

Eppure a livello geo-politico molte cose in questi anni post-guerra fredda sono andate progressivamente mutando. La proliferazione di sistemi aerei offensivi innanzitutto non è mai cessata, nonostante gli sforzi di contenimento messi in atto dalla Comunità Internazionale. A ciò hanno contribuito sicuramente gli avanzamenti tecnologici che hanno reso accessibili economicamente dei sistemi molto evoluti anche a soggetti internazionali - statuali e non - che altrimenti non avrebbero potuto permetterseli.

Si aggiunga a questo la particolare politica di taluni Paesi “proliferanti”, ansiosi di piazzare i propri prodotti nel grande mercato internazionale delle armi per incamerare valuta pregiata nelle loro asfittiche economie, e non solo per questo.

È un dato di fatto ormai che dei moderni e aggiornati sistemi aerei offensivi sono nella disponibilità di una moltitudine di soggetti statuali, molti dei quali rientrano del raggio di attenzione dell’Italia. La crescente ritrosia della Comunità Internazionale ad impegnare propri soldati sul terreno per stabilizzare aree di crisi, forse può essere spiegata anche con questo. La minaccia di un intervento degli Stati Uniti in Siria, a suo tempo tanto agitata è stata subito accantonata per l’alto rischio; una avventura del genere in Siria non sarebbe stata una “passeggiata” come altri interventi effettuati dagli USA e dai suoi alleati nel recente passato, e questo per la qualità dei sistemi d’arma missilistici – molti di costruzione russa - presenti in quel Paese. Anche l’assioma che mezzi offensivi di alta complessità e tecnologia non siano gestibili da soggetti non statuali viene messo in seria discussione da taluni accadimenti internazionali.

I separatisti ucraini filo-russi per citarne uno, con il sospetto abbattimento il 17 luglio 2014 del volo MH 17 da parte di un SA-11, hanno dimostrato di saper maneggiare molto bene questi sistemi d’arma ad elevata tecnologia. Il passo successivo con l’acquisizione di una capacità balistica da parte di Paesi appartenenti alla nostra area di interesse oppure di altri soggetti comunque in grado di colpire il territorio del nostro Paese, piaccia o meno, è nella logica delle cose e, se vogliamo, anche inevitabile.

In termini quantitativi molto probabilmente questa minaccia non sarà “esistenziale” come era quella della “guerra fredda”, tuttavia potrebbe essere tale da condizionare le scelte politiche del nostro Paese: il ché non è poco. Occorre quindi una profonda riflessione sulla corretta priorità da assegnare allo “scudo” e cioè alla difesa missilistica del nostro Paese. I sistemi Skyguard e Spada sono obsoleti e necessitano di essere sostituiti a breve termine, auspicabilmente con il CAMMER di MBDA Italia, tanto contestato ora. Da notare che questa azienda ha potuto avviare il programma con la consorella MBDA UK, nonostante l’assenza di finanziamenti pubblici, grazie ad un sapiente utilizzo di fondi strutturali europei. I sistemi PAAMS e FSAF SAMP/T di cui disponiamo sono invece sufficientemente moderni però sono stati pensati per la protezione delle forze e questo sono in grado di fare.

Per il futuro serve anche qualcosa in più - di valenza politica se si vuole - in grado di estendere un ombrello di protezione anche ad aree particolarmente sensibili del territorio nazionale. In altre parole serve un sistema di difesa missilistica superficie/aria che offra una protezione anche da minacce balistiche e che metta al riparo l’Italia da possibili ricatti di natura politica da parte di chicchessia. L’aggiornamento del SAMP/T e il conferimento al sistema d’arma di capacità antibalistiche potrebbe essere una risposta a questa esigenza.

Altre alternative non se ne vedono all’orizzonte, a meno di non rivedere la decisione che ha di fatto congelato il MEADS al solo completamento della sua fase di sviluppo. Le carenze del nostro sistema di sicurezza nazionale, dal lato dello “scudo”, oltre che dalla cronica carenza di risorse è imputabile anche ad una serie di occasioni mancate.

In primis l’indecisione circa il sistema di difesa missilistica a medio raggio su cui puntare per il futuro, che ha mantenuto in vita per anni due programmi parzialmente sovrapponibili, il MEADS e il SAMP/T: un lusso che pochi Paesi si possono permettere.

Ancora, il fatto di aver finanziato lo sviluppo del MEADS, con una quota parte italiana molto ingente dell’ordine degli 800 milioni di Euro, senza che vi fossero idee chiare sulla sua produzione…

Non è più tempo di ripetere certi errori. È necessario riportare nel giusto equilibrio lo “scudo” e la “lancia”, per continuare con la metafora. Si tratta di effettuare delle scelte chiare e ponderate sul sistema di protezione missilistica di cui il nostro Paese ha bisogno, orientando opportunamente gli investimenti della difesa. Tutto secondo una gradualità che tenga conto anche della realtà economica ma che non si limiti a mere considerazioni di natura contabile.

Decidere o meno un investimento esclusivamente sulla base dei costi non risponde a nessuna logica, né economica né tantomeno programmatica. I costi sono un fattore importante ma devono essere comparati anche con i ritorni industriali e tecnologici: in Italia esistono delle capacità realizzative maturate faticosamente negli anni che è un peccato disperdere. Occorre considerare che un programma di difesa missilistica offre anche molte opportunità per uno sfruttamento duale delle sue tecnologie.

Si pensino alle ricadute che possono derivare in termini di: sorveglianza del territorio, controllo di piattaforme aeree non pilotate, sensori a radiofrequenza, sistemi trasmissivi e altro: applicazioni, queste, intrinsecamente tutte civili.

E questo significa posti di lavoro e sviluppo economico di cui si avverte un grande bisogno. Infine una considerazione di natura politica. Variare le priorità nei programmi di investimento della Difesa richiede coraggio perché non è un esercizio neutro: per uno che avanza come priorità significa che un altro oppure degli altri programmi inevitabilmente potrebbero retrocedere.

Possono insorgere immotivati irrigidimenti da quanti – a tutti i livelli: politico, industriale e di singola Forza Armata - si sentono delusi nelle aspettative, ma questo non può essere di impedimento quando sono in ballo l’interesse e la sicurezza del Paese. In tempi di preoccupazione per i conti pubblici, quale è quello attuale, non è facile ottenere il favore dell’opinione pubblica quando si tratta di programmi della difesa che possono comportare anche uno sforzo finanziario.

Eppure esistono dei validi argomenti di ordine etico a favore di un sistema di protezione di aree sensibili del nostro Paese da minacce provenienti dall’aria. Il suo carattere difensivo innanzitutto e di  conseguenza il superiore valore etico che lo “scudo” ha rispetto alla “lancia”, e poi il fatto che la minaccia da contrastare non è rivolta solo verso le forze militari ma coinvolge soprattutto l’universo dei civili.

Lo sbilanciamento della nostra architettura della difesa fra “scudo” e “lancia” è il risultato di un quarto di secolo di scelte discutibili e anche di tante “non scelte” in termini di investimenti della difesa: è tempo ora di rimediare evitando polemiche che possono far smarrire il senso delle cose.

Articolo di Stefano Panato  (foto: MBDA / EI /AM / MoD Fed. russa)

 

Ferrovie: dentro il Bunker della stazione di Roma Termini
Da ferrovie.info.it del 14 ottobre 2018

Costruito negli anni '30, quello che va sotto il nome di “Bunker di Roma Termini” è un gioiello di archeologia industriale situato a dieci metri di profondità. All'interno di esso, 730 leve erano a disposizione del capostazione e dei suoi addetti per predisporre i binari in superficie e delineare il percorso dei treni che dovevano arrivare a o partire dalla stazione Termini. I banchi sono la copia esatta di quelli in opera 30 metri più in alto, nella vecchia cabina dismessa nel 1999, replicati per far sì che se la stazione fosse stata sotto i bombardamenti, la circolazione non sarebbe stata interrotta.

All'interno del bunker, raggiungibile con una profonda serie di scalini, non ci sono solo i banchi a leve, ma anche una cella in cui, durante il fascismo, potevano essere rinchiusi coloro che fossero intenzionati a sabotarne il funzionamento. Ma non solo loro. Secondo alcune fonti, lavorare alle leve tra gli anni ‘30 e ‘60 significava ripetere per ore e senza fermarsi un movimento meccanico, alienante. Se qualcuno impazziva veniva costretto all’isolamento, lasciato in cella per ore, anche se non si sa se questa funzione venne mai effettivamente utilizzata. In un'altra stanza è poi presente un sofisticato impianto di aerazione che serviva a ripulire l'aria in caso di attacchi chimici. Dentro ci sono forni per bruciare la calce e una serie di bombole una dietro l’altra.

Sulla parete frontale il quadro sinottico riproduce gli instradamenti con tutte le linee afferenti la Capitale. Una volta che i binari erano stati predisposti, le leve non si sarebbero più rialzate fino all’arrivo del treno in stazione. Le sale di fianco contengono gli armadi per i relè mente tornando nella sala principale, l’attenzione si posa sul tavolo centrale da cui verosimilmente si comandava il tutto.

Su di esso sono presenti alcuni strumenti che all’epoca erano di assoluta avanguardia, come un contenitore metallico con un orologio e una placca dove veniva inserito un foglio, una specie di scatola nera, usata per registrare i movimenti dei treni. Il bunker non è normalmente accessibile, anche se qualcosa in tal senso si sta facendo. La speranza è che un giorno possa essere visitabile sia questo sia la vecchia cabina in alto ad esso speculare, ricordi di un periodo della nostra ferrovia che appartiene inesorabilmente alla storia.

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Mesagne
Da corrieresalentino.it del 14 ottobre 2018

MESAGNE (Brindisi) – Molti storici presumono che già sotto la dominazione bizantina fosse presente in Mesagne un presidio militare fortificato o Castrum, con funzioni di difesa e di controllo delle vie di comunicazione del territorio. Tuttavia la costruzione di un primo nucleo del castello risale probabilmente alla dominazione normanna verso la seconda metà dell’XI secolo. Intorno al 1195 Mesagne viene assegnato come feudo all’Ordine dei Cavalieri Teutonici ed alcuni atti rogati da Federico II di Svevia sanciscono l’obbligo per i Mesagnesi di ristrutturare la torre a spese loro. Nel 1256 Manfredi, figlio di Federico, per combattere una lega a lui ostile formata dalle città di Brindisi, Lecce, Oria e Mesagne, dapprima assediò quest’ultima, quindi la prese devastandola. Anche la fortezza subì gravi danni tuttavia fu utilizzata dallo stesso Manfredi come base logistica per la successiva manovra offensiva contro Brindisi. Furono gli Angioini, nel 1276, a ricostruire la cittadina ed a restaurare il suo castello tuttavia, in un manoscritto risalente alla fine del XVI secolo, lo storico Cataldo Antonio Mannarino ci informa che nella prima metà del XV secolo il nucleo antico del castello fu abbattuto per volere del Principe di Taranto e Conte di Lecce Giovanni Antonio Orsini del Balzo perché giudicato pericolante ed al suo posto venne eretto il torrione, circondato da un fossato scavalcabile con un ponte levatoio ligneo non più esistente e probabilmente posto sul versante sud, dal momento che proprio su tale lato si trovano le sole feritoie e caditoie attraverso le quali venivano lanciati oggetti vari per frenare o arrestare l’assalto nemico. Da una pianta riportata dallo stesso storico si evince che alla fine del XVI secolo Mesagne aveva una cinta muraria rinforzata da 22 torrette.

Nel XVII secolo, sotto la signoria della famiglia De Angelis che affida i lavori all’architetto e sacerdote Francesco Capodieci, il Castello di Mesagne viene sottoposto ad interventi di ampliamento ed a modifiche, venendo ad assumere l’attuale aspetto. Al Capodieci si deve la progettazione dei piani superiori, nonché la capacità di armonizzare i nuovi ambienti con quelli precedenti con uno stile tipicamente barocco. Anche il torrione fu arricchito con l’aggiunta di finestre barocche. Durante i primi anni del XX secolo in alcune stanze del versante sud vi fu un asilo infantile gestito dalle suore Antoniane, in seguito gli stessi locali furono utilizzati come laboratorio per la lavorazione dei tabacchi. Nel corso di alcuni scavi archeologici è stata trovata nella struttura una tomba di epoca messapica. Dal 1973 il Castello è proprietà del Comune che lo acquistò dal Marchese Granafei. La parte più antica della struttura, come abbiamo visto è il torrione ricostruito su disposizione di Giovanni Antonio Orsini del Balzo, che presenta una pianta quadrangolare ed è munito di beccatelli e merlature in alto, inoltre si notano le già citate feritoie e caditoie. La struttura della restante parte è rettangolare, ma risulta estremamente manomessa in seguito alle aggiunte e modifiche barocche. Il castello ha infatti perso del tutto l’originale assetto, acquistando le sembianze di residenza signorile fortificata. Cosimo Enrico Marseglia

 

Grande scoperta a Castellina in Chianti: Brunelleschi progettò le antiche fortificazioni
Da radiosienatv.it del 14 ottobre 2018

Il Gruppo Archeologico Salingolpe associazione culturale di volontariato avente sede legale a Castellina ma operante in tutta l’area Chianti organizza per sabato 27 ottobre ore 17.30l presso la Sala Niccolai del Circolo Italia a Castellina una pubblica conferenza per divulgare l’importante scoperta riguardante l’intervento brunelleschiano nelle fortificazioni di Castellina in Chianti. L’evento è realizzato con il prezioso supporto dell’Associazione Circolo Italia di Castellina e unitamente ai seguenti operatori economici locali: Enoteca Le Volte Foto Ottica Le Volte Farmacia Berti Ristorante Sotto le Volte Enoteca La Cantinetta Belvedere di San Leonino Fotografo Andrea Rontini e Taverna Squarcialupi.

Le indagini che hanno portato a individuare ampi tratti delle mura attribuibili al genio del Brunelleschi si devono al chiarissimo prof. Arch. Massimo Ricci che terrà la conferenza “L’intervento di Brunelleschi a Castellina” per illustrare i risultati del suo studio. “Come è noto agli storici – dichiara Vito De Meo presidente del Gruppo Archeologico Salingolpe – dopo la devastante invasione viscontea del 1397l Firenze delibera fin dal 1400 la riedificazione fortificata di Castellina in Chianti un processo in verità molto lento. Ciò che non sapevamo però è che l’intervento brunelleschiano non si limitò semplicemente a una generica supervisione mal al contrario rappresentò la parte fondamentale di tutto l’impianto fortificato. Via delle Volte da sempre considerata una conseguenza dovuta a un successivo sviluppo edilizio con il progressivo addossarsi delle case sulle mura perimetrali è in realtà un’opera finita così concepita dal genio di Brunelleschi fin dal principio. Un unicum nel suo genere. Questa scoperta che si deve al prof. Ricci ovviamente cambia molte cose: Castellina è un centro fortificato in tutto e per tutto dall’opera del celebre architetto.

Consideriamo inoltre questo studio anche come un’utile occasione di valorizzazione territoriale poiché oltre a produrre un contributo importante in termini meramente storici e scientifici arricchisce la consapevolezza civica della popolazione nonché l’attrattività turistica e culturale verso i numerosi visitatori che ogni anno trascorrono le vacanze qui in Chianti”. “I lavori di fortificazione della Castellina – specifica il prof. Massimo Ricci – si protrassero per diversi anni senza giungere a una conclusione. Nel frattempo la guerra con la solita nemica Siena aumentò l’importanza strategica di Castellina Rencine e Staggia che costituivano il primo avamposto di Firenze. Proprio per questo motivo fu incaricato Filippo Brunelleschi che per queste contrade effettuò un sopralluogo documentato nel 1431. Si può affermare che proprio alla Castellina mise in pratica prima volta nella storia i suoi concetti formali arrivando a concepire i primi dispositivi murari che potevano sostenere l’impatto delle prime armi a polvere da sparo. Ne sia prova il percorso interrato protetto da “volte in pietra” che inventò alla Castellina e che rivoluzionò i canoni della difesa Medievale (difesa piombante).

Nel corso di alcuni sopralluoghi eseguiti personalmente ho potuto appurare che questo dispositivo difensivo unitamente a tutto il disegno generale del castello porta la firma del Grande architetto. Come sarà evidenziato nel corso della conferenza l’opera di Giuliano da Sangallo che si verificò quasi mezzo secolo più tardi (1478)l si limitò solamente a lievi modifiche ai “vivi di volata” che furono semplicemente allargati per permettere l’utilizzo di armi a polvere da sparo ormai del tutto presenti in ambito miliare e anche più potenti rispetto a quelle dei tempi del Brunelleschi. Dobbiamo ascrivere al Brunelleschi dunque anche i primi archetipi di fortificazioni attive contro la polvere da sparo. A Castellina in Chiantil Via delle Volte rappresenta il primo esempio di percorso di guardia interrato della storia. Durante la conferenza presenterò un breve compendio sugli archetipi dell’architettura militare del Grande Architetto che proprio nelle mura della Castellina ebbero il battesimo e aprirono la strada all’architettura militare del ‘500”.

 

Tra bellezze storiche e luoghi da scoprire. Cavriana svela tutto il suo itinerario
Da gazzettadimantova.it del 13 ottobre 2018

CAVRIANA. Grazie alle Giornate Fai d’Autunno, oggi giornata di riscoperta di Villa Mirra, dei Bunker antiaerei e della Base Scatter a Cavriana ma, soprattutto, come ha spiegato il sindaco Giorgio Cauzzi, «una giornata per scoprire e valorizzare il nostro territorio. Questa occasione ci ricorda che i primi responsabili della tutela del nostro territorio siamo noi stessi, noi cittadini. Abbiamo un percorso articolato che ci porta fino a quello che per tutti è sempre stato “il radar”, un luogo misterioso, che pochi conoscono. Da bambini giravano miti sulla base, c'è chi diceva che si aprisse, come nei film di 007, e uscissero i missili. Per molti sarà la scoperta di un luogo dove non ci si poteva neppure avvicinare».

BASE SCATTER E VILLA MIRRA 

L'ex Base Imbz, questo il nome in codice, è la vera attrazione della giornata a Cavriana. Paola e Graziano, fra i responsabili del gruppo Fai di Castiglione che gestisce queste aperture, raccontano l'importanza di questo luogo. «Era uno snodo di comunicazione importante. Esisteva, infatti, un arco, una sorta di contro-confine radio della Cortina di Ferro. Un ponte radio che circondava il confine con i paesi del patto di Varsavia. Cavriana era inserita in questo arco e la base acquista ancora più importanza quando, nel 1966, la Francia esce dal Patto Nato». percorsi guidati Di quella base oggi resta ben poco, ma i ragazzi e le ragazze del Fai l’hanno voluta aprire non solo per le motivazioni date dal sindaco, ma anche perché «il nostro gruppo ci tiene a far conoscere luoghi e location e, allo stesso tempo, a far provare emozioni. Vogliamo usare i luoghi per raccontare la macro storia e le storie della gente. Anche nella prima parte della nostra visita, e cioè quella della già nota Villa Mirra, faremo conoscere la storia, il perché si chiama “Villa Mirra” e, soprattutto, perché c’è anche un giardino ricco di piante esotiche. Qui si cercò di produrre banane, ma non vogliamo svelare di più, chi verrà saprà» concludono i volontari sorridendo.

I bunker
Stessa cosa per i Bunker, aperti grazie alla collaborazione con Xplora, ma solo per gli iscritti al Fai, «anche in questo caso - spiegano Paola e Graziano - puntiamo sulle storie di un paese che aveva paura e aveva scavato questi luoghi di protezione, per evitare le bombe». Un'ultimo aspetto riguarda gli spostamenti.

 

Per i suoi numerosi castelli, l’Abruzzo è detto la Baviera d’Italia
Da siviaggia.it  del 10 ottobre 2018

Castello di Rocca Calascio

L’Abruzzo è un grande museo di architettura militare all’aperto. Non c’è borgo, cima, passo o promontorio che non abbia la sua torre o il suo recinto fortificato, eretti per motivi di difesa. Tra i più suggestivi c’è il castello duecentesco di Rocca Calascio, in provincia dell’Aquila, tra i più d’Europa.

Posto a quasi 1.500 metri di altitudine, in posizione dominante sulla Valle del Tirino e la Piana di Navelli, spazia su un panorama montano mozzafiato rimasto intatto. Conserva ancora le strutture murarie e perfino una rarissima merlatura originale.

La costruzione originaria della rocca, costituita da un torrione isolato di forma quadrangolare a pietre già squadrate, si fa risalire all’anno mille e serviva come torre d’avvistamento.

La sua posizione ha reso Rocca Calascio un set cinematografico naturale per diversi film di impronta Medievale, tra cui “Lady Hawke”, “Il nome della rosa” e “Il viaggio della sposa” che hanno contribuito a renderlo famoso in tutto il mondo.

Civitella del Tronto

A Civitella del Tronto, in provincia di Teramo, c’è una fortezza dalle caratteristiche uniche, visitata ogni anno da storici e studiosi.

È una delle più imponenti opere di ingegneria militare d’Europa. Comprende architetture di varie epoche disposte su diversi livelli, collegate tra loro da varie rampe.

Situata a 600 metri di altezza in posizione strategica rispetto al vecchio confine settentrionale del Viceregno di Napoli con lo Stato Pontificio, ha una forma ellittica, con un’estensione di 25mila metri quadrati e una lunghezza di oltre 500 metri. Appartenuta a Filippo II d’Asburgo, re di Spagna, passata poi ai Borboni, venne abbandonata a metà del 1800 e depredata.

Oggi è visitabile lungo i tre camminamenti coperti, le vaste piazze d’armi, le cisterne (una sola delle quali visitabile), i lunghi camminamenti di ronda, i resti del Palazzo del Governatore, la Chiesa di San Giacomo e le caserme dei soldati.

Castello di Caldora

Vero e proprio gioiello dell’architettura militare è anche Castel Manfrino a Valle Castellana (TE).

Si trova in uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi dell’intera provincia, al confine con l’ascolano ea 900 metri su uno sperone roccioso che sovrasta le vallate del Salinello. Secondo la leggenda, fu re Manfredi, figlio naturale dell’imperatore Federico II, a volerne la costruzione per difendere il confine settentrionale del suo Regno dalle incursioni. Alla sua sconfitta, il castello passò sotto il controllo degli Angiò. I ruderi oggi sono accessibili al pubblico attraverso passerelle di legno e acciaio.

Recentemente restaurato è il Castello Caldora di Pacentro (AQ), che faceva parte, insieme ai castelli di Pettorano, Introdacqua, Anversa, Bugnara, Popoli e Roccacasale, del sistema difensivo della Valle Peligna. Situato alla sommità del suggestivo borgo dall’architettura medievale rimasta intatta, tanto da essere inserito nel Club dei Borghi più belli d’Italia, è una delle più belle fortificazioni medievali abruzzesi.

Il Castello Cantelmo di Pettorano sul Gizio (AQ) è uno dei fortilizi più interessanti del territorio. Abbandonato per decenni e ridotto allo stato di rudere, è stato restaurato negli Anni ’90 e ospita, oggi, delle mostre permanenti come “Gli Uomini e la Montagna”, la “Mostra dei carbonai”, “Reperti archeologici di età Romana” ecc.

Roccascalegna

È uno dei più suggestivi e possenti castelli abruzzesi quello di Roccascalegna (CH). Si erge su uno sperone roccioso da cui domina il caratteristico borgo medievale, il vallone del Rio Secco e l’ampia vallata del Sangro. La sua origine è molto probabilmente legata ai Longobardi che, intorno al V/VI secolo, fortificarono la rocca che poi passò sotto gli Svevi, gli Angioini e gli Aragonesi e man mano assunse un aspetto sempre più elaborato.

Impossibile citare tutti i 700 luoghi tra castelli e fortezze che si incontrano nell’interno dell’Abruzzo.

Citiamo solamente quelli più noti, come il Palazzo Castellano dei Conti di Celano a Castelvecchio Subequo, il Castello dei Conti di Sangro ad Anversa degli Abruzzi, il Castello di Roccacasale e il Castello Piccolomini di Balsorano, tutti in provincia dell’Aquila, il Castello della Monica e il Castello di Pagliara a Isola del Gran Sasso, che si trovano nei pressi di Teramo. E molti altri ancora.

 

Hangar Cansiglio: l'ex base Nato diventa una struttura di memoria e cultura
Da trevisotoday.it del 10 ottobre 2018

A dieci anni di distanza dalla consegna al Veneto della caserma Bianchin, ex base Nato in Cansiglio e in seguito ai recenti lavori di restauro ecologico dell’area di recupero strutturale dei fabbricati, Veneto agricoltura ha annunciato nelle scorse ore di voler restituire alla collettività la struttura restaurata, edificio importante per lo sviluppo di attività sociali, storico-culturali e naturalistiche nella foresta dell’Alpago.

Il restauro, realizzato grazie ad un finanziamento della Regione, verrà inaugurato venerdì 9 novembre alle ore 11 con un evento che si delinea molto importante per tutto il territorio. Verrà infatti creato un ulteriore spazio che, oltre ad essere segno forte di un tempo fortunatamente passato (la Guerra Fredda), risponde alla necessità di strutture che possano rispondere alla domanda di luoghi per convegni, eventi e meeting. Il programma della giornata inaugurale prevede: dalle ore 10.30 il taglio del nastro e la benedizione dell’hangar Cansiglio.

Alle 11 ci sarà il saluto delle autorità con Gianluca Forcolin e Giuseppe Pan. Alle 11.30 saranno presentati i lavori di recupero ecologico dell’area militare e il restauro dell’hangar con Paola Berto di Veneto Agricoltura.

A mezzogiorno l’hangar del Cansiglio sarà ufficialmente inaugurato e presentato alla collettività.

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Corigliano d’Otranto
Da corrieresalentino.it  del 10 ottobre 2018

CORIGLIANO D’OTRANTO (Lecce) – Posto sul lato meridionale dell’antica  cinta muraria, il Castello di Corigliano d’Otranto è un vero gioiello tra le piazzeforti di epoca rinascimentale che è possibile ammirare in Puglia, rappresentando inoltre il momento di passaggio dal torrione a pianta quadrata a quella rotonda di forma cilindrica, infatti: “Il Castello di Corigliano, nella sua completa ristrutturazione operata da Giovan Battista Delli Monti, si pone come lo stereotipo più rappresentativo del cambiamento della tipologia architettonica difensiva che passa dallo sviluppo verticale delle torri prismatico trecentesche alle fortificazioni turrite, basse e scarpate” ( G.O. D’Urso – S. Avantaggiato, “Il Castello di Corigliano d’Otranto”, Lecce, Edizioni del Grifo, 2009).

Sorto probabilmente in epoca medievale, fu successivamente ristrutturato ed ingrandito nel periodo compreso fra il 1514 ed il 1519 da Giovan Battista de’ Monti Signore di Corigliano che, in seguito alla presa di Otranto da parte dei Turchi nel 1480 ed alla successiva riconquista, lo adeguò ai canoni difensivi dell’epoca. La struttura si presenta a pianta quadrata con quattro torri angolari cilindriche, munite di cannoniere lungo i fianchi, con casematte ubicate sia al pianterreno sia al primo piano. Su tutte le torri sono presenti le armi della famiglia de’ Monti. Il castello è circondato da un ampio fossato. Le torri sono dedicate a quattro santi, partendo da quella settentrionale, esattamente a sinistra guardando la facciata principale, e procedendo in senso antiorario sono dette: di San Michele Arcangelo, di Sant’Antonio Abate, di San Giorgio e di San Giovanni Battista.

Nel XVII secolo viene a perdersi l’originaria funzione difensiva del castello ed ha inizio la trasformazione in residenza signorile. In particolare il Duca Francesco Trane, nuovo signore che aveva precedentemente acquistato nel 1651 la fortezza dalla famiglia de’ Monti, provvide nel 1667 alla costruzione della nuova facciata principale interamente barocca, addossata alla precedente, munita di tredici nicchie in cui vennero poste altrettante statue allegoriche, nonché otto busti di grandi comandanti di epoche passate. Iscrizioni celebrative completano la facciata cui si aggiunse una bellissima balconata in pietra leccese ed una balaustra ornata di fregi, fiori, animali mitologici, nonché il blasone dei signori. L’originale ponte levatoio ligneo venne sostituito da uno in pietra. Dal 1999 il castello è proprietà del Comune ed al suo interno ospita una biblioteca, un museo multimediale ed un book shop. Cosimo Enrico Marseglia

 

CONVEGNO SULLA VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO STORICO DELLA GRANDE GUERRA
Da leccofin.it del 10 ottobre 2018

Lecco, 10 ottobre. Il quinquennio 2014-2018, ricorrenza del Centenario della Prima Guerra Mondiale, è stato un periodo nel quale anche il mondo istituzionale ha preso coscienza della ricchezza e dell’unicità del Patrimonio Culturale della Grande Guerra presente sul territorio della Regione Lombardia ed ha dato avvio ad un programma di attività volte a farne emergere la valenza culturale e l’attrattività anche turistica. In quest’ottica, venerdì 12 ottobre, presso l’auditorium del comune di Colico, si terrà un convegno si propone di inquadrare a livello storico degli avvenimenti che hanno preso corpo in Lombardia. Il primo conflitto mondiale ha infatti lasciato molte testimonianze sulle aree montane lombarde.

Gli aspri combattimenti tra il Regno d’Italia e l’Impero Austro-ungarico avvennero sui ghiacciai e le cime presenti nei gruppi montuosi dell’Ortles-Cevedale e dell’Adamello, con posizioni presidiate in estate e inverno e poste a oltre tremila metri di altezza, sia sulle montagne poste tra Provincia di Brescia e Trentino e che sovrastano le Valli Giudicarie e il Lago di Garda. Una serie di sistemi di fortificazione presenti sulle montagne dell’Alto Varesotto, nell’Alto Lario e sul crinale delle Prealpi Orobie, costituisce poi un’altra straordinaria testimonianza di opere difensive costruite da parte italiana per contrastare una possibile invasione proveniente dalla Svizzera, in caso di violazione della sua neutralità. Oltre alle fortificazioni campali, sul territorio lombardo furono realizzate anche imponenti opere corazzate, due di queste, il Forte Montecchio Nord a Colico e il Forte Venini alle Motte di Oga nei pressi di Bormio, sono le meglio conservate in Italia.

Per valorizzare questo inestimabile patrimonio Regione Lombardia ha affidato ad ERSAF (Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste), con la collaborazione scientifica del Museo della Guerra Bianca in Adamello di Temù, un progetto di valorizzazione del patrimonio lombardo della Grande Guerra al fine di creare attività volte a farne emergere la valenza culturale e l’attrattività anche turistica. Nell’appuntamento di Colico saranno in programma interventi di rappresentanti istituzionali e studiosi impegnati rispettivamente nella promozione di azioni di tutela e valorizzazione del patrimonio storico legato alla Grande Guerra in Lombardia e nello studio e nella ricerca storica delle vicende che cento anni fa hanno così profondamente segnato il territorio lombardo e la sua popolazione. Al termine dei lavori i partecipanti si recheranno in visita al vicino Forte Montecchio Nord. La partecipazione al convegno è gratuita, previa iscrizione all’indirizzo http://www.ersaf.lombardia.it/convegno_Colico_12_10/ Per info: comunicazione@ersaf.lombardia.it

 

Mura di Padova: quattro tesori unici svelati in una notte
Da mattinodipadova.it del 10 ottobre 2018

PADOVA. Quattro luoghi che raccontano le mura cinquecentesche cittadine, tutti visitabili con guida venerdì sera. È la proposta de il mattino insieme all’assessorato alla cultura e al Comitato Mura. Due turni, massimo 25 persone per visita, uno alle 21 e l’altro alle 22, prenotabili Padova vanta la cinta bastionaria rinascimentale più estesa d’Europa (11 km), conservata quasi interamente, anche se non sempre in condizioni ideali. È un patrimonio conosciuto da pochi, spesso invisibile, nascosto da vegetazione ed edifici sorti nel tempo. Venerdì sarà un’occasione unica per visitare Bastione Impossibile, Torrione Alicorno, Porta Ognissanti e Castelnuovo.


«Il Bastione Impossibile», rivela Ugo Fadini, del Comitato Mura, «in via Raggio di Sole, fu caparbiamente voluto dal generale Bartolomeo d’Alviano contro il parere di tutti, tal'è detto “impossibile” perché sembrava impossibile fosse completato per tempo, invece ci riuscirono. Nasce per usi difensivi, nel 1944 è stato diventato rifugio antiaereo e rappresenta un triste luogo della memoria perché vi morirono 200 persone. C’è uno stretto legame con la città, rappresentato anche dall’edificio subito fuori, la scuola Randi che agli inizi del ’ 900 fu un sanatorio per i bimbi malati di tubercolosi».


Il Bastione Alicorno, cuore del progetto di un parco delle Mura Al bastione Alicorno è stato presentato il PAMU, ovvero il progetto di Parco multimediale delle Mura di Padova. Il bastione, ingresso dalll'area verde di via Cavallotti, è stato restaurato e ospita spettacoli e concerti. Il nome 'Alicorno' deriva dal latino 'alius' (altro) e 'cornio' (fiumicello), nel senso di un altro corso d'acqua, diverso dal Bacchiglione: il Piovego. La parola 'bastione' deriva probabilmente dal francese bastillon, diminutivo di bastille che significa "fortezza". «L’Alicorno, il cui ingresso è in piazzale Santa Croce», continua Fadini, «è la sentinella sul Bacchiglione della cinta rinascimentale veneziana. Il nome è una dedica a Bartolomeo d’Alviano che aveva proprio l’unicorno come simbolo delle sue imprese. È il torrione a dare il nome al canale e non viceversa come pensano in tanti. Senza dimenticare che è il bastione con la struttura interna più complessa e affascinante, utilizzata in tempi recenti come spazio teatrale. Speriamo che questo uso sia ripristinato perché è in ottime condizioni e vivere i luoghi risponde al nostro progetto di “museo narrante”: far raccontare alle mura cosa sono». Le passeggiate storiche attorno e dentro le Mura di Padova Il Comitato Mura di Padova organizza una serie di passeggiate storiche alla scoperta della cinta muraria, ogni domenica, per dieci tappe. Eccone una tra le più suggestive, accompagnati da Ugo Fadini: dal torrione di SantaGiustina al bastione Pontecorvo. Video di Paolo Cagnan


Porta Portello è per ogni padovano un luogo simbolo, il cuore della città. «La porta in sé è la più scenografica», osserva Fadini, «posizionata sull’acqua, ritratta dal Canaletto, è espressione architettonica che plaude alla bellezza e alla forza padovana sotto Leonardo Lorendan che aveva fatto della città luogo di accoglienza delle più belle menti del mondo. È stata restaurata questa primavera e potremo vedere anche la sala superiore, dedicata a Lidia Kobal, era la terrazza della porta quando non aveva il tetto». Micalizzi: il Parco delle mura e delle acque di Padova è strategico L'assessore comunale Andrea Micalizzi in barca nella golena San Massimo con il Comitato Mura e gli Amissi del Piovego per sostenere il progetto di Parco delle mura e delle acque, con il rischio concreto di sottrazione delle risorse governative inizialmente previste nel cosiddetto bando periferie

Il Castelnuovo si trova nella golena San Massimo e mostra le tracce della grande fortezza maicompletata. «Una grande fortezza mancata», chiude Fadini, «un progetto originale e temerario che immaginava una sorta di isola dell’estrema difesa».

 

Gradara, alla scoperta di uno dei borghi più belli d’Italia
Da luxgallery.it  del 9 ottobre 2018

Già allo svincolo dell'autostrada è evidente la maestosità del Castello, in cui secondo la leggenda si consumò la passione e in seguito la morte di Paolo e Francesca, per mano di Giangiotto Malatesta. Gradara è una cittadina sospesa nel tempo, arrivare qui, significa fare un tuffo nel passato. Il borgo chiuso dalla sua cinta muraria, che rappresenta un caratteristico esempio di architettura medievale, recuperata grazie ad un intervento di restauro iniziato lo scorso secolo, è un posto incantato. Il castello di Gradara è uno dei luoghi da vedere almeno una volta nella vita. La Rocca, formata da un quadrilatero con torri angolari, ha ospitato nel corso degli anni le famiglie più nobili della città: i Malatesta, gli Sforza e i Della Rovere.

Superato il ponte levatoio si accede al cortile e ci si trova di fronte al Mastio, la torre più alta del castello. Superato il cortile si accede all'edificio: al piano terra si trovano la Sala delle Torture, la Sala del Corpo di Guardia e la Cappella Gentilizia con la Pala di Andrea della Robbia (1480); poi le tante stanze come il Salone di Sigismondo e Isotta, la Sala della Passione, il Camerino di Lucrezia Borgia, la Camera del Cardinale, la Sala dei Putti, la Sala del Consiglio, e la Camera di Francesca. Un viaggio attraverso la storia che non vi lascerà delusi. La rocca è visitabile tutti i giorni dalle 8,30 alle 18,30, fatta eccezione il lunedì in cui è aperta solo la mattina. Il prezzo del biglietto è di 8 euro (4 il ridotto). Ma Gradara non è bella solo per il castello. È una cittadina in cui potete passeggiare in tutta tranquillità, perdendovi nei vicoli e nelle stradine caratteristiche. Se siete fidanzati poi, non potete perdere la «Passeggiata degli innamorati», ma anche il “Monte delle Bugie”, che attraversa la parte opposta del paese, in mezzo ad un bosco, da dove si può ammirare una vista mozzafiato, da Gabicce fino a Cesenatico.

Per chi amasse l'arte ci sono poi le due chiese più importanti di Gradara: quella di San Giovanni, situata alla destra del castello, e quella del Santissimo Sacramento, vicino alla torre dell'Orologio, nel centro del paese. Gradara è anche il top per i buongustai: la cucina è infatti un fiore all'occhiello di questo borgo. I piatti, perlopiù a base di carne e verdure, sono innaffiati dal vino Sangiovese DOC. Il piatto tipico di Gradara va assolutamente assaggiato: si tratta dei Tagliolini con la Bomba. Non voglio svelarvi di più! Il consiglio è quello di andare a Gradara sotto le feste di Natale, a dicembre infatti il borgo si arricchisce del calore natalizio: un incanto vero.

 

Leonardo e Thales, testato con successo il sistema avionico di protezione da attacco missilistico
Da reportdifesa.it del 9 ottobre 2018

Londra. Il sistema integrato di allerta missile e protezione end – to – end di Leonardo e Thales ha dimostrato piena efficacia nell’ambito di test di tiro internazionali, mostrando la sua capacità di contrastare rapidamente i missili in arrivo. La dimostrazione è avvenuta nel corso del SALT (Surface – to – Air Launch Trial, esercitazione ospitata dall’FMV ( Swedish Defence Materiel Administration ) in Svezia. A promuovere l’iniziativa il Laboratorio di Scienza e Tecnologia della Difesa del Ministero della Difesa britannico (DSTL – Defence Science and Technology Laboratory), insieme a Leonardo e Thales che hanno investito nell’integrazione del sistema. L’equipaggiamento è composto da l sistema Miysis DIRCM ( Directed Infra Red Counter Measure ) di Leonardo e da l sistema multi – funzione di allerta minacce Elix – IR ( Threat Warning System – TWS) di Thales, integrati grazie al DAS ( Defensive Aids Suite ) di Leonardo, suite di protezione elettronica avanzata. Nel suo complesso, l’equipaggiamento garantisce protezione completa da missili di difesa aerea a guida termica spalleggiabili, i cosiddetti MANPADS ( Man Portable Air Defense Systems ), ampiamente utilizzati da forze armate e gruppi terroristici.

Per il SALT, il sistema è stato installato a bordo del pod DIRCM di Terma Universal. Durante le esercitazioni di tiro, l’Elix – IR di Thales ha localizzato un missile all’infra – rosso lanciato contro un obiettivo di terra, lo ha tracciato, classificato, ha identificato il missile come una minaccia e ha rapidamente lanciato un’allerta al Miysis di Leonardo. Il Miysis ha poi tracciato la minaccia e direzionato accuratamente un laser di disturbo al seeker del missile. Il Miysis ha usato un disturbatore sviluppato dal DSTL per confondere il sistema di guida del missile, deviandolo lontano dal bersaglio. Il team di Leonardo e Thales ha dimostrato un’efficace ottimizzazione della catena allerta /contrasto della minaccia, sventando rapidamente i missili in arrivo. Il sistema di protezione integrato è in grado di proteggere sia i velivoli militari sia quelli civili, dai piccoli elicotteri alle grandi piattaforme tattiche da trasporto/ VIP. Thales e Leonardo continueranno a commercializzare i loro sistemi individualmente, collaborando, allo stesso tempo, per offrire una capacità di protezione integrata sui mercati internazionali in base ai requisiti del cliente. Il risultato positivo di questi test contro i missili MANPADS segue dimostrazioni avvenute con successo sia del Miysis che dell’ Elix – IR. Nel corso di una precedente esercitazione SALT, il Miysis ha acquisito e tracciato con precisione il 100% di tutti i missili MANPADS lanciati. L’Elix – IR di Thales è stato dimostrato con successo nel corso di prove di volo presso i poligoni di tiro di Pendine nel Regno Unito e di test statici, localizzando tutte le minacce presenti. Anche la tecnologia DAS di Leonardo è ben collaudata ed è già a bordo di molteplici piattaforme britanniche, inclusi i nuovi elicotteri Apache AH Mk2 dell’esercito britannico.

 

La Caritas nell’ex deposito aeronautica di Monte Urpinu
Da cagliaripad.it del 9 ottobre 2018

Prende forma il programma di rilancio dell’ex 68/o Deposito carburanti dell’Aeronautica di Monte Urpinu, a Cagliari, con il varo della Cittadella della Solidarietà e del Volontariato istituita nell’ottobre 2015. La Giunta, su proposta dell’assessore degli Enti locali Cristiano Erriu, ha approvato la delibera con cui si assegna all’Arcidiocesi di Cagliari una parte dei locali all’interno del compendio.

Lo scopo è quello di destinarli al Centro diocesano di assistenza della Caritas che, attraverso l’impegno dei suoi volontari, opera per la raccolta e la distribuzione di farmaci, alimenti e vestiario destinati alle fasce più povere della popolazione della Città Metropolitana. Un servizio ora ospitato in via Po, in una zona che sarà oggetto di riqualificazione urbana. nel frattempo la Direzione generale degli Enti locali, attraverso i competenti Servizi demanio e patrimonio, è chiamata a predisporre la ricognizione  dei beni dell’intero patrimonio regionale destinati o da destinare agli enti del Terzo settore, cui saranno assegnati sulla base dei criteri generali definiti in delibera. Questi ultimi, in base ai vari settori di attività e con l’ausilio dell’Osservatorio regionale del Volontariato e degli altri Enti del sistema Regione competenti in materia, saranno ulteriormente declinati e inseriti nei bandi di gara che saranno predisposti per l’assegnazione dei beni. Inoltre, viene valorizzato il ruolo dei Centri di servizio per il Volontariato, come peraltro previsto dal Codice del terzo settore.

A tale scopo, la Giunta ha deciso di assegnare all’unico CSV attualmente accreditato in Sardegna – per lo svolgimento delle sue attività (organizzazione, gestione ed erogazione dei servizi di supporto tecnico, formativo ed informativo) – l’immobile di via Falzarego n. 6, a Cagliari. Intanto si sta ultimando il programma di trasformazione delle aree dell’ex Deposito carburanti di Monte Urpinu. “È un impegno che avevamo assunto e che rispettiamo in pieno – spiega l’assessore Erriu – Siamo ormai giunti al termine di un lungo percorso nel quale abbiamo recepito le richieste del Comune di Cagliari, per venire incontro alle esigenze di spazi più adeguati per la meritevole attività della Caritas. Sono in corso ulteriori approfondimenti con l’Arcidiocesi, la Caritas, il Comune di Cagliari, l’Università degli studi e l’Ersu per definire le linee strategiche di collocazione di ulteriori presìdi di servizi di mensa e ricettività che vedrà coinvolto, tra gli altri, il compendio di viale Fra Ignazio che ha necessità di una robusta riqualificazione e di una eventuale nuova destinazione”.

 

Space X, le immagini spettacolari del lancio del razzo Falcon 9
Da tg24.sky.it del 8 ottobre 2018

A bordo del missile dell'azienda di Elon Musk, partito dalla base californiana di Vanderberg, c'è il primo satellite argentino per l'osservazione della Terra, che lavorerà con la costellazione italiana Cosmo-SkyMed per monitorare le catastrofi naturali.
Alle ore 4,41 italiane, dalla base dell'Aeronautica militare americana di Vandenberg, in California, è partito il primo satellite argentino per l'osservazione della Terra. Il Saocom 1A è stato lanciato a bordo del razzo Falcon 9 di Space X, che è poi atterrato nella stessa base californiana, illuminando a giorno il cielo notturno e regalando agli appassionati di avventure spaziali un momento magico. Per la Space X, azienda fondata da Elon Musk, è stato il primo atterraggio del razzo riutilizzabile in una base della costa occidentale degli Stati Uniti.

Il lancio Lo spettacolare lancio da record del razzo riutilizzabile segue quelli precedenti, avvenuti nella base di Cape Canaveral in Florida e su piattaforme nell'oceano Atlantico e nell'oceano Pacifico. Il satellite Saocom 1A, che lavorerà con la costellazione italiana Cosmo-SkyMed, è stato liberato 12 minuti dopo il decollo. Dopo di che il razzo Falcon 9 è atterrato nella Landing Zone 4, costruita nell'ex complesso di lancio da cui in passato partivano i razzi americani Titan.

Il ruolo di Saocom 1A Il satellite argentino di osservazione radar Saocom 1A monitorerà i livelli di umidità del suolo e i disastri naturali, come incendi e inondazioni. Lavorerà in parallelo al satellite gemello Saocom 1B, che verrà lanciato nel 2019. Entrambi si relazioneranno con la la costellazione Cosmo- SkyMed gestita dall'Agenzia Spaziale Italiana (Asi), nell'ambito di un'importante collaborazione tra l'Asi e la Comisión Nacional de Actividades Espaciales (Conae), l'agenzia argentina deputata alle missioni spaziali.

La partnership italo-argentina Questa cooperazione ha dato vita al sistema italo-argentino Siasge (Sistema Italo Argentino di Satelliti per la Gestione delle Emergenze Ambientali e lo Sviluppo Economico). Il progetto nasce dalla volontà dei due Paesi di sviluppare un sistema operativamente integrato, unico al mondo, per la gestione e la prevenzione delle grandi emergenze naturali e ambientali, utilizzando la tecnologia radar.

 

SOPRA E SOTTO MONTE URPINU: ECCO COME VISITARE L’EX BASE DELL’AERONAUTICA
Da sardegnalive.net del 8 ottobre 2018

Trekking urbano a Cagliari domenica 14 ottobre con le guide che accompagneranno i più curiosi alla riscoperta delle bellezze ambientali, degli scorci più suggestivi e delle opere storico-archeologiche di Monte Urpinu, compresi i complessi sotterranei di rara bellezza.

La visita, con raduno alle ore 9, prevede 3 ore di salutare passeggiata tra il paesaggio urbano e le aree verdi, con una discesa nella storia delle cave di pietra e dunque nei sotterranei di Monte Urpinu, tra viale Europa, le pendici collinari poi occupate dall’Ospedale Binaghi, i polmoni verdi e infine, la visita esclusiva nell’ex deposito sotterraneo dell’Aeronautica militare mostrato come non mai, con accesso nei passaggi segreti. Ai partecipanti è raccomandata una fonte di luce e le scarpe da trekking.

Saranno due le date per partecipare all’iniziativa culturale, per una due giorni a numero chiuso: domenica 14 e, in replica, domenica 21 ottobre.

Tutte le info su: http://www.sardegnasotterranea.org (http://www.sardegnasotterranea.org/) sms e whattsapp al 3398001616 Collaborano all’iniziativa la Regione Autonoma della Sardegna, Italtour, gli speleologi del gruppo cavità Cagliaritane e altre associazioni per un evento a numero chiuso.

 

SUPERAV/ACV: un mezzo anfibio anche per le forze italiane?
Da analisidifesa.it del 8 ottobre 2018

Nel 2006 Iveco Defence Vehicles, società del gruppo CNH Industrial, decise di sviluppare in proprio un nuovo blindato anfibio, con l’intento di ampliare e completare la propria gamma di veicoli da combattimento in configurazione 8×8 che già comprendeva la blindo pesante “Centauro” ed il VBM, Veicolo Blindato Medio, che successivamente sarebbe stato denominato “Freccia”.

Non esisteva, in quel momento, alcun requisito operativo né una specifica richiesta proveniente dalle forze anfibie nazionali, Reggimento San Marco e Reggimento Lagunari, ma appariva evidente la necessità da parte di questi reparti di dare un sostituto agli M113, VCC 1 e VCC 2 che erano stati impiegati nelle operazioni in Iraq e che apparivano irrimediabilmente superati da un punto di vista operativo e fisicamente prossimi al termine della vita utile.

La casa di Bolzano non intendeva limitarsi a creare una versione anfibia del VBM, ma voleva realizzare un mezzo dotato di elevate doti marine, in grado di operare in sicurezza anche con mare forza 3 ed oltre, senza per questo rinunciare ad una eccellente mobilità a terra e ad un livello di protezione elevato, sia balistica che sotto scafo, contro mine ed ordigni esplosivi improvvisati. Il nuovo veicolo doveva inoltre possibilmente risultare aviotrasportabile a bordo di velivoli del tipo C-130, fattore che imponeva limiti di sagoma e di peso assai stringenti. Per soddisfare questi molteplici e contrastanti requisiti era necessario creare un mezzo in cui pesi e volumi fossero attentamente studiati e distribuiti, per consentire una navigazione sicura in mare aperto.

Da questa configurazione base, caratterizzata da un peso a vuoto di 15 tonnellate, si sarebbero poi potuti aggiungere elementi addizionali di protezione ed allestimenti particolari, sulla base dei requisiti dell’acquirente, per un peso massimo di 24 tonnellate in configurazione anfibia. Agli inizi del 2009 il prototipo, denominato SUPERAV (Surface Performance Amphibious Vehicle), era pronto. Faceva tesoro dell’esperienza maturata con gli altri veicoli 8×8 della casa di Bolzano, dei quali manteneva molte caratteristiche, come la trasmissione con schema ad H, le ruote, i riduttori ed i gruppi già impiegati su Centauro e VBM. Cambiava il propulsore, costituito ora da un 6 cilindri in linea CURSOR 13 da 540 CV associato ad un cambio automatico ZF dotato di sette marce avanti ed una retromarcia. Estesamente modificato rispetto al VBM era invece come dicevamo lo scafo, che assumeva una conformazione più compatta ed alta dettata dalle necessità del requisito anfibio.

Risultava inoltre più stretto, per rientrare nella sagoma massima consentita dal C-130. Naturalmente erano presenti sia un pannello frangiflutti anteriore abbattibile che lo snorkel, mentre il movimento in navigazione era assicurato da due eliche intubate posteriori che consentivano una velocità massima di circa 5,5 nodi. La configurazione generale del mezzo era quella classica, con il gruppo propulsore posto anteriormente ed il vano di trasporto nella parte centro-posteriore dello scafo.

Nonostante le limitazioni dimensionali di cui si è detto, il volume disponibile all’interno del SUPERAV consentiva comunque, in virtù della maggiore altezza, di ospitare dodici uomini più il pilota, almeno nella versione APC più semplice. I tre membri dell’equipaggio, pilota, capocarro e mitragliere, trovavano posto anteriormente sul lato sinistro, uno dietro l’altro, sfruttando lo spazio lasciato libero dal motore in linea, più alto ma più stretto rispetto al propulsore con configurazione a V impiegato sugli altri blindati Iveco DV. Nel vano posteriore trovavano invece posto dieci soldati equipaggiati, destinati ad appiedare grazie alla tradizionale rampa posteriore abbattibile. Nonostante il peso a vuoto piuttosto contenuto il SUPERAV vantava buoni livelli di protezione grazie all’utilizzo di soluzioni progettuali specifiche, di blindature avanzate ed alla marcata conformazione e V dello scafo. Anche lo schema di trasmissione “ad H”, infine, costituiva di per sé un ulteriore fattore di sicurezza in caso di esplosione sotto pancia.

Le incertezze della Difesa Come dicevamo Iveco DV aveva anticipato un possibile requisito ufficiale della Difesa che, in modo informale, sembrava riguardare una necessità complessiva di 72 veicoli per la Marina e di altrettanti per l’Esercito. Inutile precisare che queste ottimistiche previsioni, che miravano ad equipaggiare completamente con un Veicolo Blindato Anfibio (VBA) entrambi i reparti d’assalto delle nostre forze anfibie, non ebbero alcuno sviluppo, essenzialmente a causa della cronica carenza di fondi per gli investimenti militari. Successivi documenti ufficiosi delle due Forze Armate interessate riducevano realisticamente l’esigenza complessiva del VBA ad un numero di macchine sufficiente ad equipaggiare una compagnia assalto del San Marco ed una di Lagunari, per un totale compreso tra 30 e 40 macchine, per le quali peraltro non esisteva alcun requisito ufficiale né alcuna assegnazione preliminare di fondi. Ancora una volta toccava all’industria, lasciata in uno stato di completa incertezza, cercare di sbloccare l’impasse. Iveco DV, congiuntamente ad Oto Melara (oggi Leonardo) tramite la società consortile CIO, presentava pertanto nel 2012 ad Esercito e Marina un prototipo di VBA destinato alla Forza da Sbarco italiana, sviluppato con fondi privati ed ottenuto accoppiando allo scafo del SUPERAV una nuova torretta HITFIST OWS a comando remoto prodotta dalla Oto Melara a La Spezia. Purtroppo, per evidenti e perduranti ristrettezze economiche, neanche in quella sede si giunse all’approvazione da parte dello Stato Maggiore Difesa di un’Esigenza Operativa già manifestata da Marina ed Esercito, né tantomeno venne emesso un requisito tecnico-operativo che fornisse certezze all’industria e consentisse di completare il processo di sviluppo ed omologazione del veicolo anfibio, anche per possibili sbocchi all’esportazione. Ad aumentare l’incertezza complessiva della situazione contribuiva anche, con il passare degli anni, l’emergere di una nuova necessità operativa. Se, infatti, i veicoli della famiglia M-113 erano stati almeno al momento di fatto rimpiazzati nei reparti anfibi dal VTLM Lince, estesamente impiegato con successo in Afghanistan sia dal San Marco che dal Serenissima, si andava tuttavia manifestando sempre più l’urgenza di rimpiazzare nel medio periodo gli AAV-7 in dotazione ai due reparti, mezzi di buone caratteristiche marine ma assolutamente inadatti al combattimento per la grande mole, la protezione inadeguata e la mobilità a terra insufficiente. L’accento era ora posto su di una piattaforma in grado di operare in modo ottimale sia in mare, partendo dal bacino allagabile delle navi anfibie, che a terra, continuando l’azione in profondità dopo la presa di terra senza soluzione di continuità. Le recenti esperienze operative dei teatri esterni imponevano infine elevati livelli di protezione, anche antimina e contro gli IED. In mancanza di concrete prospettive immediate ed in presenza di possibili sviluppi concettuali del requisito iniziale, per quanto non formalizzato, il VBA, in quella particolare configurazione, non ebbe seguito, venendo di fatto abbandonato, anche in attesa dei nuovi interessanti sviluppi che stavano maturando dall’altra parte dell’Atlantico.

Un veicolo per i Marines Sin dalla fine degli anni novanta del secolo scorso il Corpo dei Marines degli Stati Uniti aveva avvertito la necessità di rimpiazzare i cingolati anfibi LVTP7 ormai invecchiati e concettualmente obsoleti, nonostante vari programmi di aggiornamento che li avevano portati allo standard AAV7 con nuovi motori, trasmissioni, armamento e protezioni addizionali. Il sostituto doveva garantire significativi miglioramenti nella mobilità, sia in acqua che a terra, maggiore potenza di fuoco ed un livello molto elevato di protezione e capacità di sopravvivenza sul campo di battaglia. Il programma, noto inizialmente come AAAV per Advanced Amphibious Assault Vehicle e successivamente ridenominato Expeditionary Fighting Vehicle (EFV), diede vita ad alcuni prototipi realizzati dalla General Dynamics che dovevano rappresentare il vertice della tecnologia del settore dei veicoli anfibi e facevano ricorso a soluzioni costruttive innovative e complesse.

Mosso a terra su cingoli ed in acqua con idrogetti, il mezzo, dotato di torretta armata di cannoncino automatico Mk 44 Bushmaster da 30 mm, doveva fornire elevatissime doti marine per soddisfare i rigidi requisiti dell’USMC che ne prevedevano la messa a mare a grande distanza dalla costa, da raggiungere ad una velocità massima di oltre 20 nodi. A terra l’EFV doveva poi poter cooperare strettamente con i carri M-1 e viaggiare a 72 chilometri all’ora, trasportando 17 uomini completamente equipaggiati e 3 membri di equipaggio. Lo sviluppo del mezzo si protrasse per vari anni, evidenziando però numerosissimi problemi tecnici e continui aumenti di costo.

Dopo varie traversie il programma venne infine cancellato nel 2012 per i costi elevati ed il mancato raggiungimento delle prestazioni previste. Questo insuccesso portò i Marines a programmare, in sostituzione dell’EFV, l’acquisizione di due mezzi differenti. Il primo, denominato MPC per Marine Personnel Carrier, sarebbe stato un trasporto truppe ruotato in grado di garantire adeguata protezione e mobilità tattica ad un nucleo di 8-9 marines e sarebbe giunto a terra a bordo di mezzi da sbarco tradizionali o a cuscino d’aria.

L’altro veicolo, designato ACV, Amphibious Combat Vehicle, avrebbe dovuto invece svolgere almeno in parte il ruolo del defunto EFV, ossia trasportare le truppe a terra in condizioni di relativa sicurezza e ad alta velocità. Durante un’operazione di sbarco un numero limitato di ACV sarebbe partito direttamente dai bacini delle navi anfibie poste a non meno di 12 miglia dalla costa per trasportare sulle spiagge, alla velocità di almeno 8 nodi, la prima ondata di Marines, che avrebbe conquistato e reso sicura la testa di ponte. Successivamente un numero superiore di MPC sarebbe sceso dai mezzi da sbarco per rinforzare la prima aliquota e proseguire l’azione in profondità.

E’ in questa fase che i Marines, alla ricerca di un mezzo che rispondesse ai requisiti del programma MPC, iniziano a manifestare un interesse crescente nei confronti del SUPERAV. Per avere maggiori possibilità di successo in caso di un possibile futuro concorso ufficiale, la casa di Bolzano decise pertanto di scegliere un partner locale e strinse un accordo di partnership con BAE Systems, un’azienda di grande esperienza nel settore che avrebbe eventualmente agito come prime contractor nel mercato statunitense. Nell’agosto del 2112 l’USMC rilasciò un primo contratto di 3,5 milioni di dollari a quattro compagnie, tra cui il team Iveco DV/BAE Systems, per lo studio preliminare di un mezzo e la verifica iniziale delle sue caratteristiche anfibie e di protezione. Il SUPERAV, che tanto aveva impressionato i Marines per le sue superiori doti marine, risultava, nella configurazione iniziale, troppo piccolo per le specifiche esigenze americane, che richiedevano il trasporto di almeno 10 soldati completamente equipaggiati e muniti di vaste dotazioni e rifornimenti per alcuni giorni. Per meglio rispondere a tali requisiti lo scafo venne pertanto modificato, divenendo più largo e più alto rispetto alla versione precedente. Il peso massimo passava di conseguenza dalle 24-25 tonnellate a 29-30, rendendo necessaria l’adozione di un motore CURSOR 16 più potente per una migliore mobilità. Tra il 2013 ed il 2014 il concetto operativo dell’USMC basato sul doppio requisito di due mezzi complementari doveva però fare i conti con le restrizioni finanziarie, le difficoltà tecniche già evidenziate dal precedente programma EFV e con i rischi della budget sequestration. Il Corpo decise pertanto di rinunciare all’MPC e di mantenere l’ACV come progetto prioritario, sostanzialmente rivisto però alla luce delle nuove limitazioni budgetarie e delle concrete possibilità tecnologiche.

Nel gennaio del 2014 pertanto l’allora Comandante dei Marines, Generale Amos, annunciò l’adozione di un approccio incrementale alla sostituzione degli AAV7 che prevedeva una prima fase, denominata ACV 1, finalizzata all’acquisizione in tempi rapidi di un mezzo basato su tecnologie mature e concepito essenzialmente per operare a terra, svolgendo anche il ruolo previsto inizialmente proprio per l’MPC, ma con maggiori capacità anfibie che gli consentissero di muovere in acque interne e litoranee. La capacità di navigare autonomamente in mare aperto sarebbe stata preferenziale, ma non essenziale. Gli ACV 1 infatti sarebbero stati trasportati di norma dalle navi alla spiaggia tramite mezzi da sbarco, dai tradizionali LCU ai veloci LCAC e fino ai nuovi Joint High Speed Vessel. Il requisito relativo ad un veicolo di superiori doti marine in grado di navigare ad alta velocità rimaneva valido, ma alla luce delle difficoltà contingenti sarebbe stato demandato ad una successiva e piuttosto nebulosa fase ACV 2.0. Come misura tampone veniva infine deciso un ulteriore ammodernamento di parte della flotta di oltre mille AAV7 in servizio: 392 veicoli avrebbero ricevuto una nuova trasmissione, corazzature addizionali, migliore protezione da mine e IED e sedili sospesi anti esplosione per il personale trasportato. Tale rinnovata impostazione complessiva era favorita anche da una revisione concettuale delle dottrine operative dei Marines, nelle quali perdevano rilevanza o addirittura erano accantonati quegli scenari di assalto anfibio diretto su costa presidiata dal nemico (stile Tarawa o D-Day) che imponevano una grande velocità di trasferimento in acqua. Di conseguenza il compito di proiettare a terra il più velocemente possibile aliquote importanti della forza da sbarco sarebbe ricaduto per molti anni ancora essenzialmente sui vettori aerei, quali i convertiplani MV-22 Osprey e gli elicotteri pesanti CH-53K. La fase ACV 1, che complessivamente avrebbe riguardato 6-700 veicoli, venne ulteriormente suddivisa in due successivi stadi incrementali. Il primo, denominato ACV 1.1, sarebbe stato costituito da circa 200 veicoli ruotati anfibi di progetto sostanzialmente derivato dagli studi già effettuati per l’abortito MPC. Tali mezzi, realizzati in configurazione trasporto truppe, sarebbero stati dotati di eccellente mobilità a terra e di elevata protezione balistica, con scafo a V per minimizzare gli effetti delle esplosioni di mine ed ordigni improvvisati. Destinati ad entrare in servizio intorno al 2020, sarebbero stati armati di mitragliatrice pesante da 12,7 mm o di lanciagranate automatico da 40 mm in torretta a comando remoto. Del peso di circa 30 tonnellate a pieno carico, l’ACV 1.1 avrebbe dovuto trasportare 10-13 marines oltre a tre membri di equipaggio, possedere doti di galleggiamento simili a quelle degli AAV7, navigare per almeno tre miglia con mare forza 3 e muovere alla velocità di 6 nodi in acque calme. Il successivo stadio ACV 1.2 avrebbe riguardato circa 490 mezzi da realizzarsi oltre che in versione trasporto truppa anche nelle varianti speciali per posto comando, manutenzione e recupero e supporto di fuoco previste negli organici degli Assault Amphibian Battalion. Nei programmi iniziali i mezzi previsti nella fase 1.2 avrebbero dovuto possedere maggiori doti anfibie e di velocità in acqua rispetto agli ACV 1.1, mentre non era escluso il ritorno ad una configurazione su cingoli. Successivamente, per ovvie considerazioni di ordine economico, logistico ed operativo, i requisiti dei due stadi della fase 1 furono sostanzialmente amalgamati in un unico veicolo, che avrebbe avuto sin dall’inizio caratteristiche più avanzate, anche per poter accelerare la sua distribuzione ai reparti. Era comunque fatta salva la possibilità di inserire negli ACV 1.2 tutti i miglioramenti che l’esperienza operativa dei mezzi precedenti avrebbe suggerito.

La gara per l'ACV Su questa base nel novembre del 2014 i Marines rilasciarono un bando ufficiale (Request for Proposal – RFP) con il quale si richiedeva all’industria, ossia sostanzialmente alle stesse ditte che avevano sviluppato i prototipi della gara dell’MPC, precise informazioni su costi, caratteristiche e tempistiche per la il rinnovato ACV1.1. Dopo un esame preliminare dei progetti presentati dai vari candidati, il 24 novembre del 2015 vennero individuati due finalisti per la fase di sviluppo avanzato (EMD – Engineering and Manufacturing Development): il team formato da BAE Systems ed Iveco DV con il rinnovato SUPERAV e quello costituito da SAIC e Singapore Technology Kinetics che presentava il Terrex 2. Entrambi i concorrenti avrebbero prodotto per la valutazione finale 16 prototipi, che sarebbero stati sottoposti nei due anni successivi ad estese sperimentazioni, test distruttivi e verifiche molto complete. Nonostante il ruolo di prime contractor rivestito dal partner BAE Systems (massicciamente presente negli USA), l’azienda bolzanina era fortemente coinvolta nella produzione dei prototipi, per i quali forniva, oltre ovviamente al progetto di cui era proprietaria, motore, cambio, trasmissione, sospensioni ed impianto frenante, in aggiunta alle protezioni antimina, compresi gli speciali sedili per il personale trasportato. Molte componenti, come è nella tradizione di Iveco DV, erano realizzate completamente in sede, partendo dalla fusione o da elementi grezzi, come nel caso del motore, delle trasmissioni, dei trasferitori di coppia, delle sospensioni e degli ammortizzatori.

BAE Systems, dal canto proprio, avrebbe realizzato negli Stati Uniti i gusci dello scafo tagliando e saldando le lamiere balistiche, vi avrebbe installato le componenti giunte dall’Italia e provveduto ad aggiungere armamento, dotazioni elettroniche e protezioni balistiche addizionali. I severi test di valutazione finale e le prove operative evidenziarono la superiorità del SUPERAV sull’altro concorrente, soprattutto nella mobilità a terra, nella protezione e nelle caratteristiche anfibie. Venne valutata positivamente anche la buona capacità di trasporto di 13 soldati equipaggiati più i tre membri di equipaggio, che consentiva ad un solo mezzo di trasportare una squadra organica di marines, attualmente appunto di 13 uomini e di 12 nel prossimo futuro. Concordemente ai programmi iniziali ed alle rigide tempistiche imposte dai Marines, il 19 giugno 2018 il progetto di Iveco DV/BAE Systems veniva proclamato vincitore, ricevendo un contratto iniziale del valore di 198 milioni di dollari per la produzione dei primi 30 esemplari a basso ritmo (fase di Low Rate Initial Production), con consegne a partire dal 2019. Si concludeva così per l’USMC un’autentica saga che aveva visto protrarsi per molti anni un programma di acquisizione ritenuto essenziale, ma bersagliato continuamente da mutamenti di specifiche, nuove direttive, concessioni di fondi altalenanti ed improvvisi colpi di scena. Grande e comprensibile era la soddisfazione a Bolzano per il raggiungimento di un risultato commerciale e di immagine per certi versi storico, che aveva visto l’affermazione in un mercato tradizionalmente difficile ed estremamente esigente e selettivo. In quell’occasione il CEO di Iveco Defence Vehicles, Vincenzo Giannelli, teneva infatti a dichiarare che “questo accordo rappresenta una pietra miliare nella nostra asformazione in player globale. Attraverso la partnership con BAE Systems in questo programma il nostro know-how e la nostra eccellenza tecnica sono stati riconosciuti e vengono ora posti al servizio dei Marines degli Stati Uniti. E’ per noi un privilegio contribuire a realizzare il futuro dei loro mezzi anfibi da combattimento”. Determinante ai fini del successo finale era risultata infatti la completa e fattiva collaborazione con BAE Systems, che aveva dato vita ad un team monolitico ed affiatato, in grado di agire sempre unitariamente.

Ai 30 esemplari attualmente commissionati ne seguiranno, in base ad opzioni future, altri 30 da realizzarsi con le medesime modalità dei primi, per proseguire quindi con la produzione a pieno ritmo (Full Rate Production) di 148 mezzi, suddivisi in due tranche di 56 e 92, da completarsi entro il 2023. Gli esemplari di serie non dovrebbero discostarsi molto dai prototipi, ricevendo rispetto a questi solo modifiche di dettaglio, ad ulteriore conferma della maturità del progetto italiano. Il valore complessivo dell’intera fornitura dei 208 esemplari di ACV 1.1, di cui 4 destinati a prove distruttive, dovrebbe raggiungere 1,2 miliardi di dollari, dei quali circa 400 milioni destinati in quattro anni allo stabilimento bolzanino, che continuerà a produrre e fornire per i veicoli di serie le stesse componenti realizzate nei prototipi. I Marines hanno già identificato il primo reparto che rimpiazzerà i propri AAV7 con l’ACV: si tratta del 3rd Assault Amphibian Battalion, parte della 1° Marine Expeditionary Force di Camp Pendleton, in California, che riceverà i primi mezzi nel 2020 per raggiungere la piena capacità operativa nel 2023. Nei programmi dei Marines all’ACV 1.1 seguirà, come abbiamo visto, l’acquisizione nei successivi sei anni di 490 esemplari previsti nella fase 1.2, parte dei quali da prodursi nelle versioni speciali per posto comando, recupero, ambulanza ed appoggio di fuoco, quest’ultima munita della stessa torretta installata su alcuni Stryker dell’US Army e dotata di mitragliera da 30 mm. Con ogni probabilità anche questi mezzi verranno realizzati dallo stesso team BAE Systems/Iveco DV, il cui progetto iniziale già oggi soddisfa gran parte dei requisiti previsti per l’ACV 1.2. Per Iveco DV si prefigura quindi una partnership intensa e proficua con il Corpo dei Marines per molti anni a venire! Un’occasione da non perdere    di Alberto Scarpitta

 

SAN GIMIGNANO: AL VIA L'OPERAZIONE PER IL RECUPERO DELLE MURA
Da iltoscana.it del 8 ottobre 2018

Stanziati 500 mila euro per consolidare il tratto di mura crollato in località Porta Pisana il 3 aprile dello scorso anno


La Regione Toscana, il Comune di San Gimignano e la Soprintendenza Archeologica, belle arti e paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, hanno sottoscritto l'accordo per l'operazione di recupero delle mura di San Gimignano. Con la firma ufficiale si dà il via alle procedure per la ricostruzione della porzione di cinta muraria crollata il 3 aprile dello scorso anno. I lavori, del valore complessivo di 500mila euro, serviranno per il consolidamento delle mura medievali in località Porta Pisana. Un intervento che va a completare quello di somma urgenza realizzato dalla Soprintendenza ed è finalizzato non solo al recupero della fortificazione storica ma anche alla messa in sicurezza di un'area attualmente interdetta per evidenti rischi per la pubblica incolumità.

L'accordo stabilisce che la Regione Toscana stanzierà 200mila euro e il Ministero dei beni e delle attività culturali gli altri 300mila e l'intervento sarà realizzato dalla Soprintendenza. Il Comune di San Gimignano, da parte sua, avrà il compito di effettuare le attività e le istruttorie tecniche, le verifiche di conformità urbanistica del progetto, e dovrà realizzare il progetto della terza fase degli interventi cioè quelli di messa in sicurezza delle altre porzioni della cinta muraria. "La Regione non poteva sottrarsi a un'emergenza di questa natura - ha detto l'assessore Federica Fratoni -. Di fronte alla necessità di procedere rapidamente al recupero di mura medievali che costituiscono l'identità storico culturale della regione stessa, abbiamo promosso questo accordo di programma che vede insieme tre amministrazioni con un'integrazione perfetta di competenze e responsabilità, soprattutto con un impegno corale che credo consentirà di raggiungere un risultato davvero in breve tempo".

 

Dal bunker della guerra alla cupola che domina mezza città: in 36 mila per Le Vie dei Tesori
Da palermotoday.it del 8 ottobre 2018

Seguendo Oltre trentaseimila visitatori per il primo weekend palermitano de “Le Vie dei Tesori”. Tre giornate di visite, con cittadini e turisti spalmati dal centro storico alle borgate in periferia. Ma risulta sempre il rifugio antiaereo sotto piazza Pretoria il luogo più amato: sono oltre mille i visitatori che hanno scelto di scendere la breve scaletta in legno che porta nelle viscere della città. E seguire le spiegazioni di Will Rothier, francese con il pallino della Storia che ha deciso di vivere a Palermo e raccontarla. Ma la sua passione deve essere contagiosa se 950 visitatori si sono recati appositamente a Boccadifalco per scoprire l’ex aeroporto militare, che apriva i battenti per la prima volta e proponeva – su due distinti itinerari, uno dei quali su prenotazione – un giro tra bunker della guerra, giardini storici di antiche ville, la torre di controllo e l’hangar che i bombardamenti lasciarono intatto. A ruota, 901 visitatori hanno invece scelto il Teatro Politeama, dove i volontari e gli studenti dell’Alternanza Scuola Lavoro conducevano tra foyer e palcoscenico. Segue poi l’Oratorio di San Lorenzo (831 visite) dove ha di sicuro trascinato la curiosità legata al nuovo film di Roberto Andò che ruota attorno alla Natività del Caravaggio, trafugata proprio da questo sito. Sesto luogo più apprezzato, un must del festival, come il Santissimo Salvatore con la sua cupola da cui ci si affaccia sulla città: lo hanno scelto 830 visitatori; settimo, il Villino Florio con il suo giardino e gli arredi liberty recuperati, visitati da 750 persone.

Ma è stato anche un weekend di musei aperti: in parecchi hanno infatti scelto oggi la visita guidata de Le Vie dei Tesori anche nei siti istituzionali che aprivano gratuitamente come ogni prima domenica del mese. Dalla Zisa al Museo Salinas, dalla Cuba al Castello a mare, per citarne alcuni, il pubblico ha apprezzato lo storytelling che è il marchio del festival. Tantissimi visitatori anche al Museo Abatellis che ha sottolineato la presenza di affreschi di Pietro Novelli asportati, salvati e conservati dai luoghi originari; e al Museo Mirto dove il giornalista Mario Pintagro ha condotto le visite per gli appassionati di arredi e suppellettili d’epoca. In tantissimi hanno tentato di entrare al carcere Ucciardone, aperto soltanto su prenotazione, ma è sold out fino alla fine del festival. I fortunati hanno assistito – commuovendosi – alla visita teatralizzata dei detenuti, con la regia di Lollo Franco. E il prossimo fine settimana si replica, e così ancora per altre quattro weekend fino al 4 novembre: Le Vie dei Tesori aprono in tutto 130 luoghi, di cui 18 su prenotazione. Ultima nota a margine: un festival 4.0 che ha abituato i suoi utenti alla prenotazione on line, alle code, al rispetto dei siti. Tantissima gente anche per le passeggiate d’autore, sia in centro che fuori porta. E molti genitori che hanno affidato i bambini ai laboratori pensati per i più piccoli, o hanno partecipato con i pargoli alle visite “for family”. A Palermo Le Vie dei Tesori è la più grande manifestazione dedicata alla promozione del patrimonio culturale della città, sotto l’egida negli anni delle più alte istituzioni dello Stato (Presidenza della Repubblica, Camera, Senato, ministero dei Beni Culturali). Quest’anno il Festival è inserito nelle manifestazioni a massimo richiamo turistico dell’assessorato regionale al Turismo, è iniziativa direttamente promossa dell’assessorato regionale ai Beni culturali, è incluso nelle manifestazioni dell’Anno europeo del Patrimonio culturale e nel programma ufficiale di Palermo Città della Cultura 2018.

 

Castel Pergine, ultimo scatto mancano 100 mila euro
Da ladige.it del 8 ottobre 2018

Ultimo miglio della maratona della Fondazione Castel Pergine per l’acquisto del castello di Pergine. Manca ormai meno di un mese al rogito, fissato per lunedì 5 novembre, ed l’ora degli indecisi, di quanti hanno aspettato fino ad ora per decidere se «essere della partita» oppure tirarsi indietro. Come ha illustrato al’Adige il presidente della Fondazione, Carmelo Anderle, mancano circa 100 mila euro per avere delle liquidità per giungere in tranquillità e in regola alla firma del contratto, e quindi si tratta di un momento particolarmente delicato. In poco tempo le sottoscrizioni dei privati sono aumentate notevolmente, sintomo di un ritrovato entusiasmo, e già alcune aziende ed imprese hanno assicurato la loro partecipazione e sostegno: è su questo campo che si dovrà mettere in atto la tattica giusta per chiudere la partita. Sarà infatti grazie alle imprese se la lacuna finanziaria potrà dirsi colmata.

La Fondazione sta mettendo in campo in questi giorni una decisa campagna di sensibilizzazione proprio per raccogliere le ultime adesioni. È nato anche il nuovo sito internet, dedicato alla Fondazione con il nuovo logo (che richiama il grande pilastro della sala delle guardie), dal quale si può scaricare il modulo per le sottoscrizioni. Tra l’altro, ora che la Fondazione ha assunto questo ruolo giuridico ben definito, la propria sottoscrizione potrà essere fiscalmente detratta nella dichiarazione dei redditi. Il castello tornerà anche ad ospitare, il prossimo venerdì dalle ore 17, una conferenza dell’Istituto Italiano dei Castelli: quest’anno a parlare delle fortificazioni in Lombardia orientale e nuovi casi di studio sarà l’archeologo Dario Gallina. La festa di chiusura della stagione sarà domenica 4 novembre

 

Riaperto il passaggio ai bastioni della Loggia di baluardo Donato
Da messaggeroveneto.it del 7 ottobre 2018

È stata riaperta ieri pomeriggio, a Palmanova, la Loggia di baluardo Donato con la sortita che permette il passaggio dall’interno della città stellata al fossato esterno. Il manufatto di origine secentesca, con alcune aggiunte di età napoleonica, potrà ora essere inserito nelle visite guidate ed entrare a far parte dei percorsi turistici, aggiungendo un altro prezioso e suggestivo tassello alla valorizzazione del patrimonio fortificato della città stellata.

La Loggia, come ricordato dallo storico Alberto Prelli, fu realizzata nel 1609-10, sotto il provveditore generale Barbarigo, il cui stemma è leggibile sulla chiave di volta dell’arco all’imbocco della sortita. Era un posto di guardia per circa 25 uomini, con un cambio turno che veniva dato ogni tre giorni.

La sortita, percorribile anche a cavallo, serviva, in caso di assedio, per un attacco a sorpresa al nemico posizionato all’esterno della cinta muraria. All’inaugurazione ufficiale è intervenuto ieri pomeriggio anche il presidente del Consiglio regionale Pier Mauro Zanin che ha avuto parole di elogio per l’intuizione dell’attuale maggioranza di puntare moltissimo sulla riscoperta del patrimonio storico culturale della città, rendendolo visibile e fruibile, passo dopo passo. «La gestione tuttavia – ha detto – non può ricadere solo sulle spalle della città di Palmanova. La Regione, in questo senso, può assumersi due impegni: quello di dare continuità all’opera di manutenzione delle fortificazioni e quello di cominciare a pensare al riutilizzo, anche con la presenza di servizi regionali, dei volumi storici di cui la città è ricca». Il sindaco Francesco Martines ha spiegato come questo settore di fortificazioni fosse completamente ricoperto dalla vegetazione e inutilizzato da anni: «Grazie all’impegno, alla competenza, alla passione dei forestali (gli uomini e le donne del Servizio regionale Gestione del territorio montano), si è riportata alla luce questa Loggia con la collegata sortita».

Il sindaco si è soffermato sull’importanza per Palmanova, che vi sia una sinergia con la Regione e con lo Stato per conservare la città e valorizzarla. «Palmanova – ha concluso – ha un gran bisogno di risorse perché ha una gran patrimonio che non è solo dei Palmarini, ma anche della Regione e del Paese». –

 

Spezia riemerge dal suo passato
Da cittadellaspezia.com del 7 ottobre 2018

Fino a che lo sviluppo determinato da avvento dell’Arsenale e conseguente incremento demografico non ne determinò l’abbattimento, l’allora piccola Spezia si trovava racchiusa all’interno di quattro mura, un tozzo quadrilatero dall’aspetto vagamente trapezoidale di non tanta ampiezza. Della cinta muraria la forma la dicono le carte; il percorso lo descrive accuratamente Ubaldo Mazzini. Il braccio settentrionale ad un dipresso corrispondeva alle vie Rattazzi e Biassa; da lì calavano al mare due tratti per le vie Colombo e Da Passano dopo che il muro s’era inerpicato il muro su fino al castello. Il ramo meridionale correva lungo via Cavallotti, essendo stato spostato all’inizio del Seicento dal tragitto originario che si stendeva alle spalle di via Sapri, verso il mare. Sono cose già dette e scritte, ma vale la pena chiedersi quanto la loro conoscenza sia possesso reale degli Spezzini.

Sapere il proprio passato, non mi stanco mai di ripeterlo, aiuta la comprensione del presente, ma il processo dell’apprendimento inizia proprio dalle piccole cose, qual è, ad esempio, sapere l’antica forma che caratterizzò la Spezia per circa mezzo millennio, week end più, week end meno. Per questo è stata apposta in piazza Mentana una targa che riproduce forse la più famosa carta della città, quella del 1773 del Vinzoni, con la legenda che indica i punti più significativi: l’ultima delle tante cose belle pensate dall’indimenticabile Sergio Del Santo. A rinfrescare la memoria del punto di partenza che non c’è più, è in arrivo un’altra cosa, originalissima perché completamente diversa dall’esistente e mai vista prima. Due cugini, innamorati della storia spezzina, nel tempo libero stanno realizzando, da una carta del Seicento, il plastico della città murata: 120 x 160 cm.

È in scala 1:330 anche se, precisano, per quanto riguarda le altezze degli edifici si sono dovuti arrangiare dato che nessun documento riporta la quota delle case. I due cugini sono Pino D’Ambrosio e Valter Baldiotti. Con santa pazienza, veri artigiani della qualità, lavorano da oltre quattro anni sulla loro bella idea di cui hanno portato a compimento, come si vede nelle foto, una più che abbondante metà. Siccome la parte meridionale è meno affollata di quella che le sta sopra, si può ragionevolmente stimare che non fra molto il loro progetto conoscerà la fine. Qualcuno potrà pensare che l’anticipazione è troppo prematura, ma io sono invece convinto che in questo modo chi di dovere potrà predisporre in maniera acconcia il luogo e l’occasione per far conoscere alla città questo prodotto che è autentico gioiellino. di Alberto Scaramuccia

 

Verano Brianza riscopre la sua storia medievale grazie al castello perduto
Da ilcittadinomb.it del 7 ottobre 2018

Seguendo gli indizi che portano al “castello”, luce fu sulla Verano Brianza del periodo medievale, fino a oggi un capitolo buio nella conoscenza della storia locale. A farsi largo tra gili archivi ci ha pensato Marco Longoni, consigliere delegato alla cultura e laureato in storia, anche autore del recente libro dedicato a Tullo Massarani (1826-1905) che fu personaggio significativo (anche) per le vicende veranesi. «Ho intrapreso questa ricerca per curiosità: di voci che a Verano ci fosse un castello ce n’erano, ma ho voluto verificare» spiega il 23enne, che grazie al recente studio ha riconsegnato al suo paese la consapevolezza che «anche durante il Medioevo, Verano ha mantenuto il suo ruolo di “presidio” sul Lambro e sullo snodo viario che c’era ad Agliate, ai tempi “capopieve”». Una novità importante, perché «finora conoscevamo la storia romana di Verano, ossia del “Verianum castrum” che era un accampamento con fini difensivi, e la storia moderna a partire dal 1566, con la proposta di fondazione del Convento dei Frati Cappuccini». E il Medioevo? «Oggi abbiamo quantomeno le basi per capire cosa fosse Verano in quell’epoca.

Già il fatto che venga citato in alcuni documenti indica che fosse un luogo di una certa importanza». Longoni ha individuato le fonti storiografiche che attestano la presenza di un “castellum” a Verano: «Nelle “Gesta Friderici Imperatoris in Lombardia” dell’anonimo civis Mediolanensis si racconta che il castello di Verano (Veiranus) fu saccheggiato nel maggio 1160 dall’Imperatore Federico il Barbarossa, che si stava avvicinando all’esercito milanese di stanza a Carcano. Dopo la vittoria dell’Imperatore su Milano, la Brianza fu devoluta dal contado di Milano e affidata al conte Goswin von Heinsberg. Quando il partito imperiale si infranse dopo la battaglia di Legnano, Milano si riappropriò del proprio contado, compreso il villaggio di Verano». Quest’ultimo assunse un ruolo di discreto rilievo anche nel contesto delle lotte intestine che interessarono il Comune di Milano nel XIII secolo. «Nella cronaca “Manipolus florum” di frate Galvano Fiamma (1283-1344) si legge che nel 1222 il borgo fu saccheggiato da Ardighetto Marcellino, nel conflitto tra nobiltà e popolo milanesi – spiega Longoni -. Negli anni centrali del secolo, Verano aderì al partito guelfo-popolare dei Della Torre, che fu sconfitto a Desio nel 1277 da Ottone Visconti, il quale impose la signoria della propria famiglia su Milano. Il castello di Verano rimase, tuttavia, di proprietà dei Della Torre, come si legge nel testamento del 1312 di Guido della Torre, riportato nella “Patria Historia” di Bernardino Corio (1459-1519)». Per il momento non sono state individuate informazioni posteriori al 1312. Ma «credo che il ruolo delle fortificazioni di Verano fosse funzionale alla difesa del contado a nord di Milano – specifica Longoni -. Quando i Visconti affermarono la propria superiorità su gran parte dell’Italia settentrionale, venne meno la necessità di controllare il corso del Lambro. Le notizie del castello di Verano si perdono nel XV secolo, nel periodo del tracollo del dominio visconteo e delle guerre contro Venezia». di Federica Gignorini

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Acaya
Da corrieresalentino.it del 7 ottobre 2018

Il Castello di Acaya è uno splendido esempio dell’architettura militare cinquecentesca, insieme all’intero complesso difensivo del piccolo centro fortificato. L’originale nome di Acaya era Segine, donata in feudo nel 1294 da Carlo II d’Angiò al fedele capitano Gervasio dell’Acaya, i cui discendenti ne furono signori per tre secoli circa. Nel 1506 Alfonso dell’Acaya iniziò la costruzione del primo nucleo del castello, che fu continuata da suo figlio Gian Giacomo, nato a Napoli, che provvide a rafforzare la fortezza ed il paesello con bastioni, baluardi e fossato. I lavori terminarono nel 1536, secondo quanto riportato da un’epigrafe inserita nei muri di uno dei bastioni. In memoria di Gian Giacomo il centrò mutò il nome in Acaya. In seguito a quanto realizzato nel suo feudo e per le sue capacità di abile architetto militare, acquisite studiando le fortificazioni e le tecniche belliche rinascimentali, nonché per la fedeltà dimostrata all’Imperatore Carlo V, opponendo una fiera resistenza nel 1528 all’avanzata francese in Terra d’Otranto, Gian Giacomo ottenne l’incarico di ispezionare i castelli e le mura delle varie città del Regno di Napoli, al fine di fortificarli secondo i nuovi precetti dell’architettura rinascimentale, per renderli inespugnabili. In tale compito collaborò con Francesco Maria della Rovere, Duca di Urbino.

Alla morte di Gian Giacomo, avvenuta nel 1570, Acaya passò dapprima al Regio Fisco, quindi nel 1608 ad Alessandro De Monti che provvide a fortificarla ulteriormente. Alla fine del XVII secolo il feudo tornava alla Corte Regia per l’estinzione del ramo principale dei signori, ma nel 1688 fu acquistato dalla famiglia De Monti-Sanfelice che subito lo rivendette ai Vernazza. Questi fortunatamente non effettuarono modifiche e così il castello ha conservato sino ad oggi il suo aspetto di fortezza rinascimentale. Il 23 settembre 1714 Acaya veniva attaccata ed espugnata dai pirati turchi e gran parte delle donne e bambini residenti si rifugiarono nel castello per volere di Anna Capuano, moglie del feudatario, il Marchese Aniello I Vernazza . Successivamente il feudo ed il castello furono venduti alla famiglia Onofrio Scarciglia di Lecce e da loro ai Rugge. Infine il maniero è stato acquistato dall’Amministrazione Provinciale di Lecce. La struttura, in linea con i canoni costruttivi delle fortezze rinascimentali, si presenta a pianta quadrangolare con bastioni angolari bassi e spessi, idonei a resistere all’urto delle armi da fuoco pesanti. In particolare allo spigolo sudorientale è posto un bastione scarpato a forma di lancia, mentre agli angoli nordorientale e sudoccidentale si innestano due possenti torrioni cilindrici.

I bastioni presentano cannoniere su tutti i livelli sia per il tiro diretto, sia per quello fiancheggiato. In tale sistema difensivo fu sperimentata per la prima volta la difesa radente. Al portale d’ingresso si accede attraverso un ponte in pietra, scavalcante il fossato, che probabilmente sostituisce l’originario ponte levatoio. Il castello comunque non ebbe solo funzioni militari bensì anche residenziali, come confermato dalla splendida sala ennagonale nella torre nordorientale. Durante recenti lavori di ristrutturazione, sul lato settentrionale del maniero sono emerse le vestigia di una chiesetta bizantina ed alcune tombe violate. Inoltre è stato scoperto un bellissimo affresco risalente alla seconda metà del XIV secolo. Cosimo Enrico Marseglia

 

San Martino, scoperto un altro bunker sotto l’ospedale:cambia la viabilità
Da ilsecoloxix.it del 6 ottobre 2018

La galleria anti-aerea venuta alla luce durante lavori di manutenzione al manto stradale. «Dovrà essere svuotata, bonificata e resa sicura»


Genova - Sembrava una buca nell’asfalto all’uscita di ponente del San Martino, su via De Toni; ha svelato invece memorie del passato dimenticate, pagine di storia dei tempi della guerra, quando - al suono delle sirene dell’allarme aereo - una rete di gallerie e bunker sotterranei a servizio dell’ospedale garantiva la sicurezza di ricoverati e personale. Di quella rete - disegnata su carte nascoste in cassetti sparpagliati tra ospedale, Università, Genio militare e Archivio di Stato - oggi nessuno ha una visione completa. E a distanza di più di settant’anni dalla fine della guerra, può capitare ancora di fare un salto all’indietro nel tempo e trovare bunker degli anni del fascismo.

L’ultima scoperta è storia di ieri. Quando, nel corso di un normale intervento di manutenzione del manto stradale, quella che sembrava una buca si è rivelata una voragine profonda oltre otto metri, un imprevisto che ha costretto la direzione del San Martino a chiudere completamente quell’accesso e avviare una piccola rivoluzione stradale: da ieri in via sperimentale e da lunedì a regime, il vecchio varco alla sinistra dell’entrata principale, a pochi metri dal grande “buco” del cantiere del parcheggio (dove oggi passano solo i pedoni) è stato riaperto ad uso esclusivo delle automediche in uscita dall’ospedale, in modo da garantire una via veloce per le emergenze anche nelle nuove condizioni, destinate a protrarsi a lungo. È la risposta - immediata e indolore - che la direzione del San Martino ha messo in campo per affrontare una emergenza imprevista e destinata a protrarsi a lungo. Perché la buca ha svelato la presenza di un vasto locale sotterraneo e gallerie tra ospedale, Dimi e Clinica neurologica, dimenticato da decenni e saturato dalle acque filtrate dall’alto, pesantemente inquinate da evidenti residui di sostanze oleose. Dopo le prime perplessità, una certezza: «Era un bunker antiaereo il cui accesso era stato murato nel dopoguerra, se n’era persa la memoria - spiega Alessandro Orazzini, responsabile dell’area tecnica del San Martino - ora dovrà essere svuotato e bonificato, poi messo in sicurezza. Noi riteniamo che la competenza sia dell’Università».  di Bruno Viani

 

FALLOUT 76: STORIA DEI RIFUGI ANTIATOMICI, LA MAGNIFICA VITA POST-NUCLEARE
Da everyeye.it del 5 ottobre 2018

La corsa agli armamenti creò un'isteria collettiva che portò alla costruzione di migliaia di rifugi antiatomici, in previsione dell'apocalisse.

La meravigliosa vita post-nucleare inizia da un confortevole bunker. Chiaro, ammesso che riusciate a entrarvi prima del disastro atomico. L'idea di poter sopravvivere all'apocalisse, all'estinzione di ogni forma di vita è ovviamente insita nella natura umana. Puro e semplice istinto che ci spinge ad aggrapparci a ogni rimedio possibile e a cercare affannosamente la migliore soluzione per avere la possibilità di aver salva la vita. Questo istinto primordiale è stato sottoposto a una pressione senza precedenti in un periodo molto recente della storia, che ha portato a un nuovo livello il concetto di "rifugio". La corsa agli armamenti delle due superpotenze che si contendevano il controllo del mondo, susseguente la fine della Seconda Guerra Mondiale, e l'innalzamento della Cortina di Ferro è stata infatti accompagnata da un'isteria collettiva senza precedenti, le cui fila furono per buona parte tenute da astute campagne mediatiche e politiche in grado di mantenere le popolazioni in uno stato di costante tensione.

L'orologio dell'apocalisse, le cui metaforiche lancette dal 1947 segnano quanti minuti mancano alla mezzanotte, in quegli anni (precisamente, nel '53) raggiunsero le 23.58. Appena due minuti da un'ipotetica fine della vita sulla Terra. Lo spostamento venne provocato dagli esperimenti degli statunitensi (e successivamente dall'URSS) di un nuovo tipo di bomba, quella all'idrogeno, caratterizzata da una potenza distruttiva tale da far impallidire quella sganciata dall'Enola Gay. Dal 1949 in avanti, soprattutto in territorio americano ma anche russo (basti pensare alla metropolitana di Mosca, idea efficacemente ripresa da Dmitrij Glukhovsky), venne a svilupparsi la cultura del rifugio antiatomico. Quest'ultimo doveva esser l'unico mezzo in grado di salvare interi nuclei familiari dal fallout, almeno secondo le molte pubblicità e le campagne propagandistiche dei governi (i cui toni "pop" sono stati portati all'estremo dalle opere targate Bethesda, tra cui l'imminente Fallout 76). In realtà si trattava di "protezioni" davvero effimere contro un'ipotetica guerra totale che le maggiori potenze hanno comunque cercato di evitare per disinnescare il rischio MAD (o Mutual Assured Destruction). La gente, comunque, ci cascò con tutte le scarpe. E iniziò a costruire rifugi nel giardino di casa alimentando una inaspettata, florida economia. Produttori di legno, cemento e acciaio fecero affari d'oro e non esitarono a pubblicare anche minuziosi opuscoli in cui istruivano l'acquirente sul miglior rifugio fai da te.

Certo, anche (e soprattutto) i governi si dotarono di enormi rifugi antiatomici tesi a proteggere la catena di comando e a garantire la continuità del governo eletto, di sicuro più attrezzati e all'avanguardia delle gettate di cemento o dei cumuli di terra imbastiti dalle persone comuni. I primi dovevano servire a scongiurare la caduta e mantenere il controllo della nazione, nonché per favorire la successiva ricostruzione. Emblematici, in questo senso, sono (almeno, quelli conosciuti negli Stati Uniti) il Project Greek Island, enorme bunker occultato sotto l'Hotel Greenbrier e in grado di ospitare il Congresso statunitense in caso di olocausto nucleare e, ovviamente, il celeberrimo complesso della Cheyenne Mountain. Questo mastodontico rifugio è sicuramente il più conosciuto e rappresentato in film e TV, essendo stato tra gli altri il centro di comando di Skynet e la base operativa della squadra Stargate SG-1 (ma appare anche in Indipendence Day e Wargames). Non possiamo, poi, dimenticare il complesso di Raven Rock, che Bethesda ha simpaticamente voluto rendere la base operativa dell'Enclave. Ma torniamo a noi. Nessuno sa esattamente quanti rifugi sono stati costruiti nel corso della Guerra Fredda (e anche dopo).

Centinaia di migliaia di americani hanno costruito il loro sogno postapocalittico. Le locandine pubblicitarie raffiguranti patinate famiglie sorridenti nel bunker, i messaggi della protezione civile, le pubblicazioni (come il Survive to Atomic Attack e il Fallout Protection), le continue esercitazioni, e la promessa della sicura salvezza hanno instillato per anni nella testa degli americani la necessità di proteggersi, creando così un bisogno irrinunciabile come quello del rifugio antiatomico pubblico (grazie al Fallout Shelter Community Program) o quello a conduzione familiare.

Quali erano gli accorgimenti da adottare (o consigliati dai dépliant) per garantire un minimo di vivibilità agli eventuali sopravvissuti e la protezione dalle radiazioni emanate dal pericoloso materiale radioattivo presente nel fallout delle ore/giorni successivi all'esplosione? Anzitutto vanno distinte le diverse tipologie di radiazioni. Le radiazioni di tipo Gamma sono le più infide, provocate dal decadimento del nucleo atomico e dotate di un maggiore grado di penetrazione, rispetto alle Alfa e alle particelle Beta.

La struttura di un bunker antiatomico viene di solito progettata per cercare di tenere all'esterno del rifugio proprio questo tipo di radiazioni. Per questo le tradizionali strutture che abbiamo imparato a conoscere da film, documentari, racconti si compongono di materiali caratterizzati da una densità molto alta e vanno a comporre strutture dalle pareti molto spesse: come le colate di cemento armato, i rivestimenti in piombo, terra pressata, stanze di mattoni costruite nel seminterrato di edifici e così via. Non sono mancati però anche rifugi fatti in legno e terra: pare potessero comunque costituire un'elementare protezione soprattutto per le prime ore del fallout, ovvero le più intense e pericolose. Di sicuro non avrebbero potuto costituire uno scudo efficace a lungo termine, ma venivano comunque consigliate come soluzione economica e a breve termine. Poi, una volta placata la caduta di pulviscolo, tutto veniva demandato alla buona volontà dei sopravvissuti che potevano iniziare ad avventurarsi all'esterno per brevi periodi di tempo, in modo da operare la manutenzione e cercare di abbassare il livello radioattivo attorno al rifugio attraverso la pulizia del terreno circostante. Un altro accorgimento consigliava di scavare attorno al bunker una trincea coperta da almeno un metro di terra pressata, con due entrate distinte per consentire, in caso di necessità, una fuga agile. Le porte o le botole di entrata, ovvero la parte più debole dell'intera struttura, dovevano essere studiate per assorbire non solo le radiazioni ma anche l'eventuale onda d'urto dell'esplosione senza venire scardinate dalla loro sede.

Di solito, i rifugi attrezzati ospitare la vita per un lungo periodo di tempo potevano contare anche di una doccia di decontaminazione, posta prima della cellula di sopravvivenza, e di un sistema di depurazione dell'aria in grado di filtrare, pulire l'aria e mantenere un livello accettabile di umidità e temperatura all'interno della struttura. Ovviamente non si dovevano dimenticare le provviste, non deperibili e possibilmente inscatolate e sotto vuoto (le quali, secondo i manuali, dovevano bastare per almeno 14 giorni), una cisterna d'acqua, qualsiasi strumento e utensile utile, una radio alimentata a batteria, torce elettriche e candele e un generatore ad accumulo, per aver garantita l'energia elettrica. Nonostante la Guerra Fredda sia finita, si sia verificata la disgregazione dell'URSS e il progressivo smantellamento degli arsenali nucleari (intendiamoci, di una parte), siano stati firmati trattati di non proliferazione, la moda del rifugio "antiatomico" non si è mai del tutto smorzata. Il fenomeno è tornato prepotentemente in auge in tempi recenti a causa della minaccia coreana, del terrorismo e del rischio di armi batteriologiche.

Si è passati quindi dall'aver paura di una singola catastrofe a temere molteplici minacce e questo ha spinto i "preppers" americani (soprattutto quelli della Costa Ovest) a correre nuovamente ai ripari, intasando i centralini delle imprese che si occupano della realizzazione dei rifugi antiatomici. Un lucroso mercato della paura che, ultimamente, ha iniziato a proporre anche bunker di lusso, dotati di tutti in comfort, con energia garantita da pannelli solari e pale eoliche, nonché spazi riservati alla coltura di piante. Insomma, un nuovo modo di affrontare l'apocalisse. Forse non così lontana. Dal 1953, anno in cui le lancette del metaforico orologio istituito dal Bulletin of Atomic Scientists vennero spostate alle 23.58, sono passati ben sessantacinque anni. Nel 2018, per la prima volta, sono tornate nuovamente su quell'ora. Dobbiamo preoccuparci? di Giovanni Calgaro

 

Tunnel della Seconda guerra mondiale sotto via Lavaggi. “Un rifugio di guerra da valorizzare”
Da lagazzettaaugustana.it del 5 ottobre 2018

AUGUSTA – La valorizzazione di due bunker della Seconda guerra mondiale presso l’ex aeroporto militare di Boccadifalco, a Palermo, stimola un interessante intervento, a cui diamo evidenza. Infatti per i bunker palermitani si è prevista l’apertura al pubblico per i prossimi weekend con tanto di biglietto, nell’ambito del festival regionale chiamato “Le vie dei tesori” che ha coinvolto anche Siracusa. Invece ad Augusta esiste un rifugio di guerra a ridosso del centro storico, ai piedi della villa comunale, di cui tuttora si ignora perfino l’esistenza, relegato per decenni all’oblio.

Un tunnel lungo oltre un centinaio di metri, risalente alla fine degli anni Trenta, che vede un accesso, attualmente sotterrato, nella villa comunale bassa, su via Lavaggi, e l’altro, il principale, vicino al campo da tennis della Marina militare. Tra i due accessi, un’ampia curva sotterranea che costeggia il lato ovest dei giardini pubblici e passa sotto l’intersezione tra via Lavaggi e via Veneto. “Il tunnel serviva da rifugio per il personale della Marina ed era diviso in sezioni per gli ufficiali, per i militari di truppa e per il personale civile.

Ai lati esistevano banchine in legno ove le persone potevano sedersi, disponeva di un impianto di illuminazione elettrica, e poteva accogliere circa un centinaio di persone“. A ricordarne l’esistenza è Raffaele Migneco, già difensore civico del Comune, che nel 2008 organizzò un sopralluogo nel tunnel (vedi foto a lato), di concerto con la stessa Marina militare. Adesso, sulla scorta dell’iniziativa palermitana, ne propone la valorizzazione, quale esempio delle numerose opportunità di sviluppo turistico di Augusta. “Il rifugio potrebbe far parte – suggerisce l’ex difensore civico – di un percorso turistico abbinato al Castello svevo ed al Museo della Piazzaforte, ove questo dovesse tornare nella sua sede naturale nel Castello“. (Nell’immagine in evidenza: nostra ricostruzione orientativa del percorso del tunnel sulla base di un “rilievo a vista” vidimato dal Difensore civico)

 

Bulgaria, 80 milioni di fondi Ue usati per restauri di castelli antichi. Ma gli esiti sono disastrosi
Del 4 ottobre 2018

SOFIA – Il governo bulgaro ha speso 80 milioni di euro di fondi europei per i restauri di castelli e fortezze medievali che si sono rivelati un totale disastro.

La nazione balcanica, scrive il Daily Mail, ha speso 80 milioni di sterline del Fondo di sviluppo regionale dell’UE per restaurare castelli e fortezze ma invece di riportarli all’antico splendore i costosi lavori hanno peggiorato la situazione con l’unico risultato di allontanare i turisti dai siti. I restauri del castello medievale di Krakra a Pernik, Bulgaria occidentale, e del forte romano di Trayanovi Vrata vicino a Ihtiman hanno peraltro attirato l’ira degli ambientalisti poiché è stato utilizzato cemento polimerico, spesso usato per fare i marciapiedi.

Il Trayanovi Vrata “era sopravvissuto a 16 secoli e ora è rovinato” commenta Stella Duleva, architetto per la protezione dei beni. Un altro duro colpo è stato inferto al forte di Krakra a Pernik, al punto che le autorità locali hanno dichiarato che nel 2019 smantelleranno il restauro. A causa dei grossolani interventi, la fortezza di Pernik è stata definita “castello di cartone” mentre il forte bizantino di Yailata bollato come “fortezza di formaggio” poiché è stato restaurato con blocchi bianchi in netto contrasto con la facciata usurata dal tempo.

I disastrosi restauri della Bulgaria arrivano in un momento in cui l‘Unione Europea (https://www.blitzquotidiano.it/politicaeuropea/ orban-anti-ue-soldi-2922431/) è alle prese con dei controlli per verificare come vengano spesi i fondi per lo sviluppo.

 

Bulgaria, 80 milioni di fondi Ue usati per restauri di castelli antichi. Ma gli esiti sono disastrosi
Del 4 ottobre 2018

SOFIA – Il governo bulgaro ha speso 80 milioni di euro di fondi europei per i restauri di castelli e fortezze medievali che si sono rivelati un totale disastro.

La nazione balcanica, scrive il Daily Mail, ha speso 80 milioni di sterline del Fondo di sviluppo regionale dell’UE per restaurare castelli e fortezze ma invece di riportarli all’antico splendore i costosi lavori hanno peggiorato la situazione con l’unico risultato di allontanare i turisti dai siti. I restauri del castello medievale di Krakra a Pernik, Bulgaria occidentale, e del forte romano di Trayanovi Vrata vicino a Ihtiman hanno peraltro attirato l’ira degli ambientalisti poiché è stato utilizzato cemento polimerico, spesso usato per fare i marciapiedi.

Il Trayanovi Vrata “era sopravvissuto a 16 secoli e ora è rovinato” commenta Stella Duleva, architetto per la protezione dei beni. Un altro duro colpo è stato inferto al forte di Krakra a Pernik, al punto che le autorità locali hanno dichiarato che nel 2019 smantelleranno il restauro. A causa dei grossolani interventi, la fortezza di Pernik è stata definita “castello di cartone” mentre il forte bizantino di Yailata bollato come “fortezza di formaggio” poiché è stato restaurato con blocchi bianchi in netto contrasto con la facciata usurata dal tempo.

I disastrosi restauri della Bulgaria arrivano in un momento in cui l‘Unione Europea (https://www.blitzquotidiano.it/politicaeuropea/ orban-anti-ue-soldi-2922431/) è alle prese con dei controlli per verificare come vengano spesi i fondi per lo sviluppo.

 

Folgaria: a scuola di pace a Base Tuono
Da l'adige.it del 4 ottobre 2018

FOLGARIA - Domani si apriranno le porte di Base Tuono e maso Spilzi per ospitare una iniziativa promossa dal Centro per la cooperazione internazionale, dal Forum per la pace e dall’amministrazione comunale di Folgaria dal titolo «La scienza per la pace».

Si tratta di un incontro che coinvolgerà gli studenti di molti istituti superiori del Trentino, che visiteranno questi luoghi in cui sono state scritte importanti pagine di storia. I temi affrontati saranno molteplici in una giornata che ha lo scopo di sensibilizzare e coinvolgere i giovani in un percorso didattico di riflessione ed analisi. Base Tuono diverrà il palcoscenico ideale dal quale il giornalista Maurizio Struffi affronterà con lucidità e dettagli storici rilevanti il periodo della guerra fredda, di cui Base Tuono è una testimonianza diretta.

Ed è proprio approfondendo questi momenti bui della storia che si parlerà di pace, un «bene» che deve essere alimentato giorno dopo giorno attraverso percorsi culturali importanti, d’integrazione e di apertura mentale. Gli studenti, divisi per gruppi di lavoro, affronteranno temi come la proliferazione nucleare, la guerra chimica, la guerra cibernetica ed il fenomeno dei grandi flussi migratori. In programma c’è anche una rappresentazione teatrale dal titolo «La Bomba», atto scritto da Giacomo Anderle, nonché un video istruttivo «Fuochi artificiali...nucleari».

 

"Scoperto" un rifugio contro le bombe in pieno centro: "Presto aperto al pubblico"
Da palermotoday.it del 4 ottobre 2018

L’assessorato dei Beni culturali e dell’Identità siciliana ha avviato le procedure per il recupero e il restauro del rifugio antiaereo utilizzato dagli studenti del liceo Vittorio Emanuele II durante la seconda guerra mondiale.

Si tratta di un rifugio antiaereo collocato al di sotto del cortile principale, a servizio dell’allora liceo e ritrovato in ottime condizioni su segnalazione di Michele D’Amico, responsabile regionale del sindacato Cobas-Codir per le politiche dei Beni Culturali. “Il già prestigioso e splendido edificio che ospita la Biblioteca regionale Alberto Bombace - dichiara l’assessore dei Beni culturali Sebastiano Tusa - si arricchirà presto di un ulteriore elemento di attrazione di grande interesse storico per la città di Palermo.

E’ intenzione di questo assessorato aprire al pubblico questa interessante struttura di grande valore storico architettonico e di grande interesse culturale per la memoria della città, che ha vissuto in maniera drammatica il conflitto mondiale” Il dirigente generale Sergio Alessandro e l’assessore Tusa hanno effettuato un sopralluogo alla presenza del direttore della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, Carlo Pastena e del Direttore del Centro Regionale per il Restauro, Stefano Biondo. “Ho dato incarico all’architetto Stefano Biondo – conclude l’assessore Sebastiano Tusa – per la redazione di una perizia e di un progetto per il completo recupero del rifugio antiaereo, affinché in tempi brevi possa essere reso fruibile ai visitatori”.

 

Giornate FAI, dal bunker della stazione Termini alla Certosa di Parma, ecco 660 tesori...
Da rainews.it del 4 ottobre 2018

All'accesso in ogni luogo sarà richiesto un contributo facoltativo, preferibilmente da 2 a 5 euro, a sostegno dell'attività della Fondazione. Per gli iscritti Fai e per chi si iscriverà per la prima volta durante l'evento saranno dedicate visite esclusive, accessi prioritari ed eventi speciali. Così per esempio, a Roma si potrà visitare il Treno Presidenziale. Le vetture che lo compongono, tutte più o meno danneggiate nel corso degli eventi bellici, provenivano dal Treno Reale costruito tra il 1928 e il 1933 per le necessità di Casa Savoia, costituito a sua volta da dodici vetture del tipo 1921 a cassa metallica. Le prime tre carrozze furono realizzate nel 1929 dalla Fiat, che risultò vincitrice del Concorso Nazionale per la costruzione di un Treno Reale da allestire in occasione delle nozze del Principe ereditario Umberto di Savoia con la Principessa Maria Josè. Il Treno Reale fu arricchito con allestimenti realizzati dai migliori artigiani dell'epoca nel campo delle lavorazioni in bronzo e cuoio, degli intarsi, della tessitura, del ricamo e delle decorazioni. L'intero lavoro di costruzione e allestimento fu seguito dall'architetto Giulio Casanova della Reale Accademia Albertina di Torino. A Napoli, invece, gli iscritti Fai potranno visitare Villa di Donato, situata in piazza Sant'Eframo Vecchio, alle spalle dell'Albergo dei Poveri e del Real Orto Botanico, che nel Settecento fu casino di caccia dei baroni di Donato di Casteldonato. Gli affreschi, ben conservati, evocano scene di caccia e di vita campestre e ritraggono gli antichi abitanti della casa, gli artigiani e i progettisti che realizzarono la villa. Ricordando come le Giornate Fai siano possibili grazie all'impegno dei volontari, il presidente Fai Andrea Carandini, intervenendo alla presentazione di questa edizione 2018 nella sede del Mibac, a Roma, ha sottolineato: "Per un'attenta e capillare manutenzione dei propri beni, il Fai spende un milione e mezzo l'anno. Ha ormai una grande esperienza al riguardo". Nel corso della conferenza stampa, il Fai ha inoltre evidenziato l'importanza della campagna nazionale raccolta fondi 'Ricordati di salvare l'Italia', che si svolgerà tutto il mese di ottobre. Un modo, per il Fai, per preservare il patrimonio culturale italiano. Alla campagna si può contribuire non solo pagando la quota di iscrizione, ma anche inviando un sms solidale di 2 euro al numero 45592 o effettuando una chiamata, da rete fissa, allo stesso numero per donare 5 euro. Le Giornate Fai d'autunno si svolgeranno in collaborazione con la Commissione europea, nell'ambito delle attività dedicate all'Anno europeo del patrimonio culturale 2018. Alcuni dei luoghi aperti sabato 13 e domenica 14 ottobre sono stati, infatti, recuperati e valorizzati grazie a finanziamenti europei. Ad accogliere e guidare i visitatori nei 660 luoghi aperti ci saranno 5.000 "apprendisti Ciceroni", studenti della scuola di ogni ordine e grado che hanno scelto con i loro docenti di partecipare nell'anno scolastico a un progetto formativo di cittadinanza attiva, un'iniziativa lanciata dal Fai nel 1996. Sul sito www.fondoambiente.it è possibile verificare quali sono i luoghi aperti, gli aggiornamenti su modifiche di orari, eventuali variazioni di programma in caso di condizioni meteo avverse e la possibile chiusura anticipata delle code in caso di grande affluenza di pubblico. "Questa iniziativa - ha affermato il ministro Alberto Bonisoli - è molto positiva, si tratta di qualcosa di cui essere fieri, non solo per il Fai ma per tutto il Paese".

 

La Grande Guerra al Forte di Bard, un evento tra musica e parole
Da valledaostaglocal.it del 4 ottobre 2018

'1918-2018: Canti e memorie sulla Grande Guerra' è il titolo dell’evento in programma sabato 13 ottobre, alle ore 15, all’auditorium dell’Opera Mortai del Forte di Bard.

In occasione degli ultimi giorni di apertura della mostra 'La Guerra Bianca. Fotografie di Stefano Torrione' - allestita nel Museo delle Fortificazioni e delle Frontiere sino a domenica 14 ottobre - il Forte di Bard propone un approfondimento tra musica e parole legato alle vicende belliche dell’epoca, con particolare riferimento alla vita della fortezza nel periodo della Prima Guerra Mondiale: il ruolo del Forte come reclusorio prima e come luogo di smistamento dei prigionieri austriaci poi, i combattenti di Bard, l’insurrezione dei prigionieri avvenuta all’interno della fortezza.

Verrà anche letta una testimonianza di Giuseppe Soudaz che ha combattuto sull’Adamello, per introdurre il tema della Guerra Bianca.

A dare voce alle testimonianze e ai documenti dell’epoca saranno Laura Decanale e Lucio Bovo mentre la cantautrice Maura Susanna eseguirà alcuni canti legati alla guerra. Al termine dell’incontro, seguirà una visita alla mostra La Guerra Bianca con introduzione del fotografo Stefano Torrione.

L’ingresso all’evento e alla visita è gratuito con prenotazione obbligatoria al numero 0125 833818 o alla mail prenotazioni@fortedibard.it.

 

Trekking sui Forti di Genova, tra antiche mura e il Sentiero delle Farfalle
Da mentelocale.it del 3 ottobre 2018

Una visita guidata che porta sul tetto di Genova, al Parco Urbano delle Mura e ai Forti, accompagnati da una guida escursionistica esperta. Una suggestiva camminata facile e adatta a tutti immersa nella natura, per esplorare le alture della città, le fortificazioni ottocentesche e le antiche mura. Appuntamento domenica 7 ottobre 2018, dalle 9.15, con punto d’incontro presso l’Ufficio di Informazione e Accoglienza Turistica di via Garibaldi 12 r, dal quale si raggiunge la funicolare Zecca-Righi, antico e caratteristico sistema di risalita che conduce sull’omonima collina del Righi, dove inizia il tour. Da qui il percorso si sviluppa lungo l’antico sentiero che costeggia le mura seicentesche fino al forte Sperone, per proseguire verso il forte Puin lungo il cosiddetto sentiero delle farfalle e le antiche neviere e ritornare alla funicolare costeggiando il forte Castellaccio.

L’interno dei forti non è visitabile. Ora i dettagli per partecipare al Trekking sui Forti. I biglietti sono acquistabili online e presso gli Uffici di Informazione e Accoglienza Turistica (via Garibaldi 12r, via al Porto Antico n.2) entro e non oltre le 48 ore che precedono il tour, e non sono rimborsabili. Se il servizio non sarà confermato, i partecipanti potranno avere la possibilità di ricalendarizzare la visita in altra data oppure di effettuare uno degli altri tour a scelta tra Walking Tour o il tour dei Palazzi dei Rolli Le splendide dimore genovesi del '500. In caso di cancellazione verrà inviata una mail entro le h 10.00 del giorno precedente il tour. Il servizio è subordinato al raggiungimento del numero minimo di 9 partecipanti e alle condizioni meteo. Il gruppo sarà composto da un massimo di 25 partecipanti, bambini compresi. 

 

Ceva: il Comune punta con decisione sul restauro e sulla valorizzazione del Forte
Da targatocn.it del 3 ottobre 2018

L'amministrazione comunale di Ceva dimostra ancora una volta, se mai ve ne fosse bisogno, di puntare con decisione sul restauro e sulla valorizzazione del suo Forte, un sito storico di notevole valore nel campo dell'architettura militare e nel sistema fortilizio piemontese, già oggetto di interventi avviati nel 2015 nell'ambito del Programma Territoriale Integrato "Sviluppo sostenibile del Monregalese", finanziato con fondi europei e gestito dall'Unione Montana delle Valli Mongia e Cevetta-Langa Cebana-Alta Valle Bormida.

Recentemente, il Comune di Ceva ha inteso portare avanti il progetto di valorizzazione del sito, incentivando l'offerta culturale proposta all'interno del manufatto e promuovendo lo stesso attraverso azioni volte a creare una sinergia con il territorio e i soggetti, pubblici e privati, che ne fanno parte, proponendo la propria candidatura a valere sul bando attivato dalla Compagnia di San Paolo nell'anno 2017, dal titolo "Luoghi della Cultura". 

La risposta pervenuta dall'ente torinese è stata positiva: alla città del fungo è stato riconosciuto un contributo di 95mila euro a sostegno del progetto presentato dal Comune, per l’importo complessivo di 130.517,23 euro.

Esso prevede interventi di completamento dei restauri all'interno delle cappelle affrescate, nonché azioni di valorizzazione e promozione, per le quali l'amministrazione ritiene opportuno avvalersi della professionalità dell'architetto Andrea Briatore, estensore dello studio di fattibilità e, pertanto, in possesso delle necessarie, specifiche conoscenze e competenze, anche alla luce dell'assenza di figure professionali idonee presso la struttura municipale.   

Detto fatto: nei giorni scorsi è stato assegnato l'incarico al professionista, nell'ottica di un implemento sempre crescente dell'attrattività del Forte a livello turistico-culturale. di Alessandro Nidi

 

Roma, droni sulle Mura Aureliane per verificare lo stato di salute del monumento
Da ilmessaggero.it del 3 ottobre 2018

Oggetti non identificati in volo sulle Mura Aureliane. Non si tratta di un'invasione ma di un nuovo e sofisticato sistema di analisi dei monumenti grazie a droni, scanner e fotografie ad alta definizione. Questa mattina, il tratto delle Mura a pochi passi dalla Piramide Cestia è stato teatro di una giornata all'insegna della tecnologia grazie a un 'workshop sul campò organizzato nell'ambito di "Technology for All 2018", il forum dedicato all'innovazione tecnologica per il territorio e l'ambiente, i beni culturali e le smart city.

Una giornata di studio per decine di ragazzi delle scuole romane ma anche l'occasione per fare un check up alle Mura costruite tra il 270 e il 275 dall'imperatore Aureliano per difendere Roma da eventuali attacchi dei barbari. Grazie ai droni, ma anche georadar e laser scanner, i tecnici hanno elaborato una mappatura approfondita del monumento: dalla parte superiore alla cima della torre accanto alla Piramide Cestia, ogni centimetro è stato fotografato per consentire la realizzazione di un modello 3D che potrà essere utilizzato anche per eventuali futuri interventi di conservazione.

I dati raccolti oggi «saranno inviati alla Sovrintendenza capitolina ai beni culturali di Roma Capitale per mettere a punto un metodo globale per contribuire alla salvaguardia di questa importante cinta muraria», ha spiegato Renzo Carlucci, direttore scientifico di MediaGeo, la società che organizza la manifestazione.

 

La Loggia con Sortita ritrovata. Apertura della galleria di Baluardo Donato
Da udinetoday.it del 3 ottobre 2018

Dopo la gallerie veneziane di contromina, un altro tratto sotterraneo dei Bastioni di Palmanova viene ripulito e riqualificato. Da sabato 6 ottobre alle 16.30 verrà riaperta la Loggia di Baluardo Donato e la relativa Sortita.

Per l’inaugurazione l’accesso sarà possibile dalla fine di contrada Donato, sotto la torre dell'ex acquedotto, davanti l’ex caserma Filzi (di cui sarà anche possibile visionare il progetto d’intervento). In programma, dopo il saluto del Sindaco di Palmanova Francesco Martines e del Presidente del Consiglio Regionale Pier Mauro Zanin, la presentazione della struttura attraverso cenni storici e curiosità. Al termine musica e brindisi finale. Prima e dopo l’inaugurazione sarà possibile visitare le gallerie veneziane del rivellino, aperte al pubblico dallo scorso dicembre. Disponibile alla visione anche un Virtual Reality 3D tour dedicato ai Bastioni di Palmanova.

Di solito disponibile all’Ufficio di Promoturismo FVG di Borgo Udine, verrà reso fruibile anche durante l’inaugurazione. Con degli speciali occhiali VR, verrà proposto un filmato con immagini aeree a 360 gradi sopra i Bastioni, la Piazza e i luoghi più caratteristici della città stellata. Un video immersivo, realizzato grazie a Promoturismo FVG, anche nelle città di Grado, Cividale e Aquileia. Per raggiungere il luogo dell’inaugurazione si consiglia di indossare scarpe comode (da ginnastica). In caso di maltempo l’inaugurazione è posticipata a sabato 13 ottobre 2018.

 

Palazzi, bunker e fari per Giornate Fai
Da ansa.it del 3 ottobre 2018

(ANSA) - ROMA,  - Dai locali che una volta ospitavano la futuristica aeromensa del Ministero dell'Aviazione a Roma, che per la prima volta si aprono al pubblico con le grandi pareti dipinte da Marcello Dudovich, maestro dell'affiche, ai preziosi interni di Casa Masieri a Venezia, interamente riprogettati da Carlo Scarpa e mai aperti alle visite; dal misterioso ipogeo nascosto sotto il giardino di Babuk, che apre per la prima volta a Napoli, al bunker della stazione Termini a Roma con una cabina di comando sotterranea costruita nel 1936 per salvare i ferrovieri dai bombardamenti, o il Faro di Portofino.

Con lo slogan Ricordati di salvare l'Italia, tornano, il 13 e 14 ottobre, le Giornate d'Autunno del Fai con 150 itinerari e 660 aperture in tutta Italia.

Tema centrale è la manutenzione, un settore, ricordano il presidente Andrea Carandini e il vice presidente esecutivo Marco Magnifico, nel quale il Fai investe 1 milione 500 mila euro l'anno, prendendosi cura da 43 anni di 61 luoghi speciali in tutta Italia.

 

La regione fortificata di Międzyrzecz, una Maginot sul fronte orientale
Da gazzettaitalia.pl del 3 ottobre 2018

La Regione Fortificata di Międzyrzecz (Międzyrzecki Rejon Umocniony, MRU), o Festungsfront Oder-Warthe-Bogen in lingua tedesca, fu un fronte fortificato tra i fiumi Oder e Warta che mirava a proteggere Berlino da un potenziale attacco polacco. Estesa per una lunghezza di circa 100 km, da Skiewrzyna attraverso l’area di Międzyrzecz e fino alle rive dell’Oder, includeva un centinaio di installazioni militari tra bunker, postazioni di artiglieria e e fortificazioni varie. Il tutto era collegato da quella che all’epoca era la più estesa rete di gallerie sotterranee, che includevano magazzini per cibo e munizioni, pozzi, una ferrovia sotterranea e centrali elettriche. Gli accessi in superficie erano protetti da piloni di cemento piazzati a distanza uniforme e chiamati “denti di drago”, necessari ad arrestare l’avanzata di carri armati e mezzi di artiglieria mobile.

La Repubblica di Weimar iniziò la costruzione del progetto nel 1925, spaventata dalla prospettiva di una invasione della Polonia dopo che quest’ultima aveva vinto la guerra polacco-bolscevica. Il trattato di Versailles firmato alla fine della Grande Guerra non consentiva ai tedeschi di riarmarsi e formare un esercito regolare, ragione per la quale il governo di Berlino decise di costruire queste infrastrutture difensive. I lavori iniziarono nei pressi di Słońsk ma le potenze vincitrici della prima guerra mondiale intimarono ai tedeschi di fermarli. La costruzione proseguì clandestinamente, occultata da lavori di edificazione di infrastrutture idrologiche, canali, polder e chiuse. Per mantenere segreta l’operazione i cieli sopra l’MRU furono dichiarati una no fly zone e l’area non poteva essere attraversata senza permesso. Nel 1935 un entusiasta Adolf Hitler visitò la regione confermando i lavori in corso. Il progetto avrebbe dovuto concludersi nel 1951 ma le cose andarono diversamente. Nel 1938 il Terzo Reich interruppe i lavori in conseguenza del cambio della sua dottrina militare: la guerra di posizione, di cui il primo conflitto mondiale fu l’apice, fu sostituita da rapidi attacchi con unità corazzate che rendevano fortificazioni e bastioni obsoleti.

Durante la seconda guerra mondiale l’MRU tornò comunque utile alle truppe tedesche. Sul finire della guerra le strutture abbandonate furono convertite in fabbriche belliche in cui i prigionieri di guerra erano costretti a produrre parti di aeroplani e veicoli corazzati. Le gallerie sotterranee vennero anche usate come magazzino in cui conservare opere trafugate da cinque musei polacchi. La linea fu rotta senza troppe difficoltà dalle truppe sovietiche tra il gennaio e il febbraio del 1945, quando bastarono tre giorni di bombardamenti pesanti per metterla in ginocchio. Dopo la guerra i bunker furono disarmati, parzialmente demoliti e negli anni Cinquanta il metallo venne recuperato per essere impiegato altrove. Oggi l’MRU gode di grande popolarità tra i turisti ma anche tra… i pipistrelli. L’estesa rete di gallerie sotterranee, con una temperatura stabile intorno a 10° C, è un rifugio invernale ideale per 12 specie di questi mammiferi alati. La loro popolazione locale conta circa 32.000 esemplari, il che fa di questo luogo la maggiore colonia invernale di pipistrelli in Europa centrale.

 

Fortezza Verrucole, taglio del nastro dopo i lavori
Da luccaindiretta.it del 3 ottobre 2018

Sabato (6 ottobre) alle 15 l’amministrazione comunale di San Romano in Garfagnana inaugura ufficialmente il risultato dei lavori eseguiti con il finanziamento del consiglio regionale toscano, nell’ambito del progetto Città murate e del programma Mibact denominato Ducato estense, progetto strategico turistico-culturale che comprende azioni di ristrutturazione su alcune delle principali rocche e fortificazioni della Garfagnana. Il filo conduttore di questo nuovo intervento sul monumento, simbolo delle Fortificazioni in Garfagnana, è il miglioramento dell’accessibilità per persone con difficoltà motorie, problematica, quest’ultima, verso la quale l’amministrazione comunale si è dimostrata molto sensibile.

Ed è proprio per questo motivo che sabato alla Fortezza di Verrucole, il sindaco del Comune di San Romano in Garfagnana Pier Romano Mariani, aprirà la cerimonia di inaugurazione di due importanti opere che simboleggiano il grande impegno profuso per l’abbattimento delle barriere architettoniche: il completo rifacimento dei servizi igienici all’interno della struttura, l’ascensore che dal giardino del capitano porta direttamente alla sala museale e l’impianto di trasporto su monorotaia di tipo Monrail, un trenino panoramico interamente ecologico che dal parcheggio del borgo delle Verrucole arriva fino alla Fortezza. Tra i vari interventi da sottolineare, anche l’adeguamento dell’impianto di illuminazione interna ed esterna, nel rispetto delle più moderne soluzioni di sostenibilità energetica, e l’installazione di un defibrillatore automatico grazie alla donazione della società Siram. Una grande svolta per il miglioramento dell’accessibilità per le persone diversamente abili che potranno raggiungere la Fortezza gratuitamente e senza alcuna difficoltà per godersi l'eccezionale scenario naturalistico in cui essa è inserita e la straordinaria bellezza della struttura, patrimonio artistico-culturale di inestimabile valore del nostro territorio, gestita magistralmente dall’associazione Mansio Mansio Hospitalis Lucensi, i cui rappresentanti prenderanno parte all’evento. Durante la cerimonia interverranno anche autorità locali, rappresentanti del Ministero per i beni e le attività culturali, nonché rappresentanti delle associazioni categoria disabili.

"La nostra amministrazione - spiega il sindaco - persegue i suoi progetti con determinazione e professionalità senza fronzoli e inutili annunci, pochi investimenti immateriali e tanta concretezza: la Fortezza delle Verrucole diviene, in questo modo, ancora di più un punto centrale della storia del nostro territorio e la sua forza di attrazione, con questo ulteriore intervento di valorizzazione, diverrà ancora più incisivo. I benefici turistici sul territorio e sulle attività continueranno a crescere come avvenuto nel corso degli ultimi anni. Quella di sabato - conclude - rappresenta una grande occasione per riflettere e per celebrare tutti insieme l’abbattimento di barriere architettoniche, psicologiche e culturali che ostacolano l’autonomia e l’ integrazione delle persone disabili, perché la cultura è un bene che appartiene a tutti".

 

Rfi taglia le erbacce e il forte di Motteggiana torna visibile
Da gazzettadimantova.it del 3 ottobre 2018

MOTTEGGIANA. L'appello lanciato nel corso di un sopralluogo del 5 settembre scorso dalla delegazione formata dal consigliere Nereo Montanari di “Insieme per Motteggiana”, con Massimiliano Minelli, Alberto Amista del comitato “Vivere Torricella”, Paolo Refolo e l'ex assessore Unesco Celestino Dall'Oglio, per riqualificare le mura del forte Noyon, la testa di ponte costruita nella seconda metà dell'800 è stato accolto.

In questi giorni Rfi ha affidato i lavori di sfalcio, mentre ad un'altra ditta sono stati affidati i lavori di rafforzamento e miglioramento antisismico degli archi su cui scorre la linea ferroviaria Modena-Verona. Il forte Noyon era stato avvolto dalla vegetazione e quindi privato dalla vista di cittadini, turisti, appassionati di fortificazioni militari rendendolo inaccessibile. Il fabbricato si trova in un'area di proprietà di Rfi ma il compartimento veronese voleva che fossero i frontisti a ripulire l'area per far riemergere la storica costruzione.

Tuttavia, il capogruppo di minoranza Montanari ha obiettato a Rfi, che «lo sfalcio da parte dei frontisti dal punto di vista legale non era possibile perché avrebbero dovuto agire su una zona non di loro proprietà». E Montanari ha aggiunto: «Qualcuno ci ha dato dei visionari, ma a quanto pare avevamo visto bene». La costruzione ha quasi 160 anni e risale al periodo risorgimentale quando il borgo sotto il Regno Lombardo-Veneto venne nuovamente fortificato con mura che partendo dal forte centrale raggiungevano la località dell'antica Rocca sull'argine Po che conduce all'odierna frazione di Scorzarolo. Nello stesso periodo fu costruito il forte Magnaguti oltre ad altri tre: il forte Noyon di Motteggiana sulla riva destra del Po, e i forti di Rocchetta e di Boccadiganda rispettivamente a monte e a valle dell'argine maestro del Po. In meno di un mese Rfi ha inviato a Motteggiana una squadra che ha provveduto allo sfalcio che ha portato alla luce le mura del forte Noyon.

Non solo. È arrivata una ditta padovana che ha scaricato 300 quintali di traversine in ferro che serviranno a rinforzare le arcate del ponte. Verranno anche riparate le fessure che hanno permesso all'acqua di infiltrarsi. Si tratta di un investimento di circa 250mila euro che comprende anche opere di miglioramento antisismico. Gli operai lavoreranno per circa tre settimane.

 

Ancona: eventi di rilevanza storica alla Polveriera Castelfidardo evi
Da tmnotizie.com del 3 ottobre 2018

ANCONA – Sabato (6 ottobre) alle 18, alla Polveriera “Castelfidardo” del Parco del Cardeto, inaugurazione della mostra “Effetti collaterali” del fotoreporter Livio Senigalliesi. Le immagini raccolte nella mostra sono il frutto di due decenni di reportage di guerra di Senigalliesi in quattro continenti: un atto di testimonianza e denuncia, condividendo con le persone incontrate sofferenze, pericoli, freddo e fame. Gli effetti collaterali delle guerre che colpiscono soprattutto la parte inerme delle popolazioni. Numerose le scolaresche che hanno prenotato la visita alla mostra. Apertura dal giovedì alla domenica dalle 16 alle 19 fino al 18 ottobre. Per le scuole, su appuntamento alla antolinidanilo@gmail.com anche negli orari mattutini 

Domenica (7 ottobre) alle 17,30, conferenza su Gli scemi di guerra. I militari ricoverati al manicomio di Ancona durante la Grande guerra (affinità elettive). La presentazione del libro di Maria Grazia Salonna farà da spunto per parlare di guerra e follia mostrando inoltre immagini e oggetti. Tra i relatori, Claudio Bruschi, Maria Grazia Salonna, Giuliano Evangelisti (mostrerà ordigni della sua collezione) e Vito Veccia.

 

Fortezze di Puglia: La diruta Torre di Raimondello Orsini del Balzo a Taranto
Da corrieresalentino.it del 3 ottobre 2018

La Torre di Raimondello fu voluta nel 1404 dal Principe di Taranto e Conte di Lecce, Soleto e San Pietro in Galatina Raimondello Orsini del Balzo, allo scopo di controllare l’accesso alla città dal ponte di Porta Napoli, durante la contesa col Re Ladislao d’Angiò – Durazzo. In realtà Raimondello aveva intrapreso una politica alquanto ambigua durante la contesa per il trono di Napoli fra Ladislao e Luigi II d’Angiò, appoggiando dapprima il primo dei contendenti, successivamente cambiava bandiera ponendosi al fianco del pontefice Urbano VI, quindi un nuovo voltafaccia lo poneva dalla parte di Luigi, per ritornare alla fine con Ladislao, quando la vittoria di questi divenne ormai sicura.

La struttura consisteva in un mastio a pianta quadrata molto alto, posto ai margini delle mura cittadine e successivamente rinforzato da due torrioni, costituendo così una vera e propria Cittadella che durante i due assedi condotti successivamente da Ladislao contro la Città dei Due Mari, difesa strenuamente dall’eroina Maria d’Enghien, vedova di Raimondello, Principessa di Taranto e Contessa di Lecce, rappresentò un valido baluardo difensivo. Come sappiamo questa disputa terminò col matrimonio dei contendenti e la bella Maria divenne anche Regina di Napoli, benché tale titolo per lei ed i suoi figli si tramutasse in una prigionia dorata durata alcuni anni.

Successivamente la torre fu dotata di cannoniere mentre l’intero complesso difensivo venne chiuso in una corte militare e rinforzato con un altro torrione. Dopo l’Unità d’Italia, nel 1861 la Cittadella venne smilitarizzata ed abbandonata. Nel 1883 subì un’alluvione e successivamente, per una alquanto discutibile scelta politica che intendeva cancellare le tracce di un passato feudale, il complesso fu demolito adducendo la scusa che fosse a rischio di crollo. Dal 1884 al 1893 la Cittadella fu rasa al suolo. Degli originali edifici della piazza resta oggi solo la torre dell’orologio. Alcuni scavi archeologici effettuati sul finire degli anni ’90 del XX secolo hanno riportato alla luce i resti della Torre di Raimondello e delle altre strutture.

Riguardo alla sua descrizione lasciamo la parola a Pietro Palumbo (P. Palumbo, Castelli in Terra d’Otranto, Centro Studi Salentini, Lecce, 1973) che la visitò prima della sua demolizione: “Guardata da lontano sembra una sentinella destinata a speculare sulla vasta immensità di quel mare se qualche nemico tentasse di avvicinarsi. Non ha smesso la sua lugubre maestà né la sua fuliggine centenaria. Per entro, toltane un’ala che fu rimessa a nuovo, varcato un arco e salendo quetamente parecchi muscosi gradini che conducono ad un ballatoio, si penetra nel maschio della fortezza. Qui ben presto s’imbocca in una stanzaccia appena illuminata da grosse feritoie. L’aspetto è tetro. Sembra una segreta o una camera da tortura se si guarda in alto un anello di ferro immorsato nei quadrelli della volta. Di la per una ripida scaletta tutta archi e feritoie si attinge ad un secondo piano in quattro stanze destinato forse alla castellana. Più su v’è anche un altro stanzone, e quindi la scala raggomitolandosi e aggirandosi a lumaca si strema sui merli donde l’occhio si spazia su un panorama dei più incantevoli e peregrini”.  Cosimo Enrico Marseglia

 

Russia, il missile super-pesante Sarmat volerà all’inizio del 2019
Da ilgiornale.it del 2 ottobre 2018

Il missile termonucleare super-pesante RS-28 Sarmat volerà all’inizio del prossimo anno

Di Franco Iacch

E’ quanto comunica Tass citando fonti del settore della difesa. La produzione in serie del Sarmat dovrebbe iniziare a partire dal 2020. Il primo reggimento armato dovrebbe entrare in servizio nel 2021.

Russia: Aliante ipersonico Avangard/Yu-71/Yu-74

Il Programma 4202

Il Programma 4202 prevede lo sviluppo di sistemi HGV, Hypersonic Glider Vehicle. I sistemi HGV del Programma ipersonico 4202 sono regolarmente testati dalla base missilistica di Dombarovsky, nella regione di Orenburg (qualsiasi sistema d’arma che raggiunge o supera una velocità superiore a Mach 5 è considerata ipersonica). Ogni aliante ipersonico è concepito per essere armato con una testata nucleare con una resa esplosiva variabile tra i 550 kilotoni ed i 2 megatoni. Un singolo vettore Sarmat ad esempio potrebbe trasportare fino a 24 alianti ipersonici che sarebbero certamente in grado di eludere qualsiasi sistema di difesa esistente. E’ una precisazione superflua, ma necessaria: nessun sistema missilistico di difesa (USA/Russia) potrebbe azzerare un attacco di saturazione di una potenza nucleare. L’attuale tecnologia non è semplicemente in grado di arrestare un massiccio attacco missilistico. Il programma BMD statunitense ad esempio: è stato progettato per sperare di intercettare una manciata di missili provenienti dall’Iran o dalla Corea del Nord. Non esiste uno scudo di difesa antimissile in grado di azzerare una minaccia stratificata di proiezione lanciata da una potenza nucleare. Ed è un dato inconfutabile.

Il regime ipersonico

La rilevazione iniziale, il tracciamento e la soluzione di fuoco richiede comunque del tempo (parliamo sempre di secondi) che però potrebbero essere troppi considerando il regime ipersonico. La contromisura anti-balistica per le testate a rientro convenzionale è ben nota e si basa sul calcolo della traiettoria di discesa attraverso l’atmosfera delle testate multiple indipendenti. Il problema dell’elevata velocità di rientro è stata aggirata preventivamente, con l’impiego di missili intercettori progettati per distruggere le testate multiple indipendenti prima della loro fase di rilascio. La velocità ipersonica annulla tale fase critica, rientrando nell’atmosfera in planata ad altissima velocità ed avvicinandosi all’obiettivo con una traiettoria relativamente piatta.

La resa esplosiva di Avangard

Il profilo di volo di Avangard/ Авангард

Rispetto alla traiettoria balistica delle testate tradizionali imbarcate sui missili balistici intercontinentali, Avangard vola ad un'altitudine di diverse decine di chilometri negli strati densi dell'atmosfera. Mentre manovra lungo la sua traiettoria di volo ed in base alla sua altitudine, la testata dell'aliante bypassa le capacità di rilevamento ed intercettazione delle difese missilistiche nemiche. Avangard è realizzato in materiali compositi in grado di resistere a diverse migliaia di gradi. L’Hypersonic Glider Vehicle russo è equipaggiato con il sistema di termoregolazione sviluppato dalla Nauka Research and Production Association. Avangard dovrebbe essere lungo circa 5,4 metri e sviluppare una velocità superiore a Mach 20. Può essere armato con una testata nucleare o convenzionale. I primi test non ufficiali dell’Oggetto 4202 sarebbero iniziati nel 2004 nel cosmodromo di Bayqoñyr e nella base Dombarovsky su vettori RS- 18B. Gli aggiornamenti pubblici sull'Avangard sono stati interrotti alla fine del 2016. Lo scorso settembre i russi hanno dichiarato di aver testato un missile Topol RS-12M con un "carico di combattimento avanzato": potrebbe essersi trattato di un prototipo Avangard. Il 12 marzo scorso infine, il vice Ministro della Difesa russo Yuri Borisov ha confermato l’inizio della produzione in serie del sistema ipersonico Avangard.

Secondo i russi la resa esplosiva della testata Avangard sarebbe superiore ai due megatoni. Se cosi fosse Avangard eclisserebbe in potenza qualsiasi altra testata termonucleare in servizio negli Stati Uniti, nel Regno Unito ed in Cina. Una delle armi più distruttive sul pianeta è la testata W88 / MK5 da 455 kt della linea pesante da attacco imbarcata sui sottomarini Ohio degli Stati Uniti. I 400 Icbm Minuteman III schierati nei silos del Wyoming, North Dakota e Montana sono armati con una singola testata W87 con resa esplosiva di 300 kilotoni (475 probabile). In entrambi i casi, Avangard è quattro volte più potente. 

La classe Megaton

Ad oggi i sistemi russi (quelli noti) armati con testate termonucleari di classe Megaton sono due: il Sarmat ed il siluro Poseidon, precedentemente noto come Status-6. Il missile Sarmat, armato con 24 Avangard di due megatoni, ha una resa esplosiva stimata di 48 megatoni. Il Poseidon, denominazione Nato Kanyon, è armato con una una testata da 100 Mt con una sezione di cobalto per la massima contaminazione radioattiva di un vasto territorio. Lo strato di cobalto-59 alla detonazione si trasmuterebbe in cobalto-60 altamente radioattivo. A seconda della posizione e delle condizioni meteorologiche prevalenti, una tale esplosione potrebbe anche trasportare grandi quantità di radiazioni nell'entroterra.

Russia: missile termonucleare super-pesante RS-28 Sarmat/Сармат

Per il missile termonucleare super-pesante RS-28 Sarmat denominazione Nato SS-X-30 Satan 2, Putin lo scorso 21 maggio ha confermato il 2020 come termine ultimo per l’entrata in servizio del sistema d’arma. Tra meno di due anni la Russia potrebbe strutturare la sua linea d'attacco Avangard sull'RS-28 Sarmat. Il Sarmat, con la sua autonomia stimata di oltre dodicimila km, sarebbe destinato al territorio statunitense. In configurazione da assalto pesante, l’RS-28 potrebbe trasportare fino a 24 alianti ipersonici Avangard con testate termonucleari da due megatoni. Per questa configurazione specifica l'attuale terminologia (Attacco Preventivo/Rappresaglia) è estremamente riduttiva. Sarebbe opportuno rilevare che Stati Uniti e Russia, in base al New Strategic Arms Reduction Treaty, possono disporre di 700 lanciatori strategici schierati, cento in riserva e 1550 testate complessive. Il Trattato sulla riduzione degli asset strategici non pone restrizioni sul numero dei missili senza testate in inventario.

L’ultimo test sul missile termonucleare super-pesante RS-28 Sarmat si è svolto il 30 marzo scorso. Si tratta del secondo test dopo quello del 27 dicembre scorso. Il test d’eiezione del primo stadio è avvenuto dal cosmodromo di Plesetsk, nella regione di Arkhangelsk, a circa 800 chilometri a nord di Mosca. Il test d’eiezione è necessario per validare il meccanismo che consente al razzo di lasciare il silo in sicurezza con avviamento del primo stadio del motore. Il missile termonucleare super-pesante RS- 8 Sarmat dovrebbe trasportare fino a quindici testate Mirv/Marv in configurazione variabile per una resa di 150 kt/ 1 Megatone o 24 alianti ipersonici Avangard da 550 kilotoni/ 2 megatoni. Un veicolo a slittamento ipersonico elimina molte delle vulnerabilità esistenti con gli ICBM tradizionali, come le traiettorie di volo ampiamente prevedibili dopo il lancio. Il primo stadio del motore del missile Sarmat è stato testato con successo nell’agosto del 2016: i problemi tecnici individuati in precedenza sarebbero stati risolti. Denominato PDU- 99, dovrebbe essere una versione modificata del motore a razzo liquido RD-274 utilizzato sugli ICBM RS- 36M. Non vi sono altre informazioni. Il primo test di volo del Sarmat era stato fissato per il 2015. Le enormi dimensioni del missile hanno richiesto dei lavori di ristrutturazione dei silos che sono stati completati lo scorso anno presso il centro spaziale di Plesetsk, nel nord-ovest della Russia. I problemi riscontrati, ma non rivelati, riguardavano il prototipo. I russi continueranno a validare le caratteristiche in diverse prove reali così da evitare spiacevoli inconvenienti, come avvenuto per i missili UR-100: questi ultimi, messi già in servizio, si rivelarono incapaci di colpire obiettivi a lungo raggio per l’eccessiva vibrazione dello scafo che ne distruggeva la struttura. La leadership del Paese si dimenticò di testare il missile alla sua massima gittata, autorizzando la produzione seriale di un sistema non in grado di colpire il bersaglio a lungo raggio. Il missile super–pesante termonucleare da oltre cento tonnellate a propellente liquido è in fase di sviluppo dal 2015 in risposta al sistema americano Prompt Global Strike. E’ destinato a sostituire l’intera linea deterrente formata dal sistema SS-18 Satan, il più grande missile balistico a propellente solido intercontinentale del mondo mai realizzato ed entrato in servizio nel 1967. Il Sarmat ha un’autonomia stimata di oltre dodicimila km. È stato progettato per raggiungere Mach 20 e rilasciare testate termonucleari a rientro multiplo indipendente su traiettorie circumpolari. Per il Sarmat si parla del bombardamento orbitale frazionale: i veicoli di rientro entreranno brevemente nell'orbita bassa "diventando freddi", rendendo cioè difficile il loro tracciamento.Il Sarmat dovrebbe entrare in servizio con sette reggimenti delle Forze Missilistiche Strategiche della Federazione Russa.

Cancellato il programma RS-26 Rubezh

Un mese dopo la sua presentazione, il Cremlino annunciò la chiusura del programma RS-26 Rubezh. Il sistema d’arma, così come avvenuto per il Barguzin (l'ICBM su rotaia è stato ritenuto economicamente non vantaggioso) non è stato incluso nel Piano Strategico di Riarmo Statale che si concluderà nel 2027. Russia: missile balistico intercontinentale RS-26 Rubezh L’RS-26 Rubezh è stato progettato come principale vettore delle testate Avangard. Si è creata un po’ di confusione al riguardo poiché con Avangard ci si riferisce sia al vettore che al veicolo a planata ipersonica. L’RS-26 Rubezh è un missile balistico intercontinentale a combustibile solido da 80 tonnellate (la fase di spinta è inferiore a cinque minuti). I test di questo missile sono iniziati nel 2011 e nel 2015 le autorità russe hanno annunciato di aver effettuato con successo quattro lanci. Il peso dell'RS-26 è quasi un terzo inferiore a quello del missile Yars da 120 tonnellate. L’RS-26 Rubezh può essere armato con quattro testate Mirv da 300 kilotoni. Tuttavia in configurazione pesante, un singolo RS-26 potrebbe essere armato con 8 Avangard con testate da 2 megatoni.

La strategia della Russia

L'Avangard (inteso come ICBM) è un missile balistico intercontinentale armato con testate manovrabili a scorrimento ipersonico scaturite dal Programma 4202. Secondo il leader russo “il missile punta al bersaglio come un meteorite".

Lo scorso dicembre il Cremlino sospese a tempo indeterminato il programma Barguzin. Incerto il destino dei cinque nuovi convogli già messi in produzione dal 2015. I nuovi Barguzin sarebbero stati armati con sei missili RS-24, ognuno in grado di trasportare quattro testate Mirv (verosimilmente Marv dal sesto treno in poi). Ogni convoglio avrebbe quindi lanciato fino a 24 testate termonucleari a rientro multiplo indipendente. Il Cremlino ha garantito fondi per mantenere l’intero supporto logistico operativo. Il treno nucleare è stato ritenuto economicamente non vantaggioso. Medesimo destino anche per l’RS-26: Mosca garantirà copertura finanziaria fino al 2027 per sviluppare e produrre il Sarmat e l’Avangard. Sappiamo che il sistema ipersonico svelato da Putin lo scorso primo marzo sarà implementato a bordo dei trenta missili UR-100UTTKn (nome in codice Nato SS-19 Stiletto) che sono stati restituiti dall'Ucraina dopo il crollo dell'Unione Sovietica. L’SS-19 possiede un disegno ben consolidato ed è un sistema che la Russia conosce perfettamente. Tuttavia non si tratterà di una semplice ed economica integrazione, poiché lo Stiletto dovrà essere reso compatibile con l’hypersonic glide boost. Gli interventi strutturali potrebbero richiedere inoltre nuove modifiche ai silo esistenti. Tuttavia la possibilità di estendere il programma Avangard alla flotta Topol RS-12M (SS- 27 Sickle-B) e RS-24 Yars potrebbe già essere stata vagliata dal Ministero della Difesa russo. Il Cremlino, considerando l'imponente piano di riarmo strategico in corso, potrebbe non aver avuto scelta, sacrificando il vettore RS-26. In base ai dati dichiarati (circa 5000 km) il sistema Rubezh sarebbe stato destinato a colpire bersagli della Nato in tutta Europa.

 

Visita guidata all'Arsenale di Venezia giovedì 11 ottobre
Da veneziatoday.it del 2 ottobre 2018

L’associazione culturale A.R.K.A. organizza una visita guidata all'Arsenale di Venezia per giovedì 11 ottobre 2018 dalle 10:00 alle 12:00. Un'opportunità rara di osservare da vicino un luogo che rappresenta il più originale esempio di cantieristica navale organizzata dell’era pre-industriale.

Nel corso della sua storia plurisecolare vi sono state assemblate centinaia di navi: galee, galeotte e galeazze Veneziane, vascelli Napoleonici e persino corazzate, incrociatori e sottomarini.

Informazioni:

La visita guidata è a numero chiuso, pertanto è obbligatoria la prenotazione, che deve essere completa dei dati dei richiedenti (nome, cognome, data e luogo di nascita) da inviare entro domenica 7 ottobre al numero di telefono 347-2103368 oppure via mail a claudia@assoarka.it
Nota La visita guidata è soggetta all'autorizzazione da parte della Marina Militare, che la rilascia dopo aver visionato la lista delle generalità dei richiedenti.

 

Apre al pubblico la straordinaria fortezza Sardo Fenicia del Nuraghe Sirai
Del 2 ottobre 2018

Un evento d’eccezione per il Comune di Carbonia, con l’apertura nelle quattro domeniche di ottobre del Nuraghe Sirai. Alla scoperta della straordinaria fortezza sardo fenicia, l’unico sito dove si riconosce la fase più recente della civiltà nuragica, contemporanea a quella fenicia.

Da domenica 7 ottobre e per tutte le domeniche del mese apre finalmente al pubblico la straordinaria fortezza sardo fenicia del Nuraghe Sirai. La città di Carbonia, in collaborazione con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, la Fondazione Cammino Minerario di Santa Barbara e la Cooperativa Sistema Museo, presenta l’eccezionale evento Domeniche al Nuraghe. Nelle quattro domeniche 7, 14, 21 e 28 ottobre 2018 saranno attive visite guidate ad orari fissi a cura della Cooperativa Sistema Museo, attuale gestore del Sistema Museale di Carbonia.
L’evento è stato illustrato in conferenza stampa da Sabrina Sabiu Assessore alla Cultura del Comune di Carbonia, Carla Perra Direttore del Sistema Museale di Carbonia e Cinzia Granella di Sistema Museo responsabile del settore promozione Sistema Museale di Carbonia.

L’area archeologica fa parte del Parco Archeologico di Monte Sirai-Nuraghe Sirai e del Sistema Museale di Carbonia (SiMuC). Lo scavo è un raro caso di una concessione di ricerca affidata ad un Comune (Carbonia) attraverso il Museo Archeologico (direzione scientifica di Carla Perra). È pertanto inserito in una filiera completa dei beni culturali che va dalle indagini di scavo, al restauro, all’esposizione e alla divulgazione. Allo stato attuale, e in attesa di una prossima apertura definitiva, il Nuraghe Sirai è un cantiere di lavoro e di ricerca; l’iniziativa delle Domeniche al Nuraghe, dunque, offre l’eccezionale occasione di accedere agli scavi finora condotti ed anche a quelli in corso. Ciò è reso possibile grazie alla presenza di una squadra di lavoratori assunti per un anno dalla Fondazione Cammino Minerario di Santa Barbara e grazie alla Cooperativa Sistema Museo, la quale, dall’inizio della sua attività di gestione a novembre 2017, ha intrapreso una serie di interventi di promozione e valorizzazione per rafforzare la conoscenza e fruizione dell’importante circuito culturale della città di Carbonia. La visita guidata al Nuraghe comprenderà: le fortificazioni, la porta pedonale, l’area sacra, l’officina del vetro, l’area di lavorazione delle pelli e le cortine esterne del Nuraghe vero e proprio.
Le visite si svolgeranno a cadenza oraria, con quattro appuntamenti nell’arco della giornata: ore 9.30, 11.30, 15.30 e 17.30. Il costo è di 5 euro a persona. È consigliata la prenotazione. Domenica 7 ottobre la prima visita sarà condotta dalla direttrice degli scavi Carla Perra, alla presenza del Sindaco di Carbonia Paola Massidda. Il Nuraghe Sirai è il primo scavato scientificamente nel territorio di Carbonia, ma è soprattutto un insediamento unico, e perciò merita una visita e l’attenzione che la comunità scientifica gli ha riconosciuto, sotto almeno due aspetti. Il primo aspetto è la cronologia: si tratta, infatti, dell’unico sito in cui la fase più recente della civiltà nuragica (750-550 a.C. ca.) è documentata da un panorama completo e visibile (architettura, produzione ceramica, tecnologia, ecc.) della cultura materiale. Il secondo aspetto riguarda la tipologia dell’insediamento: una fortezza, la sola di questo periodo (625-550 a.C. ca.), cinta da terrapieni e specializzata fortemente in attività artigianali e produttive (il vetro, i metalli, le pelli, la ceramica), tanto da far pensare ad una sorta di grande “area industriale” fortificata, al servizio del comprensorio di Monte Sirai. Questi due aspetti configurano una fase storica unica ed originale, perché originatasi all’interno di una comunità mista (composta di nuragici e fenici) e ben apprezzabile durante la visita alla fortezza del Nuraghe Sirai: dalle fortificazioni di tipo orientale all’area sacra costruita in continuità con la tradizionale architettonica, ai nuovi isolati dove la tradizione sarda si evolve in forme innovative. Della fortezza, che include al suo interno il grande complesso polilobato del Nuraghe vero e proprio (risalente alle ultime fasi dell’età del Bronzo), sono numerosi, infine, gli aspetti tecnologici di grande rilievo scientifico: dal ritrovamento della più antica officina del vetro della Sardegna fino alla recente scoperta di un sistema di canalizzazione delle acque piovane, che sistematizzava la raccolta dell’acqua dalla cima dell’insediamento fino ai piedi della collina.

 

Ecco perché gli Usa rafforzano la base italiana di Camp Darby
Da panorama.it del 1 ottobre 2018

Gli Stati Uniti non lasciano, ma raddoppiano, o almeno si ampliano. I preparativi per ampliare la base americana di Camp Darby, a pochi chilometri da Pisa e vicino anche a Livorno, sono infatti già partiti. Quasi 1.000 alberi sono stati segnati con vernice rossa e alcuni anche già tagliati. Devono lasciare il posto a una riorganizzazione generale dell’insediamento, che secondo alcuni media, costituirebbe il più grande arsenale degli Stati Uniti al di fuori del proprio territorio. La base, che fino a qualche tempo fa si pensava potesse essere ridimensionata, vedrà invece un nuovo assetto, in particolare con la realizzazione di un nuovo collegamento ferroviario dalla stazione di Tombolo, lungo la linea Pisa-Livorno e un terminal progettato per il carico e scarico di merci (soprattutto armi). La sua posizione è strategica, perché si trova a poca distanza dal porto di Livorno e dall’aeroporto di Pisa, oltre che in prossimità del Canale dei Navicelli, una via d’acqua navigabile per il cui attraversamento dovrebbe essere costruito un nuovo ponte metallico. Ma perché gli Stati Uniti hanno deciso il potenziamento del sito? I lavori L’ampliamento della base americana di Camp Darby, che dipende dalla caserma Ederle di Vicenza (sede dello United States Army Africa), era previsto da diversi mesi, ma ha subito un apparente rallentamento, anche di fronte all’evidente fastidio che questo aveva generato in parte della popolazione locale e soprattutto di alcune formazioni politiche e pacifiste. Il progetto, messo a punto direttamente dal Pentagono, ha comunque già ottenuto il via libera della CoMiPar, la commissione mista tra governo statunitense e italiano. Costerà alla Difesa americana una cifra tra i 30 e i 45 milioni di dollari, che sarebbero già finanziati. L’intenzione è quella trasferire il trasporto delle merci, armi e munizioni da rotaia a ferrovia, con una linea costituita da quattro binari di 175 metri ciascuno, fino a un enorme terminal (quasi 20 metri d'altezza), dove potranno sostare fino a 36 vagoni alla volta. Si prevede che un massimo di due convogli al giorno partiranno dal porto di Livorno diretti al terminal, tramite normale linea delle Ferrovie dello Stato, e da qui all’area di stoccaggio chiamata Ammunition Storage Area, dalla quale le merci saranno infine trasportate da autocarri all’interno della base. Perché l’ampliamento? La necessità di ampliare le vie di collegamento è ufficialmente data dal fatto che le attuali infrastrutture non sono più adeguate e soprattutto si vuole evitare il ricorso alle strade carrabili, preferendo quelle ferroviarie. Di sicuro le voci di un progressivo ridimensionamento della base, dopo che negli scorsi anni era stato ridotto il numero di militari americani presenti (e di civili italiani) sono state in qualche modo smentite. Camp Darby resta una base strategica per gli Stati Uniti nel Mediterraneo, soprattutto dopo che l’area nord africana (e libica?) è tornata ad avere un’importanza crescente dopo le primavere arabe. A ciò si aggiunge il ruolo chiave nel rifornimento delle truppe americane in Medio Oriente. Cosa c’è a Camp Darby C’è chi lo ritiene il principale arsenale statunitense fuori dal suolo americano. All’interno ci sarebbero 125 bunker, dove sarebbe stoccato circa un milione di proiettili di artiglieria, ma anche bombe aeree e missili. Secondo alcuni esperti ci sarebbero anche dotazioni nucleari, oltre a carri armati e diversi veicoli militari. In realtà si tratta di una sorta di hub delle armi: queste giungono via mare, a bordo di navi della USS Navy, fino al porto di Livorno. Da qui sono stoccate a Camp Darby, per poi essere smistate e destinate - pare - a Giodania, Arabia Saudita e altri paesi mediorientali per rifornire le forze di Washington impegnate nei vari teatri dell’area, dalla Siria allo Yemen di Eleonora Lorusso

 

Anche i piombinesi riscoprono il Rivellino, in tre anni duemila visitatori in più
Da iltirreno.it del 1 ottobre 2018

PIOMBINO. Romeo e Giulietta, ma pure giullari di corte, cavalieri o vampiri a fare da guida nella scoperta della cinta muraria rinascimentale di Piombino. La passeggiata sulle antiche mura della città  "reinterpretata e corretta" da Prendi l'arte & mettila ovunque piace sempre più anche ai piombinesi oltre che ai turisti.


Parlano i numeri: da un totale di 1087 visite del 2015 (329 locali, 219 dalla Toscana, 282 Italia, 257 estero) si è passati a 2568 nel 2016 (664 piombinesi, 800 Toscana, 852 Italia, 282 estero). Cifre in continua ascesa visti i 3466 biglietti staccati nel 2017 per visitare i camminamenti superiori del Rivellino, torre e posto di guardia; oltre tutto 730 sono cittadini, 1001 dalla Toscana, 1288 comunque dall'Italia e 447 dall'estero.
Opportunità  di visita che per altro ha ottenuto il riconoscimento del Mibact, Ministero per i Beni e le attività  culturali, ed è entrata di diritto tra gli eventi che partecipano all’Anno europeo del patrimonio culturale 2018. «Il riconoscimento Mibac ma soprattutto l’apprezzamento dei tanti visitatori per noi un autentico motivo d’orgoglio» commenta Daniele Gargano, con Lucia Fabiani allo stand per la bigliettazione. Gargano, attore, e spesso voce dello studio associato Prendi l’Arte e mettila ovunque. Impegnati ad organizzare le visite, ma anche le altre attività di arte, cultura, spettacolo al Rivellino anche Matteo Panicucci, Rebecca Peccianti, Gianni Cappelli, Jessica Fillini, Kevin Vannucci, Luca Busato, Daniele Caselli, Lorenzo Antonioni.

«Dopo i primi esperimenti grazie all’allora assessore alla cultura Ovidio Dell’Omodarme nel 2013 – ricorda Gargano – ci siamo occupati stabilmente di questa struttura difensiva della Piombino rinascimentale dal 2015. Sia la torre che i camminamenti sono diventati agibili e, con l’ultimo bando non più annuale, ne curiamo la gestione sino al 2019». Dunque possibile programmare iniziative di più ampio respiro e qualità su tutti i fronti. «Lo scorso anno la mostra di Talani, quest’anno Giuliano Pini in contemporanea con Fusioni Piombino Festival – prosegue Gargano – lavorando nel contempo in ambiti come teatro e cultura anche dentro le scuole, collaborando e coinvolgendo, insieme agli assessorati Cultura e Turismo, tutte le altre associazioni come Onlus Ci sono Anch’Io, Pro Loco, Teatro dell’Aglio, Kallima, Lotus, Le Muse, Meriggio Fiorentino, Associazione Spettacolo Piombino, Porta a Terra, Dance Revolution. Opus Grafica. Ecco che è stato possibile organizzare eventi come per San Valentino con siparietti teatrali di coppie di innamorati di Shakespeare sulle mura o letture di racconti di Edgar Allan Poe, maestro della letteratura horror, per Halloween». –

 

Bunker, ripuliti e riproposti da un gruppo di appassionati
Da La Piazza - ottobre 2018

Non solo curiosità e non solo didattica per tutti, ma - per un segmento di interessati - motivo di uno specifico turismo della memoria bellica della 1a e 2a Guerra mondiale, che nel nostro territorio offre importanti percorsi

di Valeria Giordani

Un ‘tour dei bunker’ con corredo di conferenze, filmati e testimonianze dell’epoca, vive una fase di interesse e attira persone. Nati per proteggere e occultare armi come mitragliatrici e cannoni, e contenere le relative munizioni e addetti militari, queste strutture abbondano lungo le spiagge romagnole, sono generalmente sepolti dalla vegetazione e dalle pinete, ma nell’immediato dopoguerra alcuni sono stati riutilizzati come depositi, come spogliatoi per i bagnanti (quando le strutture balneari più confortevoli ancora non c’erano), friggitorie, cantine, depositi biciclette…o addirittura sfruttati come basi di costruzioni, inglobate in edifici. Erano fatti (oltre che per resistere ad assalti) per sopravvivere per secoli, secondo l’ispirazione dell’architettura nazista; e non sarebbe semplice liberarsene, neppure con le tecniche moderne. Soprattutto, non si distrugge più, anzi, questi edifici riemergono non solo per sfruttarne le strutture, ma oggi per un interesse in sé, come testimonianza di tempi e accadimenti. Non solo curiosità e non solo didattica per tutti, ma - per un segmento di interessati - motivo di uno specifico turismo della memoria bellica della 1a e 2a Guerra mondiale, che nel nostro territorio (a comprendere Lugo e il Museo Baracca, Alfonsine con il Museo del Senio, Fusignano con il Museo degli Air Finders recuperatori di aerei, varie località dell’Appennino che furono teatro di battaglie, la presenza di una intensa attività collezionistica di privati) offre importanti percorsi. A Marina di Ravenna (allora Porto Corsini), nel parco pubblico di viale Ciro Menotti sono ‘inglobati’ i resti di strutture basamento di cannoni. Proprio dietro al Park Hotel è tuttora visibile la “batteria contraerea Pola”, un bunker italiano del novembre 1917 in cemento armato e mattoni, con tre basamenti per cannone antiaereo: batterie a difesa del canale Candiano, del porto di Ravenna, dove stazionava una base per idrovolanti e sommergibili italiani e, dal luglio 1918, base americana di idrovolanti, sotto l’immagine della stella e del motto ‘Salvat ubi lucet’.

‘Serata al bunker’

I bunker sono il tema di iniziative di un gruppo di appassionati storici e collezionisti, e tra le altre, sono stati il tema di una serata a Marina di Ravenna, presso il bunker che si trova nel giardino del ristorante Frontemolo, che ha ospitato la cena sociale, e alle spalle del Bar Timone che ha ospitato l’aperitivo e una mostra fotografica. Promotori, il Comitato Bunker tour Ravenna (principali fautori Enrico Palazzo, Luca Cavallazzi e Bruno Zama), con l’associazione ‘Bella Marina A.s.c.’ e l’appoggio della ProLoco di Marina (che ha realizzato una pubblicazione divulgativa sui bunker) unisce all’appuntamento con visita guidata conferenze, reportages di sopralluoghi, proiezione di video che riportano anche le testimonianze di alcuni che - allora ragazzi - furono convinti o costretti a realizzare queste costruzioni, reclutati nell’organizzazione Todt. I bunker sono stati censiti, ripuliti dal Comitato in collaborazione e sotto il coordinamento dei Carabinieri Forestali, resi agibili, identificati, studiati con l’ausilio di storici (citiamo Mauro Antonellini, gli appassionati specializzati in ricerche della RAF-Romagna Air Finders) e oggi (in alcuni casi, dopo cent’anni) resi visibili durante le passeggiate in pineta fra Marina di Ravenna e Punta Marina; in queste serate, anche ri- lluminati.

Un turismo, collezionismo, studio, anche della guerra

In particolare. il lughese Bruno Zama è ormai famoso come collezionista di un originale settore, quello degli oggetti ex bellici riutilizzati per uso civile, quotidiano, agricolo, arredativo, nella grande povertà ed esigenza di materiali seguita alla guerra: così, armi e munizioni diventano con straordinaria fantasia oggetti d’uso quotidiano (da elmetti a pale o scaldaletto, da involucri di proiettili a vasi da fiori e contenitori, da cinturoni a collari per mucche…) e una sua mostra è allestita a Castel del Rio, presso il Museo della Guerra, fino alla fine del 2020.

Perché ricordare, perché rivisitare luoghi associati a situazioni cupe e tristi? Proprio per la loro origine, per non dimenticare, per coltivare la storia, e proprio per la stratificazione di vita e trasformazioni che su di loro si sono succedute, destinando a basi di rinascita di attività e di vita quotidiana quelli che erano stati strumenti di guerra. E per consegnare definitivamente questi vissuti al passato.

Ma…non solo bunker: focus su Palazzo Grossi e Porta Adriana.

Come ha annunciato appunto nella serata a Marina di Ravenna l’assessore al turismo Giacomo Costantini, una valorizzazione dei bunker rientra in un progetto dell’Amministrazione Comunale: un protocollo d’intesa tra il Comune e l’Agenzia del Demanio prevede il recupero e la valorizzazione di immobili pubblici lungo la costa (a Punta Marina Terme l’ex Colonia ONFA, destinata a diventare struttura ricettiva, i Bunker 24, 25 e 27, le fortificazioni ‘Denti di drago’) assieme a due importanti beni di proprietà comunale, la Porta Adriana in città e il Palazzo Grossi a Castiglione di Ravenna. La sinergia tra Comune e Agenzia del Demanio ha avuto un precedente nella riqualificazione del complesso della caserma Dante Alighieri.

Per il turismo slow

Obiettivo dell’Amministrazione comunale è quello di favorire il turismo slow e la valorizzazione di punti meno noti del ravennate. Significativo l’intervento su Palazzo Grossi, che diventerebbe tappa dei percorsi ciclopedonali dal mare all’entroterra lungo il torrente Savio, e punto ricettivo anche per l’enogastronomia del territorio. Per Porta Adriana, è previsto un bando per la ricerca di un progetto innovativo, con un’attività (in concessione a privati) che contemperi la valorizzazione dei prodotti tipici e il ruolo di porta di accesso al centro storico.

 

Il Krak dei cavalieri, crocevia di Oriente e Occidente
Da it.aleteia.org del 1 ottobre 2018

Celebrato da Lawrence d’Arabia come «il più bel castello del mondo», il Krak dei Cavalieri è considerato la regina delle fortezze d’Oriente. Fondato nella Siria occidentale, esso domina e protegge la piana di Homs, controllando la strada che porta al mare. Quest’impressionante edificio, già appartenuto alla Francia, continua ad esercitare uno straordinario ascendente sulle attuali generazioni. Forte di plastici, calchi d’epoca, fotografie, disegni e pitture, la nuova mostra dà a vedere i dettagli di questo “sogno in pietra”.

Una presenza cristiana in una fortezza militare La sua storia comincia nel XI secolo. All’epoca i Curdi decidono di costruire un castello fortificato. Del resto, l’appellativo “Krak dei Cavalieri” trae le proprie origini da questo periodo: la parola “krak” discende da “cratum”, termine utilizzato dai Crociati per significare “la fortezza dei Curdi”. I cavalieri cristiani assaltano il Krak nel 1099 e poi di nuovo nel 1110, prima di cederlo all’ordine religioso militare degli Ospedalieri. In questo periodo, vaste campagne di costruzione rendono il Krak una fortezza eccezionale per la sua superficie: 300 metri di lunghezza per 140 metri di larghezza. La dimensione religiosa dell’ordine degli Ospedalieri si rivela discretamente nell’architettura, specialmente nella famosa galleria in stile gotico che precede la grande sala e gli affreschi della cappella. «Ravvivano l’austerità di questa severa architettura militare», dichiarava lo storico medievista francese Paul Deschamps. Fu lui che, a partire dal 1927 – quando era responsabile del museo di Scultura comparata di cui la Città dell’architettura è ereditiera – s’interessa alla fortezza, relegata dal XVI secolo a semplice guarnigione d’importanza secondaria. Accompagnato da un drappello di eruditi e di architetti, Paul Deschamps si appassiona al gioiello e si batte per farlo restaurare. Ordina inoltre di fare calchi per la maggior parte degli oggetti scolpiti (capitelli e motivi decorativi), ma pure delle epigrafi. Alcuni plastici in scala realizzati in gesso sono visibili alla mostra e costituiscono oggi testimonianza inestimabile. Sotto l’azione del tempo, i decori originali del Krak si sono infatti degradati o in qualche caso sono proprio scomparsi.

La Francia compra il Krak Ma perché un simile interesse della Francia per questa fortezza? In realtà, il Paese aveva creato nel 1919, all’indomani della prima guerra mondiale, un “servizio delle Antichità” in Siria e nel Libano, su stimolo della Società delle Nazioni che aveva affidato alla Francia una missione archeologica. Tra il 1920 e il 1940 furono studiati settanta siti. Due missioni successive (tra il 1927 e il 1929) furono imbastite per il Krak dei cavalieri. La prima consiste nello sgombero del castello, seguito a ruota da uno studio approfondito del sito. Seguirono poi importanti restauri facilitati dall’acquisto del sito dalla Francia nel 1933. Convinti che la Francia dovesse salvaguardare il castello, testimone eccezionale dell’eredità dei crociati e dunque “essenzialmente francese”, Paul Deschamps riuscì a convincere lo Stato ad acquistarlo. Il sito è aperto al pubblico e comincia ad essere noto in Occidente, come testimoniano le cartoline e le affissioni pubblicitarie visibili all’esposizione. A Parigi l’esposizione coloniale internazionale del 1931, nonché la sistemazione della “sala delle crociate” nel Museo della Scultura, contribuiscono a fare del Krak il testimone più maestoso dell’arte francese in Oriente.

Un sito attualmente in pericolo Abbandonato durante la seconda guerra mondiale, il Krak sarebbe poi stato restituito alla Siria nel 1949. Il castello, che continua a suscitare l’interesse di archeologi siriani ed europei, è stato oggetto di importanti campagne di restauro dagli anni 1990 e si trova attualmente iscritto nella Lista del patrimonio mondiale dell’Unesco a partire dal 2006. Dal 2013 esso risulta tra i cinquanta beni iscritti che risultano a rischio. Il suo restauro e la sua conservazione sono oggi una sfida per la Siria, devastata da più di sette anni di guerra. di Caroline Becker

 

Il Castello di Baradello, da cui si abbraccia l’azzurro
Da quotidianpost.it del 30 settembre 2018

Dalla cima del Colle di Baradello, il Castello che ne prende il nome domina la città di Como e l’azzurro lago, spaziando dalle Alpi alla pianura Padana, fino agli Appennini. In particolare spicca la Torre, la cui parte più bassa, alta m 19,50, arroccata sulla roccia era anticamente ornata da merli di tipo guelfo, mentre quella più alta in un secondo tempo fu munita di merli di tipo ghibellino.

La visita al Castello di Baradello
La Torre, circondata di mura, la cui struttura più antica risale all’epoca bizantina (VI°-VII° sec.), faceva parte di un complesso difensivo denominato “Limes bizantino”. Alla più recente cinta muraria, costruita insieme alla Torre, si accede attraverso un portale a sesto acuto. Di particolare interesse da visitare sono la Cappella di San Nicolò, con un’abside a navata, originaria del VI° secolo. Qui, secondo la tradizione, fu sepolto Napo Torriani, ucciso nel X°sec. dai Visconti. Tuttavia l’alloggio del castellano risiedeva nella torre quadrangolare della stessa epoca della cappella, mentre all’era viscontea appartengono il “locale macina” e il “locale forno”. Non potevano mancare naturalmente le stanze dove alloggiavano le truppe e una cisterna trapezoidale.

Un po’ di storia del Castello di Baradello
Durante la Guerra Decennale tra Como e Milano (1118-1127), i Comaschi salivano al colle per rifugiarsi, attraverso gli antichi” percorsi preistorici di sella”, dove si trovavano ancora le costruzioni bizantine. L’imperatore Federico Barbarossa poi ricostruì non solo le mura di Como distrutte dalla guerra, ma anche il Castel Baradello, fortificandolo con la possente Torre, al cui interno nel 1159 furono ospitati l’imperatore stesso con la moglie Beatrice di Borgogna. In seguito, quando Barbarossa fu sconfitto dalla Lega Lombarda, donò alla Chiesa e alla Comunità di Como il Castello di Baradello come premio per la loro fedeltà. La fortezza più ampia è quella che ospita la cisterna per la raccolta dell’acqua e si congiunge ad un muraglione a valle, che chiude l’accesso alla città. E’ questa la località detta Camerlata. Successivamente furono effettuati vari smantellamenti, dopo i quali il Castello divenne, prima, un possedimento dei monaci Eremitani di San Gerolamo, poi, nel 1825, proprietà della famiglia milanese Venini, che vi fece costruire un viale carrozzabile e una piccola torre esagonale in stile neogotico. Nel 1848 durante le “Cinque Giornate di Como” sulla Torre fu issata la bandiera del Tricolore d’Italia, dopo la cacciata degli Austriaci, mentre durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1943, vi fu distaccato un plotone del 3° Reggimento Bersaglieri di stanza a Milano, con la funzione di avvistamento. Dopo il restauro e i lavori di consolidamento divenne parte del parco della Spina Verde, che oggi si può visitare su pagamento previa prenotazione. Grazia Paganuzzi

 

Le antiche mura-gioiello di Cascio sono tornate all’antico splendore
Da noitv.it del 30 settembre 2018

MOLAZZANA - Si è concluso a Cascio di Molazzana l'intervento di recupero della storica cinta muraria, reso possibile grazie ad un finanziamento di 630mila euro (di cui una parte destinati anche alla antica rocca di Sassi).

L'intervento è stato finanziato del ministero dei beni culturali nell'ambito delle fortificazioni estensi che ha permesso di mettere in sicurezza e rivalorizzare le antiche mura rinascimentali che raccolgono il centro storico e che rappresentano l'identità storica del paese conosciuto negli ultimi decenni grazie alle Crisciolette. 

Sabato 29 settembre il taglio del nastro ha sancito la fine dei lavori. Tutto si è svolto alla presenza di autorità, tecnici ma soprattutto dei cascierotti che hanno accolto con soddisfazione la fine dei lavori che vanno ad arricchire il patrimonio storico del nostro paese che non è fatto solo da grandi città come Venezia Roma e Firenze ma anche da tesori cusotditi in questi piccoli borghi. Soddisfatto del risultato anche il sindaco di Molazzana, Rino simonetti.

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Normanno-Svevo di Gioia del Colle
Da corrieresalentino.it del 30 settembre 2018

Altro splendido gioiello legato al Puer Apuliae, il Castello di Gioia del Colle si erge nel centro storico cittadino. Il nucleo più antico risale al IX secolo, in pieno dominio bizantino, ed era costituito da una recinzione rettangolare fortificata entro cui doveva rifugiarsi la popolazione in caso di necessità. La struttura occupava l’attuale ala settentrionale. Sotto la dominazione normanna degli Hauteville il castello venne rinforzato ed ingrandito, come risulta da un atto del 1108, ad opera dell’architetto Riccardo Siniscalco che allargò il cortile a sud cingendolo con una cinta muraria ed elevando un mastio allo spigolo sudoccidentale, successivamente chiamato Torre De’ Rossi. Ulteriori aggiunte furono effettuate dal Re di Sicilia Ruggero II de Hauteville che aggiunse due torri agli angoli nordorientale e nordoccidentale ma che adesso non esistono. Il castello, insieme alla città, fu distrutto dalla furia devastatrice di Guglielmo I il Malo, figlio e successore del suddetto Ruggero II, durante la campagna contro i baroni ribelli e che costò la distruzione di molte città pugliesi, alcune delle quali mai più ritornarono in vita.. Fu Federico II di Svevia a rifondare il castello intorno al 1230 con l’elevazione di una torre, detta Torre Imperatrice, all’angolo sudorientale, e la costruzione di cortine nel cortile, ricavando magazzini, scuderie, stalle al piano terra e locali residenziali al piano nobile. La fortezza assunse così una pianta quadrangolare con quattro torri angolari. In tale epoca il castello fu sede di presidio militare anche se probabilmente Federico vi soggiornò spesso per le sue battute di caccia. Secondo una leggenda, l’imperatore avrebbe chiuso per gelosia in questo castello la sua amante Bianca Lancia, madre di Manfredi, secondo la leggenda nato proprio a Gioia del Colle. Un’altra storia racconta che la stessa Bianca Lancia, in fin di vita, avrebbe chiesto a Federico, per la terza volta vedovo, di riconoscere i loro figli e questi l’avrebbe sposata rendendola imperatrice per pochi giorni. Subentrati gli Angioini sul trono di Napoli, il castello divenne proprietà dei Principi di Taranto sino al XV secolo, quindi dei Conti di Conversano che lo tennero sino al XVII secolo e da qui passò alla famiglia degli Acquaviva d’Aragona, Signori di Conversano, che lo tennero sino agli inizi del XIX secolo. Tutti questi nuovi proprietari a poco a poco trasformarono il castello da roccaforte militare a residenza signorile, pur mantenendo quasi intatta la sua originale struttura. Dopo ulteriori passaggi di proprietà, finalmente il castello è stato rilevato dal Comune che ha provveduto in diverse fasi al restauro ed oggi può essere ammirato come monumento ma anche può essere utilizzato per manifestazioni culturali. Il castello ha una pianta rettangolare con un cortile interno, intorno al quale sorgono vari locali su due piani. Agli angoli sudorientale e sudoccidentale si ergono due delle quattro torri originarie, le già citate Torre De Rossi a sud-ovest e Torre Imperatrice a sudest. Esteriormente è possibile notare i differenti stili architettonici che si sono succeduti nel corso dei secoli, con una predominanza tuttavia di quelli relativi all’epoca sveva con le notevoli varianti inclusi i riferimenti all’architettura moresca. Sulle torri e sulle cortine si presentano diverse finestre monofore, bifore ed anche una trifora, oltre a varie feritoie disposte apparentemente a caso. Cosimo Enrico Marseglia

 

Partono i lavori al Torrione degli Spagnoli di Carpi.
Da gazzettadimodena.it del 29 settembre 2018

Ieri, gli interventi sono stati illustrati con tanto di rendering degli spazi definitivi alla mano, insieme alla squadra composta, oltre che dal vicesindaco, dal dirigente Diego Tartari, dagli ingegneri Giorgio Fiocchi e Paola Rossi, rispettivamente responsabile della sicurezza del cantiere e progettista strutturale; dall’architetto Giulia Ghini, direttore dei lavori. Presente anche l’ingegner Francesco Bottoli dell’omonima ditta di Mantova, vincitrice della gara, la stessa azienda che si occupa dei lavori al duomo di Mirandola. Ad occuparsi del restauro degli affreschi sarà la Coop Archeologica di Firenze. «Dopo tanti anni il progetto diventa finalmente realtà. Rappresenta un orgoglio fare conoscere a carpigiani e non un palazzo meraviglioso, in disuso da anni. Durante il sisma del ’96, infatti, ha ospitato un cantiere, ma la ditta abbandonò e nacquero problemi– puntualizza Morelli – Quello di oggi, invece, costituisce un ulteriore passo avanti nel recupero funzionale di tutto Palazzo Pio e piazza Martiri, passando per le luci, il rifacimento delle tende sul portico lungo e corso Alberto Pio. I lavori proseguiranno nel resto del castello. Nel Torrione si insedieranno In Carpi, per la promozione turistica e la ricezione, la biglietteria unica e l’ingresso per pinacoteca e museo. I cittadini hanno voglia di riappropriarsi di questo spazio: lo abbiamo notato anche durante i numerosi accessi nei giorni delle visite straordinarie». I lavori prevedono un consolidamento su tutti i livelli, interno ed esterno, prima delle fondamenta e poi delle opere in muratura, lasciando libero il passaggio pedonale al “passo degli sbirri”. Gli interventi si occuperanno di sottotetti, solai e prevedono anche la messa in sicurezza degli affreschi, ora depositati nel magazzino del Vigarani, che saranno valorizzati ed esposti. Successivamente, il secondo stralcio prevede lavori su arredi, allestimenti interni, pinacoteca e trasformazione del Vigarani in aula studio nel 2020. Nel Torrione troverà spazio anche la moda e, nel secondo stralcio, è prevista  anche la creazione di un ristorante. Al piano terra del complesso monumentale, poi, è stata rinvenuta anche una cappelletta. Durante i lavori uno dei due lati sarà “rivestito” dalla rassegna teatrale, l’altro lato presenterà informazioni sul palazzo accessibili anche agli ipovedenti. I cittadini potranno sbirciare il proseguimento dei lavori attraverso il lato che affaccia sul cortile delle stele. La base d’asta per i lavori era di 2 milioni 229mila euro più Iva, è stata vinta a 1 milione e 869mila euro. Il restauro degli affreschi partiva invece da 701.567 euro, sempre più Iva, la gara è stata vinta a 479.585. Alla gara invitate dieci ditte, hanno partecipato in tre. —di Serena Arbizzi

 

Italia Nostra: "Una nuova occasione per valorizzare Porta Mazzini e le mura"
Da viveresenigallia.it del 29 settembre 2018

Fortemente danneggiata dal terremoto del ’30, che l’ha privata sella parte superiore e ne ha modificato parzialmente la struttura, costituisce ancor oggi uno dei principali monumenti architettonici della città, oltre che una testimonianza storica dell’ampliamento settecentesco. Ma un monumento esiste nella misura in cui se ne ha una percezione diffusa, dalla quale dipendono le azioni di tutela e valorizzazione miranti proprio a creare una più efficace consapevolezza del suo valore storico, urbanistico e architettonico. Il presupposto principale di questo processo di acquisizione e godimento di un monumento da parte della comunità è la sua immediata visibilità, che spesso è “oscurata” per così dire o resa difficile dal degrado, o dalle pesanti modifiche del contesto o più frequentemente e semplicemente dalla copertura da parte di altri manufatti o da alberature. Un esempio evidente di questo tipo di criticità è la situazione di Porta Lambertina, stretta fra costruzioni che ne riducono la monumentalità e soffocata da due filari di alberature fin troppo rigogliose e invasive, che non permettono di liberare il suo potenziale effetto scenografico su via Carducci. Ma situazioni analoghe si possono ravvisare per le mura e la stessa Porta Mazzini, per la quale però si presenta ora un’occasione di valorizzazione da utilizzare al meglio: l’avvio infatti dei lavori di riqualificazione dell’area ex Mulino Tarsi prevedono come oneri di urbanizzazione anche il restyling della Porta e delle mura storiche limitrofe e in generale di tutta l’area del parcheggio dell’ex pesa. Chiediamo quindi un intervento esemplare, che non si limiti al solito restauro esteriore dei manufatti, ma si ponga anche l’obbiettivo di restituire decoro e identità architettonico/storica a tutta questa parte delle fortificazioni cinquesettecentesche. In primo luogo attraverso una adeguata visibilità, evitando di coprirla, come è ora, con ingombri, quali tabellazioni, segnaletiche, centraline o altro, e poi alberature e vegetazioni troppo ravvicinate; operando perciò una sapiente riduzione e dislocazione degli eventuali insostituibili manufatti e disponendo gli alberi in modo tale da lasciare scoperta interamente Porta Mazzini e consentire la massima visibilità delle mura. In secondo luogo sarebbe opportuno livellare il più possibile in basso la quota della pavimentazione stradale e del parcheggio in modo da dare slancio alla scarpa delle mura (ricordiamo che esistono 4 metri di scarpa interrata), realizzando altresì alla loro base un’ampia fascia pavimentata in pietra senza inutili aiuole, ingombranti cespugli o altro come avviene di fronte alla vicina area archeologica. In terzo luogo andrebbe ripristinato il selciato all’interno della Porta e sarebbe opportuno obbligare i privati a tenere in ordine e liberare degli eventuali ingombri gli spazi soprastanti il bastione. Infine a completamento del recupero, tutto il complesso andrebbe dotato tutto di una illuminazione adeguata. Si tratta di accorgimenti che non comportano spese aggiuntive e che richiedono solo accortezza, sensibilità e rispetto per i beni culturali e andrebbero adottati anche per tutti i futuri interventi sui monumenti e sugli edifici storici più importanti della città, perché recuperino al meglio i loro spazi, la loro visibilità e la loro leggibilità di testimonianze storiche e architettoniche. E non si ritrovino più nelle condizioni odierne, come si può constatare dalla foto allegata. da Italia Nostra sezione di Senigallia e Valle del Misa

 

Cambio della guardia alla postazione radar di Capo Frasca
Da unionesarda.it del 29 settembre 2018

Cambio della guardia ai vertici della base militare di Capo Frasca. Al Comando della 123esima squadriglia radar arriva il tenente Marcello Carta. Sostituisce il capitano Alessio Evangelisti, trasferito ad altro importante incarico. La cerimonia per il passaggio di testimone tra i due ufficiali si è svolta, alla presenza del generale di Brigata Vincenzo Falzarano, comandante della 4ª Brigata telecomunicazioni di Borgo Piave, del prefetto di Oristano Giuseppe Guetta e di altre autorità civili e militari.

Il capitano Alessio Evangelisti, nel discorso di commiato, ha espresso la sua personale soddisfazione e il suo sincero ringraziamento a tutto il personale della Squadriglia grazie al quale è riuscito mantenere un alto livello di operatività in questi anni. Il tenente Marcello Carta, nel manifestarsi particolarmente orgoglioso della fiducia accordata dal Comando generale, ha assicurato di proseguire sulla strada tracciata dal suo predecessore per mantenere al massimo l'efficienza del sistema radar. Ha quindi preso la parola il generale Falzarano che ha espresso parole di apprezzamento per l'ottimo lavoro svolto nella base di Capo Frasca, che riveste grande importanza nel sistema di difesa aerea e nella operatività a vantaggio delle forze armate. La 123esima squadriglia radar di Capo Frasca è integrata nel sistema di difesa aerea nazionale e della Nato e garantisce l'avvistamento e il riporto automatico alle sale operative del traffico aereo relativo all'area di competenza. Il compito principale del personale della squadriglia è la manutenzione delle apparecchiature radar e radio attraverso un servizio di sorveglianza tecnica per 365 giorni. La squadriglia di Capo Frasca riceve il supporto logistico-amministrativo dal Reparto speciale di standardizzazione al tiro aereo (Rssta), e dalla sezione dell'omonimo poligono. di Elia Sanna

 

Siracusa. Fanusa, frana il bunker accanto al parco giochi
Da siracusaoggi.it del 29 settembre 2018
Sta per finire in mare il bunker della Fanusa, all’altezza allo sbocco 1 dell’Area Marina Protetta del Plemmirio.

Le ultime mareggiate hanno causato il distacco ormai definitivo della struttura dal resto del costone.

Una situazione di pericolo già nota ed adesso ancora più evidente.

Proprio accanto al bunker ormai in fase di crollo c’è il parchetto giochi per i bambini che, in una giornata in cui è tornato il sole, continuano a scorrazzare intorno al bunker, ignari del pericolo. L’area non è recintata o interdetta e di certo non in sicurezza. Dai residenti parte l’appello diretto alle istituzioni ed agli amministratori locali: “intervenite per evitare un dramma”. di Gianni Catania

 

Il castello di giovedì 27 settembre
Da castelliere.blogspot.com del 27 settembre 2018

Il Castello di Roccaromana è di origine longobarda (568-774 d.C.), vicino ad esso fu eretta nel 1190, una Cappella dedicata alla Beata Vergine del Castello, con adiacente l’abitazione dell’eremita, nel periodo in cui il vecchio maniero era dimora dei Duchi Di Roccaromana; ciò che di essa rimane, sia riferito alla pavimentazione che all’opera muraria superiore, fa pensare ad una Cappella di stile palatino. Successivamente il castello fece parte del Gastaldato di Teano, dipendenza della Contea di Capua e dal 1137 fu possesso dei Normanni. Nel 1269 fu ufficialmente feudo di Andrea di Roccaromana, investito direttamente da Carlo I d’Angiò, e successivamente possedimento della famiglia Marzano fino al Cinquecento, periodo in cui il feudo fu tolto a Sigismondo Marzano – schieratosi per Francesco I di Francia – e devoluto, prima, al Regio Fisco, poi venduto a Giovanni Colonna, ed infine, dal 1782 al 1806 ai Caracciolo di Migliano. Sul colle principale del territorio del comune si eleva un antico Castello longobardo (colonna storica di questo Comune) quasi a dominare e difendere la pianura sottostante, mentre sul pendio del colle sono ancora visibili due torri (come sentinelle che sorvegliano su tutto il territorio roccaromanese) dello stesso periodo, raggiungibili sia da Roccaromana che dalla frazione di Statigliano attraverso dei vecchi tratturi e un sentiero gippato. Nell’accogliente frazione di Statigliano si trova una torre fortificata. Al termine di un incantevole percorso che attraversa il bosco, si raggiunge l’imponente mastio realizzato tra l’XI e il XII secolo che venne potenziato probabilmente tra il XIII e il XIV secolo. Il mastio, superbamente restaurato di recente, ha un impianto cilindrico (probabilmente in origine doveva essere rettangolare) che si sviluppa su più livelli, dotati anche di diversi comfort. La torre ha un diametro interno di 9 mt mentre quello esterno misura 13 mt. La struttura è circondata da un’imponente scarpa alta oltre 6 mt e di quasi 2 metri di spessore. La sua altezza complessiva è di circa 18 mt. Grazie al lungo lavoro di restauro portato avanti dall’amministrazione comunale con la collaborazione dell’Università di Napoli, oggi sono di nuovo visibili la cisterna, il forno, il camino e parte della scala a chiocciola che conduceva ai piani superiori. Una passerella circolare, situata al primo piano, permette l’affaccio su un meraviglioso panorama che comprende un’immensa distesa di boschi e borghi circostanti, dal Matese a Monte Maggiore.

Fonti: https://www.campaniache.com/archivio/caserta/luoghi-di-interesse-a-caserta/198-il-castello-di-roccaromana, http://blog.zingarate.com/borghicastelli/roccaromana/, https://mediovolturno.guideslow.it/poi/torre-di-roccaromana/, https://www.touringclub.it/borghi-ditalia/torre-normanna-roccaromana-ce#header-contest-item-title

Foto di Anna De Simone su https://www.touringclub.it/borghi-ditalia/torre-normanna-roccaromana-ce#header-contest-item-title

 

Apertura straordinaria delle Torre di Porta Aquileia
Da il friuli.it del 26 settembre 2018

Nella ricorrenza del cinquantennale del Consorzio per la Salvaguardia dei Castelli storici del Friuli Venezia Giulia (costituito nel 1968), che coincide casualmente con l’Anno Europeo del Patrimonio Culturale - il primo ebbe luogo 43 anni fa, nel 1975 - il Consorzio stesso, nell’ambito delle Giornate europee del Patrimonio sotto l'egida del Consiglio d'Europa, ha organizzato l’apertura straordinaria con visita guidata della propria sede nella Torre di Porta Aquileia che si è tenuta nella giornata di domenica 23 settembre. Oltre 300 i visitatori che hanno voluto cogliere l’occasione per visitare la storca torre che sorge all’imbocco di via Aquileia. La struttura è stata restaurata tra il 1998 e il 2000 con lavori finanziati dal Comune di Udine, che è anche il proprietario, con contributo della regione, e progettati e diretti dai tecnici del Consorzio. Durante i lavori si è venuti a conoscenza di una precedente costruzione molto più antica, documentata dalla fondazione rinvenuta nel piano interrato leggermente ruotata rispetto la costruzione attuale. “Notevole sorpresa vedere l’interesse suscitato, soprattutto tra i molti giovani presenti, dalla apertura della Torre in una uggiosa domenica pomeriggio”. Lo chichaira l’architetto Roberto Raccanello, Presidente del Consorzio per la salvaguardia dei castelli storici del Friuli Venezia Giulia. Evidentemente ciò la gente è abituata a vedere distrattamente dandone per scontata la presenza, se percepito nei suoi particolari costruttivi, può diventare l’occasione, partendo dalla descrizione accurata di un singolo elemento, per far comprendere la storia della città con gran parte delle sue strutture fortificate distrutte tra il 1860 e il 1918. Inoltre la vista dall’alto della torre dà la misura, osservando l’intorno costruito, di ciò che l’immagine della città ha purtroppo perso con lo sviluppo dagli anni 50 (Porta San Lazzaro demolita nel 1955) agli anni 70 del secolo scorso. Altre città soprattutto nel vicino Veneto sono riuscite a non sacrificare parimenti le fortificazioni storiche, vedi Montagnana, Abano, Cittadella, Feltre e molte altre” Presente all’iniziativa, anche il vicesindaco e assessore alla mobilità, ai lavori pubblici e all’edilizia scolastica Loris Michelini, che si è complimentato con gli organizzatori per il valore e il successo dell’iniziativa, che dimostra come “ci sia una profonda curiosità da parte degli udinesi di riscoprire o scoprire un patrimonio del quale in questi anni ci se era quasi dimenticati e di rientrarne in possesso attraverso iniziative legate alla cultura, all’aggregazione, al turismo. Come amministrazione siamo particolarmente attenti alla valorizzazione del nostro patrimonio artistico, come dimostra per esempio la riapertura della splendida Cappella Manin in convenzione con il Touring Club Italiano”. “Personalmente - prosegue Michelini - non avevo mai visitato Torre Aquileia e, considerando il valore storico e artistico dell’edificio e il suo alto potenziale attrattivo e aggregativo, non posso che essere soddisfatto della risposta degli udinesi”.

 

Quelle fortezze invisibili tra storia, cinema e volpi
Da ilmessaggero.it del 26 settembre 2018

La natura ha preso il sopravvento, silenzio e cinguettii fanno da colonna sonora, l'architettura si svela a piccoli passi, perchè le murature sembrano ormai mimetizzate con la vegetazione. "Il Bravetta è il forte con la più ampia piazza d'armi completamente conservata, e la sua fronte è ottenuta con l'uso di mattoni chiari e scuri, il cui esempio più nobile è la facciata di Palazzo Farnese". L'architetto Simone Ferretti ne conosce ogni dettaglio e sfumatura, dalla storia risorgimentale ai fantasmi della Seconda Guerra Mondiale.

Come presidente dell'associazione Progetto Forti lavora da dieci anni alla riscoperta e valorizzazione del Forte Bravetta, e degli altri diciassette forti di Roma che costituirono il Campo Trincerato costruito a partire dal 1887 dal nuovo Stato Italiano. Vanno immaginati come un anello di baluardi, tutti disposti a sei chilometri dalle Mura Aureliane, come la prima linea di difesa della città da un possibile attacco francese dopo la breccia di Porta Pia.

Oggi i forti sono proprietà del Demanio, vincolati dalla Soprintendenza del Mibac, in parte in consegna al Comune. Quasi tutti inacessibili. Un patrimonio invisibile. A Bravetta, circondato dal parco, vivono una famiglia di volpi, esemplari di gheppio e nibbio. Qui la suggestione è intatta.

Non a caso è una location molto amata dal cinema: l'ultimo ciak l'ha battuto addirittura Gabriele Mainetti (l'autore del cult "Lo chiamavano Jeeg Robot"), per il suo nuovo film "Freaks Out" ambientato a Roma durante l'occupazione tedesca. La collaborazione con l'amministrazione capitolina, i Municipi, e le autorità militari sta facendo squadra. E grazie alla passione di Ferretti e alla sua associazione di promozione sociale, i forti possono essere scoperti con un programma di aperture. In questo finale di Estate Romana, il Forte Bravetta diventa una meta da mettere in agenda. Venerdi prossimo (dalle ore 17, presso l'ingresso del Parco dei Martiri) prendono il via i tour. E domenica si replica con un'apertura straordinaria per gli appassionati di disegno dal vero.

Architettura Militare Bravetta è un esempio virtuoso di architettura militare: gli ambienti sfilano in una sequenza "a pettine" lungo la piazza d'armi, nascosti da terrapieni soprastanti, restando invisibili. Appare ancora circondato da un lungo fossato, cavalcato da un ponte levatoio; disarmato durante la Grande Guerra, la piazza d'armi venne usata come poligono di tiro fino a quando trovò la sua macabra funzione dal 1926 di luogo per la pena di morte. 

A ottobre, il progetto coinvolgerà il Forte Appia, "uno dei siti più emozionanti", commente Ferretti. Sembra un "castello" incantato nella vegetazione della Regina Viarum. "Trovando un accordo con i ministeri della Difesa e Cultura, potrebbe divenire persino il museo della via Appia Antica", riflette Ferretti.

La singolare bellezza dei forti è racchiusa nei dieci anni di lavoro del Progetto: sopralluoghi, rilievi fotografici, ricostruzioni in 3D, grazie alla disponibilità delle autorità militari. Una sfida complicata per strappare i monumenti al degrado. Le iniziative sono consultabili sul sito (www.progettoforti.it) e l'obiettivo resta fisso:"Redigere quanto prima le linee guida sui forti per la loro gestione e valorizzazione culturale", insiste Ferretti.

L'ultima guerra, d'altronde, ha segnato l'identità dei forti:"Alla fine degli anni Trenta - racconta il ricercatore storico Lorenzo Grassi - postazioni di artiglierie italiane per la difesa aerea di Roma erano state predisposte a Forte Antenne, Forte Portuense, Forte Braschi e Forte Aurelia Antica.

E resta il mistero del collegamento sotterraneo ipotizzato tra Forte Boccea, Forte Braschi e Forte Trionfale.

Il 10 settembre del '43 i paracadutisti tedeschi attaccarono il Forte Ostiense facendo 53 vittime". di Laura Larcan

 

È in Sicilia nell’Isola delle Correnti che Ionio e Mediterraneo si incontrano
Da siviaggia.it del 26 settembre 2018

Solitamente i paesini che contano circa 3mila anime appena non compaiono in tutte le cartine realizzate. A volte però si fa qualche eccezione, ed è questo il caso di Portopalo di Capo Passero. Ad appena 20 metri dal livello del mare, in provincia di Siracusa, questo paesino minuscolo attira migliaia visitatori ogni anno. Perché? Presto detto, è il Comune più a sud d’Italia. Per trovare un meridionale più a sud di un abitante di Portopalo bisogna bussare alle porte dell’Africa. Questa non è però l’unica caratteristica a rendere Portopalo così noto. Chiunque metta piede a Siracusa non può evitare una visita qui, con un viaggetto di soli tre quarti d’ora, una volta lasciata la Siracura-Noto. Il litorale sabbioso conquista tutti i visitatori, che restano ammaliati inoltre dall’Isola di Capopassero. Fino a qualche tempo fa non veniva definita con tale appellativo, risultando unicamente Capopassero. Il motivo è che, senza andare troppo indietro negli anni, questa era unita alla terraferma. Ad ogni modo la distanza resta esigua, così molti bagnanti tendono a raggiungerla a nuoto o con l’ausilio di un pedalò. La vera attrazione principale è però l’Isola delle Correnti, raggiungibile facilmente affidandosi alle indicazioni, prima di mettere piede a Portopalo. In questo modo, invece di ritrovarsi nel paesino che affaccia sul mare, la strada conduce verso un altro litorale, di fronte all’isola. È facile vedere i giovani del luogo divertirsi tra ciò che resta di una vecchia postazione militare e, oltre questo, l’Isola delle Correnti propone un faro e un’intrigante scogliera. La vegetazione è bassa e selvaggia ma chiunque vi arrivi resta incantato ad ammirare il mare, o forse sarebbe meglio esprimersi al plurale. L’Isola funge da spartiacque, per così dire, tra il mar Ionio e il mar Mediterraneo. Raggiungere questo luogo è molto facile, considerando la striscia di terra che emerge dall’acqua. Attenzione però al fondale, ricco di scogli. Una volta armati di scarpette adatte, non ci sarà alcun problema. In alternativa ci si potrà sempre arrivare a nuoto. Fermarsi e fissare le acque offre una sensazione di pura pace. Sembra quasi ci si trovi al centro del mondo, osservando il bacio tra due mari ricchi di storia, la nostra storia.

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Bisceglie
Da corrieresalentino.it del 26 settembre 2018

Il Castello di Bisceglie, così come appare oggi, risulta essere la sommatoria di tutta una serie di interventi, rimaneggiamenti, aggregazioni di vari corpi di fabbrica, demolizioni, avvenuti in più fasi ed in più epoche. Di conseguenza non tutti gli storici si trovano d’accordo sulle origini della struttura e le varie ipotesi risultano spesso controverse. Secondo alcuni la fondazione del castello risalirebbe all’epoca normanna e precisamente all’XI secolo, per volere del Conte Pietro I che avrebbe ordinato l’erezione della possente Torre Maestra, posta alla destra della struttura, che con i suoi 24 metri d’altezza domina il paesaggio circostante, secondo altri invece il castello sarebbe sorto in epoca sveva, nella prima metà del XIII secolo, vicino alla preesistente torre normanna. Di certo però sotto la dominazione angioina il nucleo originario fu ampliato, come testimoniato dal blasone di Carlo I d’Angiò che campeggia sul portone di ingresso alla torre occidentale e da un’epigrafe vicino al portale del Palatium, la residenza del castellano. Anche gli Aragonesi si impegnarono in lavori di rinforzo del castello per adattarlo alle nuove esigenze difensive, tuttavia a partire dal XVI secolo, non avendo più i requisiti difensivi adeguati per resistere al tiro delle artiglierie, perse la sua funzione militare e fu destinato ad altri usi. Per un certo tempo fu adibito a mulino. Sul finire del XVIII secolo ulteriori trasformazioni portarono all’abbattimento di ambienti e corpi di fabbrica per costruire nuove strutture civili e abitative. Nel corso del XX secolo nell’interno del complesso furono piazzate alcune botteghe artigianali. A partire dal 1982 cominciarono i lavori di restauro, più volte interrotti e altrettante volte ripresi. Nel suo insieme il castello doveva presentarsi con la torre normanna, detta Torre Maestra, a pianta quadrata e risalente all’XI secolo, alla destra di chi guarda la facciata principale, mentre il corpo principale era a pianta quadrangolare con cortile interno e rinforzato con tre torri angolari a pianta quadrata agli altri spigoli. Una delle torri è ubicata sulla cortina occidentale nei pressi dell’ingresso ed è conosciuta come Torre Piccola o Torre delle Gabelle. Il versante orientale e quello meridionale guardavano verso la cinta muraria cittadina ed in epoca aragonese furono ulteriormente protetti da un bastione angolare, mentre gli altri due versanti erano difesi da un fossato, scavalcato da un ponte levatoio fra la Torre Maestra e quella delle Gabelle. Entrati nel cortile, di fronte c’era il Palatium, sviluppato su due piani, di cui restano oggi la porta di ingresso ed i resti di una bifora in stile gotico al primo piano. Addossata al castello, all’angolo nordorientale c’è la piccola chiesa dedicata a San Giovanni. Cosimo Enrico Marseglia

 

“Sì” unanime del Consiglio la caserma Primo Roc ora è davvero del Comune

Da mattinopadova.it del 26 settembre 2018

Federico Franchin

C’è anche l’ok definitivo del consiglio comunale all’acquisizione da parte del Comune di Abano dell’ex caserma Primo Roc di Giarre. Lunedì sera il consiglio ha votato all’unanimità il passaggio a titolo gratuito, senza oneri, del complesso di via Roveri dal Demanio al Comune di Abano. Ieri l’Amministrazione comunale non è stata a guardare: già in mattinata ha fissato la cerimonia di consegna della caserma con la stipula del protocollo d’intesa.

Dopo il via libera del Demanio di qualche settimana fa, al Comune di Abano mancavano due atti ufficiali: il nulla osta del consiglio comunale e la stipula del protocollo d’intesa. Lunedì sera il consiglio ha votato a favore compatto, a testimonianza di come l’acquisizione del Primo Roc sia ritenuta dalla città come un atto fondamentale per il futuro dell’area urbana di Giarre. «Finalmente», ha esordito la consigliera di opposizione per la Lega, Chiara Martinati. «Lo sviluppo dell’area è fondamentale, anche in virtù del collegamento di Giarre col resto della città. Ci auguriamo che il progetto di riqualificazione del Primo Roc rientri nella redazione del nuovo Pat. Va dato merito al sindaco di aver intrapreso un dialogo efficace con il Demanio, ma secondo noi va sottolineato che non è un caso che l’accelerazione sia avvenuta con il nuovo Governo». La caserma Primo Roc aveva rischiato, con la riacquisizione da parte del Demanio che l’aveva messa a disposizione della Prefettura nel 2016, di diventare un hub per migranti.

Nello sviluppo del Primo Roc la parola d’ordine sarà “partecipazione”. «Vogliamo coinvolgere tutti nei progetti che porteranno alla riqualificazione della caserma», ha ribadito in consiglio il sindaco Federico Barbierato.
«Si apre una grande sfida per la città», ha detto il consigliere di opposizione per 35zero31 Matteo Lazzaro. «Ci auguriamo che al più presto venga convocata un’assemblea pubblica e che tutti, associazioni, comitati, cittadini, vengano coinvolti nei progetti e nelle idee. Dal canto nostro rimaniamo convinti che al Primo Roc debba trovare spazio la cittadella della sicurezza, con carabinieri, Protezione civile e vigili del fuoco».

Giovedì 4 ottobre alle 11, davanti al Primo Roc, ci saranno la consegna delle chiavi, la stipula del protocollo d’intesa e il classico taglio del nastro. Interverranno all’evento il prefetto Renato Franceschelli e Dario Di Girolamo, dirigente generale regionale per il Demanio.

 

Nuovo intervento sulla cinta muraria di per 150 mila euro, il sindaco "Impegno mantenuto"
Da lagazzettadilucca.it del 24 settembre 2018

Un nuovo intervento di recupero e salvaguardia della cinta muraria di Montecarlo grazie ad un contributo di 150 mila euro da parte del Ministero dei Beni Culturali che sarà gestito direttamente dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Lucca e Massa Carrara di Lucca. Al recepimento del finanziamento, contenuto nel piano di investimenti del Ministero che fa capo al Fondo per gli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese istituito dalla legge di bilancio 2017, ha direttamente operato l'amministrazione comunale che lo scorso 18 gennaio ha tenuto un incontro presso la sede del MiBAC a Roma alla presenza dei funzionari del ministero, del Sindaco di Montecarlo Vittorio Fantozzi, del vicesindaco Luca Galligani e dell'architetto Paolo Anzilotti. Durante l'incontro, richiesto da tempo dal Comune di Montecarlo, gli amministratori hanno presentato ed illustrato, oltre ai progetti di intervento urgente sulle mura, il Master Plan per il recupero e la valorizzazione della cinta muraria allegato al nuovo Piano Strutturale approvato nel novembre 2017.

Obiettivo del progetto finanziato, che dovrà realizzarsi entro l'anno, è quello di recuperare l'accessibilità e la fruibilità pubblica di un tratto della cinta muraria, relativa a quella parte danneggiata dal crollo avvenuto nel marzo 2013 causato dalle forti piogge, sulla quale la Soprintendenza di Lucca ha già eseguito un primo intervento di messa in sicurezza, rendendo di nuovo accessibile la strada di via della Fonte, altrimenti detta via del Pesciolino, dalla quale si può apprezzare la parte sud della cinta muraria. Intervento che consentirà il recupero e la riapertura di questa viabilità pedonale, importante in quanto riapre l'anello di percorrenza esterno, intorno al Centro Storico. L'intervento risulta importante in quanto con la sistemazione e messa in sicurezza del versante diminuisce la probabilità di altri crolli della cinta muraria. Il progetto generale prevede il recupero del materiale del paramento della cinta muraria per il ripristino della parte crollata, la rimozione della vegetazione infestante e opere di ingegneria naturalistica per il consolidamento, la sistemazione del versante e la regimazione delle acque. In particolare la prima fase riguarderà la messa in sicurezza e la ricostruzione di una parte della cinta muraria crollata nel settore nord –est, in continuazione del tratto già oggetto di intervento da parte della Soprintendenza. "Dopo aver messo in sicurezza l'area interessata dal crollo, grazie agli interventi sinergici di Soprintendenza e Comune - dichiara il Sindaco di Montecarlo Vittorio Fantozzi - con questo secondo intervento, reso possibile dall'interessamento diretto dell'amministrazione comunale presso il Mibac, manteniamo l'impegno volto a proseguire l'opera di recupero della cinta muraria di Montecarlo".

 

Vauban, sito Unesco, apre le porte al MAUSA
Da 2duerighe.com del 24 settembre 2018

Luogo eccezionale, protetto dall’UNESCO dal 2008, la cittadella di Vauban de Neuf-Brisach ospita ora il secondo museo di arte urbana e Street Art. A Neuf-Brisach, i mezzi militari sono stati sostituiti da esplosioni di vernice. Le fortificazioni progettate da Vauban alla fine del XVII secolo per proteggere la città hanno preso colore: a dodici artisti di strada riconosciuti a livello internazionale sono state affidate le pareti delle casematte (1200 metri quadri di spazi interni) e 2,4 km di gallerie.

Un anno fa il primo Museo di Urban Art e Street Art-AUSA – era stato inaugurato nel Massiccio del Giura – e precisamente presso Forges de Baudin, a Toulouse-le-Château. Ora il MAUSA ha deciso di creare un nuovo sito dedicato alla Street Art in questa location particolare dell’Alsazia.La selezione internazionale di artisti include Julien Malland, meglio conosciuto con il soprannome di Seth, artista parigino specializzato nella raffigurazione di personaggi, che ci riporta all’infanzia attraverso le sue silhouette morbide.

Possiamo anche scoprire il lavoro dell’inglese Joseph Ford a cui piace provocare visivamente con trompe-l’oeil e giochi ottici: al MAUSA espone il lavoro fatto con l’artista M. Chat, fotografato di fronte a uno dei suoi graffiti. Ma possiamo anche ammirare il lavoro dei pionieri della Street Art come C215, Nasty, Denis Meyers o Pure Evil.

È l’opportunità non solo di scoprire opere degli Street Artists, ma anche di vedere che la cultura urbana non si concentra solo nella metropoli. Le piccole città possono ospitare collezioni impressionanti: Il MAUSA nel Massiccio del Giura, ad esempio, espone, tra l’altro, opere di Keith Haring, Miss Tic, Banksy e PEZ.Ovviamente, ci si interroga sul senso di aprire un museo dedicato alla Street Art: è ancora Street Art se il lavoro non è più in strada ma si racchiude in una struttura? il più grande museo di Street Art non vive semplicemente nello spazio pubblico? In attesa di rispondere a questo ampio dibattito, se sei di passaggio nell’est della Francia, non esitare a fare una visita a questi due siti.

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Svevo di Vieste
Da corrieresalentino.it del 23 settembre 2018

VIESTE (Foggia) – Bellissimo e suggestivo il Castello di Vieste domina il paese con la sua mole, arroccato su uno spuntone di roccia a strapiombo sul mare all’estremità sudoccidentale. Una prima fortificazione fu fatta erigere dai Normanni e successivamente venne ampliata sotto il regno di Federico II di Svevia, intorno al 1240, dopo aver subito diversi danni a causa delle lotte fra il papato e lo stesso imperatore. Un ulteriore ampliamento e rinforzo venne eseguito nel 1537 sotto il dominio spagnolo, all’epoca del Viceré di Napoli Don Pedro de Toledo, ed un altra ristrutturazione fu ancora effettuata nel 1559 sotto il viceregno di Don Parafan de Ribera, che modificarono completamente l’assetto del vecchio castello medievale, finito inglobato nelle nuova struttura, per adeguarlo alle esigenze difensive ed ai nuovi canoni militari sorti con l’impiego e lo sviluppo delle armi da fuoco, in special modo dei pezzi di artiglieria. La fortezza ha una pianta triangolare rinforzata con tre bastioni a lancia agli angoli e presenta altre opere militari strutturate secondo le esigenze belliche del Rinascimento. Entrati nel cortile si notano alcune lapidi con i blasoni delle Case d’Aragona e di Castiglia che testimoniano le dominazioni aragonese e spagnola sul Regno di Napoli. Sulla destra si staglia il bastione nordorientale che è anche il più imponente e massiccio. L’interno si sviluppa su due piani costituiti da due sale a cupola, con bocche laterali che ospitavano i pezzi di artiglieria mentre in alto ed al centro altre aperture consentivano l’uscita dei fumi di zolfo dopo lo sparo. Lo spessore delle cortine, superiore anche ai tre metri, doveva offrire una maggiore resistenza alle cannonate nemiche e pertanto presentano una forte angolazione in modo da ridurre la superficie del bersaglio alle artiglierie navali che avessero voluto bombardare il maniero. Dei cannoni originali ne è rimasto solo uno, adesso incastrato nel parapetto sudoccidentale. Uno dei bastioni ospita la torretta del semaforo ed è possibile accedervi attraverso una rampa ora a gradoni ma in origine liscia, che aveva la funzione di trainare le artiglierie in alto, tirandole a mano o con l’ausilio di muli. Nel corso della storia il castello ha subito diversi danni durante alcune incursioni veneziane e turche ed infine nella Prima Guerra Mondiale, la mattina del 24 maggio, fu colpito da alcuni proietti sparati da una flotta austroungarica che poche ore prima aveva colpito anche Manfredonia e Barletta. Attualmente la fortezza è utilizzata dalla Marina Militare Italiana che vi ha posto il già citato semaforo, vi è inoltre un osservatorio dell’Aeronautica Militare per la redazione di un bollettino meteorologico. Cosimo Enrico Marseglia

 

Alla Forteguerriana presentazione del volume “La montagna fortificata”
Da met.provincia.fi.it del 21 settembre 2018

Da martedì 25 settembre riprende il tradizionale ciclo di incontri “Leggere, raccontare, incontrarsi…”. Iniziato nel 2008, il ciclo ogni anno si propone in due edizioni, una primaverile e una autunnale, e con lo scopo di promuovere la conoscenza di autori e storie locali. Gli appuntamenti, organizzati dalla Biblioteca Forteguerriana e dalla Biblioteca San Giorgio, si svolgono nelle stesse biblioteche e prevedono prevalentemente la presentazione di libri, sia che si tratti di opere che parlano di Pistoia e del suo territorio, sia che si tratti di opere di autori pistoiesi che non necessariamente hanno Pistoia come argomento.

Dall'autunno 2018 al ciclo tradizionale di “Leggere , raccontare, incontrarsi” dedicato ad Autori e storie pistoiesi , si affiancherà un nuovo ciclo, dedicato a scrittori esordienti e scrittori non professionisti che appunto scrivono per passione, dal titolo "Scrittori per passione". Il primo appuntamento del nuovo ciclo si svolgerà martedì 25 settembre alle ore 17 nella Biblioteca Forteguerriana con la presentazione del volume “La montagna fortificata. Castel di Mura, le Torri di Popiglio e il sistema difensivo della Montagna pistoiese nel Medioevo”, scritti di Alessandro Bernardini, Elena Biagini, Daniela Fratoni, Massimo Gasperini, Alice Sobrero, Elena Vannucchi e Renzo Zagnoni (Porretta; Gruppo di studi Alta Valle del Reno bolognese e pistoiese; Cutigliano, Gruppo di studi Alta Val di Lima, 2018).

Interverrà Giuliano Pinto e saranno presenti gli autori. Il volume vuole dare un contributo alla conoscenza storica del sistema delle fortificazioni medievali della Montagna pistoiese, in particolare quelle dell'Alta Val di Lima, il territorio montano più periferico, confinante con i territori modenesi e lucchesi e in piccola parte bolognesi, dove era necessario presidiare importanti vie di valico appenninico attraverso il passo della Croce Arcana. Lo studio è il risultato di una ricerca condotta parallelamente al convegno organizzato dal Gruppo di studi Alta Valle del Reno di Porretta Terme, dal Gruppo di studi Alta Val di Lima di Cutigliano e dall'Accademia Lo Scoltenna di Pievepelago su "I palazzi del potere nella montagna fra Bologna, Modena e Pistoia" e fa parte della serie "Storia e ricerca sul campo fra Emilia e Toscana". Il volume, che contiene i risultati della ricerca anticipa ed amplia alcuni contenuti degli atti del convegno, la cui pubblicazione è prevista per il 2019.

 

 

Castelli in Lombardia da scoprire: dove quali sono
Da latitudeslife.com del 21 settembre 2018

Fortezza Viscontea

Passato da scoprire. I castelli in Lombardia tra architettura, arte, leggende ed eventi

Alcuni sovrastano i borghi, altri s’innalzano a picco su fiumi. La Lombardia è ricca di all’insegna di un viaggio nel tempo ecco dieci castelli visitabili in giro Lungo la via Francigena,

Il Castello Isimbardi è una chicca. La fortezza, che ci riporta al XII secolo, sorge cuore della Lomellina del riso e dell’acqua ed è nata come complesso militare per poi diventare residenza signorile in età rinascimentale, dando origine al borgo del Castello d’Agogna. Recentemente è stato sottoposto ad una grande restaurazione grazie alla quale ha riaperto i battenti al pubblico.

Attualmente il castello è punto di riferimento per attività culturali e culla di importanti eventi pubblici e privati; appuntamenti artistici e solidali. E proprio tra le mostre più recenti e interessanti quella sul Borneo.

Visite: aperto al pubblico in occasione di eventi programmati. Su prenotazione per visite ottobre.


Castello di Oramala – Pavia Situato su un promontorio roccioso nel comune di Val di Nizza quello di Oramala è uno dei castelli più suggestivi dell’alto Oltrepò.

Costruito dalla Famiglia Malaspina, dopo aver vissuto proprietari, ha visto nel XII secolo il periodo di maggiore splendore come centro di diffusione. La rocca venne fortificata nel 1474 e a questo periodo risale la grande torre in pietra.


Visite: ogni domenica pomeriggio da giugno a metà ottobre.

 

 

Castello di Bornato – Brescia Il Castello di Bornato, è stato costruito a Cazzago San Martino nel XIII secolo dalla famiglia Bornati.

A metà del 1500 subì importanti modifiche ad opera dei nuovi proprietari, la famiglia Gandini.

La cinta muraria in pietra grezza circondata da fossato e torri racchiude al suo interno un palazzo in stile rinascimentale costruito sul nucleo centrale del vecchio forte.

Le sale della villa conservano tuttora il loro splendore mentre i due giardini, uno all’inglese e uno all’italiana, sono casa di piante secolari.


Visite: nelle domeniche e i festivi da metà marzo a metà novembre. C’è anche la possibilità degustazione dei vini della Franciacorta, prodotti dall’azienda agricola del Castello di Bornato.

 

Castello di Rocca d’Anfo – Brescia Il complesso militare della Rocca d’Anfo vi riporta nel XV secolo.

Costruito dalla Repubblica pendio del Monte Censo, nel corso del tempo fu più volte rimaneggiata e ampliata fino a che il Trentino non divenne parte del Regno d’Italia: da questo momento in poi ha perso il suo valore strategico.

Il complesso è costituito da una trincea fortificata, numerose batterie, casematte, strade coperte, polveriere, stalle e alloggi: considerato ad oggi uno dei migliori esempi di architettura militare.


Visite: nei week-end primaverili ed estivi.


Castello di Desenzano – Brescia Il Castello di Desenzano è l’edificio che caratterizza l’aspetto della città di Desenzano.

Costruito nel XI secolo sui resti di un castrum romano, è divenuto caserma nell’800 e così utilizzato fino al 1943.

Della costruzione restano oggi le mura con il camminamento di ronda, le torri e il mastio dai quali si gode una splendida vista sul lago di Garda.

Gli ex alloggi degli ufficiali sono adesso sale per mostre e convegni.


Visite: visitabile tutti i giorni (escluso il lunedì) da aprile a ottobre, sabato e domenica

 

Castello Bonoris Montichiari – Circondato da un vasto parco, il Castello Bonoris Montichiari sorge sul colle di San Pancrazio dominando la città.

Il castello è stato probabilmente costruito attorno al 1100 e verso la fine del 1800, sopraggiunto il nuovo proprietario Gaetano Bonoris, è divenuto dimora di ispirazione neogotica e romantica.

All'interno spicca la ricchezza dei materiali, delle decorazioni ad affresco e degli arredi d’epoca.


Visite: da aprile ad ottobre il sabato mattina e la domenica tutto il giorno.

 


Castello di San Lorenzo De Picenardi – Cremona Immerso nel verde delle campagne cremonesi il Castello di San Lorenzo De Picenardi è uno dei più grandi castelli della Lombardia, nell’omonima frazione del comune di Torre de’ Picenardi.

La sua origine risale al XV secolo e le sue dimensioni sono degne di nota tanto che, pur non sorgendo su alture, la sua sagoma è visibile anche da lontano.

Con ogni probabilità, in passato il castello è stato un importante punto di riferimento per i viaggiatori e un nucleo economicamente autosufficiente
All’interno vanta cortili, giardini, saloni neoclassici, una grande sala da ballo, salottini arredati, e una cappella; all’esterno ancora giardini ed un parco con un’elegante vasca dell’Ottocento.


Visite: di domenica e nei giorni festivi da aprile a ottobre.

A nordest da Milano, il Castello Visconteo sorge irriverente a picco su una doppia ansa del fiume Adda, regalando una vista mozzafiato.

Edificato come fortificazione difensiva di un ponte strategico - di cui oggi rimangono visibili solo alcuni resti – il castello è stato realizzato nel 1300 per volere di Bernabò Visconti accanto ad una rocca voluta dalla regina Teodolinda. Quello che oggi rimane dell’antica struttura sono il pozzo del 1400, i sotterranei e la torre a pianta quadrata.


Teatro di cruenti e importanti lotte e di conquiste è stato più volte distrutto e ricostruito, e il suo turbolento passato ha alimentato leggende e storie di fantasmi: si racconta, ad esempio, che nel parco sia sepolto da qualche parte il tesoro di Federico il Barbarossa.

Visite: nel pomeriggio di domeniche e festivi, da marzo al primo week-end di ottobre.


Castello Visconteo di Abbiategrasso – Milano Il Castello Visconteo di Abbiategrasso è stato eretto a partire dal 1381 da Gian Galeazzo Visconti e fatto abbellire dopo il 1438 da Filippo Maria Visconti.

Strategicamente costruito in asse con il Naviglio Grande e con la strada di collegamento tra Milano e Vigevano, la sua struttura è comunque molto semplice: pianta quadrangolare, circondata da un fossato, con torri agli angoli.
Il 1995 è stato però un anno significativo per la struttura: un importante restauro del 1995 ha recuperato e valorizzato parti architettoniche e decorative.

Al suo interno ospita gli affreschi voluti dai Visconti che segnarono il passaggio dell’edificio da avamposto militare a residenza signorile. Oggi il Castello Visconteo è sede della Biblioteca Civica di Abbiategrasso e Fondazione per la promozione turistica dell’Abbiatense.


Visite: visitabile secondo gli orari della biblioteca e alla domenica su prenotazione.


Castello di Masnago e Civico Museo d’Arte Moderna e Contemporanea Il Castello di Masnago è alle porte di Varese e si eleva su un’altura dell’omonimo borgo. Al suo interno ospita il Civico Museo d’Arte Moderna e Contemporanea: un viaggio nella storia dell’arte.

La mostra (permanente) e tra le sale quattrocentesche del castello, e su due piani. Al primo piano ci sono tele di arte lombarda e dell'Italia settentrionale dal XVII al XIX secolo con opere di artisti quali il Morazzone, il Procaccino, Hayez, Magatti. Al secondo piano, invece, ci si imbatte nelle opere della pittura lombarda del Novecento e le collezioni di arte contemporanea tra cui lavori di Giacomo Balla, Mario Sironi, Innocente Salvini, Eugenio Pellini, Lucio Fontana, Renato Guttuso, Enrico Bay, Bruno Munari.
Il complesso architettonico del castello di Masnago ha subito interventi ed ampliamenti diversi nel corso dei secoli ed alcune sue parti risalgono ad epoche diverse; la torre, ad esempio, è di epoca medievale, mente il corpo principale è del ‘400, l’ala è del Seicento-Settecento. Il parco Mantegazza, che lo circonda, ospita più di 100 varietà di alberi e di arbusti.

Visite: in base agli orari e del Museo. Aperto dal martedì alla domenica

 

 

Fortificazioni a Messina, Gioveni e Cacciotto: “Straordinaria risorsa per la città, ma chi le gestisce?”
Da strettoweb.com del 21 settembre 2018

La nostra città può certamente annoverare delle fortificazioni di tutto rispetto; dal Forte Gonzaga al Forte Ogliastri passando per il Forte Petrazza, sono diverse le fortificazioni che impreziosiscono la nostra città e che forse dovrebbero essere poste a maggiore conoscenza sia per la città e sia per coloro che da turisti si ritrovano a Messina.

È quanto dichiarano il consigliere comunale Gioveni e il consigliere della Terza Circoscrizione Cacciotto, che in una nota rivolta all’Amministrazione “per meglio poter orientare delle proposte, delle idee sull’utilizzazione delle fortificazioni cittadini” chiedono di:

1. conoscere se le fortificazioni messinesi, sono gestite da soggetti terzi (ed eventualmente quali);

2. avere copia delle eventuali convenzioni che regolano il rapporto tra Comune e terzi riguardo le fortificazioni cittadine.

 

Gela, le mura di Timoleonte tornano al loro splendore
Da palermo.repubblica.it del 21 settembre 2018

Le mura di Timoleonte a Gela tornano al loro splendore grazie alla Forestale.

Le fortificazioni greche che cingevano la città antica rappresentano un unicum di architettura militare del passato ma, nonostante la loro valenza, sono in condizioni di abbandono. “Noi non abbiamo i fondi necessari alla pulizia del sito – dice Emanuele Turco, direttore del parco e del museo di Gela – e per questo ringraziamo la Forestale che ha restituito decoro all’area come deciso dalla Regione siciliana”. Il sito archeologico potrà così accogliere gli eventi in programma per le “Giornate del patrimonio” in programma ma il problema della manutenzione delle mura timoleontee di Caposoprano resta. In passato, l’area è stata al centro delle polemiche per la presenza di branchi di cani randagi capaci di mettere in fuga turisti e aggredire i custodi.

I visitatori evidenziano l’assenza di adeguata segnaletica e controlli in una delle zone più interessanti e abbandonate della Sicilia.Il parco archeologico di Gela, di cui fa parte anche il museo con i suoi reperti che raccontano la storia di una colonia greca distrutta dai Cartaginesi, resta fuori dai circuiti turistici come dimostrano anche i  umeri: poco meno di 5.000 visitatori e 15.000 euro di incassi all’anno. di ISABELLA DI BARTOLO

 

Mura Latine: al via i lavori: ” Corsa per salvare la torre”
Da appiohblog.org del 21 settembre 2018

Imbragata, impacchettata, circondata da vistose fasce blu per sostenerne il peso ed evitarne il crollo. Così, da ormai una settimana, si presenta ai passanti e agli automobilisti la torre incastonata nel tratto di mura aureliane che all’Appio Latino congiunge porta San Sebastiano a via Talamone. Per più di due anni, specie dopo il terremoto che ha scosso il centro Italia nell’agosto del 2016, il gigante si è mostrato in tutta la sua fragilità. Prima due lunghe e minacciose crepe sui lati e una rete arancione per evitare il passaggio dei pedoni sul marciapiede. Poi un transennamento più ampio, a invadere la carreggiata e a intasare una volta di più il traffico lungo la già intasata viale delle Mura Latine. Adesso, dopo il crollo del tetto della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami e il cedimento di parte della Rupe Tarpea, si è finalmente deciso di correre ai ripari. Da una parte per la salvaguardia dell’incolumità dei romani, dall’altra per preservare il torrione. Effetti della pressione mediatica e del monito di Alberto Bonisoli, ministro dei Beni culturali del governo pentaleghista: “Bisogna estendere i controlli a tutto il patrimonio. Va data priorità alla manutenzione e alla sicurezza”. Come fanno sapere dalla Sovrintendenza capitolina, “i lavori per la messa in sicurezza dell’opera sono iniziati il 14 settembre ed è stato già completato un primo intervento sul paramento murario”. Ora si sta studiando la soluzione migliore per salvare quel tratto di mura: ” I tecnici sono al lavoro – continuano dallo staff del sovrintendente Claudio Parisi Presicce – stanno studiando l’intervento più opportuno per salvaguardare la stabilità della torre ” . Un’operazione da concludere al più presto. In caso di crollo, la strada che porta fino all’incrocio con via Cristoforo Colombo verrebbe irrimediabilmente invasa dai detriti. Con tutti i rischi immaginabili: il tratto su cui si affaccia il torrione ferito è ad alto scorrimento, un continuo viavai di scooter e automobili. In più, a due passi dal cantiere, abita un osservatore vip; il proprietario di villa San Sebastiano è Claudio Lotito, patron della Lazio.

 

Mura Urbiche: quel ponte sulla storia
Da quotidianodipuglia.it del 19 settembre 2018

Se l’obiettivo era quello di creare un percorso turistico che attraversasse la storia della città, allora è stato centrato. Le Mura Urbiche, il cui recupero ormai è questione di settimane, sono la storia di una città raccontata dalle pietre, dall’architettura e soprattutto dall’archeologia. Il faraonico progetto di recupero della cinta dell’urbe ha regalato non poche sorprese agli addetti a lavori. Una per tutte: una strada romana (forse un pezzo della Traiana che collegava Lecce-antica Rudiae a Otranto) che per il recupero definitivo avrà bisogno di tecniche particolari richieste dalla Sovrintendenza. E poi ci sono testimonianze del 4 secolo avanti Cristo, opere del 1500, esempi di architettura difensiva e militare. E tutto ciò sarà messo a disposizione di quanti potranno ammirare - una volta avviata la gestione - le Mura Urbiche riportate a nuova vita. Ieri mattina ad ammirare tutto questo e ad attraversare il ponte che collega viale Calasso al centro storico, sono
stati i consiglieri di Palazzo Carafa componenti della commissione Lavori Pubblici presieduta da Angela Maria Spagnolo che ha voluto una commissione itinerante per fare il punto della situazione sullo stato dei luoghi. “Guida turistica” d’eccezione è stato l’architetto Patrizia Erroi, progettista e direttore dei lavori dell’ufficio Centro Storico di Palazzo Carafa. La passeggiata è iniziata dal futuro Visitor Center, il vecchio comando della polizia municipale situato su viale De Pietro. Completamente restaurato, l’immobile sarà sede di un info point con tanto di biglietteria e «allestimenti per i quali è stato fatto il bando», ha spiegato a Erroi ai consiglieri. Il Visitor Center infatti sarà dotato di tutte quelle attrezzature necessarie per accompagnare il visitatore nel percorso di scoperta delle Mura Urbiche. Non mancheranno monitor, pannelli illustrativi e realtà aumentata che «consentirà - ha spiegato l’architetto - di vedere com’era la città nel ‘500». Basterà posizionare i propri cellulari in alcuni punti indicati lungo il percorso per fare un tutto indietro nel passato e “rivivere” la vecchia urbe. «Un percorso accessibile a tutti» anche ai diversamente abili, nato grazie all’equilibrio che gli uffici sono riusciti a mantenere tra la storia e la contemporaneità. All’interno, la struttura è dotata infatti di un’ascensore che consente l’accesso sia ai camminamenti sulle mura che la possibilità di scendere nell’interrato dove si può ammirare «la macchina da guerra» come l’ha definita l’archietetto Erroi che porta la firma di Giangiacomo Dell’Acaya che ha costruito anche il Castello di Carlo V. La struttura del Visitor Center è dotata anche di due terrazze una che si affaccia su viale De Pietro da cui si può ammirare la chiesa di Santa Maria di Ogni Bene che si trova di fronte nel complesso dell’ex Convento degli Agostiniani. L’altra invece si collega con i camminamenti delle ronde del carcere di San Francesco. Prima di ritrovarsi sulla terrazza i visitatori, troveranno un «plastico interattivo della città», ha spiegato Erroi. Gli ambienti recuperati attraverso il secondo stralcio funzionale del progetto hanno “regalato” oltre 12mila metri cubi di reperti archeologici molti dei quali, di concerto con la Sovrintendenza delle Belle Arti saranno sistemati lungo il percorso turistico e a disposizione dell’utenza. Iniziando il percorso della passeggiata sulle mura, guardando verso la destra su viale De Pietro si può ammirare l’ex Convento degli Agostiniani anche se una vecchia abitazione in totale di stato di abbandono e di proprietà di Benedetto Cavalieri sembra essere un pugno nell’occhio visto il lavoro di recupero effettuato nella zona a nord della città. Arrivati sui bastioni, in quello est - una volta terminati anche gli allestimenti - non si potrà solo ammirare la città attraverso le vecchie bocche delle cannoniere che oggi sono delle piccole finestre su Lecce, ma grazie alla presenza di un tetragramma digitale sarà riproposto lo spartito ritrovato inciso sulle Mura urbiche, dal lato interno. E risuonerà la musica di quello spartito, scritto secoli fa chissà da chi. Nella casamatta, invece, si potranno udire gli scoppi dei cannoni e i racconti di Gian Giacomo dell’Acaya. Lascia senza fiato anche l’interrato, recuperato nella sua interezza e originalità. «Un ambiente rimasto così grazie anche all’abbandono di oltre 500 anni che lo ha completamente preservato». Oltre a rappresentare un esempio di architettura militare l’interrato delle Mura conserva rinvenimenti del 4 secolo avanti Cristo, delle vasche geologiche con varie stratificazioni. Una volta raggiunto il camminamento sulle mura ci si affaccia sul parco archeologico che sorge al posto del vecchio Carlo Pranzo dove si può ammirare il fossato che un tempo circondava le mura e dall’altro lato il giardino di Palazzo Giaconia. Un luogo incantato che lo staff comunale ha recuperato in tutte le sue parti: un giardino terrazzato risalente al ‘500 appartenete a quella che fu la casa dell’allora sindaco di Lecce, Vittorio De’ Prioli, che vi abitò dal 1593. Il giardino è stato completamente ricostruito grazie anche ai rinvenimenti scoperti durante gli scavi. Le due aree verdi sono collegate attraverso un ponte in ferro battuto e un passaggio all’interno di un grottone che attraversa le mura.

 

Anagni, ex polveriera: un gruppo di imprenditori stranieri interessato all'area
Da ciociariaoggi.it del 19 settembre 2018

Capitali stranieri per la ex Polveriera, per un mix di iniziative tese a valorizzare il sito dell'ex Demanio Militare. Mentre si attende chiarezza per il destino della ex Videocolor, e gli ex dipendenti di Eurozinco guardano con nostalgia il piazzale trasformato in una enorme esposizione di autovetture, qualcosa si muove per la ex Polveriera, i 187 ettari di proprietà comunale che la giunta Bassetta aveva deciso di vendere per fare cassa. L'indiscrezione Pare che una cordata di imprenditori stranieri, addirittura a Stelle e Strisce, abbia chiesto di poter utilizzare la immensa area prospiciente la stazione ferroviaria ed a due passi dal casello autostradale, per iniziative che spazierebbero dallo studio alla musica, dai motori allo sport, dalla natura alla ricerca. Questo trapelerebbe dalle prime indiscrezioni. Il tesoretto della città dei papi, dopo attente valutazioni e prudenti (ci si augura) nulla osta, potrebbe rappresentare un volano dagli inimmaginabili effetti per il territorio e l'occupazione. Il recente passato ha visto numerosi politici e loro sodali arrovellarsi per tentare il colpo grosso: dai circuiti automobilistici alla riproduzione dell'antica Roma, dalla mega officina alla coltivazione di canapa, dalle iniziative più fantasiose ai lucrosi depositi per trattamento rifiuti. Ci si augura che, una volta tanto, certe trattative non restino confinate nelle stanze del potere. La ex Polveriera è dei cittadini, che ne stanno pagando le rate del mutuo. La vastità dell'area può consentire la realizzazione di attività diverse e diversificate, da non decidersi al bar o nello studio dell'agente immobiliare di turno. Staremo a vedere. Qualcosa quindi sembra muoversi per l'area nord. Ora come sempre parleranno i fatti. Certo se si concretizzasse sarebbe una vera svolta per l'ex Polveriera e l'intero territorio, con l'obiettivo di cercare finalmente di valorizzare il sito dell'ex demanio militare. Ettore Cesaritti

 

Forte Spuria: a Messina un pezzo di storia trasformato in discarica
Da strettoweb.com del 18 settembre 2018

Svetta sulle colline peloritane, silente spettatore di uno sconsolante abbandono. È il Forte Spuria, una delle tredici fortificazioni umbertine sorte sulle coste siciliane tra fine 800’ ed i primi anni del 900’. Unica per tipologia strutturale, la maestosa fortezza a pianta circolare sorge sui resti di un antico Forte Inglese come opera di controllo ed intercettazione e per questo è meglio nota ai più anziani come “Il semaforo”. “Tale postazione semaforica– ricorda la consigliere della VI Circoscrizione Francesca Mancuso- è divenuta celebre per esser stata la prima fortezza visitata da Guglielmo Marconi e per la sua potenza, tale da garantire comunicazioni anche con la Stazione radiotelegrafica di Monte Mario a Roma. Fu proprio il silenzio radiotelegrafico della postazione di Forte Spuria, rimasta attiva fino al 1960, ad allertare il Ministero della Marina e far mobilitare i primi soccorsi nel corso del terremoto del 1908- ricorda la consigliera pentastellata. L’accesso alla collina in cui giace questa struttura è concesso (seppur con non poche difficoltà) dalla Via Forte Spuria, raggiungibile da Piazza Serri, e fino a qualche tempo fa dalla Strada Panoramica dello Stretto, dove questa incrocia salita Frantinaro (questo percorso oggi è stato completamente inghiottito da erbe infestanti e rifiuti). Si tratta- spiega la consigliera- di una strada di larghezza ridotta che concede il transito di un’unica autovettura, con fondo non asfaltato (se non in determinati punti) e con diversi avvallamenti, priva di illuminazione pubblica e di un guardrail a protezione della parte scoscesa. Appare chiaro come il raggiungimento di quest’area, utilizzata oggi dalla Marina Militare come sito remoto radar e dove sorgono diverse abitazioni, risulti non poco complesso. Si rende quindi necessario l’avviamento di un’opera di urbanizzazione primaria al fine di consentire il transito veicolare in totale sicurezza e facilitare l’ordinaria ispezione dei mezzi della Marina. Ma a destare ancor più preoccupazioni della consigliera sono le condizioni igienico-sanitarie in cui versa tutta l’area circostante: “la fortezza ricoperta da materiale ferroso, elettrodomestici dismessi, pneumatici, serbatoi in cemento-eternit e le ormai immancabili lastre ondulate in eternit. Molte di queste lastre risultano frantumate, il che aumenta il rischio di possibili inalazioni di fibre in amianto ed il conseguente rischio di asbestosi. Si rende pertanto urgente un intervento di bonifica dell’area limitrofa il Forte Spuria, un’azione che confido possa rappresentare il primo passo verso il rilancio di questo luogo magico, da sempre deturpato da abusivismo ed incuria. Sarà poi necessario- prosegue Mancuso– mettere in atto un’attività di monitoraggio dell’area mediante degli opportuni sistemi di videosorveglianza, le cui spese di installazione verrebbero prontamente ammortizzate con il risparmio dei costi di cui il Comune si fa carico per lo smaltimento dell’eternit abbandonato abusivamente”. L’idea che propone Francesca Mancuso è quella di lanciare, in seguito, “una campagna di promozione di tale patrimonio storicopaesaggistico rifacendosi a progetti di recupero messi in atto per le restanti fortezze presenti sulla costa siciliana. Quest’ultime, infatti, oggi ospitano nei loro locali piccoli musei, eventi socioculturali e manifestazioni di vario genere. Il recupero di Forte Spuria, di questo pezzo di storia, rappresenterebbe un importante traguardo per la nostra città e sono certa che l’attuale amministrazione, attenta alla tematica del recupero identitario, getterà le basi per l’avvio di questo percorso virtuoso”.di Serena Guzzone

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Angioino di Gallipoli
Da corrieresalentino.it del 16 settembre 2018

GALLIPOLI (Lecce) – Il castello di Gallipoli, che appare interamente circondato dal mare all’ingresso dell’isola su cui sorge la città vecchia, si erge sui resti di una preesistente fortificazione con ogni probabilità di epoca romana, ricostruita durante la dominazione bizantina. L’attuale castello però risale all’epoca angioina e nel corso dei secoli fu soggetto a diverse ristrutturazioni e rimaneggiamenti sino al secolo XVII. Tuttavia ha sempre costituito un valido baluardo della città contro diversi attacchi provenienti dall’esterno. L’originale pianta in epoca angioina era quadrangolare, ma sotto la dominazione aragonese fu circondata da una struttura poligonale con torri angolari cilindriche, con l’eccezione di una di forma poligonale. Successivamente venne isolato con un fossato che lo circondava su ogni lato, quindi nel 1522 si provvide all’edificazione del Rivellino e della cortina occidentale.

Il suddetto Rivellino, un tipo di fortificazione indipendente generalmente posto a protezione di una porta o di una fortificazione maggiore, fu progettato dall’ingegnere militare di Siena Francesco Martini e si presenta interamente separato dal castello ed isolato nel mare. Esso appare come una torre allungata più grande e più bassa delle altre. L’ingresso alla fortezza avveniva attraverso un ponte levatoio ligneo che lo collegava alla terra ferma, sostituito nel XVII secolo con uno in pietra, mentre l’interno presenta diverse sale con volte a botte o, in alternativa, a crociera, nonché svariati camminamenti e cunicoli. Negli anni compresi fra 1870 ed il 1879 venne riempito il fossato e la facciata occidentale coperta con l’addossamento del mercato ittico di recente costruzione. Secondo alcuni storici, nella preesistente fortezza di Gallipoli si sarebbero rifugiati alcuni baroni fedeli a Corradino di Svevia dopo la sconfitta subita nella battaglia di Tagliacozzo contro le armate di Carlo I d’Angiò. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

Domenica si chiude la stagione delle «Sentinelle di pietra»
Da ladigetto.it del 15 settembre 2018

Sarà la visita teatralizzata Sensazioni Forti. Le pietre raccontano a concludere domenica a Forte Garda (Riva del Garda) la quarta stagione della rassegna culturale di Sentinelle di Pietra. L’evento (inizio ore 15) è a cura di Miscele d'Aria Factory. Rappresenta quarto appuntamento del mini-ciclo dedicato ai percorsi immersivi nelle fortezze di oltre cento anni fa e anche l’ultimo atto del lungo e coinvolgente cartellone estivo che ha animato 19 Forti austro-ungarici del Trentino. A segnare ufficialmente la conclusione della stagione 2018 sarà alle ore 17 il concerto del Coro Castèl della sezione Sat di Arco. Sensazioni Forti Le pietre raccontano è un'esperienza di grande impatto nella quale le emozioni sono al centro di un percorso in cui i suoni e le immagini si fondono e raccontano in modo vivido e diretto la quotidianità della guerra, le piccole grandi storie di soldati legate alle mura di Forte Garda. Uno scrigno di emozioni - a cura della compagnia artistica specializzata in particolare in eventi sensoriali in cuffia - dove la musica e le parole si intrecciano e trasmettono emozioni al gruppo dei visitatori, che vengono costantemente guidati da una guida/performer. La tecnologia permette, attraverso l’utilizzo delle cuffie wireless, di avere per ogni visitatore una percezione personale, non disturbata da rumori o distrazioni esterne. Uno spettacolo da vivere come esperienza “full immersion” in questi luoghi suggestivi. La visita durerà circa 50 minuti: a seguire ci sarà il concerto del Coro Castel della sezione Sat di Arco. INFO: MAG Museo Alto Garda | +39.0464.573869 | info@museoaltogarda.it | www.museoaltogarda.it (http://www.museoaltogarda.it). Location d'eccezione per questo ultimo appuntamento con Sentinelle di Pietra sarà Forte Garda, situato a Riva del Garda sul monte Brione, un rilievo di 375 metri che domina l'accesso nord del Benaco, e grazie a questa posizione privilegiata venne utilizzato dalla metà del XIX secolo come sede fortificata. Nel 1904 partirono i lavori per la costruzione del forte austroungarico, edificio che segue l'andamento della roccia integrandosi con l'ambiente circostante. Il forte è stato oggetto di un recente e significativo intervento di recupero ed è visitabile fino al 14 ottobre nei giorni di venerdì, sabato e domenica con orario dalle ore 10 alle 17. Sentinelle di Pietra è un'iniziativa promossa dal Servizio attività culturali della Provincia autonoma di Trento. E a cura del Centro servizi Santa Chiara e della Fondazione museo storico del Trentino e coinvolge 19 fortificazioni distribuite sull'intero territorio provinciale con eventi culturali, momenti di riflessioni, rappresentazioni musicali, teatrali ed artistiche in un cartellone molto ricco che, come detto, si concluderà domenica a Forte Garda. Per rivivere la stagione 2018 di Sentinelle di Pietra è possibile consultare i canali Facebook (@museostorico |@sentinelledipietra | @arteforte) e Instagram (@Sentinelle di Pietra) o i siti web: www.museostorico.it e www.trentinograndeguerra.it | www.gardatrentino.it Proseguirà invece ancora per una settimana il progetto Arte Forte - Aspettando il momento ideato e curato dalla Galleria d'arte di Giordano Raffaelli di Trento che fino al 23 settembre vede 10 forti ospitare i lavori di 19 artisti coordinati da 12 case d’arte di Trentino, Veneto e Friuli Venezia Giulia.

 

 

Treviso, l'aerporto di Canizzano diventa un super polo dell'Aeronautica Militare
Da tribunaditreviso.it del 15 settembre 2018

TREVISO. C’è un aeroporto che si sviluppa alle porte della città. Ma – sorpresa – non è il Canova di San Giuseppe, che anzi vede l’iter del masterplan alla prese con il passaggio nella commissione tecnica Via regionale. Bensì il suo alter ego militare, il “Giannino Ancillotto” di Canizzano, che oggi ospita il 3 Rvm e il 2° stormo: a breve – forse già a fine anno, al massimo la prossima primavera – diventerà una sorta di superpolo tecnico dell’aeronautica Militare.
300 uomini in più. Una promozione che verrà sancita dal trasferimento a Treviso dei 300, fra militari e civili, oggi di stanza o in servizio all’aeroporto “Gino Allegri” di Padova, nel 2° Reparto Manutenzione Missili. Per i rinforzi sono disponibili i capannoni e le altre strutture dismesse, su cui in passato avevano messo gli occhi anche Save e Aertre, in vista di un potenziale ampliamento a scapito dell’area militare. Si realizza quanto contenuto in un decreto legislativo del 2012, sulla base di un precedente accordo in sede ministeriale per la dismissione delle aree di proprietà demaniale entro il 2018. Tutto questo nel quadro della riorganizzazione della spending review, che non ha risparmiato le Forze Armate.
il possibile tandem con istrana. Ancora non è certo se tutto il personale militare e civile verrà trasferito a Canizzano, o se invece verrà diviso fra due contingenti, uno all’Ancillotto e uno alla base di Istrana. Ma i numeri sono già significativi: attualmente a Canizzano operano 350 militari, con l’arrivo del contingente di Padova siamo a un raddoppio della struttura. E anche escludendo i civili (50 quelli in servizio alla Allegri attualmente), è evidente il potenziamento. Ma quello che è certo è che l’Aeronautica Militare ha tutte le intenzioni di rafforzare la sua presenza a Canizzano, trasformando la base cittadina in una struttura di primo livello su scala nazionale della manutenzione tecnica, armamenti compresi.
Le conferme ad aertre Sul trasferimento, nei mesi scorsi era arrivata la conferma dallo stesso capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, Enzo Vecciarelli, che in una visita ad aprile alla Allegri di Padova aveva ricordato a vertici e personale la vicinanza della scadenza dei termini. Ma ieri sarebbe arrivato un altro importantissimo tassello: una comunicazione della stessa Aeronautica Militare ad AerTre, che sarebbe stata illustrata nel corso della seduta del consiglio di amministrazione della società che gestisce l’aeroporto Canova. Il fratello civile, dall’altra parte della pista, per dirla dalla prospettiva militare.
piano ancora senza date Da quanto è trapelato - il riserbo è massimo – non sarebbero state precisate date e modalità del trasloco, ma la nota ha suonata per tutti come il sigillo dell’ufficialità. Con tutti i suoi risvolti e annessi e connessi, da Padova a Treviso. Sulla barricate, contro il trasferimento della Allegri, era salita Forza Italia, con l’assessore veneta Donazzan e con l’ex vicesindaco padovano Mosco.  di Andrea Passerini

 

 

Forte Marghera sarà "urbanizzato", pronti i primi 5 milioni di euro per il recupero
Da veneziatoday.it del 15 settembre 2018

Approvato in Giunta il progetto definitivo per il recupero di Forte Marghera. Previsti lavori per 5 milioni di euro, prima tranche di un pacchetto complessivo di 12 milioni da destinare all'area in accordo con gli altri enti interessati e che prenderanno il via con l’intervento d’urbanizzazione del compendio ex militare. “Urbanizzazione” concepita nel rispetto dei caratteri storici, ambientali e paesaggistici del Forte, massimizzando la versatilità funzionale delle nuove opere a rete. Dodici milioni in tutto Le risorse finanziarie a disposizione consentiranno, inoltre, di realizzare i nuovi sottoservizi per l’isola del Ridotto e per la Cinta esterna, per garantire il funzionamento degli edifici già in uso o di cui si preveda l’imminente recupero e riutilizzo. Tutti lavori che si vanno ad aggiungere a quelli già sviluppati lo scorso anno per un totale di quasi 2,8 milioni e che hanno riguardato gli edifici 30, 1 e 53. Gli immobili sono stati radicalmente ristrutturati e restituiti alla Città, anche arredati, per ospitare esposizioni temporanee e il Centro Studi sulle architetture militari. Tutte le attività di recupero sono state attuate con le tecniche proprie del restauro architettonico, considerata la valenza storico culturale degli edifici ed assumendo l’obiettivo del miglioramento sismico e dell’integrazione dei più moderni impianti tecnologici. Gli interventi Nello specifico, gli interventi approvati con questa delibera riguardano la realizzazione delle infrastrutture impiantistiche, come 3 chilometri di rete fognaria locale di raccolta e convogliamento delle acque reflue verso la condotta comunale esistente in viale San Marco, e di convogliamento e scarico delle acque meteoriche da strada nei canali interni. Si punterà poi alle infrastrutture per la rete elettrica e di videosorveglianza, all'implementazione dell'illuminazione degli spazi scoperti e dei percorsi e alla sistemazione dei percorsi esistenti all’interno del compendio. Per quanto riguarda invece i due ponti esistenti questi saranno sottoposti a intervento di manutenzione straordinaria. Inoltre, al fine di riportare il Forte all'antica fattezza, si prevede il ripristino del ponte che originariamente garantiva un ulteriore collegamento a Est tra il Ridotto e Cinta esterna, di cui si sono conservate le sole pile in muratura, oggi in cattivo stato di conservazione. 

 

 

Il Forte Appia Antica – Speciale Trentennale
Da appiohblog.org del 12 settembre 2018

Visita guidata di Cancelli Aperti nell’ambito degli eventi gratuiti organizzati per il Trentennale del Parco. Il primo forte ad essere edificato sul lato sinistro del Tevere, nell’ambito del “Campo trincerato” di Roma, cintura di strutture militari costruite a partire dal 1877 per la difesa della capitale, viene eccezionalmente aperto ai visitatori. Visita realizzata in collaborazione con l’Associazione di promozione sociale “Progetto Forti” http://progettoforti.wix.com Realizzato tra il 1877 e il 1880, il Forte Appia antica fu la prima struttura difensiva edificata sul lato sinistro del Tevere, nell’ ambito del “Campo trincerato” di Roma, una cintura di strutture militari costruite a partire dal 1877 per la difesa della capitale. Posizionate a una distanza media di 4-5 km dal perimetro delle Mura Aureliane, formano un anello di circa 37 km. Costruito con la lava leucitica della Colata di Capo di Bove; e caratterizzato da una pianta trapezoidale con ampio fossato sul fronte, il Forte Appia conserva ancora tutto il suo fascino. E’ attualmente gestito dal Reparto Sistemi Informativi Automatizzati dell’ Aeronautica Militare. L’associazione di promozione sociale Progetto Forti; si batte da anni per il suo recupero e valorizzazione. venerdì 19 ottobre dalle ore 10:00 alle 12:00 Massimo 30 persone.NB: Torcia individuale.
Orario e luogo dell’appuntamento: ore 10 presso Caffè Appia antica, incrocio via Appia antica/via di Cecilia Metella.
Partecipazione: gratuita
PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA: http://parcoappiaantica.eventbrite.it
L’attività è confermata anche in caso di pioggia

 

 

L'ex base militare ora non ha più segreti
Da l'arena.it del 12 settembre 2018

Ex militari dell’aeronautica, oggi associati nel «Circolo del 72», hanno fatto per un giorno da guide turistiche ai tanti curiosi che hanno voluto approfittare dell’occasione di poter finalmente visitare la parte top secret della ex base missilistica Nato di via Baldoni. In questa base c’era l’area di lancio dei missili Nike Hercules, ciascuno lungo 11 metri, che potevano essere caricati anche con testate nucleari e ai tempi della guerra fredda erano affidati in gestione congiunta a militari italiani e americani. La zona è stata dichiarata priva di interesse militare per decreto ancora nel 2009. La base, nota come «72° gruppo I.T. - zona lancio», domenica è stata aperta al pubblico in occasione della festa degli aquiloni: non era mai successo da quando è passata di proprietà comunale, lo scorso 23 febbraio. La manifestazione per appassionati di volo e aeromodellismo si era già tenuta una decina di anni fa, quando ancora l’area era demaniale, ma senza accesso agli hangar, ai bunker e alle rampe dove in precedenza i missili erano tenuti pronti ad essere lanciati. Era molta la curiosità di tanti cittadini, che hanno per anni fantasticato e favoleggiato su quell’area sempre vietata, che alimentava anche leggende: era ad esempio diffusa la convinzione che ci fossero sotterranei, che in realtà non sono mai esistiti, mentre non era chiara la funzione dei terrapieni visibili dall’esterno. Domenica si è scoperto l’arcano: servivano per fermare l’onda d’urto in caso di lancio o di esplosione dei missili e nascondevano i bunker dove i militari addetti al lancio potevano rifugiarsi in caso di bisogno. Così nel fine settimana oltre agli appassionati di volo, dagli aquilonisti acrobatici ai droni, si sono aggiunti anche molti visitatori. Fra di loro anche il sindaco Emilietto Mirandola e molti assessori e consiglieri, accorsi per vedere finalmente da dentro un’area rimasta per oltre mezzo secolo inavvicinabile, sorvegliata da militari armatati 24 ore su 24, per 365 giorni all’anno. Accompagnati da militari che in quella base hanno lavorato per una quarantina di anni, i visitatori hanno così scoperto non solo che i sotterranei non c’erano, ma anche che la
base aveva un nucleo interno, circondato da una doppia alta recinzione che delimitava la zona delle rampe di lancio dei missili: l’area era gestita direttamente dagli americani e da militari italiani. I Nike Hercules sempre pronti ad essere lanciati in rapida successione erano almeno una dozzina. Davanti ad ogni hangar c’è una piazzola di cemento per le rampe e all’interno dei terrapieni rimangono i tre bunker dove ci si poteva riparare. Il missile una volta partito, prima di terminare la sua parabola che poteva toccare un picco di oltre cinquemila metri, perdeva il primo stadio e veniva agganciato dai radar che lo guidavano verso l’obiettivo ad est, verso la ex Jugoslavia, grazie a dei motori interni. Quei missili venivano pilotati direttamente dalla base logistica che si trovava a un paio di chilometri in territorio di Isola Rizza, in via Merle: anche questo comune è diventato proprietario della base. Molti alla fine della visita della visita si sono fermati per ammirare una mostra fotografica preparata dal Circolo del 72 sulle origini della base, diventata nel 1938 sede di una scuola di volo senza motore (scuola che ha svolto attività fino al settembre del 1943) ein seguito finì sotto il controllo dei tedeschi. Oggi rimangono i punti interrogativi sulla riconversione dei 30 ettari della zona militare, da realizzare entro tre anni. La giunta che fa capo al sindaco Emilietto Mirandola ha annunciato di voler realizzare un concorso di idee per raccogliere proposte che devono prevedere anche la copertura finanziaria. La riconversione della base deve avvenire infatti, lo ha ribadito in un consiglio comunale il sindaco Emilietto Mirandola in risposta a una interrogazione del M5s, senza pesare sul bilancio. Per andare avanti occorre inoltre chiudere una vertenza sollevata da una azienda agricola per un contenzioso legato alla sfalcio dell’erba e la cura dei terreni.

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello De Falconibus a Pulsano
Da corrieresalentino.it del 12 settembre 2018

In Sembra che esistano differenti opinioni e teorie riguardo l’edificazione e la storia del Castello di Pulsano. In questa sede verrà esposta quella, a nostro avviso, più plausibile essendo tra l’altro anche la più recente. Il Castello di Pulsano è conosciuto col nome della famiglia che più di tutte apportò le maggiori modifiche strutturali al nucleo originario. Fu intorno agli inizi del XII secolo che gran parte della popolazione costiera si spinse maggiormente all’interno per cercare un rifugio alle continue incursioni dei pirati saraceni. Fu proprio la famiglia De Falconibus (Delli Falconi) ad acquistare un vecchio fortilizio in disfacimento, risalente probabilmente all’epoca bizantina e costituito da una torre a pianta quadrata, provvedendo ad un restauro e ad un ampliamento con l’edificazione di quattro torri, ognuna differente dalle altre. Successivamente il castello, utilizzato per lo più come tenuta di caccia, passò in proprietà di diverse altre famiglie, nel 1274 apparteneva ai Sambiasi, nel 1357 ai Dell’Antoglietta che lo cedettero ad Ercole Petugy, che a sua volta provvide a ricostruire la Torre Quadrata o Torre Massima, Intanto nel 1326, nel tentativo di difendere il casale da un assalto saraceno proveniente dal mare, cadeva Renzo De Falconibus ed in memoria di tale evento il luogo dello scontro fu chiamato Terra Rossa. La famiglia De Falconibus sarebbe rientrata in possesso del feudo dopo il 1388, cominciando intorno al 1400 un’opera di ricostruzione del castello, andato in precedenza distrutto, su disposizione di Marino De Falconibus e, proprio per tale motivo la fortezza avrebbe assunto anche il nome della famiglia. In seguito a tale riedificazione esso assunse il suo attuale aspetto, salvo il fatto che all’epoca era circondato da un fossato scavalcabile con un ponte levatoio ligneo. Nel 1480 alcune milizie di Pulsano, agli ordini di Giovanni Antonio Delli Falconi, figlio del suddetto Marino, furono inviate in difesa di Otranto caduta nelle mani dei Turchi. Dopo aver cambiato diversi proprietari, infine il castello giunse alla famiglia Muscettola e nel 1819 il Principe Giovanni Muscettola permise che alcune famiglie utilizzassero il fossato come orto. A riprova di ciò, le mura settentrionale ed orientale insieme a tre delle cinque torri risultano addossate ad abitazioni private. Durante il regno di Gioacchino Murat, tre cannoni in dotazione al castello sarebbero stati trasferiti a Taranto. Agli inizi del XX secolo la struttura diventava di proprietà del Comune. Posto nel centro dell’abitato, all’angolo nordorientale dell’antica cinta muraria, il castello ha una pianta quadrangolare ed è rinforzato da cinque torri di diversa fattura e misure, Il nucleo originale, rappresentato dalla Torre Quadrata si affaccia sulla piazza che dal maniero prende il nome. La struttura si sviluppa su tre piani e presenta le armi di alcune famiglie che lo hanno abitato e conserva alcuni frammenti di piccoli affreschi. Si dice che dal suo sottosuolo parta un cunicolo, ora murato, che lo collegava al Castello di Leporano. Ma le sorprese non finiscono, come nei migliori manieri scozzesi, anche il castello di Pulsano custodisce una storia di fantasmi. Infatti si racconta che nelle notti di luna piena si aggira negli ambienti della struttura una fanciulla bionda vestita di bianco. Pare si tratti di Angelica, la diciottenne unica figlia di Renzo De Falconibus che, dopo la morte del padre in difesa del paese, fu catturata, imprigionata, quindi decapitata ed, infine, murata nella torre…Cosimo Enrico Marseglia
 

 

 

Fortezze alpine: cronologia, spazi, funzioni, reti, interpretazioni
Da  ladigetto.it del 11 settembre 2018

È dedicato agli insediamenti di altura e alle fortificazioni erette nelle Alpi tra il V e il X secolo il convegno «Alpine Festungen, 400–1000 d.C. Chronologie, Räume und Funktionen, Netzwerke, Interpretationen / Fortezze alpine, 400-1000 d.C. Cronologia, spazi e funzioni, reti, interpretazioni» in programma a Monaco di Baviera il 13 e 14 settembre presso la sede della Bayerische Akademie der Wissenschaften, l'Accademia bavarese delle scienze. All’importante appuntamento internazionale, che trae origine dal progetto di ricerca intrapreso sul monte di San Martino nel Lomaso tra il 2005 e il 2015, prenderà parte anche Franco Marzatico, soprintendente per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento che aprirà i lavori assieme a Thomas Höllmann presidente dell’Accademia. L’intervento di apertura è affidato ad un altro archeologo trentino, Enrico Cavada, che assieme al collega tedesco Marcus Zagermann presenterà il progetto di ricerca italo-tedesco dedicato all’indagine del sito trentino e svolto in collaborazione, anche finanziaria, con l’Accademia Bavarese e con il Comune di Comano Terme. Tra il V e il VI secolo la comparsa nel territorio alpino di abitati fortificati su alture e luoghi in posizione elevata è un fatto ben documentato dall’archeologia. A determinarlo sono state necessità d’ordine strategico-militare e di sicurezza della popolazione di fronte a condizioni di guerra e d’invasione con le Alpi chiamate ad assumere un ruolo di frontiera e di sbarramento nell’ultimo tentativo di proteggere l’Italia dalle incursioni che dilagano dall’Europa settentrionale e orientale. L’incontro di Monaco mira a realizzare una tavola rotonda tra specialisti di diverse regioni alpine, dalla Val d’Aosta alla Slovenia, dalla Croazia balcanica alla Baviera. Lo scopo è quello di collegare le esperienze di ricerca in corso su un tema chiave della transizione tra antichità e medioevo e indicare nuovi indirizzi per la sua conoscenza.

Tra le fortezze alpine più significative e di più recente scoperta, è il monte di San Martino.

Un luogo isolato del Lomaso sulla montagna che separa le Giudicarie dal lago di Garda, ad un’altitudine di quasi 1.000 metri, difeso lungo i fianchi da verticali pareti di roccia che si alzano prive di vegetazione dal fondovalle rendendolo dominante e inavvicinabile. È uno dei maggiori esempi conservati di una fortezza tardoantica, fondata per ragioni strategiche negli anni in cui gli Unni di Attila stava devastando le valli a Nord delle Alpi e i Goti si stanziavano nei Balcani prima di passare in Italia sotto l’egida di Costantinopoli.

Ordinata dalle autorità di governo romane, costruita secondo precisi accorgimenti militari con ingenti risorse e investimenti, era dotata di sbarramenti, mura di cinta, porte controllate da torri, utili apprestamenti e edifici interni. Straordinario il livello delle strutture abbandonate, estese su un’area di oltre 15.000 mq e frequentate per circa trecento anni da Romani, Goti, Longobardi e Franchi prima di essere completamente dimenticate dalla storia, venute meno le ragioni di un loro mantenimento. Sul finire degli anni Novanta questo luogo è stato identificato e dal 2005 al 2015 è stato indagato con un piano di ricerca partecipata a cui hanno contribuito oltre 180 ricercatori tra studenti universitari, specializzandi e archeologi professionisti provenienti da 10 diversi Paesi europei (oltre ad Italia, Slovenia, Francia, Spagna, Germania, Austria, Slovacchia, Grecia, Svizzera e Polonia).

Notevole anche l’impegno per conservare sul posto quanto è stato riportato in luce, con interventi sui ruderi e di ripristino ambientali che rendono questo luogo oggi mèta frequentata e ammirata da molti. A coordinare gli scavi è stato l’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento di concerto finanziario con il Comune di Comano Terme e la Commissione archeologica dell’Accademia delle Scienze della Baviera.

 

 

 

In Nuova Zelanda costruiti i primi lussuosi bunker per sopravvivere alla fine del mondo
Da casertaweb.com del 10 settembre 2018

Tra le paure dell’uomo c’è sicuramente quella di una improvvisa fine del mondo. E così negli ultimi mesi alcuni degli uomini più facoltosi della Terra stanno investendo in vista di questa terribile ipotesi comprando dei lussuosi bunker dotati di ogni comfort (palestra, piscina e cinema inclusi). Un rifugio simile non può certo essere una garanzia in caso di Armageddon, ma in caso di guerra atomica alcuni tra i ricchi del mondo (proprio come accade nei film di fantascienza) sarebbero al sicuro. Il luogo più gettonato per la creazione di questi bunker è la Nuova Zelanda, nazione geograficamente isolata e storicamente neutrale. Alcuni di questi rifugi sono già stati costruiti e si trovano tredici piedi sotto terra: il più costoso vale circa 10 milioni di euro, è capace di contenere 50 persone, è munito di porte antiproiettile e di un sistema che permette di accumulare energia grazie alla luce del sole, oltre che di una pista da bowling e tante altre comodità che permetterebbero una lunga e agiata sopravvivenza nel sottosuolo. Tra i previdenti ci sarebbero, come informa il sito supereva.it, il cofondatore di Paypal Peter Thiel ed il regista James Cameron.

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Monopoli
Da corrieresalentino.it del 9 settembre 2018

Fu l’Imperatore Carlo V ad ordinare la costruzione del Castello di Monopoli, nell’ambito della strategia di difesa delle coste del Regno, continuamente minacciate dalle scorribande piratesche turche ma anchecome protezione delle mire veneziane, poiché nel 1528 le armate della Serenissima avevano assediato e preso la città. Come luogo fu scelta Punta Pinna, un piccolo promontorio avanzato sul mare e come nucleo della fortezza furono utilizzate la Chiesa rupestre di San Nicola in Pinna, risalente al X secolo, ed una porta di epoca romana rinforzata da due corpi di guardia ai lati, costruita sulle antiche mura di cinta di origine peuceta. I lavori, affidati alla direzione del Viceré Don Pedro de Toledo, secondo alcuni storici, o del Marchese Don Ferrante Loffredo che risiedeva in Lecce, secondo altri, ebbero termine nel 1552. Nel XVII secolo il castello subisce alcune modifiche e ristrutturazioni che ne modificano l’assetto per adattarlo alla funzione di dimora residenziale ed in effetti è stato sede della più alta autorità militare cittadina sino alla metà del XIX secolo, quando venne adibito a carcere mandamentale, funzione che ha poi mantenuto sino agli anni ’60 del XX secolo. Dopo alcuni anni di abbandono, negli anni ’90 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di consolidamento ed oggi il castello viene utilizzato per manifestazioni ed eventi culturali. La fortezza ha una pianta pentagonale, caratteristica delle fortezze rinascimentali, con agli angoli dei bastioni. L’originale ponte levatoio doveva probabilmente collocarsi nei pressi della torre cilindrica sul versante sudoccidentale, alla cui sinistra è possibile osservare un tratto delle antiche mura. Particolarmente interessante è la sala d’armi munita di quattro cannoniere a pelo d’acqua per il tiro radente, due in direzione del mare e due verso il porto, che ospitano altrettanti obici da 1.400 kg a canna liscia di fattura napoletana, risalenti al XIX secolo. La struttura ingloba al suo interno la chiesa rupestre di San Nicola da Pinna di notevole interesse storico ed artistico. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

'Santa’: a Spazio Aperto, le fortificazioni genovesi
Da levantenews.it del 8 settembre 2018

“Genova: dalla cinta medievale al fronte bastionato”, Gianfranco Coari, studioso di fortificazioni: sabato 15 settembre, ore 17.00 a Spazio Aperto di Via dell’Arco, Santa Margherita Ligure. Sette anelli di mura racchiudono Genova: ciascuno realizzato in epoche successive per difendere una città in continua crescita e sfruttare le nuove tecniche costruttive. All’alba del XVI secolo ne sono già state realizzate cinque, ma le nuove tecnologie militari impongono una profonda revisione. Le rinnovate tecniche d’assedio e l’avvento delle moderne artiglierie hanno decretato la fine delle vecchie mura merlate dei castelli medievali, dotate di torri angolari costruite per l’attuazione della difesa piombante (il famoso olio bollente o altri oggetti sugli assalitori) e in grado di resistere alle armi da getto (archi, baliste e catapulte): con le mura vecchie di due secoli il re di Francia Luigi XII ha buon gioco nel domare la ribellione di Genova nell’aprile 1507. Realizzata tra il 1536 e il 1539, la sesta cinta, detta delle Mura Vecchie per distinguerla dalla seguente, ultima grande cinta seicentesca delle Mura Nuove, rappresenta un’autentica rivoluzione in ambito di arte fortificatoria ed architettura di presidio. Saranno le nuove tecniche del fortificare “alla moderna” e l’invenzione del Baluardo o Bastione, con la difesa radente le mura e l’utilizzo dei pezzi traditori utilizzati per il tiro d’infilata, a rappresentare la massima espressione del Rinascimento italiano in fatto di tecniche difensive e architettura fortificata. Nel 2011, grazie all’impegno del Comune e all’accordo con il Demanio è stato avviato un percorso per la valorizzazione del sistema difensivo seicentesco e delle fortificazioni esterne: Gianfranco Coari, esperto di Beni Culturali e studioso di fortificazioni, in collaborazione con la Scuola di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Genova, ha focalizzato l’attenzione sulla sesta cinta e presenta a Spazio Aperto il risultato delle sue ricerche. Sarà un pomeriggio incentrato su una Genova “superba per uomini e per mura”, come scrisse Francesco Petrarca 700 anni fa. L’incontro ha il patrocinio del Comune di Santa Margherita. Appuntamento sabato 15 settembre alle ore 17.00 in via dell’Arco 38 a Santa Margherita Ligure. L’ingresso, come per tutte le iniziative dell’Associazione “Spazio Aperto”, è libero e gratuito. spazioaperto.sml@alice.it  0185 696475

 

 

Le mura della Fortezza affidate alla Forestale
Da ilpiccolo.it del 6 settembre 2018

Ora è ufficiale: gli uomini del Corpo forestale regionale, “dirottati” dalla montagna durante l’inverno, nei prossimi mesi saranno operativi a Gradisca per proseguire nelle operazioni di pulizia delle mura venete iniziate lo scorso anno. In questi giorni si sono svolti degli incontri propedeutici all’avvio della seconda fase degli interventi di recupero delle fortificazioni gradiscane, come da convenzione sottoscritta nel 2017 tra l’amministrazione comunale e la Regione. Dodici mesi fa anche l’importante via libera dei privati: numerosi tratti delle mura ricadono infatti non sul territorio pubblico, ma in diverse proprietà. La missione, dunque, è continuare a ripulire e riqualificare le antiche mura, liberandole dalla vegetazione e dal degrado che oggi ne penalizzano estetica e sicurezza. Ma, sin qui, tanto per carenza di risorse da investire quanto per una burocrazia che frammenta le competenze non si era mai davvero riusciti a passare dalle buone volontà ai fatti. La convenzione non porterà a Gradisca risorse economiche per l’operazione, bensì risorse umane, ovvero – come detto – gli operai forestali. Gradisca è caratterizzata da una possente cinta muraria del XV secolo, costruita dalla Repubblica di Venezia per garantire una linea difensiva lungo l’Isonzo contro le invasioni dei turchi. Per il miglioramento delle opere di difesa nella città, la Serenissima si avvalse anche dell’apporto di Leonardo Da Vinci, che si trovava a Venezia esule da Milano. Interpellato per valutare le fortificazioni costruite sul fiume, egli (che ricordò quest’esperienza in un passo del Codice Atlantico le cui riproduzioni sono recentemente state acquisite dal Comune e destinate alla nuova Casa della Cultura all’ex Maccari) giunse alla conclusione che era molto difficile creare ripari sull’Isonzo «che alfine non sieno ruinati e disfatti dalle inondazioni» e propose, pertanto, la costruzione di una diga mobile – peraltro troppo complessa e costosa e, alla fine, irrealizzabile – che solo all’occorrenza consentisse di allagare la zona per impedire il passaggio degli eserciti. Le mura cittadine, come detto, sono in parte di proprietà dell’amministrazione comunale, in parte di proprietà privata, e risultano vincolate ai sensi di un decreto legislativo del 2004. «In questi giorni, assieme al sindaco Linda Tomasinsig - commenta l’assessore comunale a Lavori pubblici, Ambiente ed Urbanistica Alessandro Pagotto – ho svolto i sopralluoghi con i professionisti, i tecnici della direzione Forestale della Regione e i tecnici comunali, al fine di verificare lo stato di fatto lungo le mura cittadine, conseguente ai lavori della fase già realizzata ed avviare la programmazione delle attività previste in prosecuzione. Tali interventi – conferma Pagotto – saranno eseguiti direttamente dalle squadre forestali nel periodo invernale. Ringrazio tutti coloro che, a vario titolo, si stanno adoperando affinché il recupero delle nostre amate mura diventi una realtà». di Luigi Murciano

 

 

Tra forti e paesaggi mozzafiato, a Pastrengo il fine settimana si tinge di arancione
Da huffingtonpost.it del 5 settembre 2018

Dalla storia militare al sapore della zucca il passaggio è breve. Siamo a Pastrengo, piccolo borgo del veronese, il cui nome di origine longobarda nasce dall'unione di "prati + pascoli = Pastrengo" ed è cosi che tra il verde tipico del Veneto, punteggiato da viti prestigiose che ogni anno arricchiscono cantine "di tutto rispetto" fino a fortezze di valore storico inestimabile, ogni anno all'inizio di settembre si festeggia la regina della tavola: la zucca. Nella piccola frazione di Piovezzano, lì dove sorge il forte dedicato al generale austriaco Degenfeld, si potrà scoprire l'amatissimo ortaggio in tutte le sue possibili declinazioni. A partire dalla cucina, ovviamente, con risotto, tortelli, ravioli e gnocchi di zucca, pasticcio con zucca e gorgonzola, arancini e vellutata di zucca, spezzatino di carne con zucca e polenta, marmellate, mostarde, torte, gelato, pandolce e tanti altri sapori a tema... arancione, appunto! Dopo esserci immersi nelle bontà gastronomiche del borgo di Pastrengo, non possiamo non abbandonarci al paesaggio, che da queste parti è davvero vario: dai vigneti ai fortini militari, alle ville medievali. Un paesaggio a "tutto tondo" dove poter apprezzare appieno la bellezza della provincia veronese. Ciò che ha reso immortale la cittadina nella memoria storica degli italiani è stata la carica dei Carabinieri che nel 1848 salvarono il re Carlo Alberto di Savoia dalla cattura durante la Prima Guerra d'Indipendenza, un evento che ogni anno viene rievocato in aprile, rimarcando sempre il forte legame con il mondo militare, che ci ha lasciato in eredità quattro straordinari forti, che rappresentano gli ultimi bastioni edificati dagli austriaci nella zona. Tutti, infatti, risalgono agli anni fra il 1859 e il 1861 come testimonianza del teatro di battaglie che fu il Veneto. Tuffiamoci quindi nella storia, purtroppo i forti non sono tutti visitabili perché diventati di proprietà privata.
Il Forte Degenfeld, intitolato al generale austriaco, ai tempi ministro della guerra, si trova nella frazione di Piovezzano ed è curato dall'Associazione degli Alpini. Con le sue postazioni d'artiglieria, una scalinata rampante che porta sullo spalto, il suo ampio portale, la cisterna sotterranea che raccoglieva le acque piovane i cannoni è perfettamente conservato.

Il Forte Monte Folaga o Forte Monte Bolega, originariamente chiamato anche Forte Benedek, è molto simile al precedente anche se le sue dimensioni sono più piccole. Ma facciamo fede alla vostra fantasia nell'immaginarne l'interno perché oggi non è più visitabile, tuttavia uno sguardo  dall'esterno può aiutarvi nel fantasticare sul suo trascorso storico. Anche il Forte Poggio Croce, il più importante nell'epoca austriaca, è in buono stato; oggi ospita alcune attività pubbliche. Forte Poggio Pol è molto ben conservato, nonostante alcune alterazioni subite negli anni. Al suo interno è ospitato un ristorante. Ma il vero pezzo forte, da non perdere, visitando la cittadina di Pastrengo è il Telegrafo Ottico sul colle di San Martino collegato con Verona e con il trasmettitore posizionato sul Monte Baldo a sua volta comunicante con Malcesine e con Borghetto in val d'Adige. È un edificio semplice, con una pianta esagonale, costruito in gran parte in cotto, a due piani e con scala interna. Nell'ultimo piano ci sono quattro oblò su ogni lato, orientati verso le stazioni riceventi... andiamo a visitarlo?

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Trani
Da corrieresalentino.it del 4 settembre 2018

Benché una precedente torre risalente al X secolo e di cui sono stati ritrovate alcune vestigia nei pressi dell’attuale ingresso, ne occupasse ilsito, l’edificazione del vero e proprio castello di Trani ebbe inizio nel 1233, sotto Federico II di Svevia e si completò ne 1249, esattamente un anno prima circa della morte del sovrano, sul progetto dell’ingegnere militare Filippo Cinardo, Conte di Conversano ed Acquaviva. La fortezza sorge esattamente al centro dell’insenatura della città, su un banco roccioso ed in prossimità del mare, i cui bassi fondali costituivano una valida difesa contro le incursioni saracene e prevedeva tutta una serie di baluardi intorno. La forma originale doveva essere con ogni probabilità a pianta quadrangolare, come la maggior parte dei castelli pugliesi, con quattro torri angolari a pianta quadrata ed un cortile nel centro della struttura. Un fossato, molto probabilmente di origine naturale circondava la fortezza. Si racconta che ad una delle torri del castello l’imperatore avrebbe fatto impiccare Pietro Tiepolo, figlio di Jacopo, Doge della Serenissima Repubblica di Venezia. Inoltre il maniero ospitò più volte Manfredi, figlio di Federico e di Bianca Lancia, che lo scelse come sede delle sue seconde nozze con Elena Ducas. Subentrati gli Angioini sul trono di Napoli, il castello fu rinforzato secondo il progetto dell’architetto militare Pierre d’Angicourt e in tale epoca si tennero al suo interno alcuni eventi di grande importanza: il matrimonio fra Carlo I d’Angiò e Margherita di Borgogna nel 1268, e tre anni più tardi quelle del suo figlio cadetto Filippo con Isabelle de Villehardouin. Nel 1385 Carlo III d’Angiò concesse il castello al capitano Alberico da Barbiano che lo tenne sino al 1419. Saliti sul trono di Napoli gli Asburgo di Spagna, sotto il regno di Carlo V, nel 1533, ebbero inizio le radicali trasformazioni della fortezza per adattarla alle recenti innovazioni tattiche derivanti dalla comparsa ed evoluzione della armi da fuoco ed in particolare delle artiglierie da assedio. Si provvide pertanto a rinforzare la facciata rivolta verso terra e ad elevare due bastioni contigui a due delle quattro torri, uno a pianta quadrangolare all’angolo nordorientale ed un altro a punta di lancia, diametralmente opposto allo spigolo sudoccidentale. Adibito a sede della Sacra Regia Udienza per la Provincia di Terra di Bari, il Tribunale Regio nel 1586, fu sede dello stesso sino al 1677, prima di essere trasformato in carcere provinciale nel 1844, dopo dodici anni di lavori di adeguamento alla nuova funzione, che tenne sino al 1974. In quell’anno passò nelle mani della Soprintendenza ai Beni Culturali che ha provveduto ad effettuare diversi lavori di restauro. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

Base aeronautica di Padova, Donazzan: "Sede militare strategica e centrale, va potenziata"
Da padovaoggi.it del 4 settembre 2018

Lascia? No, raddoppia: l'assessore regionale Elena Donazzan entra nel dibattito sul futuro del 2° Reparto Manutenzione Missili dell’Aeronautica Militare a Padova e ne auspica il potenziamento. "Sede militare strategica e centrale" Tutto nasce dalle dichiarazioni dell'onorevole Elisabetta Gardini, che aveva proposto l'utilizzo della base militare di via Sorio quale sede della Protezione Civile. A vanificare l'ipotesi, però, ci pensa l'assessore Donazzan: "Pur apprezzando lo sforzo dell’onorevole Gardini di proporre sedi di Protezione Civile degne dello sforzo dei volontari, il nostro impegno sulla base di via Sorio a Padova è che resti tale, anzi venga potenziata come sede militare strategica e centrale. Non si devono lasciare spazi a ipotesi diverse perché sarebbe sbagliato e fuorviante. Si dimostra, proprio per il tempo che viviamo con rischio terrorismo e missioni estere, che un aeroporto militare è punto logistico fondamentale. Lavorerò, come già detto nella mia visita, affinché si potenzi questo ruolo". "Senza volontari non servono nemmeno le sedi" Conclude l'assessore regionale: "Ad oggi il problema della Protezione Civile è la diminuzione di volontari causata dal progressivo invecchiamento di questi uomini straordinari, che per la maggior parte vengono da una esperienza di leva obbligatoria di cui si discute il reintegro proprio in queste ore in Consiglio regionale. Senza volontari non servono nemmeno le sedi e comunque se si deve ragionare su una sede regionale strategica dobbiamo focalizzarci su una proposta seria e concordata con la Regione: formularne diverse a seconda dei territori, come accaduto anche di recente in una visita dell’on. Gardini a Vicenza, non aiuta nemmeno chi deve organizzare i volontari e dare loro prospettive".

 

 

Un tesoro dell'architettura militare si svela ai turisti
Da swissinfo.ch del 4 settembre 2018

Nell'ambito dell'Anno europeo del patrimonio culturale, il pubblico ha libero accesso a gran parte delle mura della città di Friburgo. Un'occasione per scoprire una delle opere difensive meglio conservate in Svizzera e in Europa. Dal mese di giugno, turisti e residenti hanno la possibilità di passeggiare sulla cinta muraria della città di Friburgo e di salire su alcuni torri di difesa, risalenti al Medioevo. L'accesso a queste fortificazioni militari, solitamente vietato, rientra nell'ambito della partecipazione svizzera all'iniziativa Anno europeo del patrimonio culturale. «Si tratta di un'opera eccezionale per l'estensione della cintura di fortificazioni. È in ottimo stato di conservazione e può essere osservata nella sua integralità, un fatto piuttosto raro. Anche nei posti meno preservati, ci sono ancora importanti testimonianze che permettono di distinguere i limiti della città medievale», spiega l'archeologo Gilles Bourgarel, esperto di Medioevo. La grandezza dell'opera è ancor più percettibile dall'alto, camminando sulla cinta muraria lunga circa 800 metri, la più grande in Svizzera. Difesa, prestigio e… polizia

Le mura di Friburgo sono state erette durante la seconda metà del XIV secolo e l'inizio del XV, con un obiettivo principalmente difensivo. La città cercava soprattutto di difendersi dagli attacchi della vicina Berna. Poter sfoggiare imponenti fortificazioni era però anche una questione di prestigio. «Prendiamo l'ultima parte della cinta muraria, a nord. Il numero di torri presenti - otto - è molto più importante di quanto necessario per assicurare la difesa della città, tenendo conto della gittata di archi e balestre. Costruendo più torri, la città voleva soprattutto dimostrare forza e prosperità», afferma Gilles Bourgarel. Torri e mura avevano però anche una funzione di controllo poliziesco, forse meno conosciuta. «All'epoca non si pensava nemmeno di poter lasciare le città aperte. La sera, le porte venivano chiuse per impedire l'ingresso a vagabondi e ad altre persone», spiega l'archeologo. Adattamento all'artiglieria Il sito di Friburgo è interessante anche perché illustra il modo in cui l'architettura militare si è adattata al progresso dell'artiglieria, a partire dal XV secolo. Un tempo strette e alte, le fortificazioni sono diventate più basse e spesse, per evitare di servire da punto focale e per resistere meglio ai colpi. A Friburgo, questi aggiustamenti sono ancora visibili nella pietra. «Le torri alte del Medioevo erano bersagli ideali e quando venivano colpite da palle di cannone, crollavano nei fossati, riempiendoli. In definitiva rappresentavano dunque più un pericolo che un vantaggio», spiega Gilles Bourgarel. L'artiglieria non era però una prerogativa degli assalitori. Veniva utilizzata anche a scopi di difesa e in questo contesto a Friburgo si trova un'opera militare rara, il baluardo meglio conservato in Svizzera. Si tratta di una struttura semicircolare, integrata a una torre o alle mura, nella quale venivano collocati i cannoni.

Troppo caro demolirle
In Svizzera, come nel resto dell'Europa, molte fortificazioni urbane sono state smantellate durante la seconda metà del XIX secolo. Da un lato, queste strutture erano diventate obsolete a causa dei progressi dell'artiglieria. «Per essere efficaci, le fortificazioni avrebbero dovuto avere un'aera equivalente a quella della città da proteggere e ciò non era fattibile», sottolinea Gilles Bourgarel. Dall'altro lato, con l'industrializzazione e la ferrovia, le città hanno conosciuto un forte sviluppo e sono state costrette ad estendersi ben oltre i confini medievali. Le fortificazioni sono così diventate un ostacolo da eliminare. Anche Friburgo non è estranea a questo fenomeno. Le demolizioni sono iniziate nelle zone in cui le torri e le mura frenavano il traffico e lo sviluppo di nuovi quartieri, in particolare nei pressi della stazione, vero e proprio simbolo di modernità nel XIX secolo. Nel cuore della città moderna, solo una torre è stata risparmiata, forse perché all'epoca nei paraggi c'era un cimitero. «Le fortificazioni, invece, sono state conservate nelle zone scoscese e di difficile accesso, perché il costo della demolizione non era redditizio rispetto al prezzo dei materiali. È soprattutto l'aspetto finanziario ad averle salvate, in attesa della fine del XIX e l'inizio del XX secolo, che coincidono con una maggior consapevolezza dell'importanza di preservare il patrimonio culturale di un paese. Ormai, però, la metà delle torri e delle mura era già stata distrutta», deplora l'archeologo. Una consolazione per gli amanti del patrimonio: la metà delle fortificazioni sopravvissute rappresenta ancora un'eccezionale testimonianza del passato medievale della città. Un passato da riscoprire fino al 31 ottobre. Il 17 maggio 2017, il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Ue hanno proclamato il 2018 "Anno europeo del patrimonio culturale". L'obiettivo dichiaratoLink esterno (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?  uri=CELEX:32017D0864&from=FR) è di promuovere il patrimonio come elemento centrale della diversità culturale e del dialogo interculturale, valorizzare le migliori pratiche di conservazione e salvaguardia del patrimonio e sviluppare la conoscenza e la diffusione della cultura e della storia dei popoli europei. Anche la Svizzera ha aderito all'iniziativa, con un ricco programma di eventi e manifestazioni Link esterno (https://www.patrimonio2018.ch/agenda?_ga=2.261722702.275966940.1534782594- 709344063.1534782594)in diverse regioni del paese.
(Traduzione dal francese: Stefania Summermatter)

 

 

Tutto pronto per le prime Giornate dedicate alle fortezze europee
Da agcult.it del 4 settembre 2018

Si terranno nel mese di settembre in nove paesi le prime Giornate europee dedicate alle fortezze. Simbolo della nostra storia comune, le fortezze sono preziose testimonianze della memoria collettiva ed espressione unica del nostro patrimonio culturale. Le Giornate della Fortezza – sotto l’egida dell’Anno europeo del patrimonio culturale – si svolgeranno dall’8 al 23 settembre. Saranno proposte attività in Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Croazia, Italia, Lituania, Paesi Bassi e Serbia.

NEL 2019 UNA GIORNATA SPECIFICA Le Giornate europee della Fortezza sono organizzate dalla Federazione europea dei siti fortificati (EFFORTS) e dalla fondazione olandese Stichting Liniebreed Ondernemen. Quest’anno gli eventi saranno “collegati” alle Giornate europee del patrimonio. L’obiettivo per il 2019, invece, sarà quello di dedicare una giornata specifica alle fortezze europee.

IN ITALIA  Per l’occasione, sabato 22 settembre ci saranno visite guidate a Forte Marghera (Venezia), imponente fortezza costruita a partire dai primi anni del XIX secolo dagli eserciti francese e austriaco. Oggi è monumento e parco pubblico che connette Venezia al Canal Salso e a diverse realtà che nella terraferma sono impegnate nella cultura e nella formazione. Forte Marghera è gestito dalla Fondazione Forte Marghera, creata nel 2015 dal Comune di Venezia, proprietario dell’area monumentale. CONFERENZA ANNUALE EFFORTS E’ proprio a Forte Marghera che la rete EFFORTS – fondata nel 2017 con l’obiettivo di valorizzare il patrimonio europeo delle fortificazioni – sta organizzando la sua Conferenza annuale. L’evento si terrà l’8 e il 9 novembre e sarà dedicato allo sviluppo, al riutilizzo e alla conservazione del patrimonio fortificato. Per approfondimenti: Giornate europee della Fortezza e Conferenza annuale EFFORTS (http://www.efforts-europe.eu/europeanfortress- day-and-efforts-annual-congress/)

 

 

La Fortezza di Verrucole, un’esperienza nel medioevo toscano nel cuore della Garfagnana
Da dailybest.it del 3 settembre 2018

Se capitate dalle parti di San Romano in Garfagnana, dovete assolutamente visitare la Fortezza di Verrucole. Una struttura spettacolare che si staglia su un colle dal quale è possibile ammirare le montagne dell’Appennino toscoemiliano. È uno dei monumenti più significativi della Garfagnana, che prende vita grazie al restauro e all’opera dei ragazzi dell’Archeopark, che rendono la Fortezza un museo vivente della vita nel medioevo toscano. La Fortezza di Verrucole è stata fondata dalla famiglia Gherardinghi tra il X e il XII secolo. Nel tempo ha il complesso è sopravvissuto alla guerra contro la Repubblica di Lucca e i feudatari di Verrucole sono riusciti a strapparla al Papa e al Sacro Romano Impero, finché verso la metà del 1450, sotto il dominio della famiglia d’Este di Ferrara ha sviluppato il suo aspetto attuale ed è stata trasformata in una cittadella costituita da due rocche, governata da due diversi castellani.Il comune di San Romano in Garfagnana ha acquistato la Fortezza nel 1986 dalla famiglia Angeloni Bresciani e nel 1994 ha iniziato un percorso di restauro conservativo in collaborazione con la a Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici di Pisa, Lucca, Livorno, Massa Carrara e della Sovintendenza archeologica di Firenze. Nel 2013 è stata aperta al pubblico sotto forma di Archeopark. Il progetto Archeopark Fortezza di Verrucole prevede la ricostruzione della vita all’interno della Fortezza così come è stata nel passato, sotto forma di archeopark, in altre parole un museo vivente. L’allestimento degli ambienti com’erano a partire del XIII secolo, la collocazione di orti e animali laddove erano (scelti filologicamente e nel rispetto delle specificità del territorio), la presenza di guide-animatori che illustrano storia e vita della Fortezza e nella Fortezza, dimostrazioni di mestieri tradizionali, laboratori didattici e spettacoli adatti al contesto: “Archeopark Fortezza di Verrucole” è sostanzialmente questo, un valore aggiunto alla struttura dato dall’insostituibile ricchezza della presenza umana e dalla passione. FONTE |
fortezzaverrucolearcheopark.it Una volta arrivati alla Fortezza sarete accolti dal personale in costume, che vi spiegherà in modo esaustivo la vita all’interno dei castelli del medioevo in tutte le sue sfumature, partendo dalla cucina per arrivare fino alle battaglie che si svolgevano al loro esterno. Grazie a loro scoprirete che queste ultime erano molto più rapide di come sono rappresentate nei film e nella fiction, che molti termini dell’italiano corrente discendono da quel tempo (ammazzare = colpire con la mazza, codardia = sparare col dardo della balestra) e che è un falso storico che nel medioevo l’aspettativa media di vita fosse molto inferiore alla nostra. Spesso il luogo è oggetto di rievocazioni storiche che fanno entrare i visitatori in una dimensione del tutto nuova, in una macchina del tempo che mostra le antiche battaglie nel modo più verosimile possibile. Un’esperienza divertente e istruttiva in una delle fortezze più belle d’Italia, circondati dalla natura e dal bellissimo paesaggio della Garfagnana.

Per tutte le informazioni visitate il sito ufficiale.

 

 

Un incredibile bunker costruito con decine di vecchi scuolabus
Da siviaggia.it del 3 settembre 2018

Un bunker molto particolare è stato realizzato in Canada circa 40 anni fa. Realizzato con vecchi scuolabus, è oggi celebre in tutto il mondo. Si chiama Ark Two. In Canada, per la precisione nel villaggio di Honing’s Mills (100 km circa da Toronto), è divenuta rapidamente celebre la fattoria di Bruce Beach, che ora ottiene riscontri anche a livello mondiale. A uno sguardo esterno e non approfondito, tutto sembra rientrare nella normalità, ma le cose sono ben diverse da come sembrano. Non si tratta infatti di una semplice tenuta rurale, dal momento che il proprietario ha deciso di nascondere qualcosa di gigantesco sotto le sue verdi distese. Si tratta di un rifugio antiatomico, ed è tra i più grandi (considerando quelli appartenenti a privati) dell’intero continente nordamericano. Dimensioni gigantesche, che giustificano il nome scelto, Ark Two, ovvero la Seconda Arca. La realizzazione ha avuto inizio circa 40 anni fa, ovvero nel 1980, arrivando fino a un’estensione totale sottoterra di circa 3mila mq. Ciò che però ha aiutato la fama di questo bunker a raggiungere quota mondiale, è la struttura di fondo scelta dal signor Beach, che ha sfruttato ben 42 scuolabus gialli per realizzare il suo progetto di una vita. L’idea gli venne a causa della situazione politica che il mondo viveva al tempo. La Guerra Fredda fece temere concretamente per lo scoppio di una guerra nucleare, di conseguenza Beach pensò di realizzare un luogo che fosse il più sicuro possibile e abbastanza ampio da dare riparo alle persone del posto. Un progetto bizzarro fondato su basi di pura solidarietà. Ad oggi il bunker è ancora attivo, dal momento che l’uomo non ha mai deciso di dismetterlo. Ritiene infatti che siano ancora reali le chance di una guerra mondiale, dalle conseguenze catastrofiche, dati gli armamenti odierni a disposizione delle potenze globali. Analizzando il bunker nello specifico, si scopre come abbia ogni dotazione necessaria per sopravvivere per lunghi periodi. Si va dalle ovvie scorte di cibo ai pozzi privati per il rifornimento idrico, passando pergeneratori elettrici, strutture mediche e impianti idraulici. La struttura è in grado di ospitare diverse centinaia di persone e, in casi estremi, dalle 350 alle 500. Dato il tempo trascorso, parte del cibo è stata gettata via e gli impianti avrebbero bisogno di una revisione. Difficile pensare però che il vecchio Bruce possa metterci mano, data l’età e gli impegni in tribunale con il governo, che contesta la costruzione, avvenuta senza regolari permessi. Inoltre i vigili del fuoco lo hanno invitato più volte a lasciare il luogo, ritenuto pericoloso. Sul web però i fan aumentano ed è stato creato un sito legato ad Ark Two, grazie al quale vengono spesso organizzati eventi e visite.

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Svevo – Angioino di Lucera
Da corrieresalentino.it del 2 settembre 2018

Il Castello di Lucera, conosciuto anche col nome di Fortezza Svevo – Angioina, risale al XIII secolo e rappresenta una poderosa costruzione militare ubicata sulla cima del Colle Albano, luogo che, grazie alla sua posizione ed alla sua cima piatta, sin da epoche remote ha costituito un baluardo di notevole importanza strategica poiché domina e sovrasta gran parte del Tavoliere delle Puglie. Non siamo a conoscenza di precedenti strutture difensive sulla sommità del colle, sebbene siano
state ritrovate vestigia di varie epoche storiche, dal neolitico sino al medio evo, inclusi resti di mura risalenti alla dominazione romana. Fu l’Imperatore Federico II di Svevia a far erigere una fortezza nel 1233, dopo che Lucera era divenuto un centro islamico a causa delle deportazioni di Saraceni cominciate dieci anni prima. Sotto il regno di Corrado IV di Svevia, figlio di Federico, la fortezza fu posta sotto il comando di Giovanni Moro. Con l’arrivo di Carlo I d’Angiò e la sua ascesa al trono di Napoli si aprirono le lottefra i sostenitori della causa sveva e quelli dell’angioino e, fra il 1268 ed il 1269, la città di Lucera fu posta sotto assedio sino alla sua caduta avvenuta per fame, nonostante la fiera resistenza opposta dai Saraceni. Presa la fortezza, nel periodo compresofra il 1269 ed il 1283, Carlo I d’Angiò provvede a rinforzarla cingendola con un muro di cinta di circa 900 metri che include al suo interno la precedente struttura sveva e munendola di fossato. All’interno della nuova fortezza fu costruita una vera e propria cittadella militare con case, caserme ed una chiesa in stile gotico che fu popolata da famiglie provenienti dalla Provenza, mentre la comunità islamica voluta dagli Svevi sarebbe stata totalmente eliminata da Carlo II d’Angiò nel periodo compreso fra il 15 ed il 25 agosto 1300, per volere del papato. Una cisterna cilindrica posta fra Porta Lucera e la Torre del Leone garantiva l’approvvigionamento idrico. Per citare alcuni degli architetti militari impegnati nell’edificazione della nuova fortezza, ricordiamo Pierre d’Angicourt, Riccardo da Foggia, Pierre de Chaulnes e Nicola di Bartolomeo da Foggia. A partire dal XVIII secolo furono demolite alcune strutture all’interno della cittadella ed i materiali reimpiegati nella costruzione di diversi edifici nel centro cittadino. Tale scempio sarebbe continuato se un secolo più tardi il castello non fosse stato dichiarato Monumento Nazionale e venissero avviati lavori di restauro. La struttura sveva, di cui oggi restano solo frammenti, si presentava a pianta quadrata su tre piani e con al centro un cortile centrale sempre quadrato, mentre l’ultimo piano si presentava in forma ottagonale. Non è stata trovata sino ad ora traccia del portone di ingresso. Il muro di cinta, alto 13 metri, circonda la collina ed ha un perimetro di circa 900 metri, interrotto da 13 torri quadrate, 2 angolari cilindriche denominate Torre della Leonessa o della Regina alta 25 metri, larga 14 e dotata di merli, e la Torre del Leone o del Re alta 15 metri e larga 8. Per finire, 7 contrafforti e due bastioni a pianta pentagonale completano i baluardi inseriti nella cinta. L’ingresso alla struttura viene garantito da quattro accessi: Porta Lucera, Porta Troia, Porta Guardiola e Porta Castel Fiorentino. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

(E)state al forte 2018: visite guidate gratuite al Forte Bravetta
Da mentelocale.it del 2 settembre 2018

L’iniziativa (E)state al forte 2018, a cura dell’associazione di promozione sociale Progetto Forti. A partire da domenica 2 e fino al 30 settembre, ogni venerdì dalle 17 alle 20 e ogni domenica dalle 10 alle 13, prenderà vita il calendario di visite guidate gratuite al Forte Bravetta, uno dei forti del Campo Trincerato di Roma, situato all’interno dell’omonimo parco e, più in generale, nel più ampio contesto naturalistico della Riserva Naturale delle Valle dei Casali a cavallo tra l’ XI e XII Municipio. Roma - Durante le visite verranno messi in luce sia gli aspetti architettonici che le vicende storiche che caratterizzano questo luogo, divenuto tristemente noto durante l’occupazione tedesca a Roma. Roma - Ad arricchire questa seconda edizione anche una sessione di Sketchcrawl all’interno del Forte: una diversa modalità di fruizione rivolta agli appassionati dell’acquerello attraverso la quale sarà possibile immortalare i migliori scorci del luogo e condividere la passione per il disegno. Scopo della manifestazione sarà quello di portare alla luce l’importante patrimonio architettonico fortificato della città e promuoverne la valorizzazione grazie ad una diversificazione dell’offerta culturale che prevede un graduale reinserimento all’interno del contesto urbano e dei servizi offerti alla cittadinanza.

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Copertino
Da corrieresalentino.it del 29 agosto 2018

Il Castello di Copertino è una delle opere militari più interessanti e suggestive presenti in Puglia, già nel 1886 dichiarato Monumento Nazionale e dal 1955 sottoposto a norme di tutela. Benché il suo attuale aspetto risalga alle modifiche effettuate nel XVI secolo, esso ha una storia più antica giacché rientrava nel programma di rafforzamento e ristrutturazione militare del Re di Napoli Carlo I d’Angiò. Il primo nucleo del castello risale infatti al periodo compreso fra la seconda metà del XIII secolo e gli inizi di quello successivo, come testimonia la torre alta a pianta quadrata, simile alle torri Magistra e Mozza nel Castello di Lecce. Tra l’altro il Castello di Copertino era anche sede amministrativa del capoluogo della Contea di Lecce, all’epoca governata da Gualtieri V de Brienne. In seguito al matrimonio fra la Principessa di Taranto e Contessa di Lecce Maria d’Enghien col Re di Napoli Ladislao d’Angiò – Durazzo, il castello diventava proprietà della corona, come testimonia il blasone recante le armi d’Angiò scolpito sul mastio, tuttavia alla morte del sovrano rientrava in possesso di Maria che nel 1419 lo concedeva in dote alla figlia di primo letto Caterina Orsini – del Balzo, in occasione delle sue nozze con Tristano Chiaromonte. Successivamente Isabella, nipote della suddetta Caterina, ebbe ancora la fortezza in dote per le sue nozze con Federico d’Aragona, che in seguito lo concesse, insieme a tutta la città di Copertino, ai Principi d’Albania Castriota – Scanderbeg. Nel XVI secolo, sotto il regno di Carlo V d’Asburgo, nel programma di adeguamento delle fortezze alle nuove esigenze difensive derivanti dall’impiego delle armi da fuoco, l’imperatore incaricò l’architetto militare Evangelista Menga di riprogettare il castello e l’aspetto che la fortezza presenta oggi è il frutto di tali interventi. I lavori terminarono nel 1540. Nel 1557 la fortezza fu acquistata dalla famiglia Squarciafico. Il Menga era nato a Francavilla Fontana e, diventato architetto ed ingegnere militare dell’Imperatore Carlo V, prestò la sua opera nella fortificazione delle piazze e dei castelli di Mola di Bari, Barletta e Copertino, costruiti secondo i nuovi criteri imposti dall’utilizzo delle armi da fuoco ed in special modo dalle moderne artiglierie nel corso delle battaglie, tuttavia il suo intervento di maggiore portata fu, senza dubbio, quello prestato nelle fortificazioni dell’isola di Malta, per conto del Cavalieri dell’Ordine Gerosolimitano. Il castello ha una pianta quadrangolare con quattro bastioni angolari a forma di lancia ed è circondato da un fossato per tutto il perimetro. Presenta un solo ingresso al quale si accede attraverso un ponte in pietra che sostituisce il precedente ponte levatoio ligneo. Il portale di ingresso, in stile catalano – durazzesco è artisticamente decorato e permette l’accesso ad un androne con percorso a baionetta, quale ulteriore sistema di frenaggio di eventuali assalitori. Infatti: “Nel lato lungo, opposto a quello del portone, è l’entrata nel cortile del castello, spostata molto a destra rispetto all’asse del portone, in modo da obbligare chi entrasse a percorrere l’androne per gran parte della sua lunghezza, e ad esporsi così alle offese, le quali, anzi ché di fianco, erano piombanti, per tre pimbatoie che si vedono nella volta dell’androne. Forse nei muri saranno anche state feritoie per difese radenti; ma di queste ora non si ha più traccia” (G. Bacile di Castiglione, Castelli Pugliesi, Arnaldo Forni Editore, Bologna, Rist. 1978, pg. 105). Nel cortile interno è possibile osservare ciò che resta delle fortificazioni anteriori ai lavori del Menga, tra cui il basamento scarpato della fortezza angioina. Sulla destra si trova il portale di ingresso alla Cappella di San Marco, di epoca rinascimentale mentre è possibile vedere anche l’ingresso alle scuderie, il portico del Palazzo Pignatelli con relativo blasone, l’ingresso alla sala angioina, oggi utilizzata come sala convegni. Il primo piano, invece, era utilizzato come residenza. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

STORIA ROVIGO Lo storico Luciano Chiereghin ha individuato la carcassa della imbarcazione che affondò davanti allo Scano della Mula nel 1944: oggi si trova sotto la spiaggia di Scano Boa

Da rovigooggi.it del 28 agosto 2018

ROVIGO - Ci sono voluti 70 anni, ma oggi è stato localizzato il relitto del piroscafo ausiliario della regia marina San Giorgio. Artefice della scoperta è lo storico Luciano Chiereghin, di Porto Tolle, ex dipendente Enel appassionato di reperti e misteri irrisolti, che ha annunciato di aver individuato quanto rimane della carcassa. Lungo 54 metri, largo 8, il piroscafo era stato costruito nel 1914, e già dal ’40 svolgeva il servizio di vigilanza foranea in Alto Adriatico. Requisito dalla Kriegsmarine dopo l’armistizio del 1943, il San Giorgio mantenne il prestigioso nome del santo molto venerato anche dai popoli nord-europei. La notte del 12 febbraio del 1944, nel corso di un normale servizio di pattugliamento, venne sorpreso da una violenta mareggiata di Bora in prossimità di Punta della Maestra, alle foci del Po. Il comandante della nave azzardò una pericolosa manovra di atterraggio alla foce del Po di Pila, Busa Dritta con l'intento di entrare nel fiume e mettersi al riparo della burrasca per poi risalire la foce e raggiungere il vecchio faro di Pila presieduto da un comando tedesco. La manovra non andò a buon fine e la nave rimase incagliata sul un basso fondale, intorno ai tre metri di profondità, a circa 200 metri dalla riva destra del ramo della foce del fiume, sbandando sul lato sinistro, rimanendovi insabbiata e semisommersa. L’equipaggio si portò in salvo sulla spiaggia del così detto “Scano della Mula” (oggi Scano Boa), non prima però, di aver contattato via radio il vicino comando tedesco chiedendo aiuto. "Dopo le operazioni di salvataggio dell’equipaggio e degli armamenti e del recupero del carbone dalla stiva, i tedeschi acconsentirono che i pescatori di Pila prelevassero dalla nave semisommersa tutto ciò che era asportabile, così nel giro di un paio di mesi quasi tutte le sovrastrutture scomparvero” spiega Chiereghin. "Rimasero così visibili solamente la coperta oramai spoglia e il cannone, installato in piazzola sopra il ponte del castello di prora; la sua rimozione risultava infatti difficoltosa in assenza di adeguati mezzi di sollevamento ma, sebbene spogliata di tutti i suoi accessori, con la bassa marea, la bocca da fuoco era visibile, fuoriuscendo parzialmente dall’acqua. Il relitto, quasi totalmente immerso, costituiva un pericolo per la navigazione e venne pertanto successivamente segnalato da parte della Capitaneria di Porto di Chioggia con una boa sormontata da un traliccio di 4 metri dotato di catarifrangente”. Con il passare del tempo il relitto sprofondò nell'alveo del fiume, a cominciare dalla poppa e nei primi anni ’60 del secolo scorso, ne era visibile solamente il cannone che, affiorando, rappresentava, ancora, un pericolo, sia per la navigazione fluviale ma soprattutto per il naviglio dei pescatori di Pila che, non possedendo strumentazione idonea per rilevare l’ostacolo di notte o in condizioni di scarsa visibilità, spesso entravano in collisione contro quell'ostacolo. In una scena notturna del film “Scano Boa” di Renato Dallara, tratto dal romanzo dello scrittore rodigino Gian Antonio Cibotto, è chiaramente visibile il cannone affiorante ricoperto di alghe ed incrostazioni. I pescatori di Pila dopo varie istanze indirizzate alla competente Capitaneria di Porto di Chioggia riuscirono ad ottenere solamente la rimozione del cannone che, fatto brillare con cariche esplosive dagli artificieri si abbattè fuori bordo, a fianco dello scafo. Tutto questo avvenne nel corso del1967. Il profondo mutamento dei fondali del Delta, degli ultimi '70 anni e in particolare quello dovuto al naturale ripascimento della spiaggia conseguì l'effetto che l’allungamento della spiaggia di Scano Boa si prolungasse in direzione Nord-Est di oltre 200 metri, ricoprendo così anche il punto dove era situato il relitto. Eseguendo la georefenziazione, utilizzando una aerofotogrammetria del volo Gai del 1949 Chiereghin ha individuato in mappa la sagoma e la relativa posizione del relitto. Dalle attuali immagini satellitari il San Giorgio risulta essere sotto il piano campagna della spiaggia di Scano Boa, in prossimità del bagnasciuga. Inoltre ha esaminato anche le foto all'infrarosso dell'archivio immagini satellitari di Google Heart dove ha intravisto l'immagine termica della nave giacente al di sotto della sabbia della spiaggia, non ancora coperta dalla vegetazione. Chiesta l'autorizzazione a procedere alla Soprintendenza per i beni Culturali e ambientali di Verona, inoltrando un'istanza per procedere a ulteriori indagini non invasive, con il massimo rispetto per l’ambiente per il ritrovamento sono state usate apparecchiature specifiche quali Gps, magnetometro e georadar sotto la direzione dell'ingegner Nicola Albertin e di Gianluigi Zanellato. Inoltre c'era l'appassionata di archeologia Sheila Mancini, anche l'esperto di recuperi navali Danilo Pellegrini e l'ingegner Giovanni Cecconi che ha documentato fotograficamente tutta l'operazione. Nel punto stimato si sono rilevati forti perturbazioni magnetiche sul monitor del magnetometro e altrettanti forti segnali anomali nel computer del Georadar. "Tutti questi dati sono stati memorizzati in un file che, se sarà necessario, verranno messi a disposizione delle autorità competenti. Queste anomalie magnetiche sono state rilevate in prossimità del punto ipotizzato per una lunghezza di circa 55 metri con direttrice Est-Ovest e per 10 metri in direzione Nord-Sud, il tutto a una profondità, stimata variabile dai 3 metri dal lato prua ai 5 metri lato poppa sotto la coltre di sabbia. Dai rilievi eseguiti, con il Magnetometro e con il Georadar, al di fuori dell’area circoscritta, non si è rilevato alcuna anomalia e tutto ciò mi permette di poter affermare con ragionevole certezza che si tratti effettivamente del relitto del San Giorgio, sepolto sotto le sabbie del delta del Po” conclude Chiereghin.

 

 

Ponti, Forte Ardietti torna a stupire
Da vocedimantova.it del 27 agosto 2018

Ponti Mancano pochissimi giorni alla grande rievocazione storica di Ponti sul Mincio. Da venerdì 31 agosto a domenica 2 settembre Opera Sesta regalerà un’esperienza unica all’interno della costruzione asburgica ottocentesca conosciuta come Forte Ardietti, il cui nome originario era Werk VI. Forte Ardietti è strutturalmente ben conservato, considerato anche che 170 anni fa non vi erano gli stessi materiali per costruire che ci sono oggi. Non solo costruzioni e divise, Opera Sesta ha studiato tutto nei minimi dettagli, anche il tipo di vivande e le attività da proporre nei tre giorni intrisi di storia. Anche l’inaugurazione non è stata trascurata: avverrà infatti alle 18.48 di venerdì 31 con la “salva” d’artiglieria e la visita guidata. Alla sera è prevista la cena ottocentesca, accessibile solo su prenotazione e il “Ballo della Rivolta”, con danze ottocentesche. Dal sabato mattina si entrerà nel vivo della rievocazione con lo sciopero del tabacco, una rivolta popolare contro i monopoli austriaci alle 11.30, una cannonata di mezzogiorno, seguita dal processo militare austriaco. Dopo un breve riposo si riprenderà alle 16.30 con la costruzione della barricata e il primo assalto, seguito dalla rivolta del pane delle 18.30, dalla battaglia notturna con effetti pirotecnici delle 21.30 e la musica. L’adunata popolare e la repressione militare avverranno la domenica alle 10, con giuramento delle reclute austriache alle 11.30, cannonata di mezzodì e infine la battaglia diurna tra austriaci e volontari alle 14.30. Adele Oriano Orlando

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Oria
Da corrieresalentino.it del 26 agosto 2018

ORIA (Brindisi) – Il Castello Svevo di Oria si erge sulla cima del colle su cui sorge la città, il Monte Vaglio, da dove lo sguardo si estende per chilometri in tutte le direzioni, costituendo un ottimo punto di osservazione per fini strategici sin da tempi remoti. Probabilmente l’area è la stessa su cui sorgeva l’acropoli dell’antica città messapica. Un primo nucleo della poderosa fortezza orietana è il torrione a pianta quadrata, risalente con molta probabilità alla dominazione normanna ma che successivamente venne conglobato in strutture più recenti nel corso dei secoli. Tuttavia fu sotto l’Imperatore Federico II di Svevia che il castello fu, secondo alcuni edificato, secondo altri ampliato e modificato in base alle nuove esigenze strategiche. In occasione del matrimonio fra il Puer Apuliae ed Isabella di Brienne il maniero fu residenza temporanea di diversi ospiti importanti. Dopo la morte di Federico II di Svevia e del suo diretto erede Corrado, avvenuta dopo pochi anni, Manfredi, figlio naturale dello Stupor Mundi, usurpò il regno al nipote, il giovane Corradino che dimorava in Germania. Oria ed il suo castello, schieratisi dalla parte guelfa, sotto la guida del valoroso Tommaso d’Oria resistettero strenuamente all’assedio condotto da Manfredi che, comunque, alla fine dovette abbandonare la piazza per timore di uno scontro con le forze pontificie. Nuove modifiche alla struttura vennero fatte in epoca angioina, quando furono erette le due torri cilindriche denominate rispettivamente del Salto e del Cavaliere. All’epoca dei due assedi condotti da Ladislao d’Angiò – Durazzo contro Taranto, nel Castello di Oria dimorò Maria d’Enghien, vedova di Raimondello Orsini – del Balzo, Principessa di Taranto e Contessa di Lecce, Soleto e San Pietro in Galatina, da dove guidava la resistenza dei Tarantini, coadiuvati da alcune forze leccesi, contro le truppe regie. Come sappiamo la disputa terminò con la proposta di nozze fatta da Ladislao e che Maria accettò diventando così Regina di Napoli. Il matrimonio fu celebrato a Taranto. Nel 1433 Oria fu investita e saccheggiata dalla furia del Caldora, comandante delle forze di Luigi III d’Angiò, durante la guerra scatenatasi in Puglia in seguito alla disputa fra Angioini ed Aragonesi per il trono di Napoli. Solo il castello riuscì a resistere. In seguito la città fu ripresa da Giovanni Antonio Orsini – del Balzo, figlio di Maria d’Enghien, Principe di Taranto, Duca di Bari, Conte di Lecce, Soleto e San Pietro in Galatina. Nel 1504 la struttura subì un altro assedio, condotto da Pietro de Paz, durante la guerra fra Spagnoli e Francesi per il trono partenopeo, conclusasi con la vittoria dei primi. I maggiori riadattamenti alla struttura risalgono al periodo compreso fra il XV ed il XVI secolo, in seguito alle nuove esigenze di carattere difensivo, determinate dalla comparsa ed evoluzione delle armi da fuoco. Di conseguenza il castello fu dotato anche di pezzi di artiglieria per meglio potersi difendere in caso di assedio. Negli ultimi tre secoli la fortezza è stata oggetto di ulteriori restauri e riadattamenti, specialmente dopo i danni causati da un tornado che lo investì nel 1897. Il maniero si presenta con una pianta triangolare isoscele con tre torri ed il Mastio. Allo spigolo settentrionale si erge la Torre Quadrata detta anche dello Sperone, risalente con ogni probabilità all’epoca sveva e particolarmente adatta alla difesa con armi da getto e con archi. Nella parte a sud c’è il Mastio o Donjon, come già asserito di epoca molto probabilmente normanna e che costituisce la parte più antica, sul quale tuttavia furono effettuati diversi riadattamenti nei secoli. La base di questo torrione presenta una scarpa che lo rende maggiormente difendibile dall’alto e meno soggetto ad assalti dal basso. Con l’avvento delle armi da fuoco, anche il Mastio fu dotato di idonei mezzi per la difesa. Le due torri cilindriche, dette del Salto e del Cavaliere, come già precedentemente osservato, risalgono all’epoca angioina e sono collocate sul versante meridionale alla destra del Mastio. La presenza di alcuni beccatelli su entrambe sembra indicare che probabilmente in origine reggevano un cammino di ronda ligneo di cui oggi non vi è traccia. Le due torri sono collegate da un angusto passaggio e la muraglia è anch’essa munita di scarpa. Nel 1933 il Comune di Oria cedette il Castello alla famiglia Martini – Carissimo, in cambio del Palazzo Martini, che divenne sede del Comune. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

Torna alla luce il bunker tedesco
Da laprovinciacr.it del 25 agosto 2018

CASTELVETRO - E’ tornato alla luce il bunker della Maginot, costruito dai tedeschi durante la Seconda guerra mondiale.

Acquistato alcuni mesi fa da Ivan Strazzoni, rappresenta un’eccezionale testimonianza che è ora a disposizione della comunità: il proprietario è infatti disposto a collaborare con il Comune, che intende avviare una ricerca sull’area, promuovere incontri e visite con le scolaresche. Ieri mattina il vice sindaco Pier Luigi Fontana ha incontrato proprio Strazzoni e la vicina di casa Maria Teresa Corradi, memoria storica del luogo.

Dopo aver visitato per la prima volta l’ex bunker e l’edificio adiacente che era un deposito carburante militare, Fontana si è detto entusiasta.

 

 

Porta Schiavonia, spunta un antico muro
Da ilrestodelcarlino.it del 24 agosto 2018

Forlì, 24 agosto 2018 - È spuntato un pezzo di muro, lungo circa un paio di metri, proprio davanti a Porta Schiavonia. Martedì gli operai, al lavoro per la realizzazione dei sottoservizi e della nuova viabilità che prevede la creazione di un paio di rotonde in viale Salinatore, si sono accorti del ritrovamento. Insieme a loro c’era un archeologo, presente sul posto sin dal primo giorno dei lavori, iniziati lo scorso 13 agosto. A confermare il fatto sono l’assessore comunale all’urbanistica Francesca Gardini e il dirigente comunale Dario Pinzarrone del Servizio viabilità. «A oggi – dichiara Gardini – il ritrovamento non costituisce un elemento di rallentamento dei lavori». Questo perché i tecnici, con apposite verifiche, stanno cercando di capire l’importanza storica del segmento di muro riemerso dal passato (i primi cenni dell’esistenza di Porta Schiavonia risalgono al 1282). «L’archeologo che ci segue dal primo giorno – continua Pinzarrone –, ci ha chiesto di allargare lo scavo per capire quanto sia esteso questo muro e di avvertire, cosa che abbiamo fatto, il responsabile della Soprintendenza Archeologica, belle arti e paesaggio competente per la nostra provincia». Quest’ultima è già stata in cantiere e ha ribadito la necessità di allargare l’area di scavo. Porta Schiavonia, l’unica porta della cinta muraria rimasta, è un’area, sostiene il dirigente, «dove ci aspettavamo di fare ritrovamenti simili». Nell'immediato dunque proseguiranno in parallelo gli scavi per i sottoservizi e le attività necessarie per capire l’importanza del ritrovamento. I lavori sono iniziati una decina di giorni fa per cercare di ridurre il più possibile l’impatto sulla viabilità, soprattutto in vista della riapertura delle scuole e si concluderanno entro la fine dell’anno. Parliamo di un intervento del valore complessivo di 400mila euro, di cui ‘solo’ 330mila euro garantiti. «Questi ultimi sono fondi che metterà il Comune di Forlì – continua Gardini –, mentre ne restano fuori 70mila, rispetto ai quali attendiamo chiarimenti». I 70mila euro erano infatti stati garantiti dal bando per le periferie degradate (il governo ha congelato gli stanziamenti di questo bando fino al 2020) e sarebbero serviti per la creazione di un sistema di illuminazione di Porta Schiavonia oltre che per un attraversamento protetto al suo interno. È presumibile pensare che, nel caso questi soldi non dovessero arrivare in tempi brevi, sarà il Comune a levarseli di tasca. La parte economicamente più consistente dell’intervento servirà per creare due rotonde su viale Salinatore, una davanti a Porta Schiavonia (questa la prospettiva per chi arriva da Faenza), l’altra lungo il viale, grossomodo davanti al complesso che ospita la Coop e il Diagonal.

 

 

Marina di Ravenna, il grande bunker tedesco torna a vivere
Da ilrestodelcarlino.it del 24 agosto 2018

Marina di Ravenna (Ravenna), 24 agosto - Curiosità e interesse da parte di residenti e di qualche turista alla speciale ‘Serata bunker’ che si è tenuta ieri sera a Marina di Ravenna, tra il Bar Timone e il ristorante Frontemolo a cura de ‘La Bella Marina’ e del Comitato Ricerche Belliche 360°. Per la prima volta, è stato possibile ammirare il grande bunker tedesco di viale delle Nazioni 2/4, costruito tra il dicembre 1943 e il gennaio 1944, durante la seconda guerra mondiale. Per l’occasione è stato ripulito e reso visibile dai componenti del Comitato Bunker Tour Ravenna seguendo l’esempio di quanto fatto dal Comitato Ricerche Belliche 360° di Walter Cortesi a Cesenatico. «Si tratta del bunker più grande del territorio perché dotato di ben quattro stanze – racconta il promotore e studioso Bruno Zama –. I tedeschi infatti lo utilizzavano per la difesa del porto, visto che attorno all’epoca non c’erano altro che spiaggia e mare, e al suo interno aveva un cannone. Mentre gli altri che si trovano in zona servivano per lo più per difendere i soldati durante i bombardamenti. A costruire questo bunker gigante sono stati tanti ragazzini di Marina, su ordine dell’organizzazione tedesca Todt, costretti a lavorare come schiavi per timore di veder partire i genitori verso i tanto temuti lager». A rendere unico questo bunker è anche il muro paraschegge in mattoni e cemento, introvabile negli altri 90 manufatti sparsi tra Casal Borsetti e Punta Marina lungo la linea Gotica, ma anche il cancello scheggiato dai colpi delle mitragliatrici e dalle bombe dei caccia inglesi. Una volta terminata la guerra, nel corso degli anni Cinquanta, il muro paraschegge è stato utilizzato in estate per la proiezioni di film, mentre le stanze del bunker come spogliatoi per le donne che andavano in spiaggia.

 

 

Trincee e tunnel della Grande guerra riaffiorano sul passo del Maniva
Da ilgiorno.it del 24 agosto 2018

Collio, 24 agosto 2018 - Il bresciano non è solo la terra della Guerra Bianca in Adamello, ma anche quella dello sbarramento delle Giudicarie e delle linee difensive che correvano dal Dosso alto e dal passo del Maniva verso Crocedomini. Luoghi forse meno conosciuti rispetto a quelli dell’Alta Valle Camonica, ma che conservano testimonianze e tracce altrettanto preziose del primo conflitto mondiale. Per questo motivo da alcuni anni la Sezione Ana di Brescia sta lavorando per il recupero di una serie di manufatti bellici che ricadono nel comune di Collio, che allora si trovava sul confine con l’Impero Austroungarico. L’apertura ufficiale è prevista per il prossimo tre novembre, in occasione del centenario della fine della prima guerra mondiale. Da allora scolaresche, appassionati e turisti potranno visitare tunnel, trincee e persino un bunker, che sarà aperto su richiesta solo con accompagnatore designato dall’Ana. «Il progetto iniziato quattro anni fa – spiega il presidente dell’Ana di Brescia Gianbattista Turrini – è imponente e vuole essere il nostro tributo in memoria dei caduti e di tutti coloro che combatterono la Prima Guerra Mondiale». Tutte le opere eseguite si sono basate sul volontariato. Sono volontari i progettisti, i direttori dei lavori, i responsabili della sicurezza, gli escavatoristi, i capo cantiere e i manovali. Il materiale utilizzato, salvo quello per mettere in sicurezza l’ingresso al bunker, è stato tutto donato da aziende della zona: la ditta Gerardini Fabio, la Ottavio Lazzari e figli, Portieri Firmo e Olli Scavi. «In totale nel corso di quattro anni hanno lavorato gratuitamente oltre 300 Alpini – spiega il direttore dei lavori ingegnere Fabio Lazzari – per un totale di oltre 2mila ore». I membri dell’Ana di Brescia, provenienti da tutti i gruppi del territorio, sempre supportati dai colleghi di Collio e San Colombano, hanno riportato alla luce otto tunnel ormai pieni di terra e detriti, pozzi di aereazione, postazioni di avvistamento e trincee che si trovano lungo il sentiero 3v per il Dosso Alto. La grande opera, però, è stata la riapertura del bunker e della casa matta che si trovano sul Monte Maniva, che è terminata una ventina di giorni fa.

 

 

Superlavoro per la base di Poggio Renatico (Fe) dell’Aeronautica Militare
Da sestopotere.com del 23 agosto 2018

Continua l’attività di sorveglianza, identificazione e controllo dell’11° Gruppo Difesa Aerea Missilistica Integrata (DAMI) dell’Aeronautica Militare base di Poggio Renatico (Fe).

Nella notte tra il 15 e il 16 Agosto, un elicottero AB 212 dell’80° Centro Combat SAR (Search And Rescue) di Decimomannu, del 15°Stormo dell’Aeronautica Militare, è intervenuto in soccorso di 5 ragazzi romani tra i 20 e i 24 anni bloccati su uno scoglio nelle vicinanze di Porto Cervo.

L’elicottero è decollato a seguito dell’attivazione da parte del Comando delle Operazioni Aeree di Poggio Renatico (Fe), raggiungendo la zona dopo circa un’ora e 15 minuti di volo. Le operazioni di salvataggio, avvenute in collaborazione con la Guardia Costiera giunta subito sul posto e rimasta a presidiare i ragazzi fino all’arrivo dell’elicottero, si sono rese particolarmente complicate a causa delle condizioni avverse del mare. I ragazzi, già in un primo stadio di ipotermia, sono stati tratti in salvo dall’aerosoccorritore tramite il verricello e trasportati urgentemente all’aeroporto di Olbia.

Nei giorni scorsi è stato attivato un altro ordine di decollo immediato (in gergo tecnico detto “scramble”) per due velivoli da caccia F-2000 Eurofighter del 36° Stormo di Gioia del Colle dell’Aeronautica Militare, in servizio di allarme per la difesa dello spazio aereo nazionale, che hanno intercettato e controllato un velivolo civile – un CESSNA 650 di nazionalità francese che era decollato da Parigi ed era diretto in Grecia – che aveva perso il contatto radio con gli enti del traffico aereo.

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Acquaviva d’Aragona di Conversano
Da corrieresalentino.it del 22 agosto 2018

Il castello di Conversano risale alla dominazione normanna, con molta probabilità dopo il 1054, anno in cui sembra abbia avuto inizio la lunga linea dei Conti della città. Fu Goffredo de Hauteville, nipote di Roberto il Guiscardo, ad assumere per primo il titolo di Conte di Conversano. La fortezza aveva funzioni esclusivamente militari e si presentava a pianta quadrangolare trapezoidale con quattro torri angolari, incastonato nei resti delle mura dell’antica città peuceta. Degli originali torrioni di epoca normanna ne sopravvive oggi soltanto uno, posto all’angolo occidentale del castello e detto: Torre Maestra, caratterizzata da una muratura spessa e resistente munita di poche finestre e piccole feritoie. Questa
torre subì nel tempo diversi adeguamenti sino al suo completamento avvenuto sotto la signoria della famiglia Brienne nel XIII secolo. Sul lato sudorientale fu edificata successivamente una seconda torre simile alla Maestra benché di minori dimensioni, caratterizzata da finestre in stile gotico e, sulla terrazza, da un belvedere con suggestive arcate. Agli Hauteville, o Altavilla, successero diverse famiglie comitali fra cui Bassavilla, Gentile, Brienne, d’Enghien. Nel 1422 diventa Conte di  Conversano Giovanni Antonio Orsini del Balzo, Principe di Taranto, Duca di Bari, Conte di Lecce, Soleto e San Pietro in Galatina, figlio di Raimondello e Maria d’Enghien. Questi concede la contea in dote alla figlia naturale Caterina, in occasione delle sue nozze col Duca di Atri e Conte di Teramo Giulio Antonio Acquaviva. Furono proprio i conti della famiglia Acquaviva ad effettuare le diverse modiche che cambiarono volto al castello da originaria fortezza militare a residenza lussuosa, pur consolidando ed ammodernando, al passo con l’evolversi dei tempi, il suo carattere militare. Sul lato settentrionale venne sostituita la torre quadrangolare con una cilindrica, probabilmente proprio su iniziativa di Giulio Antonio Acquaviva che provvide anche ad incastonare nelle mura il blasone con le duplici armi degli Acquaviva e degli Orsini del Balzo. Andrea Matteo, figlio di Giulio Antonio commissionò entro i primi anni del XVI secolo l’edificazione della torre dodecagonale, la cui forma era stata appositamente studiata per resistere al fuoco delle artiglierie da assedio, mentre strette feritoie consentivano il posizionamento dei pezzi adibiti alla difesa. La famiglia Acquaviva, che tra l’altro godeva anche della signoria di Nardò, contribuì più di ogni altra a trasformare il castello in una vera e propria reggia, ricca di opere d’arte, sino al XVIII secolo, quando optando per il trasferimento a Napoli capitale del regno, cominciò a diradare sempre di più le sue permanenze a Conversano sino a quando, nel 1856, il castello fu affittato al sacerdote Francesco Ramunni, successivamente divenutone proprietario, e che a causa di problemi economici divise la struttura in vari appartamenti che vendette a privati. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

La vita di guerra proposta alla Batteria Roncogno a Trento
Da ladigetto del 21 agosto 2018

La suggestiva Batteria Roncogno sarà teatro mercoledì 22 agosto del quinto e ultimo appuntamento con la visita teatralizzata «Come queste pietre è il mio pianto», a cura della Compagnia Homless. L'evento è inserito nel cartellone della quarta edizione della rassegna Sentinelle di Pietra. Due le occasioni di visita: alle ore 18 e alle 19. La piccola casamatta che sorge sul lato est della città di Trento e costruita per controllare possibili incursioni dalla Vigolana, ospita dunque un nuovo appuntamento del mini-ciclo «Visite teatralizzate - Percorsi immersivi nei forti» che propone qui «Come queste pietre è il mio pianto», esperienza sensoriale di grande impatto a cura della Compagnia Homless. Un evento di grande originalità, poiché si propone in primis il coinvolgimento diretto dei visitatori: a partire dall'accoglienza all'interno del forte, dove saranno vestiti come i soldati, con pastrani militari, e dotati di coperte e lanterne, gli spettatori saranno coinvolti dagli attori della compagnia nel ripercorrere i momenti di vita quotidiana all''interno di una struttura come la Batteria Roncogno; dall'attesa dei bombardamenti, alla logorante paura degli attacchi, all'aspettativa per l’arrivo della posta, immergendosi in prima persona nei sentimenti di sconforto, rabbia, paura. Info e prenotazioni: CNGEI |+39.335.7859468 | giulio.giacomoni@cngeitrento.it | www.cngeitrento.it. La struttura è raggiungibile dirigendosi dalla città verso Passo Cimirlo-Povo ed è possibile lasciare l'auto al parcheggio di Passo Cimirlo e raggiungere a piedi il luogo dell'evento. La Batteria Roncogno sorge sulle pendici del monte Celva sopra la città di Trento, ed è stata costruita tra il 1879 e il 1880; è una casamatta di pietra calcarea a forma di ferro di cavallo che fu ammodernata nel 1904, ma poi abbandonata nel 1915 perché di architettura troppo vecchia ed ormai obsoleta. Nel 2010 sono iniziati i lavori di recupero che hanno restituito questa struttura alla comunità. Sentinelle di Pietra, giunta alla quarta edizione, è un'iniziativa promossa dal Servizio attività culturali della Provincia autonoma di Trento e curata dal Centro servizi Santa Chiara e dalla Fondazione museo storico del Trentino e coinvolge 19 fortificazioni distribuite sull'intero territorio provinciale con eventi culturali, momenti di riflessioni, rappresentazioni musicali, teatrali ed artistiche in un cartellone molto ricco che si concluderà domenica 16 settembre a Forte Garda.

 

 

Visitatori da tutta Italia per i bunker antiaerei: quasi 4mila gli ingressi
Da gazzettadimantova.it del 19 agosto 2018

CAVRIANA. A un anno di distanza dalla convenzione fra il Comune di Cavriana e l’associazione Xplora per la gestione dei bunker antiaerei, è tempo di bilanci. L’apertura, avvenuta in via sperimentale per la prima volta durante la Fiera di san Biagio del 2017, ha portato a Cavriana 3.792 persone. È quanto si apprende dal report annuale che l’associazione ha fatto pervenire al Comune. Di questi, 1.491 sono gli ingressi gratuiti della prima apertura, avvenuta proprio in occasione della fiera del 2017. Per quanto riguarda, invece, gli ingressi in occasione delle Serate Chic (a oggi ne sono state realizzate due a Villa Mirra) e degli eventi speciali, Xplora fa sapere che sono stati 1.094, anche in questo caso tutti gratuiti. Sono invece 1.207 gli ingressi domenicali. Proprio l’apertura domenicale è oggetto dell’accordo siglato fra Comune e Xplora che prevede l’apertura dei bunker, gratuita per i residenti di Cavriana e a pagamento per chi non abita nel comune morenico. Il totale, dunque, degli ingressi ha fatto segnare un incasso di 1.511 euro. Sono, dunque, 397 gli ingressi paganti mentre 811 sono quelli gratuiti (abitanti di Cavriana e bambini). Al Comune, come da accordo, spetta il 10% degli incassi, e cioè 151 euro. «Siamo soddisfatti - commenta il vicesindaco Matteo Guardini - perché questa iniziativa porta a Cavriana gente che arriva da tutta Italia».

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Episcopio di Grottaglie
Da corrieresalentino.it del 19 agosto 2018

Il primo nucleo del Castello Episcopio di Grottaglie è con ogni probabilità il Mastio, corrispondente alla torre centrale o Torre Maestra e risalente al XIV secolo. La struttura venne realizzata su commissione di Giacomo d’Atri, Arcivescovo di Taranto, che provvide ad ordinare anche la costruzione della cinta muraria e della chiesa matrice, ed oltre alla suddetta torre comprendeva anche il versante orientale. Per interi secoli il castello fu simbolo del potere feudale e dell’autorità ecclesiastica della Cura vescovile di Taranto. Ulteriori interventi di ampliamento portarono all’aggiunta di nuovi corpi di fabbrica e già nei primi anni del XV secolo il castello doveva apparire composto dalla Torre Maestra, dalla cinta muraria, da due torri addossate alle cortine, nonché dagli ambienti al piano nobile adibiti a residenza arcivescovile. In una monografia di Monsignor Blandamura, risalente al 1933, il castello viene descritto come una roccaforte di tipo medievale, con una torre altissima a pianta rettangolare nel cortile e provvista in cima di merli con la sola eccezione del lato orientale che ne presenta solo uno, tuttavia la lacuna è colmata dalla presenza di un piombatoio atto a lanciare pietre ed altri oggetti. Il Blandamura parla anche di olio bollente, tuttavia tale affermazione è erronea poiché l’olio era un bene troppo prezioso per essere sprecato, invece si lanciava sul nemico assediante acqua bollente. In epoca barocca la struttura venne ingrandita e riadattata, con l’aggiunta di una facciata nello stile tipico dell’epoca. Passato nelle mani del Comune di Grottaglie, il castello è stato sottoposto ad interventi di restauro ed oggi viene adibito come sede per eventi culturali ed artistici. Inoltre negli ambienti che un tempo ospitavano le stalle vi è il Museo delle Ceramiche di Grottaglie. Nel complesso la struttura, ubicata nel quartiere delle ceramiche, ha una pianta quadrangolare. La Torre Maestra ne ha una rettangolare e si sviluppa su tre livelli indipendenti e staccati dal corpo di fabbrica principale. Quest’ultimo che, come già asserito, fungeva da residenza dell’Arcivescovo, appare arricchito da un loggiato interno. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

Alla scoperta dei forti dell’Argentario: cultura e solidarietà uniscono le forze
Da grossetonotizie.com del 18 agosto 2018

Cultura e solidarietà si uniscono in una manifestazione che si terrà lunedì 20 agosto. “Storia e paesaggi: i forti dell’Argentario” è una visita guidata alle fortificazioni di Porto Ercole e Porto Santo Stefan,o il cui ricavato sarà devoluto al progetto “Argentario cardioprotetto” per l’acquisto di un defibrillatore. L’iniziativa, che attraversa le maggiori testimonianze storiche dell’Argentario, è organizzata dal Rotaract Club Monte Argentario e dal circolo storico culturale Hercoletto – Amiamo Porto Ercole, con il patrocinio del Comune di Monte Argentario. Il programma Si inizia alle 14.30 con il ritrovo in piazza Amerigo Vespucci a Porto Ercole; quindi, alle 15.00, passeggiata a Forte Filippo; alle 16.00 visita a Forte Stella; alle 17.00
visita alla Rocca Aldobrandesca ed alle 19.00 aperitivo nella Fortezza Spagnola di Porto Santo Stefano. Il costo, comprensivo di visita ai forti e aperitivo, è di 15 euro, interamente destinati al nuovo defibrillatore. Per informazioni e prenotazioni, è possibile consultare la pagina Facebook Rotaract Club Monte Argentario o l’indirizzo e-mail:rotaractmonteargentario@gmail.com.

 

 

Archeologia da Guerra Fredda. Scoperto per caso un nuovo tratto del muro di Berlino
Da exibart.com del 16 agosto 2018
Quante volte capita di vedere un muro sbrecciato, invaso da piante rampicanti e ricoperto da graffiti? Tante ma se ci si trova a Berlino potrebbe trattarsi proprio di quel muro, solo che, in questo caso, pare che nessuno lo sapesse. È stato ritrovato per caso, da alcuni abitanti della città, durante una passeggiata, un tratto di muro lungo circa 20 metri che a prima vista potrebbe sembrare un residuo urbano qualunque ma, invece, ha subito destato qualche sospetto. «Abbiamo iniziato a discutere e qualcuno ha suggerito che forse faceva parte del Muro di Berlino», ha detto Ephraim Gothe, consigliere comunale per lo sviluppo urbano nel quartiere Mitte, che era con il gruppo. E l’intuizione è stata giusta. 
Secondo le ricostruzioni, il pezzo non faceva parte dello sbarramento sul lato occidentale, la sezione più comunemente associata al muro di Berlino, invece si tratta di una barriera più sottile e piccola, facente parte del perimetro difensivo esterno del muro, che impediva ai tedeschi dell'Est di avvicinarsi alla barriera principale, vicino al valico di frontiera di Chausseestrasse. Gli esperti sono stati in grado di confermare la sua autenticità in base ai materiali utilizzati per costruirlo. 
Il nuovo frammento della barriera, forse il simbolo più conosciuto della Guerra Fredda e il cui anniversario della costruzione è ricaduto proprio pochi giorni fa, il 13 agosto, si trova su un terreno di proprietà di una società immobiliare, su un appezzamento a ridosso del fiume Panke. L’area è interessata a un processo di riqualificazione e, con ogni probabilità, il pezzo appena scoperto potrebbe essere integrato nel progetto, come un monumento.

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Monte Sant’Angelo
Da corrieresalentino.it del 15 agosto 2018

Le prime notizie relative all’edificazione di una struttura fortificata a Monte Sant’Angelo risalirebbero all’837, ad opera del Vescovo di Benevento e Siponto Orso I. Sicuramente doveva trattarsi di un fortilizio bizantino. Nel XI secolo furono prima il Conte di Aversa Rainulfo, quindi Roberto il Guiscardo, ad edificare insieme alla cinta muraria cittadina anche la Torre dei Giganti, nucleo originario del castello con un’altezza di 18 metri, uno spessore delle mura di 3 metri ed una pianta pentagonale, che ben presto divenne un importante baluardo a difesa del Gargano. Sempre in epoca normanna fu edificata anche la Torre Quadra. Inoltre esistevano delle aree residenziali, in cui trovavano alloggio il comandante del presidio e gli ufficiali, e ambienti adibiti a magazzini, scuderie, cisterne per i rifornimenti idrici, falegnameria, forno e chiesetta. Successive modifiche, come ad esempio la Sala del Tesoro, furono operate da Federico II di Svevia che, tra l’altro, dimorò nella fortezza insieme alla Contessa Bianca Lancia, sua amante prediletta e madre di suo figlio Manfredi e di altre due figlie. Sotto la dominazione angioina il castello fu tristemente noto come prigione, ubicata nei sotterranei della Torre dei Giganti, in cui furono reclusi personaggi celebri come la Principessa sveva Filippa d’Antiochia che proprio qui morì nel 1273, e la Regina di Napoli Giovanna I che molto probabilmente fu uccisa nella fortezza. Inoltre nel Castello di Monte Sant’Angelo nacque il Re di Napoli e d’Ungheria Carlo III d’Angiò – Durazzo. Subentrati sul trono gli Aragonesi, la cui influenza stilistica è particolarmente evidente nella struttura, venne costruito il Torrione a Mandorla e scavato un fossato che poteva essere scavalcato da un ponte levatoio ligneo, ora sostituito da uno in pietra. Nel periodo compreso fra il 1491 ed il 1497 furono effettuati alcuni adeguamenti e rinforzi ad opera dell’Ingegnere Militare Francesco Martini, per rendere la struttura idonea a resistere all’urto delle armi da fuoco, specialmente delle artiglierie. In questo periodo venne eretto anche il Torrione di Testata, caratteristico per la sua forma a carena di nave e che riporta come data l’anno 1493. Nel tempo il castello venne rinforzato con due torri tronco-coniche, e da cortine munite di feritoie. Nel 1552 il maniero, con l’intero feudo, furono acquistati dalla famiglia Serra Grimaldi alla quale ne sarebbero successe delle altre sino al 1802, quando fu ceduto al Municipio che, nel 1810, ne divenne definitivamente proprietario. Ad opera del Comune di Monte Sant’Angelo negli ultimi secoli sona stati effettuati diversi lavori di restauro. La fortezza ha una pianta trapezoidale irregolare, allungata all’angolo orientale che termina nel bastione a carena di nave. Si accede all’interno attraverso un portone, dopo aver scavalcato il fossato sul ponte di pietra a due arcate, e subito si trova sulla destra il corpo di guardia con adiacenti le scuderie e l’armeria. Sul lato opposto una prima porta permette di accedere all’esterno, mentre una seconda consente di raggiungere, attraverso una scala, la sommità del bastione a carena. Procedendo dritti, invece, si giunge al cortile interno delimitato dalle postazioni per la difesa del fossato e dalle due torri cilindriche, fra le quali è posto il portale del corpo di fabbrica centrale. Attraverso un’altra scala si sale al piano superiore ed è possibile visitare la Sala del Tesoro, caratterizzata da un soffitto a volte sostenuto da un unico grosso pilastro al centro ed illuminata da una sola finestra. La stessa scala consente di accedere agli appartamenti residenziali.Cosimo Enrico Marseglia

 

 

Roma, un museo per conoscere le sue mura difensive
Da turismo.it del 13 agosto 2018

Che Roma sia un museo all’aria aperta, non è un luogo comune, ma un dato di fatto. Visibili e tangibili sono tantissime testimonianze della ricca storia della città, incluse quelle che, a volte, si danno per scontate. E’ il caso della cinta muraria, anzi delle cinte murarie, che un tempo la circondavano e la difendevano, oggi elementi urbani accanto ai quali il traffico scorre imperturbabile, o le antiche porte dei loro accessi, divenute ‘accessorio’ cittadino. In verità, le mura di Roma sono un mastodontico monumento dell’antichità, che vantano una storia millenaria. Per sottolineare l’importanza di tali opere architettoniche, dal 1990 esiste un museo ad esse dedicato. Il Museo delle Mura è una interessante variazione ai classici percorsi turistici della capitale, e si trova all’interno della Porta San Sebastiano delle Mura Aureliane. Un itinerario didattico la cui idea nacque già in epoca precedente alla guerra, ma che per diversi anni non poté diventare realtà per vicissitudini burocratiche e politiche: i locali cambiarono uso e destinazione più volte, fino ad arrivare al 1990, anno dell’inaugurazione del Museo delle Mura compreso tra alcuni locali di Porta San Sebastiano e una parte del cammino di ronda delle mura. Le Mura Aureliane sono l’opera muraria più grande e meglio conservata. In verità non sono le più antiche: sono infatti precedute dalle Mura Serviane, la prima cinta urbana del VI secolo a.C., della quale però rimangono pochi resti in un tracciato che circonda il centro storico. Le Mura Aureliane appartengono invece al III secolo a.C. e furono ordinate da Aureliano per difendere la capitale dell’Impero dagli attacchi dei barbari. Furono costruite piuttosto in fretta, e diverse strutture architettoniche già esistenti vennero inglobate nel tracciato. Il percorso era ben più ampio delle
precedenti, ed era costituito da mura in mattoni alte circa 6 metri, dotate di una torre di pianta quadrata circa ogni 30 metri. Tra le porte più importanti, alcune delle quali ancora perfettamente visibili e parte dell’urbanistica, quella dedicata a San Sebastiano, che in origine era detta Porta Appia, visto che ad essa si giungeva al termine della via Appia. Sia la cinta muraria che la porta Appia subirono numerosi restauri nei secoli, venendo innalzate, amplificate, fortificate in base alle necessità e all’evoluzione della tecnica (e delle armi da cui si dovevano difendere). Successivamente, furono fatte erigere altre cinte murarie, che dovevano difendere specificatamente lo stato pontificio, ovvero le mura Leonine dell’800 d.C. e le mura Gianicolensi, del 1600. Insomma, seguire il tracciato delle mura di Roma e immergersi nella loro storia è un modo interessante di conoscere una cronistoria della città integrandola con l’epoca moderna.

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Carlo V a Lecce
Da corrieresalentino del 12 agosto 2018

LECCE – Il primo nucleo del Castello di Lecce, corrispondente all’incirca al corpo centrale interno dell’attuale fortezza cinquecentesca, sorse come residenza dei conti, signori della città, in epoca normanna e di cui restano ben poche tracce costituite da una struttura muraria risalente alla seconda metà del XII secolo. Questa prima fortezza andò distrutta insieme alla cinta muraria della città durante la spedizione contro le città pugliesi condotta dal Re di Sicilia Guglielmo I de Hauteville detto il Malo. Rientrato a Lecce dal suo esilio in Grecia, il Conte di Lecce Tancredi de Hauteville provvide a riedificare la cinta ed il castello prima di salire egli stresso al trono. Nelle successive epoche sveva ed angioina la fortezza fu rinforzata e di essa restano due torri superstiti a pianta quadrangolare: la Torre Magistra all’angolo nordorientale e la Torre Mozza all’angolo sudorientale. Subentrati sul trono di Napoli gli Angioini, ben presto scoppiò la Guerra dei Vespri Siciliani e l’allora Conte di Lecce Ugo III de Brienne si schierò dalla parte di Carlo d’Angiò. Nel 1285 le armate di Ruggero di Lauria, prendevano Gallipoli, spingendosi fino a Lecce che subì un violento sacco. Il castello ebbe seri danni, e gli abitanti abbandonarono la città. Riconquistatala, Ugo la riedificò, ridandole lo splendore di un tempo. Nel 1296, in seguito alla ripresa della guerra, Lecce subì un nuovo assalto da parte di Ruggero di Lauria che, con manovre celeri e spedite, in piena notte la espugnò e la saccheggiò, dimostrando la debolezza delle strutture difensive della città, che necessitavano di un urgente adeguamento. Il Conte Ugo de Brienne, corso ancora una volta in difesa della città e del castello, venne gravemente ferito e dopo poco morì. Negli secoli successivi il maniero fu residenza dei Conti di Lecce, fra cui Maria d’Enghien, che lo preferirono all’ormai scomparso Palazzo dei Conti che venne venduto, abbattuto e sull’area costruiti altri palazzi signorili. Nel 1539 l’Imperatore Carlo V d’Asburgo emanò l’ordine di rinforzare e ristrutturare il vecchio castello medievale, rivelatosi nel corso dei secoli ben poco solido e difficilmente difendibile, con un nuovo maniero in linea con le nuove concezioni di ingegneria militare. I lavori furono affidati all’Ingegnere Generale del Regno di Napoli Gian Giacomo dell’Acaya, Signore di Segine che in suo onore fu rinominata Acaya, ed ebbero inizio lo stesso anno per terminare probabilmente nel 1553, anno della morte del Vicerè Pietro de Toledo. In seguito all’ordine imperiale il castello fu denominato di Carlo V. Durante tale opera di ampliamento e rinforzo andò demolito l’antico convento dei Padri Celestini con l’annessa chiesa di Santa Croce, al cui interno c’era la tomba della Regina di Napoli, Principessa di Taranto e Contessa di Lecce Maria d’Enghien. In contemporanea al rinforzo del castello, il dell’Acaya provvide a risistemare anche la cinta muraria della città. La fortezza presenta una pianta quadrangolare con quattro bastioni, uno per ogni angolo, che procedendo in senso orario da ovest verso est sono chiamati: di Santa Croce, di San Martino, di San Giacomo e della Santissima Trinità. I bastioni sono collegati da quattro spesse cortine, rinserrate dagli stessi, e che presentano diverse bocche in cui venivano posizionati cannoni e bombarde, fra le quali si distinguono le cosiddette bocche traditore destinate al tiro radente per cogliere sul fianco eventuali truppe nemiche in fase di avvicinamento, col fuoco a mitraglia dei pezzi di artiglieria. Il castello era circondato da un ampio fossato colmato nel 1872 poiché era diventato una vera e propria discarica a cielo aperto. Se il maniero medievale risultava interamente incluso all’interno della cinta muraria cittadina, quello cinquecentesco ne usciva in parte fuori ed i bastioni di San Giacomo e della Santissima Trinità con relativa cortina si affacciavano all’esterno. Una caratteristica del Castello di Lecce, a differenza di altri manieri pugliesi è rappresentata dai fianchi ritirati che, inoltre, si riscontrano anche nella cinta muraria della città. Come riporta il Bacile di Castiglione: “In conclusione Lecce con la sua cinta bastionata (l’unica cinta bastionata esistente nelle Puglie) e col suo castello presenta la forma più evoluta che della fortificazione moderna si abbiano le Puglie, onde a ragione era stimata <<una fortezza che merita il primo posto per il suo modo e maniera militare>>” (G. Bacile di Castiglione, Castelli Pugliesi, Arnaldo Forni Editore, Bologna, Rist. 1978, pg. 173) Due erano le porte di accesso cui corrispondevano altrettanti ponti levatoi: La Prima Porta o Porta Regia che si affacciava all’esterno, dove ora sorge Piazza Libertini, e la Porta Ferrata rivolta verso il centro cittadino, alle quali si aggiungeva la Porta Falsa, situata con ogni probabilità nei pressi della Torre Magistra, utilizzata per eventuali sortite all’esterno. Per la cronaca, secondo il Marciano nel Castello di Lecce, ovviamente quello medioevale, sarebbe morto il 12 maggio 1403 Raimondello Orsini – Del Balzo, Principe di Taranto, Conte di Lecce e Soleto, nonché primo marito di Maria d’Enghien. Secondo il Tanzi invece questi sarebbe morto nel gennaio del 1406. Sempre all’interno del castello sarebbero stati nascosti i tesori accumulati da Giovanni Antonio Orsini – Del Balzo Principe di Taranto, Duca di Bari, Conte di Lecce e Soleto, Figlio di Raimondello, alla cui morte se ne sarebbe appropriato Re Ferrante d’Aragona.

Cosimo Enrico Marseglia

 

 

Slovenia, a Pivka il parco di storia militare
Da balcanicaucaso.org del 10 agosto 2018

Da luogo inaccessibile usato dall’armata jugoslava, col tempo la caserma di Pivka si è trasformata nel più grande museo sloveno per superficie, con migliaia di visitatori all’anno.

A San Pietro del Carso (Pivka) in Slovenia, ad una cinquantina di chilometri da Trieste, si trova una caserma che ha attraversato tutte le grandi fasi del Novecento. Costruita durante il fascismo, fu utilizzata dall’Armata federale jugoslava e dalle forze slovene, prima di diventare nei primi anni Duemila un storia militare ! (https://www.parkvojaskezgodovine.si/it/). Oggi, questa struttura, completamente rinnovata ed ampliata nel 2015, rappresenta “il più grande museo sloveno per superficie”.

Le mille trasformazioni della caserma La guarnigione di San Pietro del Carso vede la luce attorno al 1930, quando il Regno d’Italia costruisce cosiddetto Vallo Alpino, la linea difensiva voluta da Mussolini per proteggere il territorio nazionale in di guerra. Ad oriente, a ridosso del Regno di Jugoslavia, la linea Maginot italiana ha il compito di trincerare confini disegnati dal trattato di Rapallo (1920) e attraversa il Carso nei pressi di Postumia, scendendo Fiume, in Croazia. Oltre alla caserma, un forte sotterraneo è edificato sul Monte San Primo (Primož, 718 m.). Ma le accortezze di Mussolini non bastano a cambiare le sorti della guerra. Con la vittoria dei partigiani titini nel 1945 e i successivi accordi di modifica del confine orientale italiano, l’infrastruttura di San Pietro del Carso passa infatti sotto il controllo di Belgrado, che vi piazza alcuni reparti della sua Armata Popolare Jugoslava (Jna). La caserma diventa allora “una delle più odiate dai soldati della federazione socialista”. aveva dei problemi disciplinari, veniva spedito a Priština o a Pivka”, racconta Boštjan Kurent, oggi guida museo. “Non soltanto faceva molto freddo durante l’inverno (si dormiva con 2 o 3 gradi sopra lo zero), ma all’esterno soffiava fortissima la bora. Una punizione tipica era infatti quella di costringere i militari a stare sull’attenti all’esterno dell’edificio ed ad ascoltare un lungo discorso”, prosegue Kurent. La Jna rimane Pietro del Carso fino al 1991, quando Lubiana dichiara la propria indipendenza e la Jugoslavia è travolta una guerra fratricida. Proprio da questa caserma escono allora i carri armati federali che per dieci giorni provano a reprimere primavera slovena. Non ci riusciranno e la Slovenia diventerà Stato. Nel 2004, infine, arriva l’ultima trasformazione. Dopo aver sonnecchiato per anni tra le mani dell’esercito sloveno, che la usa sporadicamente per l’addestramento delle sue forze speciali, la guarnigione diventa un museo, che pian piano si riempie di carri armati, aerei e persino di un sottomarino.

 

Il museo e la comunità locale La creazione del Parco di storia militare chiude così un ciclo, riportando la caserma al centro della vita di San Pietro del Carso. “Anche se i locali hanno sempre visto l’esercito italiano come una forza di occupazione straniera, la costruzione del complesso militare ha rappresentato per molti un’opportunità economica, grazie alla quale si poteva trovare lavoro in anni di crisi economica”, spiega il direttore del museo Janko Boštjančič. “Fino agli anni 1960, inoltre, la guarnigione era rifornita con cibo prodotto localmente e ciò rappresentava un importante incentivo per l’agricoltura locale”, aggiunge Boštjančič. Le cose sono cambiate a partire dagli anni Settanta, “quando il turismo ha cominciato a svilupparsi nell’area”. Allora, “la presenza della caserma era un vero problema: per l’esercito jugoslavo turista straniero era potenzialmente una spia e il turismo, qui, era praticamente proibito”. Oggi, la situazione si è ribaltata. “Con il progetto del Parco di storia militare, abbiamo provato a trasformare quest’ostacolo allo sviluppo dell’area in un’opportunità di crescita”, spiega Boštjančič. Per abita nei dintorni, in effetti, l’ultima metamorfosi della guarnigione ha trasformato un elemento diventato ormai alieno in una parte integrante del tessuto cittadino. “Ho visitato diverse volte il Parco di storia militare e ogni volta che vado sono molto contento”, racconta Sergej Stepančič, ex militare della Jna nato proprio a Pivka. “Durante la Jugoslavia, questi erano edifici grigi, la gente non si sentiva molto vicina all’esercito… era una sorta di Stato nello Stato”, prosegue Stepančič, che aggiunge “ora tutto è cambiato: abbiamo sviluppato turismo e non soltanto nel parco. Molte attività locali stanno rifiorendo”. Dall’apertura ufficiale nel 2006, effetti, il museo ha registrato 300mila ingressi, di cui 90mila nei soli due anni successivi all’ampliamento (2015). E il 2017 si è chiuso con 50mila biglietti venduti (+15% rispetto al 2016).

Il percorso di visita La collezione del Parco si snoda oggi su tre padiglioni e racconta i momenti salienti della storia slovena. Un primo percorso parla della Grande guerra e della disfatta di Caporetto, celebrata oltre confine come una vittoria. È possibile anche visitare il forte italiano sul Monte San Primo. Una seconda esposizione dedicata ai lunghi anni della Federazione jugoslava. Si tratta del pezzo forte del museo, dato che sono esposti veicoli di diversa provenienza. “Non abbiamo soldi per comprare i mezzi, per cui ripariamo ciò si trova in Slovenia, riceviamo donazioni o procediamo a scambi con altri musei”, spiega la guida Boštjan Kurent. I tank russi e americani, usati dall’esercito jugoslavo a partire dal 1945 ed esposti in un hangar, testimoniano della scaltra diplomazia di Tito durante la Guerra fredda. Ma c’è anche un aereo che fu nei colossal cinematografici jugoslavi, quelli che narravano le gesta eroiche dei partigiani e che tanto piacevano al maresciallo, ed un piccolo sottomarino di 20 metri, che l’esercito jugoslavo avrebbe adoperato nel caso di un conflitto contro l’Italia per piccole operazioni di sabotaggio, ma che non guerreggiò mai. Infine, l’esposizione “La strada verso l’indipendenza” mostra le tappe che portarono la Slovenia ad abbandonare la federazione socialista e ad issare la sua nuova bandiera sulla cima del monte Triglav. L’itinerario è presentato e raccontato senza sfociare nel nazionalismo. “Quando si presentano le vicende della storia militare, si è spesso tentati di glorificare una parte o l’altra”, ammette il direttore Janko Boštjančič. “Ma era un nostro impegno attenerci alla verità storica per tutte le mostre e siamo contenti la grande maggioranza dei visitatori trovi la mostra autentica e fedele”, conclude Boštjančič.  Pivka (foto G. Vale)

 

 

Un piano per valorizzare le ex fortezze militari di La Maddalena: un’opportunità per giovani e imprese
Da galluraoggi.it del 9 agosto 2018

Un disegno di legge per valorizzare il patrimonio artistico. 

La Regione, con il disegno di legge “Gestione e valorizzazione del patrimonio regionale”, si dota di nuovi e più agili strumenti per ottimizzare l’amministrazione dei numerosi beni immobili di sua proprietà. “Il disegno di legge – spiega l’assessore degli Enti locali Cristiano Erriu – si propone di assicurare la gestione del patrimonio immobiliare e promuove il recupero e la riconversione del patrimonio in un’ottica di rilancio economico e dell’imprenditoria, specie quella giovanile, di inclusione sociale”.

Nel patrimonio figurano strutture che rappresentano testimonianze del passato, più o meno recente, e costituiscono beni di interesse culturale, ambientale e paesaggistico, come le ex fortezze militari di La Maddalena e l’isola di Caprera. Questi beni costituiscono un valore aggiunto poiché la relativa riqualificazione può costituire un volano per l’economia isolana ed una opportunità di rilancio, specialmente per i territori di La Maddalena.

 

 

Bosco Chiesanuova, cambio al comando della base Nato di Lughezzano
Da veronasera.it del 8 agosto 2018

Il 3 agosto, alla base Nato di Lughezzano, si è tenuta la cerimonia di cambio delle consegne tra il comandante cedente Diego Fasoli ed il comandante subentrante Christian Bisson. La cerimonia è stata presieduta dal Satcom Delivery Manager della Ncia Richard Griffiths e dal comandante del 3° stormo dell'aeronautica militare di Villafranca Pietro Spagnoli.

Fasoli ha assunto l'incarico di comandante del gruppo servizi supporto operativi del 3° stormo di Villafranca di Verona e nei suoi quasi quattro anni a Lughezzano ha gestito la delicata fase di transizione legata alle principali attività di manutenzione ed ammodernamento delle infrastrutture necessarie al nuovo progetto in coordinamento con le aziende italiane e straniere operanti, ma anche alla ristrutturazione organizzativa del personale. Sotto la sua direzione la base appare ormai lanciata verso la conclusione dei lavori prevista nei prossimi mesi.

Il subentrante Bisson proviene dal 1° reparto tecnico comunicazioni squadriglia di Padova di cui è stato il comandante negli ultimi 3 anni, ed è stato impiegato più volte in operazioni fuori dai confini nazionali in Kosovo.

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Svevo-Angioino-Aragonese di Manfredonia
Da corrieresalentino.it del 8 agosto 2018

PUGLIA – Le prime notizie relative al Castello di Manfredonia risalgono 1279, anno in cui si procede al reclutamento di manodopera per la sua costruzione. È possibile tuttavia supporre che Carlo I d’Angiò avesse disposto l’edificazione del castello su preesistenti strutture di epoca anteriore. Nel corso dei secoli diverse modifiche, anche in questo caso ne hanno modificato la struttura rispetto al progetto originale, ad opera dell’architetto Pietro d’Angicourt. Tuttavia la struttura è un gioiello in forma e proporzioni, caratterizzato da alte mura svettanti nel centro di una cortina di più bassa altezza, rinforzata agli angoli da tre torrioni troncoconici ed un bastione a lancia, il tutto circondato da un fossato. Le prime modifiche datano intorno al 1442, in linea con i canoni difensivi degli Aragonesi e che rientravano nel più vasto programma di fortificazione delle coste del regno. Di conseguenza la struttura fu cinta da cortine rinforzate agli angoli da torrioni troncoconici, che la inglobavano all’interno. Al XVI secolo risale invece il bastione a lancia, detto dell’Annunziata, allo spigolo occidentale, che racchiude al suo interno la precedente torre troncoconica, simile alle altre tre. Nel 1620 con un assalto i turchi riuscirono a prendere il castello, evidenziando la sua debolezza a causa della carenza di una sufficiente artiglieria e la mancanza di sistemi protettivi quali parapetti o merlature a protezione del personale addetto alla difesa. Persa cosi in maniera definitiva la sua funzione difensiva, il castello fu adibito a caserma, mentre il bastione occidentale divenne prigione. Nel 1815 il Reale Corpo del Genio Militare del Regno delle Due Sicilie lo cedette al Comune di Manfredonia e da questo passò all’Orfanotrofio Militare di Napoli. Nel 1901 rientrò in possesso del Comune. Nel 1915, all’alba del 24 maggio, Manfredonia fu la prima città italiana a subire un’azione di guerra da parte dell’Impero Austro-Ungarico, infatti una flotta asburgica la bombardò. La forma originale del castello era a pianta quadrilatera racchiusa in una cinta muraria con quattro torri angolari anche esse a pianta quadrata, cui se ne aggiungeva una quinta, probabilmente nei pressi della porta principale sul versante nordorientale. In seguito le quattro torri angolari furono inglobate nei torrioni cilindrici mentre ben poco è rimasto della quinta. Nella cinta più esterna, edificata dagli Aragonesi, furono poste quattro torri troncoconiche più basse di quelle interne, maggiormente in linea con i canoni difensivi dell’epoca. Nel XVI secolo, come abbiamo già visto, fu eretto il bastione occidentale a forma di lancia. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

ESPLORANDO L’EX BASE MILITARE AMERICANA USAF, ROCCAFORTE DEL GRECO
Da ntacalabria.it del 7 agosto 2018

Esplorando l’ex base militare americana


Durante l’Ottocento, la corsa all’oro coinvolse prepotentemente la California. Piccoli borghi, divenuti in molti casi vere e proprie città, popolate da migliaia di abitanti, sorsero in prossimità dei giacimenti aurifei più importanti. Tuttavia, quando le vene si esaurirono le città che erano state fondate per ospitare i minatori e i cercatori d’oro lentamente si spopolarono fino ad essere completamente abbandonate.Queste città sono note come Ghost Town (città fantasma).

L’espressione coniata per identificare questo fenomeno storico rende benissimo la sensazione che un ipotetico
visitatore proverebbe recandosi in questi luoghi.

UNA CITTÀ POPOLATA SOLO DA SPETTRI
Ogni edificio, con il mobilio ancora all’interno, è rimasto cristallizzato assumendo l’aspetto che avrebbe una città popolata solo da spettri. A completare il senso di abbandono che si prova in questi luoghi ci ha pensato la Natura. Questa si è riappropriata delle costruzioni dell’uomo e fagocitando ogni cosa come un mostro verde ed ingordo.

GHOST TOWN
Ormai il termine “Ghost Town” è diventato comune anche nella nostra lingua. Sempre più spesso lo adoperiamo per identificare situazioni simili all’interno dei nostri confini. Con il racconto di questa esplorazione inauguriamo il primo speciale su Ghost Town e Lost Places (luoghi abbandonati) in Calabria perché anche i luoghi abbandonati hanno una storia da raccontare… Ci siamo recati nell’ex base militare americana USAF di Monte Nardello, nel Comune di Roccaforte del Greco (RC).

FU FONDATA
Fondata nel 1965, insieme alle basi di Catania e Trapani, controllava le telecomunicazioni nell’area del Mediterraneo. Occupava più di tre ettari ed era delimitata da una recinzione alta più di due metri, coronata da filo spinato. Il complesso era composto da una serie di capannoni che custodivano imponenti generatori di energia elettrica. Questi erano indispensabili per alimentare le enormi antenne radar di cui oggi si conservano solo le piattaforme in cemento. Sorte non migliore è toccata ai capannoni: prima saccheggiati di ogni bene che potesse essere trasportato, dai quadri elettrici, motori, infissi ai sanitari, poi rasi al suolo. Oggi rimangono solo i pavimenti e mesti cumuli di macerie. Eppure, nel periodo di massima attività, la base arrivò a ospitare fino a 40 militari. La struttura era assolutamente autonoma: al suo interno c’erano alloggi, cucine e aree di svago. I militari potevano trascorrere molti mesi senza mettere piede fuori, al di là del filo spinato che delimitava la loro area di lavoro.

L’EX BASE MILITARE DI MONTE NARDELLO
Come per le Ghost Town californiane, la fine della base militare di Monte Nardello scattò con il venir meno della funzione per cui era stata edificata. L’avvento dei satelliti rese obsoleta la base che fu dismessa verso la fine degli anni ‘80. Quando gli americani se ne andarono, la base fu ceduta al Ministero della Difesa che, purtroppo, non la adoperò per altre attività abbandonandola a se stessa. Lo spettacolo che offre oggi è di assoluto degrado: ridotta a una discarica nel bel mezzo del parco dell’Aspromonte e a pochi passi dalla celebre località sciistica di Gambarie. Spesso sale all’onore della cronaca per la questione ambientale: la presenza di eternit e lana di roccia imporrebbero un intervento di smaltimento controllato, ma nessuno vuole farsi carico degli onori necessari per la bonifica. L’ex base americana di Monte Nardello è, allo stato attuale, un’incredibile occasione persa. Tornata in mano all’Italia, poteva essere musealizzata (com’è accaduto in altri paesi europei) per documentare un periodo drammatico della nostra storia recente: la guerra fredda. Invece è prevalsa la volontà di non fare niente, approfittando della posizione isolata che ha reso ogni dibattito sulla riqualificazione dell’area sempre meno pressante fino alla quasi completa dissoluzione. Rimane una ferita aperta in pieno Aspromonte, ormai solo meta per filmakers amatoriali e discreto set per uno zombie movie. Articolo a cura di Giovanni Speranza

 

 

ESPLORANDO L’EX BASE MILITARE AMERICANA USAF, ROCCAFORTE DEL GRECO
Da ntacalabria.it del 7 agosto 2018

Esplorando l’ex base militare americana

Durante l’Ottocento, la corsa all’oro coinvolse prepotentemente la California. Piccoli borghi, divenuti in molti casi vere e proprie città, popolate da migliaia di abitanti, sorsero in prossimità dei giacimenti aurifei più importanti. Tuttavia, quando le vene si esaurirono le città che erano state fondate per ospitare i minatori e i cercatori d’oro lentamente si spopolarono fino ad essere completamente abbandonate. Queste città sono note come Ghost Town (città fantasma). L’espressione coniata per identificare questo fenomeno storico rende benissimo la sensazione che un ipotetico visitatore proverebbe recandosi in questi luoghi.

UNA CITTÀ POPOLATA SOLO DA SPETTRI

Ogni edificio, con il mobilio ancora all’interno, è rimasto cristallizzato assumendo l’aspetto che avrebbe una città popolata solo da spettri. A completare il senso di abbandono che si prova in questi luoghi ci ha pensato la Natura. Questa si è riappropriata delle costruzioni dell’uomo e fagocitando ogni cosa come un mostro verde ed ingordo.

GHOST TOWN

Ormai il termine “Ghost Town” è diventato comune anche nella nostra lingua. Sempre più spesso lo adoperiamo per identificare situazioni simili all’interno dei nostri confini. Con il racconto di questa esplorazione inauguriamo il primo speciale su Ghost Town e Lost Places (luoghi abbandonati) in Calabria perché anche i luoghi abbandonati hanno una storia da raccontare… Ci siamo recati nell’ex base militare americana USAF di Monte Nardello, nel Comune di Roccaforte del Greco (RC).

FU FONDATA…

Fondata nel 1965, insieme alle basi di Catania e Trapani, controllava le telecomunicazioni nell’area del Mediterraneo. Occupava più di tre ettari ed era delimitata da una recinzione alta più di due metri, coronata da filo spinato. Il complesso era composto da una serie di capannoni che custodivano imponenti generatori di energia elettrica. Questi erano indispensabili per alimentare le enormi antenne radar di cui oggi si conservano solo le piattaforme in cemento. Sorte non migliore è toccata ai capannoni: prima saccheggiati di ogni bene che potesse essere trasportato, dai quadri elettrici, motori, infissi ai sanitari, poi rasi al suolo. Oggi rimangono solo i pavimenti e mesti cumuli di macerie. Eppure, nel periodo di massima attività, la base arrivò a ospitare fino a 40 militari. La struttura era assolutamente autonoma: al suo interno c’erano alloggi, cucine e aree di svago. I militari potevano trascorrere molti mesi senza mettere piede fuori, al di là del filo spinato che delimitava la loro area di lavoro.

L’EX BASE MILITARE DI MONTE NARDELLO

Come per le Ghost Town californiane, la fine della base militare di Monte Nardello scattò con il venir meno della funzione per cui era stata edificata. L’avvento dei satelliti rese obsoleta la base che fu dismessa verso la fine degli anni ‘80. Quando gli americani se ne andarono, la base fu ceduta al Ministero della Difesa che, purtroppo, non la adoperò per altre attività abbandonandola a se stessa. Lo spettacolo che offre oggi è di assoluto degrado: ridotta a una discarica nel bel mezzo del parco dell’Aspromonte e a pochi passi dalla celebre località sciistica di Gambarie. Spesso sale all’onore della cronaca per la questione ambientale: la presenza di eternit e lana di roccia imporrebbero un intervento di smaltimento controllato, ma nessuno vuole farsi carico degli onori necessari per la bonifica. L’ex base americana di Monte Nardello è, allo stato attuale, un’incredibile occasione persa. Tornata in mano all’Italia, poteva essere musealizzata (com’è accaduto in altri paesi europei) per documentare un periodo drammatico della nostra storia recente: la guerra fredda. Invece è prevalsa la volontà di non fare niente, approfittando della posizione isolata che ha reso ogni dibattito sulla riqualificazione dell’area sempre meno pressante fino alla quasi completa dissoluzione. Rimane una ferita aperta in pieno Aspromonte, ormai solo meta per filmakers amatoriali e discreto set per uno zombie movie. Articolo a cura di Giovanni Speranza

 

Unimc porta alla luce fortezze romane in Albania
Da viveremacerata.it del 7 agosto 2018

Si è conclusa la campagna di scavo 2018 condotta dall’Università di Macerata, in collaborazione con l’Istituto Archeologico di Tirana, nell’ambito dei Progetti del Ministero degli Affari Esteri in Albania meridionale. Quest’anno gli scavi hanno riguardato la fortezza di Paleokaster, l’insediamento fortificato di Melan e, come di consueto, ricognizioni e rilievi topografici e indagini di insediamenti ellenistici nella valle del Drino. A Paleokastro, in particolare, gli scavi si sono concentrati nella porta Ovest, ingresso principale alla fortezza romana, collocabile cronologicamente agli inizi del IV secolo d.C., e nella chiesa interna alla fortezza stessa edificata probabilmente nel V-VI secolo d.C. Di grande valore scientifico la scoperta di un laterizio iscritto recante la dedica dell’edificio di culto, fatto estremamente raro. Un equipe dell’Università di Camerino, guidata dal professore Antonio Schettino, ha registrato informazioni geofisiche all’interno della fortificazione che hanno consentito di rilevare evidenti tracce dell’organizzazione e delle strutture ancora conservate nel sottosuolo fornendo utili dati alla programmazione degli scavi futuri. Nel sito di Melan, gli scavi hanno consentito di riportare alla luce imponenti strutture fortificate, collocabili cronologicamente in età ellenistica e, successivamente, in età bizantina. Il sito, per la monumentalità delle strutture in esso conservate e per la sua millenaria storia, offre importanti sviluppi alle ricerche che proseguiranno con le prossime campagne di scavo nel 2019. Un’equipe dell’Università Politecnica delle Marche, coordinata dal professore Paolo Clini, ha inoltre realizzato rilievi 3D sia nel teatro della città romana di Hadrianopolis, da più di un decennio al centro delle ricerche dell’équipe maceratese, sia nella stessa fortificazione di Paleokastro, dati estremamente utili non solo ai fini delle prossime pubblicazioni scientifiche, ma anche ai fini della realizzazione di strumenti di valorizzazione del territorio che si vorrebbero realizzare insieme all’Istituto archeologico di Tirana ed ai uffici del ministero della cultura albanese. Alle indagini oltre che studenti Unimc, hanno partecipato studenti provenienti dall’Università del Salento, da La Sapienza, e dall’Università di Tirana.

 

 

Mura, 11 chilometri di cinta completamente illuminati
Da mattinopadova.it del 4 agosto 2018

Tutti gli 11 chilometri di cinta muraria illuminati entro il prossimo autunno. Dopo tre anni di tira e molla, ieri l’assessore Andrea Micalizzi ha ottenuto il via libera definitivo dalla giunta al progetto esecutivo per l’illuminazione architettonica. Un piano da 1,5 milioni di euro, già passato tra le mani dell’amministrazione Bitonci eppure mai realizzato. Un piano che, ora, potrà finalmente innestare la quinta. Ci saranno tre tipi di luci, scelte in base alla morfologia del terreno, che valorizzeranno i Bastioni nelle ore serali e l’intero percorso illuminato entro settembre 2019. Tra un mese dovrebbe partire la gara per l’affidamento dell’appalto e, subito dopo, è prevista l’apertura dei cantieri. Saranno installati dei lampioni a braccio, molto alti, in modo da valorizzare la parte più elevata delle Mura con faretti davanti ai Bastioni; e verranno montati dei fanali a incasso, che ricorderanno molto le Mura di Marostica. Nella zona del Portello e del Torrione Venieri sarà predisposta l’illuminazione architettonica delle mura storiche che costeggiano le vie Loredan e Gradenigo. Sempre il progetto prevede la fornitura e la messa in opera di pali con uno o più proiettori a led che verranno installati oltre il corso d’acqua a un’adeguata distanza dal paramento murario da illuminare. Nell’area del Torrione Pontecorvo e del Baluardo Santa Croce, invece, saranno realizzati dei manufatti parzialmente interrati (pozzetti), orientati ad hoc, e contenenti il proiettore a led, protetto da un vetro antisfondamento. Il piano rientra in quello più ambizioso di recuperare tutta la cintura muraria. A questo serviranno i 5, 6 milioni di euro ottenuti da Roma grazie al “bando delle periferie”. Analizzando le spese previste, oltre al milione e mezzo per l’illuminazione, ci sono 700 mila euro per gli interventi di consolidamento, le indagini e i rilievi propedeutici poi a qualsiasi tipo d’intervento che saranno spesi a stralci. Per il versante Est della cinta muraria, dove c’è il Torrione Venier (spazi ipogei) fino al Bastione Buovo al Portello Vecchio, basteranno 1, 2 milioni, mentre 900 mila euro serviranno per il restauro delle cortine murarie dal Bastione Arena allo stesso Venier. Per la riqualificazione dell’area golenale e della passerellaciclopedonale sono stati previsti 385 mila euro. E poi altri 600 mila per il consolidamento del muro di sostegno ai Giardini della Rotonda, 541 mila per il recupero del Bastion Piccolo, il completamento della Porta Ognissanti e la scalinata del Portello, fino ai 350 per l’apertura della galleria d’ingresso del Bastione Arena. «È un intervento che esalterà la bellezza delle nostre mura» ha evidenziato l’assessore con la delega al Parco delle Mura, Andrea Micalizzi, «Il progetto va ben oltre il tratto nord interessato alla riqualificazione strutturale perché consente di percepire le mura come un elemento unito e non frammentato, come risulta oggi» osserva, «È il monumento più grande della città che verrà recuperato come spazio vivibile, con percorsi turistici e ciclopedonali».

 

 

Il bunker della Guerra Fredda libero dai rovi che lo coprivano
Da larena.it del 3 agosto 2018

Il bunker di via Trentino a Lugagnano torna ad essere visibile. Per volere dell’amministrazione e della Grande Mela è stata tolta la siepe che lo circondava e lo nascondeva. Ora il progetto è quello di far conoscere questa struttura risalente, secondo quanto riferito al Comune dal Demanio dello Stato, al periodo della guerra fredda: nell’area verrà apposta una cartellonistica che fornirà tutte le informazioni a riguardo. Per anni, il bunker, situato vicino ad un distributore di benzina, era rimasto invisibile, perché coperto dalla vegetazione. Nessuno, passando da via Trentino, avrebbe potuto accorgersi della sua esistenza. Solo sbirciando fra i rami di una folta siepe di pini qualche curioso passante avrebbe potuto notare la struttura in cemento e la porta di ingresso, chiusa da tempo. Nel 2016, dopo aver acquisito gratuitamente il bunker dal Demanio, il Comune ha deciso di metterlo in vendita. La struttura, che sorge su un terreno di 591 metri quadrati, è stata acquistata dall’immobiliare Cinquerre spa, proprietaria della Grande Mela, per 86 mila e 200 euro; il Comune ha poi versato il 25 per cento di questa cifra, pari a 21 mila e 550 euro, all’agenzia del Demanio. Secondo le informazioni di cui dispone ad oggi l’amministrazione, il bunker risale alla guerra fredda, periodo caratterizzato dalla contrapposizione politica ed ideologica fra Usa e Urss e dalla divisione del mondo nei due blocchi su cui le due superpotenze esercitavano le loro sfere di influenza. In quegli anni, il timore di attacchi nucleari aveva portato alla costruzione, in molti Paesi, di rifugi antiatomici che avrebbero dovuto fungere da riparo in caso di attacco nucleare. In realtà, quello di Lugagnano non ha le caratteristiche di un bunker antiatomico, e non è chiaro quale dovesse essere la sua funzione. «Il Demanio ci ha riferito che il bunker risale al periodo della guerra fredda», spiega il sindaco Gianluigi Mazzi, «ma sarebbe interessante capire perché è stato realizzato proprio in quel posto e a cosa dovesse servire». Mentre l’amministrazione sostiene che il bunker sia stato costruito negli anni Cinquanta e, quindi, nel primo periodo della guerra fredda, in paese ci sono testimonianze di persone anziane che fanno risalire la struttura all’epoca della seconda guerra mondiale. Per quanto riguarda invece la funzione che poteva avere il bunker, un’ipotesi viene suggerita da Luigi Tacconi del Gruppo di ricerca per lo studio della storia locale, che spiega: «La forma a triangolo del bunker fa pensare che potesse essere una postazione della difesa antiaerea territoriale. Forse dentro c’erano mezzi di avvistamento, per segnalare l’arrivo degli aerei da nord, e un deposito di armi». Attualmente il bunker è inaccessibile per motivi di sicurezza, perché dentro sono crollate alcune parti. Grazie alle informazioni di cui dispone il sindaco Mazzi è però possibile ricostruire come è disposto all’interno. Una volta varcata la porta di ingresso c’è una scalinata che scende di una decina di metri. Sulla sinistra si apre un corridoio che quasi subito dà accesso, sulla destra, ad uno spazio diviso in due stanze. Proseguendo dritto nel corridoio si arriva invece ad un’ampia sala, dove all’epoca c’era la botola che serviva come uscita di emergenza. Nel territorio del Comune di Sona ci sono altri tre bunker: uno a Lugagnano, poco distante da lì, nella corte San Francesco del Marano, uno in località Canove di Sona e uno in località Spolverina, a San Giorgio in Salici. Federica Valbusa

 

 

Lavori in corso al Castello dei Conti di Modica
Da ragusanews.com del 2 agosto 2018

Modica - Lavori in corso al Castello dei Conti. Diverse zone dell’antico maniero saranno interessate nelle prossime settimane da interventi di manutenzione e miglioria. Nonostante ciò la struttura rimarrà aperta regolarmente al pubblico ogni giorno dalle 9 alle 20. Le aree oggetto dell’intervento riguardano la torre angolare nord, l’area di terrazzamento adiacente alla postierla nord, la porzione di terreno posta longitudinalmente sul versante orientale dove vi sono gli ingrottamenti, l’area di accesso posta in prossimità di via F. Crispi, l’area del cortile basso e l’area del giardino inferiore con l’annessa Torre dell’orologio. Nell’Area Torre angolare nord, dove è stata individuata un’area esterna al complesso adibita ad accesso carrabile e pedonale per i disabili, è in corso la rimozione dei pali metallici che sostengono una rete di recinzione esistente e la conseguente posa in opera di traversine in pietra spaccata per il completamento del muro esistente; la realizzazione della segnaletica orizzontale per l'individuazione del parcheggio riservato ai disabili; l’installazione di proiettori orientabili per implementare l’illuminazione notturna. Rivolgendo adesso l’attenzione alla Torre Scala-Ascensore, che collega il giardino superiore all’area soprastante, verrà chiusa la parete in cui vi è l’accesso alla cabina e incrementata l’illuminazione. Nella Torre angolare nord è stato previsto: il risanamento della muratura, la realizzazione di parte del basamento della gru; il posizionamento di alcuni corpi illuminanti; l’adeguamento dell’altezza dei parapetti esistenti tramite l’inserimento di corrimano in acciaio. Al fine di migliorare la comprensione del percorso storico-formativo inerente il Castello sono state previste delle paline informative contenenti grafici ed informazioni storiografiche sullo sviluppo stratigrafico degli insediamenti architettonici e archeologici che vi si sono avvicendati nei secoli. Nell’area ingrottamenti è stata prevista la sistemazione degli spazi esterni. Come per i camminamenti presenti nel giardino superiore, anche per i camminamenti di quest’area è stato previsto l’inserimento di rete elettrosaldata zincata con lo scopo di rendere più solido il basamento. Area Torre dell’Orologio. Perfettamente riconoscibile poiché circoscritto dalla cinta muraria risalente all’epoca di fondazione del Complesso architettonico, il giardino inferiore del Castello dei Conti rappresenta l’ultima falange del complesso. In esso è collocato l’elemento più rappresentativo del Castello, nonché simbolo della Contea di Modica, la nota Torre dell’Orologio. Ad oggi non è possibile visitare l’area poiché non soddisfa i requisiti minimi di sicurezza definiti dalle vigenti normative. Si interverrà dunque per la realizzazione di un percorso in totale sicurezza, eliminando del tutto i rischi di caduta. Dal cortile inferiore, tramite la scalinata in pietra calcarea esistente, sarà nuovamente possibile accedere al giardino della Torre dell’Orologio. La Torre dell’orologio, costruita all'inizio del Settecento sulla preesistenza dei resti della torre di avvistamento del XVII secolo, il cui orologio risulta essere in funzione dal 1725, sarà soggetta ad un ripristino della facciata principale. Verranno ripristinate le parti in ferro ed i corpi illuminanti. Area Cortile Basso: All’interno del cortile inferiore, circoscritto dal corpo di fabbrica di fondazione medievale, sono collocate le antiche carceri di cui si ha testimonianza sin dal XIV secolo. Queste, essendo piene di materiali di risulta, saranno interessate da un intervento di pulitura. È inoltre previsto il restauro e la ricollocazione del portale esistente. adeguato alla normativa in materia di sicurezza. Area Ingresso Principale: L’ingresso principale, adiacente a via F. Crispi, è costituito da una scalinata monumentale che si sviluppa lungo la parete rocciosa su cui venne edificato il castello. Tale scalinata attualmente risulta essere in gran parte coperta da una passerella di recente costruzione che verrà opportunamente dislocata in aderenza al muro perimetrale e dotata di parapetti. Ciò per rimettere in luce, nella sua interezza, la scalinata monumentale. Attualmente l’area è delimitata da una recinzione e da una cancellata metallica che mal si legano alle caratteristiche stilistiche ed architettoniche del sito. Verranno rimossi tali elementi e recuperata l’antica cancellata ed annessi pilastri in pietra calcarea che verranno ricollocati nel luogo prescelto.

 

 

IL SOTTOSEGRETARIO TOFALO VISITA IL COMANDO C4 DIFESA E IL COMANDO INTERFORZE PER LE OPERAZIONI CIBERNETICHE
Da difesaonline.it del 1 agosto 2018

(di Massimiliano Rizzo) 01/08/18 - Il sottosegretario di Stato alla Difesa Angelo Tofalo ha visitato oggi il Comando C4 Difesa, istituito il 20 maggio 2004 e che, da 1 anno, ospita anche il nuovo Comando Interforze per le Operazioni Cibernetiche (CIOC).

“È la più giovane realtà operativa che la Difesa ha messo in campo, meno di un anno fa, a protezione delle reti e delle informazioni”, ha detto il sottosegretario di Stato alla Difesa Angelo Tofalo riferendosi al Comando Interforze per le Operazioni Cibernetiche (CIOC), “Dobbiamo investire in questa forza militare che si aggiunge a quelle che già operano in terra, per mare e nel cielo, affinché raggiunga la piena capacità operativa e possa così iniziare a condurre operazioni cibernetiche di grande valore strategico”. Organizzazione, informazioni, infrastrutture, personale e tecnologie sono alcuni dei principali argomenti, tra quelli che possono esser resi pubblici, trattati nel corso del briefing.

Particolare attenzione è stata prestata soprattutto alla selezione, alla formazione e all’impiego del personale che deve necessariamente avere determinate competenze cyber e in tale quadro il sottosegretario Tofalo ha auspicato “una maggiore sinergia tra il mondo militare e quello tecnologico civile che possa portare in un futuro prossimo al raggiungimento di alti livelli di professionalità, grazie allo scambio di know how e di competenze tecniche”. “Il tema cyber ha riempito uno spazio significativo al vertice Nato che si è svolto recentemente a Bruxelles”, ha detto il sottosegretario Tofalo, “Grazie alla sensibilità del Ministro Trenta sui temi della sicurezza che in quella importante sede ha rimarcato l’importanza di destinare al settore cibernetico parte della spesa destinata alla Difesa”.

Il sottosegretario Tofalo ha sempre dimostrato particolare attenzione al settore della sicurezza e dell’intelligence che già in passato ha avuto modo di conoscere nel corso della precedente legislatura, quando è stato membro del Copasir e della Commissione Difesa. “Ho avuto modo di apprezzare il delicato lavoro che siete chiamati a compiere, in un ambiente, quale è quello cibernetico, vasto, complesso e dinamico”, ha detto il sottosegretario Tofalo agli operatori, “Una visita che mi ha permesso di vedervi all’opera e di approfondire la conoscenza dei vari centri operativi deputati a monitorare la Rete della Difesa, nei suoi vari livelli e protocolli”.

In attesa che vengano ufficializzate le deleghe ai due sottosegretari di Stato alla Difesa, sembra che quella relativa alla sicurezza cibernetica verrà assegnata al sottosegretario Tofalo. I principali compiti istituzionali del C4 Difesa sono quelli di garantire il corretto funzionamento dei sistemi e servizi del comparto Information and Communication Tecnology dell’Area di Vertice Interforze, garantendone la massima efficienza e l’interoperabilità con altre Pubbliche Amministrazioni. Dal Comando C4 Difesa dipende anche il Centro Gestione e Controllo Satellitare SICRAL. La Difesa è proprietaria e gestore di una infrastruttura di Rete che è paragonabile, con circa 12.000 km di fibra ottica e 10.000 Km di ponti radio, ad un vero e proprio Provider di servizi, rango che verrà pienamente raggiunto con il completamento del progetto Autonomous System.

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Aragonese o Castel Sant’Angelo di Taranto
Da corrieresalentino.it del 1 agosto 2018

TARANTO – Già in epoca bizantina, intorno al 780 d. C., fu iniziata, sull’angolo estremo dell’isola su cui sorge l’antico borgo della città di Taranto, l’edificazione di una rocca destinata a proteggere la città dai ripetuti attacchi condotti dai Saraceni e dalla flotta della Serenissima Repubblica di Venezia. Si trattava in realtà di un complesso di torri alte e strette, atte, secondo la tattica medioevale, al lancio di pietre, frecce, dardi e acqua bollente, non olio come erroneamente si crede, questo infatti era un bene troppo prezioso per essere sprecato. In epoca aragonese, precisamente nel 1481, venne realizzata una prima versione del canale navigabile, meno largo di quello attuale, col duplice scopo di consentire il transito di piccoli navigli e di aumentare la difendibilità del maniero. Cinque anni più tardi il Re di Napoli Ferdinando d’Aragona dette l’incarico all’architetto militare Francesco Martini di ampliare e rinforzare il castello, in linea con le nuove esigenze tattiche dettate dalla comparsa ed evoluzione delle armi da fuoco. La difesa contro i nuovi pezzi di artiglieria da assedio richiedeva delle torri più larghe e più basse a pianta circolare, capaci di resistere meglio all’urto delle palle e dotate di ampi parapetti, muniti di aperture per l’alloggio dei cannoni nonché di scivoli per lo spostamento dei pezzi stessi da un torrione all’altro. In tale periodo la fortezza assunse la sua attuale forma a pianta quadrangolare con un ampio cortile centrale, e comprendeva un complesso di sette torri, quattro delle quali unite in modo da conferire una forma appunto quadrangolare, mentre le rimanenti tre restavano allineate lungo il fossato. Le suddette quattro torri furono denominate di San Cristofalo, di San Lorenzo, della Bandiera e della Vergine Annunziata. In un secondo tempo il castello fu ampliato collegandolo ad una torre, detta di Sant’Angelo, fatta costruire a spese dell’Università cittadina. Nel 1491, sul lato rivolto in direzione del Mar Grande, fra le torri di San Cristofalo e della Bandiera, fu edificato un rivellino a pianta triangolare e l’anno successivo, secondo quanto riportato da un’epigrafe presente sulla Porta Paterna, accanto al blasone recante le armi inquartate di Aragonesi ed Angioini, terminavano i lavori di consolidamento dell’intera opera. La fortezza si presenta con quattro torri angolari rotonde e possenti, alte una ventina di metri, collegate da cortine lunghe 40 metri e con quattro ordini di fuoco. Due erano le porte, alle quali corrispondevano due ponti levatoi. Il fossato era scavalcato da due ponti: quello detto dell’Avanzata, che collegava il castello con il borgo, e quello del Soccorso, diametralmente opposto che si riversava in quella che una volta era campagna. Successivamente, sotto la dominazione spagnola, si provvide a rinforzare la struttura con l’edificazione di una nuova fortezza difensiva imperniata su tre torri e con l’allargamento del fossato. Sotto il dominio austriaco, iniziato nel 1707 e terminato nel 1734 con l’ascesa al trono di Napoli di Carlo di Borbone, il Castello di Taranto fu adibito a prigione ma con l’arrivo delle forze francesi nel 1799 ritornò alla sua originaria funzione di carattere militare. Nel 1883, la torre di Sant’Angelo, insieme ad altre torri fu demolita in seguito ai lavori di allargamento dell’attuale canale navigabile e di installazione del ponte girevole. Al termine di queste opere nel 1887, il castello divenne una caserma della Marina Militare. All’interno si può ammirare la cappella dedicata a San Leonardo che, dopo essere stata utilizzata in tempi alterni come corpo di guardia e stalla, è stata riconsacrata nel 1933. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

Noto, da bunker sotterraneo a museo, è quasi tutto pronto per la consegna al pubblico dell’ex rifugio antiaereo di Palazzo Astuto
Del 30 luglio 2018

Questione di dettagli e poi il percorso sotterraneo di circa 150 metri che collega la corte di Palazzo Astuto a via Mariannina Coffa sarà pronto e aperto al pubblico: diventerà uno spazio museale, insolito per la Sicilia, sotto il livello della strada per un percorso espositivo che richiamerà la memoria di un periodo difficile ma comunque importante per la storia dell’Italia.

In questi giorni l’amministrazione comunale ha dato l’ok per richiedere l’attivazione della fornitura per l’energia elettrica, poi sarà questione veramente di poco per concludere l’allestimento e aprirlo al pubblico. Ricavato lungo quello che durante la seconda guerra mondiale era un rifugio antiaereo, diventerà appunto un museo della memoria che si percorrerà in un senso solo.

Circa 2 metri la larghezza media, con alcuni vani angusti che probabilmente erano utilizzati a suo tempo come punti di ricovero o di soccorso.

 

 

(Quasi) tutto l'oro svizzero si trova in questo bunker?
Da swissinfo.ch del 30 luglio 2018

BERNA - Misteriosi e imponenti convogli militari iperscortati, blocchi stradali ad armi spianate nel bel mezzo di stradicciole di montagna: «Qualcuno si è proprio spaventato», sghignazzano gli abitanti della zona. Ma che succede da un po' di tempo a questa parte nei pressi di Kandersteg nell'Oberland Bernese? Se l'è chiesto anche il Solothurner Zeitung che è giunto a questa conclusione: le riserve d'oro della Svizzera. Secondo il quotidiano sarebbero nascoste lì le 700 tonnellate in lingotti d'oro dal valore complessivo di diversi miliardi di franchi e gli autoctoni sono della stessa idea: «Non potrebbe essere più ovvio di così, no?». Niente camera blindata nascosta sotto la Piazza federale a Berna, o meglio, non solo ma pure una camera segreta dentro al bunker antiatomico del Consiglio federale edificato a partire del 1986. La Bns, sempre stando alle supposizioni del giornale solettese, avrebbe quindi colto la palla al balzo per assicurarsi una camera blindatissima e super-sicura. La suddetta struttura di sicurezza, grande come uno stabilimento di medie dimensioni a strutturato su due piani potrebbe facilmente contenere fino a 6'000 tonnellate d'oro (valore complessivo 240 miliardi). La Confederazione però ne ha “solamente” 1'040 dei quali, sono sempre speculazioni, circa il 70% sul (o sotto al) suolo nazionale. Interpellata dalla Solothurner Zeitung la Banca nazionale ha deciso per un politico “no comment”: «Come le altre banche centrali, la Bns non rivela le posizioni dei depositi delle sue riserve d'oro né fornisce commenti a riguardo. Questo per motivi di sicurezza: si tratta di informazioni confidenziali».

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Otranto
Da corrieresalentino.it del 29 luglio 2018

OTRANTO (Lecce) – La città di Otranto sin da tempi remoti si è sempre avvalsa di sistemi difensivi e di opere fortificate, a testimonianza dell’importantissima posizione strategica su cui sorge. In epoca bizantina fu edificato un fortino che però venne gravemente danneggiato in seguito all’assedio condotto contro la città nel 1067 dal normanno Roberto de Hauteville detto il Guiscardo. Per volere dello stesso Roberto, però, il fortino fu riparato e rinforzato qualche anno più tardi. Nel 1228 fu Federico II di Svevia, Sacro Romano Imperatore e Re di Sicilia, a promuovere una ricostruzione del castello, di cui restano oggi visibili le tracce di una torre cilindrica, inglobata nel bastione a punta di lancia nonché lungo la cortina nordorientale. Secondo alcuni esperti che hanno analizzato alcune vestigia presenti nei sotterranei, il castello doveva essere originariamente a pianta quadrangolare munita negli angoli di torri cilindriche. Dopo la presa di Otranto da parte degli Ottomani nel 1480 e la successiva liberazione nell’anno successivo, il castello fu ricostruito fra il 1485 ed il 1498 su iniziativa del Duca di Calabria Alfonso d’Aragona, figlio del Re di Napoli Ferrante. Di tale ricostruzione restano oggi un torrione ed una parte delle mura. Sul finire del XV secolo la città di Otranto fu data in pegno alla Repubblica di Venezia che provvide a rinforzare ulteriormente il castello, aggiungendovi cannoni e bombarde. Tuttavia è alla dominazione spagnola che si deve l’attuale aspetto della fortezza idruntina, infatti nel 1535 su iniziativa del Viceré di Napoli Don Pedro de Toledo, le cui armi campeggiano ancora oggi sul portale di accesso, furono intraprese delle opere straordinarie di rinforzo. Successivamente, nel 1578, sul lato rivolto verso il mare, furono aggiunti due bastioni poligonali, nei quali fu inglobato quello precedente di epoca aragonese. Verso la metà del XVII secolo ulteriori opere di rinforzo furono condotte dall’ingegnere militare leccese G. F. Saponaro. Oggi il castello di Otranto si presenta a pianta pentagonale con tre torri cilindriche angolari a pianta circolare ed un bastione a forma di lancia, la cui punta si slancia verso il mare, il tutto circondato da un fossato ampio. Il quinto angolo non ha torre. Il suddetto castello ispirò lo scrittore inglese Horace Walpole (1717- 1797) nella stesura del primo romanzo gotico in assoluto. Ovviamente il romanzo è un’opera di fantasia senza alcun riscontro storico. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

I castelli più famosi della provincia pontina
Da latinatoday.it del 28 luglio 2018

 

La provincia pontina proprio per la sua vicinanza a Roma, oltre a essere una ricca testimonianza dell’epoca antica, è stata luogo abitato da importanti casate e animato da un continuo passaggio di viandanti e pellegrini sin dal Medioevo.

Lo testimoniano la presenza di Abbazie e cammini di fede, ma anche di Castelli disseminati per tutta la zona dei Monti Lepini fino al sud pontino.

Diversi sono i castelli che dominano le cittadine della provincia pontina, soprattutto le più antiche e le più suggestive, come quello di Fondi, di Itri, Maenza e altri, ma tra i più famosi ci sono sicuramente il Castello Caetani di Sermoneta, il Castello di San Martino a Priverno e il castello angioino-aragonese di Gaeta.

 

Il Castello Caetani di Sermoneta

Tra i più famosi castelli della provincia pontina troviamo sicuramente il Castello Baronale di Sermoneta, edificato nel XIII secolo per opera della famiglia degli Annibaldi, come fortezza militare, è abbarbicato sul cucuzzolo più alto del borgo antico di Sermoneta. Nel 1297 i territori di Sermoneta, Bassiano e San Donato passarono alla famiglia Caetani, che lo ha abitato fino al ‘500 e poi di nuovo nel XIX secolo. Nel frattempo hanno vissuto al Castello alcuni Papi e i Borgia. Lelia Caetani ultima discendente della gloriosa famiglia non ha istituito verso la fine degli anni ’70 la Fondazione Roffredo Caetani, che tuttora gestisce il Castello, aperto al pubblico tutto l’anno, ospita eventi culturali di vario genere.

Il Castello di San Martino a Priverno

Il Castello di San Martino a Priverno è stato edificato nella seconda metà del XVI secolo come residenza estiva del Cardinale Tolomeo Gallio, segretario del Papa Gregorio XIII. Nel corso dei secoli diverse famiglie nobili si sono contese la proprietà che oggi è del Comune di Priverno. Il castello è una costruzione di pianta quadrata con una suggestiva corte interna. Nel castello, circondato da un parco di decine e decine di ettari, ha sede attualmente il Museo della Matematica, alcune aree dedicate a convegni e altre ad accoglienza alberghiera. Il parco aperto a tutti è un’ottima location per pic nic, passeggiate a contatto con la natura o semplicemente per passare qualche ora di relax.

Il Castello angioino-aragonese di Gaeta

Il castello di Gaeta domina il centro storico dall’alto ed è chiamato così per la sua struttura composta da due edifici comunicanti realizzati in due momenti storici diversi. Sembra che sia stato edificato nel X secolo, ma sostanziali modifiche furono apportate nel 1227 con Federico II di Svevia, poi nel 1289 con Carlo D’Angiò e nel 1436 con Alfonso I D’Aragona. L’imperatore Carlo V fece realizzare diverse fortificazioni militari rendendolo una vera e propria fortezza inespugnabile. Dall’ottocento fu una prigione nella quale fu rinchiuso anche Giuseppe Mazzini. Attualmente ospita nella parte Aragonese, la Scuola nautica della Guardia di Finanza, e nella parte angioina la sede distaccata dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.

 

 

"I lavori allo Sperone partiranno entro l'anno"
Da quinewsvolterra.it del 28 luglio 2018

VOLTERRA — "I lavori allo Sperone di Piazza Martiri partiranno entro l'anno - assicura il consigliere Paolo Moschi, dai banchi della minoranza con Uniti per Volterra -, e con tutta probabilità entro questo autunno. Un lavoro al quale ho lavorato di concerto con la Soprintendenza di Pisa, durante il mio mandato e del quale sono molto orgoglioso, poiché va nella direzione voluta dalla Lista Civica". "Sulla Gazzetta Ufficiale - spiega l'ex assessore - è stato pubblicato il risultato della gara per l'affidamento dei lavori di 'Ripristino della cinta muraria prospiciente Piazza Martiridella Libertà nel Comune di Volterra (PI)' . Determina a contrarre del 16 novembre 2017. Progetto esecutivo validato dal RUP dell'ente aderente con provvedimento del 19 aprile 2017. L'importo complessivo ammonta a € 828.723, l'aggiudicatario: RTI costituendo Cooperativa Archeologia Soc. Cooperativa (Mandataria), Consorzio stabile 4IT Constructions (Mandante), Via Luigi La Vista 5, 50133 Firenze". "Quindi si tratta di una società toscana - commenta ancora l'assessore -, che non avrà problemi a visionare in loco quanto prima il cantiere. La gara è stata seguita da Invitalia per conto della Soprintendenza. Sono molto contento che, nonostante i chiarimenti chiesti durante la procedura concorsuale, si sia arrivati ad una individuazione chiara, fondamentale per una certezza dei tempi. In futuro l'amministrazione dovrà collaborare con la Fondazione Crv, nel cui programma delle opere è stato inserito, grazie alla disponbilità dell'Ente, la realizzazione dell'ascensore per Parco Fiumi. La cui predisposizione sarà oggetto dei lavori che partiranno entro l'anno. "Con quest'opera Volterra si gioca una carta importante - conclude l'ex assessore -, l'affidamento alla ditta che svolgerà i lavori ci fa capire che il lavoro svolto negli anni passati sia servito per una Volterra che guarda avanti".

 

 

Ottagono di Ca’ Roman, spunta l’interesse di Chioggia
Da nuovavenezia.it del 28 luglio 2018

Chioggia corteggia Venezia, in particolare l’Ottagono di Pellestrina, noto come Caroman (o Ca’ Roman).
Se il secondo bando indetto dal Demanio per la concessione del forte del 1400 andasse deserto, Chioggia sarebbe pronta a presentare un piano B, già in linea generale abbozzato. Essendo il bene inserito nell’omonima oasi, caratterizzata da dune e specie rare, Chioggia vorrebbe che l’Ottagono diventasse un centro visite e una base logistica della Riserva naturale di Caroman. La proposta potrebbe rientrare nel Progetto speciale del Piano Regolatore del comune di Chioggia che prevede la costituzione di un Parco delle fortificazioni del Porto di Chioggia. Il documento si trova nella sezione Contributi del sito web del Consorzio Venezia Nuova (www.mosevenezia.eu), insieme a una cinquantina di altre proposte, inviate nell’ambito degli incontri sull’Inserimento paesaggistico e ambientale delle opere alle Bocche di Porto. Gli appuntamenti, partiti il 30 maggio con un dibattito al Thetis Auditorium, avevano l’obiettivo di raccogliere da associazioni o enti proposte sulle quattro Bocche di Porto. «I soldi si ricaverebbero dalle misure compensative del Mose» spiega Andrea Grigoletto dell’Istituto Italiano dei Castelli e firmatario della proposta «Siccome il Mose era stato realizzato in aree Sic (sito di interesse comunitario, ndr) e Zps (Zona protezione speciale), l’Italia per evitare le sanzioni ha stanziato 266 milioni di euro per opere di compensazione. «Di questa somma una parte è sotto indagine, ma gli altri 122 milioni ci sono e si possono utilizzare. Se il bando andrà deserto avanzeremo la proposta». Una situazione anomala, dato che l’Ottagono fa parte del comune di Chioggia, ma solo fino a un certo punto perché Pellestrina si trova distante solo una quindicina di minuti. C’è anche da dire che tra la cinquantina di proposte arrivate sul sito del Consorzio Venezia Nuova per eventuali idee su interventi alle Bocche di Porto, non ce n’è una del Comune di Venezia. L’Ottagono era stato chiesto dal Comune attraverso la procedura del federalismo demaniale, ma sembra che per certi tipi di forti la prassi richiesta sia quella del federalismo culturale, quindi con un progetto di riqualificazione. Fino a quando non si saprà se i privati parteciperanno al bando, queste proposte rimangono ipotesi. Per la seconda volta il Demanio ha inserito l’Ottagono all’interno del quarto bando Valore Paesi Fari con lo scopo di concedere ai privati l’utilizzo del bene per 50 anni al fine di valorizzare l’immobile. La scadenza per partecipare è il prossimo 27 novembre. I bandi rientrano in un progetto di riqualificazione avviato nel 2015 dal Demanio ed è giunto alla quarta edizione. «Tra le linee guida si richiede «un progetto dall’elevato potenziale per i territori e a beneficio di tutta la collettività che consenta di sviluppare un modello di accoglienza turistica intesa non solo come ricettività, ma anche di natura sociale e culturale». L’Ottagono è il più grande di tutta la laguna. Realizzato dalla Repubblica di Venezia per difendersi dalla minaccia turca, come dimostrano le due bocche di fuoco su due lati. Nella parte centrale emerge la presenza di un invaso circolare con funzione di pozzo e cisterna a cassoni. La struttura è sorta attorno al 1400 e ha un basamento di pietra d’Istria. — Vera Mantengoli

 

 

Una base Usa che si è sbriciolata
Da civonline.it del 27 luglio 2018

Controllava le telecomunicazioni nell’area mediterranea

DI GIANNI MACHEDA Da simbolo della presenza capillare della potenza americana in Occidente a spazio libero per il pascolo delle mucche. La base Usa di Monte Nardello, nel cuore dell’Aspromonte in Calabria, in provincia di Reggio, è la rappresentazione plastica dell’evoluzione del rapporto tra gli Usa e i loro alleati occidentali a cavallo della Guerra fredda. Ma anche un luogo dell’anima per quelli che la frequentarono. Si trattava di un avamposto, uno dei molti distribuiti in punti strategici del territorio Italiano, anche al Sud Italia, che a un certo punto, non ebbe più senso di esistere. «Nel cuore dell’Aspromonte, a circa 1.750 metri di altitudine», racconta il sito strettoweb.com, «sorge l’ex base Usaf di Monte Nardello costruita nel 1965 insieme con quella di Catania e di Trapani per il controllo delle telecomunicazioni nell’area del Mediterraneo. L’uso dei satelliti, poi, ne determinò la fine dell’operatività nella seconda metà degli anni ’80. Il sito è ubicato a circa 10 chilometri dalla frazione di Gambarie, rinomato centro turistico e sciistico del comune di Santo Stefano in Aspromonte, sorge nel territorio del comune di Roccaforte del Greco e fa parte del Parco dell’Aspromonte». Aspromont Horizon era appunto il nome dello studio che fin dalla fine degli anni 50 venne elaborato dagli Stati Uniti. Non venne mai completamente realizzato, raccontano gli esperti, ma lo fu quel tanto che basta per lasciare tracce profonde sull’immaginario del posto. La base, dove diverse decine di militari americani assistiti da una dozzina di impiegati del posto, tessevano la fitta rete di controlli sui passaggi aerei in una zona chiave del Mediterraneo, fu, fi n dall’inizio, una specie di luogo mitologico soprattutto per i ragazzi della provincia di Reggio. Si partiva dalla città agghindati con tenute paramilitari (i più fortunati su una vecchia Jeep o addirittura su una Uaz di costruzione sovietica, somma provocazione) e dopo curve su curve e strade piene di buche si arrivava alla base. I «mericani» ti accoglievano sempre di buon grado, negli orari dedicati alle visite. Ovviamente nei soli luoghi della base deputati al tempo libero: il bar, col tavolo da biliardo, il tirassegno e le panche di legno, o la palestra ben attrezzata, forse più di quelle che potevi trovare giù in città. «Gimme a coke!», urlava il sergente nero al barista, entrando nel locale. «Stocazzo!», rispondeva il barista Usa ridendo, quasi a dimostrare la sua buona volontà di coltivare l’italiano (che, come ogni lingua appresa sul posto si impara meglio partendo dalle parolacce). I militari ti facevano fare il giretto, ti regalavano qualche portachiavi o gadget simili, gelosamente custoditi da noi ragazzi appassionati dei soldatini della Atlantic, ti facevano ascoltare Elvis Presley al juke box (ma poi di nascosto si appassionavano a Mina, Celentano e Marcella Bella). Poi un good-bye e si andava via. Purtroppo senza essere mai riusciti a cogliere segnali di ciò che forse era il vero motivo delle nostre visite: la supposta presenza nelle cavità della base di fantomatici missili che (si vociferava con fare carbonaro) sarebbero dovuti servire a contrastare quelli sovietici nel caso la Guerra da Fredda diventasse Calda. Negli anni, poi, le leggende intorno alla base si moltiplicarono. Dai missili si passò agli alieni: Monte Nardello sarebbe stata in realtà una specie di Area 51, uno spazio che, in virtù della sua particolare conformazione, era stato prescelto per effettuare sperimentazioni su specie aliene o addirittura accoglierne nel caso si fossero volute manifestare. Incontri ravvicinati del terzo tipo al sapore di nduja. Cominciarono anche a correre voci di strani esseri squamosi dal corpo umano e dalla testa di rettile, avvistati da compare Nino o commare Mariella nei boschi, magari andando a funghi. Ancora adesso girando per Gambarie d’estate trovi sempre qualcuno che conosce il cugino del fratello dello zio dell’amico «chi vitti ‘u mostru e sa fuiu», vide il mostro e se ne scappò. Il sito segnidalcielo.it racconta in proposito che «Giacomo Figurella, un fisico italiano che ebbe modo di lavorare all’interno della base, affermò di aver visto all’interno degli esseri ibridi con caratteristiche sorprendenti: non erano esseri umani, avevano mani e piedi palmati e respiravano attraverso branchie poste sotto il collo». Decenni prima di Guillermo Del Toro e del suo film pluripremiato La forma dell’acqua, qualcuno all’ombra dei quasi 2 mila metri di Montalto aveva già visto (immaginato) le sperimentazioni americane su tritoni e sirene. Della gloria di questa base, della narrazione costruitaci intorno, che ha permesso a generazioni di reggini di passare serate spaventandosi a vicenda, e della sua presenza anche economica, ben nota ai più pragmatici negozianti del luogo che incuranti dei globi luminosi e degli uomini-pesce facevano affari con gli americani quando questi andavano a far scorte con i loro pick up, di questa gloria, si diceva, oggi nulla rimane. A un certo punto venne deciso che la base non serviva più e venne abbandonata. «Oggi si trova in uno stato pessimo di conservazione, tanto da costituire una vera e propria minaccia ambientale», ricorda sempre strettoweb.com. Una fine molto italiana per una base americana, verrebbe da dire. La recinzione, miracolosamente sopravvissuta, viene sfruttata da qualche allevatore locale per far pascolare le mucche in sicurezza. Quando arrivi e passi quella che un tempo fu una cancellata e che oggi è garbuglio di metallo arrugginito, le mucche ti vedono e pacificamente si spostano verso lo spazio erboso più vicino, mentre i bambini fingono di esserne spaventati. Gli edifici in muratura sono lì lì per crollare: neanche un nastro di sicurezza a segnalarlo. Qualche ragazzino, incurante del pericolo, ci ha lasciato dentro messaggi svogliati, vergati a colpi di spray rosso sui muri scrostati: «Free Siria», «Aderisci alla A cerchiata» (sic)  «Free Gaza». Basamenti in cemento da cui fuoriescono pezzi di ferro che si sbriciolano, tombini scoperchiati (inutile guardarci dentro, missili non se ne vedono), balaustre cadenti. Niente che faccia ricordare un frenetico Jailhouse Rock intonata da Elvis Presley, le parolacce del barista o la palestra che avevi visto solo in televisione. Eppure sulla base Usaf di Monte Nardello continua ad aleggiare qualcosa di inspiegabile. Che forse poco ha a che vedere con Ufo e mutanti e molto con la nostalgia di un tempo più semplice dove c’erano amici e nemici, gli uni a Occidente e gli altri a Oriente, e a te, ragazzino che nulla sapevi del mondo, piaceva sentirti protetto da un sergentone nero che urla «Gimme a coke!».

 

 

Il mondo dei Catari e le fortificazioni  medievali nel prossimo convegno dell’Accademia casentinese
Da casentopiu.it del 25 luglio 2018

Mura, fortezze, castelli e roccaforti. In un luogo ricco di fortificazioni come il Casentino, non si poteva non affrontare un argomento del genere. Dai Pirenei alla Francia meridionale con il focus incentrato sul mondo misterioso ed esoterico dei Catari, l’Accademia casentinese dedicherà un convegno a quegli edifici storici e architettonici che, nel medioevo, furono teatro di dolorose persecuzioni contro gli eretici. Dal titolo “Mura tra roccia e cielo. Vertigine e tecnica nelle fortificazioni nella terra dei Catari”, l’incontro, che si svolgerà domenica 29 luglio 2018 alle ore 10:45 nel consueto Castello di Borgo alla Collina, cercherà di tracciare un profilo storico di queste strutture, rintracciando similitudini e differenze artistiche nei vari territori in cui sono state erette. A condurre l’evento sarà Simone De Fraja: avvocato, saggista, studioso del periodo medioevale ed esperto di castellologia (specialmente dell’area aretina, ma anche del Vicino Oriente) che si è anche occupato di pensiero Neoclassico ed esoterico del secolo XVI; tema sul quale ha condotto numerose ricerche. di Fabrizio Cardoni

 

 

MBDA Italia: il centro d’eccellenza missilistica di La Spezia/Aulla
Da analisidifesa.it del 25 luglio 2018

Lo stabilimento di La Spezia ed il connesso sito di Aulla, quest’ultimo posto all’interno del comprensorio del Centro Interforze Munizionamento Avanzato (CIMA) della Marina Militare, rappresentano il centro integrato d’eccellenza missilistica di MBDA Italia.

Accanto ai programmi legati allo sviluppo, produzione e mantenimento in servizio dei sistemi missilistici antinave, che fin dalla nascita del sito rappresentano il cuore dell’eccellenza del centro ed oggi registrano l’evoluzione delle famiglie Marte e Teseo, il centro di La Spezia/Aulla di MBDA Italia si appresta ad ampliare il proprio contributo al know-how strategico nazionale.

 

 

 

Nel settore dei sistemi superficie-aria, il centro si sta preparando per l’assemblaggio finale del CAMM ER che si aggiunge alle attività legate alla famiglia Aster, anch’esse in evoluzione e s’affaccia sul settore aria-superficie con l’estensione della vita operativa e l’ammodernamento della munizione stand-off a lunga portata Storm Shadow. Un’attività che si sviluppa di pari passo con la ricerca e sviluppo (R&D) interna, la cooperazione con le Forze Armate ed il CIMA, ed i numerosi programmi Ricerca e Sviluppo (R&D) con le università, industria e centri dedicati della Difesa, in un’ottica di sviluppo e mantenimento a livello strategico della sovranità e produzione a favore della Difesa e dell’export nel settore missilistico.

Nato negli anni ’70 per supportare la decisione politica di dotare il paese di una capacità sovrana nel settore del segmento missilistico tattico di superficie, le cui attività si svilupparono inizialmente attraverso una cooperazione industriale tra Oto Melara e Matra Engins per sviluppare il sistema missilistico antinave Otomat (denominato Teseo dalla Marina Militare italiana), lo stabilimento di La Spezia ed il connesso sito di Aulla all’interno del comprensorio del Centro Interforze Munizionamento Avanzato (CIMA) della Marina Militare sono oggi protagonisti di un nuovo sviluppo produttivo e tecnologico. Costruito in quegli anni per soddisfare le necessità del programma Otomat/Teseo, che ha riscosso un notevole successo nel tempo con 1050 unità prodotte dai due paesi e definiti gli accordi con il Ministero della Difesa per realizzare ad Aulla (CIMA) le attività piriche inerenti l’integrazione, il collaudo finale e lo stoccaggio delle munizioni presso installazioni oggi gestite da MBDA Italia,

il binomio La Spezia/Aulla si è sviluppato nel tempo in un centro d’eccellenza che vede la realizzazione completa di un sistema missilistico, dalla fase di progettazione, sviluppo prototipi e test, a quella di produzione con integrazione inerte e pirica, collaudo, stoccaggio, consegna al cliente, mantenimento ed eventuale estensione della vita operativa/ammodernamento del sistema.

Ogni anno MBDA investe nel comprensorio di La Spezia-Aulla circa sette milioni di euro, alimenta la ‘supply-chain’ locale per circa 20 milioni di euro, realizza tecnologia allo stato dell’arte anche grazie ad una stretta collaborazione con le università, mantenendo risorse qualificate e sviluppando mutue collaborazioni con le Forze Armate, come nel caso del sito del Centro Integrazione Missili (CIM) all’interno del comprensorio del CIMA della Marina Militare. Sviluppatosi su di un sedime che oggi conta 22.500 mq, di cui 10.500 coperti su 3 edifici, con una nuova palazzina uffici (edificio 9), una struttura laboratori, produzione e magazzini (edificio 7) in ristrutturazione, ed un’area assemblaggio lanciatori e revisione motori turbojet, il sito di La Spezia è passato nel 1997 in AOSM (Alenia Oto Sistemi Missilistici) a seguito della costituzione di Alenia Difesa, e quindi in Alenia Marconi Systems (AMS) e più recentemente nel 2001, è confluito nella neonata MBDA. Presso quest’ultimo sito, le attività principali riguardano lo sviluppo test e produzione (integrazione inerte) di missili ed installazioni di lancio per piattaforme aeree, navali e terrestri, a cui s’aggiungono progettazione meccanica ed aerodinamica, simulazione e ‘ambiente sintetico’, ‘Hardware in the Loop’ (HWITL) e prove d’interferenza e compatibilità elettromagnetica (EMI/EMC), revisione motori turbojet e laboratorio per tecnologie duali. A questi s’aggiunge l’attività d’integrazione pirica, collaudo finale e stoccaggio delle munizioni nonché la produzione della sezione anteriore della famiglia di missili Aster presso il CIM ‘Sergio Ricci’ (dal nome dello storico collaboratore di Gustavo Stefanini, ‘padre’ di Oto Melara, al quale ha succeduto nella guida dell’azienda) ospitato presso gli edifici 41 e 47 del Centro Interforze Munizionamento Avanzato (CIMA) della Marina Militare. Con quasi 200 dipendenti a tempo indeterminato ed un’età media di 44 anni, di cui il 26% under 30 ed il 10% over 60 (con una suddivisione fra uomini e donne pari rispettivamente all’80/20%), il sito integrato di La Spezia/Aulla presenta principalmente cinque macro-aree rappresentate dal centro sviluppo software sistemi missilistici (CIS-CSSSM), settore operazioni, integrazione e validazione del sistema d’arma, laboratorio equipaggiamenti di test ed il laboratorio di ricerca e sviluppo industriale avanzato. Come anticipato, il sito copre l’intero ciclo che porta alla creazione di un nuovo sistema d’arma missilistico ed il supporto lungo la vita operativa, che necessita di un “ambiente operativo fisico-logico” o area ad elevata riservatezza (classifica uguale e superiore a ‘riservato’ e sottoposta a vincoli di controllo del dipartimento delle informazioni per la sicurezza – DIS) rappresentato dal CIS-CSSSM, dove vengono redatti ed archiviati i documenti relativi ai programmi, mantenuto l’ambiente di gestione dei requisiti funzionali e modellazione di sistema, quello di modellazione e simulazione algoritmi

nonché l’ambiente di sviluppo software e test funzionale per il sistema operativo del missile, sistema di lancio e simulatori. L’area principale del sito è rappresentata da quella destinata all’assemblaggio e manutenzione delle sezioni ed assemblaggio finale (inerte  a La Spezia ed integrazione pirica ad Aulla) delle munizioni, assemblaggio e test degli equipaggiamenti pirotecnici, sviluppo e validazione degli strumenti e della linea d’assemblaggio, nonché banchi di sviluppo e test, design meccanico ed elettrico. In pratica le varie componenti del missile arrivano dagli altri siti del gruppo compreso il Fusaro, fornitori terzi ma anche dallo stesso sito di La Spezia e qui vengono assemblati insieme nelle diverse sezioni e queste a creare la munizione, che viene poi sottoposta a test di verifica integrativa del sistema e della sua componentistica nell’apposita area dedicata.

Lo stabilimento di La Spezia Presso il sito di La Spezia si trovano attualmente la linea d’assemblaggio dei missili Marte di seconda generazione ed in particolare risultano in produzione le munizioni del secondo lotto per l’impiego da nave (Mk2/N) destinate agli Emirati Arabi Uniti. Un’altra linea d’assemblaggio è dedicata al Marte ER, di cui nel corso della visita al sito, era in fase di realizzazione l’unità di pre-serie con il nuovo turbojet Williams WJ-24-8G. Quest’ultima dovrebbe essere impiegata per il primo tiro di qualifica quest’autunno presso il Poligono Interforze di Salto di Quirra (PISQ) in Sardegna. Un ulteriore linea d’assemblaggio riguarda il sistema missilistico antinave pesante Teseo, di cui parleremo oltre, che ha visto dalla metà anni ‘2000 l’assemblaggio con ammodernamento alla più recente versione Teseo Mk2/A delle munizioni della precedente versione Mk2 per la Marina Militare nonché la produzione per l’estero sia nella versione precedente Mk2 che della nuova Mk2/A.

Su richiesta e specifiche della Marina Militare, MBDA Italia sta lavorando alla fase di definizione finale della configurazione di una nuova versione denominata Teseo Evo (o Evolution) con capacità antinave e contro bersagli terrestri, di cui parleremo oltre, il cui completamento del design e assegnazione del contratto di sviluppo dovrebbe arrivare entro la fine del 2018.

Nel recente passato, presso il sito di La Spezia è stata effettuato anche la preparazione e qualificazione dei lanciatori delle batterie SAMP/T per l’Esercito Italiano a dimostrazione del completo spettro d’esperienze accumulato a vantaggio di future attività.

In particolare, come meglio vedremo oltre, il sito integrato di La Spezia/Aulla si sta preparando per le attività legate al programma CAMM ER ed in particolare alla realizzazione della linea di assemblaggio inerte e pirica per il nuovo sistema missilistico con relativi sistemi di test e supporto, nonché sistema di lancio e trasporto.

Una volta assemblate, le munizioni e relativi sistemi di lancio passano all’area di integrazione e validazione, dove vengono sottoposti a test e collaudo compresa quella del seeker grazie ad una camera anecoica di nuova adozione dove viene simulato l’inseguimento del bersaglio, disturbi e  corrispondenza alle prestazioni richieste.

Qui viene anche realizzata l’integrazione con il sistema di lancio e condotta l’accettazione del cliente nonché la gestione dei relativi tiri dopo aver completato l’integrazione pirica ad Aulla, se non equipaggiati di testata telemetrica.

Presso il laboratorio ‘test equipment’ sono portate a termine tutte le fasi di progettazione, realizzazione, integrazione, installazione e manutenzione relativa alle attrezzature di test, anche in partnership con le piccole e medie imprese locali, e con l’obiettivo di realizzare prodotti nuovi e modulari per l’impiego multi-attività, a cui s’aggiunge la realizzazione di workshop per i clienti ed il supporto al training.

Un’altra importante area del sito di La Spezia è rappresentata dal WSSE (Weapon Systems Simulation & Experimentation) dedicato all’integrazione dei sistemi e simulazione in ambiente sintetico anche con altre realtà aziendali e della Difesa per nuovi sistemi missilistici come nel caso del Multilayer Coastal Defence System (MCDS) con primo cliente il Qatar e sistemi integrati per la difesa aerea e contro i missili balistici (IAMD) con le nuove versioni della famiglia Aster, come nel caso del sistema SAAM ESD con missili Aster 30 Block 1 sempre per il Qatar. A questi s’aggiunge Il Compact Warfare System Package ‘Sea Ranger’ ovverosia il pacchetto modulare di comando e controllo e sistemi d’arma per la difesa di imbarcazioni veloci di ridotte dimensioni con Brimstone e Marte MK2/N per attività antinave e SIMBAD-RC per la difesa aerea.

Tale suite di simulazione del sistema integrato di plancia e gestione dei sistemi d’arma in ambiente operativo consente, grazie alla piattaforma sviluppata da IBR Sistemi con MBDA, di sviluppare un alto livello di realismo e presentazione ai potenziali clienti sia in occasione di saloni o visite presso il sito. È inoltre presente un’area dedicata alla revisione dei motori turbojet del sistema missilistico Teseo per la Difesa e per l’export. Il sito di MBDA Italia dispone infine di una zona laboratorio R&D denominato LaMBDA (Laboratory for Advanced Industrial Research and Technology – MBDA) che ricerca l’eccellenza tecnologica per applicazioni industriali anche duali, con particolare attenzione alle opportunità offerte dai ‘lateral market’. Il laboratorio collabora attivamente con PMI, università, startup e Forze Armate in ottica ‘Open Innovation’, costituendo un ‘hub’ di tecnologie sul territorio.

Il laboratorio ha una forte connotazione multidisciplinare ed è integrato nel panorama europeo del gruppo, offrendo contributi nei principali settori, dal monitoraggio delle condizioni di funzionamento ed ambientali attraverso sistemi HUMS (Health and Usage Monitoring System) di nuova generazione per l’integrazione nei sistemi di lancio e negli stessi sistemi missilistici, alla stampa 3D con materiali termoplastici ad alte prestazioni, allo studio e caratterizzazione di materiali e impatto ambientale come nel caso dei materiali reattivi ad alta energia per le teste in guerra, sistemi fotonici, armi laser, sistemi elettronici ad alte prestazioni ed armi ad impulso elettromagnetico, come nel caso del programma THOR che renderà inefficaci, bruciandone i circuiti elettronici, i sistema d’arma avversari. Come anticipato, il CIM di Aulla nell’ambito del comprensorio del CIMA, costituisce un elemento integrante e distintivo del sito spezzino di MBDA Italia e del suo rapporto con la Difesa. In aggiunta all’integrazione pirica sui sistemi missilistici presenti e futuri, nell’ambito del programma Aster il CIM svolge una missione unica effettuando la produzione della cosiddetta ‘sezione anteriore’ per tutti i missili Aster, con un rateo di circa 20 unità al mese.

Quest’ultima che include la testata in guerra viene assemblata ad Aulla ed una volta collaudata viene inviata in Francia presso il sito MBDA di Selles-Saint-Denis, dove si trova la linea d’assemblaggio Aster per tutti gli operatori della famiglia del sistema missilistico.

In aggiunta alla testa in guerra, la sezione anteriore del missile Aster comprende anche seeker, blocco sensori, pacco batterie e spoletta.

I recenti ordinativi di missili Aster nel Medio Oriente unitamente agli sviluppi del programma Marte ed in un prossimo futuro del CAMM ER, hanno portato ad un piano di potenziamento delle capacità del sito senza ampliare le infrastrutture.

Al fine di assicurare un incremento del rateo di assemblaggio pirico e quindi di produzione e fornitura dei sistemi missilistici ordinati, verrà portata a termine una trasformazione degli spazi a disposizione.

 

In aggiunta alla line di produzione della sezione anteriore dei missili della famiglia Aster, ciascuna delle due aree del CIM dispone di diverse aree d’integrazione pirica comprendente una sala di test e due celle dove avviene l’integrazione vera e propria con un  pre-assemblaggio dei relativi componenti, un accoppiamento con la testa e l’assemblaggio finale.

Secondo il piano di potenziamento ideato dagli ingegneri e tecnici di MBDA Italia, anche la sala di test viene trasformata in area d’integrazione dove potrà essere svolto l’intero ciclo d’assemblaggio missilistico finale.

In questo modo viene assicurato il rispetto dei livelli di gestione del materiale pirico nelle diverse aree che s’aggiunge all’ottemperanza al TULPS (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza) che classifica i componenti pirici in 5 categorie a secondo delle loro caratteristiche e del tipo di reazione (detonanti e deflagranti) ed impone che vengano stoccati in depositi differenti (un deposito per ogni categoria).

 

 

Accanto a tale potenziamento, il CIM vedrà in un prossimo futuro l’entrata in operazioni della linea d’assemblaggio pirica del sistema missilistico superficie-aria CAMM ER destinato al sistema EMADS (Enhanced Modular Air Defence Solutions), a cui s’aggiunge l’estensione della vita operativa e l’ammodernamento del sistema stand-off Storm Shadow in servizio con l’Aeronautica Militare italiana. In particolare, grazie ad un contratto che dovrebbe essere assegnato entro la fine dell’anno, il CIM si sta preparando all’inertizzazione delle munizioni Storm Shadow per il successivo ripristino a seguito del previsto programma di MLU lanciato nel 2017, che al momento attuale coinvolge soltanto la Francia e la Gran Bretagna. In questo contesto, le munizioni prodotte per l’AMI verranno rese inerti presso il CIM e poi spedite in Gran Bretagna per essere sottoposte all’ammodernamento al pari delle munizioni per gli altri due  paesi. Successivamente torneranno al CIM, al termine del ciclo, per l’integrazione pirica finale prima della riconsegna.

Marte ER: l’antinave intermedio leggero Sviluppato dall’allora Oto Melara – la cui area missilistica è successivamente confluita, attraverso diversi passaggi come sopra evidenziato, in quella che oggi è MBDA -, quale missile antinave leggero destinato ad essere impiegato da nave (Sea Killer Mk1), elicottero (Marte Mk2) e successivamente velivoli ad ala fissa da addestramento ed attacco al suolo (Mk2/A),

il sistema d’arma Marte nell’attuale (seconda generazione) versione ha registrato la sua prima applicazione per l’impiego da velivoli ad ala rotante ed in particolare inizialmente a bordo dell’EH-101 della Marina Militare dal 2006 e successivamente dalla piattaforma NHIndustries NFH-90, che ha completato l’integrazione e qualificadel sistema nel 2012.

Il programma ha successivamente registrato lo sviluppo a partire dal 2009 della versione navale (o lanciata da nave) che è stata qualificata nel 2012, la cui munizione (canister di trasporto e lancio + missile) e sistema di lancio costituiscono il fulcro della variante per l’impiego operativo antinave da nave. La seconda generazione del missile Marte (Mk2) si caratterizza per una riduzione della lunghezza della cellula grazie all’impiego di due booster laterali, una sezione anteriore di maggiore diametro per ospitare il seeker RF denominato SM-1S fornito da Leonardo (precedentemente Selex SI/Galileo) che rappresenta lo stesso utilizzato per il sistema missilistico Otomat/Teseo Mk2/A, ed elettronica digitale con nuovo computer di missione.

Con una lunghezza di 3,85 metri, un diametro massimo di 316 mm ed un peso di 310 kg (con booster) che scendendo a meno di 300 kg per la versione senza i medesimi (Mk2/A per velivoli ad ala fissa sia da addestramento/combattimento che da pattugliamento), il Marte Mk2 ha una portata di oltre 30 km, un sistema di guida integrato altimetro/inerziale per la guida ‘mid-course’ e terminale radar attiva con avanzate capacità di risposta alle contromisure (ECCM). Grazie alla possibilità di lanciare fuori-asse fino a +/-90 gradi, con un ridotto tempo di risposta (3 secondi necessari all’accensione ed altrettanti per il lancio), la capacità di programmare tre ‘way-point’ sul piano orizzontale, l’altezza per il punto di impatto e la zona di ricerca del seeker attraverso il sistema di pianificazione della missione, il Marte Mk2 si caratterizza per avanzate capacità d’ingaggio di bersagli di superficie con una testa in guerra della classe 70 kg ad attivazione ad impatto o di prossimità, elevate capacità di manovra terminale per incrementare la sopravvivenza contro sistemi per la difesa ravvicinata delle unità sotto attacco. In aggiunta all’impiego da elicottero in servizio con la Marina Militare, il Marte è stato testato da piattaforma ad ala fissa per il pattugliamento marittimo Airbus C-295 e da velivolo da addestramento/attacco al suolo Leonardo M-346. Per la prima piattaforma (C-295), è stata eseguita una serie di campagne di volo per l’acquisizione dei dati ambientali, culminata con una prova di sgancio eseguita con successo nel 2013. Per la seconda piattaforma invece è stata studiata l’interazione funzionale della capacità antinave effettuata con il Marte Mk2/A.

Nella versione lanciata da nave, denominata Marte Mk2/N, la munizione e il relativo sistema di lancio sono stati acquisiti dalla Marina degli Emirati Arabi Uniti per l’impiego da bordo delle unità veloci classe ‘Ghannatha’, per cui il paese mediorientale ha acquisito un ulteriore secondo lotto di munizioni, attualmente in fase di produzione. Quest’ultima versione, seppure nulla è stato mai confermato ufficialmente dall’azienda, è stata acquisita anche dal Turkmenistan per equipaggiare le unità veloci d’attacco da 55 metri costruite in Turchia dai cantieri Daersan e dotate di due lanciatori singoli. Lo sviluppo della terza generazione della famiglia Marte, seconda quanto risulta ad AD, risale al 2006
quando la Marina indiana ha emesso un requisito operativo per un sistema missilistico antinave con portata intermedia da installare su piattaforma ad ala rotante. Per soddisfare tale esigenza e l’interesse di diverse altre Marine militari mondiali che necessitavano di un analogo sistema, MBDA Italia ha sviluppato il Marte ER (Extended Range). Concepito fin dall’inizio dello sviluppo come sistema d’arma multi-piattaforma capace di essere impiegato non soltanto da elicotteri, batteria costiera e piattaforma navale, ma anche da velivolo da combattimento o fast-jet come l’Eurofighter Typhoon in aggiunta a velivoli da addestramento/attacco al suolo o combattimento, partendo da una comune cellula che si differenzia per i piani di controllo del missile al fine di soddisfare i stringenti requisiti in termini di spazi e gestione della munizione sotto l’ala dei fast-jet ed il sistema d’interfaccia con la medesima piattaforma lanciatrice.

Gli ingegneri e tecnici di MBDA Italia sono pertanto intervenuti con lo sviluppo di una nuova cellula dal diametro costante in grado di accogliere una nuova sezione propulsiva per assicurare una portata superiore ai 100 chilometri ma con dimensioni tali da poter continuare l’installazione su elicotteri di medie dimensioni e velivoli d’addestramento/attacco al suolo come la piattaforma Leonardo M-346.

Al posto del motore a razzo del Marte Mk2, la versione ER (Extended Range) adotta un turbojet Williams WJ-24-8G. Rispetto alla versione Mk2, la versione ER ha i controlli in coda: tale soluzione assicura una risposta più immediata ai comandi di attuazione ed una maggiore manovrabilità complessiva.

La variante ER è un missile di lunghezza pari a 3,6  metri e dal peso di 330 kg (inclusi i boosters). L’incremento di portata ha portato alla modifica del sistema di guida: alla suite basata sul solo dato inerziale è stato aggiunto l’uso del dato GPS, grazie all’inserimento di un ricevitore GPS per la fase di crociera. Per quest’ultima fase, possono essere impostati fino a dieci ‘way point’ tridimensionali. L’impiego del ricevitore GPS incrementa ulteriormente la precisione della navigazione e consente l’attacco di bersagli quali navi in porto o installazioni in prossimità della costa sulle base delle coordinate geografiche.

Per quanto riguarda il seeker, non è stato ancora selezionato, facendo presente che il sistema in banda ‘X’ installato sul Marte Mk2 e prodotto da Leonardo è lo stesso di quello installato sull’Otomat Block IV/Teseo Mk2A. Sfruttando l’estesa esperienza sviluppata nell’ambito dei seeker per i principali programmi europei rappresentati dai sistemi d’arma Aster e Meteor, di cui MBDA Italia detiene la design authority, quest’ultima ha sviluppato un ricevitore digitale a banda larga in fase di validazione in ambiente operativo, che unitamente ad un seeker in banda Ku con antenna tradizionale, potrebbe trovare applicazione sul Marte ER con tempi di messa a punto compatibili con le attuali richieste di consegna al primo customer del sistema missilistico, rappresentato dal Ministero della Difesa del Qatar.

A ciò s’aggiunge una testata in guerra dal peso complessivo di 70+ kg con spoletta d’attivazione ad impatto o di prossimità che consente di colpire ed affondare unità quali vedette veloci e corvette e di provocare significativi danni anche a fregate, rimanendo al di fuori del raggio d’azione delle loro difese missilistiche aeree. La terza generazione del sistema missilistico è inoltre dotata di un sistema di pianificazione delle missioni più evoluto, che consentirà un’ulteriore ottimizzazione della traiettoria in quadrimensionale ai fini dell’ingaggio. Come anticipato il Marte ER è stato concepito quale sistema multipiattaforma e conseguentemente sviluppato in due versioni ed una variante.

La versione Naval Ground (N/G) destinata ad essere lanciata da nave o batteria costiera e quella lanciabile da elicottero o H/C (Helicopter) si differenziano perché la prima viene lanciata da un canister mentre nel caso della versione HC, quest’ultima dispone dell’interfaccia meccanica e connettori, rappresentati da morsetti di sospensione e sistemi di bloccaggio, per l’aggancio al lanciatore per elicottero. La variante Fast Jet (FJ) si differenzia rispetto alla versione H/C per la mancanza di booster, in quanto il missile sfrutta la velocità della piattaforma, un diverso sistema di armamento e sicurezza o SAU (Safety and Arming Unit), un inviluppo di volo differente e modifiche alla cellula nella parte di interfaccia con il pilone aereo. Successivamente al rilascio dalla piattaforma FJ lanciatrice, la munizione plana fino al punto di accensione motore. A queste differenze si aggiunge la predisposizione della munizione ad un’interfaccia Mil-Std 1760, la più recente per l’impiego aeronautico che consente uno scambio d’informazioni fra piattaforma e sistemi d’arma secondo i più moderni standard.

In servizio presso le forze armate nazionali e di diversi altri paesi, la società AEREA ha sviluppato i seguenti prodotti che s’interfacciano con la famiglia di missile Marte, compresa la versione Extended Range (ER) per l’impiego da velivoli ad ala rotante e fissa. Si tratta dell’HLRU (Hook Lifting Release Unit), unità di rilascio gravitazionale da 14 pollici impiegato sulle principali piattaforme elicotteristiche (EH101 e NH-90 con particolare riferimento all’impiego con il Marte, ma anche AW159, AW/T129 e molti altri) ed i sistemi AHDERU ed ALDERU (Advanced Heavy/Light Duty Ejector Release Unit).

Questi ultimi rappresentano eiettori da 30 pollici e 14 pollici rispettivamente, che equipaggiano la linea Eurofighter Typhoon attualmente nella configurazione con energizzazione pirotecnica, ma già disponibili anche in versione pneumatica di cui le specifiche versioni da 14”PLDERU-B e PLDERU-P5N (Pneumatic Advanced Light Duty Ejector Release Unit) sono state selezionate per l’equipaggiamento della linea Leonardo M346 Master. Le versioni NG ed HC dispongono già di un cliente di lancio rappresentato dal Ministero della Difesa del Qatar che nel settembre 2016 ha assegnato a MBDA un contratto del valore di circa 640 milioni di Euro per lo sviluppo e la fornitura della versione NG per l’impiego da batteria costiera o MCDS.

Il primo lancio di qualifica del sistema Marte ER è previsto per questo autunno presso il PISQ e la produzione di serie del sistema per il cliente qatariano dovrebbe iniziare nel 2020 per consentire le prime consegne del sistema MCDS l’anno successivo.

L’architettura del sistema MCDS comprende un numero non divulgato di batterie equipaggiate con missile Marte ER ed Exocet MM40 Block 3 che s’interfacciano con un centro di comando fisso ed un pacchetto di mezzi per la logistica e manutenzione.

Ciascuna batteria o CDS (Coastal Defence System) comprenderebbe secondo quanto ha appurato AD, tre mezzi ruotati con lanciatore quadrinato derivato da quello per il sistema missilistico Exocet, una stazione di comando e controllo ed una per i sensori, entrambe su mezzo ruotato. Le batterie Exocet si differenziano esclusivamente per il numero di mezzi lanciatori (2 anziché 3), mentre il tutto comprende un sistema di sorveglianza e designazione bersagli basato su sistema non pilotato, peculiarità del sistema prescelto dal Ministero della Difesa del Qatar.

Quest’ultimo lo scorso marzo, ha assegnato nel corso del salone di DIMDEX 2018, un contratto a MBDA per la fornitura del sistema Marte ER nella versione HC per l’impiego dai futuri elicotteri navali NHIndustries NFH90, anch’essi ordinati nel corso del medesimo evento insieme alla medesima piattaforma in versione da trasporto tattico, con contratto destinato a diventare operativo entro la fine dell’anno, e consegna delle relative piattaforme prevista a partire dalla metà del 2022. Come anticipato da Analisi Difesa, MBDA e Leonardo su contratto assegnato a quest’ultima quale capocommessa dal consorzio Eurofighter, hanno lanciato nell’ottobre 2016 una System Definition Phase (SDP) di un più ampio programma per l’integrazione del sistema Marte ER sul velivolo da combattimento Typhoon, facendo del sistema missilistico di MBDA l’arma antinave standard per il velivolo paneuropeo.

Nel corso della SDP che si è completata lo scorso aprile, sono stati effettuate con successo prove di integrazione e sgancio a terra di mock-up del missile dal velivolo strumentato IPA 2 di Leonardo Velivoli a Caselle. L’Aeronautica Militare si è fatta garante dell’integrazione di tale capacità per il primo cliente internazionale, rappresentato dall’Aeronautica del Kuwait. Il sistema Marte ER fa parte del pacchetto che MBDA ha proposto al Kuwait per soddisfare le specifiche richieste del paese mediorientale ed il cui contratto dovrebbe essere assegnato a breve.

Sulla base di tali specifiche e richieste di altri potenziali futuri utilizzatori del Marte ER, MBDA ha sviluppato due diversi profili di missione.

Il primo riguarda un attacco diretto ad un target, generalmente pre- ianificato, dove il lancio avviene entro poche centinaia di metri di quota a velocità subsonica mentre il secondo viene effettuato nel corso di pattugliamenti aerei a media-alta quota contro bersagli che vengono evidenziati dai sensori imbarcati o su designazione esterna.

MBDA è in attesa di ricevere il contratto per la fase successiva d’integrazione del sistema missilistico sul Typhoon che, occorre sottolineare, è stato concepito per ridurre al minimo il carico del pilota e le informazioni necessarie all’impiego del sistema, trattandosi di un’arma ‘fire-and-forget’

Fra i potenziali clienti del Marte ER in versione lanciabile da Fast Jet, potrebbe essere annoverata l’Aeronautica Militare italiana che con la perdita della capacità antinave causa il ritiro dal servizio dei missili Kormoran, avrebbe espresso interesse per tale soluzione come testimoniato dal suo coinvolgimento nelle attività d’integrazione sulla piattaforma Typhoon a vantaggio del Kuwait. Lo stesso documento programmatico pluriennale della Difesa Italiana per il periodo 2017-2019, parlando di programmi non ancora finanziati, evidenzia la necessita dell’approvvigionamento del sistema missilistico Marte ER per miglioramento capacità d’ingaggio aria/superficie, senza peraltro specificare la piattaforma. Anche l’Aeronautica del Qatar potrebbe diventare un potenziale cliente della versione fast-jet, in caso di richiesta del sistema, grazie all’attuale presenza del medesimo nel futuro inventario delle Forze Armate del paese mediorientale. In parallelo allo sviluppo del Marte ER, MBDA sta lavorando ad una serie di capacità potenziate del sistema missilistico raggruppate intorno a tre principali aree: l’adozione di un data link che consentirebbe il re-targeting in volo, oltre alla capacità d’identificazione certa e distruzione del bersaglio, un nuovo seeker multi-mode in radiofrequenza ed infrarosso/laser semi-attivo ed una nuova testata di potenza e capacità maggiorate.

L’evoluzione del Teseo

Con l’avvicinarsi della fine della vita operativa del sistema Teseo Mk 2A (designazione export Otomat Mk 2 Block IV) che assicura il lungo braccio delle capacità antinave delle unità della Marina Militare Italiana, sfruttando le sinergie con l’evoluzione del sistema Marte ER, MBDA Italia e la forza armata stanno lavorando ad un piano per lo sviluppo di una nuova generazione del sistema d’arma, meglio conosciuta come Teseo Mk2/E (dove E sta per Evolved o più semplicemente Evo).

Quest’ultima è destinata ad incorporare miglioramenti prestazionali e capacitivi rappresentati da portata potenziata, letalità maggiorata e aumentata efficacia in fase terminale. Con fondi già disponibili, il contratto per lo sviluppo del nuovo sistema Teseo Mk2/E è atteso entro il 2018, al fine di ridurre al minimo eventuali gap capacitivi determinati dalla conclusione della vita operativa dell’attuale munizione prevista per l’inizio del prossimo decennio. Sviluppato a partire dal 1969 quale private venture fra le allora società Oto Melara e Engins Matra (più tardi confluita in Matra BAE Dynamics ed oggi MBDA France) successivamente fuse nel gruppo MBDA, ed entrato in servizio con la Marina Militare italiana nel gennaio 1976, il sistema missilistico Otomat denominato Teseo dalla Marina Militare Italiana è inizialmente evoluto in una versione Mk2 dotata di gittata potenziata sviluppata a partire dal maggio 1973, con primo lancio nel gennaio 1974 e sviluppo completato nel 1976. Sebbene negli anni ’80, le due società avessero studiato una versione supersonica dell’Otomat, con propulsione ramjet e denominata Otomach, capace di raggiungere una velocità massima di 1,8 Mach, tale progetto è stato abbandonato per una soluzione che comprendesse capacità stealth e di aggiornamento e verifica degli effetti della missione, ma anche quest’ultima è stata lasciata senza seguito e nell’ottobre 1992, il Ministero della Difesa francese ha definitivamente abbandonato il programma Otomat per dedicare i propri sforzi al potenziamento del sistema missilistico Exocet. L’Italia invece ha proceduto nello sviluppo dello studio di una versione stealth del missile con cellula caratterizzata da avanzate soluzioni tecniche, testate in camera anecoica. Denominato Otomat/Teseo Mk3, un modello di questa soluzione è stato presentato all’edizione 1994 di Euronaval, attirando l’attenzione dell’US Navy. Quest’ultima già conosceva l’Otomat in quanto aveva acquistato un piccolo lotto di munizioni quale sistema antinave da valutare contro le difese delle proprie navi con risultati estremamente positivi per il sistema ed allarmanti per l’US Navy. Tale attività ed i successi sviluppi del sistema sopra riportati, hanno portato alla firma di un memorandum of  nderstanding fra Italia e USA nel novembre 1995 per un’analisi congiunta di opzioni per un missile anti-superficie di nuova generazione (NGASM, New Generation Anti-Surface Missile).

Prima che la US Navy perdesse interesse nel progetto, definitivamente abbandonato nel 1999 per perseguire capacità di ‘deep-strike’, il Ministero della Difesa italiano ha assegnato ad AMS un contratto per lo sviluppo e la valutazione di un sistema di guida multi-sensore RF/infrarosso, che unitamente alla cellula stealth avrebbero dovuto portare all’avveniristico sistema d’arma che ha ricevuto il nome Ulisse, prima di essere definitivamente abbandonato esclusivamente per motivi economici.

Verso la fine degli anni ’90, Alenia Marconi Systems (AMS) ha cominciato a lavorare a versioni migliorate dell’Otomat Mk2 e dopo aver sviluppato e venduto alla Malesia la versione Block III della munizione, nel corso di Euronaval 2000 è stato annunciato il lancio delle attività sulla versione Block IV. Lo sviluppo vero e proprio di quest’ultimo modello per la Marina Militare, è partito nel 2001 ed il primo test di lancio con testata telemetrica del Teseo Mk2/A (Otomat Mk2 Block IV per l’esportazione) si è svolto con successo sul Poligono Sperimentale e di Addestramento Interforze di Salto Di Quirra (PISQ) il 30 maggio 2006.

Successivamente nel novembre 2007, un lancio con missile completo è stato realizzato con successo sempre sull’area a mare dello stesso poligono dal caccia lanciamissili Durand de la Penne. Con il completamento delle attività, NAVARM ha assegnato a MBDA un contratto del valore di 45 milioni di euro per l’ammodernamento di 38 missili e 4 sistemi di lancio per i caccia classe ‘Durand de la Penne’ e ‘Doria’. Il Teseo Mk2/A si presenta come un’arma antinave ‘fire-and-forget’ con capacità ognitempo ed una gittata superiore ai 180 km con profilo di volo quasi esclusivamente a bassa quota e sea-skimming.

Con una lunghezza di meno di cinque metri ed un peso al lancio di 780 kg, il Teseo Mk2/A si caratterizza per un sistema propulsivo incentrato sul turbogetto Turbomeca TR 281 Arbizon III per la fase di crociera ed attacco finale, in grado di assicurare un’elevata veloce subsonica e significative capacità di manovra. Dotato di un sistema di navigazione ‘mid-course’ incentrato su INS/GPS e capacità di essere riprogrammato in volo grazie ad un sistema data link installato sulla piattaforma lanciante, il Teseo Mk2/A presenta un sistema di guida terminale basato su seeker RF attivo in banda ‘X’ fornito da Leonardo e dotato di avanzate capacità in termini di contromisure elettroniche, in grado di assicurare manovra evasive terminali e capace di variare l’altezza dell’impatto. A questi s’aggiunge una testata in guerra da ben 210 kg, in grado di essere attivata ad impatto o in prossimità. Grazie al sistema GPS, l’ultima versione del Teseo è in grado di attaccare bersagli navali in ambito litoraneo, portuale e terrestre sulla base delle coordinate geografiche di questi ultimi. Il missile dispone di un avanzato sistema di missione con way-point tridimensionali (si presume qualche decina), profilo di missione sea skimming e capacità d’ingaggio multiplo simultaneo con direttrici predefinite d’attacco, zone di non sorvolo (no fly zone) e di allerta collisione verticale con seeker che può essere azionato entro una zona operativa per l’ingaggio di bersagli singoli o multipli, a cui s’aggiunge l’ottimizzazione dell’impiego in acquee costiere o alto-mare. Attualmente installata sulle unità navali della MM della classe ‘Ammiragli’, ‘Doria’ e ‘Bergamini’, la versione Teseo Mk2/A si caratterizza per canister dalle ridotte dimensioni per incrementare il numero di missili imbarcabili (due al posto di uno) in una configurazione con interfaccia per ogni lanciatore collegato al sistema di pianificazione della missione, nonché sistema di combattimento e navigazione con dati forniti dal GPS/INS e sistema data link per il controllo durante il volo.

In aggiunta alla Marina Militare, la versione Teseo Mk/2A sarebbe stata acquistata anche dal Turkmenistan per equipaggiare le unità da 55 metri fornite dai cantieri turchi Dearsan, in una configurazione con un nuovo lanciatore in materiale metallico, ridotte dimensioni e costi. Le munizioni in servizio con la MM vengono sottoposte a periodiche attività di mantenimento e revisione presso il CIMA con il supporto di MBDA, ma come sopra evidenziato, la loro vita operativa si sta avvicinando alla conclusione.

Per questo motivo la Forza Armata e MBDA hanno avviato il piano di sviluppo sopra evidenziato, la cui attività di definizione del progetto sulla base del requisito emesso da NAVARM dovrebbe completarsi entro la fine dell’anno con l’assegnazione del contratto per la fase di sviluppo e qualificazione della nuova generazione del missile Teseo. In pratica, secondo quanto ha appurato AD, Il Teseo Evo sarà un sistema d’arma polivalente con capacità non soltanto antinave ma anche d’attacco su terra a media distanza o light strike per distinguerlo da sistemi quali l’MCDN, il Tomahawk o il Kalibr, che vengono definiti come armi da ‘deep strike’ per gittate nell’ordine o superiori al migliaio di chilometri.

Per soddisfare tale requisito, la nuova versione Mk2/E si prevede che sia dotata di un motore turbofan al posto dell’attuale turbogetto, il cui modello peraltro già esistente dovrebbe essere fornito dall’americana Williams, fornitrice di turbofan per i sistemi missilistici americani, con serbatoio strutturale e nuovo sistema anti-G. Grazie a quest’ultimo sistema propulsivo, il Teseo Evo dovrebbe avere una portata praticamente doppia rispetto all’attuale sistema, che comporta inevitabilmente modifiche alla cellula oltre che ai sistemi di controllo ed all’elettronica di missione ed un nuova o migliorata testata in guerra. Secondo quanto è stato possibile appurare nel corso del salone di Seafuture 2018 da una presentazione effettuata da MBDA alla presenza di delegazioni di Marine estere, in aggiunta al nuovo motore turbofan, la nuova versione presenterebbe una cellula con efficienza aerodinamica migliorata ed incremento non soltanto della manovrabilità ma anche della sopravvivenza della munizione grazie si presume ad una ridotta segnatura radar determinata anche da materiali ad hoc. Secondo alcune fonti, l’immagine della nuova cellula con spaccato interno che è apparsa nel corso della presentazione, sarebbe legata al completamento della fase dello studio di fattibilità, ma MBDA avrebbe successivamente offerto e starebbe valutando la possibilità di una cellula diversa, che si presume similare ai missili da crociera, il che offrirebbe il vantaggio della possibilità di lancio multipiattaforma, vista la capacità light strike offerta dal sistema.

A questa s’aggiunge, mettendo a fattore comune l’attività e le tecnologie in fase di adozione per il Marte ER, una completa rivisitazione dell’elettronica e dei sistemi di bordo, con un nuovo ricevitore GPS ed altimetro radar, nonché un seeker di nuova generazione.

Per assicurare la doppia capacità antinave e light strike, il Teseo Evo sarebbe equipaggiato con un seeker multi-banda comprendente la radiofrequenza e secondo quanto riportato, almeno un ricevitore laser semi-attivo. Per incrementare ulteriormente le capacità del sistema d’arma, la nuova versione del Teseo dovrebbe avere una testata in guerra scalabile potenziata.

A tal riguardo, nell’ambito del piano nazionale della ricerca militare, MBDA ha portato a termine attività di studio e sperimentazione dei materiali reattivi per l’applicazione a sistemi d’arma di produzione propria quali il Marte ER, Teseo Evo, CAMM ER (senza contare l’incremento di efficacia su intercettore ATBM).

I materiali reattivi sono metalli o semi-metalli con proprietà meccaniche adeguate alla realizzazione dell’involucro strutturale della testa in guerra (TIG). Essi aumentano la letalità delle TIG, abbinando un considerevole effetto esplosivo all’effetto cinetico della proiezione di frammenti. L’intenzione è quella di utilizzare i materiali reattivi per la realizzazione di TIG penetranti, a frammentazione o multi-effetto.

Ulteriori fasi del programma sono previste con potenziali sperimentazioni applicate a TIG per prove reali.

Per assicurare una capacità di riprogrammazione in volo e conseguentemente ottimizzare i tempi per l’ingaggio del bersaglio prescelto, oltre ad una verifica della distruzione del medesimo (BDA, Battle Damage Assessment), MBDA Italia sta portando avanti, nell’ambito del Piano della Ricerca Militare Nazionale, sviluppi ulteriori del programma Mercure che ha già visto la realizzazione di un data link a ‘due vie’ tramite satellite SICRAL e la sua potenziale applicazione al sistema Teseo.

La nuova versione di quest’ultimo sarebbe inoltre dotata di un nuovo canister più leggero per impiego a perdere (one-shot) e di un sistema di pianificazione della missione migliorato in parallelo ad un supporto ottimizzato per il ciclo vita dell’arma. In aggiunta ad ampliare le capacità antinave e strike del sistema d’arma, lo sviluppo del Teseo EVO consentirebbe di sviluppare e mantenere delle capacità in diverse aree e tecnologie strategiche che costituirebbero un importante bagaglio che la Difesa e l’Industria nazionale potrebbero portare sul piatto della bilancia in vista della partecipazione al programma anglo-francese FC/ASW (Future Cruise/Anti-Ship Weapon) per lo sviluppo di un missile antinave e ‘deep-strike’ di nuova generazione destinato ad entrare in servizio alla fine degli anni 2020.

 

Nell’ambito di quest’ultimo, nel marzo 2017 è stato lanciata una fase triennale di valutazione preliminare delle tecnologie e soluzioni tecniche che potrebbero essere incorporate nella nuova famiglia di sistemi missilistici destinati a rimpiazzare i missili antinave Harpoon, Exocet e aviolanciabili Storm Shadow/Scalp EG.

Secondo quanto risulta ad AD, Segredifesa starebbe valutando, fondi permettendo, di entrare quale osservatore nel programma a partire dal prossimo anno, assicurandosi la possibilità di analizzare e seguire lo sviluppo del medesimo per essere pronta alla sua partecipazione con le giuste tecnologie e soluzioni tecniche.

 

Il CAMM ER Come sopra riportato, lo stabilimento di La Spezia ed il sito di Aulla di MBDA Italia non rappresentano soltanto il cluster d’eccellenza nel settore dei sistemi antinave, ma registrano anche una lunga tradizione nel settore dei sistemi missilistici superficie-aria con i sistemi navali Albatros e munizione Aspide e SAAM-IT/SAAM ESD e relativi sviluppi con la famiglia di missili Aster.

A questi a breve s’aggiungerà il sistema missilistico EMADS (Enhanced Modular Air Defence Solutions) basato sulla munizione CAMM ER (Common Anti-Air Modular Missile Extended Range) destinato all’Aeronautica Militare ed all’Esercito Italiano, ed oggetto di valutazione da parte della Marina Militare.

Lanciato come private-venture da MBDA Italia nel 2012, il programma EMADS/CAMM ER è stato prescelto quale rimpiazzo, a partire dal 2021, delle linee di munizioni Aspide facenti parte rispettivamente del sistema Spada dell’AMI e del sistema Skyguard dell’EI.

Caratteristiche peculiari del CAMM ER sono il sistema di guida attiva dotato di seeker a radiofrequenza per l’impiego ognitempo, ed sistema di lancio di tipo “soft launch”, che permette l’accensione del booster ad una distanza dal lanciatore sufficiente a salvaguardarne l’integrità.

 

 

La versione CAMM ER deriva dal missile CAMM (di cui peraltro una significativa comunanza di componenti) da cui se ne differenzia principalmente per una maggiore lunghezza (4,2 contro 3,2 metri) e peso (160 contro 99 kg), conseguenze dell’adozione di un nuovo e più potente sistema propulsivo, sviluppato e prodotto dalla società Avio, che ne incrementa la portata ad oltre 40 km, a cui s’aggiunge una nuova configurazione aerodinamica con quattro ali a basso allungamento che si estendono lungo la sezione centro-posteriore del missile.

Tali caratteristiche assicurerebbero prestazioni di manovrabilità similari se non superiori a sistemi più prestanti dell’attuale generazione.

 

 

 

Il CAMM ER si caratterizza per capacità ognitempo, ingaggio simultaneo contro bersagli multipli a 360° e nei confronti delle previste future minacce aeree, un data link a due vie fra il missile ed il sistema di lancio che permettono di operare senza la necessità di radar di controllo del tiro ed illuminatori, in aggiunta alla capacità di essere designato da una fonte esterna.

Lanciato come private-venture, il programma di sviluppo del CAMM ER ha visto una definizione contrattuale con finanziamento di 95 milioni di euro spalmati su tre anni, i cui fondi sono già allocati dal precedente Governo ed al tempo stesso è stata completata la negoziazione contrattuale fra Segredifesa (TERRARM) e MBDA così come è già stato definito l’Implementation Agreement che regola la governance tra il Ministero della Difesa italiano e quello britannico.

 

 

Manca soltanto il definitivo via libera del nuovo Parlamento e la firma del contratto a seguito del quale sarà esecutivo anche all’accordo con l’MoD UK regolante il workshare e la suddivisione delle quote di mercato export derivante dal fatto che il CAMM ER è un’evoluzione del CAMM, diventando a tutti gli effetti un programma binazionale.

Il programma prevede il completamento dello sviluppo e qualifica del missile, lo sviluppo e qualifica del sistema di lancio dotato di proprio sistema di up-link, nonché la sua integrazione, in ambito nazionale, con i sistemi missilistici di prossima dotazione delle due Forze Armate: Posto Comando Modulo di Ingaggio (PCMI) Forza NEC per l’Esercito Italiano, dotato di radar di scoperta Rheinmetall Italia X-TAR 3D in banda ‘X’ destinato a rimpiazzare lo Skyguard Aspide per la protezione delle forze in teatro dalle minacce a bassa quota Medium Advanced Air Defence System – MAADS per l’Aeronautica Militare, destinato alla difesa di aeroporti e basi e che impiegherà il Posto Comando SIRUS dotato di radar di scoperta multifunzionale Leonardo KRONOS 3D LAND, già adottato per l’aggiornamento di una parte delle attuali batterie Spada.

 

 

Il lanciatore comune ad entrambi le soluzioni, è frutto del medesimo sviluppo del sistema di lancio inglese Land Ceptor, caratterizzato da una configurazione di 8 missili per lanciatore. Nel caso italiano è previsto l’impiego dell’autocarro Astra 88.45 BAD, mentre il comando e controllo della batteria dovrebbe basarsi sullo shelter PC/radar sopra descritti.

Quest’ultima dovrebbe gestire da 3 a 6 lanciatori. Il programma di sviluppo del CAMM ER prevede il primo lancio della munizione ai primi del 2019, ed introduce un’importante novità rappresentata dallo studio di fattibilità dell’integrazione del sistema a bordo delle nuove unità della Marina Militare ed in particolare dei Pattugliatori Polivalenti d’Altura e dei futuri pattugliatori di squadra/fregate leggere (PPX). Mantenendo in comune la munizione con le altre Forze Armate, per la versione navalizzata del CAMM ER, che MBDA ha chiamato Albatros NG (New Generation), quest’ultima sta lavorando a tre possibili soluzioni per il sistema di lancio, sfruttando il VLS Sylver A50, il Lockheed Martin ExLS ed infine una soluzione similare a quella utilizzata per il CAMM a bordo delle fregate britanniche Type 23 in sostituzione del sistema Sea Wolf.

 

Quest’ultima soluzione rappresenta la novità, con un sistema derivato da quello adottato per il refit delle fregate Type 23 britanniche ed il rimpiazzo del sistema Sea Wolf con il Sea Ceptor (CAMM). Tale soluzione prevede l’aggancio del singolo canister del missile ad una piastra in un blocco da 2×3 canister, distanziati e leggermente inclinati fra loro. Una soluzione dai bassi costi che offrirebbe un’equilibrata difesa negli scenari maggiormente variegati.

La proposta di Lockheed Martin e MBDA è basata su una versione modificata (per munizione più lunga) del sistema di lancio indipendente a 3 celle ExLS (Extensible Launching System), che ha completato con successo la qualificazione con il sistema missilistico CAMM all’inizio di aprile. Sfruttando l’esperienza sviluppata con il sistema Mk 41, il nuovo lanciatore dai costi contenuti a 3 celle ExLS viene proposto per le unità di minori dimensioni che non possono accogliere il complesso di lancio MK 41 da 8 celle. Nel caso specifico, ciascuna cella dell’ExLS è in grado di accogliere 4 CAMM e può essere inserito in un lanciatore Mk 41 (ExLS Host), soluzione che è stata testata con successo alla fine del 2017. Infine, la soluzione rappresentata dai VLS DCNS Sylver A50, che grazie ad un’opportuna compartimentazione interna a diagonale, potrebbe ospitare due CAMM ER.

Foto MBDA

 

 

Fortezze di Puglia: Castel del Monte
Da corrieresalentino.it del 22 luglio 2018

Indiscutibile gioiello incastonato fra le Murge ed il mare, Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, orgoglio tutto pugliese perché frutto dell’Amore che il grande Federico II nutriva per la nostra regione, un nome: Castel del Monte. Voluto dal Puer Apuliae intorno al 1240, elevato su una collina, il castello domina il paesaggio circostante, visibile anche a chilometri di distanza con la sua maestosità che unisce nel suo insieme stili diversi: gotico, romanico, moresco, in linea con la concezione di Federico tendente all’unificazione delle tre grandi religioni, Cristiana, Islamica ed Ebraica. La sua planimetria basata sul numero otto, che poi è anche l’infinito, i suoi allineamenti astronomici nei giorni di solstizio ed equinozio, tutto crea un forte alone di mistero, di simbolismo e di magia, puntualizzati dalla sala al secondo piano in cui si osservano i cerchi magici evocativi … Per contro mancano del tutto quegli elementi caratterizzanti delle fortificazioni militari dell’epoca, quali le mura di cinta, le stalle ed il fossato, cosa che fa pensare che si trattasse di una residenza di caccia. Il 29 gennaio del 1240, data tuttavia non accettata da tutti gli studiosi, Federico II Hohenstaufen ordinava al Giustiziere di Capitanata Riccardo Montefuscolo l’approvvigionamento dei materiali necessari per la costruzione di un castello nei pressi della, ormai scomparsa, Chiesa di Santa Maria del Monte, probabilmente sui resti di una precedente fortezza risalente alla dominazione longobarda e successivamente a quella normanna. Incerto resta il nome dell’architetto incaricato che, secondo alcuni fu Riccardo da Lentini, secondo altri l’imperatore stesso. Nel 1246 all’interno della struttura furono celebrate le nozze fra Violante, figlia naturale di Federico nata dalla sua relazione con Bianca Lancia, ed il Conte di Caserta Riccardo Sanseverino. Salito sul trono di Napoli Carlo I d’Angiò, in Castel del Monte furono segretamente imprigionati Enrico, Federico ed Enzo, figli di Manfredi Hohenstaufen, figlio naturale di Federico e Bianca Lancia, ed il Conte di Caserta Corrado Sanseverino. Nel 1528, durante le guerre fra Carlo V ed il Re di Francia Francesco I, le armate transalpine bombardarono pesantemente il castello procurando ingenti danni, mentre nel 1552 la fortezza veniva acquistata dal Conte di Ruvo Don Fabrizio Carafa. Nel XVII secolo comincia la decadenza di Castel del Monte, spogliato dei suoi marmi, alcuni dei quali reimpiegati dal Vanvitelli nella Reggia di Caserta, trasformato in carcere, quindi ricovero per pastori e briganti, sino a quando nel 1876 fu acquistato dallo Stato Italiano che da quel momento provvide ad effettuare diversi restauri che, finalmente, oggi consentono al visitatore di gustare appieno le meraviglie della struttura. Castel del Monte ha una pianta ottagonale con ad ognuno degli otto angoli una torre anche essa ottagonale. Tutte le torri sono alte 24 metri e superano leggermente le pareti del cortile interno. Probabilmente un tempo, al centro del cortile interno ottagonale, vi era una vasca anche essa della stessa forma. L’interno è diviso in due piani, rialzati rispetto al piazzale antistante, con stanze trapezoidali divise dai muri che congiungono gli angoli dell’ottagono interno con i corrispondenti all’ottagono esterno ed in linea con le torri. Le alte volte sono a crociera o a botte, mentre i due piani sono collegati fra loro da scale a chiocciola disposte in senso antiorario all’interno di alcune delle torri e sono formate da 44 gradini trapezoidali. Particolarmente interessante è l’installazione idraulica per i servizi igienici, di chiara ispirazione araba, ed il sistema di manovra dell’antica saracinesca che chiudeva il portone principale. Su cinque delle otto torri esistevano delle cisterne per il rifornimento idrico. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

Forte San Felice, manutenzione per accesso dal mare: "Primi passi per recupero del sito"
Da veneziatoday del 21 luglio 2018

Ad oggi l’unico accesso al complesso monumentale di Forte San Felice è quello ad est, raggiungibile a piedi, con partenza dalla darsena di Chioggia. Ma presto se ne aggiungerà un altro via laguna, sul lato ovest del Forte, dal suggestivo portale Tirali. Sono i primi passi per un recupero su più larga scala del sito, per un uso pubblico. Nei giorni scorsi l’amministrazione comunale ha partecipato a dei tavoli tecnici a Roma e a Venezia per presentare la variante urbanistica degli immobili militari dismessi. Un nuovo ingresso L’amministrazione comunale ha affidato alla ditta Co.Ed.Mar i lavori per permettere l’attracco delle imbarcazioni via mare, al fine anche di implementare i percorsi di visite guidate (gestite dal Comitato Forte San Felice). Nello specifico, la manutenzione prevede la sostituzione delle tavole della pavimentazione danneggiate e il loro successivo fissaggio e il posizionamento di due nuove bricole per una spesa di dieci mila euro. Per il progetto complessivo dell’implementazione dei percorsi di visita, anche con accesso via acqua, si spenderanno 30 mila euro così ripartiti: 7 mila euro provenienti dall’amministrazione comunale e 23 mila euro dal Fondo per l'Ambiente Italiano (FAI), nell'ambito della campagna “Luoghi del Cuore 2017”. Il Comitato "Il tema del Forte San Felice sta molto a cuore a questa amministrazione – commenta il sindaco, Alessandro Ferro –, che si sta adoperando in tutti i modi per far sì che la riqualificazione parta il prima possibile, per aprire l’area alla città con strutture e programmi di qualità, degni della bellezza del sito. Ringrazio ancora il Comitato Forte San Felice, che con l’attività di sensibilizzazione di questi ultimi anni ha fatto sì che il Comune di Chioggia fosse assegnatario del contributo economico di 23 mila euro da parte del Fai, da destinare al recupero delle aree del Forte e consentire di proseguire le visite guidate con maggiore sicurezza. La meraviglia racchiusa entro i bastioni cinquecenteschi oggi è conosciuta da moltissime persone, di Chioggia ma anche provenienti da lontano". L’incontro a Roma Il vice sindaco Marco Veronese, l’assessore all’urbanistica e ai lavori pubblici, Elga Messina, assieme al coordinatore tecnico dell’ufficio urbanistica del comune di Chioggia, hanno partecipato venerdì 13 luglio al quarto tavolo tecnico sul Forte San Felice, in questa occasione ospitato nella sede del ministero della Difesa. Finora gli incontri hanno permesso di affinare la conoscenza degli immobili, delle criticità conseguenti all’abbandono e delle operazioni necessarie per recuperarlo e per farlo rivivere con attività non solo per la città, ma anche di più ampio respiro. "Vi è infatti la necessità di ampliare - spiega il vicesindaco - le attuali destinazioni d’uso previste dal piano regolatore e differenziare le attività che verranno ospitate, per determinare lo sviluppo di una sinergia di funzioni tutte orientate alla finalità di partecipare alla valorizzazione storico culturale complessiva del Forte, perché possa svolgere un ruolo di risorsa culturale ed economica in dialogo con la città di Chioggia. Possiamo pensare a strutture turistico ricettive utili a sostenere la gestione del Forte e anche ad attività commerciali come bar e caffè, ristoranti e negozi in grado di generare i necessari rientri economici e sempre in sinergia con le aree e attività pubbliche, come il complesso museale che si sta immaginando con il MiBAC e il Polo museale del Veneto e gli altri soggetti partecipanti al tavolo come ad esempio la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Venezia e Laguna e il Demanio". Gli edifici interessati dalla variante sono quelli più recenti, di minor pregio e con i maggiori problemi di recupero (ovvero gli alloggi militari e del custode, il trinceramento ovest e la casermetta francese) lasciando quelli di maggiore interesse storico a finalità collettiva. Tra questi ultimi rientrano il portale dell’architetto Tirali, il nucleo più antico del castello della Luppa, la polveriera di costruzione veneziana e la Blockhaus austriaca. In ogni caso, anche gli edifici a cui verrà ampliata la destinazione d’uso rimarranno in proprietà del Ministero della Difesa, che li renderà disponibili ai privati mediante l’emissione di un bando pubblico e il convenzionamento a tempo determinato. L’incontro a Venezia Giovedì si è tenuto un incontro tra l’amministrazione comunale, gli enti firmatari del protocollo d’intesa di gennaio e la Regione del Veneto, il cui supporto sarà fondamentale per l’approvazione della variante urbanistica. In questa occasione il direttore del Polo Museale del Veneto, Daniele Ferrara, ha presentato una proposta per la futura valorizzazione di Forte San Felice. D’accordo con il Ministero della Difesa e con il Comune, si individua una soluzione nella figura di un unico concessionario/gestore in grado di stabilire relazioni con il territorio (dialogando e recependo le richieste dei cittadini) e di articolare le attività più remunerative con quelle più prettamente culturali, coinvolgendo nella loro gestione e svolgimento altri soggetti competenti nei vari ambiti (dalle arti, alle scienze, ecc). Tali punti potranno confluire in un bando di gara.

 

 

La strage di Roma Littorio
Da lorenzograssi.it del 19 luglio 2018

 

Nel mirino del primo bombardamento di Roma, il 19 luglio 1943, come «obiettivi militari» c’erano gli snodi ferroviari e gli aeroporti della Capitale.

Strutture nevralgiche per la logistica bellica, soprattutto per l’invio di rinforzi (materiali e truppe) verso Sud, dove solo nove giorni prima era avvenuto lo sbarco degli Alleati in Sicilia.

Ai confini dell’abitato di Roma, sulla via Salaria, si trovavano due obiettivi contigui: l’Aeroporto del Littorio (il cui nome, dopo il 25 luglio 1943, sarà poi cambiato in Aeroporto dell’Urbe) e lo Scalo ferroviario del Littorio (attuale Roma Smistamento). Qui, dunque, si accanirono i bombardieri Usa.

Area obiettivo dello snodo ferroviario e i danni provocati dal bombardamento

Alle 11 del mattino gli ordigni iniziarono a cadere sullo Scalo ferroviario, colpendo anche alcuni treni carichi di munizioni, con il risultato di 40 minuti di esplosioni ininterrotte e 48 ore di incendi. Tanto che ai residenti del vicino quartiere Savoia (Trieste- Salario) fu consigliato dalle autorità di trascorrere la notte a Villa Umberto I (Villa Borghese) per allontanarsi dai fumi e dal rischio di ulteriori esplosioni. I B-24 Liberator si lasciarono dietro oltre 60 carri ferroviari distrutti, binari divelti, tralicci e magazzini in pezzi. Dopo il raid l’impianto non fu più in grado di supportare il traffico ferroviario merci pesante.

 

Alcuni dei vagoni danneggiati dalle bombe allo Scalo del Littorio.

Verso mezzogiorno fu la volta del limitrofo Aeroporto del Littorio, che era già stato mitragliato – insieme a quello di Ciampino, con il quale condivideva i decolli dei bombardieri della Luftwaffe e degli aerosiluranti italiani – nella notte del 17 luglio, quando erano entrati in azione i B-25 Mitchell e i B-26 Marauder scortati da caccia P-38 (in questa operazione morirono 22 militari e furono distrutti una decina di aerei).

L’attacco del 19 luglio fu ben più massiccio, con il lancio in nove ondate di centinaia di bombe da 100 e 250 kg.

Il campo di decollo fu ridotto ad una distesa di crateri, con gli hangar, le officine e gli edifici in macerie. L’attività aviatoria fu totalmente compromessa.

 

 

Lo Scalo e l’Aeroporto del Littorio sconvolti dai crateri delle bombe

Secondo diverse fonti le vittime del bombardamento sul doppio obiettivo dello Scalo e dell’Aeroporto del Littorio «non furono meno di 200».

Lo stesso Mussolini – come ricorda Alfredo Stinellis nel suo libro “Storia di un Aeroporto” – di ritorno in aereo dall’incontro con Hitler a Feltre, si avvicinò da Nord ad una «Roma come avvolta in una grande nuvola nera.

Era il fumo che saliva dalle centinaia di vagoni della stazione del Littorio in fiamme».

 

 

L’attuale sottopasso pedonale (non agibile) tra la Salaria e Roma Smistamento

L’episodio più tragico nel corso del raid avvenne nel sottopasso pedonale che dalla Salaria collegava l’Aeroporto con lo Scalo, ed era stato indicato come luogo di ricovero sicuro in caso di attacco aereo.

Qui avevano trovato precipitosamente riparo una dozzina di ferrovieri e una quarantina di avieri.

Destino volle che il tunnel fosse centrato in pieno d’infilata da una bomba di 500 kg, che non lasciò alcuno scampo.

Non vi furono sopravvissuti e fu difficile procedere al riconoscimento di quei resti umani ridotti in brandelli.

 

La lapide con i nomi di sei dei ferrovieri morti il 19 luglio 1943.

Sull’identità degli avieri non risulta divulgata alcuna informazione (ma è da verificare la presenza di documentazione all’Archivio storico dell’Aeronautica militare); mentre dei ferrovieri sono noti 12 nomi.

Sei furono incisi su una lapide posizionata all’ingresso del tunnel sulla Salaria, di fronte all’accesso moderno dell’Aeroporto dell’Urbe. Sulla lapide si legge: “Ai compagni Ciocchetti Giovanni, Costa Pietro, Diana Ippolito, Sperduti Giuseppe, Matteucci Amico, Feriozzi Galliano.

Caduti il 19 luglio 1943 mentre serenamente accudivano al proprio lavoro in questo impianto. Il personale della rinata Officina Rialzo Smistamento a memoria pose”. Nel dopoguerra, per alcuni anni, si è celebrata sul luogo una doppia cerimonia: il 18 luglio promossa dall’Aeronautica militare in ricordo degli avieri e il 19 dalle Ferrovie per i propri operai.

Difficile capire perché uomini uniti nella morte siano finiti divisi nella memoria.

La lapide oggi è nascosta dietro una barriera di vegetazione.

Ma c’è di peggio.

Perchè in seguito le cerimonie sono state sospese, di comune accordo tra Rfi e Ministero della Difesa, sembra per motivi di «opportunità politica e costi economici». Una decisione che ha provocato il forte risentimento dei ferrovieri più anziani, ora in pensione.

In seguito, con la chiusura del sottopasso e i lavori di ristrutturazione mai completati, la targa di marmo con i 6 nomi – come mi ha segnalato il ferroviere Massimo Taborri – è stata spostata su una parete laterale dell’edificio della Squadra Rialzo, all’interno di Roma Smistamento.

Qui giace dimenticata, irraggiungibile e invisibile per la vegetazione, completamente sbiadita.

 

Il monumento come appare solitamente ricoperto di erba e sterpi.

Qualche centinaio di metri più a Nord, alla fine di via di Villa Spada sul lato di via Cortona, un secondo monumento – con un piccolo altare, una lanterna e un palo porta bandiera – riporta altri 6 nomi con la scritta:

“A ricordo dei ferrovieri caduti nei bombardamenti aerei dell’A.D. MCMXLIII. Rosati Domenico, Lepore Ugo, Rossi Orlando, Valente Antonio di Daniele, Delle Fratte Luciano, Tanzilli Benedetto”.

Di due delle vittime (Lepore e Delle Fratte) sono presenti le fotografie.

 

Anche questo monumento è in abbandono: circondato da erbacce, sterpi e immondizia, con il tricolore che sventola sdrucito. Sono andato a dare una ripulita al luogo, per quanto possibile, in occasione del 75° anniversario del bombardamento del 19 luglio 1943. Inutile sottolineare come entrambe le vestigia della memoria di questa strage – la lapide (magari da ricollocare in luogo più consono) e il monumento – meriterebbero ben altro rispetto, considerazione e valorizzazione.

Il monumento dopo la pulizia effettuata il 19 luglio 2018.

Del tragico episodio avvenuto nel sottopasso sulla Salaria non esistono cronache dettagliate. Nessuno dei Caduti è stato decorato e nessun gesto eroico è stato ritenuto degno di citazione. L’unica narrazione è stata scritta da Mauro Campo, che nei primi anni Duemila – in occasione di una Giornata del Ferroviere – ha raccolto alcune storie («tra realtà e leggenda») su quanto avvenuto il 19 luglio 1943. «Purtroppo le mie fonti oggi  non sono più fra noi – riferisce Campo – e alcuni di loro sono morti con la rabbia per l’oblio contemporaneo nei confronti della loro tragica gioventù». Tra i tanti racconti, Campo ne ha  ricostruito in particolare uno – riportato qui di seguito – sul quale le testimonianze sono convergenti. Un episodio rimasto «nascosto» anche perchè era imbarazzante per il regime far sapere che si utilizzassero le officine meccaniche Fs per riparare gli aerei incidentati della Regia Aeronautica.

 

Il cancello che attualmente chiude l’ingresso del tunnel sulla via Salaria.

«Quel maledetto 19 luglio 1943 faceva caldo – racconta Mauro Campo, immedesimandosi nell’aviere meccanico Tommasino – e c’era da mettere a posto il carrello del Savoia che ancora una volta si era piegato in atterraggio e non perché il pilota non fosse accorto ma perché, gli avevano spiegato, il braccio di torsione è talmente elevato che flette l’acciaio! Sarà, ma l’aereo era lì sbilenco e montato su cavalletti e lui ancora una volta doveva andare alle officine delle ferrovie che si trovavano di fronte e chiedere al capo officina  iuseppe, un burbero oggiano, di fargli usare il tornio per rettificare e tornire uno stelo di acciaio. Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima, così almeno credeva. Si mise in canottiera (era la sua divisa di lavoro) e con lo stelo di acciaio attraversò la Salaria e percorrendo il sottopasso arrivò alle officine. Chiese di Giuseppe e invece trovò Romolo, un vecchio operaio della Squadra Rialzo (disponibile e schietto). «Che ti serve? Ma serve a te o ai capoccioni?». Ma ti pare che serve a me rifare lo stelo di un carrello? «Se ti serviva a te lo facevo subito, se serve ai capoccioni allora devo prima finire un lavoro su un’asse. Un paio di ore e sei di ritorno, sai i miei capoccioni sono più tosti dei tuoi». Cosa successe dopo non lo sappiamo, mancano le testimonianze. Ma caddero le bombe senza preavviso. Sicuramente anche Romolo e Tommasino corsero verso il sottopasso che divideva lo Scalo Littorio dalla Salaria: era il rifugio antiaereo previsto per tali evenienze, ma fu centrato da una bomba da 500 kg e perirono tutti. Non fu possibile nemmeno riconoscere i corpi. Fu trovato solo uno stelo di acciaio aeronautico, presumibilmente di un Savoia Marchetti 74.

 

L’antica sirena antiaereo ancora presente a Roma Smistamento.

 

Chissà come finito lì». In mezzo ai grandi fasci di binari, sul tetto di una delle “sale di controllo” di Roma Smistamento, spicca ancora una sirena antiaereo del periodo bellico.

Chissà se avrà suonato la mattina del 19 luglio per avvertire i lavoratori dell’arrivo dei bombardieri americani.

Questo impianto di allarme non risulta nell’elenco ufficiale stilato all’epoca dal Ministero dell’Interno, ma potrebbe essere stato aggiunto direttamente su iniziativa dalle Ferrovie.

 

Prima top secret, oggi cade a pezzi il grande forte austro-ungarico
Da  ilgazzettino.it del 18 luglio 2018

TARVISIO (Udine) - Progettato nel 1884 e realizzato agli inizi del 1900 il Forte del lago di Predil o lago di Raibl ormai cade a pezzi. Di proprietà del Demanio, ha una lunga storia ed è tutto quello che rimane di una fortificazione austro ungarica molto più grande, nel tempo quasi completamente demolita. Era una postazione armata che poi passò, con tutta questa parte di territorio, all'Italia. Di questo forte esisteva vasta documentazione che uno studioso e appassionato della zona aveva raccolto e catalogato meticolosamente, per ricostruire le sue vicende. Poi tutti gli incartamenti furono acquisiti dall'Esercito; per un periodo sono rimasti top secret e poi sono finiti in archivio. Il forte si trova vicino al lago, lungo la strada provinciale che da Sella Nevea di Chiusaforte porta a Raibl di Tarvisio. Si posteggia in una piccola area di sosta, di fronte a una via che porta a una delle spiaggette dello specchio d'acqua, e si entra. Non ci sono cartelli di divieto di accesso. Le stanze sono distrutte Dentro, le stanze sono state distrutte, vandalizzate, sporcate; le mura demolite, piene di buchi. Alcune parti si sono trasformate in grandi cestini dell'immondizia e anche in servizi igienici. Un vero peccato, perché questo forte, che poi si addentra nella montagna con gallerie e cunicoli
non illuminati, e zeppi di sporcizia, rappresenta un importante tassello della storia di questo territorio da sempre di confine, conteso, ma anche di incontro e di scambio. Nel cuore delle Alpi Giulie Qui siamo nel cuore delle Alpi Giulie, in una gola a fianco di un piccolo corso d'acqua. La progettazione del complesso rientrava nello sbarramento di Sella Predil che con lo scopo di difendere l'allora confine austro-ungarico da eventuali incursioni italiane. In particolare, questo fortino andava a supportare quello già esistente del Gola Aibl, collegato tramite un passaggio sotterraneo, non più percorribile. Si può visitare, stando attenti a dove si mette i piedi, la parte esterna. L'edificio su di un unico piano, in muratura, senza un rinforzo blindato, ospitava due mitragliatrici con proiettili da 8 mm e prevedeva lo spazio per poterne installare altre due. Per vederlo è necessario raggiungere il Lago del Predil, lungo la strada provinciale Sp76, raggiungendo la sponda nord-ovest del lago. di Paola Treppo

 

 

A Sigonella in funzione un nuovo radar a servizio dell’AM e dei voli civili
Da reportdifesa.it del 17 luglio 2018

Sigonella (Catania). L’aeroporto di Sigonella ha un nuovo radar, capace di venire incontro alle mutate esigenze sia per i compiti dell’Aeronautica che a servizio dell’Aeroporto Civile di Catania Fontanarossa. A giugno si sono concluse le oeprazioni di certificazione che, a seguito delle attività di ripristino e i ammodernamento, hanno consentito la sostituzione del vecchio radar di riserva con uno più efficiente e performante. I lavori di ammodernamento sono inizizati ad Aprile a cura del personale dell’Aeroporto di Sigonella unitamente a specialisti della 4ª Brigata Telecomunicazioni e Sistemi per la Difesa Aerea e l’Assistenza al Volo dell’AM di Borgo Piave. L’AM supporta l’Aeroporto di Catania Fontanarossa che è uno degli scali di interesse nazionale con particolare rilevanza strategica con 90 mila avvicinamenti assicurati nel 2017, mentre nell’anno 2018 si prevede di superare i 100 mila. Fontanarossa si trova nella zona di controllo (CTR) di Sigonella, e sono per questo continui gli interscambi dell’AM con l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC), l’Ente Nazionale per l’assistenza al Volo (ENAV) e la Società di gestione (SAC) del citato Aeroporto, sia per ottimizzare le interagenzie delle attività volative che per analizzare le eventuali modifiche all’attuale architettura dello spazio aereo in previsione futura. Il Comando Aeroporto dell’AM di Sigonella, oltre a fornire il supporto tecnico-logistico-amministrativo operativo agli Enti ivi rischierati ed in transito (compresi i servizi necessari per il sicuro ed efficace svolgimento delle attività di volo), è responsabile della fornitura dei servizi del traffico aereo all’interno della zona di controllo denominata “Catania CTR”, che comprende i cieli della Sicilia orientale e dei mari adiacenti, ivi compresi gli Aeroporti civili di Catania-Fontanarossa e Comiso e quello militare di Sigonella. Il tutto nel pieno rispetto delle procedure per assicurare il massimo livello di sicurezza del volo. I controllori AM del traffico aereo (Air Traffic Controllers – ATC), assicurano un servizio di fondamentale importanza per il Paese, garantendo il controllo del traffico aereo 365 giorni l’anno 24 ore su  24. Il traffico aereo viene così regolato ed ottimizzato, prevenendo rischi di collisioni e garantendo un flusso ordinato di aeromobili, sia attraverso l’applicazione di procedure standardizzate e grazie all’utilizzo di sistemi di comunicazione quali i radar di sorveglianza. In particolare, viene gestito – a vista – il traffico dell’Aeroporto di Sigonella e gli aeromobili in volo nelle immediate vicinanze, mentre – mediante l’utilizzo del sistema radar – vengono guidati gli aeromobili dalla fase di navigazione fino all’ultima fase dell’avvicinamento e – subito dopo la partenza – sino a quando gli stessi non si sono stabilizzati in aerovia. Il Comandante del 41° Stormo e dell’Aeroporto di Sigonella, Colonnello Francesco Frare, riguardo ai lavori che interessano il radar ha sottolineato che “Per gli uomini e le donne dell’Aeronautica Militare, impegnati 24 ore su 24 per la sicurezza dei cieli nazionali e dei cittadini, l’ammodernamento del nostro radar è stata un’azione necessaria per essere pronti a qualsiasi eventualità al fine di garantire il costante assolvimento dei compiti assegnati, tendendoci continuamente aggiornati ed ampliando il nostro campo di azione per una reale e sinergica utilità ed integrazione con tutte le altre Forze Armate e con le varie Istituzioni insistenti sul Territorio, sia esse pubbliche che private”.

 

Nuovo radar nella base di Sigonella: supporta anche Fontanarossa
Da lasicilia.it del 17 luglio 2018

Si sono concluse nella base di Sigonella, dopo le attività di ripristino ed ammodernamento, le operazioni di certificazione del radar di back-up dell’aeroporto siciliano dell’Aeronautica Militare. Il vecchio radar di riserva è stato sostituito con uno più efficiente allo scopo di assicurare i compiti istituzionali della forza armata nel campo del controllo del traffico aereo nazionale e per non interrompere il supporto giornaliero garantito all'aeroporto civile di Catania Fontanarossa consistente nel servizio di assistenza al volo.

I lavori, iniziati lo scorso aprile, sono stati eseguiti da personale dell’aeroporto di Sigonella unitamente a quello specialista proveniente dalla 4ª Brigata Telecomunicazioni e Sistemi per la Difesa Aerea e l’Assistenza al Volo dell’Aeronautica Militare di Borgo Piave.

L’Aeronautica Militare supporta l’aeroporto di Catania Fontanarossa che è uno degli scali di interesse nazionale con particolare rilevanza strategica: 90 mila gli avvicinamenti assicurati dalla forza armata nel 2017, mentre nel 2018 si prevede di superare i 100 mila. In questo scenario, in considerazione del fatto che Fontanarossa si trova nella zona di controllo (Ctr) di Sigonella, sono continui gli interscambi dell’Aeronautica Mlitare con l’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac), l’Ente nazionale per l’assistenza al volo (Enav) e la Sac, lo società che gestisce lo scalo di Fontanarossa, sia per ottimizzare le interagenzie delle attività volative che per analizzare le eventuali modifiche all'attuale architettura dello spazio aereo in previsione futura.

Il Comando aeroporto dell'Aeronautica Militare di Sigonella, oltre a fornire il supporto tecnico-logistico-amministrativo-operativo agli enti ivi rischierati ed in transito (compresi i servizi necessari per il sicuro ed efficace svolgimento delle attività di volo), è responsabile della fornitura dei servizi del traffico aereo all'interno della zona di controllo denominata “Catania Ctr”, che comprende i cieli della Sicilia orientale e dei mari adiacenti, ivi compresi gli aeroporti civili di Catania-Fontanarossa e Comiso e quello militare di Sigonella. Il tutto nel pieno rispetto delle procedure per assicurare il massimo livello di sicurezza del volo.

Nello specifico, i controllori del traffico aereo dell'Aeronautica Militare (Air Traffic Controllers - ATC), assicurano un servizio di fondamentale importanza per il Paese, spesso poco conosciuto, garantendo il controllo del traffico aereo 365 giorni l'anno, in tutto l'arco della giornata. Il tutto, allo scopo di prevenire il rischio di collisione e di rendere spedito ed ordinato il flusso del traffico aereo, sia attraverso l'applicazione di procedure standardizzate e grazie all'utilizzo di sistemi di comunicazione quali i radar di sorveglianza. In particolare, viene gestito - a vista - il traffico dell'aeroporto di Sigonella e gli aeromobili in volo nelle immediate vicinanze, mentre - mediante l’utilizzo del sistema radar - vengono guidati gli aeromobili dalla fase di navigazione fino all'ultima fase dell'avvicinamento e - subito dopo la partenza - sino a quando gli stessi non si sono stabilizzati in aerovia.

Il comandante del 41° Stormo e dell’aeroporto di Sigonella, colonnello Francesco Frare, riguardo ai lavori che interessano il radar ha sottolineato che «per gli uomini e le donne dell’Aeronautica Militare, impegnati 24 ore su 24 per la sicurezza dei cieli nazionali e dei cittadini, l’ammodernamento del nostro radar è stata un’azione necessaria per essere pronti a qualsiasi eventualità al fine di garantire il costante assolvimento dei compiti assegnati, tendendoci continuamente aggiornati ed ampliando il nostro campo di azione per una reale e sinergica utilità ed integrazione con tutte le altre Forze Armate e con le varie istituzioni insistenti sul territorio, sia esse pubbliche che private».

 

 

Il forte ridotto a pezzi e la memoria dannata del martiri del '99
Da ilmattino.it del 16 luglio 2018

"In quel punto s'intese una spaventevole detonazione, ed il molo fu scosso come da un terremoto; nel tempo istesso l'aria si oscurò con una nuvola di polvere, e, come se un cratere si fosse aperto al piede del Vesuvio, pietre, travi, rottami, membra umane in pezzi, ricaddero sopra larga circonferenza» (Alexandre Dumas, I Borbone di Napoli)."

* * * Le pietre ci guardano dal passato, e invadono la nostra memoria. Vi sono luoghi che nonostante il degrado, l'abbandono, l'incuria, conservano un potere evocativo fortissimo, perché raccontano la nostra storia, la storia dei nostri padri. Il forte di Vigliena, distrutto il 13 giugno 1799 dall'esplosione così mirabilmente descritta da Alexandre Dumas, è uno di questi luoghi. Dell'antica fortezza sul mare, sorta per volere del viceré spagnolo Juan Manuel Fernandes Pacheco, marchese di Vigliena, nel 1702, e teatro di una delle pagine più sanguinose della storia di Napoli, non resta che una discarica di rifiuti. Un tragico ammasso di passato tra le cui mura diroccate fu scritto uno dei capitoli più dolorosi della rivoluzione napoletana del 1799. Il 13 giugno 1799 il forte saltò in aria. A dare fuoco alle polveri fu un sacerdote di Corigliano Calabro, Antonio Toscano. Con altri centocinquanta uomini della legione calabra difendeva uno degli ultimi baluardi della Repubblica Partenopea dalle truppe sanfediste del cardinale Ruffo. La Storia, quel giorno, si mise a correre vorticosamente. Quando i repubblicani, accerchiati, capirono che ogni difesa era vana, che il fortilizio era perduto, scelsero di morire da eroi. «Cosicché il prete Toscano di Cosenza, capo del presidio, reggendosi a fatica perché in più parti trafitto, avvicinatosi alla polveriera, ed invocando Dio e la libertà, getta il fuoco nella polvere, e ad un istante con scoppio terribile muoiono quanti erano tra quelle mura» (Pietro Colletta, Storia del reame di Napoli dal 1734 al 1825). Al boato scampò un solo repubblicano, un certo Fabiani, che fece in tempo a gettarsi a mare prima dello scoppio. Quel giorno morirono in tanti, morirono sia i vincitori che i vinti; la distruzione della fortezza, il presidio più a sud della città, aprì la strada all'ultimo assalto dei battaglioni sanfedisti, quello al Castello del Carmine, che segnò l'epilogo della Repubblica napoletana.


* * * Le pietre parlano, dovremmo imparare ad ascoltarle. Dell'antico forte di Vigliena -  di forma pentagonale, circondato da un fossato largo nove metri - oggi sono visibili solo alcuni resti, in via Marina dei Gigli (ex stradone Vigliena). Come il vicino Castello del Carmine, le cui torri fungono da spartitraffico lungo via Marina, versa in condizioni di totale abbandono. Le uniche presenze vive sono i serpenti che circolano indisturbati. E i tossicodipendenti che vengono a bucarsi. Ingloriosa fine per un edificio che nel 1891 fu proclamato monumento nazionale. Da molti anni si parla della realizzazione di un parco archeologico. Da molti anni le chiacchiere fluttuano nell'area.


* * *Narra la leggenda che nel 390 dopo Cristo la figlia del grande imperatore romano Teodosio fece erigere presso la sua villa di contrada Pazzigno, nella zona orientale di Neapolis, una colonna in onore degli imperatori Valentiniano, di suo padre Teodosio e del figlio di quest'ultimo Arcadio. E poiché attorno a questa colonna cominciarono a svolgersi grandi feste, e lussuriosi banchetti cui partecipava il fior fiore delle famiglie nobiliari dell'epoca, l'intera zona venne chiamata ad Theodociam, termine che con il tempo si sarebbe poi trasformato in Teduccio. La memoria di San Giovanni a Teduccio è testarda. Sopravvive a secoli di dominazioni, contaminazioni, speculazioni e trasformazioni urbanistiche. Che hanno cambiato la faccia del quartiere ma non estirpato le sue radici, la sua antica nobiltà. Tracce di questa nobiltà, di questo leggendario passato furono individuate proprio nella zona dove sorgeva, in età tardo imperiale, la villa di Teodosia. Qui, nell'attuale rione Pazzigno, venne ritrovata durante alcuni scavi archeologici una pietra miliare, risalente forse al IV secolo d.C., che serviva per segnare il quarto miglio da Napoli. Sull'origine del toponimo di San Giovanni a Teduccio si sono sbizzarriti nel corso dei secoli studiosi del calibro di Giovanni Pontano e Pietro Summonte. Di «Teduccio» si è detto, ma perché «San Giovanni»? Il nome viene fatto risalire alla straordinaria avventura di un gruppo di pescatori, nella cui rete restò incagliata assieme ai pesci - siamo nel sesto secolo dopo Cristo - anche una statua di marmo raffigurante San Giovanni Battista. Secondo la leggenda la statua era talmente pesante che i pescatori faticarono non poco per issarla a bordo. Riuscirono però a raggiungere la riva, presso la spiaggia di Vigliena, e cedettero la statua ad alcuni popolani, i quali la trasportarono lì dove oggi sorge la parrocchia centrale di San Giovanni. Fu così che venne edificata un'edicola dedicata al santo, che da allora divenne oggetto di devozione da parte di tutti gli abitanti della contrada. Leggende. Memorie collettive. Quel che è certo è che il quartiere anticamente era bagnato dalle acque di un fiume anch'esso leggendario, il Sebeto, e che per questo la zona di San Giovanni a Teduccio - è più precisamente il territorio da piazza del Carmine fino all'antico casale di San Giovanni - era chiamata territorium plagense parte foris kuivam. Occorre un enorme sforzo di immaginazione per immergersi nel passato «acquatico» di San Giovanni. Nelle paludi di quel quartiere i fusari maceravano la canapa. Sulle rive del mitico Sebeto, glorificate da poeti come Jacopo Sannazaro, vi erano numerosi mulini e verso la voce un ponte, che divenne noto col nome di Pons Paludis. Anche il grande Giovanni Boccaccio, che visse a Napoli alcuni anni, parlò di un «ruscello senza nome che dalle pendici del monte Vesuvio, attraversando le paludi, sgorga nel mare presso Napoli...». Sì, a San Giovanni il passato è testardo. E rivive nei meravigliosi palazzi costruiti dai nobili napoletani che, sotto il regno di Carlo III di Borbone, scelsero di villeggiare accanto alla Reggia di Portici e a poca distanza dalle città perdute (e riemerse) di Pompei ed Ercolano. Era il 1738 quando Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia, sua moglie, scelsero Portici per costruire una nuova reggia e per dare inizio agli scavi della città romana di Herculaneum. Ecco così materializzarsi una lunga ed emozionante sequenza di dimore da favola, costruite tra le campagne e la costa e progettate dalle archistar dell'epoca come Vanvitelli e Sanfelice. C'è stato un tempo in cui a meritare l'appellativo di Miglio d'Oro era solo il tratto di strada rettilineo tra Ercolano, e Torre del Greco la cui lunghezza misurava esattamente un miglio secondo il sistema di unità di misura in uso nella prima metà del Settecento. Poi la definizione è sfumata, e per finalità di promozione turistica (e di sviluppo territoriale) si è scelto di estendere il concetto di Miglio d'Oro anche ai comuni di Portici e di San Giorgio a Cremano. Undici delle 122 Ville Vesuviane del 700 sorgono nell'area di San Giovanni a Teduccio; non le più importanti, e forse nemmeno tra le più belle. Testimonianze mute, tuttavia, di un'epoca di fasti e gloria che oggi rivive nei portali in piperno di Villa Vignola, raffjgurata anche nella Mappa del Duca di Noja, o nell'androne e negli ornamenti in stucco di Villa Papa, o, ancora, nella doppia esedra di Villa Faraone.

* * *Le pietre ci guardano dal passato, e i ruderi raccontano la Storia. Nelle antiche officine borboniche è stato allestito il Museo ferroviario nazionale di Pietrarsa, il più importante d'Italia e tra i primi d'Europa (l'antico sito di Pietra Bianca venne chiamato Pietrarsa dopo l'eruzione del Vesuvio del 1631, che ricoprì la zona di lava). Anche le ville vesuviane, quelle del Miglio d'Oro, sono al centro di progetti di recupero più o meno ambiziosi. Il forte di Vigliena, invece, è memoria che cade a pezzi, è Storia ridotta in polvere. Lungo i binari della memoria avanza solo l'abbandono. di Vittorio Del Tufo               

 

 

Castello di Pralormo, secoli di storia vicino Torino
Da turismo.it del 15 luglio 2018

Pralormo è il comune più sudorientale di Torino, adagiato su una collina all’inizio del Roero, la cui fisionomia è caratterizzata dalla Parrocchiale di San Donato e dal Castello Breaudo. Quest’ultima struttura affonda le proprie origini nel Medioevo: la sua prima costruzione risale infatti al XIII secolo come parte del sistema di fortificazioni della zona, quella contesa tra Asti e i Biandrate. All’epoca era una fortezza a pianta quadrata utilizzata dunque per la difesa del territorio. Dal Medioevo sino all’inizio del XIX secolo l’edificio era circondato da un fossato e il suo accesso era reso possibile da un ponte levatoio ed una rampa che correva parallela alla facciata ovest, al posto dell’attuale portico d’ingresso. La storia del Castello di Pralormo è strettamente legata a quella delle famiglie che, nel corso dei secoli, lo possedettero. A fondarlo furono i Signori di Anterisio, per poi passare alla famiglia Biandrate, importanti feudatari imperiali a cui sopraggiunsero, intorno al 1300, i Roero di Pralormo, che ne ampliarono la struttura arricchendolo di due torri rotonde a nord ovest e sud est e di un grande torrione a sud ovest. Nel 1399 tre fratelli Roero divisero sia il castello che il feudo in tre parti uguali, divise successivamente in frazioni ancora minori. Da quel momento furono diverse e numerose le famiglie che si succedettero nella proprietà di porzioni del feudo e del castello, fino al 1680 quando giunse, da Barcellonette, Giacomo Beraudo, capostipite della famiglia attuale proprietaria, quella dei conti Beraudo di Pralormo. I suoi eredi operarono grandi trasformazioni alla dimora, come l’aggiunta, nel 1730, della bella cappella ad opera dell’architetto Galletti ed una sopraelevazione della stessa con saloni e camere decorate con affreschi. Un secolo dopo il diplomatico e politico conte Carlo Breaudo di Pralormo divenne unico proprietario ed avviò un radicale cambiamento degli ambienti interni trasformandolo in una prestigiosa dimora di rappresentanza, grazie anche all’ausilio dell’architetto Ernesto Melano, famoso per essere stato l’artefice della trasformazione del Castello Reale di Racconigi. Venendo meno la destinazione d’uso originale, ovvero quella militare, si abolirono fossato e ponte levatoio per essere sostituiti da un portico d’ingresso, un grandioso scalone ed essere trasformato il cortile centrale in un salone d’onore alto tre piani, sormontato da una volta e da un lucernario con arcate e finestre neoclassiche sulle facciate interne. Ad abbellire ulteriormente l’intera opera di ristrutturazione venne chiamato il celebre architetto paesaggista tedesco Xaver Kurten che creò il magnifico parco all’inglese, tutt’oggi di grande interesse storico e paesaggistico grazie anche al gusto profondamente romantico in contrapposizione alla mole della struttura. Sul finire del secolo il nipote del ministro, anch’egli di nome Carlo, nonno dell’attuale proprietario, fece edificare l’Orangerie, la grandiosa Cascina datata 1875, e la bellissima serra in vetro e ferro dei Fratelli Lefebvre di Parigi. Abitato in modo permanete dati proprietari, i Conti Breuado di Pralormo, oggi il Castello si può visitare parzialmente e vi vengono organizzati ricevimenti ed esposizioni temporanee. Il Castello di Pralormo fa parte dell' ADSI Associazione Dimore Storiche Italiane L'ssociazione Dimore Storiche Italiane, Ente riconosciuto senza fini di lucro, è l'associazione che riunisce tutti i titolari di dimore storiche presenti in Italia.

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello di Barletta
Da corrieresalentino.it del 15 luglio 2018

BARLETTA – Il Castello di Barletta è uno splendido esempio dell’architettura militare, in cui è possibile osservare il successivo stratificarsi delle varie dominazioni che si sono susseguite nel Regno di Napoli. Il nucleo originale della fortezza risale alla dominazione normanna, infatti fu edificato intorno al 1050, incastonato fra le vecchie mura cittadine e proteso verso il mare. Fu il Sacro Romano Imperatore Federico II di Svevia ad ordinare una nuova costruzione più simmetrica in luogo di quella originale che ai suoi occhi si presentava piuttosto irregolare. Proprio nel castello di Barletta lo stesso imperatore convocò la Dieta in cui fu bandita la V Crociata e, nella stessa occasione, annunciò la nascita di suo figlio Corrado, mentre l’anno successivo vi dimorò per un paio di mesi circa. Ritornato nel 1234 istituì alcune fiere annuali che dovevano ruotare fra sette città. Durante la dominazione sveva il castello di Barletta fu ricovero per i cavalieri che partivano o tornavano dalla Terra Santa. Subentrato Carlo I d’Angiò sul trono di Napoli, questi provvide a rivoluzionare completamente la struttura della fortezza in chiara chiave antisveva e, proprio sotto la dominazione angioina, nel 1308 furono imprigionati i Cavalieri Templari dell’Italia Meridionale precedentemente arrestati. Agli Angioini successero nel 1442 gli Aragonesi che negli anni compresi fra 1458 ed il 1481 provvidero a rinforzarlo. Nel 1459, proprio a Barletta nella cattedrale di S. Maria Maggiore Ferdinando I d’Aragona venne incoronato Re di Napoli. Sotto la dominazione spagnola ebbero luogo diverse opere di rinforzo e di ampliamento del castello che fra il 1502 ed il 1503 ospitò il Gran Capitano e stratega spagnolo Consalvo da Cordova e gran parte del suo esercito vittorioso nelle Battaglie di Ruvo e di Cerignola. In questo periodo si tenne anche la famosa Disfida di Barletta. Nel 1532, per ordine dell’Imperatore Carlo V, venne disposto il rinforzo e l’ampliamento del castello ed i lavori furono affidati all’architetto militare Evangelista Menga, protraendosi inizialmente sino al 1537 e successivamente continuati da altri ingegneri sino al 1598. In seguito a tali opere il castello assunse l’attuale aspetto a pianta quadrangolare con quattro baluardi a pareti sfuggenti agli angoli e le cortine munite delle apposite bocche per il tiro dei pezzi di artiglieria, conformandosi ai canoni difensivi delle fortezze dell’epoca. Procedendo in senso orario dall’angolo sudoccidentale originariamente i bastioni erano chiamati di Santa Maria, di San Vincenzo, di Sant’Antonio e dell’Annunziata, tuttavia agli inizi del XIX secolo le denominazioni vennero completamente cambiate: il baluardo di Santa Maria fu chiamato di San Giacomo, quello di San Vincenzo divenne della Campana, quello di Sant’Antonio ribattezzato di Santa Maria e il bastione dell’Annunziata cambiò in di San Vincenzo. Nel corso del XVII secolo furono effettuati ulteriori lavori di consolidamento e ristrutturazione. Allo scoppio del Primo Conflitto Mondiale, la mattina del 24 maggio 1915, il lato settentrionale del castello ed il relativo bastione nord, rivolti verso il mare, furono bombardati con sei cannonate dall’esploratore austro-ungarico Helgoland che poche ore prima aveva colpito anche Manfredonia. I danni alla struttura furono limitati grazie al tempestivo intervento del cacciatorpediniere italiano Turbine che però, dopo poco, fu affondato. Durante il Secondo Conflitto Mondiale la fortezza ospitò un presidio militare che fieramente si oppose all’occupazione tedesca della città. La strenua resistenza delle forze italiane di stanza a Barletta culmino nella battaglia del 12 settembre 1943. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

Dopo anni di restauro il Forte Dossaccio apre le porte al pubblico
Da predazzoblog.it del 12 luglio 2018

Ogni lunedi, a partire dal 9 luglio fino al 27 agosto, visita guidata con Accompagnatore di Media Montagna e Guida del Parco Naturale di Paneveggio Pale di San Martino Gianluca Partel. Il Forte Dossaccio venne costruito tra il 1890 ed il 1895 in cima al monte omonimo (a 1838 metri s.l.m.) nel cuore della Val di Fiemme. Ideato per i combattimenti a lunga distanza, questa fortificazione aveva lo scopo di sbarrare un’eventuale invasione italiana attraverso la Val di Travignolo e il vicino Passo di San Pellegrino. Durante la Grande Guerra si trovò molto vicino alla prima linea del fronte ma ciononostante non ebbe mai un ruolo attivo: già nel 1915 venne completamente disarmato e trasformato in magazzino. Curiosamente, quando gli obici e le cupole vennero rimossi, furono sostituiti dagli austro-ungarici con dei scudi di calcestruzzo e tronchi d’albero in modo da ingannare il nemico. Progettato assieme al vicino Forte Buso, è formato da un edificio principale in casamatta a forma pentagonale da dove si sviluppa, dall’angolo nord-est, una linea di casematte di circa 200 metri. Il tutto era circondato da un profondo fossato e da un reticolato di 12 metri di larghezza, rafforzato da un contrafforte di calcestruzzo con feritoie per la difesa ravvicinata. L’interno del forte invece era formato da un lungo corridoio che collegava gli alloggi e le zone abitative con i magazzini ed i ricoveri per le munizioni, posti vicino ai 4 obici da 100mm in cupola girevole e ai 4 cannoni da 120mm in casamatta. Accanto alle cupole degli obici, erano stati progettati anche 3 osservatori corazzati. La struttura poteva ospitare, in tempo di guerra, fino a 200 soldati (assieme a 6 ufficiali). Era dotato di collegamento telefonico, di telegrafo ottico con il Forte Buso, di acqua potabile (ricavata da un ghiacciaio vicino le cui acque furono convogliate in una cisterna) e di energia elettrica tramite un gruppo elettrogeno alimentato a benzina. Subito dopo l’inizio della guerra i cannoni vennero spostati al di fuori del forte e le cupole corazzate smontate. Al loro posto vennero piazzate delle cupole in cemento con dei tronchi inseriti, simulando così la piena efficienza del forte per confondere gli italiani. Per la prenotazione della visita guidata chiamare il numero del Centro Visitatori del Parco 0439765973 0462576283. Costo euro 8 adulti, bambini euro 4 (6-14 anni). Abbigliamento adeguato ad un’escursione in montagna di 300 metri di dislivello e pranzo al sacco

 

 

“Quando a Modena c'erano le mura. Percorso di visita attraverso la città scomparsa"
Da modenatoday.it del 11 luglio 2018

Appuntamento giovedì 12 luglio con il percorso di visita lungo le mura scomparse di Modena a cura docenti di Unimore soci della Società dei Naturalisti e Matematici di Modena. La Società dei Naturalisti e Matematici di Modena partecipa all’Estate Modenese del Comune di Modena con una serie di iniziative promosse da questa storica società, nella quale collaborano numerosi docenti di Unimore impegnati nella diffusione scientifica e nella formazione di giovani e adulti verso il rispetto della natura. Il quarto appuntamento, che sarà coordinato dalla prof.ssa Elena Corradini di Unimore, si terrà giovedì 12 luglio alle ore 17.30 e sarà dedicato a “Quando a Modena c'erano le mura. Percorso di visita attraverso la città scomparsa”. Modena nel Medioevo, come tutte le città, era protetta da fossati e da mura, anche se solo con la costruzione della Cittadella nella prima metà del XVII secolo, si può parlare di una Modena fortificata. Nel 1860 avevano perso il loro ruolo militare, e, divenute semplicemente luogo di passeggio per i modenesi, vennero abbattute. Una guida narrerà di queste antiche fortificazioni e con essa sarà ripercorso il loro perimetro. Il ritrovo è previsto davanti al Teatro Storchi. L’itinerario si svolge in città e durerà al massimo due ore. Non serve la prenotazione.

 

 

I cinesi conquistati dai fortini della Maddalena
Da lanuovasardegna.it del 9 luglio 2018

LA MADDALENA. Da visita flash a tour intensivo lungo sei ore. Tra terra e mare. Il sindaco Luca Montella stravolge l’agenda pensata per la delegazione cinese a caccia di affari per conto del Fondo di investimento governativo. E dall’elenco di immobili da vedere viene depennato proprio l’ex arsenale. La grande incompiuta del G8 inizialmente era considerata quella con più appeal. A farle perdere fascino le parole molto nette di Irene Pivetti, la presidente di Only Italia che tesse i rapporti con le istituzioni locali per conto del Golden China fund. «Serve chiarezza sulle procedure e sui tempi di realizzazione – ha ribadito anche nella sala consiliare isolana –. Non è in discussione la bellezza intrinseca della Sardegna o dell’arcipelago della Maddalena. Abbiamo bisogno di capire in che modo le strutture che sono qui presenti possano essere inserite all’interno di un progetto governativo che ha un respiro strategico e che non può essere concentrato in un solo punto. Conosciamo bene gli immobili ex G8 e i problemi a essi connessi. Siamo pragmatici e rispettosi delle regole esistenti». Il progetto Sardegna in salsa orientale passa attraverso tre linee. Ricettività turistica di lusso, non per nababbi. Quindi hotel da realizzare su edifici già esistenti o ex novo ma con cubature già inserite nei Puc approvati. Residenza sanitarie dedicate ai nonnini cinesi ricchi con annessi centri di medicina cinese. Attività sportive, in particolare vela ed equitazione, per i giovani che si muovono con le famiglie. Messaggio così chiaro che il sindaco Montella non ha dubbi. Troppe zavorre burocratiche e tempi lunghi legati alle bonifiche per l’ex arsenale. Una carta perdente da giocare. «Anche a noi percorsi che tracciano strade troppo lunghe non interessano – afferma –. Posso però dire che alcune delle cose che voi cercate qui possono essere realizzate e anche in tempi brevi. Ma per capire di cosa sto parlando dovete vederle con i vostri occhi. Da parte mia ci sarà la massima chiarezza. Non abbiamo alcuna intenzione di perdere tempo e farlo perdere a un investitore serio». Ipotesi ex ospedale. Il sindaco punta dritto all’isola di Garibaldi. Prima una sosta davanti all’ex ospedale militare. L’edificio nella disponibilità della Regione si presta a vestirsi da residenza sanitaria per pensionati dai capelli d’argento. L’edificio, mai aperto, è riservato, in ottime condizioni, con vista sul mare, stanze ampie e a due passi dal più grande centro sportivo e di relax senza pareti. L’isola di Caprera. Tra forti e paesaggi. La prima tappa è al Fortino di Poggio raso. Capolavoro dell’architettura militare che da anni aspetta una riqualificazione rimasta sulla carta. Un museo di pietre e storia con una vista panoramica che taglia il fiato. Ed è quella l’esperienza che vivono la presidente Pivetti, Alberto Farci, capo dei progetti di pianificazione e sviluppo per Only Italia, Haney Cheng, ad del fondo di investimento governativo cinese Eurasia Med Zhongjing Jinyi investement fund management di Pechino e Ventura Meloni, responsabile tecnico dei progetti. Mister Cheng immortala ogni angolo di Caprera con lo smartphone. Dal forte abbandonato di Poggio Raso si passa a un esempio di fortificazione ristrutturata in modo conservativo. Arbuticci, che oggi ospita il Memoriale Giuseppe Garibaldi. Una trasformazione che strappa consensi. Club Med. E da una delle terrazze di granito del Memoriale non c’è solo l’infinito da contemplare. Anche l’ex Club Med, nel patrimonio della Regione e alla ricerca di una riqualificazione in chiave ricettivo-turistica da anni. Mister Cheng allunga lo sguardo, chiede più informazioni e l’invio di immagini ad altissima risoluzione della struttura. Posizione strategica e percorso avviato. Ancora una decina di selfie con l’azzurro punteggiato di yacht e si risale in auto. Destinazione ex villaggio americano, alla Trinita. L’ex quartiere residenziale a stelle strisce si estende su 3mila metri quadrati. La scuola è del Comune, il resto di un privato. Saluto dal mare. Gran finale con la gita in barca. Rapido passaggio davanti all’ex arsenale dal mare, tour nell’arcipelago e rientro. di Serena Lullia

 

 

Roma, a Villa Torlonia riapre il bunker di Mussolini
Da tgtourism.tv del 9 luglio 2018

Roma. Riaprono i rifugi antiaerei e il bunker di Benito Mussolini a Villa Torlonia, con nuovi allestimenti e un percorso guidato con esperienze sensoriali che riproducono l’atmosfera vissuta all’interno durante i bombardamenti.I due rifugi antiaerei sono stati allestiti inserendo pezzi  originali dell’epoca, mentre nel bunker vero e proprio è stato realizzato un allestimento che permette di rivivere una “Air Raid Experience”.

Le tre sale dedicate alla pannellistica sono state allestite puntando sulle immagini, con riproduzioni di documenti originali dell’epoca: giornali, manifesti di propaganda, volantini. Un filmato, realizzato dal documentarista storico Fabio Toncelli, ricostruisce invece il piano, non portato a termine, della Royal Air Force, di eliminare Mussolini, bombardando contemporaneamente Villa Torlonia e Palazzo Venezia.

All’interno del bunker, oltre alle visite guidate, saranno proposti anche spettacoli teatrali di rievocazione storica e attività didattiche con altre associazioni.

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Alfonsino di Brindisi
Da corrieresalentino.it del 8 luglio 2018

BRINDISI – Il Castello Alfonsino di Brindisi, chiamato anche Castello Rosso a causa del colore rossiccio del carparo utilizzato per la sua costruzione, o anche Castello a Mare, è una fortezza edificata sull’isola di Sant’Andrea, posta all’ingresso del porto esterno e che, proprio per questo, ha sempre assunto un’importante funzione strategica e difensiva nel corso dei secoli. La suddetta isola a partire dall’XI secolo ospitava un’abbazia benedettina dedicata appunto a Sant’Andrea, successivamente abbandonata a cavallo fra il XIV ed il XV secolo, di cui alcuni resti possono essere visti al Museo Archeologico Provinciale Francesco Ribezzo. Nel 1445 Alfonso V d’Aragona decise di edificare una torre all’estremità dell’isola, come avamposto per la difesa del porto. Successivamente, nel 1481, su iniziativa di Ferrante d’Aragona, viene iniziata la costruzione di una roccaforte più complessa che, quattro anni più tardi, il Duca di Calabria Alfonso d’Aragona provvede a trasformare in castello, che assume appunto il nome di Castello Aragonese o Alfonsino. Questo verrà ultimato nel 1492 con l’apertura di un canale che separa la fortezza dal resto dell’isola, e col completamento delle sale e delle gallerie al primo piano. Nel 1558 hanno inizio i lavori per l’edificazione del forte, detto Forte a Mare, finalizzato alla difesa della restante parte insulare, al fine di impedire eventuali sbarchi nemici con la conseguente inevitabile presa del castello. I lavori per l’edificazione della struttura, a pianta triangolare isoscele, si completarono nell’arco di 46 anni, inclusa la costruzione di una darsena per sbarrare parzialmente l’accesso al canale, un baluardo a pianta circolare rivolto verso la città, detto di San Filippo, ed uno a pianta triangolare verso il mare aperto. La fortezza ha nel complesso un caratteristico porticciolo interno, al quale è possibile accedere attraverso un archivolto inserito nelle mura intorno al 1577 e che congiunge la fortezza aragonese ai successivi ampliamenti di epoca spagnola. Nel 1869 viene terminata la diga che collega l’isola alla terraferma, consistente in un ponte lungo 440 metri e largo 30. La fortezza è stata utilizzata per diverso tempo come lazzaretto, quindi è stata concessa alla Marina Militare Italiana sino al 1984, quando una mareggiata ha creato forti danni alle strutture murarie, con la conseguente dichiarazione di inagibilità. Attualmente sono in corso lavori per il restauro dell’intera struttura. La rocca è legata a diversi eventi bellici nel corso della storia, fra cui ricordiamo l’assalto di sedici galee della Serenissima Repubblica di Venezia nel 1528, arrestate dal fuoco di sbarramento delle artiglierie da poco installate, nonché l’assedio francese del 1799 contro Giovanni Francesco di Boccheciampe e Giovan Battista De Cesari.. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

Alla scoperta dell'imponente Forte Hensel a Malborghetto: inaugurato il Sentiero dei Soldati
Da udinetoday.it del 6 luglio 2018

Sabato 7 luglio, alle ore 19 a Malborghetto, si terrà l'inaugurazione del Sentiero dei Soldati di Fort Hensel - Soldatenweg, il nuovo percorso in salita che, attraversando i monti di Malborghetto Valbruna, porta fino al Monte Stabet e al promontorio denominato Tschalawaj dove è possibile trovare quel che resta del magnifico Fort Hensel, fortilizio progettato e costruito nel 1809 dal capitano Friedrich Hensel dell'Impero Austroungarico per difendersi dagli attacchi delle truppe napoleoniche, luogo dove lo stesso militare perse valorosamente la vita e dove è possibile trovare una lapide in suo ricordo alle pendici del Tschalawaj (vedi fotografia in basso). Sulla lapide alle sue spalle, in tedesco, si può leggere: "In ricordo della morte eroica del capitano ingegnere Friedrich Hensel nel 17 maggio 1809 e dei suoi compagni di battaglia, caduti con lui". Il Parco Tematico del Fort Hensel di Malborghetto ha previsto un dispendioso lavoro di pulizia e il posizionamento di diversi cartelli didattici. Il percorso, a tratti molto ripido, permette di raggiungere anche l'osservatorio (Testa di Malborghetto), belvedere dal quale è possibile osservare il meraviglioso panorama alpino e Malborghetto. Si tratta di una zona strategica dal punto di vista militare, non per nulla il genio militare l'aveva scelta per costruire la roccaforte che ora porta il suo nome.

Cenni storici Il Forte, dal 14 al 17 maggio 1809, vide 390 soldati asburgici difendere i confini resistendo all’attacco di 15.000 soldati francesi (furono 350 i soldati imperiali a perire). La battaglia, sebbene sanguinaria, fu celebrata in particolar modo perchè impedì alle truppe francesi di non partecipare alla battaglia di Aspern, facilitando così la vittoria dell’arciduca Carlo. Cessato il pericolo napoleonico, la struttura venne ripristinata a metà del XIX secolo e successivamente nel 1884 quando il nuovo Regno d'Italia impose nuova attenzione al confine. L'edificio fu restaurato, modernizzato e trasformato in una importante fortezza in grado di ospitare 18 bocche di fuoco per una difesa a 360 gradi. Inattivo per trent'anni, con lo scoppio della Grande Guerra vide la presenza di 21 ufficiali e 567 militari. Il Forte venne pesantemente bombardato dall’artiglieria italiana il 12 giugno 1915, quando 19 valorosi soldati dell’Impero Austroungarico persero la vita. Quell'estate furono lanciati più di duemila colpi di grosso calibro e, in tutta la guerra, circa 4.500. La struttura Il forte era formato da due edifici distanti uno dall'altro 50 metri: il primo, posto più in alto, ospitava una caserma, due batterie per obici ed un bastione a due piani con quattro cannoni mentre il secondo era formato da due torrette collegate da una batteria che ospitavano in tutto otto cannoni. Ben armato e con la possibilità anche di ospitare artiglieria leggera, il Forte Hensel divenne uno dei principali obiettivi dell'artiglieria italiana schierata sulle cime della Val Dogna, lungo il confine d'allora. Il monumento a F. Hensel alle pendici del Tschalawaj

 

 

Fortezze Maunsell, le spettrali torri d’avvistamento
Da notizie.it del 6 luglio 2018

Le fortezze Maunsell furono costruite nel 1942, durante la Seconda Guerra Mondiale. Si trovano sull’estuario del Tamigi nel Regno Unito e venivano utilizzate come torri d’avvistamento per i nemici. Oggi questi fortilizi sono famosi perché considerati spettrali a causa del loro abbandono, del loro decadimento e non solo. Fortezze Maunsell Le fortezze Maunsell prendono il nome del loro ideatore, Guy Maunsell. Furono innalzate durante il periodo in cui i tedeschi sconfissero la Francia e pensavano di dirigersi verso il Regno Unito. I nazisti avevano già distrutto alcuni dei punti strategici britannici ed era necessario, per essere pronti in tempo, avere una base di avvistamento che si affacciasse sulle coste. Così nascono le fortezze Maunsell che si ergono come imponenti fortini composti di acciaio e cemento. Solo a vederli mettono paura a chi li osserva. Di fronte alle fortezze, in tempo di guerra, erano anche state posizionate delle mine navali per evitare attacchi di motosiluranti. Furono costruiti altre fortezze più vicine alle spiagge e alla foce del Mersey, ma poco dopo furono demoliti perché pericolanti a causa dell’instabilità del fondale. Alla fine della guerra le fortezze di Maunsell smisero di funzionare e furono abbandonate. Negli anni successivi, più precisamente nel 1953, una nave norvegese ne distrusse una demolendo anche i radar e le armi al suo interno. In quell’occasione morirono quattro persone. Da questo momento in poi i fortini suscitarono ancora più inquietudine nell’animo degli osservatori. Le macerie che rimasero dall’incidente furono portate via solo nel 1960. Sei anni dopo una tempesta fece strage di un altro fortino che cadde distrutto. Il futuro Nonostante la pericolosità, l’abbandono e il pessimo stato in cui si trovavano non furono smantellate quindi negli anni seguenti cominciarono ad essere utilizzate per attività abusive. Lì nacquero alcune radio pirata come Radio Sutch e un movimento illegale chiamato progetto Sealand. Object 3 Il promotore del progetto era Paddy Roy Bates che incitava il popolo a rivendicare l’indipendenza della Gran Bretagna. Attualmente queste strutture, fatte di metallo ormai ossidato e malandato, stanziano solitarie nell’acqua nella speranza che venga decisa per loro una sorte. Un’idea però a qualcuno è giunta. Sembrerebbe che alcuni privati abbiano l’intenzione di acquisire le fortezza Maunsell per poterne fare un hotel di lusso. Ad occuparsi di questo progetto è l’Operation Redsand Forts, che si preoccupa di recuperare famose fortezze militari. A capo di questa idea c’è David Marriot Cooper al quale nel 2014 venne chiesto di trovare un modo per risanare le torri. Ora il progetto sembrerebbe essere nelle mani del gruppo Aros Architects che sta provvedendo ad organizzare il piano di costruzione dell’hotel. Le fortezze Maunsell forse un giorno diventeranno camere complete di spa e per soli pochi eletti. Il prezzo per notte infatti è stimato a milioni di sterline.

 

 

Alla scoperta della casamatta del Foro Italico, il tour al fortino della seconda guerra mondiale
Da palermotoday.it del 5 luglio 2018

Domenica 8 luglio, dalle 9 alle 19, sarà aperta al pubblico la casamatta che si trova all’interno dell’area del Nautoscopio Arte al Foro Italico Umberto I a Palermo. Nell’anno in cui Palermo è Capitale Italiana della Cultura ed in cui ricorre il 75esimo anniversario dello sbarco alleato in Sicilia, il gruppo di ricercatori storici di Palermo Pillbox Finders organizzano la visita guidata della postazione militare della seconda guerra mondiale, edificata negli anni ’40. Inoltre, sempre domenica 8 luglio, torna a Palermo dopo ben sette anni la Pattuglia Acrobatica Nazionale delle Frecce Tricolori che, proprio sul cielo del Foro Italico, regalerà alla città un grande spettacolo acrobatico, il cui inizio è previsto intorno le ore 18. I visitatori del fortino potranno così assistere, da una postazione d’eccellenza, anche alle performance dei dieci aerei italiani i cui piloti sono tra i più bravi al mondo. Gli eventi legati all’apertura straordinaria del bunker costiero del Foro Italico non finiscono qui. A partire dalle ore 15 e fino alle 19, in via Emerico Amari, sarà possibile visitare un’autentica colonna di mezzi storici della seconda guerra mondiale a cura di HMV Italia (History & Military Vehicles Italia) di Udine. Il pubblico potrà nell’occasione salire sugli originali veicoli militari e scattare delle foto ricordo insieme ai rievocatori storici in divisa e ai ricercatori di Palermo Pillbox Finders. La visita guidata della casamatta all’interno di Nautoscopio Arte consentirà a cittadini e turisti di conoscere, oltre il sito, la storia di un’originale fortificazione italiana della seconda guerra mondiale, conducendoli all’interno della stessa attraverso un’altra storia che è quella dei manufatti usati durante gli anni del conflitto, nonchè immaginare le abitudini e gli stili di vita dei militari addetti al controllo di tali postazioni. Per l’occasione, il bunker del Foro Italico sarà allestito con alcuni cimeli dell’epoca per ricordare come si organizzava lì dentro il lavoro dei soldati siciliani, il tutto accompagnato dalla narrazione di eventi e fatti storici fino all'entrata degli americani a Palermo, il 22 luglio del 1943. L’evento si propone inoltre di promuovere in Sicilia il turismo storico negli originali luoghi in cui si svolsero le vicende belliche, e la riqualificazione delle numerosissime fortificazioni militari presenti nel nostro territorio, con l’idea che un giorno possa crearsi un vero e proprio circuito storico. I ricercatori di Palermo Pillbox Finders, già dallo scorso anno, hanno avviato il Censimento delle Casematte distribuite in particolar modo nelle coste e nelle alture di tutta la provincia palermitana, spostandosi anche verso altre zone siciliane. Il team ha inoltre realizzato dei cartelli simbolici di segnalazione turistica delle postazioni: se si procedesse in tal senso, Palermo sarebbe il primo comune ad adottare un’iniziativa del genere in Italia e tra le prime in Europa. Per i turisti che non parlano italiano, la visita guidata sarà garantita anche in lingua inglese. L’evento ha il Patrocinio del comune di Palermo, la collaborazione di Nautoscopio Arte, e la visita è a ingresso gratuito. Accesso da piazzetta Capitaneria di Porto.

 

 

BBC: In Albania un museo che una volta era bunker antiatomico
Da albanianews.it del 3 luglio 2018

L’Albania comunista era la nazione più isolata d’Europa. Temendo l’invasione, il suo regime ha costruito un bunker antiatomico top secret. Oggi quel bunker è diventato un’attrazione turistica. Dalla strada non si vedeva. Un lungo tunnel, scavato attraverso la collina di fronte, era l’unica via d’accesso. E non era situato in una parte in cui potevi imbatterti casualmente, era all’ingresso di una base militare. In totale, il tunnel (198 metri) è lungo quasi il doppio di un campo da calcio e alla fine c’è un edificio istituzionale. Questo è Bunk’Art 1, e pochi minuti a piedi lungo il sentiero accanto, portano in uno dei nascondigli più segreti della Guerra Fredda. Honver Hoxha è stato il dittatore albanese per quattro decenni. Dalla fine della seconda guerra mondiale alla metà degli anni ’80 ha governato il paese con un marchio di autarchia stalinista progettato per trasformare l’Albania in un moderno paese indipendente. Era un percorso del tutto singolare: la sua adesione al marxismo-leninismo consentiva una piccola deviazione nella sua idea. L’Albania ha rotto le relazioni con la Jugoslavia nel 1948, l’Unione Sovietica nel 1961 e la Cina nel 1979, tutto a causa di un presunto abbandono del dovere socialista. Da questo venne la paranoia. Hoxha, un ex partigiano che aveva combattuto i tedeschi nella seconda guerra mondiale, credeva che i nemici sia da est che da ovest pianificassero di invadere l’Albania. Ordinò un enorme programma di costruzione di bunker, che avrebbe consentito a Hoxha, mentre i cittadini albanesi affrontavano il nemico, di comandare la resistenza in tutta tranquillità. L’impianto 0774 è il risultato della singolare paranoia di Hoxha. Costruito tra il 1972 e il 1978, vanta più di 300 camere distribuite su cinque livelli sotterranei, in gran parte ai piedi della montagna Dajti, a est della capitale. In caso di invasione nemica, l’intera difesa del paese sarebbe stata organizzata da qui. Ci sarebbero state fino a 300 persone all’interno, compreso lo stato maggiore del paese. Il cibo, l’acqua e il carburante sarebbero bastati per un anno. Il bunker è stato costruito in completa segretezza. E’ stato utilizzato per l’ultima volta dall’esercito albanese per esercitazioni nel 1999, per poi cadere in rovina. Solo nel 2014 è stato riaperto grazie agli sforzi del giornalista italiano Carlo Bollino, che voleva portare questa reliquia del passato isolato dell’Albania sotto i riflettori. E ce l’ha fatta e non solo, perché nei suoi piani c’è anche quello di proporre un teatro per far rivivere ai visitatori i personaggi del passato. Nel frattempo, Bunk’Art – che ha cercato di rimanere il più politicamente neutrale possibile, senza allontanarsi dai fatti dell’isolamento comunista albanese – sta diventando un motivo per visitare Tirana. I gestori del complesso sostengono di aver iniziato a ricevere molto più interesse da parte di visitatori provenienti dal Regno Unito, Stati Uniti e persino dalla Nuova Zelanda.

 

 

Fortezze di Puglia: Il Castello Svevo di Brindisi
Da corrieresalentino.it del 1 luglio 2018

BRINDISI – Il Castello Svevo di Brindisi, conosciuto anche come Castello Grande o Castello di Terra, per distinguerlo da quello aragonese, quest’ultimo detto anche Forte a Mare, è attualmente il più antico ed importante edificio della città. Costruito nel 1227 per volere di Federico II di Svevia, doveva servire quale residenza fortificata per lo stesso Sacro Romano Imperatore e Re di Sicilia, nonché come presidio militare per le sue milizie. Per la sua edificazione vennero reimpiegati materiali provenienti dalla vecchia cinta muraria e dagli antichi dai monumenti in rovina, tra cui molto probabilmente anche l’antico anfiteatro romano. La pianta originale era di forma trapezoidale, sul cui lato occidentale, tra le due torri cilindriche, venne edificato il Mastio o Dongione, che al piano terra presentava la porta di accesso alla fortezza. Sul lato orientale ed al centro, invece, fra due torri a pianta quadrangolare, ne venne costruita un’altra pentagonale. Ovviamente nel corso dei secoli furono operate diverse modifiche alla struttura, in modo da renderla idonea alle nuove esigenze di carattere difensivo. In particolare nel 1448, i nuovi dominatori aragonesi provvidero all’edificazione di una cinta muraria esterna sul lato rivolto verso terra del castello, mantenendo l’originale nucleo svevo. Tale muraglia venne rinforzata con quattro torri circolari a difesa di eventuali assalti condotti con armi da fuoco. Durante questa fase di ristrutturazione l’originale fossato di epoca sveva venne coperto e sull’area furono ricavati locali interni e piazzole, mentre uno nuovo e più grande fu scavato e nel contempo si provvide ad aprire un nuovo ingresso al castello lungo il lato occidentale. Un’epigrafe risalente al sovrano Ferdinando d’Aragona riporta all’interno della fortezza un breve resoconto relativo ai lavori di ampliamento e di rinforzo. Ulteriori modifiche furono effettuate fra il 1526 ed il 1530 e portarono ad una sopraelevazione del parapetto, nonché alla creazione della Batteria di Levante e del Baluardo della Campanella. Salito al trono di Napoli Gioacchino Murat, cognato di Napoleone Bonaparte, il castello fu utilizzato come penitenziario. A partire dal 1909 veniva utilizzato dalla Marina Militare Italiana quale stazione per le torpediniere mentre l’anno successivo si provvedeva ad istituire il Comando dei Reparti di Sommergibili. Durante i due conflitti mondiali il castello fu impiegato come base navale e nel 1943 furono ospitati al suo interno i sovrani Vittorio Emanuele III e la regina Elena, nonché il Capo del Governo, maresciallo Badoglio, all’epoca in cui Brindisi fu provvisoria capitale d’Italia. Cosimo Enrico Marseglia

 

 

Un' app per ripercorrere i luoghi della linea gotica
Da incronaca.unibo.it del 27 giugno 2018

Una Regione che apre le sue terre, aumentando i sentieri e le sue offerte. Dopo la via degli dei e la via della seta, nasce una nuova app per incrementare il turismo nei luoghi della linea gotica. La fitta rete di fortificazioni che corre sull’appenino tosco-emiliano andando dal Tirreno fino all’Adriatico, teatro di scontri e di lotte durante il seconda guerra mondiale, quando gli alleati risalirono la penisola per liberarla dai tedeschi. «Un modo – ha detto il consigliere metropolitano e sindaco di Vergato, Massimo Gnudi – per ripristinare la memoria e promuovere il turismo culturale. Nel prossimo periodo ci saranno ulteriori investimenti». «Si potrà – ha detto Massimo Turchi, presidente dell’associazione linea gotica - officina della memoria – fruire in maniera approfondita oltre 250 siti d’interesse coast to coast , con più di 100 itinerari».« Si tratta della prima app sulla linea gotica, scaricabile gratuitamente per android e ios. Uno strumento agile e semplice da usare, con cui poter fare delle ricerche e visualizzare i siti d’interesse nelle vicinanze, con continui aggiornamenti». Peccato che rimanga il problema della manutenzione dei sentieri. «se si rovinano – denunciano le guide Cai dell'Appennino - non c'è nessuno che rimette a posto i sentieri, vecchi e nuovi che siano. Il motivo? I soliti: non si sa bene chi debba farlo e soprattutto mancano i soldi. Ma chi è che deve mettere in ordine il mio sentiero quando piove? Quello della manutenzione dei sentieri è un tema complesso sul quale noi del Cai veniamo sempre un po' rimbalzati tra amministrazioni comunali e enti privati». Non una domanda da poco dato che, a quanto pare, molti tratti devono ancora essere sistemati da questo inverno e anche le piogge di queste settimane hanno contribuito a danneggiare i sentieri. Massimo Gnudi dice: «Esiste una legge regionale che assegna ai Comuni la competenza in materia, ma poi questi incarichi non vengono sostenuti economicamente e infatti, al momento non esiste un'adeguata copertura finanziaria da parte di tutti i 21 Comuni coinvolti sul percorso della Linea Gotica».

 

 

Dal Trentino a Messina, idee per una giornata al castello
Da repubblica.it del 27 giugno 2018

Castelli, rocche, torri, bastioni, fortezze. Arroccati in cima a un monte, a picco sul mare, appollaiati su scogliere rocciose. Tra splendide campagne, intere cittadelle fortificate, grandi vallate o borghi antichi. Sono molti i tesori storici e artisti curati dall’Istituto Italiano dei Castelli (http://www.istitutoitalianocastelli.it/), Onlus che da anni si occupa di preservare questa preziosa eredità italiana. Creato, come spiega l’Istituto stesso, per “la conoscenza, la salvaguardia e la valorizzazione dell'architettura fortificata, si occupa di tutte quelle architetture - torri, castelli, caseforti, città fortificate, rocche, forti, bastioni, conventi fortificati, mura e così via - nate per esigenze difensive”. Persa la loro originaria funzione difensiva, oggi i castelli restano una splendida testimonianza storica e culturale, che vale la pena visitare. Sono tanti i castelli da visitare su e giù per lo Stivale, approfittando di un weekend o delle vacanze estive. Ecco i nostri suggerimenti, per visitare alcuni tra i più interessanti manieri d’Italia. A partire da Rocca di Vignola, in Emilia Romagna. È una tra le più antiche (un documento prova l'esistenza della Rocca a partire dall'anno 1178) fortificazioni d'Italia. Perfettamente conservata, questa possente mole quadrilatera su cinque piani, ha tre torri ed è coronata da sporti utili per la difesa. Utilizzata fino al XV secolo esclusivamente per scopi militari, nel 1401 il nobile ferrarese Uguccione dei Contrari l’ha trasformata in sontuosa dimora, tuttora scenografica, come dimostrano gli affreschi del XV secolo, o la Cappella della Rocca con dipinti tardogotici. Castello Pallotta, assieme al centro storico di Caldarola, si trova invece in provincia di Macerata, nelle Marche. Risalente alla seconda metà del IX secolo, di proprietà della famiglia Pallotta, il borgo è uno dei luoghi più belli d’Italia, nella sua storia ha ospitato nobili e cardinali, dal pontefice Clemente VIII alla regina Cristina di Svezia. A causa del sisma del 2016 oggi è in via di restauro, ma si possono visitare gli esterni del castello e girare per i vicoli del centro, che non ha perso il suo fascino. In Liguria troviamo poi la Fortezza di Sarzanello, progettata dagli architetti di Lorenzo de’ Medici nel 1502 dai genovesi. Con la sua posizione strategica alle pendici di una collina, serviva per proteggere il territorio circostante. Dell’imponenza fortezza si possono visitare la cucina, con un forno e un pozzo ancora funzionante, e la stanza del camino, si può scendere fino alle prigioni e ai sotterranei, poi salire al camminamento di ronda della torre, dove ammirare la splendida vista panoramica dalla costa toscana di Livorno fino al Golfo dei Poeti, la val di Magra e le cime delle Alpi Apuane.Con il Castello di Buonconsiglio siamo invece in Trentino Alto Adige. Il castello fu costruito dal podestà Sodegerio da Tito, tra 1238 e 1255, per volere dell’imperatore Federico II. Collegato alle mura di Trento, la fortezza si sviluppa fra Porta Aquila e Porta San Martino ed è composta dalla parte medievale del XIII secolo, con mura, domus, camera e Torre d’Augusto, la parte sopraelevata del XV secolo, e dal Magno Palazzo del cardinale Clesio del 1528. Restando al Nord, in Friuli Venezia Giulia, nel comune di Savogna d'Isonzo, si trova il Castello di Rubbia, edificato lì dove confluiscono i fiumi Isonzo e Vipacco. Costruito tra il 1400 e il 1500 su antichi insediamenti dell’età del Bronzo, il maniero è stato modificato nel Seicento: ora ha quattro torri angolari con pianta quadrata, mentre la primitiva costruzione aveva torri circolari. Intorno c’è un bellissimo parco, molto esteso, contenuto tra mura ottocentesche, che merita una passeggiata. Se scendiamo in Toscana, da visitare c’è il bel Castello dell’Imperatore di Prato, struttura medioevale voluta da Federico II di Svevia, realizzato dopo il 1240 su progetto di Riccardo da Lentini. I visitatori potranno esplorare l’interno del Castello e salire sui camminamenti per ammirare la suggestiva veduta sulla città e sul territorio circostante. In Molise, poi, ecco il Castello d’Evoli, costruito su un costone roccioso. Iniziato dai Longobardi, venne potenziato nel XI secolo dai Normanni, che lo trasformarono in un importante snodo dell’attività economica locale. Nel 1683 il duca Domenico d’Evoli trasformò la fortezza in una dimora signorile. Ma i discendenti della famiglia, ridotti in povertà, abbandonarono il castello nel 1821. L'edificio è stato comunque abitato fino ai primi anni del ‘900, poi è caduto in uno stato di abbandono e decadenza. Non troppo distante, in Basilicata, sorge il Castello di Laurenzana. Il maniero medievale, che risale al XII secolo, occupa la sommità di una rupe al centro del paese, vicino alla Chiesa Matrice. Dalla sua altezza domina la città e offre panorami unici. Concludiamo con le Isole. In Sicilia c’è lo splendido Castello Spadafora, al centro dell’omonimo paese in provincia di Messina. Inizialmente pare fosse solo una torre di avvistamento, che alcuni documenti fanno risalire alla seconda metà del XV secolo, poi ampliata intorno al '500 dall'architetto fiorentino Camillo Camilliani, divenendo quel castello di cui rimane oggi solo la parte centrale, affascinante da visitare. Sull’isola sarda troviamo infine uno dei monumenti più affascinanti del paese, il Castello di San Michele a Cagliari. Costruito nel Medioevo in cima all’omonimo colle, lì dove in epoca bizantina fu edificata la chiesa di San Michele, il maniero ha una pianta quadrangolare con tre torri unite da possenti cortine murarie, circondate da un fossato scavato nella roccia. La fortezza ha cambiato spesso destinazione, da residenza nobiliare a stazione radio militare. Nel tempo è stata arricchita e circondata da un bel parco. Oggi non ha perso il suo fascino. E’ diventata un centro d’arte polifunzionale, che ospita eventi, festival e mostre tra i più importanti della città.

 

 

Uranio impoverito, una strage di Stato
Da ilfarosulmondo.it del 26 giugno 2018

Luciano Cipriani maresciallo dell’Aeronautica militare aveva 47 anni. Nel suo curriculum diverse missioni all’estero, Kosovo, Afghanistan. Aveva respirato a pieni polmoni l’aria di quei luoghi e calpestato le terre avvelenate da uranio impoverito, tutto senza protezioni. Caschi, maschere, tute, guanti, tutto l’armamentario che in quei teatri di battaglia usano americani e inglesi, ma che i nostri comandi, alti e altissimi, ritengono inutili orpelli. E quel veleno gli era entrato in corpo, lentamente, ma in modo inesorabile. Aveva attaccato il suo fisico possente, lo aveva piegato alle sue ragioni, quelle di un tumore che ha un nome terribile e impronunciabile: glioblastoma multiforme di IV grado. Gli aveva reso la vita impossibile. Chiuso in un letto in attesa della morte. La fine del corpo come liberazione dalle sofferenze. Luciano ha combattuto per un anno. Sballottato come un pacco postale da un ospedale all’altro. Sempre le stesse diagnosi. Senza speranza. La sua famiglia non si è arresa. È andata in Germania, ha sperimentato nuove cure, si è aggrappata pure all’ultima speranza ma inutilmente. Da soli. Senzal’aiuto di nessuno. Asl, ministeri, burocrazie, non sono mai stati dallo loro parte. Povero Luciano, vittima dell’indifferenza. Di un Paese sempre uguale a se stesso. Muore Luciano, come tanti altri suoi commilitoni, in un’Italia assuefatta e poco seria che non vuole saperne di pace e guerra. È affar loro e delle loro famiglie. E ancora. A gennaio di quest’anno si poteva leggere nella terza-quarta colonna di qualche grossa testata nazionale la morte dopo una lunga agonia causata da un male incurabile di Gianluca Danise, Maresciallo incursore dell’Aeronautica Militare, veterano di tante missioni all’estero. Questa era la 321a vittima, appena prima di Luciano Cipriani, riconducibile all’esposizione ad uranio impoverito secondo l’Osservatorio militare, materiale usato in abbondanza soprattutto nei proiettili per cannoncini anticarro degli aerei da attacco a suolo degli Usa. Questi, incominciarono ad essere usati massicciamente a partire dalla prima guerra in Iraq cioè dal 1991. Quest’anno un’altra vittima, Gennaro Giordano, 31 anni. Un tumore fulminante lo ha stroncato in pochi mesi. Il militare italiano ha lasciato la moglie e una figlia di pochi anni. Numeri impressionanti. Sono circa 4mila, secondo i dati ufficiali ma segreti del ministero della Difesa, i nostri militari colpiti da patologie oncologiche riconducibili all’esposizione a nanoparticelle di metalli pesanti come l’uranio impoverito, cui sono esposti durante le missioni internazionali di guerra, imposte dalla Nato, cui partecipano e a vaccinazioni selvagge eseguite prima e durante le missioni. I dati numerici non mentono, l’uranio impoverito è più micidiale di Al- Qaida, Talebani, stress da zona di combattimento e fuoco amico messi insieme. Non male per una tecnologia militare che dovrebbe in teoria rendere più letali le armi dei nostri soldati. Dal 1991 ad oggi i caduti sono, secondo l’Associazione Nazionale Combattenti, 166. L’uranio impoverito è composto dall’isotopo U-238, che tende a decadere emettendo fondamentalmente radiazioni di tipo alfa, le quali possono essere fermate da una tuta Nbc e da una maschera antigas di ultima generazione. I militari americani spesso sono stati visti in Kosovo con tali protezioni. Loro avevano l’esperienza della prima guerra contro l’Iraq, sapevano che il pericolo, soprattutto in caso d’ingestione o di inspirazione dell’Uranio impoverito, era reale. Infatti questi proiettili hanno una doppia valenza: anticarro ed incendiari a contatto con le corazze formano una specie di freccia di fuoco che tramite sia l’alta temperatura che l’elevata densità specifica dell’uranio penetra nella corazza del carro, disperdendo un aerosol di uranio impoverito, che rimane in un raggio di 70 metri dal carro merce degli agenti atmosferici che lo spostano nelle vicinanze. Andare nei dintorni di un sito di tal genere, significa correre dei rischi mortali senza adeguata protezione.

Ma anche con la tuta Nbc e maschera antigas non è una passeggiata di salute. L’uranio è un elemento instabile che si stabilizza dopo un complesso processo di decadimento che prevede diversi stadi intermedi, alcuni dei quali molto più pericolosi dello stesso uranio come il polonio estremamente tossico od il radio. I tempi di decadimento tra i vari stadi sono spesso lunghi ma questo non toglie la pericolosità dell’esposizione e come accertato nel caso dell’uranio impoverito, nell’inspirazione o nell’ingestione. Tutto ciò è accertato anche dalla magistratura, infatti il ministero della Difesa è stato condannato in appello dalla Corte di Roma, secondo la quale “tutti i requisiti per configurare una responsabilità del ministero della Difesa […] per avere colposamente omesso di adottare tutte le opportune cautele atte a tutelare i propri militari dalle conseguenze dell’utilizzo dell’uranio impoverito”. A questo proposito c’è da notare che il Presidente Mattarella è stato titolare del Ministero della Difesa sotto i governi D’Alema e Amato da dicembre 1999 fino a giugno 2001. Il sergente maggiore Andrea Antonacci è morto all’ospedale di Firenze il 12 dicembre 2000. All’epoca il ministero della Difesa rispose così in un comunicato: «La malattia di cui soffre il sergente maggiore non può essere collegata in alcun modo, per ragioni di tempo e di luogo, alla vicenda dell’uso di munizioni a uranio impoverito. Questo tipo di materiale è stato utilizzato in Kosovo, durante le operazioni che si sono svolte tra la fine di marzo del 1999 e i primi giorni di giugno dello stesso anno. Il sergente maggiore Antonacci ha operato nell’ambito dei contingenti di pace non in Kosovo ma in Bosnia, più precisamente nella città di Sarajevo, dal 30 agosto 1998 al 4 marzo 1999, dunque in periodi precedenti e al di fuori delle zone di operazioni nel corso delle quali i Paesi Alleati hanno utilizzato munizionamento a uranio impoverito contro i carri armati della Federazione Jugoslava» (Ansa: “Difesa: Ministero, caso di Striscia non dipende da uranio”; Roma, 14 novembre 2000). La Nato ha bombardato con 10.800 ordigni all’uranio impoverito il territorio attorno a Sarajevo, ma non solo. In materia sono stati presentati ben 334 atti parlamentari. Attualmente, secondo i dati ufficiali, più di 4mila militari italiani risultano gravemente ammalati di cancro, secondo contare i numerosi morti, soprattutto giovani. (Ansa, “Uranio: portavoce Nato, uso proiettili mai oggetto contrasti”, Bruxelles, 22 dicembre 2000). Peraltro i velivoli A-10 dell’Us Air Force erano decollati da Aviano.Il 27 settembre 2000 ecco cosa aveva ribadito il ministro Mattarella: «Desidero anzitutto riaffermare che ad oggi nessun militare del nostro contingente in Kosovo è stato rimpatriato perché affetto da leucemia e che non sono mai emersi casi sospetti di questa malattia. In questo senso si sono già espressi nei giorni scorsi i comandi competenti e lo stesso procuratore militare di Roma che dal gennaio scorso ha avviato un monitoraggio in seguito a segnalazioni su possibili rischi di inquinamento e di contaminazione. Va escluso anche che siano collegabili all’uranio impoverito i due casi letali di leucemia acuta che si sono verificati nelle Forze armate, il primo sei anni fa, il secondo l’anno passato. Nel primo caso, il giovane vittima della malattia non era stato mai impiegato all’estero; nel secondo caso, il giovane militare era stato impiegato in Bosnia, precisamente a Sarajevo, dove non vi è mai stato uso di uranio impoverito. Sul piano generale, desidero ricordare quanto ho già fatto presente in Parlamento nei mesi scorsi; fin dall’ingresso dei nostri soldati in Kosovo, si sono adottate misure di protezione: monitoraggio ambientale, ampia attività informativa, bonifica con reparti specializzati nella protezione e decontaminazione di persone e di materiali. Sono stati svolti controlli ulteriori approfonditi da parte di esperti in fisica del Centro interforze di studi. Tutte queste misure, come ho già detto l’altra volta in Parlamento, hanno permesso di confermare che i livelli di inquinamento radioattivo nelle aree dove operano i nostri soldati sono al di sotto dei limiti di sicurezza previsti dalle norme italiane per il nostro territorio». «Per quanto mi riguarda non esiste nessun problema legato all’uranio impoverito» parole di Roberta Pinotti, ex ministro della Difesa. Insomma, la sagra della menzogna. Evidentemente la cospirazione silenziosa continua, e la lista dei morti pure. In 532 hanno richiesto un risarcimento al ministero della Difesa. Nessuno di loro ha ancora visto un euro, ma gli eredi non si fermeranno nella loro sacrosanta voglia di verità e giustizia. di Cinzia Palmacci 

 

 

Dai Colli all'Adige, le visite guidate del mese di luglio tra i colli Euganei e la Bassa Padovana
Da padovaoggi.it del 26 giugno 2018

Domenica 1 luglio parte il nuovo calendario di visite guidate gratuite che per tutto il mese accompagneranno il pubblico alla scoperta del territorio dei colli Euganei e della Bassa Padovana del progetto #DaiColliall'Adige, che ogni settimana propone visite guidate a ville e musei ma anche numerose escursioni a piedi o in bicicletta, a cura di guide turistiche e naturalistiche. Programma Domenica 1 luglio Bike tour nella terra dei Carraresi: Due Carrare, Cartura, Pernumia e San Pietro Viminario Due Carrare, culla della dinastia dei Carraresi che vi avevano costruito un castello e finanziato la costruzione dell'abbazia di Santo Stefano. Sempre i Carraresi, furono promotori della costruzione dei primi mulini di Pontemanco (uno di questi ancora visibile). Lungo gli argini dei corsi d'acqua si arriverà al Ponte di Riva, per proseguire poi per Cartura tra architetture civili e religiose come la chiesa di Santa Maria Assunta e le numerose dimore veneziane. Al termine del tour visita a San Pietro in Viminario - che deve il suo nome all'antica lavorazione del vimine - e a Pernumia, che ha dato i natali al celebre Angelo Beolco detto il Ruzante.

Sabato 7 luglio Villa Contarini Rota a Cinto Euganeo Visita alla maestosa villa opera della nobile famiglia veneziana che conserva nel salone principale le scene dipinte dal Guarana - questi sono tra i suoi lavori più importanti fuori Venezia - a cui fanno da cornice gli interventi minori dell’Urbani. Davanti alla villa si estende un giardino all’italiana, con vista sul paesaggio collinare e ancora perlopiù agricolo delle aree circostanti.

Sabato 7 luglio e sabato 21 luglio Villa Widmann Borletti a Bagnoli di Sopra e il duomo di Candiana Itinerario speciale* che prevede la visita a Villa Widmann Borletti, uno dei complessi monumentali di villa più grandi dell'intero Veneto, e al duomo di Candiana, vera e propria cattedrale di campagna. *gli itinerari speciali connettono il territorio del GAL Patavino con altre eccellenze della regione

Domenica 8 luglio Visita alla Torre Civica di Tribano Visita alla Torre civica che domina la città di Tribano dall'alto dei suoi 27 metri circa offrendo un panorama unico sulla città.

Domenica 8 luglio e domenica 29 luglio Palazzo Mingoni ad Agna e duomo di Conselve Visita al palazzo - oggi sede comunale - realizzato dai fratelli Attilio e Vincenzo Mingoni tra il 1680 e il 1682 su loro progetto, e al duomo di San Lorenzo di Conselve, i cui lavori iniziarono nel 1720 per concludersi nel 1748, che conserva una pala d'altare raffigurante il martirio di San Lorenzo attribuita alla scuola del Tintoretto.

Giovedì 12 luglio Fortificazioni a confronto: le mura di Soave e il Castello Estense by night Itinerario speciale* che dalle fortificazioni di Soave, splendido borgo trecentesco in terra scaligera, accompagna alla visita in notturna delle fortificazioni di Este con il suo mastio e le mura carraresi. *gli itinerari speciali connettono il territorio del GAL Patavino con altre eccellenze della regione

Domenica 22 luglio Granze Visita alla chiesa di Santa Cristina e al Museo delle Centuriazioni, per conoscere la storia e le tradizioni di questo piccolo paese della Bassa Padovana.

Sabato 28 luglio Civiltà di Villa a confronto Itinerario speciale* che mette in dialogo una delle più belle ville realizzate dal Palladio, nonché unico esempio di Patrimonio Unesco nel rodigino, Villa Badoer a Fratta Polesine e Villa Ca' Conti Rusconi Camerini a Granze, che testimonia da secoli la potenza della famiglia. *gli itinerari speciali connettono il territorio del Gal patavino con le eccellenze della regione Sulla tracce dei Carraresi a Corte Capodaglio: l'itinerario ripercorre la storia di Due Carrare in un percorso a tappe dal municipio a Corte Capodaglio, un'occasione per conoscere la storia passata e recente del territorio.

Prenotazioni Per essere sempre informati sulle iniziative in programma e prenotare il proprio posto è possibile consultare il calendario delle visite guidate sul sito collieuganei.it: uno strumento semplice e intuitivo a disposizione del pubblico per facilitare la partecipazione agli appuntamenti con le visite guidate proposte dal GAL Patavino. Il progetto #daiColliall'Adige è il nuovo sistema di promozione del turismo rurale che coinvolge 46 Comuni dell’area tra i colli Euganei e la Bassa Padovana. Il progetto che s’inserisce nell’ambito del Programma di Sviluppo Locale 2014-2020 del GAL Patavino è sostenuto dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (con Unione Europea, Stato e Regione Veneto) e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Il sistema di promozione #daiColliall'Adige è articolato in una serie di servizi collegati tra loro a beneficio di tutto il territorio rurale:

• Video Service della ruralità: un gruppo di giovani under 35 - aspiranti registi, artisti, operatori, studenti, appassionati di cinema - che hanno l'occasione di partecipare a una master con il regista Marco Segato, un laboratorio di idee che porterà alla produzione di tre video postcards che promuovano in modo innovativo e creativo il territorio, ma anche un'occasione per i giovani

• Web team: un team specializzato per veicolare il meglio della ruralità sul sito www.collieuganei.it e i Social collegati;

• Sportello degli educational tour: un’esperienza diretta della ruralità con iniziative costruite ad hoc;

• Banca ore delle guide turistiche: guide turistiche accolgono i visitatori alla scoperta di un territorio che va dai colli Euganei all’Adige;

• Turismo didattico sull’identità rurale: ragazzi e famiglie, grazie all’implementazione di tre modelli di turismo didattico esperienziale, sono coinvolti sul tema delle risorse locali.

• Scheda tecnica progetto #daiColliall'Adige Informazioni Gal Patavino scarl via S. Stefano Sup., 38 - Monselice 0429.784872 - Fax 0429.784972 info@galpatavino.it galpatavino.it

 

 

Lo splendore delle maestose rocche medievali del Pakistan
Da nationalgeographicitalia.it del 23 giugno 2018

Incastonata tra le vette del Pakistan settentrionale, la splendida valle dell'Hunza, posta lungo la Via della Seta, ha attratto viaggiatori, mercanti e alpinisti nel corso dei secoli. Tra i suoi iconici ghiacciai sorgono piantagioni di albicocchi e laghi dall'acqua color turchese, oltre che antiche testimonianze artistiche e culturali. Nella Hunza centrale, la Rocca di Altit, antica di mille anni e quella di Baltit, vecchia di 700, sono alcuni dei monumenti storici che raccontano il passato feudale della valle. Tradizionalmente luogo di residenza del Mir, o re, di Hunza, la Rocca di Altit fu abbandonata a favore di quella di Baltit. La fortezza rettangolare è posta ai piedi del ghiacciaio Ulter e domina la vista sulla valle dell'Hunza e sui suoi emissari. Una posizione strategica per il controllo della rotta commerciale del Karakorum che collega l'Asia centrale con quella meridionale. La Rocca fu usata come residenza dal Mir fino al 1945. Entrambe le fortezze sono state prese in affidamento dall'Aga Khan Historic Cities Programme negli anni '90 del secolo scorso affinché ne possa essere conservata l'integrità e portato avanti il restauro. Il progetto non solo ha provveduto a risistemare tetti in via di crollo, stabilizzare le fondamenta e installare un sistema di illuminazione, ma ha offerto anche una serie di opportunità economiche per le donne del posto. L'iniziativa legata alla Aga Khan’s Women Social Enterprise avviata a Hunza per incrementare le possibilità di occupazione per le famiglie a basso reddito
ha permesso inoltre la formazione di oltre 110 donne come pittrici, falegnami e carpentiere. Nel 2004 alla Rocca di Baltit è stato assegnato lo status di Patrimonio dell'Umanità e ne è stato riconosciuto l'ottimo stato di conservazione. "Il restauro della Rocca ha alimentato una rinascita del mercato immobiliare degli edifici storici mentre un progetto associato, legato all'artigianato, ha migliorato le possibilità di sostentamento nella zona", sostiene una nota dell'UNESCO. "Nel suo nuovo utilizzo come centro culturale e museo, la Rocca di Baltit ha attratto nella provincia migliaia di visitatori e ha contribuito a rinvigorire l'orgoglio della comunità locale per il suo patrimonio culturale".

 

 

La Linea Cadorna: un cammino nella storia
Da verbanianotizie.it del 22 giugno 2018

Sabato 23 giugno - IL CAMMINO…
Facile e panoramica escursione ad anello di circa 4 ore tra le fortificazioni, le trincee, le postazioni e le gallerie del tratto di Linea Cadorna che sale dalla Punta di Migiandone verso il Monte Massone. Possibile proseguimento fino al Rifugio all’Alpe Cortevecchio, con eventuale cena e pernottamento in loco. Ritrovo al Santuario della Madonna del Boden di Ornavasso alle ore 9.00. Colazione al sacco. Consigliati scarponcini e torcia elettrica.
Domenica 24 giugno - E LA STORIA!
Al Rifugio Oliva - Brusa Perona un approfondimento storico, con un occhio agli aspetti tecnico-costruttivi dell’opera militare e una riflessione sugli esiti della guerra.

La Linea Cadorna: dai sentieri di guerra alle strade di pace Paolo Crosa Lenz, scrittore e alpinista, nato a Ornavasso e di origini walser, è uno studioso del territorio della Val d'Ossola e delle Alpi Lepontine, con oltre 60 libri pubblicati. È membro accademico del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna e ha curato volumi legati alla minoranza linguistica walser.


Le fortificazioni del settore Toce-Verbano. Chi e perché ha voluto queste opere militari Leonardo Parachini, ricercatore di storia locale, è redattore della rivista Verbanus. Nel 2016 ha pubblicato il libro “Una linea chiamata Cadorna.


Le fortificazioni del settore Toce-Verbano durante il primo conflitto mondiale”. 1918-2018: l'ombra lunga della Grande Guerra  Antonella Braga, docente di storia e filosofia nei licei, attualmente impegnata in un dottorato di ricerca presso l'Università di Losanna, è una studiosa del federalismo europeo e dell'antifascismo italiano. Su questi temi ha pubblicato saggi e monografie, tra cui si segnalano, in particolare, quelli su Ada ed Ernesto Rossi. Si comincia verso le ore 11:00 con un rinfresco di benvenuto. Dopo gli interventi degli esperti, pranzo in rifugio alle ore 13:30. Partecipazione gratuita all’escursione di sabato e all’incontro di domenica (escluso pranzi e pernottamento). Prenotazione pranzo e/o pernottamento in Rifugio entro venerdì 22 giugno. L’evento si terrà anche in caso di maltempo

 

 

Valorizzazione dei Forti Umbertini, la proposta di Cateno De Luca
Da  letteraemme.it del 21 giugno 2018

MESSINA. Rilanciare il turismo cittadino puntando sui Forti Umbertini. È incentrata sulla valorizzazione delle antiche “fortezze” messinesi la nuova proposta del candidato sindaco Cateno De Luca, che intende mettere in atto dei progetti di riqualificazione integrata che prevedano, attraverso sinergie con gli enti competenti, la sistemazione delle infrastrutture di base e l’attivazione di politiche di marketing territoriale per inserire a pieno titolo le fortificazioni nei circuiti turistici principali. Di seguito la nota integrale: “Si tratta di strutture uniche, alcune in buono stato grazie al lavoro di volontari e associazioni, altre abbandonate a se stesse. Si deve creare un sistema sinergico di collaborazione tra pubblico e privato, per rilanciare dal punto vista turistico queste magnifici siti e renderli tutte fruibili puntando ad un turismo culturale di qualità. Necessario organizzare con gli operatori specializzati del territorio, itinerari turistici valorizzando le bellezze storico architettoniche cittadine. Bisogna poi rivedere insieme all’Autorità portuale il terminal crocieristico potenziandolo con la realizzazione di una adeguata e moderna struttura di accoglienza dei turisti. Compito dell’Amministrazione comunale sarà quello di proporre un’offerta turistica ai crocieristi che decideranno di trascorrere a Messina le ore di sosta della nave nel porto. Ovviamente l’offerta non potrà essere presentata “a terra”, ma dovrà già essere il frutto di un’articolata collaborazione Comune di Messina, la Confcommercio e l’Autorità Portuale di Messina, predisponendo una serie di iniziative che dovranno essere previamente presentate alle società di navigazione e da queste ultime inserite nel materiale divulgativo che viene messo a disposizione dei passeggeri. Non dobbiamo più assistere alle comitive di turisti che errano, come povere anime disperse, tra piazza Duomo e Cristo Re. Si devono anche individuare dei percorsi turistici, con soste organizzate per la degustazione dei nostri prodotti culinari, favorire la divulgazione delle nostre tradizioni sia attraverso la realizzazione del Museo delle arti e dei mestieri, che organizzando spettacoli folkloristici, sono iniziative indispensabili e urgenti per consentire a Messina di recuperare la sua vocazione turistica. Il Brand I’Messina è nato con questo scopo e con questa finalità, di costituire un network di realtà operanti nel territorio da far conoscere ai turisti i quali diventeranno così, loro stessi, gli ambasciatori nel mondo della nostra cultura e delle nostre opere”.

 

 

Vallo di Adriano: l'antica fortificazione romana danneggiata dai cacciatori di tesori
Da  blastingnews.com del 21 giugno 2018

Il Vallo di Adriano, secondo gli studiosi inglesi, presenta notevoli danni. La fortificazione in pietra eretta nella prima metà del II secolo d.C. per volontà dell'imperatore Adriano, che si estende tra la Britannia e la Caledonia, presenta una serie di danneggiamenti causati dall'attività dei cacciatori di tesori che, di notte, dotati di metal detector illegali, vanno alla ricerca di reperti [VIDEO]quali monete romane o insegne militari.  La scoperta degli studiosi britannici Secondo quanto riportato da "BBC News", gli archeologi inglesi, in seguito ad una serie di accurati controlli, hanno rinvenuto più di 50 buche nei pressi della fortificazione di epoca romana, provocate dai cacciatori di tesori che, di notte, per eludere i controlli, si recano presso la struttura utilizzando illegalmente dei metal detector senza alcuna autorizzazione. L'area che risulta maggiormente danneggiata è quella che circonda la Brunton Turret, una delle sezioni meglio conservate del Vallo di Adriano. Gli studiosi denunciano anche il furto di diversi reperti archeologici di inestimabile valore, che sarebbero stati rivenduti a collezionisti tramite aste organizzate sul web. Gli esperti hanno aggiunto che si tratta di una situazione preoccupante, trattandosi di un monumento che fa parte a tutti gli effetti del patrimonio culturale del Regno Unito. Infatti la struttura si estende per circa 117 Km e conta almeno 160 monumenti riconosciuti tra cui campi militari, fortificazioni ed altri resti di grande portata storica e culturale. Collaborazione tra studiosi e polizia Mike Collins, l'ispettore che si occupa dell'organizzazione dei monumenti antichi, in seguito alla scoperta dei danni al Vallo di Adriano, ha dichiarato alla stampa britannica che ci sono numerosi metal detector conformi alle leggi che possono essere regolarmente utilizzati per la ricerca di reperti di valore storicoarcheologico. Tuttavia vi è un numero ristretto di persone che costantemente infrange la legge, derubando la comunità storico-culturale di grandi testimonianze del passato. Al contempo Mark Harrison, responsabile della tutela dei crimini al patrimonio culturale per la polizia d'Inghilterra, ha aggiunto che c'è il rischio di non poter mai consegnare alla storia e al pubblico una serie di reperti [VIDEO]e di oggetti di grande valore storico che, una volta sottratti illegalmente dall'area del Vallo di Adriano, potrebbero non essere mai più recuperati né ritrovati. Ad ogni modo, gli storici del Regno Unito continueranno a collaborare con le autorità del Northumbria, il Crown Prosecution Services (il servizio di procura della Corona) e l'intera comunità che cura la gestione dei metal detector, affinché si possano finalmente scovare i criminali che con le loro attività illecite stanno contribuendo a provocare ingenti danni al patrimonio storico-artistico della fortificazione di epoca romana.

 

 

Riapertura del Bastione “la Favorita” in programma il 21 giugno
Da ogginotizie.it del 20 giugno 2018

Riapertura del Bastione “la Favorita” in programma il 21 giugno
C’è grande attesa per la riapertura, dopo i lavori di restauro, del Bastione “la Favorita”, nel cuore del centro storico di Gaeta. La cerimonia d’inaugurazione è in programma per domani, giovedì 21 giugno alle ore 19. Infatti il Sindaco di Gaeta Cosmo Mitrano a quell’ora scoprirà prima la targa del restaurato monumento ai caduti della I Guerra Mondiale e, in un secondo momento, taglierà il nastro del monumentale bastione in via Faustina. Dunque, ha dichiarato il Sindaco: “Restituiamo alla città in tutto il suo splendore un altro gioiello prezioso della storia di Gaeta. Con immensa gioia possiamo finalmente aprire le porte del Bastione la Favorita che, scrollandosi di dosso lo stato di decadenza in cui versava da troppo tempo, si presenta oggi con una nuova veste. Una rilevante tapparella nostra Amministrazione che va ad aggiungersi al percorso di recupero e valorizzazione dei siti storici ed artistici del territorio”. La Favorita, la storia L’immobile è un ex terrapieno del Corpo di Guardia, denominato anche “Giardino pensile di Via Faustina”; esso ebbe un ruolo rilevante durante la dominazione spagnola, iniziata nel 1504 anno in cui Gaeta divenne piazzaforte del Regno di Napoli. Ferdinando “il Cattolico” fece quindi gettare le fondamenta di quella poderosa cinta muraria che venne poi compiuta da suo nipote, l’imperatore Carlo V, e che da questi prese il nome. In tal modo, negli anni dal 1516 al 1538, sorsero in linea ininterrotta diversi bastioni e cortine sovrastati dalle relative batterie di cannoni. Tra questi anche la batteria “la Favorita”. Durante i numerosi assedi che la Piazzaforte di Gaeta subì, svolse sempre con notevole efficacia compiti di fiancheggiamento e di difesa del porto. Nel 1927 Gaeta venne cancellata dal novero delle Piazzeforti e nel contempo fu prescelta come principale base navale militare del Tirreno. Il Palazzo Reale e “la Favorita” divennero degna sede del Comando Marina fino all’armistizio dell’8 settembre 1943. Il bastione infine fu assegnato alla Marina Militare; in seguito è stato alienato in favore del Comune di Gaeta che, con atto notarile pubblico del 20 dicembre 2012, lo ha acquistato definitivamente. Infine, ha concluso il Sindaco: “Abbiamo sempre considerato il nostro patrimonio storico, artistico e culturale volano fondamentale per l’economia cittadina. Portiamo a buon fine un’opera di restauro, riqualificando e valorizzando, uno dei tesori storici ed artistici della nostra Città: un bene culturale, testimonianza materiale avente valore di civiltà ed oggi, patrimonio della collettività”.

 

 

Alla scoperta della nuova area archeologica della Cittadella: visite guidate (e gratuite) da domenica 24 giugno
Da diariodelweb.it del 20 giugno 2018

TORINO - In corso Galileo Ferraris, appena sei metri sotto il livello stradale, si respira la storia di una Torino che non esiste più: grazie ai reperti archeologici venuti alla luce nel corso dei lavori per la realizzazione del parcheggio interrato, oggi si può ammirare lo straordinario recupero di una fortificazione 'in superficie' della Cittadella di Torino, demolita nella seconda metà del XIX secolo. Diciassette pannelli illustrativi, disposti lungo le pareti dell'area, accompagnano i visitatori e raccontato la storia del sistema difensivo e delle opere rinvenute.

AREA ARCHEOLOGICA - Si accede all’area archeologica attraverso un ingresso in corrispondenza di corso Galileo Ferraris 14. Una volta scesi all'interno del sito è visibile un buon tratto del fronte del Rivellino (termine tecnico per la fortificazione muraria) e, a seguire, un breve segmento delle mura del primo ampliamento urbanistico della Città, risalente al 1619, la struttura muraria più antica fra quelle rinvenute fino a oggi. Proseguendo nell'esplorazione del sito, si possono ammirare i resti della polveriera delle mine e, infine, la galleria di collegamento tra la polveriera e la cittadella. Quest’ultima è la prima grande galleria di comunicazione fino a oggi recuperata databile a questo periodo. «Arriva per tutti un momento in cui non si può fare altro che rischiare» ha detto il direttore del Museo Pietro Micca che gestisce l'area, «Questa era una sfida che il Museo Pietro Micca, insieme all'associazione Amici del Museo, al Comune e alla Sovraintendenza hanno accettato». Pare vicina anche l'apertura di parte della Fortezza del Pastiss che a inizio luglio vedrà la realizzazione di una nuova scala, di un ingresso stabile con copertura e di una recinzione. «Poi abbiamo un altro sogno: di aprire il Pozzo Grande».

VISITE GUIDATE - L'area archeologica aprirà ufficialmente i battenti a partire da domenica 24 giugno, alle ore 15. Sarà il Museo Pietro Micca a garantire l’apertura e le visite guidate tutte le domeniche con accesso a ogni inizio di ora dalle 15 alle 18 comprese. Attenzione particolare anche per i gruppi e per le scuole che potranno prenotare anche in altri orari per gruppi di almeno dieci persone.

 

 

Firenze, da quest’estate visitabili i sotterranei di Fortezza da Basso
Da travelnostop.com del 20 giugno 2018

Tornano le aperture estive alle fortificazioni storiche di Firenze: da quest’anno sarà visitabile anche la Fortezza da Basso con i suoi percorsi sotterranei. La prima struttura ad aprirsi al pubblico, il 24 di giugno, sarà la Torre di San Niccolò, ‘regina’ dell’antico sistema difensivo medievale della città. Nelle settimane successive si aggiungeranno altri torrioni e portali cittadini: la Torre della Zecca, Porta Romana (anch’esse parte, come San Niccolò, della cerchia muraria fiorentina realizzata a partire dal 1284 per volere della Signoria di Firenze), quindi sarà la volta del Baluardo San Giorgio, fortilizio centrale nell’aggiornamento della struttura di protezione di Firenze, in età moderna, la cui costruzione fu resa necessaria nel Cinquecento, per l’avvento dell’artiglieria e delle armi da fuoco.

È proprio allo stesso secolo che risalgono le due grandi fortezze cittadine, anch’esse visitabili nell’ambito del progetto di aperture estive: la Fortezza San Giovanni, più nota come Fortezza da Basso, oggi sede di prestigiosi eventi fieristico-congressuali, e Fortezza San Giorgio – più noto come Forte di Belvedere, attualmente casa di mostre di arte contemporanea. La proposta delle visite a torri e fortezze di Firenze è curata da Musei civici fiorentini e di Mus.E; le visite alla Fortezza da Basso sono realizzate grazie a Firenze Fiera.

 

 

Roma. Mura aureliane: lavori per la messa in sicurezza del torrione
Da laprimapagina.it del 19 giugno 2018

A seguito della caduta della copertura di uno dei torrioni delle Mura Aureliane nel tratto di via Campania, nel pomeriggio di venerdì 15 giugno, i tecnici della Sovrintendenza di Roma sono prontamente intervenuti. I tecnici hanno effettuato insieme ai Vigili del Fuoco un sopralluogo per verificare lo stato del torrione e del tratto adiacente delle Mura. L’area esterna è stata messa in sicurezza con una recinzione. I tecnici hanno verificato che il tetto caduto risale a una costruzione effettuata nella seconda metà del Novecento. Nel corso del sopralluogo sono stati pianificati i successivi lavori di messa in sicurezza della parte alta del torrione. I lavori sono iniziati lunedì 18 giugno.

 

 

Il bunker misterioso voluto da Mussolini a Roma Termini
Da ilgiornale.it del 19 giugno 2018

Le stazioni ferroviarie sono luoghi pieni di segreti, nascosti sotto ai binari e agli edifici Mondi sotterranei fatti di magazzini, di apparati tecnici di ogni epoca, di centrali, di passaggi, di locali bui. Nelle viscere della Stazione Termini, a Roma, c'è un bunker, una scatola di cemento armato di 40 metri quadrati 10 metri sotto il livello stradale, voluto da Mussolini nel 1936 – quando non c'era ancora l'attuale edificio passeggeri - per duplicare la sala di controllo della stazione e consentirle di essere funzionante anche in condizioni di emergenza. Evidente lo scopo di sicurezza, in tempi in cui già si cominciava a intravedere la guerra. Cinismo della sorte: la centrale fu inaugurata il 19 luglio el 1943, il giorno di un grande bombardamento della Capitale. Quel vano segreto, nel quale rimangono intatti tutti i vecchi comandi della stazione, oggi non è visitabile ma le Ferrovie stanno studiando di renderlo accessibile. Dell'esistenza di questo bunker, durato in funzione, con vari ammodernamenti, fino al 1999, pochi sono a conoscenza. Oggi lo si trova descritto, forse per la prima volta, nel libro “La Stazione Termini di Roma” (Giordano editore, 160 pagine, 25 euro), scritto a quattro mani da Amedeo Gargiulo e da Deborah Appolloni, rispettivamente direttore dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle Ferrovie e giornalista specializzata in trasporti. Il libro è una piacevole ricostruzione storica, tecnica e sociologica di uno degli edifici più importanti in Italia, progettato dall'architetto Angiolo Mazzoni, poi sostituito da Eugenio Montuori, e inaugurata nel 1950. Fu una delle ultime grandi stazioni europee di testa (nelle quali i binarî principali si arrestano, ed è perciò necessario, per proseguire, invertire il senso di marcia dei convogli ), alle quali furono nel tempo preferite le stazioni passanti o di transito, dove le operazioni ferroviarie sono più semplici e più veloci. Anche Milano Centrale è di testa, ma lo stesso progettista, Ulisse Stacchini, prima dell'avvio dei lavori cercò di convincere le Ferrovie, senza riuscirci, ad arretrarla per farla diventare passante, quindi più moderna. Termini è la stazione più grande in Italia e quinta in Europa, con 500mila passeggeri e 850 treni in arrivo o in partenza ogni giorno, 150 milioni di passeggeri all'anno. Ma è anche un luogo sociale, emblematico della città e di tante contraddizioni. Il degrado, per esempio, non è un fatto nuovo, risale almeno agli anni Settanta e fa parte dell'essenza stessa di una stazione – luogo pubblico, sempre aperto, complesso – fin dagli esordi della ferrovia. A Termini nel 1987 dopo varie esperienza solidaristiche è nato l'Ostello della Caritas, mentre al Giubileo e all'assistenza di tanti pellegrini va fatta risalire l'esperienza del Polo sociale. Nel libro è scandita, anche per immagini, la cronaca della stazione con i suoi grandi eventi. Nel 2006, per esempio, gli autori ci ricordano che lo scalo fu dedicato a Giovanni Paolo II, al quale fu innalzata una statua poco distante. Ma Termini resta Termini, e col nome del Pontefice non la chiama nessuno. La stazione è stata anche protagonista di tanti film. Uno tra tutti, Roma Termini, diretto da Vittorio e Sica, girato nel 1953, e prodotto dallo stesso produttore di Via col vento, David O. Selznick

 

 

Kaliningrad, alcune foto mostrano il possibile ampliamento del sito di stoccaggio per le armi nucleari
Da tpi.it del 18 giugno 2018

La Russia avrebbe ampliato il suo stoccaggio di armi nucleari nel bunker presente nell’exclave russa di Kaliningrad. La mossa si inserisce in un piano più grande che prevede un aumento delle armi nucleari della Russia all’interno della sua politica di opposizione alla Nato, secondo un nuovo report diffuso di recente. La Federazione degli scienziati americani hanno pubblicato alcune immagini satellitari che secondo il gruppo mostra come l’area di stoccaggio nell’exclave russa tra la Polonia e la Lituania sia stata ampliata e coperta con un nuovo tetto nei mesi scorsi. “Ha tutte le caratteristiche tipiche di un sito di stoccaggio di armi nucleari russe”, ha fatto sapere Hans Kristensen, il direttore del progetto sul nucleare del gruppo di scienziati americani. “C’è un perimetro difensivo esterno e i bunker hanno una tripla linea di recinzione intorno. Sono caratteristiche tipiche dei siti di stoccaggio di armi nucleari che la Russia gestisce”. I lavori sui bunker sono iniziati nel 2016 e il nuovo tetto è stato posizionato all’inizio dell’estate del 2018. Le immagini non provano che ci siano delle armi nucleari nell’exclave di Kaliningrad per adesso, ma ci mostrano che c’è un sito attivo”, ha affermato Kristensen. Secondo lo scienziato non si sa ancora se i militari russi hanno delle testate nucleari all’interno del sito monitorato, o se hanno intenzione di stoccarle nel bunker di Kaliningrad, né è possibile sapere se la struttura è stata ampliata per poter gestire un rapido trasferimento. Al momento l’exclave di Kaliningrad è sotto i riflettori in quanto uno dei luoghi in cui si svolgono le partite di calcio dei Mondiali 2018. Inoltre, è una postazione strategica sulla scacchiera dell’Europa orientale ed è fondamentale per le politiche di contrasto all’espansione della Nato ad est messe in campo dal presidente russo Vladimir Putin. L’esercito russo aveva annunciato a gennaio nel 2018 che erano state costruite le infrastrutture necessarie per la presenza permanente sul territorio del missile Iskander-M, in grado di trasportare testate convenzionali e nucleari in un raggio di 500 chilometri. Gli Stati Uniti avevano dichiarato che il missile, a causa del suo raggio di azione, rappresenta una violazione del Trattato sulle forze nucleari a medio raggio del 1987. L’exclave serve anche come base navale per le forze russe grazie al suo accesso al mar Baltico. A differenza della Nato, l’esercito russo ha mantenuto molti dei suoi sistemi di armi nucleari, tra cui missili anti-navi e a corto raggio per attacchi sul terreno, oltre a un sistema di difesa aereo. A causa dell’aumento della tensione con l’Occidente in merito alle guerre in Siria e in Ucraina, il presidente russo ha investito maggiormente nell’arsenale nucleare della Russia. Il giornalismo richiede risorse e scegliere di mantenere gratuito l’accesso a un giornale indipendente come TPI significa dover contare anche sulla pubblicità: questa è la ragione per cui vedi tanti annunci. Se vuoi contribuire a migliorare il nostro giornale e leggere gli articoli senza pubblicità anche da mobile iscriviti a TPI Plus, basta davvero poco ➝ www.tpi.it/plus (https://www.tpi.it/plus/)

 

 

Sentinelle di pietra: estate d'appuntamenti nei forti del Trentino
Da ladigetto.it del 18 giugno 2018

Con l’arrivo dell’estate il Circuito dei Forti del Trentino torna a narrarsi con l’edizione 2018 di Sentinelle di Pietra, promosso dal Servizio attività culturali della Provincia autonoma di Trento e curato dal Centro servizi Santa Chiara e dalla Fondazione museo storico del Trentino. Per il quarto anno la rassegna – presentata ufficialmente alla stampa questa mattina, nella cornice storica di Palazzo Festi a Trento - metterà in rete le vestigia disseminate sul territorio provinciale, testimoni della Prima guerra mondiale, attraverso un ricco cartellone di eventi culturali, artistici e musicali. Per quattro mesi, dal 21 giugno al 23 settembre, i diciassette forti austro-ungarici posti lungo il Sentiero della Pace ospiteranno momenti di riflessione, dibattiti, spettacoli teatrali, musica ed arti visuali, fondendo cultura, storia e territorio. Si inizia il 23 giugno da Forte Pozzacchio, a Trambileno in Vallagarina con il light show/concerto futurista Rulli di luce; chiusura il 16 settembre a Forte Garda, con la visita teatralizzata Sensazioni forti, le pietre raccontano. «Per i suoi significati culturali ed etici questo evento è estremamente significativo – ha spiegato Tiziano Mellarini, assessore provinciale alla cultura - Dietro a questa proposta c'è un forte gioco di squadra, che parte dalla Provincia e arriva alle amministrazioni locali, ai soggetti culturali e ai volontari per un comune obiettivo di valorizzazione delle testimonianze storiche che la Provincia ha negli anni scorsi restaurato e recuperato. La loro fruizione da parte dei cittadini e soprattutto dei giovani è un investimento sul futuro che si staglia oltre la commemorazione del Centenario.» «Per i suoi significati culturali ed etici questo evento è estremamente significativo – ha spiegato Tiziano Mellarini, assessore provinciale alla cultura - Dietro a questa proposta c'è un forte gioco di squadra, che parte dalla Provincia e arriva alle amministrazioni locali, ai soggetti culturali e ai volontari per un comune obiettivo di valorizzazione delle testimonianze storiche che la Provincia ha negli anni scorsi restaurato e recuperato. La loro fruizione da parte dei cittadini e soprattutto dei giovani è un investimento sul futuro che si staglia oltre la commemorazione del Centenario.» «Sentinelle di pietra – ha detto Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino - è un importante format che propone un'innovativa modalità di fruizione del patrimonio della guerra mondiale, vero e proprio luogo di produzione culturale e di riflessione. Questa quarta edizione è caratterizzata dall'ultimo anno della celebrazione del Centenario che onoriamo con una forte proposta culturale, gettando uno sguardo al di là del 2018, con l'obiettivo della divulgazione di questo patrimonio al grande pubblico.» Gioco di squadra che ha veduto fra i protagonisti anche il Centro servizi Santa Chiara: «questo evento è per noi un'occasione di presenza qualificata sul territorio per fare conoscere l'attività di servizio di questo ente, portando un contributo tecnico e di professionalità a sostegno di iniziative significative come queste» – ha detto il vicepresidente Tommaso Sussarellu. Il cartellone vivrà un interessante prologo il 21 giugno a Forte Cadine con l'inaugurazione della mostra di opere contemporanee Arte Forte, ideata da Giordano Raffaelli con il coinvolgimento di 12 gallerie private di tutto il Triveneto. La Mostra accompagnerà visitatori e turisti in dieci forti, fino al 23 settembre, invitandoli a riflettere sulla tematica dell'attesa: da qui il titolo Aspettando il momento, «che focalizza l'attenzione sulla fine della guerra che prende forma grazie all'ispirazione di 19 artisti che spaziano tra stili e modalità espressive, cercando di tradurre in arte la quotidianità della vita dei soldati nei forti» - ha detto Camilla Nacci, della Galleria d'arte di Giordano Raffaelli. Tanti eventi ed iniziative, dunque, con il circuito dei forti a fare da comun denominatore. Tra le strutture coinvolte vi sono i Forti Garda e Pozzacchio, poi Corno, Strino, Larino, Batteria di Mezzo, Superiore di Nago, Cherle, Belvedere, Tenna, Colle delle Benne, di Cadine, Tagliata di Civezzano, Roncogno e Lusern. «L'elemento significativo – ha detto Lanfranco Cis, curatore dell'evento - è quello dei percorsi immersivi dei forti, che consente di vivere emozioni, superando l'approccio meramente didattico in favore di una fruizione più coinvolgente. In questo senso Sentinelle di Pietra coglie appieno la dimensione umana della guerra, penso allo spettacolo Mato de guerra, ma anche all'evento di danza che racconta il momento del ritorno dalla guerra con attenzione al ruolo della donna, così centrale nella ricostruzione post-bellica.» Un'occasione unica per scoprire ed apprezzare queste imponenti strutture austro-ungariche progettate per difendere il limes dal Regno d'Italia, che hanno cambiato e modellato questo territorio di confine diventando parte stessa dell'ambiente alpino trentino. E oggi - grazie all'importante opera di recupero e di restauro messa in campo dalla Provincia autonoma di Trento - si presentano come importanti presìdi storico-culturali capaci di qualificare e valorizzare la proposta turistica trentina. Proprio per questo valore di viva testimonianza, il circuito dei forti attraverso la proposta «Sentinelle di pietra» intende coinvolgere un pubblico trasversale, assolvendo anche ad una funzione di piena fruizione culturale: per centrare questo obiettivo sono stati messi in campo – affiancanti la tradizionale campagna di comunicazione – due canali social come i profili Instagram e Facebook interamente dedicati alla rassegna, sui quali è possibile trovare foto, filmati e descrizioni dei luoghi della kermesse, oltre ad essere sempre aggiornati sulla programmazione del cartellone.

 

I FORTI DEL TRENTINO Il Trentino, posto al centro dell’arco alpino meridionale, è sempre stato uno degli assi principali di comunicazione tra Europa centrale e bacino del Mediterraneo.


Per questo il territorio è stato densamente fortificato con opere di sbarramento e di controllo sin dalle epoche più antiche.


Vide tuttavia l’intensificazione della costruzione di vere opere a chiusura delle possibili vie di accesso da sud, quando divenne territorio di confine fra Regno d’Italia e Impero austro-ungarico.

È per questo che oggi il Trentino conserva una fra le più importanti concentrazioni di sistemi difensivi realizzati dall’Impero austro-ungarico; a partire dalla seconda metà dell’Ottocento l’Austria-Ungheria progettò un piano di fortificazione per la difesa dal Regno d’Italia che portò alla nascita in Trentino di circa 80 fortezze.

I forti del Trentino nacquero quindi come difesa di un territorio di confine, giungendo ad un loro massimo utilizzo soprattutto durante il primo conflitto mondiale.

 

 

I

IL CIRCUITO DEI FORTI DEL TRENTINO A partire dagli anni ‘90 del secolo scorso, la Provincia autonoma di Trento e i Comuni proprietari/gestori dei forti hanno promosso un importante lavoro di recupero e restauro di queste testimonianze storico-architettoniche, lavoro che la Soprintendenza per i Beni culturali sta continuando ancora oggi. La ricorrenza del Centenario della Grande Guerra ha spinto l’Assessorato provinciale alla Cultura a promuovere un progetto di valorizzazione di questo patrimonio, affidando alla Fondazione Museo storico del Trentino il coordinamento delle attività. È nato così nel 2015 il «Circuito dei Forti del Trentino» che, ad oggi, coinvolge una quindicina di fortezze. Il logo del Circuito riprende simbolicamente i principali elementi architettonici delle fortezze trentine, la bandiera dell’Unione Europea e il tracciato del Sentiero della Pace per sottolineare il significato del Centenario: «dalla guerra alla pace», ossia la trasformazione di questi luoghi progettati per esigenze belliche in strumenti per la diffusione della cultura della pace. Oggi, quindi, il Trentino, si presenta come un museo a cielo aperto delimitato da un percorso di circa 520 chilometri che coincide con il «Sentiero della Pace», lungo il quale si possono trovare fortificazioni, trincee, osservatori e sentieri militari, a testimonianza di un passato caratterizzato daun sistematico progetto di difesa del territorio.

 

 

Albania, l’isola di Saseno: da base navale a nuova meta turistica
Da albanianews del 18 giugno 2018

In passato è stato un’importante base navale oltre ad essere uno dei fronti più difficili per l’esercito albanese; ora, invece, l’isola di Saseno è diventata una delle tante attrazioni turistiche d’Albania. Con alle spalle una storia enigmatica, Saseno (Sazani) è l’unica isola ‘selvaggia’ del lungomare albanese. Una bellezza impareggiabile della nostra ‘natura acquatica’, che continua a rimanere in un contesto misterioso. L’isola di Saseno è citata nella storia come una delle fortezze più adatte per difendere la città di Valona e le coste circostanti. Oggi, la situazione è del tutto cambiata perché l’Albania è membra della NATO e quindi Saseno potrebbe ben presto diventare una delle attrazioni turistiche più interessanti del Mediterraneo. Il nome dell’isola Saseno appare fin dall’antichità, a partire dal VI secolo A.C. quando viene citata con il nome ‘Sason’; durante il medioevo, poi, l’isola passò sotto il possesso dei veneziani mentre durante le guerre dei Balcani, la Grecia conquistò l’isola. Il paese poi fu costretto ad abbandonare l’isola a seguito delle decisioni della conferenza di Londra del 1913. Durante la prima guerra mondiale è la volta dell’Italia, la quale gestì sotto il suo controllo l’isola fino al 1943 quando l’Albania fu conquistata dai nazisti tedeschi. Il 21 Ottobre 1944 l’isola fu liberata e da quel momento è diventata parte del patrimonio e della sovranità dello stato albanese. Durante il periodo della Guerra Fredda, Saseno – assieme alla base militare navale di Pasha Liman a Oriku – divenne uno dei luoghi chiave per l’esercito rosso sovietico e albanese nel Mediterraneo. Dai tempi di Giulio Cesare fino alla seconda guerra mondiale, le coste adiacenti al Golfo di Valona sono state terreni di numerose battaglie, fatto testimoniate dai numerosi relitti ritrovati nelle acque dell’area. Una parte dei relitti – come anfore e altri oggetti – è stata recuperata dagli archeologi albanesi ed è stata esposta nel museo di storia nazionale e in quello archeologico di Durazzo. Durante la Guerra Fredda, l’isola di Saseno si è prestata a base militare navale in cui erano posizionate principalmente le artiglierie navali. All’epoca, l’isola era abitata da circa 10.000 persone le quali erano principalmente familiari degli ufficiali che prestavano servizio nell’isola. L’isola di Saseno – assieme al golfo di Valona – ai tempi era considerata come il fronte militare più difficile per l’esercito albanese, e per questo motivo, tutti coloro che prestavano servizio lì godevano di un trattamento differente da parte del governo dell’epoca. La superficie dell’isola è di 5.7 chilometri-quadrati che si sviluppano all’ingresso del golfo di Valona. La sua lunghezza è di 4.8 chilometri mentre raggiunge una larghezza massima di 2 chilometri. La costa dell’isola è un po’ frastagliata. Sul lato occidentale si forma il golfo di Xhehenemi, una piccola ma profonda insenatura. Sulla costa orientale, invece, si forma il golfo di Shenkoll dove fu costruito anche il porto navale-militare dell’isola, nel cui sud è presente il golfo di ‘Japrak’. Proprio qui si trova anche la spiaggia ‘Admiral’. L’isola è composta da due colline rocciose che raggiungono un’altezza massima di 342 metri. L’innalzamento di questo rilievo direttamente dal mare, crea l’impressione di un’altezza molto più grande. L’altitudine dell’isola viene man mano abbassandosi quando si va verso il centro. Le sue due valli, quella di Xhehenem e di Shenkoll, dividono l’isola in due parti: quella settentrionale, che è la più alta con 342 metri, e quella meridionale con 331 metri. La periferia dell’isola ha spiagge bellissime che fino ad oggi non sono state utilizzate. E infatti, dando un’occhiata alle coste di quest’isola, la bellezze delle spiagge, delle grotte e, più in generale, della sua storia, ti meraviglia. Le grotte sottomarine come quelle di Haxhia Alia o come quelle del golfo del diavolo, ma anche tante altre, sono le più grandi che si possono trovare nel Mediterraneo. Oggi rappresentano una vera sfida per gli appassionati di immersioni e un’attrazione speciale per gli sport subacquei. L’isola di Saseno recentemente è diventata un’attrazione per turisti e visitatori da tutta Europa. Per questo motivo, rappresenta una grande opportunità per il settore turistico albanese.

 

 

ARTE FORTE | Aspettando il momento
Giugno 2018

Anche quest’anno lo Studio d’Arte Raffaelli organizza la mostra d’arte contemporanea estiva diffusa all’interno dei Forti del Trentino, ARTE FORTE, che già due anni fa, in occasione della sua prima edizione, ha attirato l’attenzione del pubblico e della stampa nazionale.

ARTE FORTE si svolgerà lungo l’estate 2018, dal 21 giugno al 23 settembre; questa seconda edizione coinvolge dodici gallerie d’arte contemporanea del Triveneto associate ad ANGAMC (Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) e ad ASPART (Associazione Galleristi del Trentino). Ciascuna galleria ha invitato uno o più artisti (diciannove in tutto) di diverse generazioni e nazionalità a riflettere sui temi dell’attesa e della sospensione del tempo, a partire dalla suggestione data dalla curatrice Mariella Rossi “Aspettando il momento”, titolo della mostra. Il percorso espositivo abbraccia dieci fortificazioni austro-ungariche dislocate in tutto il Trentino. L’evento si conferma capace di intrecciare memoria storica e arte contemporanea aprendo il dialogo tra spettacolari patrimoni del territorio e importanti personalità artistiche di oggi. Lo Studio d’Arte Raffaelli sarà presente al Forte di Civezzano – Tagliata superiore con le opere di due artisti di livello internazionale: il newyorkese Bäst, che con i suoi collages, nati lungo le strade di Brooklyn, canta la vivacità di chi non vuole arrendersi al macigno del consumismo, mentre l’artista altoatesino Willy Verginer, attraverso l’uso del colore, recupera l’antica tradizione pittorica e scultorea gardenese dello scolpire- ipingendo. Opere emotive che ben si adattano all’ambiente circostante che trasuda, a distanza di cento anni, l’anelito alla vita. L’inaugurazione si terrà venerdì 22 giugno alle 18:00 presso il Forte di Civezzano.

 

 

Il glorioso passato di Porta Nuova
Da tgverona.it del 18 giugno 2018

Nuovo appuntamento con Focus su Telenuovo alle 18:40. Nella puntata odierna, curata da Susanna Carli, vi parleremo del glorioso passato di Porta Nuova. Fin dal 1500 è la porta di ingresso alla città, ma sembra che nessuno se lo ricordi.

Porta Nuova, da anni abbandonata e chiusa al pubblico, sta rivivendo una breve rinascita in questi mesi perché ospita una parte del Prezioso Museo della Radio di Verona. La location è prestigiosa e vanta un passato glorioso. L'opera venne costruita da Michele Sanmicheli tra il 1533 e il 1540, che la inserì nel programma di rinnovamento delle fortificazioni cittadine commissionato dalla Repubblica Serenissima.

Fin dalla sua nascita, Porta Nuova ebbe un duplice ruolo: militare-difensivo a Sud, civileornamentale sul principale asse della città, l'attuale Corso Porta Nuova. Nella puntata di oggi di Focus vi proporremo le immagini inedite raccolte da Filippo Brugnone nelle gallerie di contromina e sulla splendida terrazza panoramica.

E speriamo che, qualche amministratore, vedendo queste immagini, capisca che è arrivato il momento di restituirle la dignità perduta.

 

 

Il giro dei centomila castelli d’Italia Scoprite con noi chi li tutela
Da  corriere.it del 18 giugno 2018

C’è un’Italia che vediamo ogni giorno eppure conosciamo poco, o magari non la conosciamo affatto. È un’Italia che ritroviamo ovunque, dalle colline alla campagna, dalle città ai monti. È l’Italia dei castelli. Non solo quelli grandi e famosi, il Castello Sforzesco a Milano, il Maschio Angioino a Napoli. È l’Italia delle mille e mille fortificazioni anche anonime, torrette e ponti levatoi oltre i quali sono conservate storie di conquiste e strenue difese, storie di uomini che hanno combattuto e sono morti e di famiglie che grazie a quei luoghi si sono salvate. Storie d’Italia, appunto. Ed è alla diffusione della conoscenza di queste storie e di questi luoghi, e alla loro salvaguardia, che lavora l’Istituto Italiano dei Castelli, organizzazione culturale che ha nel 1964 la sua data di nascita e che da venti anni organizza, nel mese di maggio, una giornata dedicata alle costruzioni fortificate di tutt’Italia, una giornata di visite guidate, di spiegazioni che sono quasi lezioni di storia, di racconti, di testimonianze.

ITINERARI ANNUALI Ogni anno l’organizzazione sceglie siti differenti, e del resto il territorio italiano ne conta tanti che non c’è mai il rischio di ripetere due volte di seguito lo stesso itinerario. E ogni anno la risposta del pubblico è sempre improntata all’entusiasmo e ai grandi numeri. L’ultima edizione, svoltasi poco più di un mese fa, ha visto coinvolte diciannove regioni, 33 siti, comprendenti anche intere cittadelle fortificate, ed è stata l’occasione per ridare vita a questi luoghi anche con l’organizzazione di concerti, dibattiti, presentazioni di libri. Girata la boa del secondo decennio di attività, il presidente dell’Istituto, l’architetto napoletano Fabio Pignatelli della Leonessa, sintetizza così lo spirito dell’organizzazione: «Se penso che abbiamo 1400 soci e una sede in ogni regione , credo di poter dire senza il rischio di essere smentito che siamo un unicum nel panorama associativo italiano. Il nostro impegno è finalizzato a fare in modo che queste importanti strutture non muoiano nell’abbandono di cui spesso sono vittime. E le Giornate di Maggio rappresentano, in questo senso, solo l’appuntamento pubblico della nostra attività, ma dietro c’è un lavoro di squadra che va avanti per 365 giorni all’anno, un lavoro fatto di volontariato e passione verso un patrimonio storico e architettonico di cui il nostro Paese è il più ricco al mondo».

LE FORTEZZE DI NAPOLI Nella sua città l’architetto Pignatelli sta lavorando, insieme con gli enti che ne hanno la gestione, alla valorizzazione di due grandi e famose fortezze: Castel dell’Ovo, che ha la straordinaria particolarità di sorgere direttamente sul mare, e Castel Sant’Elmo, che dalla collina del Vomero domina tutta Napoli, dai quartieri del centro storico fino all’intero golfo. Ma è in ogni parte della Penisola che l’Istituto è impegnato con progetti di recupero e rilancio. Tra l’altro lo stesso censimento dei siti richiede un impegno che non può mai dirsi esaurito. In Italia il numero di fortificazioni è inferiore soltanto a quello delle opere di architettura religiosa. Finora si è arrivati a contarne centomila, e non si pensi soltanto ai grandi castelli, ma anche a sconosciute rocchette o persino a comprensori circondati da mura di difesa. Quasi ogni comune, sicuramente ogni provincia, ha nel suo territorio una struttura con una origine di roccaforte. Ora per fortuna le battaglie non ci sono più, ma i castelli restano. Altrove – in Scozia, nella Loira – esistono itinerari turistici che richiamano visitatori tutto l’anno. Qui da noi invece siamo ancora lontani, ma almeno c’è chi ci sta lavorando.di Fulvio Bufi

 

 

Parco della Galleana, la storia degli eserciti austriaci nel bosco di Piacenza
Da sportelloquotidiano.com del 18 giugno 2018

Leggendo le antiche rughe del Parco della Galleana, riaffiorano i segni austriaci del passato piacentino. In mezzo al bosco di circa 150mila metri quadri – di cui 100mila occupati da prati e aree attrezzate dove nei pomeriggi primaverili riposano bambini e anziani – spuntano i resti della polveriera, del fortino militare, degli apparati bellici e delle strutture difensive risalenti all’Ottocento. Nel volume illustrativo “Parco della Galleana”, redatto e pubblicato nel 2008 dal tecnico di orienteering Dario Maramotti e dal naturalista Stefano Soavi, vengono riportate le origini storiche del grande polmone verde di Piacenza. La storia del Parco della Galleana è legata alla Battaglia di Piacenza del 1746, che vide combattere gli eserciti franco-spagnoli contro quelli austriaci, concludendosi con la vittoria di quest’ultimi. Il libro racconta quegli avvenimenti: “Fu una delle più sanguinose battaglie mai registrate nelle campagne del piacentino. Ai primi di maggio 1746 giungeva da Parma il grosso delle truppe di Spagna accampandosi sotto le mura di Piacenza. I tedeschi misero il campo presso San Lazzaro, recando danni gravissimi al fabbricato del Collegio istituito dal Cardinale Alberoni (che stava sorgendo in quei giorni). Da questo momento, i piacentini vissero in stato d’assedio: il 31 maggio ebbe inizio il bombardamento della città. Si accentuava la carestia, aggravata dai tedeschi che – impedendo l’immissione delle acque del Trebbia nel rivo Comune – non permettevano la macinazione del grano”. Nel parco, sono ben evidenti anche i resti secolari dei canali Colatore rifiuto e Rivo comune che, prima della recente costruzione del diversivo ovest – conosciuto come canale della fame -, entravano pieni d’acqua nella Galleana alimentando un molino. I canali, che tuttora conservano la loro rigogliosa vegetazione spontanea, servivano inoltre ad allagare i fossati del Forte Austriaco. Il 16 giugno, battuti su tutte le linee, i franco-spagnoli dovettero ritirarsi dalla campagna alla città. I tedeschi, rimanendo saldamente piantati sulle loro posizioni, sebbene con perdite rilevanti, vinsero questa sanguinosa giornata. Il 12 agosto, con l’entrata dei generali ungheresi a Piacenza da Porta San Lazzaro, le truppe franco-spagnole firmarono la resa. Da qui ebbe inizio la presenza austriaca a Piacenza terminata con il Trattato di Aquisgrana (1748) e ritornata solo dopo la parentesi napoleonica che consentì la riorganizzazione delle strutture difensive della città con l’istituzione di forti esterni alla cinta farnesiana in ogni direzione, tra cui appunto quello della Galleana. Ma, sebbene le fortificazioni austriache presenti nel parco abbiano una datazione intorno alla metà dell’Ottocento, le mappe evidenziano un iniziale contesto fortificato già durante la Battaglia di Piacenza del 1746. Oggi il fortino austriaco è di proprietà del Comune di Piacenza, che l’ha acquisito dal Ministero della Difesa nel 2003. L’edificio giace in pessime condizioni, divorato dalla flora, totalmente dimenticato da qualsiasi discorso di promozione turistica o storica. Gli austriaci costruirono anche una polveriera nella Galleana, insieme ad altre collocate sulle principali vie di comunicazione (a San Rocco, a Borgoforte, sulla via Emilia e nell’area dell’ex Pertite). Nel corso del tempo, il deposito è stato oggetto di ampliamenti e modifiche, oltre alla violenta esplosione verificatasi nel 1943. Non finiscono qui le peculiarità del Parco della Galleana, un bosco naturale circondato da palazzi e campi coltivati, con una vasta biodiversità, una foresta fittissima e più di sessanta specie di animali proprio in mezzo al tessuto urbano. Ecco perché è importante la pubblicazione di Maramotti e Soavi, che vuole restituire alla cultura locale i connotati dell’area verde più frequentata (e sconosciuta) dai piacentini.

 

 

«Renderemo visitabili i rifugi sotto il Rivellino»
Da iltirreno.it del 16 giugno 2018

PiOMBINO. «I prossimi lavori di valorizzazione della piazza Verdi possono essere un’ottima occasione per eseguire anche il recupero di una memoria nascosta, quella dei rifugi antiaerei realizzati nella seconda guerra mondiale sotto il Rivellino». La proposta è Gianpiero Vaccaro, storico locale, ed è stata seguita nelle scorse settimane da sopralluoghi a cui hanno partecipato tecnici del Comune e volontari del Quartiere Porta a Terra. Sopralluoghi che hanno dato esito positivo, secondo la dichiarazione dell’assessore Claudio Capuano: «Renderemo visitabili questi rifugi. Sono fantastici e suggestivi». Luoghi suggestivi così come la loro storia. «Il Rivellino – spiega Vaccaro – struttura militare simbolo della nostra città, nasconde ancora delle sorprese. Al pari del resto delle mura, anticamente era circondato da un profondo fossato difensivo oggi del tutto scomparso. Con l’avvento dell’età moderna e dell’industrializzazione, le mura difensive, ormai obsolete, divennero di intralcio all’espansione della città. Sotto la spinta dell’incremento demografico e della drammatica crisi degli alloggi, lunghi tratti delle antiche fortificazioni furono abbattute e il fossato, ormai inutile, fu riempito di detriti». Ma il fossato tornò utile nella seconda guerra mondiale, «quando l’ufficio tecnico del Comune, guidato dall’ingegner Aulo Niccolini – racconta  Vaccaro – si trovò nella disperata necessità di provvedere il più rapidamente possibile alla costruzione di un numero sempre più alto di rifugi antiaerei di fortuna. L’esistenza dell’antico fossato sotto la base del Rivellino suggerì di sfruttare la situazione. A partire dal 1942 fu ricavata, seguendo la caratteristica curvatura del fortilizio, una galleria semicircolare capace di ricoverare 300 persone, dotata di due uscite principali (piazza Verdi e piazza Engels) e due pozzi di emergenza che fungevano anche da prese d’aria. Era il rifugio XVI. Tornata la pace e messo alle spalle il triste periodo delle incursioni aeree, gli accessi furono murati e la galleria, pian piano, è caduta nell’oblìo». Da qui la proposta di Vaccaro, secondo cui «con opportuni interventi di messa in sicurezza, la galleria potrebbe essere riaperta a visite guidate, coniugando la storia contemporanea all’archeologia: le circostanze particolari in cui fu costruito il rifugio permettono infatti di poter osservare la parte “sommersa” del Rivellino, fino ai basamenti murari del XV Secolo. In una Piombino che vuol ampliare la sua offerta turistica e culturale – è la conclusione – il futuro può arrivare anche dalla riscoperta di un passato antico, carico di echi e suggestioni, sepolto sotto il cuore della città».

 

 

A Castelfranco “Ingabbiata” la torre di sudest: lavori per mezzo milione
Da tribunatreviso.it del 15 giugno 2018

CASTELFRANCO. Torri della cinta muraria, è iniziato in questi giorni il restauro di quella di sudest. L’intervento è stato reso possibile da un finanziamento del Ministero dei Beni Culturali che ancora sotto l’amministrazione Dussin aveva stanziato 500 mila euro a questo scopo. I lavori sono gestiti dalla Sovrintendenza del Veneto. Ora per completare il restauro delle torri manca all’appello solo quella di sudovest, la cui manutenzione straordinaria è stata inserita nel piano triennale dei lavori pubblici del Comune e con tutta probabilità prenderà avvio nel 2019. Concluso da poco anche il restauro della torre di nordovest (quella di fronte all’Albergo Roma, per intenderci) che ora attende il collaudo degli interventi eseguiti. L’idea è infatti quella di renderla accessibile. «Il lavoro è stato condotto in modo ottimale», spiega il vicesindaco Gianfranco Giovine che segue da vicino tutta la vicenda relativa alle mura, «particolare attenzione è stata prestata al portone di ingresso. Una volta conseguito il collaudo si potrà pensare a un utilizzo di questa torre anche per accogliere mostre ed esposizioni, aumentando quindi gli spazi in città a disposizione per questo scopo». L’ultima torre ancora da sistemare, ovvero quella di sudovest, presenta parecchie criticità, ma a quanto pare non dal punto di vista statico. Sistemati le torri, si tratterà di pensare alla cinta muraria vera e propria, nella quale sono evidenti i problemi anche ad occhio nudo. Ma il 2019 potrebbe anche essere l’anno in cui si concretizza un’altra idea: quella di permettere di salire su una porzione delle mura. Se arriveranno  fondi dalle alienazioni di proprietà comunali, una delle priorità sarà il rifacimento del camminamento tra la Torre Civica e la Torre di Giorgione, quest’ultima restaurata circa dieci anni fa, ma che necessita di un intervento di pulitura al suo interno per renderla visitabile. di Davide Nordio

 

 

LA NUOVA ARMA STRATEGICA DELLO ZAR PUTIN: IL MISSILE DA CROCIERA A PROPULSIONE NUCLEARE
Da difesaonline.it del 15 giugno 2018

(di Tiziano Ciocchetti) 15/06/18 - Si tratta sicuramente dell’arma più sorprendente dell’arsenale della Federazione Russa. Classificato con il nome in codice 9M730, il suo punto di forza risiede nell’impianto propulsivo composto da uno stratoreattore (ramjet), ovvero un motore a reazione privo di turbina in cui l’aria esterna entra attraverso una presa d’aria e viene compressa e miscelata con il combustibile. Successivamente entra nella camera di combustione, dove la miscela di aria e combustibile viene incendiata, e, quindi, si espande velocemente e fornisce spinta fuoriuscendo dall’ugello di scarico.

L’idea rivoluzionaria, applicata al missile, consiste nel sostituire il combustore con un piccolo reattore nucleare in grado di fornire energia per un tempo virtualmente illimitato. L’altissima temperatura generata dal reattore nucleare (una volta entrato in funzione) sarebbe sufficiente a riscaldare in pochi istanti l’aria compressa introdotta nella camera di combustione e, pertanto, a produrre spinta tramite la fuoriuscita dell’aria incandescente dall’ugello. Visto che – come un normale ramjet – anche questo propulsore utilizza la compressione dinamica (cioè l’aria viene compressa in quanto trascinata all’interno della camera di compressione dall’inerzia del velivolo), il missile dovrà essere lanciato per mezzo di un motore a razzo in grado di portarlo alla velocità (supersonica) necessaria a ottenere un flusso d’aria sufficiente a generare il processo di propulsione, che gli consentirà, in teoria, di avere un’autonomia di volo quantificabile in anni. Appare comunque poco probabile che il Cremlino sia riuscito a produrre i materiali necessari per ottenere una schermatura sufficiente a trattenere le emissioni radioattive del reattore, consentire comunque un accettabile trasferimento di calore alla camera di combustione nonché contenere i pesi in modo da poterli installare su un velivolo di dimensioni relativamente ridotte. Tuttavia il presidente della Federazione Russa Putin ha dichiarato che la nuova arma è stata già testato nel 2017. Secondo l’intelligence occidentale ci sarebbero stati due test, nel 2016 e nel 2017, sull’isola di Novaya Zemlya (Artico russo), in entrambi i casi le prove avrebbero dato risultati negativi, dovuti alla mancata attivazione del reattore nucleare. Nonostante questi fallimenti il Cremlino sta investendo ingenti risorse per la realizzazione di quest’arma strategica, la cui piena operatività dovrebbe essere raggiunta entro dieci anni.

La caratteristica più temibile di questi missili da crociera è la teorica capacità di violare le difese antimissile statunitense. Infatti, il nuovo missile è concepito per essere lanciato in caso di grave crisi internazionale e mantenuto in volo in zone designate, in attesa dell’eventuale ordine di attacco.

Volando a quote basse e a velocità ipersonica – potendo effettuare lunghe deviazioni al fine di eludere le difese ABM -, sarebbe in grado di colpire, con le proprie testate nucleari, qualsiasi obiettivo sul territorio nemico.

Ovviamente, queste capacità, rendono il nuovo missile altamente idoneo anche per un first strike e, quindi, se effettivamente i russi riusciranno a renderlo pienamente operativo costituirà un fattore di forte destabilizzazione dell’attuale scenario strategico. (foto: web)

 

 

Visita guidata dalle prime alle seconde mura di Ravenna
Da ilrestodelcarlino.it del 15 giugno 2018

Ravenna, 15 giugno 2018 – Non c’è nulla di meglio, per apprezzare le bellezze storico architettoniche della città, che essere accompagnati dagli occhi esperti di uno studioso d’eccezione. È quanto accadrà in occasione di ‘Ravenna: dalle prime alle seconde mura’, la visita guidata proposta dall’associazione Nuovi Scariolanti sabato 16 giugno. A condurla sarà il presidente Massimiliano David, professore di Archeologia tardoantica all’Università di Bologna e alla Sapienza di Roma, che racconterà la storia delle fortificazioni di Ravenna attraverso una passeggiata tra i monumenti. Il ritrovo è fissato alle 10.30 di mattino in via Porta Aurea (di fronte all’ingresso delle carceri), dove è bene arrivare in bicicletta per intraprendere il percorso. Da Porta Gaza ci si sposterà in via Baccarini verso Porta San Mamante, conosciuta semplicemente come Porta San Mama, per poi proseguire verso Porta Panfilia, alias Porta Nuova in via di Roma. Ultima tappa, la Rocca Brancaleone. «Durante il tragitto lungo le vie in cui le mura sono ancora visibili – spiega Angela Arcozzi dei Nuovi Scariolanti –, saranno effettuate delle soste per fornire ai partecipanti le vicende storiche-artistiche. Le mura, inizialmente di età Repubblicana, furono poi sostituite quando Ravenna divenne capitale dell’Impero ed ebbe una conseguente espansione. L’ultimo capitolo riguarda poi la dominazione veneziana durante la quale fu costruita la Rocca Brancaleone utilizzando per un lato, verso la stazione, le mura preesistenti. Troppo spesso escluse da tutti i percorsi turistici attuali, le mura sono state la misura e il simbolo della realtà cittadina per molti secoli e anche oggi, nonostante gli sventramenti della contemporaneità, conservano uno straordinario carico informativo». Fondata nel 2011 da un gruppo di archeologi,l’associazione si è posta inizialmente l’obiettivo di collaborare con l’università per promuovere la ricerca archeologica nelle aree di Ravenna e di Ostia Antica. «Gli archeologi – aggiunge Arcozzi – sono un po’ come gli scariolanti romagnoli che bonificarono l’Agro Romano di Ostia, in virtù del forte lavoro manuale oltre che ovviamente intellettuale. Di recente abbiamo avviato il progetto ‘Attraverso gli occhi dello studioso’ per proporre anche periodicamente visite speciali e uniche con archeologi e specialisti del settore per vedere Ravenna da un punto di vista unico. La prima visita, lo scorso 20 maggio, ha avuto un buon successo di pubblico e ha portato alla scoperta dell’arte contemporanea che sarà l’archeologia del futuro». Il contributo alla visita è di otto euro e dà diritto all’iscrizione all’associazione, con possibilità di sconti per eventi futuri. Info: 338-6237361. Roberta Bezzi

 

 

Rudere nel parco della Galleana: ottocentesco a rifugio notturno
Da sportelloquotidiano.com del 14 giugno 2018

Da fortino ottocentesco a rifugio notturno per vagabondi. quadri di prato al parco della Galleana, nel lato adiacente edificio disastrato meta di senzatetto, tossicodipendenti giorno s’infiltrano nei locali. Questo fabbricato diruto e fatiscente, avvolto da piante e da graffiti più o meno creativi, presenta all’ingresso un avviso inequivocabile, scritto con un pennarello indelebile sullo schienale di una sedia di plastica: Non entrate, bastardi.

All’interno, si trovano uno stenditoio con vestiti appesi, biciclette rotte (e probabilmente rubate), resti di spinelli, mangime per cani, ciotole, bottiglie di alcol, taniche, sigarette, portacenere, pneumatici, cavi scoperti. Sono significativi i posti letto raffazzonati in mezzo all’abbandono, con un materasso appoggiato per terra e alcune coperte sparse intorno. All’esterno, chi passeggia con il cane o porta i figli a giocare alla Galleana vede una struttura diroccata e scarabocchiata, con una scalinata inagibile sulla facciata laterale, il tetto ricurvo, la rete squarciata e lastre di ferro sul perimetro. Il triste quadro appena descritto è il rudere di un fortino austriaco ottocentesco di proprietà del Comune di Piacenza, che l’ha acquisito dal Ministero della Difesa nel 2003.

Lo studioso piacentino Claudio Gallini, sul blog “Ripensando Piacenza”, traccia la storia di questi avamposti militari in città: Il Ducato di Parma e Piacenza passò sotto il controllo austriaco in concomitanza del trattato di Vienna (18 novembre 1738) che sancì tra l’altro la fine dell’epoca napoleonica per far posto all’altissima Maria Luigia d’Asburgo. […] Gli stessi ordinavano la presenza fissa di una guarnigione austriaca presso la nostra città, perché giudicata una zona strategica ai fini militari. Il primo obiettivo delle truppe austriache fu quello di rimaneggiare il sistema difensivo locale che constava delle sole mura farnesiane, tra l’altro in pessime condizioni; cosicché si valutò di creare dei nuovi avamposti in grado di migliorare le tattiche difensive delle milizie asburgiche. […] Di questa grande serie di avamposti militari oggi ne rimangono ben poche tracce poiché nel 1903 un decreto sancì l’abolizione delle servitù militari a Piacenza decretando il decadimento delle stesse.

Quello che oggi troviamo attorniato da vegetazione all’interno del Parco della Galleana, meriterebbe più attenzione per rivalutare la nostra storia, il nostro contributo all’unità d’Italia passato anche attraverso quei muri.Insomma, mentre all’estero questo fortino ottocentesco sarebbe stato valorizzato come patrimonio storico locale, qui non è altro che un’area degradata in cui s’incunea il disagio sociale. Una catapecchia di fronte a cui le istituzioni latitano, pur essendo sotto gli occhi di tutti. di Thomas Trenchi

 

 

Trasferito dal Demanio, Forte Sofia diventa di proprietà del Comune di Verona
Da veronasera.it del 14 giugno 2018

Da oggi l’ex Forte austriaco Sofia, in via San Leonardo sulle Torricelle, è di proprietà del Comune. Il trasferimento dell’immobile dal Demanio al Comune è stato sottoscritto proprio giovedì mattina, a Palazzo Barbieri, dall’assessore al Patrimonio Edi Maria Neri e dal direttore regionale dell’Agenzia del Demanio Dario Di Girolamo. Un tassello importante nel percorso di acquisizione da parte del Comune dei compendi demaniali dello Stato, di cui Verona è molto ricca, che vanno dagli ex forti militari alle Porte di ingresso alla città per arrivare all’imponente cinta muraria. Di fatto, con forte Sofia, si completa la prima importante fase di trasferimento di immobili demaniali, iniziata nel dicembre 2012 con l’accordo di valorizzazione previsto dalla normativa sul “Federalismo demaniale”. Un provvedimento che ha come obiettivo quello di liberare lo Stato dalla gestione di immobili che non utilizza più, trasferendoli a titolo gratuito agli enti locali, con precisi vincoli di gestione. Dal 2013 ad oggi, il Comune ha acquisito infatti Forte Caterina, una parte del compendio di Castelvecchio, Forte Lugagnano, Forte Preare a Montorio, la vasca dell’Arsenale, la 1^ Torricella Massimiliana e le Porte cittadine, San Zeno, Palio, Nuova, Vescovo e San Giorgio. Già avviata la procedura per il passaggio della cinta magistrale, che si sviluppa su oltre 10 chilometri e comprende torri, rondelle, bastioni, fossati e terrapieni. Attualmente utilizzato dall’ Azienda ULSS 9 Scaligera per alcune attività del CERRIS, Forte Sofia potrà essere assegnato ad enti e associazioni del territorio in base a progettualità di valorizzazione ma anche di recupero, a vantaggio di tutta la comunità. Il torrione, distribuito su tre piani fuori terra, occupa una superficie di 18 mila 500 metri quadrati, per un valore stimato in oltre 3 milioni di euro. “Un traguardo davvero importante per la città di Verona – ha detto l’assessore Neri-, frutto della sinergia tra Amministrazione e Demanio e della condivisione di obiettivi serie e sostenibili nel tempo. Da agosto dell’anno scorso ho visitato tutti i forti presenti nel territorio comunale; si tratta di un patrimonio davvero unico, sia per il valore architettonico che storico. L’obiettivo, ora, è far si che questi immobili siano fruibili dai cittadini ma anche dai turisti, con attività e iniziative che li preservino o ne migliorino lo stato di conservazione. Verona è ricca di associazioni culturali, sportive e di volontariato che non aspettano altro che una sede adeguata alle proprie necessità - ha aggiunto l’assessore -; sarà cura dell’Amministrazione valutare le proposte migliori e le diverse possibilità di affidamento dell’immobile, anche attraverso la forma della sussidiarietà orizzontale”. “Il patrimonio immobiliare di proprietà dello Stato conta circa 50 mila cespiti, molti dei quali, i più belli, vengono usati per gli uffici statali – ha spiegato Di Girolamo -. La scelta di trasferirne alcuni agli enti locali, va nella direzione di valorizzarli al meglio e, come nel caso di Forte Sofia, far sì che diventino luoghi caratterizzanti del territorio e aperti a tutti”.

 

 

Bari, in via Fanelli salvate due "casematte": «Un (triste) pezzo di storia della città»
Da barinedita.it del 11 giugno 2018

BARI – Costituiscono un'eccezionale testimonianza della Seconda guerra mondiale , ma versano quasi tutte in stato di abbandono. Parliamo delle casematte, fortificazioni circolari disseminate nelle campagne per ordine di un regio decreto del 1941: durante il conflitto formarono infatti un sistema di avvistamento delle truppe nemiche, oltre a divenire luoghi di protezione dell'artiglieria pesante. Deposte le armi, a distanza di più di 70 anni da quei drammatici eventi, queste strutture puntellano ancora oggi le periferie di Bari. Se ne contano diverse, soprattutto lungo le lame e a ridosso delle linee ferroviarie, il più delle volte trascurate. D'altronde non sono tutelate da alcun vincolo e non risultano nemmeno censite al catasto. A questa incuria generale però fanno eccezione le due casematte rimesse a nuovo in via Fanelli dal 69enne avvocato in pensione Franco Sasso: siamo andati a visitarle (vedi foto galleria). Per raggiungerle percorriamo la trafficata strada allontanandoci dal centro, costeggiamo i campetti del Green Park e guidiamo per altri 800 metri in direzione Valenzano: a quel punto svoltiamo a sinistra in un vialetto alberato che conduce al civico 228, dinanzi al residence Borgo Bello, la nostra prima destinazione. La roccaforte si trova all'interno del complesso di villette, precisamente negli orti urbani di Torre Palenza, allestiti proprio dall'ex legale. La gestione di questa porzione di suolo, inaugurata un mese fa, ricalca esperienze già messe in campo a Bari come quelle di "Effetto Terra" e "Ortocircuito". Ma veniamo al prezioso avamposto, obiettivo principale della nostra visita. Lo avvistiamo nel bel mezzo dei campi coltivati, a due passi da Lama Fitta, letto di un antico torrente che un tempo partiva dalla zona in cui oggi sorge Carbonara.«Lo scorso ottobre, subito dopo aver rilevato il terreno con altre persone - racconta Franco - scoprimmo casualmente questa fortificazione: era interamente ricoperta da una montagnola di terra. Al suo interno ritrovammo qualsiasi genere di rifiuto, ma con grande determinazione decidemmo di ripulirlo da cima a fondo». La struttura è alta circa due metri, con un tetto progettato a prova di bomba. É composta da due ambienti: il primo è caratterizzato da aperture esterne rettangolari, attraverso le quali i soldati potevano sorvegliare l'area circostante e aprire il fuoco in caso di pericolo, mentre gli spazi sotto le finestre erano occupati da cumuli di munizioni. Il secondo vano, attualmente adibito a deposito, era probabilmente il dormitorio dei militari. «Durante il restyling – spiega il pensionato - abbiamo costruito una scala per rendere l’accesso più facile e sistemato delle griglie alle finestre per impedire l’ingresso degli animali. Per ora, vista la fresca temperatura interna, utilizziamo la casamatta solo come magazzino per i concimi, ma in futuro vorremmo farla diventare meta di visite scolastiche».  Anche l'altra struttura rientra nel terreno di un residence: “L’uliveto”, situato sempre sul lato sinistro di via Fanelli, ma mezzo chilometro più avanti. Questa è una zona già da noi “battuta” con alcuni precedenti articoli: nei dintorni sono presenti infatti sia la chiesa rurale della Madonna delle Grazie, che la sede locale della comunità Bahà’i. L'edificio è collocato sul versante opposto di Lama Fitta, si affaccia su una modesta depressione ed è a un tiro di schioppo dai binari della ferrovia. «Anche questa fu rinvenuta in modo fortuito un anno fa - ricorda Franco - sotterrata da un enorme cumulo di detriti». Si tratta di una costruzione concepita per ospitare un massimo di otto uomini ed è "gemella" della prima, visto che si presenta con un aspetto praticamente identico. Fa eccezione soltanto il colore scuro delle pareti interne, sulle quali Franco ha applicato delle resine per evitare lo sbriciolamento dei muri. «Anche se ricordano anni tristi vissuti da Bari, ho deciso di recuperare questi piccoli "tesori” bellici – conclude Franco -. Rappresentano infatti un pezzo di storia della città, che non merita di essere cancellato» (Vedi galleria fotografica di Antonio Caradonna)

 

 

Oltre 5 milioni di euro per la tutela delle Mura
Da lanuovaferrara.it del 10 giugno 2018

Nel corso degli ultimi 33 anni sono stati fatti ingenti investimenti per ristrutturare e successivamente conservare le Mura di Ferrara, il più grande monumento della città che si snoda su un perimetro di oltre nove chilometri. Proprio per la sua vastità che abbraccia non solo simbolicamente tutta la città, la conservazione e la manutenzione della cinta muraria è oggetto di spese ingenti a carico del Comune. Mediamente i costi annuali complessivi per la gestione delle Mura sono di 418.600 euro. Una parte dei quali (120.000 euro) è dovuta all’illuminazione. Altri 100.000 euro vengono spesi per la manutenzione del verde, con una superficie tra mura e sottomura di complessivi 53 ettari. Circa 85 mila euro vengono spesi per lo sfalcio dell’erba (nel biennio 2015-16 qualcosa si era risparmiato con l’arrivo folkloristico delle pecore circa 8mila euro); altri 15.000 euro sono destinati alla spesa per la potatura degli alberi. Ci sono da aggiungere anche 28.660 euro all’anno per il diserbo delle mura con acido pelargonico su una superficie complessiva di 90mila metri quadrati. Mediamente si spendono 70mila euro per la manutenzione ordinaria dovuta all’arredo urbano con l’installazione di panchine, cestini, percorsi ciclabili. Sempre con una scadenza annua sono di 100mile uro le spese per la manutenzione straordinaria. Ogni 4 anni arrivano finanziamenti statali o regionali dall’8 per mille fino a un massimo di mezzo milione di euro. «Dal 2009, nei due mandati di giunta - dichiara l’assessore ai lavori pubblici Aldo Modonesi - complessivamente sono stati fatti investimenti per quasi 5 milioni di euro. Nell’ordine bisogna ricordare Santa Maria della Fortezza, le spese per l’illuminazione artistica, il primi stralcio del Baluardo dell’Amore, l’utilizzo dei fondi dell’8 per mille del biennio 2012/13, l’adeguamento del Torrione di San Giovanni, il recupero dei magazzini ex Amga, la prospettiva di corso Giovecca, l’adeguamento di piste ciclabili, la ristrutturazione delle Mura Nord e in fase di ultimazione Porta Paola». Si tratta di interventi effettuati per salvaguardare un patrimonio al quale si sono battuti in passato personaggi del calibro di Giorgio Bassani e Paolo Ravenna per conto di Italia Nostra, che hanno fatto capire ai politici e alla città l’importanza di valorizzare le antiche fortificazioni estensi.

 

 

Forte San Felice, al via il lavoro di recupero
Da nuovavenezia.it del 10 giugno 2018

CHIOGGIA. Entro un mese la smilitarizzazione del Forte di San Felice e l’avvio del processo di recupero. Lo auspica il responsabile del comitato Forte San Felice, Erminio Boscolo Bibi, che rivela come il progetto abbia attirato l’interesse anche del direttore veneto dei musei statali per avviare un confronto sulla gestione. Il comitato ha inviato al Consorzio Venezia Nuova un elenco di osservazioni e proposte approfittando della “consultazione” che il CVN ha avviato sul sito per alleggerire l’impatto del Mose. «Sono sei i punti che ci siamo permessi di segnalare al Consorzio», spiega Bibi, «questa consultazione arriva tardi, troppo tardi, le opere sono in gran parte finite, ma se davvero c’è modo ancora di incidere, noi tentiamo. Nella spalla sud della bocca di porto la piattaforma sembra un mostro di cemento: l’edificio di controllo con un’altezza di 21 metri altera in modo irreversibile il paesaggio.

È davvero necessario? È il più alto tra tutte le bocche di porto, deve essere sicuramente abbassato, la lanterna del vecchio faro deve tornare al suo posto e la torre medievale tagliata dagli Austriaci va ripristinata». Le osservazioni continuano chiedendo la piena accessibilità al Forte, ripristinando il passaggio dalla diga interrotto negli anni di cantiere e adeguandolo opportunamente al transito dei disabili. «Va recuperata la vasta area verde a ridosso dell’antico murazzo», aggiunge Bibi, «la sua vegetazione retrodunale, pur messa a rischio dall’avanzata dei rovi in questi anni di chiusura per i cantieri del Mose, rappresenta un habitat di considerevole valore.

Tutta la bocca di porto dev’essere considerata come un insieme unitario sia dal punto di vista storico, con le fortificazioni (Forte San Felice, Batteria Sottomarina, Forte Barbarigo, Ottagono Caroman) e il murazzo, che dal punto di vista ambientale (oasi naturalistica di Caroman, area verde ex compendio San Felice) creando dei percorsi di visita via acqua nell’ottica di costituire un parco a carattere storico e naturalistico a cavallo della bocca di porto». Per il Forte sono giorni caldi. Il processo di smilitarizzazione, con il passaggio della proprietà dalla Marina (Ministero della Difesa) al Provveditorato alle opere pubbliche, decreterà l’avvio del progetto di recupero. «Contiamo si chiuda nel giro di un mese», spiega Bibi, «a breve ci sarà anche un incontro con il responsabile veneto dei musei statali per iniziare a parlare della gestione». di Elisabetta B. Anzoletti

 

 

Lo sapevate? Delle oltre cento torri spagnole della Sardegna solo tre non sono circolari. Scoprite quali
Da vistanet.it del 9 giugno 2018

Erette sotto il dominio spagnolo, nel Seicento le torri costiere di Sardegna erano circa 150: in parte postazioni di semplice avvistamento e segnalazione, in parte strutture di difesa, attuata con soldati, armi, munizioni. Per tre secoli furono a guardia dei litorali sardi, in prima linea contro invasori saraceni, nemici e pirati, fino a quando, nel 1867, i Piemontesi ne abbandonarono l’uso, perché ormai più non rispondevano né ad esigenze militari, né ad esigenze economiche e sanitarie. Adesso sono un centinaio, alcune ristrutturate, altre in cattive condizioni. Tutte le torri, ad eccezione di quella di Porto Torres, che è esagonale, di quella della Salinas di Muravera e di Pischeredda di Nurachi, quadrate, hanno una pianta circolare.

 

 

«Quirra, i radar pericolosi per la salute dei cittadini»
Da lanuovasardegna.it del 8 giugno 2018

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di Giusy Ferreli 

Il consulente della Procura punta il dito contro le apparecchiature del Poligono In aula anche un ingegnere ambientale«Zona carsica a rischio inquinamento» LANUSEI. Quando i trentadue radar disseminati nel vasto territorio del Poligono sperimentale interforze del salto di Quirra entravano in funzione, nel perimetro della base c’erano uomini e animali. «E i radar, ormai è accertato scientificamente, sono pericolosi per la salute umana». Parola di esperto. Nello specifico parola di Fiorenzo Marinelli, ricercatore del Cnr di Bologna e consulente della Procura di Lanusei che ieri mattina nell’udienza del processo sui veleni di Quirra a carico di 8 ex comandanti della base militare ha illustrato la sua relazione. Marinelli, ha ribadito di fronte al giudice del tribunale Nicole Serra le sue conclusioni, conclusioni corroborate da un esperimento su una coltivazione di cellule umani. L’esperimento è consistito nel bombardamento di emissioni elettromagnetiche ed è durato complessivamente sei minuti. «Al termine – ha spiegato Marinelli sollecitato dalle domande del pubblico ministero Daniele Loi e del procuratore Biagio Mazzeo – molte cellule si sono necrotizzate e altre ancora danneggiate». L’esperto, ricercatore dell’Istituto di genetica molecolare che studia le interazioni tra i campi elettromagnetici e gli organismi viventi, era stato incaricato di accertare se le emissioni prodotte dal funzionamento delle apparecchiature radar del Pisq potessero causare danno alla popolazione esposta. Marinelli era stato incaricato di analizzare i radar finiti sotto sequestro probatorio disposto a suo tempo dall’allora procuratore  Domenico Fiordalisi che diede il via all’indagine culminata nel processo contro Fabio Molteni, Alessio Cecchetti, Roberto Quattrociocchi, Valter Mauloni, Carlo Landi, Paolo Ricci, Gianfranco Fois, Fulvio Ragazzon, accusati di omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri. Prima di Marinelli, controinterrogato brevemente dal collegio difensivo degli imputati, ha parlato una altro perito della Procura, l’ingegnere ambientale Salvatore Cetraro. Il consulente ha riferito in aula sulla natura del terreno nella zona del slato di Quirra. Un terreno carsico e perciò in grado di consentire le infiltrazione di metalli e di altri elementi tossici nelle falde acquifere. Un fenomeno che ha interessato anche la zona di “Sa maista”, dove si trova la sorgente che approvvigiona la frazione di Quirra. Il processo è stato aggiornato al 28 giugno prossimo. In aula anche tre militari.

 

 

“La Questione Aretina - Storia di una Fortezza costruita contro una Città”
Da lanazione.it del 5 giugno 2018

Arezzo, 5 giugno 2018 - Domenica 10 giugno alle 21 al Teatro Petrarca, serata organizzata dal Comune di Arezzo con la presentazione alla cittadinanza del documentario storico “La Questione Aretina - Storia di una Fortezza costruita contro una Città”. Prodotto da Gaetano Maria Mastrocinque, Marco Giustini e Federico Colizzi, con la regia di Gaetano Maria Mastrocinque e la voce narrante di Domenico Strati. L’evento è a ingresso gratuito, si aprirà con i saluti del sindaco Alessandro Ghinelli, proseguirà con la presentazione e donazione alla città di un plastico della fortezza medicea e gli interventi di Stefano Giustini, presidente Signa Arretii, e Fabrizio Baquè, presidente Gruppo Fermodellistico Aretino. E ancora: Federico Colizzi, presidente del Leo Club Arezzo, e Marco Giustini. Quest’ultimo leggerà testi medievali aretini dal titolo “Le cronache della Città Perduta”. Spazio poi alla proiezione del documentario, all’interno del quale sono stati intervistati l’architetto Maurizio De Vita, direttore generale dei lavori di restauro della fortezza, il primo rettore Pierluigi Rossi della Fraternita dei Laici, il consigliere del Csm Giuseppe Fanfani e il sindaco Alessandro Ghinelli, a cui seguiranno gli interventi del regista Gaetano Maria Mastrocinque e delle personalità cittadine che hanno contribuito alla realizzazione dell’opera. Da parte di Marco Giustini è stato sottolineato il “contributo di Gimet Brass, dell’architetto Edoardo Marziari, di Ercolani Romano Galvanotecnica, Sandy Caffè e il sostegno di Alessandro Perrella e Drone Arezzo s.r.l.”. Roberto Barbetti, direttore della Fondazione Guido d'Arezzo: “esordisco nella nuova veste di direttore generale della fondazione cultura: quale migliore occasione per inaugurare questo ruolo. Stiamo infatti presentando un lavoro enorme che ho potuto vedere in fase di bozza e già mi è parso molto apprezzabile. Non solo il video, ma anche il plastico della fortezza, due realizzazioni che mettono insieme il racconto di un luogo per una nuova consapevolezza della storia cittadina”. Il sindaco Alessandro Ghinelli: “ho fatto parte del cast di narratori e non nascondo che mi sono divertito. Ma immagino che analogo divertimento sia stato provato anche da parte di chi stava dall'altra parte della cinepresa. L’opera è un ottimo veicolo per mostrare la fortezza, di cui è possibile avere una percezione visiva finalmente completa. Ma grazie al modello plastico ne avremo anche una veduta tridimensionale, a 360 gradi. E questo permetterà di cogliere la potenza dell'architettura militare del Cinquecento e la raffinatezza ed eleganza della dimensione spaziale e dei bastioni del manufatto mediceo. Il fatto che al suo interno abbia anche spazi molto suggestivi, che questa amministrazione sta sfruttando a fondo per esposizioni artistiche di caratura internazionale, non fa che amplificarne il fascino”. Ancora Marco Giustini: “dall’incontro tra la mia passione per la storia della fortezza, l’esperienza registica di Gaetano Maria Mastrocinque e la professionalità di Federico Colizzi è nata l’idea di realizzare un’opera audiovisiva di 25 minuti, in grado di ripercorrere le tappe storiche fondamentali che durante il Rinascimento portarono Cosimo I De Medici a costituire la fortificazione per come oggi la conosciamo. Grande attenzione è stata posta sulla lettura dei resti archeologici e dei luoghi recentemente tornati alla luce, dando una visione complessiva del monumento che si estende ben oltre la mera vicenda edilizia e che abbraccia in realtà gli aspetti salienti della storia della popolazione aretina, del suo carattere, delle sue tradizioni: un riassunto della sua identità”. Il produttore Federico Colizzi: “il lavoro è stato duro ma veramente bello, emozionante, pensato anche in chiave turistica. Spero che tanti altri giovani intraprendano analoga strada di crescita dell’appartenenza culturale”. Il regista Gaetano Maria Mastrocinque: “la ricostruzione storica è stata affidata a riprese e animazioni. Ci sono inoltre immagini della Giostra del 2017 e abbiamo lavorato con i costumi dei quartieri per creare un legame tra fortezza e Saracino”. E veniamo al plastico: ne ha parlato Stefano Giustini: “è realizzato in scala 1:200, misura 150 per 150 centimetri, è di struttura lignea, riproduce il manufatto militare nello stato in cui era nel XVII secolo. Il plastico è stato ideato dall’Associazione Signa Arretii in collaborazione col Gruppo Fermodellistico Aretino che, grazie al lavoro del socio Giuseppe Strillozzi, ne ha curato la realizzazione sulla base di uno studio di Marco Giustini”.È previsto l’impegno da parte del Comune per collocarlo in un luogo idoneo e facilmente fruibile da cittadini e turisti: tutti potranno così vedere com’era la Fortezza al massimo del suo potenziale bellico, scoprire il borgo che si trovava al suo interno con le caserme, le armerie, le residenze di tenenti e capitani e la vita quotidiana.

 

 

A battesimo la nuova sede Nato, gigante di vetro e acciaio
Da ansa.it del 4 giugno 2018

BRUXELLES - E' un gigante di vetro ed acciaio la nuova sede della Nato, appena entrata in funzione a Bruxelles e che verrà 'battezzata' con il vertice ministeriale di giovedì e venerdì prossimi. Prende il posto del vecchio edificio, ormai fatiscente. Una decisione che non si poteva ancora procrastinare, secondo quanto ha raccontato la vice segretaria generale della Nato Rose Gottemoeller: "Non dimenticherò mai l'ultimo inverno, che è stato particolarmente intenso. Un giorno c'è stata una tempesta. Improvvisamente, ha iniziato a entrare acqua nel mio ufficio. Ho dovuto spostare la stampante, temevo di finire folgorata. E' stato allora che ho realizzato che era davvero venuto il momento di traslocare". 

Progettata dal celebre studio Skidmore, Owings and Merril (Som), costata 1,17 miliardi di euro, rispetto a una previsione di spesa che nel 2011 si fermava a un miliardo, ha provocato polemiche in tempi di tagli al bilancio. Ma "è stata essenzialmente realizzata rispettando il budget e questo è piuttosto inusuale per un progetto pubblico di queste dimensioni", sottolinea Gottemoeller. La nuova sede si trova a poche centinaia di metri dalla vecchia, e da marzo è in corso il trasloco. Quest'ultima, costruita nel 1966 su un'ex base aeronautica, doveva essere provvisoria. Fu messa in piedi in appena 18 mesi, dopo la decisione dell'allora presidente francese Charles de Gaulle di ritirare la Francia dalla struttura militare integrata di comando della Nato, facendo evacuare tutte le strutture ospitate fino a quel momento nel Paese. 

Oggi la nuova sede è un gigantesco complesso con pareti oblique e led, tanto che "qualcuno si è lamentato dicendo che sembra essere stata copiata da 'Guerre stellari'", racconta un funzionario dell'organizzazione. La struttura occupa un'area grande quanto due stadi e mezzo, e per realizzarla ci sono voluti 72mila metri quadri di vetro, "un modo per simboleggiare la trasparenza dell'organizzazione". Uno dei motivi per cui ci vogliono quasi quattro mesi a completare il trasloco, spiega il funzionario, è che "stiamo spostando 6,9 chilometri di documenti classificati". Un'archivio segreto, quindi, di un'altezza pari a una volta e mezza il Monte Bianco. L'esigenza di sicurezza è fortissima. La nuova sede è disseminata di sensori, ce ne sono 60mila. "Siamo in grado di sapere ogni volta che una porta viene aperta nonché la temperatura di qualsiasi ufficio", aggiunge la fonte. Ce ne sono 1.365, oltre a 18 sale riunioni. Nella più importante, quella destinata a ospitare i summit, è vietato portare qualsiasi dispositivo elettronico. Per sicurezza è stata schermata e dentro non arriva comunque alcun segnale. In compenso, disposta a ellisse, ha un'acustica perfetta, come gli antichi teatri greci. Un oratore può essere sentito agevolmente da una parte all'altra della sala anche senza amplificazione. In quella che è di fatto una piccola cittadina, con oltre 4.200 persone impegnate ogni giorno, non manca però l'attenzione all'ambiente e alla salute. Le luci negli uffici si accendono solo quando un sensore rileva la presenza di qualcuno e l'intensità si regola sulle condizioni esterne. I rifiuti vengono differenziati e c'è un sistema idraulico che consente di ridurre al minimo la necessità di aria condizionata. Tutta l'architettura è concepita per favorire il movimento del personale e le occasioni di incontro. Mediamente, ciascuno fa ogni giorno 6 km a piedi nella struttura. C'è un'area battezzata "piazza pubblica" dove si affacciano la caffetteria, l'edicola e la biblioteca. Ci sono un punto della catena salutista Exki e una caffetteria Starbucks, la più grande del marchio a Bruxelles. E non manca naturalmente una palestra.

 

 

Torre Pentagona, parte progetto di restauro
Da tgverona.it del 4 giugno 2018

Buone notizie per l’Arsenale di Borgo Trento e per la Torre Pentagona in piazza Bra. Parte il progetto per il restauro della Torre Pentagona: un nuovo passaggio, sopra l’orologio della Bra, condurrà direttamente al Museo Maffeiano. Confermati i 9 milioni per l’Arsenale di Borgo Trento. Ancora problemi invece per le manutenzioni scolastiche. E’ sorta nel 1293, ma sente il peso degli anni: la torre pentagona, a fianco dei portoni della Bra, sul lato verso la Gran Guardia, sarà adesso finalmente restaurata, dopo aver visto già in passato alcuni piccoli crolli. Ed in più, vedrà la creazione di un passaggio diretto verso il Museo Maffeiano, dal lato posto della strada, con splendida passeggiatina panoramica tra i merli medievali dei portoni stessi. Ad annunciare l’avvio del progetto, questa mattina, l’assessore Luca Zanotto, affiancato dal dirigente comunale ingegner Menon. La giunta comunale ha avviato poi il progetto di restauro dei tetti dell’Arsenale di Borgo Trento, dopo aver avuto il via libera da Roma per la spesa dei previsti 9 milioni. Questi soldi, il Comune in realtà li ha in cassa da tempo, ma fanno parte degli oltre 100 milioni di euro che dobbiamo tenere bloccati in banca a causa del Patto di Stabilità. Per lo stesso problema, Zanotto si è augurato che il governo dia via libera anche alla spesa per la manutenzione dei 140 edifici scolastici comunali. A tutt’oggi, su 3400 segnalazioni l’anno di necessità manutentive, la mancanza di soldi costringe a soddisfarne solo circa 1300.

 

 

Bunker per supermilionari nel cuore dell’Europa
Da bergamosera.com del 1 giugno 2018

PRAGA, Rupubblica Ceka — Si trova in una località segreta nei dintorni di Praga e Dio non voglia venga mai utilizzato. E’ un lussuosissimo bunker per multimilionari creato nel cuore dell’Europa. L’iniziativa parte da una società guidata da ex militari dell’intelligence.

“The Oppidum”, questo il nome dell’installazione, è un bunker superprotetto che potrebbe essere, a detta dei creatori, un luogo sicuro nel caso una guerra nucleare dovesse devastare il nostro continente, o il resto del mondo.

Il bunker, rigorosamente per ultramiliardari, è dotato di tutti i comfort: dal cinema alla piscina, dal casinò ai giardini (con luce artificiale ma che sembra naturale), dalla club house a ogni tipo di svago possibile.

Ce ne sarebbe davvero bisogno

 

 

A Venezia un milione e mezzo di euro per 7 forti
Da nuovavenezia.it del 29 maggio 2018

MESTRE. Un milione e mezzo di euro, dal Bando nazionale per le periferie, per intervenire su sette forti del campo trincerato di Mestre, spazi storici di pregio che hanno una urgente necessità di interventi manutentivi. La giunta comunale, ieri, ha dato il via libera al progetto definitivo e ora entro la fine dell’anno i lavori saranno tutti eseguiti, assicura l’assessore ai Lavori pubblici Francesca Zaccariotto. Che spiega: «Sono tutti interventi urgenti, condivisi con volontari e associazioni che tengono vivi questi luoghi di pregio. Entro fine anno avremo concluso i lavori che danno risposte alle emergenze».Prima una serie di sopralluoghi tecnici, poi il via al progetto che sta per diventare esecutivo per interventi in beni di proprietà comunale che hanno una superficie coperta di 82 mila metri quadri in un contesto di aree verdi di 1,4 milioni di mq. Ci sono tanti interventi urgenti da attuare: la sistemazione del tetto della Casa del maresciallo di Forte Mezzacapo, crollata; la sistemazione dell’ex Archivio Militare di Forte Carpenedo dove ci sono le travi marcite e tratti del tetto collassati. Ancora ci sono spazi insalubri da mettere in sicurezza come il Capannone del Mezzacapo o il corpo di guardia di Forte Gazzera. E poi interventi per l’accesso sicuro. Il programma di interventi, nel dettaglio, prevede per Forte Mezzacapo di intervenire sulla Casa del Maresciallo, i Capannoni, la Batteria ( dove va sistemata la guaina deteriorata) e le Garitte (tre vanno posizionate a terra perché pericolanti). A Forte Carpenedo, gioiello nel cuore di Mestre, viene rifatto il piano di calpestio del ponte d’accesso; si interviene sull’ex Archivio Militare ( viene rifatta la copertura con il recupero degli elementi lignei non danneggiati, e un consolidamento strutturale) e il recupero del marciapiede esterno del Traversone d’attacco. A Forte Gazzera si interviene sul Traversone centrale e la Batteria. Prevista a pulizia delle Caponiera, con trattamento antiruggine e contro la caduta di calcinacci. Si provvederà al risanamento interno del Corpo di guardia e il recupero del marciapiede a ridosso del Traversone centrale. A Forte Tron, a Marghera, viene sistemato il ponte d’accesso; si interviene sul Corpo di guardia con misure anti-intrusione e chiusure delle fonometrie e si avvia un grande intervento di pulizia e giardinaggio dentro l’area verde, eliminando piante e arbusti infestanti e avviando interventi di puntellatura. A Forte Pepe vengono puntellate, con messa in sicurezza, la Casa del Maresciallo e il Corpo di Guardia; vengono liberati dalle erbe infestanti la Batteria e i due edifici principali e inoltre viene rifatta la recinzione che si affaccia su via Triestina. A Forte Rossarol viene sistemato il ponte di accesso con l’eliminazioni della vegetazione infestante dalla Batteria. Infine, a Forte Manin viene liberata da piante e rovi la Batteria; viene rifatta la recinzione e manutentata la copertura della Polveriera con la messa in sicurezza del Ponte d’accesso.

 

 

Writers nell'ex base del Venda
Da ilmattinodipadova.it del 29 maggio 2018

Ad avvisare i militari dell’Arma della presenza dei quattro writer sarebbero stati degli amanti del trekking di passaggio sul sentiero Lorenzoni, che corre lungo buona parte del perimetro del Primo Roc. L’ex base militare di interesse Nato da quando gli avieri sono stati trasferiti a Poggio Renatico, nel Ferrarese, è priva di sorveglianza e versa in un grave stato di abbandono. Ma il suo destino non è ancora stato deciso. (g.b.)

 

 

Castelli d’Irpinia – Il Castello Lancellotti Lauro: una storia che rivive
Da  informa-press.it del 28 maggio 2018

Monumenti nazionali immersi nel verde, i castelli d’Irpinia sono tra le testimonianze migliori l’eccellenza di questa terra sappia offrire ai visitatori. Storia, cultura e tradizione si intrecciano, in un perfetto connubio. I paesaggi incantati sono origine a prodotti enogastronomici di altissimo livello. Non a caso, proprio intorno a questi castelli organizzano eventi di rievocazione storica o di promozione turistica. Molte delle province campane, nonché lo stesso capoluogo, hanno la loro memoria custodita quattro mura di solida roccia. Tra queste, però, spicca sicuramente l’Irpinia.

Castelli d’Irpinia: il Castello Lancellotti di Lauro Uno dei castelli meglio conservati è sicuramente il castello Lancellotti di Lauro. per il suo valore artistico, ma anche per la sua importanza storica (è addirittura ricordato in secolo). Gli attuali proprietari, i Lancellotti, sono succeduti alle nobili famiglie dei Del Balzo, degli Pignatelli. Cosa più importante per noi, hanno personalmente curato la ricostruzione del castello incendio lo aveva quasi del tutto distrutto nel 1799. La torre principale supera i sedici metri in altezza ed era usata come ultima difesa in caso di caratteristico è il cortile interno, dopo il portale d’ingresso. Qui troviamo una fontana e materiale d’epoca romana.

Proprio nel castello si tiene, da sei anni, la manifestazione Castro”, che attira a Lauro un numero sempre crescente di manifestazione rievoca l’antico passato delle diverse famiglie Ogni anno è dedicato a una famiglia precisa e si mettono in spettacoli medievali, delle vere e proprie rappresentazioni vita del Castello. Inutile dire che questo evento, nell’ultimo weekend di agosto, è uno dei più provincia. Le lunghissime file, sempre crescenti ogni anno, mostrano la bravura della Pro Loco uno spettacolo sempre vivo.Di Modestino Picariello

 

 

Così Piacenza valorizza al ribasso la sua storia: ecco il degrado dei tratti civici delle mura farnesiane
Da ilpiacenza.it del 27 maggio 2018

“Grazie alla sua cinta muraria Piacenza non venne mai più espugnata”. Così abbiamo titolato il precedente articolo della serie dedicata alla dinastia Farnese e in particolare alle mura della città racchiuse nell’area militare dell’attuale Polo di Mantenimento Pesante Nord.

Temiamo però che l’impresa non riuscita agli assedianti potrebbe essere vinta dal degrado e alla sciatteria che, all’esterno dell’area militare, caratterizzano alcune parti delle vestigia farnesiane. Qualche anno fa, ha scritto il generale Eugenio Gentile anche su queste giornale, «chi di competenza aveva provveduto ad aggiungere una rete di recinzione al confine con un grande parcheggio di viale Malta, impedendo così di poter effettuare la pulizia della sommità di resti delle mura e del castello e facilitando inoltre la crescita incontrollata di vegetazione spontanea aggressiva, nascondendo ulteriormente ciò che era stato scoperto ovvero delle mura e del castello favorendone così il degrado». Il risultato è documentato da questa immagine:

ALTRO PARCHEGGIO ALTRO DEGRADO. Un buon tratto di mura che delimita il parcheggio di via 4 Novembre è da tempo parzialmente sottratto alla vista da una cortina di tubi e teli deteriorati posizionati in attesa di interventi di manutenzione mai realizzati. La brutta immagine si completa nel contiguo giardinetto dotato di panchine reso off-limit da un cancello da tempo chiuso con catena e lucchetto. La situazione poco decorosa diventa sconveniente a Porta Borghetto, l’antica e unica ancora integra e leggibile, così presentata in una guida turistica: "...completata nel 1553 in alternativa alla Porta Fodesta, troppo vicina al fiume e soggetta a periodiche inondazioni che ne limitavano la funzionalità, dopo essere stata una delle porte più importanti della città, Porta Borghetto presenta la facciata in cotto verticalmente tripartita da decorazioni marmoree. Nel campo centrale del registro inferiore si apre l’arcone di passaggio, marmoreo e a tutto sesto, inquadrato dall’ordine, secondo il gusto rinascimentale. Superiormente all’arcata spicca uno stemma in pietra recante le insegne del committente dell’opera, il cardinale Umberto Gambara, Legato apostolico e Governatore di Piacenza, al quale si deve anche l’iniziativa della sistemazione (direi realizzazione) dello Stradone Farnese. All'interno della porta è presente una nicchia contornata da una cornice barocca in gesso, che custodisce una statua della Madonna, protettrice del quartiere dalle periodiche inondazioni". A fronte di questa accattivante descrizione il turista trova: Proseguendo verso Barriera Torino, si trova il Bastione Campagna sulla cui superficie dal 2014 è stata collocata una altalena, alcune panchine e una fontanella ora non funzionante: arredi che non giustificano la targa “Campo giochi”. Qualche decina di metri più avanti verso Barriera Milano una “Porta” realizzata dai militari nel 1862 per il passaggio delle truppe: il suo stato gareggia in sciatteria con Porta Borghetto.

 

LA “TAGLIATA” DI PIER LUIGI FARNESE Lasciamo la cortina di mura e parliamo di un reperto della Tagliata che come descritto in uno dei precedenti articoli consisteva nella messa in pratica dell’ordine impartito dal duca Pier Luigi Farnese di far piazza pulita di piante e costruzioni tutt’intorno alla nuova cinta, ad eccezione della parte rivolta al Po, nel raggio di 500 trabucchi, circa 1500 metri, il cui confine era segnalato da colonne poste a 40 metri l’una dall’altra, come indicato nella piantina gentilmente fornitaci dal generale Eugenio Gentile. Lo scopo era quello di non offrire possibilità di avvicinamento e riparo alle truppe nemiche. Una di queste colonne è giunta a noi sul luogo delle origini, di fronte al nuovo centro commerciale Porta San Lazzaro, ex Ente Fiera. Ma è anonima e cronicamente abbandonata. Diventata monca del capitello, poggia su un basamento in cemento posto al disotto del piano stradale; sul fondo del piccolo vano erbacce, plastica, detriti vari e un tubo in entrata non si sa a quale titolo. Il tutto, circondato da un cancelletto, è privo di qualsiasi legenda. Una seconda colonna, presunta "sorella" si trova anch’essa in assoluto anonimato in via Farnesiana al civico 96; è conservata da generazioni a sottolineare, con la toponomastica, l’epoca fernesiana anche vista la continuazione sul piano urbanistico dell’asse viario dello Stradone. Le ultime immagini di questo nostro tour sulle vestigia farnesiane bisognose di interventi, sono le due placche posizionate sul Pubblico Passeggio e una terza nel vallo sotto il bastione Corneliana. Sulla loro superficie un testo traforato nel metallo fornisce indicazioni sulla cinta muraria; ma la posizione bassa (specie per la placca nel vallo) e la ruggine generalizzata ne scoraggiano la lettura. La situazione della mura farnesiane è certamente piuttosto intricata essendo la proprietà dei manufatti divisa in parti autonome tra Comune, Militari, Demanio e anche privati. Si auspica che l’attuale governo della città voglia mettere mano in tempi ragionevoli alla matassa iniziando a sistemare quanto di sua competenza diretta e pretendendo dagli altri enti un comportamento consono alla importanza storico culturale che le vestigia hanno per Piacenza. In uno specifico auspicato tavolo di lavoro, potrebbe rientrare anche l’ente per la valorizzazione di Palazzo Farnese e dei monumenti farnesiani, il quale, nell’attuale veste giuridica, dispone di mezzi che gli consentono di svolgere solo attività accademica, cosa che fa meritoriamente e il cui presidente generale Eugenio Gentile, durante il recente convegno internazionale di Studi Farnesiani, ci ha indirettamente fornito l’idea per questa serie di articoli ora alla nona puntata.

 

 

LE GEOMETRIE PERFETTE DEL FORTE DI PONTI
Da gazzettadimantova.it del 26 maggio 2018

Le geometrie perfette di Forte Ardietti hanno catturato l’interesse del nostro lettore Gianluca Galli.

In questa spettacolare ripresa dall’alto ecco, in tutto il suo splendore, il manufatto militare di Ponti sul Mincio che venne eretto tra il 1856 e il 1861 a seguito dell’assedio di Peschiera e compreso nel sistema di difesa territoriale del quadrilatero austriaco.

Il complesso, che fa parte delle fortificazioni poste a protezione della piazzaforte sul lago di Garda, venne progettato dall’architetto Michael von Maly, colonnello del Genio Militare Asburgico, e costruito in murature a secco. Un monumento da scoprire, durante una gita sulle Colline Moreniche.

 

 

Monselice, Mastio Federiciano ancora chiuso “per ragioni tecniche”: la denuncia di Piero Ruzzante
Da padovaoggi.it del 26 maggio 2018

Un danno per tutti. Abitanti in primis: il Mastio Federiciano, che dalla Rocca di Monselice domina il panorama, è chiuso per lavori. La denuncia di Ruzzante E Piero Ruzzante non ci sta: "Il periodo di apertura del Mastio va da aprile a novembre, come mai allora siamo arrivati alla fine di maggio e il Mastio è ancora chiuso ‘per ragioni tecniche’? Lo chiedo alla Giunta Zaia, visto che l’Immobiliare Marco Polo, che ha in gestione la Rocca, è partecipata al 100% dalla Regione del Veneto". Il consigliere regionale di Liberi e Uguali ha depositato a riguardo un'interrogazione a risposta immediata per chiedere "quali siano le tempistiche relative alle opere da effettuare presso il Mastio Federiciano di Monselice. Non si può dire ai cittadini: stiamo valutando, decideremo, faremo i lavori e prima o poi riapriremo senza dare alcuna tempistica. Va spiegato qual è il problema e quali sono le tempistiche previste per risolverlo, anche per una questione di trasparenza. E poi, in ogni caso, i lavori andavano programmati per tempo. Il Mastio è il monumento simbolo di Monselice e tra l'altro attira molti visitatori: i ritardi della Regione danneggiano i monselicensi". Il Mastio Federiciano Sulla sommità del Colle della Rocca si erge imponente il Mastio Federiciano. La struttura fu iniziata nel 1239 per volontà dell’Imperatore Federico II dal suo rappresentante Ezzelino da Romano. La costruzione militare comportò la demolizione dell’antica Pieve di Santa Giustina (X sec.) ed il riutilizzo delle strutture religiose. Ne risultò un castello inespugnabile: la base tronco piramidale sostiene la parte abitata, alta circa 20 metri, ed in origine anche una parte sommitale in legno, non più presente. La struttura è ancora oggi inserita in una serie di fortificazioni, le cui parti più antiche risalgono al VI secolo e che si sviluppavano su ben 5 cerchie murarie. I recenti interventi di recupero della cittadella militare e del Mastio hanno permesso di portare alla luce interessanti reperti di epoca basso medievale. All’interno del Mastio Federiciano è stato allestito un museo con i reperti di scavo (vasellame, arnesi metallici e oggetti in argento), mentre la parte superiore offre una terrazza panoramica che consente, se le condizioni del tempo lo permettono, di godere di una ampia vista sui Colli Euganei e sulla pianura, fino a Venezia.

 

 

Grande Guerra: il 26 maggio si inaugura la caverna didattica
Da ladigetto.it del 24 maggio 2018

Sabato 26 maggio alle ore 10,30 sarà inaugurata l’aula didattica in caverna presso il Campo Trincerato di Matassone nel Comune di Vallarsa a cura dell’associazione Pasubio100anni che dal 2009 si sta occupando della valorizzazione dei siti storici della Grande Guerra sul fronte più sanguinoso del Trentino.
Il sistema di gallerie e trincee era stato realizzato dal Genio Militare dell’esercito austro-ungarico negli anni precedenti allo scoppio del primo conflitto mondiale.
Il progetto prevedeva la realizzazione di una fortificazione nell’ambito della cintura difensiva fortificata di metà Vallarsa sulla linea Monte Zugna, Matassone, torrente Leno, Forte Pozzacchio e Monte Corno (ridenominato poi Corno Battisti), che doveva fungere da sbarramento all’avanzata del Regio esercito italiano.
Doveva esservi realizzato un forte, ma già prima del 1914 lo Stato Maggiore dell’esercito austro-ungarico decideva di mantenere la sola cintura fortificata a protezione di Trento, lasciando invece scoperto il basso trentino e la Vallagarina con la sola realizzazione di trinceramenti e punti avanzati di presidio del territorio.
Conquistato dagli italiani nel corso del 1915 e poi mantenuto fino alla fine del conflitto, il sistema difensivo che occupa tutto il promontorio montuoso alle spalle del paese, era stato oggetto di modificazioni nei trinceramenti, nelle gallerie e nelle postazioni di artiglieria che prima guardavano verso l’alta Vallarsa e il confine con il Regno d’Italia (oggi provincia di Vicenza) poi, erano state rivolte verso Rovereto.
 
Tra le gallerie più rilevanti, quella che fungeva da deposito (lunga 25 m. e larga 5 m.) è stata oggetto di interessamento e di finanziamento da parte della Provincia Autonoma di Trento, della Comunità della Vallagarina e del Comune di Vallarsa, per un suo utilizzo come aula didattica partendo dal progetto ideato dall’associazione Pasubio100anni.
Dotata di allestimenti e arredi multimediali diviene oggi il centro focale dell’importante sito storico di Matassone che ogni anno, grazie anche alle visite guidate del Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, vede un flusso di oltre 6.000 visitatori nel solo periodo delle gite scolastiche da marzo a giugno.
Al suo interno spiccano, in particolare, dodici pannelli illustrativi dei vari percorsi di guerra della Vallarsa (prime linee e retrovie italiane e austroungariche) mappati dai volontari dell’associazione e tre plastici in scala 1:25.000 sui quali vengono proiettati i momenti salienti di tutto il conflitto dal 1914 al 1918.
Il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto ha collaborato alla realizzazione dei pannelli illustrativi relativi alla storia della fortificazione della Vallarsa, delle vicende belliche e del coinvolgimento della popolazione civile.

  Programma della giornata 
- ore 10.30 Musica d’avvio, prof. Ivano Ascari tromba, a seguire inaugurazione aula didattica;
- ore 12.30 Musica di intermezzo, a seguire l’ora del rancio;
- ore 14.00 Musiche dal fronte 1914-1918, a seguire presentazione cartella stampa d’autore «Vallarsa, ritagli di un altro ieri»;
- ore 14.30 Visite guidate al forte di Matassone e gioco per ragazzi/e e famiglie «Traccia che porta al tesoro».
 
La giornata è organizzata in collaborazione con il Distretto famiglia Vallagarina.
L’iniziativa fa parte del ciclo «Vallarsa. I luoghi della storia. Nel centenario della Grande Guerra», promosso da SAT Vallarsa con la collaborazione del Comune di Vallarsa, Comune di Trambileno, Pasubio100anni, Associazione Nazionale Alpini – Gruppo Alpini di Vallarsa, Centro Studi Museo Etnografico Vallarsa, Associazione Steval.

 

 

Sabato alla riscoperta delle batterie e dei sotterranei di Quartu
Da castedduonline.it del 24 maggio 2018

Il sabato imperdibile alla scoperta dei Monumenti di Quartu è alle porte e prevede per il prossimo 26 maggio, dalle ore 15 alle 18,30, una salutare passeggiata tra le batterie antinave de Is Mortorius, nel litorale quartese a due passi dal Margine Rosso. Quanti si ritroveranno infatti nel parcheggio sterrato di Marina Piccola alle ore 15, potranno visitare postazioni antinave e contraeree, gallerie e passaggi segreti nello magico scenario del mare che vide battaglie e navi dei tonnarotti. L’iniziativa, di spessore culturale, è stata ideata da Marcello Polastri e si terrà all’insegna del sano camminare e scoprire. Verranno infatti illustrate curiosità e storie affascinanti su un angolo di territorio da riscoprire, ricco di potenzialità: fortilizi di guerra, passaggi sotterranei, nuraghi e torri costiere, archeologia e storia tra il mare e la collina che risaliremo.

Info su: http://www.sardegnasotterranea.org (http://www.sardegnasotterranea.org/) Tel 3398001616

L’evento, a numero chiuso, si intitola C’era una volta una tonnara quartese: alla riscoperta de Is Mortorius .

Parteciperanno guide turistiche con le associazioni scopri Cagliari, Sardegna Sotterranea, ItalTour.

 

 

Ex-polveriera: Mompiano accoglie la nuova area pubblica
Da quibrescia.it del 24 maggio 2018

Sabato 26 maggio, il Sindaco di Brescia Emilio Del Bono consegnerà alla cittadinanza la nuova area pubblica nella ex polveriera militare della valle di Mompiano. In calendario la passeggiata a piedi con apertura dei cancelli. Il ritrovo è fissato alle 16 davanti la Parrocchia Vecchia di Sant’Antonino a Mompiano, con parcheggio gratuito davanti al partco di via Maternini.

La cerimonia è in programma alle 16.45 al cancello della struttura in fondo a via Valle di Mompiano.

Dopo gli interventi di Gianluigi Fondra, assessore all’ambiente e Presidente del Parco delle Colline, di Marco Palamenghi, presidente della Fondazione Bobo Archetti onlus e di Francesca Montiglio, responsabile relazione esterne asilo notturno Riccardo Pampuri Fatebenefratelli onlus, si proseguirà con la camminata fino alla sede della Comunità incontro in via Dabbeni 80 dove all’arrivo, previsto alle 18, ai partecipanti sarà offerto un aperitivo conviviale.

 

 

Ecco il progetto di riqualificazione dell'ex polveriera di Santa Bona
Da trevisotoday.it del 24 maggio 2018

TREVISO Il gruppo politico Dieci Volte Meglio e la lista Treviso Civica per Manildo sindaco propongono WeStudy@TV, progetto di co-studying, co-working, counseling, come azione di riqualificazione urbana dell’ex polveriera di Santa Bona. L’ex polveriera è un sito attualmente abbandonato nel quartiere trevigiano di Santa Bona, adiacente a quattro istituti scolastici superiori (Canossiane, Da Vinci, Mazzotti e Palladio), in una zona densamente abitata. L’amministrazione comunale desidera progettare un’opera di recupero urbanistico che costituisca un’occasione per fornire servizi ai cittadini, ma soprattutto ai giovani studenti e lavoratori quindi funzionali alla specificità del quartiere. Proprio perché il luogo viene raggiunto ogni giorno da migliaia di ragazze e ragazzi, WeStudy@TV si configura allora come proposta in grado di valorizzare spazi cittadini e di coniugare al contempo i temi dell’educazione, dell’occupazione della partecipazione. «Noi del gruppo politico Dieci Volte Meglio - sottolinea Nicoletta Carniato, candidata di Treviso
Civica al prossimo consiglio comunale - abbiamo particolarmente a cuore il futuro dei nostri giovani. Vogliamo portare con un progetto concreto l’attenzione su una condizione ormai imprescindibile: le nuove generazioni svolgeranno in futuro parecchi lavori diversi nei primi anni del loro percorso professionale. Alcuni di questi lavori ancora non esistono, cosí come molti lavori di oggi saranno modificati dall’ingresso in tutti i settori delle “tecnologie esponenziali” (nanotecnologie, robotica, intelligenza artificiale, ecc.). Pensiamo possa essere utile per molti giovani cittadini disporre di uno spazio che per sua stessa natura attivi e favorisca la capacità di auto-organizzarsi, imparare ad imparare, saper collaborare e co-costruire, in un ambiente motivante e aperto dove gli adulti già occupati fungano da modello. Ecco perché vogliamo promuovere l'allestimento di WeStudy@TV una struttura di co-studying e co-working, ovvero una struttura suddivisa in diversi ambienti e caratterizzata da molteplici finalità». WeStudy@TV conterrà dunque al suo iterno: un ambiente per lo studio, sia esso individuale o cooperativo; uno spazio per il lavoro, con singole scrivanie e sale per riunioni o meeting aziendali, che possono essere anche affittate allo scopo di favorire l’autosostenibilità della struttura; altre sale per allestire seminari, workshop o tavoli linguistici che possano essere proposti e gestiti dagli stessi utenti, che favoriscano contaminazione tra studenti e giovani lavoratori (es. Nuove Tecnologie); ambienti di socializzazione, come lunch corner o sala bar. Coerentemente con le politiche portate avanti da Treviso Civica in questi cinque anni di sostegno al governo di Giovanni Manildo, WeStudy@TV sarà una struttura priva di barriere architettoniche, accessibile a tutti (persone con difficoltà motoria, genitori con passeggini). Inoltre, WeStudy@TV sarà un luogo multiservizio complementare ad altri spazi già presenti nella città (come ad esempio le biblioteche di quartiere) e ad altre iniziative legate al mondo della scuola e dell’occupazione. «Pensiamo sia indispensabile includere anche uno spazio di counseling o ascolto attivo - prosegue Nicoletta Carniato - per fornire un sostegno nei momenti di demotivazione o difficoltà, in un’ottica di empowerment: trattandosi di un servizio ai cittadini esso non può infatti che tendere a favorirne il benessere. Abbiamo trovato in Treviso Civica un interlocutore politico locale disposto a tradurre in pratica questi nostri principi dando vita ad una collaborazione. Nella recente conferenza stampa di presentazione di Treviso Civica, Franco Rosi si è fatto portavoce di tutti i componenti della lista nel sottolineare come questa proposta sia un elemento importante del programma». Il progetto verrà presentato Mercoledì 30 Maggio alle 18.30 presso lo spazio elettorale della coalizione a sostegno di Giovanni Manildo sindaco, in piazza Giustinian Recanati nell'ex ristorante Vera Terra, ed è illustrato nel sito http://westudy.space.

 

 

Castello al Mare, un poderoso baluardo difensivo nel porto di Palermo

In pochi sanno che venne raso al suolo nel 1922 per far spazio alle strutture del Porto. E che il mondo intellettuale di Palermo scese in campo contro le cariche esplosive della Mac Arthur Company di New York incaricata della distruzione. In poco meno di un anno si rasero al suolo otto secoli di storia cittadina, e si dovette attendere fino al 1988 quando prese il via un importante progetto di recupero finanziato dall’Unione Europea. Il Castello a Mare era rimasto immobile a guardia della città che cresceva dal XII secolo in poi: lo documentano miniature, vedute, mappe visto che il castrum inferior era uno dei monumenti più rappresentati, distinto dall’elegante Castrum Superior, ovvero Palazzo Reale Oggi una mostra documentaria racconta finalmente la storia del baluardo difensivo di Palermo attraverso i secoli e conduce per mano al grande convegno di inizio luglio, quando esperti, storici, archeologici saranno invitati da UNESCO Sicilia per discutere di un possibile ampliamento del sito seriale arabo-normanno. Il Castello a Mare è infatti, con un piccolo gruppo di altri monumenti, fra i principali candidati ad entrare nell’itinerario della World Heritage List, anche in vista dei prossimi mesi: Molo Sammuzzo sarà infatti il nuovo hub per l’arrivo delle grandi navi da crociera e il Castello diventerebbe così una sorta di “front office” del percorso arabo normanno. La mostra “IL CASTELLO A MARE. Un poderoso baluardo difensivo nel porto di Palermo” si inaugura giovedì (24 maggio) alle 17,30 nel cortile Maqueda di Palazzo Reale che la ospiterà fino al 3 luglio. Nell’anno di Palermo Capitale Italiana della Cultura, la mostra – nata su progetto di Marco Failla – è promossa dal Comitato di Pilotaggio del sito seriale UNESCO “Palermo arabo-normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale”, realizzata dalla Fondazione Patrimonio UNESCO Sicilia con il Lions Club Palermo Host. All’inaugurazione interverranno l’assessore regionale ai Beni Culturali Sebastiano Tusa, il direttore della Fondazione Federico II, Patrizia Monterosso, il direttore della Fondazione Unesco Sicilia Aurelio Angelini, Francesco Montemagno (Lions Sicilia), Francesco Bertolino a capo della Commissione Cultura del Comune di Palermo, Marilena Volpes, già direttore generale dell’assessorato regionale ai Beni Culturali e l’attuale direttore generale, Sergio Alessandro. Orari: Lunedì | sabato dalle 8.15 alle 17.40. Domenica e festivi fino alle 13. Ingresso gratuito da piazza Indipendenza. “Si tratta di un obiettivo importante e irrinunciabile da inserire all’interno dell’itinerario Unesco arabo – normanno – interviene Gianfranco Miccichè, presidente dell’Assemblea Regionale siciliana e della Fondazione Federico II – perché rappresenta una fondamentale testimonianza di quel periodo storico. Plauso all’amministrazione che lavora, da tempo, per questo risultato. Un lavoro scientifico attento, puntuale e metodico che porterà alla città di Palermo così come alla Sicilia, il rilancio del turismo su canali come la cultura, l’arte e la storia”. “L’inserimento nel patrimonio UNESCO non è una targa da appendere al muro, ma un percorso di tutela, riscoperta e valorizzazione di ciascun monumento e del suo contesto – spiega il sindaco Leoluca Orlando, a capo del Comitato di Pilotaggio del sito seriale Unesco arabo normanno – . Un percorso del quale, con l’inserimento dei primi siti, abbiamo fatto una prima importante parte, ma che ancora ha tante potenzialità per dare il giusto riconoscimento e valorizzazione a tanti luoghi simbolo della nostra cultura. Questa mostra è parte di quel percorso ed è importante che ancora una volta veda insieme tante istituzioni. È il segno del fatto che si sia colto come tutto questo riguardi la città e la comunità nel suo complesso, modello di sviluppo basato sul rispetto della nostra storia e del nostro patrimonio”. “In futuro – spiega il presidente dell’Autorità di Sistema portuale del Mare di Sicilia occidentale, Pasqualino Monti – il Complesso monumentale del Castello a Mare diventerà per i crocieristi un … annuncio di città. E iniziare una visita con un bene inserito nel percorso arabo-normanno, patrimonio Unesco dell’Umanità, colta appendice allo spazio dedicato al diporto, non capita in tutti i porti, costituirebbe un valore aggiunto. Il Molo Sammuzzo è destinato al nuovo terminal crociere, infrastruttura necessaria per potenziare la vocazione turistica dello scalo, accogliere grandi navi e fare di Palermo un “cruise home port”. Il nuovo Piano regolatore portuale costituisce uno strumento legato alla città, alle sue stratificazioni e ne può guidare lo sviluppo e il potenziamento. Una vera opportunità per favorire l’incremento di nuove economie, attrarre nuovi flussi e rafforzare le eccellenze”. “L’iniziativa è finalizzata ad una maggiore conoscenza e ad una migliore valorizzazione di uno dei più antichi monumenti di Palermo, intimamente legato alla storia politica ed urbanistica della città fin dall’età normanna – dice Aurelio Angelini, direttore della Fondazione UNESCO Sicilia -. Castello a Mare si candida a diventare un ulteriore sito importante anche per la fruizione turistica della zona”. Cinque diverse sezioni per raccontare il Castello a Mare Il percorso della mostra si srotola su cinque diverse sezioni. Nelle prime tre si raccontano le vicende storiche e architettoniche del Castello a Mare dalle origini fino alla sua “riscoperta”, dopo la distruzione del 1922; la quarta sezione descrive lo stato attuale mentre l’ultima offre un’ipotetica proposta di miglioramento delle condizioni di fruizione con alcuni rendering che raccontano virtualmente il sito futuro. Molto ricco il corredo iconografico e grafico, con testi e didascalie. Il Castello a Mare è già documentato nel XII secolo come Castrum inferior, per distinguerlo dal Castrum superior (il Palazzo Reale). Era costituito da un impianto con alte torri collegate da cortine murarie, che racchiudevano un baglio; un primo ampliamento è datato XV secolo, sotto Ferdinando il Cattolico. Utilizzato come dimora dei Vicerè di Sicilia dal 1517 al 1553, il Castello a mare venne ulteriormente rafforzato dal Ferramolino. Dopo l’abbandono dei Vicerè, divenne sede del Tribunale della Santa Inquisizione, poi cittadella militare sotto gli Spagnoli e carcere per i nobili; profondamente odiato dai palermitani che lo indicavano come esempio del potere borbonico, nel 1860 dopo l’arrivo di Garibaldi, venne assalito dagli insorti per ordine del Comitato Rivoluzionario che però non riuscirono a compiere grandi danni. Incamerato dallo Stato italiano, venne adibito a caserma del Regio Esercito d’Italia (Caserma Orsini) fino al 1922 quando, per recuperare terreno e ampliare le strutture del porto di Palermo, venne raso al suolo. Quarant’anni dopo l’area con i resti del Castello a mare passò dal Demanio dello Stato all’Ente Autonomo del Porto, e si riempì di magazzini, officine e altre costruzione abusive, più un grande autoparco. Il cemento coprì il terreno dell’ex fortezza e si dovette attendere fino agli anni ’80 per avviare il recupero dell’area, demolendo le strutture e riportando alla luce le antiche strutture del castello, che dal 2009 è stato riaperto al pubblico. Tra i primissimi documenti che segnalano il Castello a Mare c’è una miniatura contenuta nel Liber ad Honorem Augusti di Pietro da Eboli della fine del XII secolo. Dal XVI secolo fino alla seconda metà del XIX secolo, ogni mappa, veduta o pianta della città di Palermo, comprende il baluardo. Tra i materiali più interessanti, due vedute molto dettagliate della fortezza, fatte realizzare dai sovrani di Spagna nel XVII secolo. E uno schizzo del XX secolo con Monte Pellegrino sullo sfondo. I cinque siti che “bussano” alla porta UNESCO Quando venne costruito il Dossier di candidatura per l’iscrizione nella World Heritage List UNESCO del sito seriale “Palermo arabo-normanna e la Cattedrali di Cefalù e Monreale, in provincia di Palermo furono censiti 22 siti (escludendo i ruderi), di cui soltanto nove con requisiti di idoneità necessari per essere dichiarati Patrimonio dell’Umanità: Palazzo Reale e Cappella Palatina; San Giovanni degli Eremiti; Santa Maria dell’ammiraglio; San Cataldo; la Cattedrale; Palazzo della Zisa; Ponte dell’Ammiraglio; Cattedrale e chiostro di Cefalù; Cattedrale e chiostro di Monreale. Gli altri 13, pur possedendo caratteristiche arabo-normanne, non furono giudicati idonei, ognuno con motivazioni diverse legate all’integrità, autenticità, conservazione e fruizione. Sono stati divisi in due macrogruppi (A e B): i primi hanno bisogno di interventi di restauro sia sul sito che sull’ambiente circostante, ma possono aspirare ad entrare nella World Heritage List; i secondi hanno essenzialmente perso la loro autenticità, quindi sono da salvaguardare ma non possono essere inseriti nel sito seriale. Sono quindi cinque i monumenti che “bussano” alla porta dell’UNESCO, e il Castello a Mare è proprio il primo della lista, seguito dal Palazzo di Maredolce, dalla chiesa di Santa Maria Maddalena, dalla Cuba e dalla Magione. Da blogsicilia.it del maggio 2018

 

 

Grazie alla sua cinta muraria Piacenza non venne mai più espugnata
Da ilpiacenza.it del 22 maggio 2018

Parte seconda

ORE 10 esatte. Con puntualità militare Il capitano Boemio con il suo staff e iI maresciallo De Iorio accolgono presso il Polo di Mantenimento Pesante Nord di viale Malta, nell’area di accoglienza che potrebbe essere limitrofa o coincidere con quella del cavaliere con la porta Santa Barbara dell’antico “Castello” di Pier Luigi Farnese, le persone che, in proseguimento alla conversazione del generale Giuseppe Oddo tenuta al Circolo ufficiali di via Romagnosi, sono lì radunati per la visita guidata dallo stesso gen. Oddo, alle vestigie della cittadella fortificata eretta da Pier Luigi Farnese oltre 470 anni fa: il Castello i cui bastioni e cortine, grazie ai militari non sono stati intaccati dalla sconsiderata espansione edilizia della città e sono tuttora tra le meglio conservati. Per oltre due ore il Generale ha polarizzato l’attenzione ripercorrendo “sul campo” le spiegazioni storico-militari già fornite alla platea del Circolo Ufficiali, che abbiamo sintetizzato nel nostro precedente articolo. Della nuova coinvolgente conversazione ne proponiamo alcune parti riguardanti il dominio dei Farnese sulla nostra città. Le mura farnesiane rinascimentali, erano state volute nel 1525 per volere di Papa Clemente VII de’ Medici che, entrato in possesso della nostra città, aveva ritenuto opportuno potenziarne il sistema difensivo con una cinta muraria perimetrale interrotta dai bastioni. Piacenza era la prima città italiana dotata di questa tecnica difensiva che, elaborata a partire dal XV secolo, si distingue per la difesa fiancheggiante e cooperante, al contrario dei castelli medievali che mettevano in atto una difesa piombante con tiri diretti. La costruzione dell’intero perimetro di mura (circa 6 chilometri e mezzo) richiese venti anni di lavoro e l’impiego di circa 2.500 operai e 150 capimastri. Furono inoltre attrezzate allo scopo, tre fabbriche di laterizi che produssero milioni di mattoni. Grazie alla sua cinta muraria, terminata nel 1545, la città non venne mai più espugnata. Piacenza divenuta caposaldo dello Stato pontificio fu assegnata con Parma, da Papa Paolo III nel 1545 al figlio Pier Luigi Farnese il quale il 16 settembre 1545 si insediò sui nuovi territori preferendo Piacenza come capitale del Ducato. Parma e Piacenza dal punto di vista amministrativo e politico erano autonome e formavano con i rispettivi territori due ducati distinti posti sotto un unico “Signore”. La vecchia cittadella viscontea di Piacenza era inadeguata alle necessità di una corte ducale e il duca Pier Luigi promosse la redazione di un primo progetto di Castello difensivo, di cui presero visione sia Michelangelo Buonarroti sia Antonio da Sangallo nel novembre 1545. I propositi di iniziare subito i lavori erano però falliti per il rifiuto di Paolo III di finanziare l’opera; solo nella primavera 1547 il Papa diede il suo assenso: il nuovo progetto, in forma pentagonale, fu opera di Sangallo, mentre Domenico Giannelli assunse la direzione dei lavori. Pier Luigi diede prova di essere abile nel rastrellare fondi, anche da membri della corte papale. Le giornate di lavoro degli operai (tra 1.500 e 2.000) e gli impieghi di bestie da soma furono invece pagati dalla comunità piacentina e dalla Camera ducale, provocando malumori. I lavori iniziarono nell’aprile 1547: il monastero di S. Benedetto dovette essere demolito; la prima pietra fu posta il 23 maggio dello stesso anno. Tutte le successive fasi di realizzazione ebbero un ritmo serrato, sia per la cortina, sia per i baluardi, ma Pier Luigi non poté vedere la conclusione di tanti sforzi. Nel primo pomeriggio di sabato 10 settembre 1547 la congiura di un gruppo di nobili piacentini lo fece fuori. I lavori del Castello furono ripresi e terminati da Ferrante Gonzaga, governatore di Milano che, il giorno successivo alla morte del Duca, d’accordo con i congiurati, occupò la città come dipendenza del Ducato di Milano e dell’imperatore Carlo V. Nella storia successiva il Castello saltò in aria nel 1805, durante la dominazione francese. Due targhe con data 1832 e 1836 attestano la costruzione di un muro di collegamento tra bastione e mura cittadine e la ristrutturazione delle vestigia che in seguito, durante il protettorato, austriaco trovarono impiego come magazzino di vettovaglie e munizioni. La cittadella fortificata fu quasi totalmente distrutta durante i moti risorgimentali del 1848 per ordine del Podestà (1 aprile 1848), che autorizzava i Piacentini alla demolizione della struttura. I resti del Castello Farnesiano all’interno dell’Arsenale Militare sono ancora esistenti; destano stupore per i camminamenti interni e i cunicoli sotterranei e - come emerso dal recente convegno di livello internazionale che ha portato a Palazzo Farnese nella Sala dedicata al duca Pier Luigi, relatori di rilevante profilo che hanno rinverdito il forte legame della città di Piacenza con il palazzo simbolo della dinastia farnesiana - costituiscono un’indubbia eccellenza storico ambientale suscettibile di sinergie ad alto potenziale tra l’autorità militare e quella municipale.

LO STRADONE FARNESE Anno 1543. Un decreto del Cardinale Gambara porta alla realizzazione dello Stradone Farnese. Le finalità di questa strada oltre a quella di migliorare l'aspetto urbanistico e viabilistico della città rinascimentale, aveva precisi scopi militari: spostare facilmente le truppe a difesa della città tra i due poli del centro abitato. Il tracciato viario (rimasto incompiuto) avrebbe dovuto congiungere le attuali Barriera Roma e Barriera Torino. La Strada Gambara dal 1581 mutò il proprio nome e fu intitolata alla casa regnante Farnese.

LA COSTRUZIONE DELL’OSPEDALE MILITARE Nel 1866 la costruzione dell’Ospedale militare nell’area dell’allora Barriera san Raimondo, portò alla demolizione della piattaforma omonima facente parte delle mura farnesiane con recupero dei mattoni per la struttura sanitaria. Fu deviato anche il corso del Rio Beverora le cui acque, unitamente a quelle di altri rivi erano convogliate nel fossato delle mura farnesiane. La facciata principale che il progetto prevedeva essere rivolta a Porta san Raimondo (attuale Barriera Genova), fu poi ruotata verso via Raimondo Palmerio per non eludere il passaggio dalla Porta del Dazio dislocata nei pressi dell’attuale Liceo scientifico. La piattaforma di San Raimondo era dotata di panchine e sentieri. Vi si accedeva tramite due ampie scalinate semicircolari in granito. Strutturalmente era simile alla superstite di Santa Caterina alla quale si accede dal Pubblico passeggio.

PALAZZO FARNESE Un’ultima annotazione su Palazzo Farnese. La storia di Palazzo Farnese, residenza piacentina della dinastia ducale sino all'estinzione dei Farnese nel 1731, inizia nel 1558 quando i duchi Ottavio e Margherita affidano il progetto a Francesco Paciotto. Il piano di lavoro prevedeva l'abbattimento della trecentesca Cittadella, voluta da Galeazzo Visconti, di cui rimane la parte ovest con la porta, i merli e due torri. I lavori, affidati in seguito a Jacopo Barozzi detto il Vignola, furono sospesi nel 1602 e venne portata a compimento solo la metà del progetto originale che prevedeva anche una serie di terrazzamenti a giardino e aree verdi degradanti, sino a raggiungere la riva navigabile del Po.

 

 

Cagliari. Venerdì 25 trekking alle torri costiere
Da sardegnareporter.it del 21 maggio 2018

Sarà l’occasione per vedere da vicino alcuni beni culturali che la città sta lentamente recuperando; ma anche l’occasione per godere di un bel tramonto. La visita si svolgerà solo con condizioni meteo favorevoli. Sarà a cura dell’organizzazione inserire la traccia del percorso, sia per quanti preferiscono le visite in solitaria, sia per maggiore dettaglio. La passeggiata è aperta a tutti e si svolgerà secondo un percorso FACILE, con partenza dal parcheggio di Marina Piccola. La partenza sarà dal parcheggio di Marina Piccola; contiamo di concludere le passeggiate per le ore 19,30 circa.
PERCORSO: sono poco meno di 5 km di sentiero tracciato, strade sterrate e alcuni tratti di asfalto; non vi sono particolari difficoltà se non un piccolo passaggio su roccia (agevole) ma non adatto a persone con difficoltà motorie.
RIENTRO: per favorire il rientro dei partecipanti (dal lazzeretto di S.Elia a Marina Piccola, gli organizzatori faranno la spola con le loro auto.
IMPORTANTE: l’evento avrà luogo con meteo favorevole.
Inoltre è sempre bene ricordare che gli organizzatori non sono guide, gli organizzatori non sono iscritti a nessun registro regionale e che i partecipanti non sono coperti da assicurazione. Raccomandiamo un abbigliamento adeguato al periodo e – molto importante – scarpe da trekking.

IMPORTANTE: portare una torcia/pila
CONTRIBUTO: partecipazione 5,00 euro solo adulti; minori e turisti sono graditi ospiti.
Per informazioni potete scrivere o chiamare: Sandro Mezzolani – 335/6499233 Angelo Pili – 340/3602365.

 

 

Dai nove bastioni al castello, ecco la storia delle mura Farnesiane
Da ilpiacenza.it del 20 maggio 2018

Le cinte murarie edificate a difesa della città di Piacenza, da quelle del Castrum romano alla cinta alto medioevale del secolo XII, seguite da quella del secolo XIV e dalle imponenti fortificazioni delle mura farnesiane, sono state argomento di un’interessante conversazione storico-architettonica militare accompagnata da una serie di immagini illustrative, offerta dal generale Giuseppe Oddo alla platea del Circolo ufficiali divia Romagnosi, della quale, grazie alla cortesia del 1° maresciallo Giovanni De Iorio, abbiamo potuto far parte.

LE MURA DEI FARNESE Le mura farnesiane rinascimentali erano state volute nel 1525 da Papa Clemente VII de’ Medici che, entrato in possesso della nostra città, aveva ritenuto opportuno potenziarne il sistema difensivo. L’evoluzione della capacità di fuoco delle artiglierie richiedeva infatti la necessità di superare le fortificazioni medievali esistenti sostanzialmente volte a rovesciare addosso agli assedianti soprattutto pietrame dalla sommità di muraglie perpendicolari al suolo, relativamente sottili, prive di contrafforti o speroni e quindi, se colpite, soggette a estesi crolli in quanto non concepite con tecniche capaci di assorbire l’urto di proiettili sparati con forte intensità. Il risultato fu una struttura difensiva con fronte bastionato all’italiana, così definito perché caratterizzato dalla presenza dei “Bastioni”, strutture architettoniche sporgenti dalle cortine murarie, che avevano preso il posto delle alte torri medievali.

I bastioni avevano lo scopo di proteggere le mura dal tiro delle artiglierie avversarie rispondendo agli attacchi con le armi e le bocche da fuoco posizionate in “barbetta”- nome derivato dal fatto che la canna del cannone sporgendo oltre il parapetto "faceva la barba" (bruciava) l'erba sottostante sul terrapieno dei bastioni ; tali tiri venivano rifornite di palle e polvere nera da casamatte ricavate nello spessore dei bastioni stessi. Le fortificazioni cittadine erano caratterizzate da un muro a scarpata alto circa 15 metri. A 2,5 metri dalla sommità costituita da un terrapieno, un cordolo, poi il muro di scarpata rafforzato da contrafforti alto metri 9,40; alla base vi era un fossato largo 15 metri su cui correva un camminamento di ronda protetto da uno spalto perimetrale alla città. Il tutto ben documentato dal gen. Oddo nel disegno da lui elaborato: Successivamente, per volontà di Pierluigi Farnese fu realizzata nel 1545 la “tagliata”: spazio privo di alberi e costruzioni profondo un miglio che correva intorno alla cinta muraria lunga circa 6.500  metri. Poiché la gittata delle artiglierie dell’epoca era di circa 2000 metri, “la tagliata” costringeva le artiglierie nemiche che avessero voluto sparare sulla città ad uscire allo scoperto per mettersi in batteria e quindi divenire facile bersaglio.

Le mura, che come detto si sviluppavano lungo un percorso  che misurava  all’incirca 6 chilometri e mezzo erano protette da nove bastioni (Sant’Antonio, Campagna, Borghetto, San Sisto, Fodesta, San Lazzaro, Corneliana, Sant’Agostino e San Benedetto) e da quattro  piattaforme (Sant’Ambrogio, San Salvatore, Santa Caterina, San Raimondo). Dei bastioni originari sono stati demoliti il Fodesta e il San Lazzaro. Nel mezzo delle cortine sorgevano anche undici cavalieri (o torri) aventi altezze varianti dai quindici ai diciotto metri, demoliti agli inizi del ‘900, che ospitavano anch’essi le cannoniere. Le porte erano cinque: quella di San Lazzaro a est, demolita nel 1927; la Porta San Raimondo a sud, demolita tra il 1865 e il 1868, per far posto all’Ospedale Militare; la Porta di Sant’Antonio o di Strà Levata, a ovest, i cui resti sono visibili all’interno dell’Arsenale Militare; la Porta Borghetto a nord-ovest e quella di Fodesta a nord- st, demolita in gran parte dagli Austriaci nel 1850.

CASTELLO MILITARE FARNESIANO Le mura rinascimentali furono terminate dopo circa un ventennio, nel 1545. Pier Luigi Farnese, resosi conto che la Cittadella viscontea trecentesca era militarmente superata, decise nel 1547 un’importante azione di ordine difensivo, la costruzione di una nuova fortezza dove ricevere e tale da poter controllare tutta quanta la città: il Castello, costruzione pentagonale a sud-ovest della città inglobando il bastione di San Benedetto facente parte delle mura cittadine. I lavori si fermarono nel settembre dello stesso anno in seguito alla morte del duca Pier Luigi vittima della nota congiura piacentina. Furono ripresi e terminati da Ferrante Gonzaga, governatore di Milano che d’accordo con i congiurati nel 1552, occupò la città come dipendenza del Ducato di Milano e dell’imperatore Carlo V. Da allora il castello è sempre stato sotto l’occupazione straniera fino all’unità d’Italia.

I consistenti i resti del “CASTELLO” e una cortina di mura, dalla fine  dell’800 (come raccontato in nostri precedenti articoli) si trovano all’interno dell’area militare oggi denominata Polo di Mantenimento Pesante, racchiusa tra viale XXIV maggio e viale Malta. Grazie all’ospitalità del generale Giuseppe Oddo, del 1° maresciallo Giovanni De Iorio e del Comando del Polo di Mantenimento Pesante, abbiamo avuto l’opportunità di unirci al gruppo dei soci del Circolo Ufficiali in una a nostra nuova visita della quale riferiremo.

 

Cinquanta piacentini armati di smartphone invadono Bastione Borghetto
Da sportelloquotidiano.com del 20 maggio 2018

Ieri pomeriggio, Bastione Borghetto – aperto in via eccezionale dall’Agenzia del Demanio – è stato invaso da un esercito pacifico di Instagramers: cinquanta fortunati iscritti piacentini al celebre social network hanno visitato l’edificio sulle mura farnesiane, armati di smartphone e macchine fotografiche. Si tratta della quarta Invasione Digitale a Piacenza, dopo quella del 2015 ai Musei Civici di Palazzo Farnese, quella dell’aprile 2016 al Collegio e alla Galleria Alberoni e quella del maggio 2017 a Palazzo Costa: lo spirito della manifestazione, che è nazionale e internazionale, è quello della riscoperta dei territori attraverso le potenzialità di internet e dei social media in particolare. L’evento, promosso su Facebook dalla pagina Sopra La Riga, è stato organizzato dalla community di Igers Piacenza gestita da Roberta Abbatangelo e Ambra Visconti. L’invasione digitale, totalmente gratuita, ha permesso di visitare uno dei luoghi più spettacolari della città, in un percorso che ha unito le bellezze più note a quelle meno conosciute e raramente visibili al pubblico. Agli Instagramers è andato il compito di cogliere le suggestioni del Bastione di Porta Borghetto, fotografando e postando sul loro canale Instagram immagini e dettagli, raccontando la propria esperienza legata alla visita con gli hashtag ufficiali #invasionidigitali, #igerspiacenza e #bastioneborghetto. Le foto nelle prossime ore verranno raccolte in un album sulla pagina ufficiale di Igers Piacenza.
La storia di Porta Borghetto
Le mura di Piacenza, fatte erigere a difesa della città nel XVI secolo, oltre al loro indiscusso fascino artistico, possono essere considerate fra i capolavori dell’architettura militare a cui presero parte per la progettazione veri e propri maestri nella costruzione di fortificazioni, come Antonio da Sangallo il giovane ed il Sanmicheli. La costruzione delle mura iniziò nel 1525 per volere di Papa Clemente VII (nipote di Lorenzo il Magnifico) e terminò nel 1547 sotto i Farnese. Degli oltre sei chilometri che circondavano l’impianto urbanistico cittadino ne sono rimasti circa quattro e mezzo, in seguito ai vari interventi demolitori che si sono succeduti a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento. Degli undici bastioni originari, solo due non sono più esistenti (Fodesta e San Lazzaro), facendo di Piacenza una delle poche città murate (in Emilia solo Piacenza e Ferrara). Durante il Risorgimento, Piacenza, insieme a Parma e Guastalla, era passata sotto il protettorato austriaco nel 1822, in seguito al crollo dell’impero napoleonico. Il Torrione Borghetto e la porta detta del Soccorso, furono costruiti dagli austriaci all’interno del sistema difensivo cittadino. Gli interventi austriaci di radicale ristrutturazione secondo criteri moderni, interessarono le mura farnesiane che si presentavano malandate e insufficienti per le nuove strategie militari e le nuove armi a lunga gittata, sperimentate durante le guerre napoleoniche. Dopo l’Unità d’Italia Torrione Borghetto è restato intatto fino ai nostri giorni, anche se ha subito diversi rimaneggiamenti. Durante la prima Guerra Mondiale è stato infatti trasformato in carcere militare, mentre durante la seconda Guerra mondiale fu affidato alla milizia fascista per la difesa contraerea, furono perciò piazzate sul bastione delle batterie di cannoni; fu costruito un piccolo fabbricato ad uso ufficio ed un altro per ospitare i militi addetti ai turni di guardia; fu inoltre costruito un capannone lungo 40 m. finito all’esterno con grandi arcate. Lo scorso anno l’Agenzia del Demanio ha promosso un bando di gara per la concessione di valorizzazione della struttura dell’”Ex Bastione e Torrione di Porta Borghetto”, e la proposta progettuale vincitrice ha come obiettivo quello di trasformare il bene in una “cittadella della musica” con area concerti, sale prove, sale di registrazione e spazi per la ristorazione.

 

Tre chilometri di mura aperti ai cittadini
Da iltirreno.it del 19 maggio 2018

PISA. Un taglio del nastro sobrio e senza festeggiamenti, quello per l’apertura delle Mura di Pisa, adombrato dalla tragedia avvenuta nel pomeriggio a San Piero a Grado. Tutto annullato, per significare solidarietà alla famiglia e rispettarne il dolore, come ha sottolineato il sindaco Filippeschi, presente insieme al vice sindaco Ghezzi e al presidente del consiglio comunale Ranieri Del Torto. Un traguardo importante, tuttavia, e lungamente atteso, nonostante le aperture eccezionali ed episodiche della scorsa primavera. «La riscoperta di un grande valore culturale, significativo anche sotto l’aspetto economico e turistico», ha commentato il sindaco, con poche parole. Il camminamento in quota delle Mura di Pisa apre infatti al pubblico con un percorso di 3 km da Piazza dei Miracoli a Piazzetta Del Rosso, e quattro punti di salita. Nove milioni di euro investiti dal Comune, grazie a un finanziamento europeo, progetto più importante dei Piuss (piani integrati per lo sviluppo sostenibile), che hanno permesso di restituire alla città 20.000 mq di verde, una pista ciclopedonale, il tutto corredato di un sistema di videosorveglianza e illuminazione, che consentirà di ammirare anche di notte i tratti di mura e i bastioni recuperati. Aperto finalmente a tutti dunque, un nuovo punto di vista su Pisa, una città ricca di meraviglie architettoniche spesso lasciate in ombra da quella che, più di tutte, si è conquistata fama internazionale: la Torre Pendente. Senz’altro giustificata la fascinazione esercitata dal nostro Campanile, che a lungo si è conteso con il Colosseo l’ingresso nella rosa delle Nuove Sette Meraviglie del Mondo, e tuttavia motivo di un turismo ancora oggi troppo “mordi e fuggi”, come lo definivano gli architetti Deri e Andruetto quando, qualche tempo fa, presentavano la Nuova Carta Turistica di Pisa, sottolineando l’importanza, tanto per il turista, quanto per il cittadino, di scoprire le diverse destinazioni culturali della città e i percorsi alternativi per raggiungerle. Una “visione” su carta, che oggi diventa nuovo punto vista, suggestiva possibilità di affacciarsi su un pezzo di storia dal valore inestimabile. Un lungo tratto percorribile in quota dunque, che si snoda passando per Torre di Legno, Piazza delle Gondole, Torre Piezometrica, Torre Santa Maria e Porta Nuova. In armonia con il percorso avviato dall’Amministrazione per una Pisa accessibile, non manca infatti l’attenzione alle persone con mobilità ridotta, che possono accedere alla cinta muraria da Torre Piezometrica, Piazza delle Gondole e Torre di Legno e a titolo gratuito. Gratuito anche l’accesso ai residenti, mentre per i non residenti il costo è di 3 euro. Le mura saranno aperte tutti i giorni dalle 9 alle 19, con aperture estive straordinarie fino alle 21. Carlotta Lattanzi

 

Castelli aperti: fortezze e manieri da scoprire gratis nel week end
Da ilsole24ore.com del 18 maggio 2018

19 regioni, oltre 33 manieri coinvolti e centinaia di eventi.  Il 19 e 20 maggio si possono esplorare antiche dimore, altrimenti, non facilmente accessibili grazie all’iniziativa Giornate Nazionali dei Castelli, giunta alla 20/a edizione. Ideate e organizzate, come ogni anno, dall'Istituto Italiano dei Castelli, permettono ai visitatori di scoprire ogni anno gratuitamente luoghi storici diversi dalle edizioni passate. “Siamo una realtà con oltre 1400 soci e con una sede in ogni regione italiana, ci prendiamo cura di un patrimonio spesso non valorizzato” dice Fabio Pignatelli della Leonessa, presidente dell'Istituto Italiano Castelli. “E' sempre da ricordare che le opere di difesa (le fortificazioni), per numero e diffusione, sono seconde solo alle opere di architettura religiosa. Non è esagerato parlare di 100.000 reperti e quasi tutti i comuni d'Italia hanno sul proprio territorio almeno un'opera (più o meno conservata) di natura “castellana” spiega GianMaria Labaa, vicepresidente del consiglio scientifico dell'istituto. Tra le tante iniziative del weekend ve ne segnaliamo tre: due che riguardano dimore private in Friuli e nel Lazio e una, danneggiata dal sisma, che si trova ancora in una zona rossa nella provincia di Macerata.

Centro storico di Caldarola e esterno Castello Pallotta (Macerata) Caldarola, comune italiano di 1.780 abitanti in provincia di Macerata, è stato fortemente danneggiato dai terremoti del 2016/17 che hanno rovinato in maniera irreparabile gran parte del patrimonio storico. L'edificio più importante è il castello, edificato intorno alla seconda metà del IX secolo sulle pendici del colle Colcù e successivamente modificato verso la fine del Cinquecento grazie al volere del cardinale evangelista Pallotta per farne la sua residenza estiva. Ospitò fra gli altri il pontefice Clemente VIII e la regina Cristina di Svezia. Nel week end tutti i monumenti eccezionalmente saranno visitati solo dall'esterno e con la massima cautela essendo ancora nella zona rossa.

Castello di Rubbia (in Friuli Venezia Giulia) Il Castello di Rubbia (in sloveno Rubijski Grad) si trova nel comune di Savogna d'Isonzo, alla confluenza dei fiumi Isonzo e Vipacco, nelle vicinanze di Gorizia. Fu edificato tra i secoli XV e XVI su insediamenti più antichi risalenti all'età del Bronzo. I danni subiti durante le guerre gradiscane nel Seicento comportarono importanti interventi che ne modificarono la costruzione originaria. L'assetto è a pianta quadrata con quattro torri angolari, due seicentesche e due di epoca più antica, mentre la primitiva costruzione era munita di torri circolari. Nel corso della sua storia il Castello di Rubbia passò di proprietà a diverse famiglie nobiliari: i Della Torre, i conti Eck, gli Edling e i Coronini. Durante la Prima Guerra Mondiale la struttura subì pesanti lesioni e fu abbandonato fino al progetto di recupero (1999-2013), avviato dall'attuale proprietario Venceslav Cenic. L'edificio è attorniato da un parco molto esteso, contenuto entro mura ottocentesche. La leggenda vuole che Re Riccardo I Cuor di Leone al ritorno dalla Terza Crociata, nel 1192, sia stato rinchiuso in questo castello.

 

VICENZA – Mura scaligere: restaurata la Torre 2
Da tviweb.it del 18 maggio 2018

Sono stati recentemente ultimati i lavori di restauro della torre scaligera situata in contra’ Mure della Rocchetta. Si tratta dell’unica torre della cinta muraria di questa parte di città che presenta forma quadrangolare; le altre sette, che vanno dal castello della Rocchetta fino a porta Santa Croce sono tutte a base pentagonale scudata con lo  sperone rivolto verso l’esterno della città. Con il restauro sono state riaperte le porte laterali al secondo piano, a livello del cammino di ronda perduto, offrendo così una nuova prospettiva verso la città. Sono state riaperte internamente anche le arciere al primo piano. Interessante è la spanciamento che presenta il muro verso contra’ Mure della Rocchetta che è stato abilmente recuperato. L’intervento è iniziato il 31 gennaio e, appena conclusa la pulizia della parte di muratura accanto alla torre, verranno tolte le protezioni. Il manufatto, perfettamente agibile, potrà essere messo a disposizione della città. La torre, compresa tra edifici privati, versava in uno stato di conservazione critico e presentava una situazione di degrado generalizzato, soprattutto sul lato verso il centro città. Si è provveduto ad un generale consolidamento strutturale del manufatto storico sia attraverso l’inserimento di tiranti in acciaio inox ove necessario, sia attraverso interventi di “cuci-scuci” per rinsaldare le murature originarie, sia attraverso la posa di una maglia strutturale con filo in acciaio, annegato nel giunto di malta, nella porzione del fronte di gola il cui paramento murario destava maggiori criticità dal punto di vista statico. Le murature esterne, in mattoni faccia a vista, sono state ripulite e le relative fughe ristilate. Gli interni sono stati intonacati con malte dalla finitura superficiale idonea al contesto storico. E’ stata inoltre rifatta la copertura lignea a due falde con guaina e manto in coppi, sostituendo le porzioni non più recuperabili perché marcescenti, della vecchia struttura lignea di sostegno. All’interno sono state realizzate due scale in legno per collegare i nuovi tre solai, anch’essi in legno, con fattura analoga a quella rinvenuta in un’altra torre. Sono stati posati nuovi serramenti esterni, in acciaio con finitura effetto corten. E’ stato realizzato un nuovo impianto elettrico con tubazione in rame a vista e un nuovo impianto di illuminazione a led. Hanno completato il recupero una pulizia generale, anche degli elementi in pietra, la rimozione dei ganci, delle staffe di ferro, dei vecchi pluviali e dei canali di gronda, questi ultimi sostituiti con un nuovo sistema di smaltimento delle acque meteoriche. E’ stata realizzata una nuova pavimentazione esternamente alla Torre su suolo stradale per garantire una fascia di rispetto al manufatto storico rispetto alla corsia di  circolazione e di sosta delle auto. La ditta SICE srl che si è aggiudicata i lavori tramite gara in base all’offerta economicamente più vantaggiosa, oltre ad altre migliorie ha offerto anche 100 mesi di manutenzione all’immobile a decorrere dall’emissione del Certificato di regolare esecuzione. La spesa complessiva dei lavori ammonta a 350 mila euro. Il restauro della torre 2 fa parte di un intervento complessivo di recupero delle mura cittadine, condotto sulla base di un master-plan di quasi 8 milioni di euro. L’amministrazione negli ultimi 10 anni ha realizzato interventi sulle mura per circa 2 milioni e mezzo, che hanno interessato tutte le mura che si affacciano su viale Mazzini e la Rocchetta. In questi giorni è stato infine approvato il progetto esecutivo del valore di 150 mila euro per il recupero dei volumi annessi al Torrione di Porta Santa Croce. Sarà così possibile eliminare le impalcature che si affacciano su viale D’Alviano, rendendo più gradevole l’accesso al centro storico. I nuovi spazi che si ricaveranno, potranno essere utilizzati assieme a quelli del torrione ed essere a disposizione della città.

 

Esercitazione internazionale Villafranca centro d'Europa
Da larena.it del 17 maggio 2018

Al 3° Stormo la quattro giorni di interventi simulati sugli aerei usciti di pista o danneggiati per preparare un'equipe apposita

 

Intervento simulato su grande velivolo uscito di pista all'aeroporto militare - Foto servizio Pecora

Di Nicolò Vincenzi

Villafranca al centro d'Europa per una settimana. Da lunedi il 3° Stormo dell'Aeronautica Militare a Caluri sta ospitando, per la terza volta nella sua storia, un'esercitazione internazionale itinerante che si concluderà oggi. Al Multinational aircraft recovery training, questo il nome dell'addestramento, stanno partecipando specialisti provenienti da Italia, Francia, Belgio, Germania, Paesi Bassi, Svizzera , Lituania e Regno Unito. Lo scopo è quello di sviluppare tecniche di recupero velivoli, l'aircraft recovery, oppure strategie da attuare in caso di aerei danneggiati (post accident crisis management), preparando personale e tecnici. L'evento, a cui stanno partecipando sessanta militari provenienti dai diversi stati, è stato promosso dall'European air transport command che ha la sua sede a Eindhoven, in Olanda.

Su una parte dell'area di esercitazioni dell'aeroporto militare di Villafranca sono stati predisposti velivoli in disuso. Su ognuno di essi si effettuano delle esercitazioni differenti in condizioni di recupero. Vengono utilizzati l'eleicottero HH-212, due velivoli da caccia, il Tornado e Amx e uno da trasporto, il Breguet Atlantic. Proprio quest'ultimo, in dotazione fino a qualche anno fa per le ricerche in mare, è stato posizionato con le ruote del carrello arenate nel terreno simulando un'uscita di pista. Durante l'esercitazione, grazie a una serie di ganci e tiranti, viene stabilizzato; poste delle sacche pneumatiche che una volta gonfiate permettono di sollevare l'aereo. Una volta compiuta questa operazione è possibile porre sotto alle ruote ghiaia e metallo in modo da poterlo trasportare nuovamente sull'asfalto.

Operazione che consente una maggiore sicurezza e rapidità, rispetto all'utilizzo di particolari gru. Poco più lontano, un'altra squadra, si esercita nel recupero di un elicottero ribaltato. Di fianco, una gru alza un Tornado che si era infossato nel terreno. La sinergia che si crea fra le nazioni partecipanti permette di risolvere particolari situazioni di emergenza risparmiando tempo e abbassando gli ingenti costi. L'importanza, in queste procedure di recupero, sta soprattutto nella capacità di creare una mentalità di condivisione fra i Paesi; non solo di uomini, mezzi e attrezzature, ma anche di conoscenze, in tutti i territori coinvolti dal progetto.

"Il valore aggiunto di questo tipo di iniziative è quello di creare un network di spiccate professionalità che sono in grado di interagire costantemente", spiega il comandante del 3° Stormo, Pietro Spagnoli. "Ogni volta che si presenta un velivolo con un problema, la situazione è diversa dalle precedenti. Questo gruppo di esperti consente di consultarsi velocemente e fare una rapida analisi, trovando quindi la migliore soluzione. Bisogna ricordare che tali operazioni costano molto".

I partecipanti all'esercitazione sono stati divisi in sei squadre di lavoro in composizione mista, non solo per nazionalità, ma anche per livello di competenza personale. Nell'area delle esercitazioni sono state ricreate quattro situazioni differenti con altrettante stazioni di addestramento.

Il 3° Stormo da anni partecipa e si rende disponibile a iniziative di questa portata. Villafranca è da questo punto di vista terreno fertile:"Qui c'è una spiccata proiezione all'estero", conclude Spagnoli, "siamo sempre pronti a partire in brevissimo tempo; ci è stato dato un compito aggiuntivo in questo senso. Le altre nazioni vengono qui da noi perche trovano un ambiente favorevole e massima collaborazione".

 

 

Qui ci sono alcuni dei castelli più belli d’Italia che nessuno conosce
Da siviaggia.it del 17 maggio 2018

In Alto Adige ci sono molti castelli famosi, ma c’è una zona tra Bolzano e Merano le cui colline sono puntellate di rocche, fortezze e di antichi manieri. Non tutti sanno che il borgo di Prissiano, una frazione di Tesimo, affacciato sulla Val d’Adige, è detto “il paese dei castelli”. Nel Medioevo, i nobili amavano molto questa zona dell’attuale provincia di Bolzano, dove le montagne non sono troppo alte e il clima è mite, tanto da consentire la coltivazione di mele e uva, da cui trarre un ottimo vino. Ne è testimonianza la presenza di numerosi castelli utilizzati come residenza private. Uno di questi castelli è Castel Wehrburg o Castel Sant’Erasmo che risale alla prima metà del XIII secolo. Quando nel 1800 la famiglia Wehrburg si estinse il castello rimase in uno stato di sostanziale abbandono finché, a metà del 1900, fu trasformato in un hotel di sole 23 camere arredate in stile medievale. Una vera chicca per chi cerca un alloggio originale. L’altopiano soleggiato sul quale si trova il castello è una zona perfetta per riposarsi e da cui partire per fare belle escursioni. Quella verso le chiesette di San Giacomo o Sant’Ippolito si possono fare tutto l’anno. Castel Zwingenberg, invece, è ormai quasi un cumulo di macerie. Le sue rovine si trovano su un pendio boscoso sopra Tesimo-Prissiano. Il castello è anch’esso del 1200 ed è posto a guardia della Val d’Adige sul sentiero Gampenweg. Si tratta di una struttura allungata di cui restano una torre, un portone e un palazzetto. Nel 1900 l’intera rocca fu ristrutturata e ampliata, ma oggi è caduta in rovina. Castel Fahlburg o Castel Valle è un castelletto della fine del ‘200 che fu ampliato e abbellito nel corso dei secoli. Fu una residenza di villeggiatura, ma servì anche come palazzo di giustizia. È ancora una proprietà privata, ma viene affittato per eventi. Anche Castel Katzenzungen o Castel del Gatto si trova a Prissiano e risale a prima del 1200. Prenderebbe il nome dalle caratteristiche caditoie a “lingua di gatto” e non dai gatti che lo popolavano, come si potrebbe credere. La particolarità di questo maniero consiste nel fatto che nel giardino cresce ancora la vigna Versoaln, probabilmente la più grande e più antica vigna del mondo che fu piantata a metà del 1200. Oggi il castello è uno spazio utilizzato per matrimoni ed eventi. Burg Payrsberg o Castel Bavaro si trova più a valle, a Nalles, il paese delle rose, sulla strada che porta a Prissiano. La costruzione è  per lo più in rovina, ma è abitata da una famiglia di contadini. Un incendio danneggiò gravemente il castello nel 1600. Oggi resta in piedi il mastio, che rende l’idea di quanto massiccia fosse, e una splendida torre rotonda, proprio come i veri castelli delle favole. Subito sotto Castel Payrsberg, si trova uno dei castelli più noti di questa zona, Schwanburg o Castel del Cigno. Il castello è formato da diversi edifici che si affacciano su un cortile comune, nel quale è ancora presente un orologio solare del 1563. Castel del Cigno è famoso per la sua cantina vinicola privata, dove viene prodotto l’omonimo vino “Castel Schwanburg”, e tutt’oggi è un edificio abitato dai discendenti dei primi proprietari. All’interno della cantina ci sono ancora molte botti di forma ovale che risalgono all’epoca di Maria Teresa d’Austria e si può acquistare il vino nel piccolo shop.

 

Gli appuntamenti della “Via dei Forti”
Da  nuovavenezia.it del 17 maggio 2018

CAVALLINO. «Con il biglietto di ingresso alle esposizioni della batteria Pisani si può visitare anche la mostra appena aperta alla batteria Radaelli». Lo annuncia la sindaca Roberta Nesto spiegando i prossimi appuntamenti estivi previsti per la “Via dei Forti”. «La mostra espositiva ospitata al villaggio San Paolo», spiega, «si intitola “La grande guerra: sistemi di difesa da Venezia lungo il Piave”, ed è stata allestita in occasione del centenario della prima Guerra Mondiale». «È stato un grande onore», aggiunge, «collaborare con la trasmissione Ricette all’italiana che ci ha permesso di mostrare all’Italia il territorio e le specialità di Cavallino-Treporti che andranno in onda su Rete 4 con le due puntate dedicate a Cavallino-Treporti tra il 28 maggio e il 2 giugno. Un’esperienza sicuramente da ripetere magari puntando su altri contesti televisivi simili». «Siamo contenti», puntualizza, «di aver scelto la piazza d’armi di batteria Pisani che per molti nostri concittadini è stata un luogo di residenza dove si cucinava. Abbiamo valorizzato tramite questa azione di promozione il turismo culturale della via dei forti coinvolgendo quasi tutti i soggetti economici del litorale, soprattutto i ristoratori, le associazioni di categoria, le imprese agricole a chilometro zero, i camping e gli hotel». «Batteria Pisani», conclude la sindaca Nesto, «è stata aperta a marzo con un’idea progettuale del percorso museale diffuso con un evento alla settimana e quattro fortificazioni accessibili da quest’anno con ulteriori due esposizioni inserite nel percorso». Francesco Macaluso

 

 

Giornata Nazionale dei Castelli: Napoli svela le sue fortezze tra visite guidate, mostre e tavole rotonde
Da ilmattino.it del 17 maggio 2018

Misteriosi ed affascinanti. Dall'esterno si mostrano in tutta la loro mastodontica bellezza, all'interno svelano storie, tesori, cultura e curiosità. Giornata Nazionale dei  Castelli, ventesima edizione, e Napoli come tutta la Campania ne vanta alcuni tra i più importanti d'Italia. Sabato 19 e domenica 20 maggio l'appuntamento e i siti solitamente preclusi alla visita saranno invece porte aperte. In primis Castel dell'Ovo, con apertura straordinaria della sede dell'Istituto Italiano dei Castelli, dove per tutte e due le giornate ci saranno proiezioni no stop, visita alle mostre fotografiche. Da non perdere, ancora, l'evento organizzato per l'occasione alle mure di Sorrento, un percorso non solo culturale ma soprattutto storico visto che la cinta muraria era quella che difendeva la città dagli assalti degli invasori. Sulla mappa i puntini da segnare, per definire l'intero itinerario dedicato alla Campania per la manifestazione, sono fissati anche sui castelli di Agropoli, Castellabate, Marzano Appio, e Montesarchio.

 

Torna la Giornata Nazionale dei Castelli: Bergamo protagonista con le proprie fortificazioni
Da bergamonews.it del 16 maggio 2018

Torna la Giornata  Nazionale dei Castelli e lo fa con una tappa a Bergamo. Infatti in occasione della ventesima edizione della manifestazione la sezione Lombardia dell’Istituto Italiano dei Castelli Onlus ha scelto la città orobica come sede per le celebrazioni, una città che sarà coinvolta per due giorni da convegni e visite guidate con tema le opere di difesa veneziane divenute patrimonio Unesco lo scorso luglio. “Abbiamo scelto di puntare su Bergamo perché la città è reduce dall’assegnazione del riconoscimento Unesco per le Mura Veneziane di cui il Comune è stato promotore – spiega Gianmaria Labaa, vicepresidente del Consiglio Scientifico dell’Istituto –. Il tema su cui abbiamo deciso di puntare è quello di analisi dei siti Unesco con le valorizzazioni e le criticità ad essi legate e nel particolare tratteremo il tema seguendo il caso di Bergamo”. La manifestazione, presentata a Palazzo Frizzoni nella mattinata di martedì 15 maggio, sarà organizzata dall’Istituto Italiano dei Castelli in collaborazione con Soroptimist Club Bergamo ed il Comune di Bergamo che ha accolto con favore l’invito dell’associazione: “Questa collaborazione giunge in un momento intenso per la gestione dei beni Unesco dopo il riconoscimento ottenuto e pone in essere da una parte una serie di azioni di conoscenza e di confronto sul territorio, dall’altra azioni di vera progettualità. La collaborazione con l’istituto è importante perché, senza di questa, l’amministrazione non avrebbe la possibilità di compiere alcune di queste azioni, nonostante metter in atto collaborazioni di questo genere sia sempre più difficile”. La Giornata Nazionale dei Castelli si aprirà nella mattinata di sabato 19 maggio con l’inaugurazione della mostra “Alzare lo sguardo – Castrum Cappelae. Castello di San Vigilio in Bergamo, alcuni documenti della sua storia”, mentre in Sala Curò si terrà il convegno dal titolo “Le opere di difesa veneziane tra XVI e XVII secolo. Valori e criticità dei Siti Unesco: il caso Bergamo”. Il tutto proseguirà nella giornata di domenica 20 maggio con alcuni “sopralluoghi” lungo le Mura ed al Castello San Vigilio con l’intento di analizzare sul campo il “caso Bergamo” come prosegue l’architetto Labaa: “Questa è un’occasione per osservare parti di diverse tipologie presenti all’interno delle nostre fortificazioni, come il fronte bastionato Sud Ovest più regolare o quello Nord in cui si presentano modifiche oppure il Castello di San Vigilio, nodo fondamentale della difesa della nostra città. All’interno della mostra verranno esposti alcuni documenti riguardanti quest’ultimo, ma nonostante il materiale interessato sia poco, ne esiste molto altro anche fuori da Bergamo ancora da studiare e la proclamazione delle Mura quale sito Unesco potrebbe esser l’occasione per trovare un coordinamento di questi”. All’incontro erano presenti fra gli altri anche il consigliere comunale Diego Amaddeo e la presidente della Sezione Lombardia dell’Istituto Italiano dei Castelli Giusy Villari, la quale ha lanciato una proposta per la creazione di una rete fra le fortificazioni veneziane presenti sul territorio regionale: “Siccome in altre provincie esistono altre fortificazioni della stessa tipologia di quelle bergamasche e collegate ad esse, l’entrata delle Mura nel patrimonio Unesco potrebbe esser l’occasione di creare un percorso che le metta in collegamento fra loro”.

 

Giornate nazionali dei castelli: le fortificazioni che sarà possibile visitare in Campania
Da ilmattino.it del 15 maggio 2018

Torri, ponti levatoi, segrete e il ricordo di battaglie epiche. I castelli che sono  disseminati sul territorio italiano sono anche questo. Sabato 19 e domenica 20 maggio torna l’appuntamento con le giornate nazionali dei castelli 2018, giunte alla 20^ edizione. Due giorni di scoperte in 19 regioni e in 33 siti animati da visite guidate gratuite, presentazioni di libri e tavole rotonde, incontri, concerti. Ideate e organizzate dall'Istituto Italiano dei Castelli, con il patrocinio del Mibact, consentono l’apertura, ogni anno di siti diversi dai precedenti consentendo così ai visitatori di ammirare luoghi di solito non aperti al pubblico. In Campania sarà possibile visitare, sabato e domenica, dalle 10 alle 13, il castello di Montesarchio in provincia di Benevento, costruito tra il XI e XVI secolo e parte di un complesso bipolare di strutture difensive, comprendente tratti di mura, resti di bastioni e la torre cilindrica con falsa braga a mandorla rafforzata da bastioni semicilindrici, che sembrerebbe derivare da schemi progettuali di Francesco di Giorgio Martini. Sorge sul crinale di un’altura dai fianchi ripidi che necessitava di essere presidiata sulle due estremità per evitare che gli assedianti potessero impossessarsi di una pericolosa postazione strategica. Sul lato nord-ovest del colle fu elevato un basamento in grandi blocchi calcarei, squadrati e allineati in tre ordini sovrapposti che, probabilmente, è il frutto di reimpiego di materiali preesistenti in loco e costituisce il supporto del forte, il quale, a sua volta, è protetto da tale lato da un bastione poligonale dotato di due ordini sovrapposti di batterie collegati ai depositi di munizioni da elevatori. Sul fronte opposto l’entrata alla corte interna era protetta da una casamatta a tre livelli con merloni di coronamento che fiancheggiava un ponte levatoio, poi sostituito da un pontile in muratura. Al di sopra dell’ingresso si trovano anche delle caditoie. Il forte si sviluppava originariamente su due piani ma la disposizione interna ha subito notevoli trasformazioni essendo stato adibito successivamente a prigione, funzione che ha mantenuto fino al novecento. Di recente è stato restaurato e adibito a museo archeologico di Caudium. A livello locale ci sarà una collaborazione con il polo museale campano e le visite guidate saranno effettuate anche in collaborazione con istituti scolastici superiori nell’ambito dell’alternanza scuola – lavoro. Per informazioni: castellicampania@virgilio.it, 333 6853918 e 329 2660592, www.castcampania.it.

A Napoli, nel weekend, dalle 10 alle 13.30, apertura straordinaria della sede dell’istituto italiano dei castelli a Castel dell’Ovo, con visite guidate alla struttura e proiezioni video non stop su quest’ultima e sui i castelli di Napoli; visita alle mostre fotografiche sui castelli di Napoli e della Campania. Sabato e domenica, alle 10, sarà anche possibile partecipare alla visita guidata alle mura di Sorrento a cura dell’architetto Antonio Amitrano. Per informazioni e prenotazioni: 349 6063254. Venerdì 18 maggio, presso la biblioteca provinciale di Avellino, alle 17, presentazione del nuovo Quaderno AF edito dalla sezione Campania dell’istituto Italiano dei Castelli “Sistemi fortificati in Campania: i castelli”. Per informazioni e prenotazioni: 3336636614, archdepascale@alice.it. Sempre sabato e domenica, dalle 10 alle 11.30, per quanto riguarda la provincia di Caserta, visite guidate al borgo ed al castello di Marzano Appio ed alla mostra sui castelli in Terra di Lavoro. Per informazioni: 338 4226054, gfarinaro@yahoo.it. Infine, il 19 ed il 20 maggio, alle 11, visita guidata al castello di Agropoli, in provincia di Salerno, a cura di Antonio Capano e Maria Rosaria Villani. Per informazioni e prenotazioni: 339 8605936 o acapano50@libero.it. Alle 11, sempre in provincia di Salerno, visita guidata al castello di Castellabate curata dall’architetto Giuseppe Ianni e dal professor Gennaro Malzone. Per info e prenotazioni: 338 9084330 o architetto.ianni@alice.it. Tutte le informazioni sulle varie aperture sono disponibili su www.istitutoitalianocastelli.it e per i social c'è l'hashtag #giornatenezionalideicastelli2018.

 

Segrete e ponti levatoi, tornano le Giornate dei Castelli
Da lasicilia.it del 14 maggio 2018

ROMA - In Liguria c'è la Fortezza di Sarzanello con mura spesse oltre 3 metri che le hanno permesso della II guerra mondiale. In Friuli Venezia Giulia il Castello di Rubbia dove la leggenda vuole che Leone al ritorno dalla Terza Crociata. In Lombardia la città fortificata di Bergamo, nel Lazio il Castello quello di Montesarchio. In Sicilia c'è la chiesa Fortificata dei Santissimi Pietro e completamente distrutta prima dagli arabi e poi dal terremoto e ricostruita e giunta pressoché intatta Nazionali dei Castelli 2018, giunte alla ventesima edizione e fissate per sabato 19 e domenica 20 meravigliosa e gloriosa fatta di torri, ponti levatoi e segrete ma anche di epiche battaglie, lotte, "due giorni" di scoperte in 19 regioni e su oltre 33 siti (spesso intere cittadelle fortificate o grandi visite guidate gratuite, presentazioni di libri e tavole rotonde, incontri, concerti.
Le Giornate - ideate e organizzate, come ogni anno, dall'Istituto Italiano dei Castelli - ha ottenuto patrocinio del Mibact e le sue sezione regionali hanno firmato con lo stesso ministero un protocollo collaborazione con istituti scolastici superiori nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro. Novità di d’intesa tra l’Unione Nazionale Pro Loco d’Italia.
Ogni anno i siti prescelti sono diversi dai precedenti - tutte le informazioni sulle varie www.istitutoitalianocastelli.it e per i social c'è l’hashtag #giornatenezionalideicastelli2018 - consentendo arricchire continuamente le loro conoscenze e di trascorrere un week end primaverile da "turisti" d’Italia o nella propria città per visitare un luogo di solito non aperto al pubblico.
«Siamo una realtà "in punta di piedi" come amo definirci qualche volta. Con oltre 1.400 soci e con una prendiamo cura di un patrimonio spesso non valorizzato» dice Fabio Pignatelli della Leonessa, Castelli. Mentre GianMaria Labaa, vicepresidente del Consiglio Scientifico dell’Istituto, sottolinea: opere di difesa (le fortificazioni), per numero e diffusione, sono seconde solo alle opere di architettura parlare di 100.000 reperti e quasi tutti i comuni d’Italia hanno sul proprio territorio almeno un’opera natura «castellana».

 

Italia, portaerei NATO al servizio degli USA
Da sputmiknews.com del 14 maggio 2018

L’Italia ha firmato il trattato di non proliferazione nucleare, ma detiene sul suo territorio decine di testate atomiche statunitensi e della NATO, la Costituzione italiana ripudia la guerra, ma ospita basi americane da dove partono missioni verso altre nazioni. Italia, portaerei NATO al servizio degli USA. Può dirsi sovrano e indipendente un Paese che ospita basi militari stranieri con tanto di testate nucleari? Delle basi statunitensi presenti lungo tutto il territorio italiano si sa ben poco, gli accordi militari bilaterali fra Stati Uniti e Italia sono tuttora segreti e le uniche fonti accessibili sono americane. Dal governo italiano in merito regna il silenzio. La popolazione italiana, dalla Sicilia alla Sardegna e fino a Vicenza è stanca della presenza militare NATO sui suoi territori, tra l'altro spesso legata a dei rischi per l'ambiente e la salute dei cittadini. I cittadini verranno ascoltati o tutto ciò che riguarda le basi americane rimarrà un tabù? Sputnik Italia ne ha parlato con Fabrizio Di Ernesto, giornalista e saggista, autore del libro "Portaerei Italia. Sessant'anni di NATO nel nostro Paese" edito da Fuoco Edizioni. — Fabrizio, l'Italia può considerarsi indipendente in politica estera e militare tenendo conto delle basi americane e NATO presenti sul suo territorio? — L'Italia è una nazione a sovranità fortemente limitata per la presenza di basi militari sia NATO sia statunitensi. Oltretutto l'adesione dell'Italia alla NATO comporta che la politica militare sia totalmente ossequiosa nei confronti di quella dell'Alleanza Atlantica. Un esempio eclatante che abbiamo visto nel 2011 riguarda la Libia: l'Italia aveva firmato un accordo in base al quale non sarebbero dovuti partire attacchi verso la Libia dalle nostre basi, eppure i caccia che bombardavano la Libia partirono dalla base NATO di Gioia del Colle. L'Italia ha dimostrato di non avere la minima libertà di movimento. — Ci sono molte realtà in Italia a partire da Niscemi fino a Vicenza e in Sardegna dove la popolazione è stanca di questa "occupazione militare". Il governo italiano prende in considerazione secondo te la voce degli italiani? — Purtroppo no, anche qui vorrei citare un altro esempio. Nell'ottobre 2008 si stava discutendo la possibilità di costruire una nuova base a Vicenza da affiancare alla Ederle. Il sindaco, un esponente del centrosinistra, era fortemente contrario a questa nuova realizzazione militare e propose un referendum consultivo, perché la Costituzione italiana non permette dei referendum su tematiche militari. La domanda era: volete che il governo di Vicenza acquisisca la zona dove dovrebbe sorgere la base per metterla a disposizione della cittadinanza? Qualche giorno prima il Consiglio di Stato bocciò il referendum, dicendo che per come era posta la domanda, avrebbero sicuramente vinto i sì e quindi era inutile fare il referendum. Alla fine la base è stata realizzata e vi sono arrivati soldati americani precedentemente di stanza in Germania. — Per quanto riguarda le basi NATO in diverse zone d'Italia a preoccupare è anche la situazione da un punto di vista ambientale e sanitario. — A Niscemi in Sicilia è già sorta ed è operativa una delle 4 antenne per il Muos, sistema di difesa per le comunicazioni satellitari basata quindi su 4 antenne poste in tutto il mondo: a Niscemi, in Australia, in Virginia e anche alle Isole Hawaii. Queste antenne permettono a tutte le armate statunitensi e NATO di comunicare fra loro. Poiché sono soltanto 4 antenne in tutto il mondo possiamo immaginarci la potenza di questi strumenti per ricevere e mandare segnale. Diverse università hanno segnalato il rischio di malattie tumorali legate alle onde radio, ma il sistema è stato comunque realizzato. Purtroppo la nostra classe politica è totalmente dipendente da Washington e se da una parte dice una cosa ai cittadini, dall'altra parte fa tutto ciò che Washington vuole. Anzi, quando sono arrivati in Sicilia a Sigonella i Black Hawk, a sistema AGS, l'allora ministro della Difesa La Russa si vantò di questo risultato da lui definito storico, perché Sigonella era in lista con altre basi non italiane per ospitare questi aerei senza pilota. — Gli effetti collaterali e i rischi collegati alle basi USA e NATO esistono e i cittadini italiani dovrebbero avere il diritto a saperne di più, no? — Certo, un altro aspetto che si conosce poco è che l'Italia, pur avendo firmato il trattato di non proliferazione nucleare, ospita a Ghedi e Aviano delle testate nucleari statunitensi. Questo non è mai stato confermato dal governo italiano, ma l'ex presidente americano Bill Clinton nel 2005 lo disse tranquillamente in un'intervista e nessuno si scandalizzò. Ospitiamo circa 70 bombe nucleari in un Paese che più volte ha votato contro il referendum per l'energia nucleare e che ha firmato il trattato di non proliferazione, è paradossale. — Le uniche fonti disponibili sulle basi presenti in Italia sono americane. Secondo te verrà il giorno quando gli accordi bilaterali fra USA e Italia in merito alle basi militari verranno desegretati? — Alcuni documenti sono stati desegretati dopo la strage del Cermis, quando un pilota statunitense tranciò una funivia e morirono una ventina di persone, fra cui cittadini non solo italiani. In teoria il processo si sarebbe dovuto svolgere in Italia, invece il pilota fu processato negli Stati Uniti proprio perché questi accordi prevedono che i militari, i quali commettono un qualche reato, debbano essere processati negli Stati Uniti e non nel Paese dove lo commettono. Il governo D'Alema fu costretto a desegretare questa parte degli accordi. Dal punto di vista delle fonti bisogna fare comunque i complimenti agli Stati Uniti perché offrono la massima trasparenza. Basta digitare su qualsiasi motore di ricerca "base structure report" e si ha tutta la finanziaria del Pentagono, quanto spendono per ogni singola base, quanti militari sono presenti in ogni singola installazione e quanto personale civile vi è dislocato. Bisogna poi saper leggere questi dati, se confrontiamo il report attuale con quello di 2-3 anni fa, vediamo come le spese diminuiscono da una base all'altra, i soldati vengono trasferiti in altre basi. Possiamo farci anche qualche domanda sul perché del cambio di rotta. Negli ultimi anni abbiamo visto che i soldati sono sempre stati spostati verso l'asse nord est dell'Italia, anche perché c'è la Serbia con cui la NATO non ha ottimi rapporti. — Secondo te il governo italiano potrebbe adottare delle misure per liberarsi o almeno limitare l'incremento delle basi e di unità militari NATO sul proprio territorio o parliamo di fantascienza? — Purtroppo la storia ci insegna che tutti i politici che hanno provato in qualche modo a mettersi contro il governo statunitense hanno fatto poi una brutta fine. Pensiamo ad Aldo Moro, che voleva portare i comunisti al governo, pensiamo a Craxi che a Sigonella si è ribellato ai soldati statunitensi e poco dopo è stato cacciato dalla vita politica italiana con lo scandalo mani pulite. Pensiamo a Mattei che con la sua politica energetica economica stava mettendo i bastoni fra le ruote alle sette sorelle. Non credo che l'attuale classe politica italiana possa opporsi a queste basi, che sono fra l'altro spesate quasi totalmente dagli Stati Uniti. Se consideriamo che l'Italia le paga sotto forma di finanziamenti alla NATO, anche lì ci sono molti politici che spingono per dare maggiori fondi all'Alleanza Atlantica. Più paghi più conti all'interno di queste strutture sovranazionali. Capiamo che non c'è la volontà di cambiare rotta. 

 

 

Roma, cercano la perdita d'acqua e trovano un "bunker" antiaereo: la scoperta sotto un palazzo di piazza Bologna
Da ilmessaggero.it del 14 maggio 2018

Un problema di  perdita d'acqua da risolvere, un sopralluogo in cantina, porte chiuse da settant'anni, e la sorpresa che non s'aspettavano. Ecco riemergere dall'oblio un rifugio antiaereo abbastanza ben conservato in zona piazza Bologna a Roma. Una piccola grande scoperta messa a segno dall'amministratore del condominio Guido Fontani che ha subito chiamato gli esperti storici di bunker del centro ricerche speleo archeologiche Sotterranei di Roma che hanno fatto subito le verifiche.«E' un complesso sotterraneo di sei ambienti evidentemente dimenticato, svuotato nel dopoguerra, e lasciato lì, di cui si era persa memoria», racconta Lorenzo Grassi che ha effettuato il sopralluogo. Poteva contenere e proteggere dai bombardamenti almeno un centinaio di persone. Si  tratta di una struttura in cemento armato dotata di una intercapedine isolante. Si vedono ancora le tracce di assi di legno e centinature. Sta in ottime condizioni. Scendendo in questi ambienti, gli indizi chiave che hanno fatto subito pensare ad un rifugio anti-aereo sono state le scritte che, ancora leggibili, compaiono sulle pareti. Le sei stanze presentano sedute in cemento, ogni stanza è divisa da porte in metallo rinforzate. C'è un'ingresso principale collegato alle scale delle cantine, e su una parete spicca ancora una scala a pioli metallici che conducevano ad una seconda uscita risultata oggi murata. Ancora una scritta indica l'ambiente destinato a piccolo gabinetto. Una stanzetta più piccola con alcune sedute potrebbe essere interpretata come un magazzino per provviste. Sono state, quindi, identificate tutte le prese d'aria. «Non c'era un vero e proprio sistema di filtraggio dell'aria evidentemente - racconta Lorenzo Grassi - Il palazzo è stato costruito negli anni '40 seguendo il regio decreto governativo di protezione antiaerea che prevedeva che tutte le nuove costruzioni avessero sistemi sotterranei di rifugi antiaerei». di Laura Larcan

 

La Polveriera di San Michele aperta ai soci Fai
Da alessandrianews.it del 11 maggio 2018

ALESSANDRIA - Edificata tra il 1749 ed il 1752, la Polveriera di San Michele era collocata in modo tale da garantire l’approvvigionamento di munizioni al fronte sud-occidentale della Cittadella e formato dai bastioni di Bastione San Michele – Santa Cristina – San Tommaso.

La struttura è formata da un corpo di fabbrica dotato di copertura a prova di bomba, circondata da una intercapedine di comunicazione e da due massicce traverse in muratura destinate a contenere l’onda d’urto di una eventuale esplosione accidentale  e proteggere la copertura del magazzino da tiri d’artiglieria d’infilata. Internamente è stata ricavata una grande sala voltata il cui pavimento ligneo rialzato dalla quota di campagna ed isolato dal suolo tramite uno strato di carbone vegetale allo scopo di mantenere il più possibile asciutto l’ambiente.

Le strutture interne della Polveriera di San Michele sono perfettamente integre, uno dei pochi esempi di questo genere giunto ai giorni nostri e forse la più bella al mondo.

immagini rassegna\2018\11 maggio cittadella_polveriera.jpgDomenica 13 dalle 15 alle 19 in Cittadella, la Polveriera sarà aperta e visitabile esclusivamente per i soci Fai.

 

Presentazione del volume “La rocca e le mura scaligere di Lazise”
Da gardanotizie.it del 11 maggio 2018

Il volume scritto a tre mani da Lino Vittorio Bozzetto, Andrea Lorenzini e Francesco Monicelli intorno alla rocca e le mura scaligere di Lazise ed editato dalla Associazione Culturale Francesco Fontana sarà presentato venerdì 11 maggio alle 21,00 presso la biblioteca comunale in via Croce a Colà. Il corposo volume, stampato dalla Grafical di Marano di Valpolicella, contiene un excursus sulla edilizia scaligera curata dall’architetto Lino Vittorio Bozzetto, mentre l’ingegnare Andrea Lorenzini approfondisce l’analisi strutturale delle opere murarie attraverso rilievi metrici e fotomosaicature, mentre Francesco Monicelli riporta la ricostruzione dei vari passaggi di proprietà del castello scaligero, ora proprietà della famiglia Bernini-Buri, nonché lo studio storico e la descrizione del giardino interno di particolare interesse botanico. “Motivo della presentazione del volume è di portare a conoscenza anche ai cittadini di Colà e dintorni il lavoro portato a termine dagli autori – spiega il presidente della Francesco Fontana Sergio Marconi – ma soprattutto che il libro possa essere un mezzo di divulgazione importante proprio veicolato dalla biblioteca magari attraverso l’interprestito anche con altre realtà culturali veronesi. L’opera ha visto la luce anche grazie al notevole contributo impiegato dalla Amministrazione comunale e dall’impegno profuso dai volontari del nostro sodalizio. La nostra Associazione ha poi – conclude Marconi – l’obiettivo primario di poter proseguire nel recupero e nella valorizzazione del patrimonio storico culturale di Lazise che sono proprio la cinta muraria e gli annessi.”

 

Visita guidata al bunker militare dell'Isola delle Femmine, il tour sui passi della guerra
Da palermotoday.it del 11 maggio 2018

Visita guidata al  bunker militare di Isola delle Femmine, il tour sui passi della guerra Nell’ambito degli eventi Socio-Culturali per la “Settimana delle Culture 2018” l’Associazione BCsicilia di Isola delle Femmine e i ricercatori storici di Palermo Pillbox Finders, con il patrocino del Comune, apriranno al pubblico una postazione militare della Seconda Guerra Mondiale. L’appuntamento è per domenica 13 maggio dalle 10 alle 19 sul Lungomare dei Saraceni ad Isola delle Femmine. Sarà possibile visitare l’interno della casamatta chiusa da anni, mentre all’esterno sarà presente una mostra di cimeli, divise d’epoca ed equipaggiamenti, relativi all’ultima guerra, messi a disposizione da Agata Sandrone presidente di BCsicilia Isola delle Femmine, dal ricercatore storico  Michelangelo Marino e dal Luogotenente Benedetto Salvino. Gli oggetti saranno illustrati ai visitatori da Giancarlo Equizzi. L’evento sarà aperto con una cerimonia militare nel cimitero del paese, dove una rappresentanza di diverse Associazioni d’Arma deporranno una corona al monumento dei caduti delle due guerre mondiali di Isola delle Femmine, alla presenza del Sindaco Stefano Bologna, mentre il maestro Joe Vitale con la tromba suonerà l’inno dei Mameli e il Silenzio. Alla fine un corteo, a cui prenderanno parte le Associazioni d’arma, il Gruppo Scout ASCI, l’Associazione Guardia Costiera Ausiliara, la Protezione Civile e una rappresentanza dell’Istituto Comprensivo Francesco Riso, raggiungerà la vicina postazione militare per l’inaugurazione dell’evento e l’apertura delle visite guidate all’interno della casamatta dai ricercatori storici di Palermo Pillbox Finders. Il giornale di Isola sarà presente con Eliseo Davì. Alle ore 11 è l’arrivo da Palermo del Gruppo Ciclistico “Ciclabili Siciliane” per la passeggiata ciclistica della Pace. La Postazione costiera monoarma meglio conosciuta con l’acronimo P.C.M. fu edificata negli anni ‘40 del secolo scorso e faceva parte della cintura difensiva della città di Palermo, utilizzata dai soldati della 208esima Divisione Costiera. L’armamento era costituito da una mitragliatrice Breda calibro 8mm e aveva lo scopo di bloccare o rallentare eventuali invasori. Oltre questa altre due postazioni si trovano nel territorio comunale: una sulla scogliera di Punta della Catena, un’altra nell’ex base Nato.

 

Un bunker segreto abbandonato in uno strano villaggio dell'Alaska
Da idealista.it del 11 maggio 2018

Se vivere in Alaska sembra una pazzia, vivere nel piccolo paesino di Whittier può essere un vero e proprio incubo. I 200 abitanti di quella che è stata un'antica zona militare durante la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra Fredda, vivono tutti nello stesso complesso residenziale formato da due edifici uniti tra loro.

Una serie di tunnel li collega alla scuola, all'ospedale e alla Chiesa. Inoltre, il paesino nasconde un grande bunker, abbandonato dopo il terremoto degli Anni '60. Il paesino di Whittier è apparso sulle mappe in piena febbre dell'oro, nel XIX secolo. Base militare durante la Seconda Guerra Mondiale, adesso serve come punto di appoggio per le navi petrolifere che passano per la zona e che sono dirette ad Anchorage, la capitale dell'Alaska. Intorno agli Anni '50, le autorità americane hanno costruito un bunker, conosciuto come "Buckner".

Una vera e propria città nelle profondità, con 25mila m2 di superficie, che ospitava una palestra, un ospedale, una biblioteca, una stazione radiofonica, una piscina e persino una prigione. Adesso, dopo decenni di abbandono, è un labirinto di tunnel e rovine dove si scorgono i resti di un passato opulento. Un enorme edificio abbandonato al duro clima dell'Alaska.

 

“Ricette all’italiana” a Ca’ Vio registrazione tra le polemiche
Da  nuovavenezia.it del 11 maggio 2018

CAVALLINO. La località balneare di Cavallino-Treporti protagonista questa mattina dalle 10 nel cortile interno della batteria Pisani delle registrazioni di due puntate della nota trasmissione televisiva “Ricette all'italiana” che andrà in onda su Retequattro condotta da Davide Mengacci con Flora Canto fra il 28 maggio ed il 2 giugno.

All'interno della fortificazione militare di Ca' Vio appena ristrutturata si sfideranno due squadre di due cuochi ciascuna scelti fra la popolazione su ricette tradizionali e moderne selezionate dai ristoratori del litorale che impiegheranno prodotti ittici e ortofrutticoli rigorosamente a chilometro zero.

Un format culinario che comprenderà anche controcampi delle suggestive immagini girate col drone sulle spiagge e sulla laguna del litorale per mostrare al pubblico televisivo, fra un piatto e un altro della kermesse culinaria, anche contesti storici come Lio Piccolo.

«La scelta della batteria Pisani per organizzare una gara di cucina» commenta il capogruppo di Idea Comune, Claudio Orazio, «denota la mancanza di un progetto culturale a lungo termine che rispetti l'importanza storica e architettonica di quel luogo e dei valori che rappresenta».Francesco Macaluso

 

I misteri di Trieste sotterranea
Da Da turismo.it del 10 maggio 2018

Trieste è un’antichissima città, le cui origini si attestano intorno al II millennio a. C., quando il suo territorio fu sede di insediamenti protostorici chiamati castellieri, ovvero piccolissimi villaggi arroccati sulle alture e protetti da fortificazioni in pietra. Ma la sua storia è ricca di numerosi avvenimenti che hanno dato origine a quella città elegante ed affascinante che tanto ha incantato anche diversi personaggi celebri. A voler ripercorrere alcuni momenti determinanti che hanno segnato l’evoluzione di Trieste ci si può affacciare anche in un’altra dimensione, quella sotterranea. Sotto le due arterie cittadine di Via Carducci e Via Fabio Severo, infatti, si cela un mondo alternativo in cui si aprono metri di gallerie antiaeree risalenti alla Seconda Guerra Mondiale. Sono le gallerie della Kleine Berlin, visibili solo con le visite guidate organizzate l’ultimo venerdì del mese. La parte del reticolo di tunnel che si può ammirare è composta da una galleria antiaerea pubblica per la popolazione civile e da un ricovero antiaereo militare tedesco di cui fanno parte una galleria principale e varie diramazioni laterali. In una di queste c’era all’epoca un pozzo munito di una scala a chiocciola: era un passaggio segreto che conduceva il Comandante delle SS Odilo Globocnik direttamente dalla sua villa sul colle ai sotterranei del Coroneo. Visitando il complesso si nota come tutto è rimasto intatto come oltre 70 anni fa, con l’imbiancatura delle pareti, il pavimento bagnato dalle gocce dell’acqua che scorrono all’interno della cavità e quell’atmosfera surreale che hanno vissuto gli abitanti durante i bombardamenti. La visita guidata si svolge in due parti: la prima seduti in una grande sala ipogea dove un esperto racconta la storia del luogo e le condizioni di vita dei rifugiati proiettando fotografie d’epoca. La seconda parte è la visita vera e propria delle gallerie. All’interno della Kleine Berlin sono allestite due mostre permanenti, la prima relativa ai bombardamenti che la città di Trieste subì durante la Seconda Guerra Mondiale e la seconda riguardante le cavità naturali e artificiali realizzate dai rispettivi eserciti contendenti durante la Prima Guerra Mondiale sul fronte del basso Isonzo. Un dettaglio da notare è la differenza tra le due sezioni di gallerie che compongono la Kleine Berlin: quelle tedesche erano costruite con tecniche e materiali migliori e hanno resistito molto meglio alle infiltrazioni di acqua che cola continuamente dalle rocce soprastanti. Mentre le gallerie italiane sono piene di crepe e fessure e proprio grazie all’acqua ricca di calcare che cola costantemente si sono formate stalattiti lunghe e sottili che conferiscono al luogo un’aurea ancora più suggestiva.

 

Il Trenino dei castelli del Trentino
Da siviaggia.it del 9 maggio 2018

Con l’arrivo della  bella stagione in Trentino riparte il Trenino dei castelli, uno dei  percorsi più suggestivi d’Italia da fare a bordo di un treno. Attraversa la Val di Non e la Val di Sole alla scoperta di fortezze inespugnabili e splendidi palazzi ben conservati che raccontano la storia del territorio. Il Trenino dei castelli parte da Trento e, dopo il tratto ferroviario fino a Malè, cuore della Val di Sole, l’itinerario si snoda tra il Castello San Michele, che domina il territorio sottostante, e l’elegante dimora affrescata di Castel Caldes. Il Castello San Michele domina la valle da uno sperone di roccia inaccessibile e prende il nome dal Santo a cui è dedicata la cappella all’interno. Risale all’epoca dei Longobardi. Il castello ha nel suo possente mastio, alto 25 metri, l’elemento più caratteristico nonché meglio conservato. Castel Caldes dà il benvenuto a tutti coloro che fanno il loro ingresso nella Val di Sole. L’interno di questo castello è molto bello, con sale affrescate e il salone da ballo. Secondo la leggenda nella torre era prigioniera la sfortunata contessina Marianna Elisabetta Thun, conosciuta anche con il nome di Olinda, reclusa dal padre per impedire il matrimonio con Arunte, menestrello di corte, per il quale morì d’amore. Di solito dopo la visita del castello è previsto uno stop per il pranzo fatto a base di prodotti trentini, organizzato dalla Strada della Mela, accompagnato dalle classiche ‘bollicine’. Il viaggio prosegue poi tra i frutteti che circondano Castel Valer (aperto al pubblico solo per quest’occasione) dalla curiosa pianta ottagonale, per poi giungere fino al meraviglioso Castel Thun, con le sue otto torri e i magnifici interni. Castel Thun è il gioiello d’arte della Val di Non ed è forse il più famoso dei quattro castelli trentini. Situato a Vigo di Ton, fu costruito nel XIII secolo e fu la sede della potente famiglia dei Thun, proprietaria di altre prestigiose residenze nelle valli trentine. La struttura è tipicamente gotica ed è circondata da un sistema di fortificazioni formato da torri, fossati e cammini di ronde. Gli interni sono ancora riccamente arredati e impreziositi da opere d’arte: la più interessante è la stanza del Vescovo, interamente rivestita di legno di cirmolo (profumatissimo), con il soffitto a cassettoni e una porta monumentale. Castel Valer solitamente è chiuso al pubblico, ma lo si può visitare per quest’occasione grazie alla disponibilità del proprietario. Il castello è in una posizione panoramica e ha una splendida torre ottagonale alta 40 metri, la più elevata del Trentino. Le diverse cinte murarie racchiudono due serie di edifici: la più antica, del XIV secolo, è detta Castel di Sotto, mentre la seconda, del XVI secolo, Castel di Sopra.  Il Trenino dei castelli parte tutti i sabati dal 14 aprile al 16 giugno 2018 e dal 21 luglio al 15 settembre 2018. La domenica sono previste delle giornate speciali per la famiglia con tariffe agevolate (3 giugno, 29 luglio, 5 e 26 agosto) e iniziative per i bambini. Costa 62 euro per gli adulti (56 per chi possiede la Trentino Guest Card), i minori di 16 anni pagano 52 euro, mentre è gratuito per i bambini fino ai 4 anni.

 

Successo per le visite al Torrione degli Spagnoli di Carpi
Da sassuolo2000.it del 7 maggio 2018

Il Torrione degli Spagnoli di Carpi si è aperto alla città ieri, domenica 6 maggio, per un ciclo di visite guidate straordinarie che hanno permesso a duecento persone di vedere alcune delle sale della fabbrica quattrocentesca, diventata di proprietà del Comune nel 2014, e chiusa perché danneggiata dal sisma del 2012. Le visite (per le quali sono arrivate prenotazioni in numero triplo dei posti disponibili, segno dell’attesa che circonda il progetto di recupero e valorizzazione dell’edificio più imponente dell’ala sud del Palazzo dei Pio) sono state organizzate dai Musei di Palazzo dei Pio in collaborazione con la classe Terza N del Liceo scientifico Manfredo Fanti: gli studenti (nell’ambito del progetto di Alternanza Scuola Lavoro) hanno prodotto brevi video promozionali che sono visibili sui social network e per un giorno sono state le guide nella visita al Torrione, assieme al personale scientifico dei Musei carpigiani. “Dopo i lavori che hanno riguardato il tetto del Torrione per una spesa di 800mila euro, presto apriremo il cantiere –spiega l’assessore al Centro storico Simone Morelli – del Progetto di recupero di questo insigne monumento cittadino. La nostra idea una volta terminati i lavori, che ammontano in complesso a circa sette milioni di euro, è quella di restituire un patrimonio di arte e bellezza alla città con spazi destinati ad attività temporanee e nel sottotetto insediare un ristorante panoramico con una vista unica sulla città”. La giornata di ieri ha fatto segnare un grande afflusso di visitatori al Palazzo dei Pio, circa un migliaio: oltre ai 200 che hanno salito le scale del Torrione a gruppi di 15 sono stati ben 616 i visitatori dei Musei e della mostra di fotografie di Albert Watson (di cui 70 alla visita guidata con Luca Panaro) e 70 persone hanno visitato la Sala del Guerriero, aperta per l’occasione. Un centinaio infine coloro che hanno visitato la Torre della Sagra.

 

“Adambiente”, Verona e il territorio.
Da veronaeconomia.it del 7 maggio 2018

In verità, i veronesi  identificano, con il termine “torricelle” – in dialetto veronese “tòresèle” – le verdi “colline”, che verso Nord, coronano Verona. Le due voci, tuttavia, indicano le quattro torricelle, a forma rotonda, che si ergono, quasi in fila, una dietro l’altra, sul crinale delle alture veronesi, che dividono la cittadina Valdonega dalla Valpatena. Ufficialmente, tali torricelle sono denominate “massimiliane”, perché ispirate alle trentadue “Türme” o torri circolari, fatte costruire dall’arciduca Massimiliano Giuseppe d’Austria-Este (1801-1863), negli anni 1831-1837, a difesa della città di Linz e ancora colà esistenti. Altre torri avrebbero dovuto essere costruite – progetto, poi non realizzato – attorno ad ogni città dell’Impero austriaco, onde evitare che tali centri, in caso d’invasione, fossero conquistati facilmente, come fu di Vienna, nel 1805, per mano di Napoleone. Le quattro veronesi torricelle – voce, quest’ultima, un po’ diminutiva, rispetto all’effettiva, massiccia entità delle stesse – erano, piccole fortezze autonome, a forma rotonda, dotate di cannoni, che avrebbero sparato dall’interno delle stesse, e di fucileria. Esse furono volute dal feldmaresciallo Josef Radetsky (1766-1858), comandante delle truppe imperiali austriache, di stanza nell’allora Lombardo-Veneto e costruite dall’ingegnere ed ufficiale dell’esercito di Vienna, Franz von Scholl (1722-1838), cui sono dovute anche le altre fortificazioni austriache della Verona, quale parte integrante del noto Quadrilatero. Ebbene, le dette “torricelle”, vere e proprie opere d’arte, se, fortunatamente, non sono più utilizzate come centri militari, non sono trattate, esternamente, come dovrebbe essere trattato un monumento, non possono essere visitate dal normale turista – pure altamente alle stesse interessato, né è possibile l’accesso alle stesse, per cui, nonostante le loro attraenti caratteristiche, non possono, attualmente essere considerate, come potrebbero e dovrebbero essere, importante motivo di attrazione turistica, in un meraviglioso paesaggio. Una torricella, la N° 2, tuttavia, è in concessione a privati, la N° 3 è gestita da Acque Veronesi, una terza, la N° 4, è praticamente abbandonata a sé stessa – un vero disastro. La N° 1, è stata baciata dalla fortuna, perché è stata data in concessione precaria, recentemente, ad Adambiente Onlus – Associazione per la Difesa Ambientale, nella persona del suo attivo ed appassionato presidente, Salvatore Cocozza, via Franco Faccio 25b, 37122 Verona, info@adambiente.it, www.adambiente.it. Associazione che farà l’impossibile per riportare nella sua luce originale la torricella concessagli – la prima, e prima delle quattro citate, che s’incontra, salendo verso la collina, sia da Porta Vescovo, sia da Valdònega – rendendola accessibile ed agibile e, quindi, visitabile, curandone il verde che la
circonda, avendo come scopo di valorizzare la torricella stessa, il territorio ed il  paesaggio, nel quale essa s’erge, facendo al tempo, cultura e creando certamente turismo. Osservando da vicino una di tali torricelle, sembra di trovarsi centomila volte peggio, che negli atrii muscosi e nei fori cadenti dell’Adelchi, resi meno paurosi dal fine linguaggio manzoniano, mentre al curioso, colpito da tale rovina, viene da pensare a come sia stato possibile giungere ad una tale situazione e se non sia al più presto realizzabile un recupero dei sopra descritti monumenti. La visita ai quali trasformerebbe la zona, da essi dominata, in un territorio ravvivato da un percorso sicuramente frequentato da amanti della storia e dell’arte e, perché no, anche dalla fitta vegetazione arborea, che lo copre, nonché delle belle visioni, che offrono, viste dall’alto, Valdònega e Valpantena. Che è quanto intende fare, poi, Adambiente, partendo dalla torricella N°1, ora, in concessione, dal Comune di Verona, alle sue cure. Su questi temi verterà il convegno, organizzato, appunto da Adambiente, che si terrà sabato 16 giugno 2018, alle ore 17,00, presso il Circolo Ufficiali, Castel Vecchio, Verona. L’Associazione Adambiente Onlus auspica, infine, che, in futuro, tutte e quattro le torricelle, riportate alla loro originaria bellezza, e rese, quindi, agibili, possano diventare mete, raggiungibili da cittadini e da turisti, attraverso un unico percorso, nel verde e nell’aria pura, che colleghi le stesse, tanto da Valdònega, che da Porta Vescovo. Una valorizzazione, quindi, delle torricelle- monumento e del territorio, che le ospita. Pierantonio Braggio

 

Cupi, incantati, misteriosi e inaccessibili: i Castelli di Sicilia tra torri, re e leggende
Da balarm.it del 7 maggio 2018

Sotto ogni pietra di ogni castello si nasconde una storia, una leggenda, un universo intero di immaginazione: da Catania ad Agrigento, da Trapani a Siracusa, la Sicilia non ha nulla da invidiare alla francese valle della Loira se parliamo di castelli e fortezze, tanto da meritare un tour dedicato. Oltre duecento edifici risalenti alle più svariate epoche sono quelli che ancora oggi costellano l'Isola sopravvissuti al tempo e alle intemperie. Dal regno normanno con le sue torri cintate da mura alle reggie dorate e romantiche del Quattordicesimo secolo le fortificazioni sono testimoni viventi del passato feudalesimo, delle dominazioni e degli stili architettonici che si sono succeduti nei secoli. Come dicevamo, sono oltre duecento ed è impensabile citarli tutti o almeno tutti in una volta: iniziamo intanto da alcuni castelli, quelli di cui fino a ora non abbiamo parlato. Partiamo dal "Castello di Venere" a Erice: nasce nel Tredicesimo secolo come fortezza difensiva come si vede ancora oggi dal piobatoio (buchi nelle mura attraverso cui si combattevano i nemici). Dal belvedere si osserva un panorama immenso: da Trapani con le isole Egadi fino al monte Cofano e perfino Ustica. Lo hanno voluto i normanni, che hanno edificato sul monte San Giuliano sui resti di un santuario già esitente dedicato alla dea Venere, era considerato uno dei punti più sicuri del paese e i regnanti lo hanno scelto come dimora successore dopo successore per via della estrema inacessibilità delle mura e delle alte torri (Torri del Balio) che oggi sono visibili solo in parte. Costruito da Federico II nel 1300, il Forte di Vittoria Augusta è a pianta quadrata con delle torri agli angoli e una, antica e normanna, che si staglia al centro del forte. Nel corso del tempo sono state operate alcune modifiche per volontà dei diversi re ed è stato utilizzato infine dalla Marina Militare fino alla metà degli anni Novanta. La leggenda racconta che Federico II sia rimasto bloccato da un temporale in questo lembo di terra circondato da acque e che abbia deciso, incantato dall'atmosfera, di edificare la sua dimora. Il forte spagnolo di Portopalo è una rara fortezza svevo-aragonese che nasce per difendere la città dai pirati: anche questo castello è a pianta quadrata ed è quasi senza finestre. Per entrarci si passa su una curiosa scalinata a due rampe a forma di L: sono tante le variazioni fatte alla struttura, ma oltre a questa scala, è rimasto sul portale lo stemma dell'aquila reale. All’estremità dell’isola di Ortigia, a Siracusa, ecco il castello di Maniace (nella foto) prende il nome del comandante bizantino Giorgio Maniace e risale al 1038. Oggi è sede di mostre e incontri culturali e si presenta come un salone unico con dei camini agli angoli. È uno dei più preziosi documenti del periodo svevo a Siracusa. A trasformarlo in castello è stato, a metà del 1200, Federico II e diventa anche prigione dopo la guerra tra angioini e aragonesi. I danni subiti dal terremoto del 1693 e dalla forte esplosione del 1704 non si contano ma è stato ristrutturato secondo la voga barocca, pur mantenendo invariata la pianta (quadrata) e le 4 torri cilindriche ai lati. Andiamo ora a Ragusa, dove si erge il Castello di Donna Fugata che poi non è un vero e proprio castello ma una casa privata dell'Ottocento. Dietro il nome ecco una leggenda, anzi due: quella della regina Bianca di Navarra che scappa dal matrimonio di interesse con Bernardo Cabrera (donna fugata, scappata) e quella del nome arabo "Ayn as Jafat" (fonte della salute). In ogni caso, la struttura di tre piani e quasi 130 stanze è circondata da un enorme parco di otto ettari con pure un tempietto, una Coffee House, grotte artificiali e un interessante labirinto in pietra. Risale al Diciassettesimo secolo ma fino al Ventesimo è stata modificata con il risultato di una mescolanza di stili che vanno dal gotico veneziano (le bifore e i rosoni) al tardo-rinascimentale. All'interno dei diversi saloni ci sono statue neoclassiche, stucchi, trompe-l'oeil e pregiati decori. Una delle fortezze più importanti del bacino Mediterraneo era la Cittadella di Messina, costruita dagli spagnoli nel 1500 con l’intento di controllare le sommosse popolari (come il palermitano castello a mare, di cui parliamo qui). È a pianta pentagonale ed è circondata dall’acqua ma per rendere la fortezza più inespugnabile su ogni suo lato sono stati fatti anche dei bastioni a cuneo. Oggi ne resta ben poco: il suo tracollo inizia nell'Ottocento con i Borboni che ne demolirono le mura. Il castello di Montalbano deve il suo nome alla sua posizione a 900 metri di altitudine sui Nebrodi: "Mons Albus" (monti innevati) e viene edificato nel 1300 come punto di difesa militare per volere di Federico II. Tra i tanti interventi di modifica è stato anche palazzo, nel Trecento, e oggi è aperto per mostre ed eventi culturali: è una delle opere medievali più armoniose e fedeli allo stile che presenta pure una “cappella reale” bizantina. Siamo a Enna, dove nell'Undicesimo secolo viene eretto il castello di Gagliano noto anche con il nome di “castelferrato” che sottolinea la sua vocazione difensiva. Anche qui, è grazie a Federico II che il castello diventa famoso: fu scelto come dimora sicura ma bella al punto di essere anche degna di feste e periodi di riposo. Ancora esistente è la Porta Falsa da cui si giunge fino al portone per accedere al nucleo centrale: costituito tra le rupi e i muri di cinta è qui che si erge l'edificio rettangolare. l castello di Paternò è uno dei monumenti normanni più notevoli: maestoso nei suoi 34 metri di altezza domina il paese da una rocca dal 1072 per volere di re Ruggero. Nel 1221 fu destinato a Federico II (ancora lui) perché vi soggiornasse per riposare. Dal Quattrocento la fortezza è usata dai Moncada come carcere fino al 1860, quando passa nelle mani del demanio Borbonico. Tra i suoi tre piani troviamo anche una cappella ricavata da una nicchia nello spessore murario, un grande salone con quattro bifore e una galleria con due enormi bifore. Sono misteriose le origini del castello di Pietrarossa nella vicina Caltanissetta. Si erge vicino la città presumibilmente dal Nono secolo anche se alcuni storici lo addebitano ai Sicani (Ottavo secolo). Il suo nome potrebbe nascere dall’antico rivestimento delle due torri che ancora oggi si possono ammirare nonostante i danni del terremoto del 1500 che distrusse la gran parte della struttura. È stato sede di alcuni avvenimenti storici di grande importanza: nell'Undicesimo secolo vi fu sistemata la tomba della nipote del re Ruggero il Normanno (re di Sicilia, Puglia e Calabria dal 1131 al 1154) e nel 1378 si tenne una importante riunione dei baroni siciliani per la nomina di quattro vicari di governo siciliano. Edificato nel Trecento dai Chiaramonte e per questo noto anche con il nome di “Castello Chiaramontano”, Il castello di Naro è stato dichiarato monumento nazionale nel 1912. A ovest della torre è stato murato uno scudo aragonese e sul lato est si possono ancora ammirare due bifore gotiche che danno luce alla “Sala del Principe” del primo piano. La cinta muraria è imponente ed è intervallata da due torri cilindriche e due quadrangolari: all’interno c'è una grande corte interna con pure un pozzo la cui cisterna è stata anche usata come prigione. Parte del castello è stato trasformato in museo e un'ala in un laboratorio di restauro. Per questa volta finiamo qui anche se sono molti gli edifici di notevole interesse che mancano all'appello.

 

Linea Maginot, incontro sui suoi segreti
 
Da iltirreno.it del 5 maggio 2018

FUCECCHIO. Dopo la recente presentazione avvenuta al Palazzo del consiglio dei dodici di Pisa, domani alle 17 all’oratorio di Massarella si terrà un secondo incontro sul libro che il tenente colonnello Leonardo Pilastri ha dedicato alla Linea Maginot. Si tratta di un contributo nel panorama internazionale degli studi su questa particolare opera di ingegneria militare, ed uno dei pochissimi degni di nota tra quelli scritti da un autore italiano. La Linea Maginot rappresenta un complesso integrato di fortificazioni, opere militari, ostacoli anticarro, postazioni di mitragliatrici, sistemi di inondazione difensivi, caserme e depositi di munizioni realizzati dal 1928 al 1940 dal governo francese a protezione dei confini che la Francia aveva in comune con il Belgio. Il sistema è caratterizzato dalla non contiguità delle varie componenti e dall’utilizzo integrato e di tutte le possibili alternative offerte dalle moderne tecnologie balistiche. In tale quadro, le varie componenti fortificate utilizzano non solo il tiro diretto, ma anche quello fiancheggiante e quello indiretto. Proprio a questo misterioso e tanto dibattuto insieme di manufatti ad uso bellico Leonardo Pilastri ha dedicato l’ affascinante libro “La linea Maginot tra realtà e mito”. Pilastri illustra al lettore in che cosa avesse consistito la realizzazione di questa linea di manufatti assai diversi tra loro e quale funzione avesse realmente assolto durante la seconda guerra mondiale. L’iniziativa è organizzata e promossa dall’associazione “Le Stanze sul Padule”.

 

Le mille vite del Castello Aragonese di Reggio Calabria
Da calabriapost.net del 5 maggio 2018

Il castello è una struttura architettonica composta da uno o più edifici fortificati, tipico del Medioevo, costruito per ospitare una guarnigione di soldati, con il loro comandante (il castellano) e i suoi familiari. Sorge solitamente in un luogo strategico, spesso in posizione elevata, rialzata o arroccata e facilmente difendibile. Una premessa, necessaria, per introdurre uno dei simboli storici principali della città di Reggio Calabria: il Castello Aragonese. Noto come "aragonese", il castello di Reggio ha in realtà origini molto più antiche, tracce di una fortificazione di questa zona della città infatti risalgono ad epoche di molto precedenti alla costruzione del castello vero e proprio. Oggi la collina sulla quale si erge la fortezza è molto meno evidente, ma nell'antichità essa rappresentava un punto importante per la tutela del sistema delle mura. Nel periodo ellenistico, con l'allargamento della città verso il mare, la collina rimase un luogo fortificato di notevole importanza militare, mentre le mura, che nella polis d'epoca classica piegavano verso nord, scendevano ora fino al porto (prima nella zona del lungomare odierno). In epoca romana, le mura non furono probabilmente curate e restaurate, tanto che, durante la guerra tra i Goti e i Bizantini, Belisario entrò a Reggio per liberarla dai barbari e trovò la città priva di fortificazioni, così il generale ordinò immediatamente il restauro della cinta muraria. Si riprese dunque la parte inferiore delle mura che erano appoggiate al porto, la collina del castello divenne quindi il bastione angolare della cinta, rivolto verso la montagna. Tutto ciò creò un centro fortificato che proteggeva il porto di Reggio e tutta la Calabria meridionale. L'esistenza documentata di un vero e proprio castello risale quindi all'anno 536. Nel 1059 la fortezza passò dai Bizantini ai Normanni e nel 1266 a Carlo I d'Angiò. Dall'epoca dei Normanni, che vi stabilirono la corte, il castello fu modificato ed ampliato in più riprese. L’ingrandimento della struttura, avvenne durante il regno svedese, con Federico II. L'area interessata doveva avere ospitato una fortezza angolare delle mura bizantine, e una torre-mastio durante la dominazione normanna. La parte sveva del castello di Reggio rimase in piedi fino a dopo il terremoto del 1908, ed era una costruzione a pianta quadrata, con quattro torri angolari, anch'esse di forma quadrata. Dal momento della sua costruzione, data l'importanza strategica, il castello subì una continua serie di restauri e di modifiche, tutti tesi ad adeguare la struttura difensiva all'evoluzione delle macchine d'assedio, e poi alle artiglierie con polvere da sparo. Sarà in epoca spagnola, grazie a re Ferrante, che si eseguirono –intorno al 1458 - le modifiche più sostanziali. Furono aggiunte due grosse torri merlate verso sud e un rivellino (opera esterna con artiglieria) ad oriente; fu aggiunto il fossato (senz’acqua). L'aspetto del castello rimase pressoché inalterato dall'epoca di Ferdinando I fino a quando ne venne decisa la riconversione in caserma che comportò l'abbattimento del rivellino con l'unificazione del piano interno; durante il Risorgimento il castello aragonese divenne infatti prigione politica e luogo di esecuzione dei ribelli. Nel 1892 la Commissione provinciale dei beni archeologici decretò una parziale demolizione del castello ma con la conservazione delle due torri poiché "Monumento storico della città", e cinque anni dopo (nel 1897) il castello venne dichiarato monumento nazionale. Il terremoto del 1908 danneggiò la parte occidentale, i locali più antichi risalenti all’epoca sveva, venuta giù completamente. Illese rimasero le due torri aragonesi, come spiegato dal professore Francesco Arillotta, la struttura sveva non era incastrata a quella aragonese per questo rimasta illesa.Sempre nei primi anni del ‘900, si decise di abbattere il castello aragonese, che pur avendo resistito ai terremoti e ai decreti di demolizione, fu deliberatamente mutilato della sua parte più antica, anche in nome di una struttura urbanistica più razionale. La fortezza fu infatti in parte demolita per congiungere la via Aschenez alla via Cimino, secondo le indicazioni del piano regolatore redatto di mala voglia da Pietro De Nava, su consiglio dell'amministrazione. Vennero quindi demoliti i 9/10 della sua struttura in diverse occasioni, ma fu mantenuta la parte più significativa del bastione: quella con le due torri aragonesi, che ancora oggi si ergono maestose al centro della piazza.Il 7 maggio 1986, a causa di inadeguati lavori di restauro, crollò una parte del castello sul versante nord-ovest. Dichiarato inagibile, il castello, negli anni successivi, fu oggetto di attenzione dell'associazionismo cittadino per chiederne il restauro. Con la riqualificazione dell'ambiente circostante (piazza Castello e via Aschenez), e con la ristrutturazione completa, il castello aragonese è divenuto oggi uno spazio per eventi culturali e sociali.

 

Rinascita Forte Bard, da complesso militare a polo cultura
Da ansa.it del 5 maggio 2018

Era una delle fortezze militari più conosciute dell'arco alpino, celebre per l'assedio da parte di Napoleone nel 1800, e oggi è uno dei poli culturali più importanti del Nord-Ovest. Riedificato dai Savoia come complesso di sbarramento alla metà del 19/o secolo (le origini del primo presidio risalgono al 500 d.C.), il Forte di Bard sorge in una posizione strategica, sopra una gola dove scorre la Dora Baltea, all'inizio della Valle d'Aosta. E' stato dismesso nel 1975 dal demanio militare e acquisito dalla Regione Valle d'Aosta nel 1990. Il progetto di recupero dell'intero complesso e di rilancio del borgo medievale è stato attuato con il contributo finanziario del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e del Fondo di Rotazione Statale nell'ambito della riconversione delle aree in declino industriale. "L'Italia è un Paese che ha un patrimonio culturale immenso che rappresenta lo spirito dell'Europa. La rinascita di questo complesso grazie ai fondi europei ridà anima alla storia, facendo rivivere mura antiche e restituendole alla comunità, diventando allo stesso tempo luogo di cultura e motore di sviluppo per il territorio", osserva Beatrice Covassi, capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea. L'intervento - oltre 500 maestranze coinvolte, 153.737 metri cubi di terreno rimosso e 112.705 metri di cavi elettrici posati - è durato oltre 10 anni e nel 2006 è stata aperta al pubblico l'Opera Carlo Alberto con il Museo delle Alpi. Alla fine il 'rinnovato' Forte di Bard può contare su una superficie di 14.467 metri, di cui 3.600 metri quadrati di aree espositive e 2.036 metri quadrati di cortili interni, con 283 locali, 385 porte, 296 feritoie e 806 gradini. Dal giorno dell'inaugurazione è diventato un polo culturale di richiamo internazionale, passando dalle 98.000 presenze del 2006 alle 312.000 del 2016. Il Forte si è segnalato per l'organizzazione di eventi e l'allestimento di importanti mostre come "I Tesori del Principe del Liechtenstein" (48.358 visitatori), "Marc Chagall. La Vie" (56.838), "Yann Arthus Bertrand. Dalla Terra all'Uomo" (45.236), "Montserrat. Opere maggiori dell'Abbazia" (48.276), "Pablo Picasso. Il colore inciso" (34.836) e "Steve McCurry. Mountain Men" (49.249). A ciò si aggiungono progetti di produzione artistica, tra cui quelli con il fotografo statunitense Steve McCurry, il documentarista e fotografo francese Yann Arthus-Bertrand, Magnum Photos e il fotografo ceco Josef Koudelka. La fortezza ha attirato anche l'attenzione di Hollywood: nel 2015 sono state girate alcune scene del kolossal della Marvel 'Avengers: Age of Ultron'. "In questi dieci anni il Forte di Bard - spiega il presidente del comitato di indirizzo del complesso, Sergio Enrico - è diventato davvero 'forte'. Il punto debole è che bisogna fare un secondo passo cercando di sfruttare al meglio sul territorio queste potenzialità. Abbiamo un luogo conosciuto a livello internazionale, dobbiamo fare in modo che sia una calamita che attiri persone sul territorio". Secondo il neo direttore della struttura, Maria Cristina Ronc, "Il Forte di Bard si è già imposto come polo culturale nel Nord-Italia e ora mi piacerebbe mettere in rete tutti i forti, a partire dalla Liguria fino al Friuli, con i quali abbiamo molte cose in comune". "Ma soprattutto - conclude - punto a fare rete con i beni culturali che sono diffusi sul territorio valdostano".

 

Le Mura Aureliane: da Porta Latina a Porta San Sebastiano
Da romatoday.it del 5 maggio 2018

Un itinerario alla scoperta del tratto di Mura Aureliane che va da Porta Latina a Porta San Sebastiano, dove sarà possibile anche entrare, per scoprire l’interessante museo allestito all’interno. Si scopriranno così molti segreti sulle fortificazioni di epoca romana, sul sistema difensivo e sulle trasformazioni subite nel corso dei secoli. Una passeggiata da non perdere per tutti gli appassionati di storia, archeologia o anche solo per chi vuole conoscere meglio il quartiere, ricco di bellezze e suggestioni.

Quando: Sabato 05 Maggio 2018 ore 11:00

Dove: Via di Porta Latina, davanti all’ingresso del Parco degli Scipioni

Quanto: Quota di partecipazione euro 8 a persona, gratis under 18.

Prenotazione obbligatoria. Info e prenotazioni: “L’Asino d’Oro” Associazione Culturale, cellulare: 346 5920077, e-mail: info@lasinodoro.it, sito web: http://www.lasinodoro.it/evento/porta-latinaporta- san-sebastiano-e-mura-aureliane

 

I venditori di bunker: uno showroom per rifugi antiaerei, visitabile a Berlino
Da ilmitte.com del 4 maggio 2018

Nel nostro  immaginario, la seconda guerra mondiale, è associata, fra le altre cose, a bunker e rifugi antiaerei. Raramente però ci fermiamo a pensare che queste strutture dovevano essere progettate, commissionate, e che potevano avere caratteristiche anche assai diverse fra loro. Dove avveniva tutto questo? In uno showroom, proprio come accade oggi per moltissime altre strutture, dai prefabbricati alle roulotte. Esisteva un “mercato dei bunker”, che interessava tanto ai privati che potessero permetterselo quanto alle istituzioni. Le aziende che esponevano in questi contesti erano soprattutto ditte che lavoravano metalli pesanti e imprese edilizie. Nelle prime strutture di questo genere si utilizzava moltissimo acciaio, che però diventò un materiale particolarmente prezioso per il governo negli anni ’30 e iniziò a essere requisito per lo sforzo bellico. Le strutture costruite successivamente contenevano molto meno acciaio o non ne contenevano affatto (e questo ha determinato gradi di difficoltà diversi nella loro successiva demolizione). Berlino è l’unica città tedesca in cui, a determinate condizioni e in certi giorni dell’anno, è possibile visitare uno showroom del genere, il Luftschutzstollen Musteranlage, nel quale rappresentanti delle istituzioni e delle comunità locali andavano a ispezionare i bunker prefabbricati, per scegliere quelli più adatti alle proprie necessità. A costruirlo fu l’ufficio del reich per la difesa antiaerea (Reichsanstalt für Luftschutz), nel 1936. Dopo la fine della guerra, la struttura – che si trova a Friesenstraße, nel distretto di Kreuzberg, fu trasformata prima in un poligono di tiro e poi in un magazzino e solo a partire dagli anni 2000 la società Berliner Unterwelten l’ha recuperata e resa visitabile in alcune specifiche occasioni, come il Tag des offenen Denkmals (giorno in cui è possibile visitare i monumenti commemorativi). I bunker costruiti sotto la città di Berlino subito prima e durante la guerra erano oltre 1000, ma ne restano solo un centinaio. Quasi tutti sono stati distrutti e solo i più resistenti sono rimasti integri nonostante i tentativi di demolizione. Fra i bunker agibili, una ventina sono di proprietà di privati o aziende e sono stati adibiti agli usi  più diversi, dalle gallerie d’arte agli studi di registrazione, mentre altri sono stati usati come fondamenta per abitazioni di varie dimensioni, dalle piccole unità residenziali agli appartamenti di lusso. Un sistema quasi dimenticato di rifugi, bunker e tunnel esiste ancora sotto la superficie di Victoriapark. Progettato da un dipartimento di ingegneri al servizio del regime nazista e costruito da lavoratori dell’est Europa ridotti in schiavitù, questo labirinto è praticamente intatto, ma è stato coperto e dimenticato per quasi 40 anni dopo il restauro postbellico del parco. A riportarlo all’attenzione del pubblico è stato un libro di foto donato negli anni ’80 dalla vedova del capocantiere che aveva preso parte ai lavori. Questi bunker non sono, al momento, aperti al pubblico.

 

La Linea Maginot tra realtà e mito, a Massarella la presentazione del libro di Leonardo Pilastri
Da gonews.it del 4 maggio 2018

Dopo la recente presentazione avvenuta al Palazzo del Consiglio dei Dodici di Pisa, domenica 6 maggio alle ore 17, presso l’oratorio di Massarella (Fucecchio), si terrà un secondo incontro sul libro che il Ten. Col. Leonardo Pilastri ha dedicato alla Linea Maginot. Si tratta di un importante contributo nel panorama internazionale degli studi su questa particolare opera di ingegneria militare, ed uno dei pochissimi (se non l’unico) degni di nota tra quelli scritti da un autore italiano.

 

 

Visita guidata a Castel Govone, monumento simbolo di Finale Ligure
Da savonanews.it del 3 maggio 2018

L'associazione culturale Centro Storico del Finale, con il patrocinio del Comune di Finale Ligure, propone domenica 6 maggio una Visita Guidata a Castel Govone. Il castello, è stato oggetto di restauri che hanno portato alla scoperta di sale, frammenti di affreschi, pregevoli manufatti in pietra del Finale e al recupero della vecchia cisterna completamente piastrellata di ardesia. Il percorso guidato e raccontato, che ha la durata di circa un’ora e mezza, comprende l’accesso alla Torre dei Diamanti simbolo indiscusso di Finale Ligure. Inoltre, grazie alla manutenzione di pulizia dei volontari del Centro Storico, il Castel Govone può essere ammirato nella sua completezza. Castel Govone residenza dei Marchesi Del Carretto, sorge poggiando le sue basi su un gigantesco bastione curvilineo a scarpata, nel punto culminante del "Becchignolo". Si dice che il castello sia stato edificato nel 1181 da Enrico II sfruttando precedenti strutture difensive. Sicuramente fu rafforzato con nuovi ridotti nel 1292. Distrutto a più riprese nelle vicende belliche che contrapposero Finale a Genova, venne ricostruito contemporaneamente alla cinta muraria del Borgo nel 1451-1452 da Giovanni I, quindi ulteriormente modificato in epoca successiva, fino a quando nel 1715, venne in gran parte smantellato dai Genovesi che avevano acquistato il Marchesato e volevano cancellare il simbolo degli antichi avversari. Nella distruzione furono risparmiati parte dei muraglioni laterali e la Torre dei Diamanti (oggi la struttura meglio conservata), costruita con pietre riquadrate e sfaccettate a punta di diamante, che volge uno spigolo acuto, simile allo sprone di una nave, verso mezzogiorno, essendo costruita su pianta triangolare curvilinea. Si tratta di un ottimo esempio di architettura militare del tardo Medioevo. Molti materiali originari del castello, travature, pietre e colonne, furono utilizzati nel corso del tempo per l'edificazione di chiese, portali e ville finalesi. La visita è in programma domenica 6 maggio con partenza alle ore 15.30 e il ritrovo è presso il cortile interno del castello (Località Perti Alto). Il costo della visita è di € 5,00 Per info e prenotazioni (obbligatorie) 347 082.88.55 e 019/690.112 Le prossime Visite Guidate sono in programma alle ore 15.30 nei giorni: Domenica 20 maggio 2018, Domenica 3 giugno 2018, Domenica 17 giugno 2018

 

 

I patti segreti tra il Generale Franco e Hitler
Da leggotenerife.com del 1 maggio 2018

Cosa nasconde il super bunker di Las Palmas
A testimoniare che tra il Generale Franco e Hitler intercorsero accordi segreti, rimangono oggi diversi bunker realizzati dai nazisti sulle isole Canarie, dove la presenza militare tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale era piuttosto radicata. A partire dal 1941 fino al 1944 la Germania di Hitler cominciò proprio nell’Arcipelago ad eseguire infrastrutture, subappaltate dal generale Franco al Terzo Reich, affinché potesse uscirne rinforzata nell’area dell’Atlantico; non solo quindi una costante presenza aerea a Gran Canaria e Tenerife, bensì un via vai frenetico di tecnici in grado di realizzare opere di ingegneria progettate al millimetro, come il super bunker di Manuel Lois a Las Palmas, dove i nazisti controllavano già settori come quello della produzione di energia elettrica nella vicina spiaggia di Las Canteras. Sotto ad un ingente strato di terra, venne creata una vera e propria città d’ispirazione germanica, costituita da una rete sotterranea in possesso di tutti i servizi adatti per resistere ad un eventuale attacco degli Alleati, incluse infrastrutture per il trasporto di merci e munizioni. Iniziato nel 1941, il super bunker venne realizzato con l’ausilio di una potente luce proveniente dal motore di una imbarcazione, oggi esposta nel Museo Elder di Las Palmas; con i suoi spessi muri di cemento e i 168.500 metri quadrati che consentivano le manovre di grossi camion, con i suoi alloggi di 12 metri di larghezza per 48 di lunghezza per il personale e magazzini di 10 metri di altezza, questo è indubbiamente uno degli spazi militari più formidabili mai realizzati nelle isole e a tutt’oggi una delle più resistenti fortezze. Ma sulla nascita del super bunker aleggia ancor oggi un mistero, legato agli sforzi che il generale Franco fece per dilatarne i tempi di realizzazione, tanto da risultare operativo solo nel 1944, quando cioè non esistevano più i presupposti per utilizzarlo da parte dei tedeschi ormai sconfitti. Le ragioni per cui Franco scelse di ritardare i lavori non sono ancora chiare ma è sicuramente un fatto reale quello che accadde a Madrid, quando il generale si rese conto dell’eccessiva presenza dei tedeschi sulle isole e soprattutto del crollo mentale di Hitler all’inizio della realizzazione del bunker. In questo Franco ebbe una vera intuizione, dimostrata poi dalla celebre operazione Pilgrim ad opera dei britannici a favore delle Canarie, affinché i nazisti lasciassero l’Arcipelago ormai saturo di aerei, sottomarini e armi del Terzo Reich. Così come non fu mai ben chiara la missione di questa imponente fortezza che, insieme ad altre similari ma meno faraoniche, i nazisti cominciarono ad erigere a partire dal 1940 in tutti i paesi considerati loro alleati. I consiglieri del Führer, gli ammiragli Hermann Boehm e Erich Raeder, conoscevano bene le isole Canarie ma pare che avessero sempre suggerito a Hitler di non utilizzarle a causa di un atteggiamento un poco ambiguo da parte del generale Franco, che avrebbe potuto mettere in pericolo la comunità tedesca residente nell’Arcipelago, di fatto costituita da spie naziste incaricate di trasmettere informazioni a Berlino sul ruolo del Regno Unito nelle acque canarie. Un altro mistero riguarda la costruzione del bunker, per il quale vennero utilizzate 35mila tonnellate di cemento in uno spazio pari a più di 20 campi da tennis, materiale la cui provenienza ancora oggi è sconosciuta. Il bunker, che avrebbe potuto rilevare navi a distanza di 80 km da Las Palmas, aveva le pareti leggermente inclinate in caso di attacco aereo. Gli ingegneri militari che lo progettarono, sfruttarono la temperatura di 15 gradi per convezione naturale presente nel sottosuolo che un sistema di ventilazione favoriva asciugando l’umidità dell’aria e le pareti di cemento; la ditta costruttrice Krupp aveva realizzato invece un sistema particolare per mantenere migliaia di proiettili e proteggere gli occupanti da eventuali gas tossici. L’acqua proveniva dall’esterno e all’interno potevano essere ospitati ufficiali di alto rango per un lungo periodo di tempo; la difesa aerea era garantita da più di 50 aerei situati alla base di Gando, a Gran Canaria, e una rifornita cucina permetteva la sopravvivenza ad una numerosa guarnigione. E di tutto questo immenso lavoro sotterraneo, oltre al sito in sé, rimangono documenti come quello firmato da Franco per la creazione del Tercio de Canarias, per intervenire in caso di bisogno a supporto con un battaglione di difesa antiaerea, o come quello dell’accordo per il personale da mettere a disposizione delle esigenze delle flotte naziste, ma non è mai stato ritrovato quello puramente economico e quindi relativo ai fondi utilizzati per l’esecuzione del super bunker. di Ilaria Vitali

 

 

Rievocazione Opera Sesta: suggestiva anteprima
Da vocedimantova.it del 30 aprile 2018

Ponti s/M - Duecento spettatori paganti hanno potuto vivere, sabato 26 aprile, l’esclusiva anteprima di Opera Sesta, l’imponente rievocazione storica delle Guerre d’Indipendenza all’interno di Forte Ardietti che quest’anno si terrà dal 31 agosto fino al 2 settembre. L’iniziativa è stata promossa dalla Pro Loco di Ponti sul Mincio in sinergia con l’Associazione Cultura e Rievocazione Imperi con rievocatori in costume dell’epoca ed allestimenti rappresentanti usi e costumi risorgimentali. Gli ospiti sono stati accolti con una inattesa imboscata, salvati e portati nel Forte da soldati austriaci e all’interno della struttura condotti in una visita guidata prima della grande lezione storica tenuta dallo storico e scrittore Alessandro Barbero. Grazie al clima mite, i duecento partecipanti si sono raccolti all’interno dello spazio aperto del Forte assistendo per quasi due ore al racconto dello storico sugli eventi principali della Prima Guerra d’Indipendenza. Barbero, collaboratore di RaiStoria, è noto per la sua capacità di divulgare la storia con grande passione, con semplicità, coinvolgendo lo spettatore nel racconto, sostenendo che la cultura storica serve ad aprire la mente, sviluppando uno spirito critico oggi quanto mai necessario. Sabato sera, a conclusione della lezione, il pubblico gli ha riservato un lungo applauso di apprezzamento. Opera Sesta, non è altro che il primo nome di Forte Ardietti: Werk VI. L’evento richiede più di un mese di lavori per l’allestimento degli spazi fedelmente riprodotti. Coinvolge più di 150 rievocatori, ricostruttori storici provenienti da tutta Europa. Daniela Rebecchi

 

 

Scopri l'Europa obiettivo lavoro: NCIA SATCOM GROUND STATION F14
Da malignani.ud.it del 27 aprile 2018

Foto eseguita da un drone della Base di Lughezzano

Martedì 10 aprile gli studenti delle classi 5^ELI A e 4^TEL B hanno visitato il Sito Satellitare NCIA SGS F14 di Lughezzano - Verona. Gli allievi sono stati calorosamente accolti dal comandante della base, Tenente Colonnello Diego Fasoli che, assieme al Colonnello Giovanni Basile e al SGS F14 Public Affairs Officer Luca Campanile, hanno illustrato le caratteristiche tecniche e i vari lavori di ampliamento che l'hanno interessata.

Lo staff della base ha illustrato nel dettaglio le caratteristiche tecniche e impiantistiche del nuovo sito satellitare d'avanguardia. Gli studenti hanno potuto avere delucidazioni riguardo le funzionalità dei diversi apparati e, inoltre, hanno potuto vedere direttamente il cantiere e la messa in posa dell'innovativo sito satellitare.
Gli allievi hanno potuto, inoltre, assistere a una descrizione tecnica dei sistemi di trasmissione satelitare tenuta dal Site Engineer - NATO SATCOM Ground Segment, F14 Csaba Grunda in lingua inglese, ovviamente lingua ufficiale per il personale Nato. Il progetto prevede l’installazione di altre tre parabole, oltre a quella già esistente, una ha il diametro di 12 metri, come quella già presente e due di 16 metri, per poter rendere la stazione “flessibile” alle esigenze dell’Agenzia.
Questo porterà alla creazione di una nuova base NATO molto attrezzata, adeguata all’attuale evoluzione della componente trasmissiva e tecnologica e seguita da personale esperto. La realizzazione di questo progetto è stata affidata alla SELEX (ora LEONARDO Lt), realtà industriale globale nel settore dell’alta tecnologia e protagonista chiave nell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza.
La Stazione Satellitare nasce negli anni ’60 e viene costruita nel 1978, diventando operativa nel 1985. Lo scopo principale è quello, fin dalla sua origine, di mettere in comunicazione l’Italia con gli altri paesi membri della NATO.
Insieme a quella di Kester, in Belgio, la base di Lughezzano è una delle poche stazioni satellitari fisse attive nel nostro Continente.
Dagli anni ’90 lo scenario geopolitico si è modificato e di conseguenza anche la NATO, la quale ha intrapreso un rinnovamento dell’assetto operativo.
Si ringraziano: il comandante Ten. Col. Diego Fasoli, il Col. Giovanni Basile, il SGS F14 Public Affairs Officer Luca Campanile, il Site Engineer - NATO SATCOM Ground Segment F14 Csaba Grunda e tutto il personale della base che si è prodigato per rendere la visita indimenticabile e piacevole. Un particolare ringraziamento anche al Dott. Enzo Buiatti che ha organizzato questa interessante visita. Arrivederci a presto, per vedere il sito satellitare in azione.

Ecco i link dell’evento:

https://twitter.com/NCIAgency
https://www.facebook.com/NATO.NCIAgency/
https://www.linkedin.com/feed/update/urn:li:activity:6389806631009550336
https://www.linkedin.com/company/2609111/
https://www.ncia.nato.int/NewsRoom/Pages/180410-SGF14_opens_to_school.aspx
https://t.co/zXpQFRwnWO

 

 

Il Forte di Vinadio  riapre con un nuovo percorso virtuale nel segno del giallo
Da cuneodice.it del 26 aprile 2018

Domenica 6 maggio, in occasione della riapertura del Forte di Vinadio, la Fondazione Artea,il Comune di Vinadio e l’Unione Montana Valle Stura presentano la seconda postazione di Vinadio Virtual Reality (VVR), “Giallo Forte”, che per tutta la giornata inaugurale, dalle 10 alle 19, sarà fruibile gratuitamente. Ampliata rispetto al passato a comprendere tutto il mese di maggio, la nuova stagione presenta dunque un’importante novità, che ancora una volta offre al visitatore la possibilità di esplorare la storia attraverso gli strumenti della contemporaneità. Per tutto il mese di maggio si potrà visitare il Forte ogni domenica, dalle 10 alle 19, mentre a giugno, oltre alla domenica, sarà aperto anche il sabato dalle 14,30 alle 19. Si proseguirà fino a fine ottobre con orari specifici per ciascun periodo. L’offerta per la stagione 2018 comprende il tradizionale itinerario storico con visita guidata, i percorsi multimediali ”Montagna in movimento” e “Messaggeri alati” e le postazioni di “Vinadio Virtual Reality” (VVR). Diverse sono anche le opzioni di ingresso: “Montagna in movimento” e “Messaggeri alati” al costo di 7 euro intero e 5 ridotto; “Messaggeri alati” e visita guidata al Forte a 6 euro intero e 4 ridotto; l’esperienza virtuale “VVR” al prezzo di 4 euro, oppure il cumulativo dell’intera offerta a 10 euro intero e 8 ridotto. Sono previste aperture straordinarie e tariffe speciali per gruppi e scuole. Per informazioni rivolgersi a info@fortedivinadio.it, tel. 340 4962384. Alla base della nuova esperienza di realtà virtuale proposta, “Giallo Forte”, c’è una spy story, un vero e proprio intrigo internazionale, che conduce il visitatore a scoprire il forte con la guida della voce narrante dell’ufficiale “incriminato”. Lo spunto viene dal ritrovamento negli archivi militari presso il Château de Vincennes a Parigi, di alcune fotografie scattate a fine Ottocento da un ufficiale di presidio al forte. Di qui si dipana il giallo… qual è la vicenda per cui queste foto sono finite in mano ai francesi? “Giallo forte” è la seconda postazione di “Vinadio Virtual Reality”, progetto promosso dall’Unione Montana Valle Stura e finanziato della Fondazione CRT sul bando Esponente 2017. Va ad aggiungersi a “Volo libero sul forte”, simulazione di un volo alla scoperta di scorci architettonici e di zone particolari utilizzate da soldati e civili durante la Grande Guerra. Oltre alle nuove postazioni di realtà virtuale, il Forte ospita i percorsi multimediali “Montagna in movimento. Percorsi multimediali attraverso le Alpi Meridionali”, esposizione di grande fascino visivo che, attraverso proiezioni video e installazioni multimediali interattive, racconta gli aspetti fondamentali della vita alpina, e “Messaggeri alati. La colombaia militare del Forte di Vinadio”, mostra dedicata alla colombaia militare presente nel forte fino al 1944, testimonianza storica e multimediale delle trasmissioni dell’esercito. Entrambi i percorsi presentano la montagna nel suo carattere più dinamico, come un mondo caratterizzato lungo tutto il corso della storia da un continuo e fecondo andirivieni, punto di partenza e di arrivo di popoli, idee, arti, mestieri, innovazioni. Nei giorni di apertura è sempre disponibile il servizio di visita guidata alla scoperta della storia e dell’architettura del Forte con l’accompagnamento del personale specializzato.

 

 

Dentro il Forte Bormida dimenticato
Da alessandrianews.it del 24 aprile 2018

ALESSANDRIA - Ci siamo stati, con l'aiuto di una guida esperta, e la prima cosa che teniamo a sottolineare è che non è il caso di recarcisi da soli. Quello che vi proponiamo oggi è un tour completo del Forte Bormida, struttura demaniale a pochi passi dalla città che è ormai evidentemente abbandonata a se stessa, come purtroppo accade a tanti beni in Italia. I punti di accesso alla struttura purtroppo, nonostante il cancello risulti chiuso, sono diversi, con buchi nella recinzione facili da trovare. Giunti all'interno le prime costruzioni ad accoglierci, fra una vegetazione decisamente fitta, sono di più recente edificazione: magazzini perlopiù, oggi diventati luoghi in cui ammassare materiali da "far sparire", come tubi in amianto, assi di legno, rifiuti di vario genere. La nostra visita si è articolata superando il ponte di accesso alla struttura (che è in buona parte marcio e rappresenta un grande pericolo, visto che è costellato di buchi che rischiano di far cadere le persone diversi metri al di sotto), lungo il posto di guardia, fino all'ex polveriera e alla struttura principale del forte, un tempo articolata su 2 piani, dei quali solamente il primo risulta ancora accessibile dalle scalinate poste ai due estremi. A pochi passi da lì si trovano gallerie, un tempo probabilmente utilizzate per i cannoni posti a difesa del forte, che nel tempo sono diventate luogo di esercitazione e poligono di tiro, come appare evidente dai tanti segni di proiettile che costellano la zona. Un po' di storia Il Forte Bormida, costruito a metà '800, si inserisce in un sistema di fortificazioni che avevano il compito di difendere Alessandria su più lati. Oltre alla più famosa Cittadella (che è settecentesca) fanno parte del complesso protettivo anche il Forte Ferrovia (anche chiamato Forte Guercio, anch'esso da tempo abbandonato e oggi occupato da alcune persone che lì si sono stabilite abusivamente) e il Forte Acqui, recentemente recuperato dal Comune almeno nella sua parte più agibile per la costruzione di orti urbani e progetti di rilevanza sociale. Il forte Bormida copre una superficie totale di circa 250 mila metri quadrati ed è composto da una fortificazione e dal suo relativo mastio che, unitamente ai terreni adiacenti, doveva garantire la difesa da sud-est alla città di Alessandria. In passato la struttura è stata utilizzata come carcere provvisorio per soggetti 'rivoltosi', come testimoniato anche dalle cronache del tempo. E proprio le celle sono fra i luoghi più affascinanti del Forte, ancora piene di scritte realizzate da coloro che lì vennero imprigionati. Il bene è di proprietà del Demanio, ma nel 2013 il Comune sondò il terreno per ottenerne un affidamento gratuito, nel piano del federalismo demaniale, insieme a 9 altri beni (come la caserma Valfré e la zona dell'aeroporto, che sarebbe dovuta diventare un grande parco cittadino, intitolato a Gandhi). Il Demanio espresse parere favorevole alla cessione nel 2014, ma la delibera comunale per perfezionare la cessione non è mai arrivata. Fra gli emendamenti al Programma di Mandato della Giunta guidata da Gianfranco Cuttica il Consiglio Comunale (contro il parere della Giunta) ha deciso di inserire l'impegno da parte dell'Amministrazione per tornare a studiare la situazione e ragionare, insieme con Demanio e Regione, di un progetto di recupero dei Forti alessandrini, considerandolo un patrimonio importantissimo per Alessandria, da recuperare e valorizzare. Ecco, grazie alle riprese e al montaggio di Alessandro Bolzonaro, il video della nostra visita all'interno del Forte. In allegato all'articolo è presente anche il completo tour fotografico degli spazi, composto da 100 immagini. Spesso, nel realizzarlo, abbiamo avuto l'impressione di trovarci in effetti in una piccola Cittadella, potendo riconoscere, pur nelle differenze legate all'epoca costruttiva, un filo rosso facilmente individuabile e intrinseco nell'obiettivo difensivo e nell'impianto militare della struttura, che, ovviamente, meriterebbe un pieno recupero.Invitiamo comunque vivamente i nostri lettori a non recarsi presso la struttura, prima di tutto per salvaguardare la propria incolumità.

NB: Nonostante la scritta sovraimpressa e l'evidente somiglianza con l'ingresso del forte ci è giunta segnalazione che la cartolina storica a corredo dell'articolo potrebbe  rappresentare in realtà la Porta Marengo di Alessandria e non del Forte Bormida.

 

 

Cagliari, domenica  visite guidate nel mega deposito sotterrano di carburanti dell’Aeronautica
Da  castedduonline.it del 24 aprile 2018

Apriranno domenica 29 aprile dalle ore 9 alle 18 i monumenti di Cagliari sotterranea e, in particolare, il mega deposito sotterraneo di carburanti dell’Aeronautica militare. Una iniziativa attesissima realizzata da un sodalizio di associazioni culturali ma a numero chiuso, per motivi di sicurezza. Un evento di sicuro interesse, essendo, il deposito, un luogo ancora sconosciuto ai più seppur situato sotto una zona di grande bellezza della città, tra lo stagno di Molentargius ed il parco di Monte Urpinu.

Incantevole gioiello di architettura militare, il complesso dei passaggi segreti verrà illuminati e illustrato dalle guide esperte. Fervono in questi giorni i preparativi e i lavori di pulizia portati avanti, proprio oggi, dai numerosi volontari di Sardegna Sotterranea, dei City Angels, della Scuola liceo scientifico Michelangelo. Domenica 29 sarà infatti possibile accedere ad un tratto di gallerie lunghe circa 1 chilometro, con gli speleologi esperti, ma anche gli alunni delle scuole che si metteranno in gioco. Ai partecipanti è richiesta: una fonte di luce individuale e scarpe comode e pratiche, meglio se da trekking. Cancelli aperti dalle ore 9 alle 12 e dalle 15 alle 17 solo per chi si prenoterà tramite il web portale: www.sardegnasotterranea.org

 

 

La nostra visita ai Bunker Breda
Da dailysestonews.net del 24 aprile 2018

Domenica 15 aprile abbiamo partecipato alla visita ai Bunker Breda presso il Parco Nord Milano. È stato un viaggio emozionale notevole perchè abbiamo potuto ripercorrere, mediante le parole ed i racconti della guida Egle Varisco e le foto esposte nei bunker, la storia di luoghi che non devono essere dimenticati. I bunker antiaerei sono dei luoghi che trasudano storia e meritano di essere visitati perchè trasmettono, anche a distanza di molti anni dal periodo bellico, l'atmosfera che si respirava negli anni della guerra.

È importante capire i periodi bui per poter apprezzare e valorizzare la nostra quotidianità. Sono molto importanti le parole di Liliana Segre (reduce dell'Olocausto e testimone vivente degli orrori della guerra): "L'indifferenza è più colpevole della violenza stessa. È l'apatia morale di chi si volta dall'altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e altri orrori del mondo.

La memoria vale proprio come vaccino contro l'indifferenza. Coltivare la Memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l'indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare".

 

 

La tecnologia missilistica russa ha reso obsoleta la marina americana da un trilione di dollari
Da comedonchisciotte.org del 24 aprile 2018

I tempi sono cambiati e l’America non riesce più a proiettare la sua forza militare come aveva fatto in Iraq. Quei giorni sono finiti. 1. Per tutti gli ultimi 500 anni, le nazioni europee, il Portogallo, l’Olanda, la Spagna, la Gran Bretagna, la Francia e, per poco tempo, la Germania, sono state in grado di saccheggiare una buona parte del pianeta, proiettando oltremare la loro potenza navale. Dal momento che la maggior parte della popolazione mondiale vive sulle coste e commercia via mare, navi da guerra, sbucate di colpo dal nulla, potevano tenere alla loro mercé le popolazioni locali. Le armade potevano saccheggiare, imporre tributi, punire i riottosi, e poi usare i frutti di quei saccheggi e di quei tributi per costruire ancora più navi, aumentando così l’estensione dei loro imperi marittimi. Tutto ciò ha consentito ad una piccola nazione, con poche risorse naturali e scarse caratteristiche positive, che non andavano oltre una estrema testardaggine ed una pletora di malattie contagiose, di dominare il mondo per mezzo millennio. Gli ultimi eredi di questo progetto imperiale marittimo sono gli Stati Uniti, che, con l’aggiunta in tempi recenti della forza aerea e con la loro flotta di gigantesche portaerei e con il loro enorme complesso di basi militari su tutto il pianeta, dovrebbero essere in grado di imporre la Pax Americana al mondo intero.

O, piuttosto, sono stati in grado di farlo (solo) nel breve periodo di tempo intercorso fra il collasso dell’Unione Sovietica e l’ascesa di Russia e Cina al rango di nuove potenze globali, con l’acquisizione, da parte loro, di nuove tecnologie antiaeree ed anti-nave. Prima del collasso sovietico, l’esercito americano, di solito, non osava minacciare direttamente le nazioni a cui l’URSS aveva garantito la sua protezione. Nonostante ciò, usando la propria potenza navale per controllare le rotte di transito del greggio ed imponendone il commercio in dollari americani, [gli Stati Uniti] sono riusciti a vivere al di sopra dei propri mezzi vendendo titoli di debito denominato in dollari e costringendo le altre nazioni del mondo ad investire su di essi. Hanno importato tutto quello che volevano usando moneta a prestito, esportando contemporaneamente inflazione, espropriando i risparmi della gente in tutto il mondo. Nel frattempo, gli Stati Uniti sono arrivati ad avere un debito nazionale assolutamente stupefacente, oltre ogni cosa mai vista prima, in termini assoluti o relativi. Quando questa bomba del debito alla fine esploderà, spargerà la devastazione economica ben oltre i confini americani. Ed esploderà, una volta che la pompa dei petrodollari, imposta al mondo dalla superiorità navale ed aerea americana, smetterà di funzionare. La nuova tecnologia missilistica ha reso possibile sconfiggere un impero navale spendendo molto poco. Fino ad ora, per combattere una battaglia navale, bisognava disporre di navi che surclassassero quelle del nemico in velocità e potenza di fuoco. L’armada spagnola fu colata a picco da una armada inglese. Più di recente, ciò ha significato che solo quelle nazioni che disponevano di un apparato industriale paragonabile a quello degli Stati Uniti potevano anche solo pensare di contrastarli militarmente. Ma ora tutto questo è cambiato: i missili russi possono essere lanciati da migliaia di chilometri di distanza, sono inarrestabili, ne basta uno per affondare un incrociatore, solo due per una portaerei. Adesso si può colare a picco l’armada americana senza neanche averne una propria. Il rapporto fra le economie (o gli stanziamenti per la difesa) di America e Russia è irrilevante: i Russi possono costruire molti più missili ipersonici, molto più in fretta ed in modo molto più economico di quanto possano fare gli Americani con le portaerei. Ugualmente significativo è lo sviluppo delle nuove capacità della difesa aerea russa: i sistemi S-300 e S-400 che, in pratica, sono in grado di sigillare lo spazio aereo di una nazione. Ovunque vengano dispiegati questi sistemi, come in Siria, le forze armate statunitensi sono costrette a rimanere al di fuori della loro portata. Vista la rapida erosione della loro superiorità navale ed area, tutto ciò a cui gli Stati Uniti possono ora ricorrere militarmente è l’utilizzo di grossi corpi di spedizione, un’opzione politicamente sgradita e che ha già dato prova di inefficacia in Iraq ed in Afganistan. C’è anche l’opzione nucleare e, anche se non è prevedibile che l’arsenale nucleare possa essere neutralizzato in un prossimo futuro, le armi atomiche sono utili solo come deterrente. Il loro valore effettivo è quello di impedire che l’escalation bellica superi un certo limite, ma questo limite è oltre l’eliminazione della dominanza globale navale ed aerea americana.

Le armi nucleari sono molto peggio che inutili se servono solo ad aumentare la propria aggressività nei confronti di un oppositore che dispone di armi atomiche; sarebbe inevitabilmente una mossa suicida. Quello che gli stati Uniti si trovano a dover affrontare ora è essenzialmente un problema finanziario, dovuto ad un debito impagabile e ad una pompa della ricchezza che sta perdendo colpi e dovrebbe essere maledettamente ovvio che far scoppiare delle bombe atomiche da qualche parte nel mondo non risolverebbe i problemi di un impero che sta andando in bancarotta. Gli eventi indicatori di cambiamenti mondiali vasti ed epocali appaiono spesso insignificanti se visti al di fuori del loro contesto. Il passaggio del Rubicone da parte di Giulio Cesare era stato solo l’attraversamento di un fiume; l’incontro e la fraternizzazione delle truppe sovietiche ed americane sull’Elba era stato, relativamente parlando, un evento minore, neanche lontanamente paragonabile all’assedio di Leningrado, alla battaglia di Stalingrado o alla caduta di Berlino. Sono stati però il segnale indicatore di cambiamenti epocali nel panorama storico. E forse abbiamo assistito a qualcosa di simile, con la battaglia, pietosamente minuscola, del Gouta Orientale in Siria, dove gli Stati Uniti hanno utilizzato un fittizio attacco di armi chimiche come pretesto per lanciare un attacco, altrettanto fasullo, contro qualche base aerea ed alcuni edifici in Siria. Tutto l’apparato della politica estera statunitense ha voluto dimostrare di avere ancora una voce in capitolo ed un ruolo da interpretare, ma quello che è successo in realtà è stato solo la dimostrazione che la potenza aerea e navale degli Stati Uniti è assolutamente insignificante. Naturalmente, queste sono notizie terribili per l’esercito degli Stati Uniti e per l’apparato della politica estera, così come per tutti quei congressisti americani nei cui distretti operano fornitori di materiale bellico o sono dislocate basi militari. Ovviamente è anche una pessima notizia per i contractors della difesa, per il personale delle basi militari ed anche per tanti altri. E’ una notizia orribile anche dal punto di vista economico, dal momento che la spesa militare è l’unico stimolo economico di una certa efficacia che il governo degli Stati Uniti è politicamente in grado di attuare. Gli “shovel-ready jobs” [posti di lavoro per progetti immediatamente cantierabili] di Obama, se vi ricordate, non avevano fatto nulla per prevenire la caduta del tasso di partecipazione al lavoro, un eufemismo per indicare l’inverso del tasso di disoccupazione reale. C’è anche il meraviglioso progetto di coprire di soldi lo SpaceX di Elon Musk (continuando allo stesso tempo a comprare i motori razzo, di importanza vitale, dai Russi, che però stanno ora pensando di bloccare le loro esportazioni verso gli Stati Uniti, come ritorsione per le ulteriori sanzioni americane). In breve, togliete lo stimolo delle spese militari, e l’economia degli Stati Uniti farà un sonoro “pop!” seguito da un lento sibilo. Non c’è bisogno di dire che tutte le persone coinvolte faranno del loro meglio per negare o celare il più a lungo possibile il fatto che la politica estera americana e l’apparato della difesa sono stati neutralizzati. La mia previsione è che l’impero navale ed aereo americano non cadrà per una sconfitta militare e neppure, una volta che ne sia stata compresa l’inutilità, verrà smantellato; sarà invece costretto a ridimensionare le sue operazioni a causa della carenza di fondi. Ci potrà essere ancora qualche sonoro “bang” prima che si arrenda, ma quello che udremo sarà sopratutto un sacco di piagnistei. Così se ne andò l’Unione Sovietica, così se ne andranno anche gli Stati Uniti. Dmitry Orlov

 

 

Riapre il bunker dei Savoia a Villa Ada
Da romatoday.it del 24 aprile 2018

Dal 25 aprile riapre  il Bunker di Villa Ada Savoia. Mercoledì per 5 ore si potrà effettuare una visita (NON GUIDATA) scoprendo la storia e le tante curiosità del bunker grazie ai numerosi pannelli e alle informazioni contenute nel documento che sarà consegnato all'ingresso. Fra le novità, la possibilità di vedere la copertura in cemento armato e mattoni completamente liberata dalla vegetazione, oltre a importanti documenti d’archivio recentemente ritrovati, grazie ai quali è stato possibile risalire al periodo di realizzazione, al costo e alla ditta appaltatrice dei lavori bunker. Alle 15 e alle 18 un quartetto musicale eseguirà musiche degli anni ’30- ’40. Dal 28 poi aprile inizieranno poi le visite guidate. La gestione del bunker Una riapertura che avviene a seguito della firma, il 22 marzo scorso, della convenzione per la gestione congiunta dei bunker di Villa Ada - Savoia e di Villa Torlonia per i prossimi tre anni tra la Sovrintendenza Capitolina e l’Associazione Roma Sotterranea, aggiudicataria del bando pubblico indetto nell’agosto 2017. Il recupero Mentre per i bunker di Mussolini a Villa Torlonia sono ancora in atto gli interventi di recupero e riallestimento, il rifugio antiaereo dei Savoia, immerso nella fitta vegetazione del grande parco di Villa Ada, il 25 aprile tornerà fruibile al pubblico in tutto il suo fascino storico e riaprirà con due importanti novità: il recupero dello scudo antiaereo posizionato al di sopra del bunker che, liberato dalla vegetazione che lo avvolgeva e non permetteva di apprezzarne la struttura, entrerà a far parte del circuito di visita e l’esposizione della riproduzione dei documenti inediti che attestano l’esatta data di inizio e di fine lavori, la ditta che costruì il bunker ed il costo dell’intero lavoro. L'evento di mercoledì 25 aprile. Visite guidate dal 28 aprile Per la riapertura è stato previsto un evento straordinario: ingresso senza prenotazione dalle 14.00 alle 19.00 a 5€ (bambini sotto i 10 anni gratis). La visita sarà libera e non guidata. Alla riapertura sarà presente un quartetto della compagnia musicale “Teatro Oltre” composto da clarinetto, fisarmonica, contrabbasso e trombone che, alle 15.00 e alle 18.00, eseguirà canzoni degli anni ’30- ’40. A partire dal 28 aprile, il rifugio dei Savoia sarà poi aperto al costo di 10€ a persona, con visite guidate a prenotazione obbligatoria, della durata di 1 ora e mezza secondo un calendario di volta in volta pubblicato sul sito www.bunkervillaada.it. Sarà comunque possibile prenotare visite guidate al di fuori degli orari programmati per gruppi da un minimo di 10 a un massimo di 20 persone. Durante la visita guidata sarà proiettato un breve documentario di 10 minuti realizzato ad hoc dal noto documentarista e regista Fabio Toncelli. Infine, all’interno del bunker si riproporranno mostre d’arte e spettacoli teatrali di rievocazione storica e collaborazioni con altre Associazioni.

 

 

Festa della Liberazione, visita alle fortificazioni della Linea Gotica di Borgo a Mozzano
Da lagazzettadilucca.it del 23 aprile 2018

In occasione della Festa della Liberazione, il 25 aprile Turislucca propone la visita guidata alle fortificazioni della Linea Gotica di Borgo a Mozzano. Questa incredibile linea difensiva, costruita tra il 1943 e l'estate del 1944 dai comandanti dell'esercito tedesco, è rimasta qui pressoché intatta: le opere fortificate sono numerose e in buono stato di conservazione. Il muro anticarro che delineava il fronte, le gallerie, i bunker e le piazzole di tiro, perfettamente conservate e agevolmente visitabili, consentono al visitatore di conoscere e comprendere più da vicino un passaggio cruciale della II° guerra mondiale. L'obiettivo di Turislucca, membro ufficiale della Fondazione europea Liberation Route Europe, è quello far conoscere i luoghi della memoria, sottolineando il ruolo della riconciliazione internazionale, facendo riflettere sul valore delle libertà duramente conquistate e sul significato dell'attuale Europa unita. Quale miglior data se non quella del 25 aprile per farlo? I partecipanti alla visita guidata dovranno essere automuniti poiché gli spostamenti avverranno tramite auto privata. Il tour prevede infatti la visita guidata al Museo della Memoria, lo spostamento ai bunker presenti sulla via Lodovica e il trasferimento alle fortificazioni di Anchiano. Ritrovo alle ore 10,00 presso il Museo della Memoria in Piazza Marconi a Borgo a Mozzano. Costo: Euro 10,00 – visita gratuita per gli under 14 se accompagnati da un adulto pagante. Durata della visita: 2 ore ½ circa. Prenotazione obbligatoria tramite email a turislucca@turislucca.com

 

 

Roma, museo e  agenti segreti: a Forte Braschi l’Intelligence apre alle scuole
Da il corriere.it del  21 aprile 2018

Il trombettiere  dell’Esercito suona il silenzio nel piazzale di Forte Braschi. Davanti a lui i ceppi che ricordano i quattro agenti dell’Intelligence caduti in servizio fra il 1993 e il 2010 - Vincenzo Li Causi, Nicola Calipari, Lorenzo D’Auria e Pietro Antonio Colazzo - durante missioni in Somalia, Iraq e Afghanistan. Gli studenti del Convitto Nazionale ascoltano con trepidazione. Sono loro i primi in assoluto, in tutta Italia, a varcare la soglia della storica sede dei servizi segreti, in particolare dell’Aise, l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna. Gli alunni della V liceo hanno avuto la possibilità ieri mattina di visitare il neonato Museo del Forte, in una delle gallerie che collega la Piazza d’Armi con il fossato perimetrale, passando per la mezza caponiera di sinistra, ovvero uno dei vertici bastionati del complesso, costruito fra il 1877 e al 1891 come caposaldo della Città Eterna, chiamato per questo il «Campo trincerato di Roma». Nel museo spicca la macchina Enigma usata dai servizi tedeschi nella Seconda guerra mondiale per le comunicazioni dell’esercito e della marina, poi caduta nelle mani degli inglesi che in questo modo riuscirono a decifrare i messaggi del nemico. Ma ci sono anche apparecchi da 007 che hanno fatto la storia dello spionaggio: la Hagelin americana, le fotocamera Tessina e Minox - quest’ultima di appena 8 centimetri -, il ricevitore radio Collins 51S-1, usato anche per il programma spaziale Apollo, e il registratore audio a nastro magnetico Uher. Il Forte - dove vige la massima sicurezza, con agenti sparsi ovunque, in collegamento radio, telecamere e zone inaccessibili - è anche pieno di curiosità storiche, dai muri alla Carnot (con nicchie e feritoie) alle iscrizioni dei soldati sulle pareti (nomi e cognomi), al costo totale dell’opera: 978 mila lire, oggi quasi quattro milioni e 300 mila euro. Ma Forte Braschi, dove il benvenuto agli studenti è stato dato dal direttore dell’Aise Alberto Manenti (Alessandro Pansa è invece il direttore generale del Dis, il Dipartimento per le informazioni della sicurezza, e Mario Parente dell’Aisi, l‘Agenzia informazioni e sicurezza interna), è anche altro: c’è esposta la Toyota dove è stato ucciso Calipari, medaglia d’oro al valor militare, già funzionario della Squadra mobile di Roma, poi liberatore a Bagdad della giornalista Giuliana Sgrena, rapita dai terroristi nel 2005. E ci sono anche lo studio protetto riservato al premier in caso di emergenza, e la sala situazione intitolata all’ammiraglio Fulvio Martini, nome in codice «Ulisse». agente segreto e direttore del Sismi. Gli studenti hanno visto e sentito tutto. Sono stati anche sensibilizzati sull’iniziativa «Be aware, be digital», promossa dall’Intelligence con il video spot del giovane youtuber romano Claudio Colica, sulla consapevolezza di un uso sicuro di internet e dei social. E hanno assistito alla neutralizzazione di un ordigno esplosivo con un robot speciale.

 

 

La diplomazia americana dei missili Cruise
Da il comedonchisciotte.org del 19 aprile 2018

FONTE: STATISTA.COM
L’ultimo attacco missilistico da crociera ordinato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato nel fine settimana scorso contro i bersagli siriani era già il terzo del suo genere – e si basa su una lunga tradizione di attacchi missilistici concertati e condotti dai militari degli Stati Uniti. Questa volta, le forze armate britanniche e francesi hanno sparato alcuni dei loro missili a sostegno. I missili lanciati in rappresaglia del regime siriano che presumibilmente ha utilizzato una qualche forma di agente chimico il 7 aprile, contro la resistenza dei ribelli rintanati a Douma, un sobborgo della capitale Damasco. Nelle prime ore di sabato (ora locale), oltre un centinaio di missili da crociera sono stati lanciati da navi e aerei contro impianti di produzione di armi chimiche siriane.

L’infografica sottostante mostra che i missili da crociera sono stati impiegati regolarmente dalle forze armate degli Stati Uniti sin dal loro primo schieramento durante la Guerra del Golfo del 1991. Con circa 210 missili, la Siria si sta avvicinando al secondo territorio più bombardato dai missili, l’ex Jugoslavia ( 220 strikes), ma resta ancora indietro rispetto all’Iraq, sul quale sono stati lanciati almeno 1.600 missili in totale. Nella sua tesi del 1997, Timothy Sparks definisce questi strikes un “ mezzo per fornire un colpo militare per ottenere un guadagno politico” e “uno strumento per l’esecuzione della politica estera degli Stati Uniti”. In questo senso, si dice che il missile da crociera abbia sostituito la cannoniera. Quindi, il termine “diplomazia da cannoniera” può essere modificato in “diplomazia missilistica da crociera”.

 

Il fiasco missilistico di Trump. Il Pentagono si è accordato con Mosca su quali obiettivi colpire?
Da il comedonchisciotte.org del 19 aprile 2018

I missili in Siria del 14 aprile servivano a mettere a tacere i critici del presidente. Gli attacchi, coordinati con Mosca, non hanno fatto fuori alcuna truppa da combattimento russa, siriana, iraniana o di Hezbollah. Non hanno ucciso alcun civile siriano. Non hanno ostacolato l’offensiva militare dell’esercito siriano e non hanno annullato alcuna delle recenti conquiste territoriali a Ghuta est. Non hanno neanche distrutto alcuna infrastruttura critica. In pratica, gli attacchi non hanno portato a nulla, se non, forse, a calmare temporaneamente i guerrafondai media occidentali ed i loro burattinai. Il fatto che Trump si sentisse obbligato a lanciare gli attacchi addirittura prima che gli ispettori dell’OPCW avessero raggiunto Damasco, dimostra che a Washington non sente neanche più il bisogno di giustificare le sue aggressioni criminali. Le accuse infondate contro Assad provengono da organizzazioni legate ai jihadisti sul campo, noti per le loro false flag. Non sprecheremo il nostro tempo a parlare di queste assurdità. Basti dire che le informazioni di queste organizzazioni, finanziate dagli americani, sono invariabilmente inaffidabili. Il loro unico compito è creare una scusa per sempre maggiori carneficine. Per quel che riguarda le armi chimiche: l’intero stock è stato distrutto nel 2014, come da accordo tra Stati Uniti e Siria. Secondo Ahmet Uzumcu, direttore generale dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche: “Mai prima d’ora un intero arsenale di una categoria di armi di distruzione di massa è stato rimosso da un paese che stava vivendo uno stato di conflitto armato interno; e la cosa è anche avvenuta in tempi ristretti”. In altre parole, le armi chimiche di Assad non esistono, come quelle di Saddam o come il programma nucleare iraniano.

Tutte e tre sono mere invenzioni delle élite occidentali, in cerca di una scusa per saccheggiare e controllare le nazioni situate strategicamente in Medio Oriente. Alcuni lettori ricorderanno che Trump ha rivelato tacitamente le sue motivazioni per gli attacchi in un tweet scritto pochi giorni prima dell’incidente. Ecco cosa aveva detto l’11 aprile: “Gran parte dei cattivi rapporti con la Russia è causata dall’indagine in corso, guidata da lealisti Democrat e da gente che aveva lavorato per Obama. Mueller è il più corrotto di tutti (a parte Rosenstein e Comey). Non c’è stata alcuna collusione!” – The Real Donald Trump Quel che Trump sta dicendo è che il suo vero nemico è Mueller, non Putin. Sono Mueller, i pezzi grossi Dem ed i media che fomentano questa russofobia isterica. E questo è ciò che ha accelerato lo scenario ‘wag the dog’ svoltosi il 14 aprile. Con quella mossa, il presidente ha cercato di alleggerirsi dei nemici, incenerendo alcuni edifici vuoti in Siria. Ed aveva quasi funzionato, se non che ora stanno iniziando a venir fuori informazioni che potrebbero danneggiare sia lui che i suoi principali luogotenenti. Quali informazioni? Il Pentagono ha aperto un’indagine sull’efficacia degli attacchi missilistici. I piani alti sono visibilmente preoccupati per i report provenienti da Mosca, secondo i quali le difese aeree russe hanno intercettato 71 dei 103 missili lanciati. Ecco un estratto da un articolo su Southfront: “Fonti informate vicine al Pentagono dicono che l’esercito americano sta per lanciare un’indagine interna, per capire come le forze di difesa aerea siriane siano riuscite ad intercettare una parte dei missili usando i vecchi sistemi di difesa” (“Pentagon Is Concerned About Results Of Syria Strike, Prepares To Launch Internal Probe”, South Front). Ancor più inquietante è la notizia che il Pentagono si è accordato con Mosca sui siti che sarebbero stati presi di mira nell’attacco (il che spiegherebbe il motivo per cui non ci sono state vittime). Il Capo di Stato Maggiore Congiunto, generale Joseph Dunford, ha negato l’accusa, ma ci sono numerose dichiarazioni circolanti su Internet che sembrano credibili. Date un’occhiata a questo estratto di un articolo di The Hill: “Gli americani hanno chiamato i russi prima dei raid aerei di venerdì in Siria, ma non hanno detto loro quali obiettivi stessero prendendo di mira, ha detto venerdì sera il generale dell’esercito statunitense. ‘Abbiamo specificamente identificato questi obiettivi per limitare il rischio che forze russe rimanessero coinvolte, ed abbiamo usato i nostri soliti canali di de-escalation – quelli attivi questa settimana – per risolvere i problemi di spazio aereo’, ha detto Dunford in un briefing al Pentagono. ‘Non ci siamo accordati con i russi sugli attacchi, e non li abbiamo notificati loro… ‘Le uniche comunicazioni avvenute prima dell’attacco riguardavano la normale de-escalation dello spazio aereo’, ha affermato. “Non abbiamo coordinato gli obiettivi coi russi'”. (The Hill) Veramente? I russi non sono stati informati prima? Allora come si spiega questo estratto da RT: “‘Prima di colpire, gli Stati Uniti hanno chiamato la Federazione Russa per ridurre il pericolo di vittime civili o russe”‘ ha dichiarato Jon Huntsman, ambasciatore USA in Russia, sostenendo che ‘tutti gli obiettivi erano legati al programma illegale di armi chimiche di Assad’… L’ambasciatore americano in Russia ha dichiarato che gli attacchi sono stati coordinati con la Russia per evitare uno scontro più grande”. (RT) L’analista militare Publius Tacitus è ancor più esplicito in un post sul sito del colonnello Pat Lang, Sic Semper Tyrannis. Scrive: “Alla Russia è stato detto dove stavamo per colpire.

Questa a propria volta ha avvertito i siriani. Siriani e russi hanno evacuato personale ed attrezzature chiave dai siti bersaglio. Non abbiamo causato danni seri, è una fantasia totale”. Anche su Twitter fonti affidabili dicono che la Russia è stata informata in anticipo. Maxim A. Suchkov, analista politico e redattore russo di Al Monitor, scrive: “Gli USA dicono pubblicamente di non aver informato i russi, ma la (mancata) risposta russa indica diversamente, avendo del personale a Damasco ma non avendo attivato le difese aeree. Ciò suggerisce che fosse a conoscenza della posizione degli attacchi” (Twitter) Scrive Russian Insider: “Americani e russi si stanno parlando. Intensamente. Il portavoce di Putin ha detto alla stampa che la linea diretta tra i due eserciti è ancora attiva ed “utilizzata da ambo le parti”… Entrambe le parti hanno tracciato le proprie linee guida, e nessuna delle due sarebbe contenta di perdere la faccia. Trump ha detto che i missili stanno arrivando, mentre il generale russo Gerasimov ha promesso che sparerà a qualsiasi nave od aereo che possa mettere a rischio i propri uomini. In circostanze del genere, negoziare in anticipo i dettagli dell’attacco imminente è sia saggio che pragmatico… potrebbe essere l’unico ed il miglior modo per evitare che questo si trasformi in qualcosa di ancor più terribile… Ne dovremmo essere tutti grati…” (“US and Russia Are Talking Around the Clock to Choreograph Trump’s Coming Syria Strikes”, Russia Insider) Sono totalmente d’accordo con l’autore su questo punto. Se Dunford ha preso l’iniziativa e concordato con la Russia quali obiettivi bombardare, allora dovremmo essergli tutti grati. Potrebbe aver evitato un’altra guerra mondiale. Spero solo che il suo ruolo in questa faccenda non venga sbugiardato nell’imminente indagine del Pentagono. Dovesse essere così, dovrà sicuramente affrontare una severa punizione. In ogni caso, abbiamo capito che gli attacchi del 14 aprile sono stati una flessione di muscoli, per calmare i rivali interni di Trump, piuttosto che per punire Assad per dei crimini mai commessi (vale la pena ricordare che lo scorso anno, molto probabilmente, gli Stati Uniti hanno usato sostanze proibite nell’assedio di Raqqa). Il fatto che Putin abbia limitato la sua risposta ad una sbrigativa denuncia, suggerisce che Trump abbia raggiunto il suo obiettivo (cioè evitare la Terza Guerra Mondiale). Ecco parte di quanto detto dal presidente russo: “La Russia condanna con la massima fermezza l’attacco alla Siria, dove il nostro personale militare sta dando assistenza al legittimo governo nei suoi sforzi anti-terrorismo. Con le sue azioni, gli Stati Uniti rendono ancor peggiore la già catastrofica situazione umanitaria in quel paese. Gli americani, di fatto, assecondano i terroristi che stanno tormentando il popolo siriano da sette anni, provocando un’ondata di rifugiati in fuga da questo paese e dalla regione. L’attuale escalation intorno alla Siria è distruttiva per l’intero sistema delle relazioni internazionali” (Cremlino) Putin ha ragione. Il sostegno di Washington agli estremisti sunniti in Siria ha prolungato la guerra e trasformato il paese in una landa fumante. Sfortunatamente, non sembra che gli Stati Uniti getteranno la spugna a breve. L’aggiunta di falchi come Bolton e Pompeo alla squadra di sicurezza nazionale suggerisce anzi che Trump stia pianificando un’ulteriore escalation nel prossimo futuro. Il presidente si è allineato con la frangia dell’estrema destra sionista, che intende il conflitto come una guerra per procura contro l’Iran. Questa deve essere vinta, per stabilire l’egemonia regionale israelo-statunitense e mantenere una stretta sulle risorse vitali e sui corridoi degli oleodotti. L’attacco missilistico di Trump è solo una piccola scaramuccia in quella ben più ampia guerra. Mike Whitney Fonte: www.unz.com 

 

Mille visite al rifugio antiaerei
Da varesenews.it  del 17 aprile 2018

La giornata di  domenica 15 aprile scorso si è dimostrata particolarmente impegnativa sopratutto per il Gruppo Speleologico Prealpino, mobilitatosi per l’apertura e la gestione delle visite guidate al rifugio antiaerei ubicato sotto la collinetta dei Giardini Estensi, nel parco del municipio di Varese. Da alcuni anni a questa parte, infatti, il sodalizio in accordo con l’Amministrazione Comunale ha assunto l’incarico di gestire periodiche aperture dell’installazione sotterranea risalente al secondo conflitto mondiale, attrattiva che ogni volta richiama sul posto molta gente interessata a conoscere un angolo della storia varesina ormai quasi dimenticata, e che risulta praticamente ignota alla maggior parte delle persone. L’iniziativa, organizzata in concomitanza con la manifestazione cittadina “Agrivarese”, che ha visto numerose bancarelle e stands per le vie del centro e presso i giardini comunali, ha difatti riscosso gran successo nonostante il tempo incerto, e sin dalla mattinata le visite al bunker sotterraneo si sono susseguite a ritmo incalzante. La postazione del Gruppo Speleologico Prealpino all’ingresso del rifugio antiaerei in via Lonati è stata  praticamente presa d’assalto dai visitatori, tra essi moltissime le famiglie con bambini e gli appassionati di storia, con tanti giovani che hanno mostrato un notevole interesse per questi argomenti. Le visite all’interno del bunker sono state gestite direttamente dal Gruppo Speleologico Prealpino con l’associazione “Archeologistics”, con la quale collabora soprattutto in queste particolari occasioni. Mezz’ora di visita con le spiegazioni di guide assai preparate, che hanno illustrato sapientemente ai presenti la storia di questa installazione che, come altre presenti nel sottosuolo cittadino, hanno rappresentato una via di salvezza durante i bombardamenti che hanno interessato Varese nel 1944, incursioni aeree operate dagli eserciti alleati allo scopo di annientare la fabbrica di velivoli militari “Aermacchi”, a quel tempo ubicata in un’area poco distante da Masnago. E’ stato motivo di grande soddisfazione scoprire come il pubblico mostri tanto interesse per queste storie, vicende che ormai appaiono lontanissime nel tempo e dalla vita di tutti i giorni, tuttavia ci sono ancora molte persone che vogliono vedere, vogliono sapere cosa successe realmente, prestando molta attenzione soprattutto ai racconti riportati dai pochi superstiti di allora, testimoni ancora viventi della drammaticità di quei giorni, delle paure e delle sensazioni che provavano quando erano costretti a condividere i rifugi sotterranei con molta altra gente, anch’essa spaventata e disperata per le sorti della propria vita. Una giornata davvero intensa, che ha visto transitare nel tunnel antiaereo circa 1.000 persone, registrando così un altro grande successo di queste iniziative storico culturali che periodicamente il Gruppo Speleologico Prealpino è lieto di organizzare, nonostante le fatiche e l’impegno che tutto ciò richiede. Grazie alla presenza di 12 associati la giornata è stata affrontata con capacità, offrendo al pubblico il miglior servizio possibile, così come testimoniato dai molteplici e lusinghieri apprezzamenti espressi dalla gente al termine della loro visita, complimentandosi in particolare con l’organizzazione e con gli operatori, elogiando la loro professionalità, competenza e disponibilità. I prossimi appuntamenti che vedranno il G.S. Prealpino nuovamente impegnato nelle aperture al pubblico dei rifugi antiaerei riguarderanno le date di sabato 12 e domenica 13 maggio, e oltre alle visite al bunker sotterraneo verrà organizzata in loco una mostra statica di cimeli risalenti alle due guerre mondiali, ci sarà anche un’interessante esposizione di veicoli militari d’epoca, quindi diorami per ricostruzioni storiche e figuranti con divise del periodo bellico, tutto questo per ricostruire momenti e situazioni che hanno caratterizzato la città di Varese durante i terribili giorni della guerra. Anche verso la metà del mese di luglio si prevede un’ennesima apertura; in quell’occasione però si è pensato a una cosa un pò diversa, ovvero rendere visitabili in notturna, dalle ore 21.00 alle 24.00, entrambi i rifugi varesini, quello dei Giardini Estensi e quello di Biumo Inferiore, che viene aperto raramente al pubblico. Si tratterà di una sorte di “notte bianca” in tour nei rifugi antiaerei cittadini, qualcosa di suggestivo, simpatico e culturale, un’occasione per trascorrere una serata diversa dal solito fuggendo per qualche ora l’afa cittadina, a contatto con la frescura piacevole del sottosuolo e il brivido di riscoprire luoghi protagonisti di antiche e drammatiche vicende. Per ulteriori informazioni e prenotazioni visite scrivere a info@speleoprealpino.it

 

 

Augusta | Le  fortificazioni e il Castello Svevo al centro di un progetto di rilancio dell’intera città
Da Webmarte.tv del 17 aprile 2018

Domenica 22 aprile alle 17 nel salone di Palazzo Zuppello si svolgerà un incontro – dibattito sul castello federiciano e sulle opere fortificate di Augusta. L’iniziativa è stata promossa del siracusano Giuseppe Brunetti Baldi, vice presidente della sezione Sicilia dell’ Istituto Italiano dei Castelli, ed è stata fortemente sostenuta da Eugenio Magnano di San Lio, docente della facoltà di Architettura dell’ Università di Catania e presidente regionale dell’ Istituto. Dopo i saluti del sindaco, Cettina Di Pietro, interverranno la soprintendente di Siracusa, Rosalba. Panvini e Fulvia Greco, responsabile della sezione Beni architettonici della Soprintendenza, che illustreranno i progetti di intervento per una prospettiva di tutela recupero e valorizzazione del Castello Svevo. Eugenio Magnano di San Lio, esaminerà il complesso delle fortificazioni che vanta la città e che costituisce un patrimonio culturale e architettonico che deve essere posto a servizio di una nuova visione di sviluppo turistico sostenibile, perno del quale sono le fortificazioni ed il mare con le 1/2 nuove infrastrutture in corso di realizzazione. La cultura della società civile sarà rappresentata dagli interventi di Giuseppe Carrabino e Salvo Romano della Società Augustana di Storia Patria e da Antonello Forestiere, direttore del Museo della Piazzaforte. Per la valenza attribuita all’incontro che è quella di sostegno e rilancio della città di Augusta, l’ Istituto Italiano dei Castelli ha voluto che al dibattito partecipassero con la loro presenza anche i club Service cittadini, Rotary Club , Lions Club, Kiwanis ed Innerwhheel.

 

 

Esplorando fortificazioni e flora del sottomura ovest di Ferrara in compagnia degli esperti di storia e botanica
Da cronacacomune.it del 16 aprile 2018

Un pubblico numerosissimo ha partecipato sabato 21 aprile 2018 alla passeggiata  culturale nel sottomura parallelo a via Porta Catena, in compagnia di Francesco Scafuri e Filippo Piccoli, e con alcuni interventi di Gianna Foschini Borghesani, presidente del Garden Club Ferrara, che ha promosso l'iniziativa in collaborazione con il Comune di Ferrara - Assessorato ai Beni Monumentali. Durante l'escursione, inserita nelle manifestazioni della XV Giornata Nazionale del Giardino - UGAI, Piccoli ha illustrato le diverse essenze arboree, che costituiscono un vero e proprio polmone verde per la zona, mentre Scafuri si è soffermato sulla storia  delle fortificazioni principali del tratto di mura interessato dall'itinerario, a partire dal Saliente della Catena (XVI secolo), una fortificazione poco sporgente rispetto al perimetro delle mura ma molto interessante, senza dimenticare il quattrocentesco Torrione del Barco, una delle fortificazioni più all'avanguardia del XV secolo. Particolarmente interessanti si sono rivelate le vicende che hanno caratterizzato la seicentesca Porta Catena, di cui è stata mostrata al pubblico una foto inedita ritrovata dal collezionista Alberto Cavallaroni. Si trattava di una porta fluviale, una costruzione monumentale che un tempo si trovava quasi di fronte a Piazzale dei Giochi, e attraverso la quale entrava in città il canale Panfilio, purtroppo distrutta durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. E' stata l'occasione, inoltre, per parlare dei complessi sportivi novecenteschi che insistono nella zona, come il palazzo delle Palestre, oppure il vicino Motovelodromo (1949-1952), indispensabile riferimento per la storia del ciclismo a Ferrara e provincia, basti pensare che campioni come Coppi, Bartali o Moser corsero sulla pista ferrarese. La passeggiata ha previsto anche una sosta presso il suggestivo Giardino delle Capinere (sede della LIPU sezione di Ferrara), dove Filippo Piccoli ha illustrato le essenze arboree del luogo, particolarmente ricco di vegetazione. L'escursione si è conclusa nel tratto nord delle mura, con l'inaugurazione di alcune bacheche permanenti corredate da poster informativi sulla flora della zona, realizzate dal Garden Club Ferrara.

 

 

Curiosità Modenesi | La zona Cittadella, il forte Estense nel cuore di Modena
Da modenatoday.it del 15 aprile 2018

Sarà capitato a tutti di passare in una zona limitrofa al centro storico nota come Cittadella, per esempio per assistere ad uno spettacolo nell'omonimo teatro. Eppure non tutti sanno che il nome di quel raggruppamento di case a nord del entro storico ha un'origine molto più antica, infatti come spesso accade il termine "Cittadella" è legato ad una fortificazione usata dai signori sia in caso di attacchi esterni, sia in caso di rivolte interne. A volerla fu il duca Francesco I, che dopo aver completato i lavoro di alberamento e abbellimento della città, decise che era giunto il momento di fortificarla. Nella zona di Sant'Agostino, poco fuori l'attuale largo, si trovava una montagnola adatta per il suo  progetto. L'idea della Cittadella gli era venuta imitando quella già presente a Torino, considerata dai vari sovrani e signori italiani un modello. Così Francesco I fece chiamare da Torino a Modena uno degli ingegneri che aveva lavorato all'omonima piemontese, un certo Carlo Castellamonte, e gli ordinò di mettersi immediatamente al lavoro perchè voleva una Cittadella così bella e forte da fare invidia agli altri sovrani. Ci vollero 7 anni perché il progetto fosse completato. L'edificio era ampio, difeso da cinque bastioni uniti da cinque cortine, che proteggevano caserme, magazzini, prigioni e successivamente anche una chiesa dedicata a Sant'Antonio. Si notava subito giungendo sia dalla città che dalla campagna, infatti era circondata dal verde e si trovava a due passi da un'osteria nota come il Biscione.

 

 

Giornalisti russi scovano il "bunker di Putin”
Da rainews.it del 12 aprile 2018

La struttura si trova all’interno del monte Yamantau (in lingua baskira locale significa  “Monte cattivo”), il picco più alto negli Urali del Sud. La costruzione del rifugio antinucleare per l’élite sovietica era iniziata negli anni ’70. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, i lavori sono stati bloccati per poi riprendere a metà degli anni ’90. La costruzione sarebbe stata completata nel 2007 quando nei pressi è stata attivata una centrale elettrica per alimentare il bunker, una vera e propria città sotterranea con una galleria larga 30 metri e lunga centinaia di chilometri. Non si sa con certezza quante persone può ospitare il “bunker di Putin”: alcune fonti parlano di 300mila uomini. Secondo il sito rusmonitor.com invece la capienza sarebbe di 60mila persone: i giornalisti d’assalto hanno calcolato che le fognature, l’impianto di scarico e depuratori locali sono appunto calcolati per 60mila persone. Alcuni turisti incuriositi sono riusciti a fotografare sul sito segreto la pista d’atterraggio per elicotteri. Tutte le vie d’accesso al “bunker di Putin” sono bloccate dalle teste di cuoio russe e nessun commento ufficiale è stato rilasciato circa la destinazione del sito. - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Putin-rifugio-antiatomico-8ceec3dd-3295-4fe6-a544-2f08d9b73c95.html

 

 

Groenlandia, il ghiaccio si scioglie e tornano a galla i segreti militari Usa
Da ilfattoquotidiano.it del 10 aprile 2018

C’è un segreto militare Usa che era pensato per non essere scoperto. E, invece, i cambiamenti climatici che portano allo scioglimento dei ghiacci ci consegnano indizi terribili. Marlene Cimons di Nexus Media ha svolto un’inchiesta in cui svela che al culmine della Guerra fredda (negli anni 50) la calotta glaciale della Groenlandia ospitava una serie di basi militari clandestine degli Stati Uniti il cui compito era quello di tenere in posizione 600 missili balistici a medio raggio con testate nucleari pronte per il dispiegamento verso l’Unione Sovietica.

La base, Camp Century in Groenlandia, fu abbandonata nel 1967 lasciando dietro di sé una terribile eredità sepolta sotto tutto quel ghiaccio e neve. Tonnellate di rifiuti tossici che i funzionari militari evidentemente presumevano sarebbero rimasti congelati per sempre. Cinquant’anni fa, l’esercito degli Stati Uniti probabilmente non teneva conto del cambiamento climatico. Ma ora, lo scioglimento dei residui ricoperti mette a repentaglio l’ecosistema marino.

Il ghiaccio di Camp Century nascondeva decine di migliaia di litri di gasolio, grandi quantità di policlorobifenili (Pcb) e quella che si ritiene essere una piccola quantità di pericolosissimo materiale radioattivo seppure di medio livello. Il caso è l’indice inquietante Le isole del Pacifico sono particolarmente vulnerabili secondo lo studio che cita, tra gli altri, i rifiuti radioattivi militari statunitensi lasciati durante la Guerra fredda all’atollo di Johnston e alle Isole Marshall. L’indagine geologica degli Stati Uniti sta attualmente studiando questi potenziali rischi, ma la loro piena estensione non è ancora nota. Il cambiamento climatico è un problema globale e quindi difficile da attribuire esclusivamente a qualsiasi governo o attore politico, ma gli effetti come questi qui esposti sono territorialmente specifici: quindi le popolazioni locali possono individuarne le responsabilità e chiedere un risarcimento.

L’uragano Harvey illustra il problema. I cambiamenti climatici hanno esacerbato un uragano, rendendolo più grande e più cattivo di quanto sarebbe stato altrimenti. Il ciclone ha di conseguenza portato gravi danni agli impianti chimici e alle raffinerie, che a loro volta hanno rilasciato nel terreno e in mare inquinanti tossici. Gli Stati Uniti da soli hanno centinaia di basi oltremare che richiedono un continuo coordinamento politico con i governi ospitanti e i rischi ambientali legati al clima potrebbero rappresentare un nuovo tipo di tensione all’interno delle alleanze politiche internazionali. La Groenlandia, ora un territorio semisovrano della Danimarca, potrebbe subire una contaminazione delle acque da Camp Century. In definitiva, ci saranno costi di disinquinamento da pagare e un risarcimento per i locali colpiti dall’inquinamento.

Nel 1951 – all’epoca in cui i paesi firmarono l’accordo di difesa della Groenlandia, che stabilì le basi – la Danimarca aveva una politica estera nominalmente priva di nucleare ma aperta ad alleanze formalmente riconosciute. Il trattato in vigore ha quindi permesso agli Stati Uniti di rimuovere la proprietà dalle basi o di disfarsene in Groenlandia (dopo aver consultato le autorità danesi) senza tuttavia far cenno ai materiali radioattivi. Così la Danimarca potrebbe obiettare che non è stata completamente consultata in merito alla disattivazione reale di alcuni siti militari abbandonati; quindi qualsiasi scoria atomica abbandonata rimane una responsabilità degli Stati Uniti. Inoltre, la Danimarca afferma che non è mai stata contattata ufficialmente per un piano di posizionamento di missili nucleari in Groenlandia.

In assenza di cambiamenti climatici, il ghiaccio quasi certamente avrebbe conservato questo segreto per sempre. L’idea che l’esercito potesse lasciare i rifiuti abbandonati in Groenlandia, per essere sepolto nella neve per sempre, non sembrava una pazzia. Nessuno al momento ha previsto l’enorme e devastante esperimento che stiamo da tempo incautamente conducendo sul nostro pianeta. Gli amanti della pace hanno salutato con entusiasmo l’assegnazione del premio Nobel per la Pace del 2017 alla associazione iCAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapon) una coalizione (come dice il nome) internazionale di gruppi attivi nella richiesta di eliminazione delle armi nucleari, eppure il rischio venuto alla luce nel mare Artico rivela una sconsiderata politica che non si è limitata solo al periodo della Guerra fredda.

Sono 90, infatti, le bombe nucleari che alloggiano tuttora a Ghedi e Aviano – nel Nord dell’Italia – e che vengono ammodernate e mantenute a spese del nostro Paese, ma senza alcun controllo da parte delle popolazioni e senza messa in discussione della loro legittimità da parte delle nostre istituzioni. Stanno lì come accigliati cerberi a disposizione della Nato e , ma anche (fortunatamente) sotto osservazione degli sforzi di denuclearizzazione del pianeta come quelli prodotti dai 122 Paesi che hanno . in mani non certo affidabili come quelle di Donald Trump firmato in sede Onu il trattato Tpna

 

 

Rocca di Vercurago, l’Istituto Italiano dei Castelli: “Un bene da valorizzare”
Da lecconotizie.com del 6 aprile 2018

La Rocca della Chiusa di Lecco, divenuta poi veneziana con la denominazione di Rocca  di Vercurago, conservò la sua funzione difensiva sino al 1509, quando fu distrutta dalle truppe franco-milanesi all’inizio della guerra contro Venezia promossa dalla Lega di Cambrai, per poi trasformarsi in rifugio di San Girolamo Emiliani e dei suoi orfani. Come è noto, nell’Ottocento, la Rocca è stata identificata nell’immaginario collettivo come sede del personaggio manzoniano dell’Innominato. Con l’incontro in programma, l’associazione vuole iniziare una verifica sulla possibilità di conoscere meglio e valorizzare le strutture residue, per recuperare una importante memoria storica del nostro territorio e offrire un’ulteriore opportunità per apprezzare i percorsi turistico- culturali che si snodano attorno ai “monti sorgenti dal lago”. E’ gradita la partecipazione di tutti, Amministratori, Associazioni e semplici cittadini desiderosi di promuovere il patrimonio storico-ambientale del Territorio Lecchese.

 

 

Ricordando la Grande Guerra tra Urio e la Batteria Cardina
6 aprile 2018

COMO - Dalla Batteria di Cardina che faceva parte della Linea Cadorna ai canti alpini, che celebravano i valori della Patria, della famiglia, della lealtà, del coraggio e dell'onore. Far conoscere la Prima Guerra Mondiale a scopo formativo, soprattutto alle giovani generazioni, è l'obiettivo del progetto dell'associazione senza fini di lucro Le Magnolie dal titolo "1918-2018 Cento anni dalla fine della Grande Guerra. Fare memoria del passato per costruire un presente e un futuro di pace", una serie di tre appuntamenti che da aprile a giugno 2018 si svolgeranno nel comasco, tra Carate Urio e il Colle di Cardina, con il sostegno di INNFormazione, il patrocinio del Comune di Carate Urio e in collaborazione con il Gruppo Alpini di Monte Olimpino e l'Associazione culturale Il Ponte. La partecipazione è gratuita previa prenotazione alla mail castellodiurionews@gmail.com oppure al tel. 031 400160. Si parte sabato 7 aprile al Castello di Urio con la conferenza di Alberto Torresani, storico e scrittore, dal titolo: "Lo storico racconta: cosa hanno ancora da dire all'uomo del 2018 le vicende della Grande Guerra?". Sabato 19 maggio appuntamento nella sede dell'Associazione culturale Cardina, nell'omonima località (in via Luigi Conconi, 12). Dopo un focus sullo straordinario sistema difensivo delle Alpi Lombarde e la lettura di testimonianze e diari di reduci della Grande Guerra, si potrà visitare la Batteria con la guida di alpini e giovani esperti. La Batteria di Cardina è un riferimento storico significativo per il territorio perché faceva parte della "Linea Cadorna", l'imponente rete di fortificazioni fatta costruire dal celebre generale fra il 1916 e il 1917 al fine di proteggere il confine italiano da possibili azioni offensive da parte tedesca dal lato della Svizzera. Al termine del conflitto, la struttura è rimasta in stato di totale abbandono fino al 2013 quando è stata aperta al pubblico dopo un intervento di recupero da parte dei volontari di numerosi Gruppi dell'Associazione Nazionale Alpini. La commemorazione del centenario terminerà sabato 9 giugno, ancora al Castello di Urio, con un concerto del coro di Verona "La Parete", che si esibirà nei canti di montagna della tradizione popolare e alpina, che celebravano i valori della Patria, della famiglia, della lealtà, del coraggio e dell'onore. "Siamo orgogliosi - dichiara il sindaco Daniele Aquilini - di ospitare questa interessante iniziativa che a distanza di un secolo dal conflitto si propone di riannodare i fili della pace". "Ci auguriamo che i cittadini partecipino numerosi per conoscere da vicino la grande storia del nostro territorio" aggiunge Alberto Danieli, membro del Gruppo Alpini Monte Olimpino. Il Castello di Urio è una dimora storica del 1700 affacciata sul Lago di Como, circondata da grande giardino con arredi in stile Barocco e tutt'ora arredata come se il Conte Gaetano Melzi, che ne divenne proprietario, fosse lì a fare gli onori di casa tra il salone delle Quattro Stagioni, la sala del pianoforte, il salotto rosso e il soggiorno del camino.

 

 

Serata dedicata alle fortificazioni confinarie di Lecco
Da resegoneonline.it del 5 aprile 2018

L'Istituto italiano dei Castelli, delegazione di Lecco, organizza per martedi’ 10 aprile, alle ore 20-Falck a Lecco la conferenza "I confini settentrionali della Repubblica di Venezia nell’attuale valorizzazione delle strutture nel lecchese)"
La Sezione Lombardia dell’Istituto Italiano dei Castelli ha promosso una serie di convegni in varie conoscenza e favorire la valorizzazione delle fortificazioni e siti Unesco di Lombardia, sulla scia patrimonio dell’umanità delle mura cinquecentesche veneziane di Bergamo.
A conclusione del ciclo, la Delegazione di Lecco ha proposto di dedicare un incontro ai resti originariamente delimitanti il territorio comunale rispetto al Distretto di Bergamo. Il sistema fortificato 1253 e imperniato sulla Rocca di Lecco, divenne a conclusione della guerra veneto-milanese, con controversie e successive ripetute violazioni, confine di Stato fra Venezia e Milano. La delimitazione sistema di cippi che, dalla lapide iniziale apposta sull’antico muro milanese alla Chiusa, si concludeva Signori. Alcuni dei cippi quattrocenteschi si sono conservati in situ; molti di più sono residuati Mantova del 1756.
La Rocca della Chiusa di Lecco, divenuta poi veneziana con la denominazione di Rocca di Vercurago, sino al 1509, quando fu distrutta dalle truppe franco-milanesi all’inizio della guerra contro Venezia poi trasformarsi in rifugio di San Girolamo Emiliani e dei suoi orfani. Come è noto, nell’Ottocento, nell’immaginario collettivo come sede del personaggio manzoniano dell’Innominato.
L’incontro intende avviare una verifica sulla possibilità di conoscere meglio e valorizzare le importante memoria storica del nostro territorio e offrire un’ulteriore opportunità per apprezzare snodano attorno ai “monti sorgenti dal lago”.

 

Via dei Forti, cultura e storia insieme a Cavallino-Treporti
Del 5 aprile 2018

Ha riaperto i cancelli il museo Batteria V. Pisani con grandi novità, nuove esposizioni e nuove iniziative legate alla “via dei forti“, progetto che si inserisce nel luogo di storia e cultura dei 13 km di costa di Cavallino-Treporti, località balneare veneziana caratterizzata da circa 200 fortificazioni fra torri telemetriche, batterie, bunker, polveriere, caserme e rifugi.

Fino a novembre, il museo pisani ospiterà al suo interno una serie di mostre legate alla grande guerra e al territorio di Cavallino-Treporti. “Il restauro conservativo di Batteria Pisani e gli allestimenti al suo interno offrono alla nostra località nuove possibilità di crescita e di valorizzazione dell’importante patrimonio storico e culturale che la caratterizza - dice la sindaco Roberta Nesto. Con il 2018 prende il via anche il primo step del progetto legato al circuito museale diffuso all’aria aperta “via dei forti“ che lega le fortificazioni del territorio, coinvolgendo non solo altri siti ma anche privati, con la prospettiva di allungare la stagione“.

Le esposizioni

Batteria Pisani per il 2018 ospita allestimenti che come Comune, assieme al Consorzio di Promozione Turistica, abbiamo voluto valorizzare approfondendo il percorso iniziato lo scorso anno, puntando su una esposizione di carattere didattico al fine di favorire un’informazione semplice ma incisiva per far conoscere, a tutti i visitatori, gli oggetti e i momenti di vita durante la prima guerra mondiale. I nostri ospiti avranno anche la possibilità di vivere un’esperienza sensoriale grazie il percorso di interazione proposto-spiega la sindaco Roberta Nesto. Ed è proprio da Batteria V. Pisani, fulcro di “via dei forti“, che si inizia a ripercorrere la storia di cavallino-tra porti grazie alle esposizioni che ripropongono le principali tappe del periodo della grande guerra che hanno coinvolto anche il nostro territorio. La volontà è quella di “dare futuro al passato“ e far conoscere anche ai più giovani la memoria, le storie, gli eventi, le curiosità e il significato della vita di quel tempo“.

Il museo Batteria V. Pisani dunque ospiterà cinque mostre, di cui due rappresentano una grande novità per il 2018. Queste le esposizioni: “La Grande Guerra a Cavallino-Treporti“, collezione di Furio Lazzarini, organizzata utilizzando esclusivamente cimeli originali risalenti alla Grande Guerra, strettamente connessi e correlati al territorio di Cavallino-Treporti; “Sanità, percorso con oggetti e racconti vissuti“, allestita con materiali provenienti dalla collezione di Erminio Scarpa, membro dell’Associazione 4 novembre; “Restauro delle Batterie Vettor Pisani e Amalfi“, evento dedicato al progetto di recupero e valorizzazione di Batteria Pisani ed Amalfi; “Schegge, oggetti della Prima Guerra Mondiale“, percorso generale di introduzione ai temi generali della Grande Guerra; e “Via dei Forti, le fortificazioni nel territorio“, rappresentazione delle fortificazioni del litorale che tutt’oggi si possono osservare percorrendo Cavallino-Treporti come le torri telemetriche, dotate di goniostadiometri e di telemetri a cannocchiale panoramico, che servivano a stimare le distanze dei bersagli mediante triangolazione.

Il sito ospiterà anche molti altri eventi, incontri di approfondimenti, esposizioni e concerti. Per essere sempre aggiornati, basta consultare i siti www.comune.cavallino-treporti.ve.it, www.cavallino.info, www.viadeiforti.it.

Fino al 30 aprile la Batteria Pisani sarà aperta al pubblico venerdì, sabato e domenica dalle 10:30 alle 17:30 (ultimo ingresso ore 16:45). Il biglietto d’ingresso potrà essere acquistato presso l’ufficio informazioni della Batteria Pisani. Per i non residenti a Cavallino-Treporti le tariffe sono: adulti 10 €, bambini da zero a sei anni gratis, da sei a 18 anni e over 65 a cinque euro; famiglie 20 €.

 

Per Trento Basto Io! Ecco La Visita Al Forte Belvedere Di Lavarone
Da montagnadiviaggi.it del 4 aprile 2018

Il Forte Belvedere, Werk Gschwent, situato nei dintorni di Lavarone, è una delle fortezze militari più grandi realizzate dall'impero austroungarico e tuttora visitabile.
Costruito tra il 1908 e il 1912, a strapiombo sulla Valdastico, aveva il compito, assieme agli altri sei forti costruiti dal governo di Vienna e presenti sugli altipiani di Folgaria Luserna e Lavarone, di difendere le vie di accesso verso Trento e di supportare un eventuale avanzata verso Asiago e la Valdastico.
Arrivare al Forte Bevedere è molto semplice: giunti in località Cappella di Lavarone, si seguono le indicazioni per il forte e si lascia la macchina nel parcheggio. Il forte è visitabile nel periodo estivo, in genere da aprile ad ottobre, ed è possibile anche partecipare alle visite guidate organizzate su prenotazione o da calendario nei giorni prefissati. All'interno delle sale sono esposti materiali e cartelli esplicativi che raccontano tutti gli sviluppi della Grande Guerra e del forte, così, anche se non si sa molto in materia, si riesce ad avere una buona idea di come deve essere stata la vita in trincea e sugli Altipiani.

Il percorso di visita del Forte Belvedere è articolato su tre livelli e segue una numerazione progressiva delle sale. Scopro così che all'inizio della guerra, nel maggio 1915, forte Belvedere subì pesanti bombardamenti da parte dell'esercito italiano situato sul versante della Valdastico e di Asiago, ma la sua forza gli permise di resistere e di supportare, poco più tardi, l'offensiva austro-ungarica del maggio 1916, la famosa Straftexpedition, spedizione punitiva in tedesco. La sua potenza era all'epoca conosciuta da tutti, tanto da fregiarsi del motto “per Trento basto io”, a significare che da solo sarebbe riuscito ad evitare la conquista di Trento e del Tirolo (all'epoca il Trentino era Tirolo) La visita continua poi con le caratteristiche del forte, costituito da tre obici da 10 cm in cupola corazzata, un cannone da 60 mm e 22 postazioni di mitragliatrice. La copertura in cemento ha uno spessore di 2,10 metri, mentre la casamatta, disposta su tre piani, si sviluppa per 50 metri in lunghezza e circa 10 metri in larghezza. 

Il percorso approfondisce poi le varie tematiche della vita nel forte, come ad esempio l'infermeria, la centralina telefonica, il magazzino dei viveri, la stanza degli ufficiali, il posto di guardia e molte altre che erano la quotidianità lungo il fronte. Attraverso dei tunnel sotterranei si possono raggiungere i quattro fortini avanzati muniti di riflettori che permettevano il controllo dell'intera area circostante. Con l'avvento della Strafexpedition si conclusero di fatto le operazioni militari in questa zona, spostando il fronte verso Asiago.

Contrariamente agli altre fortezze, forte Belvedere scampò alla demolizione che avvenne negli anni Trenta dall'opera dei recuperanti in cerca di ferro, grazie all'intervento di re Vittorio Emanuele III che volle che almeno un forte rimanesse a testimonianza del conflitto per le generazioni future.
Oggi Forte Belvedere può essere il punto di inizio di un bellissimo itinerario alla scoperta dei forti presenti sugli Altipiani di Folgaria, Luserna e Lavarone, un fronte d'acciaio, tutt'ora presente, a sbarramento su Trento e sull'antico Tirolo di lingua italiana (Trentino), che assolse a pieno il suo compito.
Per informazioni, orari e visite guidate vi consiglio di consultare il sito: Forte Belvedere - Werk Gschwent

 

 

Armi migliori per un pianeta più sicuro
Da comedonchisciotte.org del 3 aprile 2018

Molte persone sembrano perdere la coerenza quando si tratta di ordigni nucleari. Pensano che le armi nucleari siano come le altre armi e siano concepite per essere utilizzate in tempo di guerra . Ma è pura inerzia mentale. Secondo tutte le prove disponibili, le armi nucleari sono delle armi antiarmi, concepite per impedire l’utilizzazione delle armi, nucleari o no che siano. In sostanza, se sono utilizzate correttamente, le armi nucleari sono dei dispositivi di soppressione della guerra. Certo, se sono utilizzate male, rappresentano un grave rischio per tutta la vita sulla terra. Ma ci sono anche altri rischi per la vita sulla terra, come il riscaldamento planetario fuori controllo causato dal consumo incontrollato di idrocarburi; forse dovremmo inventare anche una o due armi per impedirlo. Alcune persone stimano che la semplice esistenza di armi nucleari garantisce che saranno utilizzate quando qualche paese provvisto di armi nucleari si ritroverà finanziariamente, economicamente e politicamente al limite della sopravvivenza. Per dimostrarlo, mettono in evidenza il principio drammaturgico dell’arma di Cechov. Anton Cechov ha scritto ” Se dite nel primo atto (di un dramma) che c’è una pistola appesa al muro, allora bisogna bisognerà obbligatoriamente che nel secondo o nel terzo atto questa pistola spari. Altrimenti non dovrebbe essere appesa là. ”
E se fate notare che parliamo di strategie militari e di geopolitica e non di teatro, allora vi possono citare Shakespeare : ” il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e le donne non sono che degli attori : fanno i loro ingressi e le loro uscite.” e credere di conseguenza di aver dimostrato l’assunto. Io sono del tutto d’accordo con Cechov in materia di drammaturgia, e sono anche d’accordo con Shakespeare, a condizione di definire “il mondo” come il “mondo del teatro” nel quale i due mondi della geopolitica e della fisica nucleare sono drammaticamente diversi. Lasciatemelo spiegare in termini che un buon drammaturgo potrebbe capire. Se c’è una bomba nucleare appesa al muro nell’atto primo, ci sono delle forti probabilità che sarà ancora appesa a quel muro quando all’ultimo atto calerà il sipario. Nell’attesa, poco importa quante altre armi sono presenti sulla scena durante la recita, potete star sicuri che nessun’altra di queste sarà utilizzata; o forse lo saranno, ma allora tutto il pubblico sarà morto, nel qual caso si dovrebbe senz’altro chiedere di essere rimborsati perché l’opera era stata presentata come uno spettacolo per famiglie. Nel mondo reale è difficile pretendere che le armi nucleari non siano state utilizzate come mezzo di dissuasione contro la guerra convenzionale e nucleare. Quando gli americani hanno sganciato le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, l’hanno fatto soltanto perché lo potevano fare nella totale impunità. Se all’epoca il Giappone, o un alleato dei Giapponesi, avesse posseduto delle armi nucleari, questi attacchi non si sarebbero verificati. Esiste un numero considerevole di pareri secondo i quali gli americani non hanno colpito con l’atomica il Giappone per ottenere una vittoria (i giapponesi si sarebbero arresi), ma per inviare un messaggio a Giuseppe Stalin. Stalin ha recepito il messaggio, e gli scienziati e gli ingegneri sovietici si sono messi all’opera. C’è stato un periodo iniziale molto sgradevole, prima che l’URSS testasse con successo la sua prima bomba atomica, durante il quale gli americani pensavano seriamente di distruggere tutte le grandi città sovietiche con attacchi nucleari. Ma hanno messo da parte questi progetti perché all’epoca hanno calcolato che non avevano abbastanza armi nucleari per impedire all’Armata rossa di conquistare per rappresaglia tutta l’Europa occidentale. Poi il 29 agosto 1949, quando l’URSS ha testato la sua prima bomba atomica, questi piani sono stati messi da parte (non proprio in modo permanente – ne riparliamo più avanti) perché una sola esplosione nucleare dovuta alla reazione Sovietica all’attacco preventivo americano, avrebbe fatto scomparire per esempio New York o Washington. Questo sarebbe stato un prezzo troppo alto da pagare per distruggere la Russia. Da allora – con l’eccezione di un periodo compreso tra il 2002 e due giorni or sono – la capacità delle armi nucleari di scoraggiare un’aggressione militare è rimasta incontestata . Vi sono state alcune sfide nel corso del tempo, ma sono state risolte. Gli americani hanno giudicato una buona idea minacciare l’URSS piazzando dei missili nucleari in Turchia. In risposta, i Russi hanno piazzato dei missili nucleari a Cuba. Gli americani hanno pensato che non era giusto e ciò ha provocato la crisi dei missili di Cuba. Alla fine gli Americani sono stati costretti a ritirarsi dalla Turchia e i Russi hanno fatto retromarcia su Cuba. Un’altra minaccia per il potere di dissuasione delle armi nucleari è stato lo sviluppo di sistemi anti balistici capaci di abbattere dei missili a testata nucleare. ( In effetti capaci di abbattere solo i missili balistici, ne parliamo dopo). Questo è stato largamente riconosciuto come una cattiva idea e una maggiore apertura ha avuto luogo nel 1972 quando gli Stati Uniti e l’URSS hanno firmato il Trattato sui missili anti balistici.(ABM). Durante tutto quel periodo il principio che manteneva la pace era la MAD (Mutual Assured Destruction – N.d.T.), distruzione reciproca assicurata: nessuna delle due parti avrebbe dovuto provocare l’altro al punto di lanciare un attacco nucleare, perché un’azione del genere era giudicata senza dubbio suicida. Le due potenze si sono limitate a fare una serie di guerre per procura in diversi paesi del mondo, chiaramente con danno notevole per questi paesi, ma non c’era nessun rischio che questi conflitti indiretti potessero far esplodere una conflagrazione nucleare globale. Nel frattempo tutti hanno tentato di opporsi alla proliferazione nucleare, impedendo a un numero maggiore di paesi di accedere alla tecnologia delle armi nucleari, con successo limitato. I casi dove questi sforzi hanno fallito testimoniano il valore dissuasivo delle armi nucleari. Saddam Hussein in Iraq non aveva nessuna arma di distruzione di massa e ha finito per essere impiccato. Muhammar Gheddafi di Libia ha rinunciato volontariamente al suo programma nucleare ed è stato torturato a morte. Invece il Pakistan è riuscito ad acquisire delle armi nucleari e conseguentemente i rapporti con il suo tradizionale nemico giurato sono diventati molto più educati e cooperativi, al punto che nel giugno 2017, tutti e due sono diventati membri a pieno titolo dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai (OCS) con la Cina, la Russia ed altre nazioni eurasiatiche. E poi la Corea del Nord ha fatto qualche passo avanti in materia di bombe nucleari e di missili balistici. Gli Stati Uniti si sono limitati a futili minacce e atteggiamenti bellicosi, mentre invece la Corea del Sud ha espresso un nuovo rispetto per il suo vicino del nord. Le due Coree attualmente cercano un riavvicinamento. Nel 2002, la prospettiva di una dissuasione nucleare ha subito un rovescio notevole quando gli Stati Uniti si sono ritirati dal trattato ABM (Anti-Ballistic Missile). La Russia ha protestato contro questa decisione ed ha promesso una risposta asimmetrica. I dirigenti americani hanno ignorato queste proteste, pensando a torto che la Russia come potenza nucleare fosse finita. Da allora gli Americani hanno speso somme di denaro enormi – migliaia di miliardi di dollari – , per costruire un sistema di difesa anti missili balistici. Il loro obiettivo era semplice: rendere possibile lanciare un attacco di primo colpo contro la Russia distruggendo la maggior parte del suo arsenale nucleare e poi utilizzare i nuovi sistemi ABM americani per distruggere tutto ciò che la Russia avrebbe potuto ancora lanciare in risposta. Il 2 febbraio 2018 gli americani hanno deciso di essere pronti e hanno pubblicato una revisione della loro strategia nucleare nella quale si sono espressamente riservati il diritto di utilizzare armi nucleari per impedire alla Russia di utilizzare la sua forza di dissuasione nucleare. Due giorni or sono tutto questo ha avuto fine con il discorso pronunciato da Vladimir Putin, nel quale egli ha illustrato molti nuovi sistemi d’arma che tra le altre cose annichiliscono completamente la validità dell’arsenale anti missili americano. È questa la risposta che i Russi avevano promesso di dare quando gli Stati Uniti si erano ritirati dal Trattato ABM nel 2002. Ora, 16 anni dopo, il processo è terminato. La Russia si è riarmata con nuovi armamenti che hanno reso completamente fuori tema il trattato ABM. Il trattato ABM sì interessava di missili balistici, quelli spinti da razzi che fanno accelerare il missile a una velocità vicina alla velocità di fuga, dopo di che il missile segue una traiettoria balistica come un obice di artiglieria o una palla. Questo fa sì che sia facile calcolarne la traiettoria e quindi intercettare il missile. I sistemi di difesa antimissile americani si basano sulla capacità di individuare il missile su un radar, calcolarne la posizione, la direzione e la velocità, e lanciare in risposta un missile, in modo che le due traiettorie si incrocino. Al punto di incontro, il missile intercettatore si attiva e distrugge il missile attaccante. Nessuna nuova arma russa segue traiettorie balistiche. Il nuovo Sarmat è un ICBM senza la “B” (Inter Continental Ballistic Missile, senza la B, ovvero non balistico N.d.T.) Può manovrare lungo tutto il suo percorso aereo e può volare nell’atmosfera invece di salire al di sopra di essa. Ha una corta fase di messa a fuoco, il che rende difficile intercettarlo dopo il lancio. Ha la possibilità di percorrere traiettorie arbitrarie intorno al pianeta, per esempio passare sopra il Polo Sud per raggiungere un qualunque punto della terra. Trasporta vari vettori di rientro ultrasonici manovrabili, dotati di armi nucleari che nessun sistema di difesa antimissile, esistente o previsto, può intercettare. Tra le armi nuove rivelate due giorni fa c’è un missile di crociera a propulsione nucleare di gittata praticamente illimitata, che supera Mach 10 (10 volte la velocità del suono – N.d.T.) , e un drone sottomarino a propulsione nucleare (un sottomarino guidato a distanza -N.d.T.) che può scendere a profondità molto più grandi di qualunque sottomarino esistente e spostarsi più in fretta di qualunque natante esistente. C’era anche un cannone laser mobile presentato nel corso dello show, di cui sappiamo assai poco, ma che potrebbe essere utile quando si tratterà di friggere qualche satellite militare. Tutto questo è fondato su teorie di fisica che non sono mai state utilizzate in passato. Tutti (gli armamenti) hanno passato i test di funzionamento e sono in corso di produzione; uno di essi è già utilizzato in servizio di combattimento attivo dalle forze armate russe. I Russi attualmente sono fieri dei loro scienziati, dei loro ingegneri, dei loro soldati. Il loro paese è di nuovo in sicurezza. Gli americani sono stati interrotti a metà dell’opera e la loro nuova strategia nucleare sembra un caso grave di lordosi. Questo genere di fierezza è più importante di quanto non sembri. I sistemi di arma nucleare avanzati si possono paragonare un po’ alle caratteristiche sessuali secondarie degli animali: come la coda del pavone o le corna del cervo o la criniera del leone, testimoniano della salute e del vigore del soggetto che ha abbastanza energia da spendere per delle insegne ben visibili. Per poter gestire un missile di crociera nucleare ipersonico a gittata illimitata, un paese deve disporre di una comunità scientifica sana, di numerosi ingegneri di buona scuola, di un esercito professionale altamente qualificato e di un sistema di sicurezza competente e capace di mantenere segreto il progetto, con un’organizzazione industriale potente e molto diversificata che possa fornire tutti i materiali, i processi e i componenti necessari senza ricorrere all’importazione. Attualmente la corsa agli armamenti è terminata e questa nuova fiducia e competenza possono essere trasferite ad applicazioni civili. Fino ad ora le reazioni occidentali al discorso di Putin hanno seguito da vicino l’illogicità dei sogni che Sigmund Freud ha spiegato con il seguente discorso :
1 – Non ho mai chiesto in prestito un bollitore
2 – Ve l’ho restituito intatto
3 – Era già rotto quando l’ho chiesto in prestito. Un esempio più comune sono le giustificazioni di un bambino per non aver fatto i compiti : li ho persi, il mio cane li ha mangiati, non sapevo di doverli fare. In quest’occasione i commentatori occidentali ci hanno proposto ciò che segue :
1 – Non vi sono armi del genere; Putin bluffa .
2 – Queste armi esistono ma non funzionano veramente.
3 – Queste armi funzionano ed è l’inizio di una nuova corsa agli armamenti nucleari. Prendiamo questi argomenti uno per volta :
1 – Putin non è noto per bluffare ; è noto per fare esattamente ciò che dice che farà. Aveva promesso che la Russia avrebbe dato una risposta asimmetrica agli Stati Uniti che si ritiravano dal Trattato ABM; questo è il risultato.
2 – Queste armi sono la continuazione degli sviluppi che esistevano già in Unione Sovietica 30 anni or sono ma che sono stati lasciati a dormire fino al 2002. Ciò che è cambiato da allora è lo sviluppo di nuovi materiali che permettono di costruire dei vettori che volano oltre Mach 10, con delle superfici (esterne) che si riscaldano fino a 2000 °C e sono i miglioramenti certamente spettacolari nel campo della microelettronica, delle comunicazioni e dell’intelligenza artificiale. La dichiarazione di Putin secondo la quale i nuovi sistemi d’arma entrano in produzione è un ordine: dunque entreranno in produzione.

3 – Gran parte del discorso di Putin non verteva su argomenti militari. Trattava di aumenti salariali, di strade, di ospedali e cliniche, di giardini d’infanzia, di maternità, di piccoli aiuti ai pensionati, di alloggi per le nuove famiglie di giovani, di razionalizzazione della regolamentazione delle piccole imprese, eccetera . Cioè di migliorare considerevolmente il livello di vita della popolazione. Il problema militare è già stato risolto, la corsa agli armamenti è stata vinta e il budget della difesa della Russia è stato ridotto e non aumentato. Un’altra idea dell’Occidente era che Putin abbia rivelato queste nuove armi, che sono in via di sviluppo almeno da 16 anni, nel quadro della sua campagna di rielezione ( Si vota il 18 marzo). Questa è un’assurdità. Putin è sicuro della Vittoria perché la grande maggioranza dei Russi approva la sua leadership. Le elezioni sono oggetto di una battaglia, solo per prendere il secondo posto, tra i liberali democratici guidati dal vecchio cavallo di guerra Vladimir Jirinovski e i comunisti, che hanno nominato un uomo d’affari non comunista, l’oligarca Pavel Grudinin, che si è rapidamente squalificato perché non ha comunicato i suoi conti esteri e per altre irregolarità e sembra attualmente essere entrato in clandestinità. In questo modo i comunisti, che prima si prevedeva avrebbero avuto il secondo posto, si sono bruciati le ali e probabilmente Jirinovski arriverà secondo. Putin ha un atteggiamento pragmatico e ambivalente a proposito dei “partner occidentali” come ama chiamarli. Jirinovski d’altra parte è animato piuttosto da un sentimento di rivincita e sembra voler “far soffrire” questi stessi “partner occidentali”. Attualmente c’è anche un comitato, composto da uomini e donne molto molto seri, che hanno l’incarico di monitorare e ostacolare l’ingerenza americana nella politica russa. Sembra poco probabile che la CIA, il Dipartimento di stato americano e i soliti responsabili possano avere una qualunque influenza in Russia.L’era delle rivoluzioni colorate è finita e la tendenza al cambio di regime ha fatto il suo tempo… e ora ritorna tristemente a Washington dove Trump corre il rischio di essere detronizzato secondo il metodo ucraino. Un altro modo di vedere la reazione occidentale alle nuove armi della Russia è utilizzare le 5 fasi del lutto, di Elisabeth Kübler-Ross . Abbiamo già visto la negazione (Putin bluffa, le armi non funzionano), un inizio di collera (Nuova corsa agli armamenti). Dovremmo aspettarci una crescita della collera prima che si passi al negoziato (potete avere l’Ucraina se smettete di costruire i missili Sarmat). Una volta che la risposta russa sarà stata capita bene (” Hai rovinato l’Ucraina, paga i danni”) passeremo alla fase depressiva (” I Russi non ci amano più “). E finalmente verrà l’accettazione. Una volta raggiunto lo stadio di accettazione, ecco quello che gli americani potrebbero fare utilmente per rispondere ai nuovi sistemi d’arma russi. Per prima cosa gli americani potrebbero mettere nella pattumiera i loro sistemi ABM perché ormai sono inutili. Il Ministro russo della difesa, Sergej K. Shojgu ha detto questo: ” Ciò che oggi è costruito in Polonia, in Romania e in Alaska, che è previsto in Corea del Sud e in Giappone – l’ombrello di difesa antimissile – si rivela pieno di falle. Non capisco perché dovrebbero adesso anche pagare così tanto per questo ombrello “. In secondo luogo gli americani potrebbero lasciar perdere la loro flotta di portaerei. Non serve per il momento ad altro che a minacciare qualche stato indifeso, ma ci sono dei mezzi molto meno costosi per minacciare le nazioni prive di difesa. Se gli americani immaginano di utilizzarle per dominare le rotte marittime e controllare il commercio mondiale, allora in caso di allargamento di una guerra non nucleare, l’esistenza dei missili di crociera ipersonici e dei sottomarini a portata illimitata che possono nascondersi a grandi profondità per anni, renderà inaccessibili ai gruppi di combattimento della Marina americana gli oceani perché attualmente la Russia può distruggerli a distanza senza mettere in pericolo né i suoi beni, né il suo personale. Per finire gli americani potrebbero uscire dalla NATO, che si è rivelata completamente inutile, smantellare le loro mille basi militari sparse nel mondo e rimpatriare le truppe che vi stazionano. Alla luce di questi nuovi sviluppi le garanzie di sicurezza americane non valgono più granché agli occhi del mondo, e gli alleati americani se ne renderanno conto rapidamente. Per quanto riguarda le garanzie di sicurezza, c’è molto da offrire : contrariamente agli Stati Uniti che sono sempre più considerati delle canaglie inefficaci e maldestre, la Russia ha rispettato scrupolosamente i suoi accordi internazionali e il diritto internazionale. Sviluppando e mettendo in servizio nuovi sistemi d’arma, la Russia non ha violato nessun accordo, trattato o legge internazionale. Né la Russia ha alcun piano aggressivo contro chiunque, salvo i terroristi. Come ha detto Putin Durante il discorso “noi non prevediamo di attaccare chicchessia, né di prendere il controllo di un qualunque paese. Abbiamo tutto ciò di cui necessitiamo. Spero che gli Stati Uniti non si immaginino di attaccare qualcuno perché, vista la loro storia recente, non avrebbero successo. Minacciare tutto il pianeta e obbligarlo a utilizzare il dollaro americano nel commercio internazionale, distruggere paesi come l’Iraq e a Libia, quando si rifiutano di farlo; assumere degli enormi deficit commerciali nei confronti di praticamente tutto il mondo, forzando le banche centrali di tutto il mondo a riacquistare il debito del governo americano; approfittare di questo debito per accumulare dei deficit di bilancio colossali(attualmente circa 1000 miliardi di dollari all’anno) ; e derubare tutto il pianeta stampando del denaro e spendendolo in diversi scenari di corruzione – questo amici miei è stato all’incirca il programma d’affari americano dagli anni 1970 in poi. E ora sta andando in malora sotto i nostri occhi. Ho l’audacia di sperare che lo smantellamento dell’impero americano avverrà con la stessa efficienza dello smantellamento dell’impero sovietico. (Questo non vuol dire che non sarà umiliante o che non impoverirà l’America, o che non si accompagnerà ad un aumento considerevole della morbilità e della mortalità). Una delle mie paure più grandi durante l’ultimo decennio era che la Russia non prendesse abbastanza seriamente gli Stati Uniti e la NATO e cercasse invece di aspettare che cambiassero. Dopotutto che cosa si può veramente temere da una nazione che ha più di 100 miliardi di dollari di benefits non finanziati da contribuzioni, dei tossicomani oppioidi, 100 milioni di disoccupati senza impiego, delle infrastrutture vecchie ed una politica nazionale deleteria? Per quello che riguarda la NATO, senz’altro c’è la Germania che sta per riscrivere “Deutschland Deutschland Uber alles” in versione neutrale. Che cosa pensate che faranno dopo?Marceranno su Mosca sotto una bandiera Arcobaleno sperando che i Russi muoiano dal ridere? E c’è anche il più grande asso eurasiatico nella manica della NATO, la Turchia, che attualmente nel nord della Siria sta liquidando gli attivisti curdi dell’America. Stare semplicemente ad aspettare sarebbe stata una scommessa, perché nella sua agonia l’impero americano avrebbe potuto attaccare la Russia con metodi imprevedibili. Sono contento che la Russia abbia scelto di non scherzare sulla sua sicurezza nazionale. Ora che gli Stati Uniti sono stati neutralizzati in piena sicurezza utilizzando i nuovi sistemi di arma russi, penso che il mondo sia un posto molto migliore. Se amate la pace, sembrerebbe che la vostra opzione migliore sia di amare anche le armi nucleari, le migliori possibili, contro le quali non esiste alcuna possibilità di dissuasione, che siano anche maneggiate da Nazioni affidabili e rispettose della legge, che non hanno nessun disegno malefico contro il resto del pianeta. Dimitry Orlov Fonte: http://lesakerfrancophone.fr

 

 

Poca manutenzione e fondi tagliati: l’ultima battaglia della Linea Cadorna
Da corriere.it del 3 aprile 2018

Era la Maginot italiana, costruita per difendere i tre poli produttivi di Milano, Torino e Brescia da invasioni nemiche attraverso la Svizzera. Negli ultimi anni i resti della Linea Cadorna, oltre 70 chilometri di trincee e fortificazioni attraverso le Alpi lombarde e piemontesi, si sono trasformati in un percorso di trekking a metà fra storia e natura fra i più suggestivi dell’intero panorama alpino. Il processo di evoluzione, però, sta vivendo una battuta d’arresto a causa dei fondi sempre più esigui per la manutenzione. I tagli del governo, solo in parte bilanciati dai finanziamenti regionali, stanno costringendo le comunità montane, come quella del Verbano presieduta da Giorgio Piccolo responsabile di uno tratti più suggestivi della Linea, a ridurre al minimo indispensabile gli interventi di riqualificazione, completandoli anche grazie all’impegno delle numerose associazioni di volontariato e, in modo particolare, dei gruppi di alpini in congedo. «Cerchiamo di fare il possibile coi fondi che abbiamo a disposizione — spiega Piccolo —. I percorsi e i camminamenti che seguono l’antica Linea Cadorna sono tutti praticabili, ma lo sforzo che dobbiamo compiere per mantenerli in ordine è enorme. Per migliorare la fruibilità di una struttura così ampia ed esposta alle intemperie tutto l’anno servirebbe qualche aiuto in più, soprattutto per quanto riguarda alcuni interventi di messa in sicurezza. Il freddo rende per esempio pericolosi certe gradinate e in alcune zone servirebbero dei parapetti». La realizzazione di una grande frontiera di difesa contro eventuali invasioni da Nord è sempre stata un’idea fissa dell’Esercito Italiano fin dalla nascita del Regno. Il benestare ai lavori della Frontiera Nord (questo il suo vero nome) venne dato solo nel corso della Prima guerra mondiale per volontà dell’allora Capo di Stato Maggiore, il generale Luigi Cadorna. I lavori iniziarono il 27 agosto del 1916, data della dichiarazione di guerra contro la Germania. Il progetto fu affidato a un piccolo pool di imprese della zona di Varese che riuscirono nell’impresa di realizzare l’intera opera in un paio d’anni. I numeri della «Maginot italiana» raccontano di 72 km di trincee che vanno dalla Valle d’Aosta alle valli bergamasche, 88 postazioni di artiglieria (11 in caverna), 25 mila metri quadrati di baraccamenti, 296 km di strade e 398 km di mulattiere, per un costo di oltre 105 milioni di lire del tempo e il contributo di 40 mila uomini. Numeri importanti, anche se ben al di sotto di quelli che possono mettere in campo le altre due grandi linee difensive europee: la Maginot francese (440 chilometri) e la linea Sigfrido (630 chilometri). La Linea Cadorna, oltre che per i suoi numeri e il tempo record in cui fu realizzata, è passata alla storia anche per non essere servita a niente. Il fronte caldo era quello orientale, non quello centrale, e da queste trincee non fu mai sparato un solo colpo. «Rimase inutilizzata per tutta la Grande guerra — spiega lo storico Pierantonio Ragozza, autore di un libro sulla Linea Cadorna —. L’unico episodio bellico in cui venne utilizzata fu uno scontro fra partigiani e tedeschi nel corso della Seconda guerra mondiale. Ma al di là del suo mancato impiego, rimane un’opera di ingegneria bellica di notevole rilievo storico ed è estremamente importante che da qualche anno a questa parte si stia assistendo a una riscoperta in chiave naturalistica». Da sentiero di guerra a percorso di pace, insomma, e i primi a intuirne le potenzialità come meta per le escursioni in montagna furono ovviamente i gruppi di alpini in congedo delle varie province attraversate dalla Linea: Varese, Novara, Verbano e, in particolare, pare che i primissimi furono le penne nere del gruppo di Ornavasso. Tuttavia, il processo di trasformazione della Maginot italiana sta vivendo una fase complicata. Massimo Fermo, responsabile del gruppo alpini di Ornavasso, conferma le difficoltà manifestate anche dal presidente della Comunità Montana del Verbano. «Le fortificazioni si trovano in mezzo alla natura — spiega — hanno bisogno di diversi sfalci l’anno che costano soldi e fatica e noi, purtroppo, non abbiamo il ricambio generazionale che fino a qualche anno fa
assicurava forze fresche fra i nuovi iscritti. Servirebbe maggiore attenzione da parte delle Regioni e del Governo per evitare che un tale patrimonio vada disperso». Di Riccardo Rosa

 

 

La Russia testa il missile Sarmat, ma cancella l'RS-26 Rubezh
Da ilgiornale.it del 30 marzo 2018

Ad un mese dalla sua presentazione la Russia ha chiuso il programma RS-26 Rubezh. L'RS-28 Sarmat diviene il principale vettore del sistema ipersonico Avangard La Russia ha testato con successo il missile termonucleare super-pesante RS-28 Sarmat denominazione Nato SS-X-30 Satan 2. secondo test dopo quello del 27 dicembre scorso. E’ quanto comunica in una nota il Ministero della Difesa russo. Il test d’eiezione del primo stadio è avvenuto dal cosmodromo di Plesetsk, nella regione di Arkhangelsk, a circa 800 chilometri a nord di Mosca. Il test d’eiezione è necessario per validare il meccanismo che consente al razzo di lasciare il silo in sicurezza con avviamento del primo stadio del motore. Il missile termonucleare super-pesante RS-28 Sarmat dovrebbe trasportare fino a quindici testate Mirv/Marv con configurazione variabile per una resa di 150 kt/ 1 Megatone o con 24 alianti ipersonici Avangard da 550 kilotoni/ 2 megatoni. Un veicolo a slittamento ipersonico elimina molte delle vulnerabilità esistenti con gli ICBM tradizionali, come le traiettorie di volo ampiamente prevedibili dopo il lancio. Il Sarmat dovrebbe entrare in servizio nel 2021 con sette reggimenti delle Forze Missilistiche Strategiche della Federazione Russa con prima consegna prevista nel 2020. Il primo stadio del motore del missile Sarmat è stato testato con successo nell’agosto del 2016: i problemi tecnici individuati in precedenza sarebbero stati risolti. Denominato PDU- 99, dovrebbe essere una versione modificata del motore a razzo liquido RD-274 utilizzato sugli ICBM RS-36M. Non vi sono altre informazioni.

Missile termonucleare super-pesante RS-28 Sarmat

Il primo test di volo del Sarmat era stato fissato per il 2015. Le enormi dimensioni del missile hanno richiesto dei lavori di ristrutturazione dei silos che sono stati completati lo scorso anno presso il centro spaziale di Plesetsk, nel nord-ovest della Russia. I problemi riscontrati, ma non rivelati, riguardavano il prototipo. I russi continueranno a validare le caratteristiche in diverse prove reali così da evitare spiacevoli inconvenienti, come avvenuto per i missili UR-100: questi ultimi, messi già in servizio, si rivelarono incapaci di colpire obiettivi a lungo raggio per l’eccessiva vibrazione dello scafo che ne distruggeva la struttura. La leadership del Paese si dimenticò di testare il missile alla sua massima gittata, autorizzando la produzione seriale di un sistema non in grado di colpire il bersaglio a lungo raggio. Il missile super –pesante termonucleare da oltre cento tonnellate a propellente liquido è in fase di sviluppo dal 2015 in risposta al sistema americano Prompt Global Strike. E’ destinato a sostituire l’intera linea deterrente formata dal sistema SS-18 Satan, il più grande missile balistico a propellente solido intercontinentale del mondo mai realizzato ed entrato in servizio nel 1967. Il Sarmat ha un’autonomia stimata di oltre dodicimila km. È stato progettato per raggiungere Mach 20 e rilasciare testate termonucleari a rientro multiplo indipendente su traiettorie circumpolari. Per il Sarmat si parla del bombardamento orbitale frazionale: i veicoli di rientro entreranno brevemente nell'orbita bassa "diventando freddi", rendendo cioè difficile il loro tracciamento.

Mosca intanto chiude il programma RS-26 Rubezh

Ad un mese dalla sua presentazione, il Cremlino ha deciso di chiudere il programma RS-26 Rubezh. Il sistema d’arma, così come avvenuto per il Barguzin (l'ICBM su rotaia è stato ritenuto “economicamente non vantaggioso”) non è stato incluso nel Piano Strategico di Riarmo Statale che si concluderà nel 2027.

RS-26 Rubezh

L’RS-26 Rubezh è stato progettato come principale vettore delle testate Avangard. Si è creata un po’ di confusione al riguardo poiché con Avangard ci si riferisce sia al vettore che al veicolo a planata ipersonica. balistico intercontinentale a combustibile solido da 80 tonnellate (la fase di spinta è inferiore a cinque minuti). I test di questo missile sono iniziati nel 2011 e nel 2015 le autorità russe hanno annunciato di aver effettuato con successo quattro lanci. Il peso dell'RS-26 è quasi un terzo inferiore a quello del missile Yars da 120 tonnellate. L’RS-26 Rubezh può essere armato con quattro testate Mirv da 300 kilotoni. Tuttavia in configurazione pesante, un singolo RS-26 potrebbe essere armato con 8 Avangard con testate da 2 megatoni. Con la chiusura del programma Rubezh, l’RS-28 Sarmat diviene il principale vettore del sistema ipersonico Avangard. Sarebbe opportuno rilevare che Stati Uniti e Russia, in base al New Strategic Arms Reduction Treaty, possono disporre di 700 lanciatori strategici schierati, cento in riserva e 1550 testate complessive. Il Trattato sulla riduzione degli asset strategici non pone restrizioni sul numero dei missili senza testate in inventario.

La strategia della Russia

L'Avangard (inteso come ICBM) è un missile balistico intercontinentale armato con testate manovrabili a scorrimento ipersonico scaturite dal Programma 4202. Secondo il leader russo “il missile punta al bersaglio come un meteorite". Lo scorso dicembre il Cremlino sospese a tempo indeterminato il programma Barguzin. Incerto il destino dei cinque nuovi convogli già messi in produzione dal 2015. I nuovi Barguzin sarebbero stati armati con sei missili RS-24, ognuno in grado di trasportare quattro testate Mirv (verosimilmente Marv dal sesto treno in poi). Ogni convoglio avrebbe quindi lanciato fino a 24 testate termonucleari a rientro multiplo indipendente. Il Cremlino ha garantito fondi per mantenere l’intero supporto logistico operativo. Il treno nucleare è stato ritenuto economicamente non vantaggioso. Medesimo destino anche per l’RS-26: Mosca garantirà copertura finanziaria fino al 2027 per sviluppare e produrre il Sarmat e l’Avangard. Sappiamo che il sistema ipersonico svelato da Putin lo scorso primo marzo, sarà implementato a bordo dei trenta missili UR-100UTTKn (nome in codice Nato SS-19 Stiletto) che sono stati restituiti dall'Ucraina dopo il crollo dell'Unione Sovietica. L’SS-19 possiede un disegno ben consolidato ed è un sistema che la Russia conosce perfettamente. Tuttavia non si tratterà di una semplice ed economica integrazione, poiché lo Stiletto dovrà essere reso compatibile con l’hypersonic glide boost. Gli interventi strutturali potrebbero richiedere inoltre nuove modifiche ai silo esistenti. Tuttavia la possibilità di estendere il programma Avangard alla flotta Topol RS-12M (SS- 27 Sickle-B) e RS-24 Yars potrebbe già essere stata vagliata dal Ministero della Difesa russo. Il Cremlino, considerando l'imponente piano di riarmo strategico in corso, potrebbe non aver avuto scelta, sacrificando il vettore RS-26. In base ai dati dichiarati (circa 5000 km) il sistema Rubezh sarebbe stato destinato a colpire bersagli della Nato in tutta Europa.

Russia: Sistema ipersonico Avangard/Yu-71/Yu-74 Il Programma 4202

Durante l'annuale discorso alle Camere riunite dell'Assembla Federale tenutosi il primo marzo scorso, il Presidente Vladimir Putin ha svelato diversi sistemi d’arma. Soffermiamoci sul sistema ipersonico Avangard (noto anche come Yu- 71 e Yu-74) del Programma 4202. Il Programma 4202 prevede lo sviluppo di sistemi HGV, Hypersonic Glider Vehicle. I sistemi HGV del Programma ipersonico 4202 sono regolarmente testati dalla base missilistica di Dombarovsky, nella regione di Orenburg (qualsiasi sistema d’arma che raggiunge o supera una velocità superiore a Mach 5 è considerata ipersonica). Ogni aliante ipersonico è concepito per essere armato con una testata nucleare con una resa esplosiva variabile tra i 550 kilotoni ed i 2 megatoni. Un singolo Sarmat ad esempio potrebbe trasportare fino a 24 alianti ipersonici che sarebbero certamente in grado di eludere qualsiasi sistema di difesa esistente. E’ una precisazione superflua, ma necessaria: nessun sistema missilistico di difesa (USA/Russia) potrebbe azzerare un attacco di saturazione di una potenza nucleare. L’attuale tecnologia non è semplicemente in grado di arrestare un massiccio attacco missilistico. Il programma BMD statunitense ad esempio: è stato progettato per sperare di intercettare una manciata di missili provenienti dall’Iran o dalla Corea del Nord. Non esiste uno scudo di difesa antimissile in grado di azzerare una minaccia stratificata di proiezione lanciata da una potenza nucleare. Ed è un dato inconfutabile.

Il regime ipersonico

La rilevazione iniziale, il tracciamento e la soluzione di fuoco richiede comunque del tempo (parliamo sempre di secondi) che però potrebbero essere troppi considerando il regime ipersonico. La contromisura anti-balistica per le testate a rientro convenzionale è ben nota e si basa sul calcolo della traiettoria di discesa attraverso l’atmosfera delle testate multiple indipendenti. Il problema dell’elevata velocità di rientro è stata aggirata preventivamente, con l’impiego di missili intercettori progettati per distruggere le testate multiple indipendenti prima della loro fase di rilascio. La velocità ipersonica annulla tale fase critica, rientrando nell’atmosfera in planata ad altissima velocità ed avvicinandosi all’obiettivo con una traiettoria relativamente piatta.

Il profilo di volo di Avangard

Rispetto alla traiettoria balistica delle testate tradizionali imbarcate sui missili balistici intercontinentali, Avangard vola ad un'altitudine di diverse decine di chilometri negli strati densi dell'atmosfera. Mentre manovra lungo la sua traiettoria di volo ed in base alla sua altitudine, la testata dell'aliante bypassa le capacità di rilevamento ed intercettazione delle difese missilistiche nemiche. Avangard è realizzato in materiali compositi in grado di resistere a diverse migliaia di gradi. L’Hypersonic Glider Vehicle russo è equipaggiato con il sistema di termoregolazione sviluppato dalla Nauka Research and Production Association. Avangard dovrebbe essere lungo circa 5,4 metri e sviluppare una velocità superiore a Mach 20. Può essere armato con una testata nucleare o convenzionale. I primi test non ufficiali dell’Oggetto 4202 sarebbero iniziati nel 2004 nel cosmodromo di Bayqoñyr e nella base Dombarovsky su vettori RS-18B. Gli aggiornamenti pubblici sull'Avangard sono stati interrotti alla fine del 2016. Lo scorso settembre i russi hanno dichiarato di aver testato un missile Topol RS-12M con un "carico di combattimento avanzato": potrebbe essersi trattato di un prototipo Avangard. Il 12 marzo scorso infine, il vice Ministro della Difesa russo Yuri Borisov ha confermato l’inizio della produzione in serie del sistema ipersonico Avangard.

La resa esplosiva di Avangard

Secondo i russi la resa esplosiva della testata Avangard sarebbe superiore ai due megatoni. Se cosi fosse Avangard eclisserebbe in potenza qualsiasi altra testata termonucleare in servizio negli Stati Uniti, nel Regno Unito ed in Cina. Una delle armi più distruttive sul pianeta è la testata W88 / MK5 da 455 kt della linea pesante da attacco imbarcata sui sottomarini Ohio degli Stati Uniti. I 400 Icbm Minuteman III schierati nei silos del Wyoming, North Dakota e Montana sono armati con una singola testata W87 con resa di 300 kilotoni (475 probabile). In entrambi i casi, Avangard è quattro volte più potente.

La futura linea d'attacco Avangard

Entro i prossimi dieci anni la Russia potrebbe strutturare la sua linea d'attacco Avangard sull'RS-28 Sarmat (SS-X-30 Satan 2). Il missile termonucleare super-pesante Sarmat, con la sua autonomia stimata di oltre dodicimila km, sarebbe destinato al territorio statunitense. In configurazione da assalto pesante, il Sarmat potrebbe trasportare fino a 24 Avangard con testate termonucleari da due megatoni. Per questa configurazione specifica, l'attuale terminologia (Attacco Preventivo/Rappresaglia) è estremamente riduttiva.  di Franco Iacch

 

IL DACCC DI POGGIO RENATICO CONDUCE ESERCITAZIONE AEREA NELLA PARTE SETTENTRIONALE DEL MAR ADRIATICO
Da difesaonline.it del 30 marzo 2018

(di Aeronautica Militare) 30/03/18 - Il 28 e 29 marzo il DACCC ha agito dalla propria sede di Poggio Renatico (FE) quale unità di Comando e Controllo pianificando, e successivamente gestendo, l'esecuzione della complessa esercitazione aerea "COMAO" svolta da assetti dell'Aeronautica Militare Italiana e dalla U.S. Air Force. Durante lo svolgimento dell'esercitazione vari assetti aeronautici, sebbene con ruoli e capacità differenti, operano in stretto coordinamento nell'ambito del medesimo pacchetto di velivoli al fine di raggiungere il medesimo obiettivo.

Lo scenario addestrativo ha visto coinvolti velivoli PA200 Tornado, F2000 "Typhoon", A-11 "AM-X" MQ-9 "predator e KC-767 Tanker dell'Aeronautica Militare e F-16 "Fighting Falcon" della United States Air Force nella conduzione di un'operazione aerea offensiva volta alla neutralizzazione di specifici obiettivi terrestri difesi da Forze di Opposizione, composte sia da assetti di Difesa Aerea pilotati Air Defense Fighters (ADF), che teleguidati, Surface Based Air Defense (SBAD). Una delle due componenti operative del DACCC, il Deployable Air Operation Center (DAOC), ha pianificato e condotto tutte le missioni aeree coinvolte, mentre il Deployable Air Control Center, Recognised Air Picture Production Center, Sensor Fusion Post (DARS), ha effettuato il controllo degli aeromobili garantendo nel contempo l'adeguata sorveglianza dello spazio aereo interessato. L'esercitazione aerea è stata preceduta, nei giorni immediatamente precedenti, da una similare ma realizzata nella modalità definita Command Post Exercise (CPX). In tale contesto, i diversi partecipanti si sono addestrati sui processi decisionali più idonei alla gestione della COMAO nell'ambito di uno scenario simulato che ha riprodotto le possibili situazioni che si sarebbero potute verificare nell'attivitá reale. L'esercitazione ha visto gli assetti dell'Aeronautica Militare operare sotto la guida dell'Unità NATO di Comando e Controllo nello scenario di un'operazione "non-article 5", accrescendo le capacità di interazione e prontezza già sviluppate in passato grazie alla condivisione dell'utilizzo del sistema Air Command and Control System (ACCS). 

 

Valorizzazione delle rocche e delle fortificazioni di confine: l'amministrazione intende sviluppare una partnership fra Lucca e Pisa
Da lagazzettadilucca.it del 29 marzo 2018

Una parternship Lucca-Pisa per la valorizzazione delle rocche e delle fortificazioni che  corrono lungo i pendii e i paesi al confine fra le due province. È il progetto che l'assessore Gabriele Bove, con delega ai patti di confine e alla partecipazione, vuole sviluppare insieme con l'assessorato alla cultura e con le associazioni e i cittadini interessati. “Proprio nei giorni scorsi – spiega Bove – ho partecipato a Pisa alla conferenza “Le fortezze del confine Pisa-Lucca”, alla quale ha preso parte anche l'associazione “Il Castello” di Nozzano. Ciò che ho sottolineato è la necessità di procedere con la riqualificazione e la promozione dei castelli e delle rocche di confine e dei relativi percorsi. L'iniziativa al di là di tutti gli aspetti culturali e dei relativi riflessi turistici, che giocano un ruolo centrale in questa partita, rientra anche nel quadro del progetto dei patti di confine e del completamento ideale e materiale dei collegamenti che già esistono tra Lucca e il territorio pisano, uno su tutti la pista ciclopedonale Giacomo Puccini”. La finalità che l'amministrazione Tambellini vuole raggiungere è quella di creare occasioni di sviluppo per i territori più periferici rispetto al centro storico, stimolare la partecipazione degli abitanti in progetti di riappropriazione degli spazi pubblici e intercettare bandi e finanziamenti per realizzare interventi che rispondano alle esigenze di decoro urbano, sicurezza, viabilità, mobilità e cultura. “Il recupero dei castelli e delle fortificazioni – aggiunge l'assessore – avrebbe notevoli ricadute positive: innanzitutto ci permetterebbe di sviluppare nuovi itinerari culturali e turistici, visitabili per tutto l'arco dell'anno, cosa ancora più efficace se viene svolta tramite un'azione congiunta tra le amministrazioni comunali e gli enti interessati, così da fare massa critica e intercettare maggiori risorse. Sarebbe poi l'occasione per replicare due modelli riusciti: il primo, quello rappresentato dalle Mura, dove la sinergia pubblico- privato ha permesso la rinascita del nostro monumento-simbolo; il secondo, invece, è il modello Valle del Serchio, dove l'azione unitaria di più enti, anche qui pubblici e privati, ha fatto sì che quel territorio ottenesse negli anni ingenti risorse, che, a cascata, hanno consentito anche la nascita di nuovi posti di lavoro, soprattutto fra più i giovani. E, a questo proposito, penso all'esempio rappresentato dalla Fortezza delle Verrucole. La strada dei Castelli tra Lucca e Pisa sarà una bella occasione di collaborazione tra i comuni di Lucca, Pisa, San Giuliano Terme e Vecchiano, insieme alle associazioni che da anni si impegnano in questo campo”.

 

 

Forte Cadine ottiene il marchio del patrimonio Europeo
Da lavocedeltrentino del 29 marzo 2018

Lunedì 26 marzo a Plovdiv in Bulgaria si è tenuta la cerimonia ufficiale per il conferimento al Forte di Cadine del Marchio del patrimonio europeo (European Heritage Label). Il direttore della Fondazione Museo storico del Trentino Giuseppe Ferrandi ha ricevuto l’importante riconoscimento dalle mani di Tibor Navracsics, Commissario europeo per la cultura. In Italia soltanto il Museo Casa De Gasperi di Pieve Tesino era già titolare del Marchio. Da sabato 31 marzo il forte riaprirà al pubblico dopo la chiusura invernale. Il Marchio del patrimonio europeo, previsto  dall’omonima azione comunitaria approvata da Parlamento europeo e Consiglio europeo, è volto a valorizzare il patrimonio culturale comunitario, a favorire la conoscenza reciproca fra i cittadini, contribuendo a intensificare il senso di appartenenza all’Unione Europea e a rafforzare il dialogo interculturale. Attualmente in Europa sono 38 i siti che possono fregiarsi del Marchio del patrimonio europeo; in Italia il Forte di Cadine va ad aggiungersi ad un altro luogo in Trentino, il Museo Casa De Gasperi a Pieve Tesino. Su impulso anche dell’importante riconoscimento ricevuto, il Forte nei prossimi anni svilupperà ulteriormente la propria vocazione di luogo di confronto internazionale, ampliando le attività didattiche, culturali e artistiche che già si svolgono. Il premio consentirà, inoltre, di dare continuità alle opere di manutenzione della struttura, garantendo una gestione del sito rispettosa dell’ambiente e contribuendo alla preservazione delle aree boscate limitrofe e ricadenti in area di tutela ambientale e paesaggistica. Con l’occasione comunichiamo che, dopo la chiusura invernale, il Forte riaprirà al pubblico: dal 31 marzo al 22 aprile sarà possibile visitarlo gratuitamente il sabato e la domenica dalle 10.00 alle 18.00. Aperto anche lunedì 2 aprile, giorno di Pasquetta. Dal 25 aprile a settembre sarà aperto tutti i giorni, sempre dalle 10.00 alle 18.00. Chiuso il lunedì. Un po’ di storia del Forte di Cadine Il Forte fu costruito tra il 1860 e il 1862 – su progetto di Gustav Hermann, maggiore del Genio militare di Trento – come parte del primo gruppo di fortificazioni permanenti austriache a difesa delle vie di collegamento a Trento. Nel 1915 venne disarmato e le artiglierie furono posizionate nelle vicinanze. Dal 1918 al 1949 servì da controllo stradale e da polveriera dell’Esercito italiano, fu anche occupato dai tedeschi nella seconda guerra mondiale. Il Forte di Cadine/Strassensperre Buco di Vela è stato sottoposto ad un restauro conservativo, avviato nel 2006, ed è stato riaperto nella nuova veste nell’agosto 2011. Di proprietà della Provincia autonoma di Trento dai primi anni ’90, è gestito dalla Fondazione Museo storico del Trentino.

 

 

Il deposito dell’Aeronautica militare apre le porte a 120 studenti delle medie
Da larena.it del 28 marzo 2018

La caserma «Gruppo rifornimenti area nord» dell’aeronautica militare, che ha sede ad  Asparetto di Cerea, ha aperto le porte per due mattine agli alunni delle scuole medie di Cerea. Il tenente colonnello Paolo Gasparini, comandante della base, ha accolto le sei classi di seconda dell’istituto comprensivo «Fratelli Sommariva» a cui è intitolato il deposito. Complessivamente, 120 alunni hanno avuto la possibilità di trascorrere alcune ore all’interno della struttura militare. Dopo l’introduzione di Gasparini sull’organizzazione della forza armata che dirige, è seguita una lezione del professor Angelino Bellè dell’associazione culturale «Il circolo del ‘72». Il tema era quello delle origini del volo durante la Grande guerra e il ricordo dei fratelli Camillo e Luigi Sommariva, aviatore uno e ingegnere l’altro, insigniti della medaglia d’argento al valore militare, entrambi caduti negli ultimi mesi del primo conflitto mondiale sulla linea del Piave e nel Basso Adriatico. La giornata è poi proseguita con la visita dei punti informativi allestiti dal nucleo antincendio e dal plotone delle forze militari, la prova in esterna con il simulatore di tiro fornito dall’associazione Tiro a segno nazionale di Cerea per poi concludersi con una breve esercitazione pratica del personale militare impegnato nel salvataggio di alcuni ostaggi. All’incontro con le scuole erano presenti anche Annalisa Tiberio e Giuseppe Venturini, entrambi dell’Ufficio scolastico territoriale di Verona. «Queste iniziative si collocano all’interno del protocollo d’intesa tra il ministero della Pubblica istruzione e quello della Difesa», ha ricordato Annalisa Tiberio. «Si tratta di appuntamenti formativi che mirano a sensibilizzare i giovani al rispetto dei valori della Costituzione e della democrazia». Per gli studenti di seconda media c’è stata anche la possibilità di porre domande e di soddisfare tutta una serie di curiosità sulla carriera militare. In particolare, le ragazzine hanno chiesto se anche per le femmine c’è la possibilità di arruolarsi. «Per alcuni di loro giornate come queste», ha sottolineato Venturini, «potrebbero anche fornire un valido spunto in vista di un futuro sbocco lavorativo e professionale. Di Francesco Scuderi

 

 

Corso Racconigi: dal cantiere riemerge il rifugio antiaereo
Da  comune.torino.it del 27 marzo 2018

Il rifugio antiaereo: la sezione e le rampe di accesso Un rifugio antiaereo della seconda guerra mondiale è stato rinvenuto in corso Racconigi, nel tratto tra piazza Marmolada e piazza Robilant, durante i lavori per la sistemazione della parte centrale del corso.

La notizia è stata riferita dai responsabili del cantiere ai consiglieri della commissione Ambiente, presieduta da Federico Mensio, che ha effettuato un sopralluogo per osservare l’avanzamento dei lavori. Al rifugio si poteva accedere attraverso due accessi. Scendendo otto rampe di scale, gli ospiti raggiungevano i locali costruiti a 12 metri di profondità. La struttura poteva contenere fino a 300 persone. Attualmente non è possibile accedere al rifugio che, secondo i tecnici, sembra in uno stato accettabile di conservazione. I lavori di sistemazione del corso, invece, termineranno entro settembre di quest’anno. Sarà realizzata una pista ciclabile tra due alberate. Previste aree panchine e parcheggi a spina di pesce. di Federico Dagostino

 

'Fortezze di confine': associazioni pisane e lucchesi insieme per salvare dal degrado i beni storici della Valdiserchio
Da pisatoday.it del del 26 marzo 2018

È stato presentato venerdì scorso a Pisa, nel Palazzo del Consiglio dei dodici, il gruppo di associazioni che progetterà insieme iniziative e manifestazioni per far conoscere e difendere i beni storici del confine pisano-lucchese in Valdiserchio. “Fortezze di confine”, questo il nome del gruppo e del progetto, è stato battezzato dalle associazioni Gruppo Archeologico Vecchianese, Salviamo La Rocca di Ripafratta, “Il Castello” di Nozzano, Italia Nostra Pisa, alla presenza dell’assessore al territorio del Comune di Lucca, Gabriele Bove, dell’assessora alla cultura del Comune di San Giuliano Terme Luciana Cipriani e del Presidente del Consiglio regionale Eugenio Giani. Le quattro realtà hanno presentato le varie fortificazioni medievali oggetto delle proposte di valorizzazione: la Rocca di Ripafratta e le sue torri, il Castello di Nozzano, le numerose torri presenti sul territorio (la Torre dell’Aquila, quella di Rosaiolo, la torre civica di Vecchiano, la torre campanaria di Ripafratta), Santa Maria in Castello a Vecchiano, i ruderi di Cotone, Castiglione e Castel Passerino. Le associazioni di Ripafratta, Nozzano e Vecchiano collaborano nei fatti già da anni: un “gemellaggio” che si è tradotto in iniziative comuni, incontri, partecipazioni a eventi,  ma che adesso - con l’ulteriore aggiunta di Italia Nostra - diventa un percorso più formale e articolato. Le necessità dei vari beni storici sono diversi: se Ripafratta e le torri hanno urgente bisogno di consolidamento e di essere rese accessibili, Nozzano ha bisogno di una strategia di visibilità e di essere inserito in un circuito. “La creazione di un percorso comune porterà beneficio a tutti, al di là dei confini amministrativi”, hanno dichiarato i responsabili del progetto. A presentare il tutto, Lorenzo Magagnini, presidente G.A.V., Elda Carlotti, presidente associazione “Il Castello”, Francesco Noferi presidente Salviamo La Rocca, Ewa Karwacka e Gabriele Del Guerra, rispettivamente presidente e segretario di Italia Nostra Pisa. Il progetto prende il via da subito, con una prima conferenza sulla storia delle fortificazioni he si terrà a Vecchiano in sala consiliare il 31 marzo, promossa dal G.A.V. Nei prossimi mesi sono previste visite guidate, progetti di comunicazione, attività di divulgazione. Da subito coinvolto anche il CAI di Pisa, il cui presidente Alessio Piccioli e il responsabile sentieristica del Monte Pisano Andrea Del Sarto erano tra i relatori dell’iniziativa del 23 marzo, per presentare una proposta di itinerario che colleghi tutti i beni storici. “Un percorso che inizia oggi, che parte dal volontariato culturale delle due province e dei quattro comuni, ma che vuole coinvolgere da subito le istituzioni e il mondo dell’associazionismo” dicono i promotori. “Tra le proposte concrete, oltre alla creazione di un itinerario tematico come quello proposto dal CAI, anche la realizzazione di una pista ciclabile che colleghi Pisa alla Valdiserchio, da dove poi sarebbe possibile proseguire per Lucca grazie alla già esistente ciclovia Puccini. Un progetto fortemente promosso da Italia Nostra Pisa, che permetterebbe di creare un flusso di turismo sostenibile e moderno tra le due città e tra le città e i loro meravigliosi (e poco conosciuti) territori di confine”. Di grande spessore anche l’intervento del prof. Marco Giorgio Bevilacqua, docente presso il Dipartimento di Ingegneria dell'Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni dell’Università di Pisa, che ha mostrato casi simili in Italia e all’estero: sistemi di fortificazioni restaurati e messi in rete, grazie ai quali il territorio ha ricevuto nuova linfa vitale. Valga per tutto l’esempio della vicina Garfagnana. Nel contesto, si è parlato anche delle prospettive per il futuro della Rocca di Ripafratta, il “grande malato” del sistema medievale di confine. L’associazione Salviamo La Rocca ha annunciato che si sta studiando la costituzione di un comitato tra Comune, associazione e Università di Pisa (già legati da una convenzione di ricerca per la realizzazione di un progetto di recupero). Obiettivo è valutare le strade per il recupero della Rocca, inclusa quella proposta dall’associazione nel novembre scorso: la costituzione di un ente partecipato dai vari attori che possa farsi carico della proprietà del bene storico. Lo stesso presidente Giani, presente già lo scorso anno alla Festa della Rocca, ha affermato che “ adesso è il momento di occuparsi di Ripafratta, dopo essere riusciti a recuperare tante realtà simili in Toscana”. E proprio Ripafratta è stata “invasa” pacificamente da oltre 700 visitatori in meno di 8 ore, domenica 25 marzo, nell’ambito delle Giornate FAI di Primavera. “La Rocca è stata uno dei 4 beni inseriti dal FAI nel calendario delle giornate nell’ambito del territorio pisano. Un onore e un grande ritorno di immagine e di interesse” - dice Francesco Noferi, presidente di Salviamo La Rocca. “Un successo di proporzioni inattese, per il quale ringraziamo il FAI di Pisa e i volontari della nostra associazione che hanno fatto la spola per tutto il giorno tra il borgo e le mura esterne della Rocca. Adesso il circuito si allarghi anche ai nostri amici di Nozzano e Vecchiano”.

 

 

Concorso internazionale per l’ex Batteria militare di Capo d’Orso
Da pressmare.it del 26 marzo 2018

Prende il via ufficialmente oggi il Concorso internazionale di idee per trasformare la  Batteria militare di Capo d’Orso a Palau (OT) in un museo della Storia Militare, della marina e della navigazione indetto da Agenzia del Demanio e YAC – Young Architect Competition. La Call Military Museum nasce dall’idea che esistano luoghi nei quali la storia ci parla con maggiore vigore, spazi in cui la memoria assume una dimensione fisica, quasi tangibile, e il ricordo del passato sia straordinariamente attuale. La batteria militare di Capo d’Orso è uno di quei luoghi: qui le guerre sono finite, i soldati se ne sono andati, ma sono rimaste le caserme, le postazioni di tiro, gli arsenali che oggi possono dare origine ad un museo attrattore per i milioni di turisti che ogni anno affollano le coste della Sardegna, e nuovo simbolo di una civiltà di pace e solidarietà. Il concorso offre quindi ad architetti, ingegneri, designers, artisti e progettisti l’opportunità di disegnare il più importante centro di scoperta della Storia Militare: la sfida terminerà il prossimo 20 giugno, con un montepremi per il 1° classificato di 10 mila euro. In giuria, tra gli altri, Rossana Hu dello studio Neri&Hu Design, Fuensanta Nieto dello studio Nieto Sobejano e Livia Tani dell’Ateliers Jean Nouvel YAC è un partner con cui l’Agenzia ha già condotto importanti iniziative come la Call dedicata al Faro di Murro di Porco a Siracusa, quella per il Castello di Roccamandolfi in Molise e quella ancora in corso dedicata alla riqualificazione del Forte di Santa Caterina a Favignana.

 

 

Giornate Fai: visitatori record per le strutture della Marina Militare
Da pressmare.it del 26 marzo 2018

Il Grande successo di visitatori presso le strutture della Marina Militare aperte in  occasione della 26ª edizione delle Giornate FAI di Primavera il 24 e 25 marzo che, in poche ore di apertura al pubblico, hanno registrato un afflusso di circa 10.000 di persone provenienti da tutta Italia ma non solo. Palazzo Marina a Roma, l’Accademia Navale di Livorno e il Forte San Felice a Chioggia sono stati infatti i siti della Forza Armata scelti per l’occasione dal Fondo Ambiente Italiano, tra i mille distribuiti su tutto il territorio nazionale, per raccontare ad opera dei volontari della prestigiosa fondazione, lo straordinario patrimonio culturale e ambientale del nostro Paese e  consentire a giovani ed adulti di poter ammirare da vicino reperti storici e luoghi che custodiscono antiche tradizioni e beni comuni di ogni italiano. I visitatori non si sono fatti intimorire dalle code registrate di fronte alle due ancore che fronteggiano il Tevere, situate all’ingresso di Palazzo Marina, pur di poter vivere una esperienza unica, un percorso che ripercorre tra mobilio, architettura e dipinti la storia della Marina Militare che è poi la storia dell’Italia marittima. I vari gruppi si sono quindi avvicendati lungo il percorso predisposto che prevedeva la visita allo Scalone d’onore monumentale, al Salone dei Marmi, alla Biblioteca Storica - con gli oltre 40 mila volumi molti dei quali manoscritti rari - e a diverse stanze mai aperte al pubblico tra cui la sala inaugurata proprio il 24 marzo e intitolata al Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel, protagonista della vittoria sul mare durante la prima guerra mondiale. Anche in Accademia Navale a Livorno, i giovani e le famiglie hanno avuto l’occasione di ammirare lungo il percorso il brigantino interrato, la biblioteca, il simulatore di plancia e molti altri luoghi che contraddistinguono oggi, come nel passato, la “palestra di vita” fucina degli Ufficiali della Marina Militare. Apertura eccezionale inoltre per il Forte San Felice a Chioggia, che vanta il primato di essere la fortezza più antica della laguna di Venezia con la costruzione del Castello della Luppa nel 1385, e per il Forte Umberto I, sull’isola di Palmaria nel Golfo di La Spezia che ha ospitato una mostra sul contributo della Marina Militare alla Grande Guerra. La Marina Militare condivide con il FAI l’amore per la storia del nostro Paese e per la tutela dei siti storici. Con le navi e suoi equipaggi promuove la consapevolezza dell’importanza del mare per il nostro Paese, perché ora come nel passato, il benessere e il progresso della nostra nazione dipendono dal mare, dal suo rispetto, la sua tutela e la valorizzazione. Il mare racchiude il segreto della nostra origine, accarezza e protegge importanti cimeli immersi della nostra storia e ci può svelare i segreti del nostro futuro.

 

 

Giornate Fai di primavera: la Marina apre le porte, pieno di visitatori a Chioggia
Da veneziatoday.it del 26 marzo 2018

Record di visitatori nei vari siti, compreso il Forte San Felice a Chioggia, in occasione della 26esima edizione delle giornate Fai di primavera, il 24 e 25 marzo, in cui la Marina militare ha aperto le porte al pubblico per consentire di ammirare da vicino i luoghi della forza armata, orgoglio del nostro Paese. Chioggia Apertura eccezionale inoltre per il Forte San Felice a Chioggia, che vanta il primato di essere la fortezza più antica della laguna di Venezia con la costruzione del Castello della Luppa nel 1385. La Marina militare condivide con il Fai l’amore per la storia e per la tutela dei siti storici. Con le navi e suoi equipaggi promuove la consapevolezza dell’importanza del mare per il nostro Paese, perché ora come nel passato, il benessere e il progresso della nostra nazione dipendono dal mare, dal suo rispetto, la sua tutela e la valorizzazione. Il mare racchiude il segreto della nostra origine, accarezza e protegge importanti cimeli immersi della nostra storia e ci può svelare i segreti del nostro futuro.

 

 

Ca’ Savio, riapre la Batteria Vettor Pisani; all’interno cinque mostre, tra Grande Guerra e territorio
Da genteveneta.it del 24 marzo 2018

Riapre i cancelli il museo Batteria Vettor Pisani, a Ca’ Savio, con nuove esposizioni e con nuove iniziative legate a “Via dei Forti”, progetto che si inserisce nel luogo di storia e cultura dei 13 chilometri di costa di Cavallino-Treporti, località balneare veneziana caratterizzata da circa 200 fortificazioni tra torri telematiche, batterie, bunker, polveriere, caserme e rifugi. Da venerdì 23 marzo, fino a novembre, il museo Pisani ospiterà al suo interno una serie di mostre legate alla Grande Guerra e al territorio di Cavallino-Treporti. «La scorsa stagione, dal 9 luglio a fine novembre, abbiamo registrato 4767 visitatori facendo promozione principalmente nel territorio, considerate anche le sole aperture nei week-end di ottobre e novembre. Quest’anno puntiamo a crescere e stiamo lavorando per far conoscere Cavallino- Treporti anche sotto l’aspetto legato ad un nuovo turismo storico» dice la sindaco Roberta Nesto. Con il 2018 prende il via anche il primo step del progetto legato al circuito museale diffuso all’aria aperta “Via dei Forti” che lega le fortificazioni del territorio, coinvolgendo non solo altri siti ma anche i privati, con la prospettiva di allungare la stagione e dare nuove opportunità di lavoro ai nostri cittadini». L’amministrazione Nesto, con l’intento di far conoscere e visitare anche altre fortificazioni, ha coinvolto le strutture ricettive che ospitano al loro interno manufatti storici. Grazie all’interesse dei direttori del Villaggio San Paolo Daniele Prataviera e del Camping Mediterraneo Alessandro Cattel, i visitatori di Batteria V. Pisani potranno accedere a Batteria Radaelli e San Marco presentando il biglietto d’ingesso della Pisani. L’amministrazione, assieme agli uffici comunali, sta lavorando inoltre ad un avviso pubblico per acquisire da privati proposte progettuali di valorizzazione delle principali torre telemetriche ubicate principalmente lungo via Pordelio. «Le proposte progettuali verranno valutate da una commissione comunale tenendo conto dell’ipotesi di recupero e di riuso, dell’opportunità turistica, della sostenibilità ambientale, dell’efficienza energetica e dell’effettiva possibilità di collegare il progetto di valorizzazione presentato dal privato con “Via dei Forti” – spiega Cristiano Nardin, direttore di Batteria V. Pisani e responsabile dell’aria turismo -. Solo dopo l’acquisizione in proprietà delle stesse torri il Comune avvierà un procedimento ad evidenza pubblica per la loro concessione la cui durata, da un minimo di 9 anni ad un massimo di 50 anni, dovrà essere commisurata all’entità dell’investimento proposto dai privati interessati». Avviso che sarà pubblicato a breve nel sito istituzionale del Comune di Cavallino-Treporti. Il museo Batteria V. Pisani dunque ospiterà cinque mostre, di cui due rappresentano una grande novità per il 2018: – La Grande Guerra a Cavallino-Treporti, collezione di Furio Lazzarini: una mostra organizzata utilizzando esclusivamente cimeli originali risalenti alla Grande Guerra, strettamente connessi e correlati al territorio di Cavallino-Treporti. Presenti alcuni manichini a grandezza reale che presentano dei completi testa-piedi di combattenti italiani impegnati nelle quattro grandi batterie d’artiglieria costiera (Amalfi, San Marco, Vettor Pisani e Radaelli) ma anche nella difesa antiaerea e antisbarco presenti sul Litorale del Cavallino. Vi sono quindi esposti Artiglieri del Regio Esercito, Fanti della Difesa Territoriale, Marinai del Reggimento Marina, e sono state selezionate inoltre delle insolite e rarissime figure, probabilmente mai presentate prima in mostre storicomilitari, come ad esempio un completo per Sottufficiale osservatore-pilota del Genio del Regio Esercito, ricordando quelli che operavano dal “drachen” di canale Pordelio: il “drachen” o pallone frenato, termine usato specificamente per i palloni frenati d’impiego militare, un particolare tipo di aerostato che si distingueva per essere vincolato al suolo, o a un natante, mediante uno o più cavi, e munito di una cesta per l’equipaggio, che diresse il tiro dei grossi calibri italiani contro le linee austroungariche dell’Isola della Piave nel 1917-18; – “Sanità, percorso con oggetti e racconti vissuti”, collezione di Erminio Scarpa: la mostra, allestita con materiali provenienti dalla collezione di Erminio Scarpa, membro dell’Associazione 4 Novembre, offre un’evocazione visiva, coinvolgente e suggestiva anche per i locali in cui è ospitata, rendendo l’idea della sofferenza e del sacrificio dei soldati del conflitto, soprattutto nella parte dedicata alla sanità, con attrezzi e strumenti, che evidenziano le drammatiche condizioni sanitarie e le complessità riscontrate dal personale infermieristico nella Grande Guerra e che offre ai visitatori la possibilità di scoprire anche le innovazioni in ambito medico attraverso l’allestimento di un vero ospedale “da guerra”; -“Restauro delle Batterie V. Pisani e Amalfi”: dedicato al progetto di recupero e valorizzazione di Batteria Pisani ed Amalfi. Un restauro fortemente conservativo quello della Pisani al fine di preservare il bene così com’è pervenuto al Comune da parte del Demanio. L’intervento è durato solamente un anno e oggi si possono percorrere le sue tappe fondamentali attraverso le fotografie che ne ritraggono i lavori, finanziati in parte dalla Regione Veneto e in parte dal Comune, per un totale di circa 3 milioni di euro (2 milioni e 100 mila euro da parte dell’Ente regionale e 900 mila da parte del Comune di Cavallino-Treporti). Batteria Amalfi invece ha visto un intervento di messa in sicurezza dei tre corpi di fabbrica, corrispondenti alle due stazioni elettrogene e al corpo centrale, e la creazione del Parco della memoria dove è stata creata anche una piccola area picnic, in prossimità del boschetto di acacie, pensata in modo particolare per il turismo scolastico; – “Schegge, oggetti della Prima Guerra Mondiale”: rappresenta i frammenti della Grande Guerra scolpiti nella memoria. È un percorso generale di introduzione ai temi generali della Grande Guerra. Idealmente parte dai grandi avvenimenti per arrivare ad approfondire alcuni particolari aspetti della guerra del 15-18. Reperti, cimeli e materiale documentale, accanto ad oggetti e curiosità, raccontano il vissuto della guerra, cercando di portare alla luce oltre al dato oggettivo anche alcuni aspetti della soggettività, il sentimento ad esempio di paura e di speranza. Una sezione della mostra invece, curata dall’Associazione 4 Novembre, è dedicata agli armamenti e agli equipaggiamenti, mentre un’altra espone alcuni strumenti ottici e di puntamento che servivano per l’artiglieria e per la topografia. Sono autentiche “chicche” sia per la loro conservazione davvero ottima sia per la rarità con cui si vedono esposti. All’interno di “Schegge” sono presenti alcuni reperti di Alessio Enzo, giovane appassionato della Grande Guerra residente a Cavallino-Treporti, come le maschere antigas di varie nazioni, i guanti in fibra di amianto dell’addetto al lanciafiamme, la bandiera lampo, ed altri oggetti destinati per il rancio; – “Via dei Forti, le fortificazioni nel Territorio”: una rappresentazione delle fortificazioni del Litorale che tutt’oggi si possono osservare percorrendo Cavallino-Treporti come le torri telemetriche, dotate di gonostadiometri e di telemetri a cannocchiale panoramico, che servivano a stimare le distanze dei bersagli mediante triangolazione. Altra novità per Batteria Pisani è la donazione che Furio Lazzarini – consulente a titolo gratuito del Comune, storico e giornalista appassionato di storia militare – ha fatto al Comune e che è stata situata in Piazza d’Armi. «È una piccola e simbolica installazione, tributo-ricordo della rete ferroviaria a scartamento ridotto che, dal 1909 e fino al 1945, collegava la Vettor Pisani con tutte le altre fortificazioni e infrastrutture militari del litorale – racconta Lazzarini -. Idealmente evoca una sezione di massicciata su cui è installato uno spezzone di binario con relativo respingente di finelinea,completato da un paio di traversine lignee: si tratta di reperti originali della nostra decauville rinvenuti in loco». Saranno inoltre esposte in Batteria alcune opere dell’artista locale Luigi Ballarin al fine di promuovere la mostra e l’attività della nuova galleria espositiva della scuola ex scuola Manin. Dal 18 maggio al 3 giugno “Meraviglie d’Oriente” rappresenterà il mondo islamico e il ponte culturale tra oriente e occidente, offrendo ai visitatori opere dallo stile arabo che rispecchiano l’espressione artistica tanto amata e utilizzato proprio nelle moschee di Istanbul. Batteria V. Pisani sarà aperta fino al 31 ottobre e per il mese di novembre verrà fatta una promozione particolare, considerate le risorse, i flussi e le richieste da parte dei visitatori. Le variazioni d’orario, a seconda del periodo, potranno subire variazioni. Da venerdì 23 marzo al 30 aprile Batteria Pisani sarà aperta al pubblico venerdì, sabato e domenica dalle ore 10.30 alle ore 17.30 (ultimo ingresso ore 16.45). Anche quest’anno il Comune, che gestisce la struttura, ha affidato al Parco Turistico i servizi legati al bookshop, all’accoglienza e all’informazione, grazie anche all’ufficio IAT aperto presso la stessa Batteria. Lo spazio del bookshop caffè è stato rinnovato e il visitatore vi può sostare e prendere visione delle varie pubblicazioni messe a disposizione, non solo sui temi della guerra ma anche riguardanti il territorio, grazie ad un allestimento che ripropone un salottino. Sarà inoltre possibile per i visitatori acquistare gadget in ricordo dell’esperienza fatta in Batteria. Il biglietto d’ingresso potrà essere acquistato presso l’ufficio informazioni della Batteria Pisani. Il Comune ha previsto tariffe agevolate per i residenti di Cavallino-Treporti: adulti 5 euro, bambini 0-6 anni gratis, bambini 6-18 anni 2 euro e over 65 gratis. Per i non residenti invece le tariffe sono: adulti 10 euro, bambini 0-6 anni gratis, bambini 6-18 anni 5 euro, over 65 5 euro, biglietto famiglia 20 euro e gruppi solo su prenotazione. Informazioni – Per informazioni e prenotazioni i numeri utili sono lo 041.2909555 oppure lo 348.3164470. È possibile consultare i siti www.comune.cavallinotreporti.ve.it, www.cavallino.info, www.viadeiforti.it e scrivere alla mail info@viadeiforti.it

 

 

La Palmaria e l’archeologia militare
Da laspezia.cronaca4.it del 23 marzo 2018

PORTO VENERE – Ben 44 studenti universitari della facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, insieme ai loro professori Paolo Citterio (progettazione architettonica, si occupa di progetti con forte valenza pubblica in Italia e all’estero), Carlo Togliani (storia della città e del territorio, esperto delle tecniche costruttive storiche applicate all’architettura), Chiara Lanzoni (progettazione urbanistica e paesaggio), saranno prossimamente (5 – 6 – 7 Aprile 2018) sull’isola Palmaria per un workshop dedicato allo studio delle fortificazioni militari dell’isola. Esprime soddisfazione Mangia Trekking che da parecchi anni lavora a questo risultato di valorizzazione e promozione delle strutture militari dell’isola. Il professor Paolo Citterio, autorevole associato del sodalizio dell’alpinismo lento, con tale iniziativa, contribuisce sicuramente a sviluppare questa importante impresa per il territorio ligure. Il programma del workshop sarà articolato con sopralluoghi e rilievi degli studenti nelle varie parti dell’isola e vi sarà una giornata conclusiva, aperta agli ospiti ed al pubblico, presso il Forte Umberto Primo, ove verrà descritto il lavoro fatto ed il programma di lavoro. A questa prima fase seguiranno attività nei prossimi mesi, e vi sarà un evento che concluderà la ricerca, con la mostra dei lavori finali. A caratterizzare il valore dell’iniziativa, vi è già l’adesione di importanti esponenti del mondo dell’Architettura. Quali, Gianluca Peluffo ( Architetto italiano tra i più noti a livello internazionale – autore della Sede bnl-bnp paribas a Roma, Docks di Marsiglia, sede IULM a Milano, Palazzo del cinema di Venezia, ecc.) e Luca Dolmetta ( Progettista del recupero del patrimonio storico (recupero Castello dei Doria – Imperia, restauro della Chiesa Fortezza di San Pietro a Lingueglietta, ecc.). Si concretizza così, un ulteriore sviluppo di quell’antico progetto di Mangia Trekking, secondo il pensiero del Generale Piero Pesaresi e dell’Ammiraglio Dino Nascetti, per contribuire a far conoscere la Palmaria e il territorio spezzino in generale, attraverso un percorso fatto di sentieri e fortificazioni militari.

 

 

Palmanova: alla ricerca delle gallerie sotto la Fortezza
Da ilfriuli.it del 23 marzo 2018

Sono stati comunicati i primi risultati sulle rilevazioni radar fatte sotto la Fortezza di Palmanova. Esplora, spin-off accademico dell’Università di Trieste, su incarico del Comune di Palmanova, ha concluso la prima parte degli studi svolti nel mese di gennaio. “Dai dati emerge che saranno necessari ulteriori approfondimenti. Gli studi non hanno ancora svelato tutti i misteri che la Fortezza riserva. Vogliamo andare a fondo per comprendere le peculiarità costruttive di Palmanova e per poterne apprezzare ancor più l’unicità”, così Luca Piani, assessore comunale con delega ai Bastioni, che ha seguito di persona lo svolgersi delle rilevazioni. Aggiunge il Sindaco Francesco Martines: “Con la recente apertura al pubblico delle Gallerie di contromina, il riconoscimento Unesco, le mostre d’arte, i grandi eventi e tutte le attività di promozione del territorio, stiamo ampliando notevolmente l’attrattività turistica della nostra città. Conoscerla ci permetterà di proporla al meglio e ampliare le possibilità di visita e l’interesse in chi vorrà venire a farci visita. Vogliamo continuare nelle indagini, non solo sulla piazza ma andando ad analizzare possibili percorsi sotterranei lungo i borghi, in particolare Borgo Aquileia, dove gli speleologi, a suo tempo, avevano rilevato parziali tracce di cunicoli di lunghezza ridotta”. In Piazza Grande l’analisi geoelettrica 3D ha rivelato forme non regolari sotto la superficie del suolo ma nessun dato eclatante ne è emerso. Ad ora gli studiosi possono affermare che non sono state rilevate gallerie regolari partenti dal pozzo centrale ma non possono affermare che non ci sia nulla. Sono state infatti notate possibili zone d’aria, naturali o artificiali, ad una profondità tra 2 e 5 metri su specifiche zone a ovest della piazza, a circa dieci metri dallo Stendardo. Una di queste appare molto regolare su un asse che parte dal centro, indirizzato verso la Loggia. Saranno necessari ulteriori approfondimenti, attraverso radar 3D che realizzino immagini tridimensionali del sottosuolo. Attraverso il GPR 3D (Ground Penetrating Radar) sono state svolte ulteriori rilevazioni nei pressi di Porta Cividale. Qui, all’altezza del fossato esterno, perpendicolare alla porta, è presente una galleria, già nota per rilievi eseguiti in passato, alla profondità di circa un metro e mezzo, alta due. Con la stessa tecnologia, in zona viale della Stazione, è stata analizzata una galleria che rompe con la regolarità geometrica della Fortezza. La sua presenza è stata confermata ma il suo tracciato è stato interrotto da un crollo interno. Infine gli studi svolti si sono concentrati sulla cinta muraria esterna, in particolare su circa 400 metri nei pressi di Porta Udine. Con un’aerofotogrammetria da drone è stato realizzato un modello tridimensionale di una porzione dei bastioni a Nord Ovest, una lunetta e un rivellino, (il modulo che, ripetuto nove volte, va a comporre la forma a stella della Fortezza). Questo modello 3d, con una risoluzione al centimetro, permetterà di realizzare computi volumetrici per analizzare lo stato di conservazione dei Bastioni oltre alla possibile creazione di modelli in realtà virtuale dedicati alla promozione turistica della città.

 

 

Dalla pagina FB Alpe Cimbra-Centenario del 21 marzo 2018

L’associazione Centenario 2018 - Tra le varie novità di quest'anno c'è, a Folgaria, la conclusione dei lavori di messa in sicurezza del Forte Sommo Alto. In vista dell'estate ...il Forte sarà dunque riconsegnato alle visite. L'intervento ha consolidato la struttura portante del manufatto, ha risolto alcune situazioni legate alla sicurezza e ha reso calpestabili e usufruibili gli ambienti interni. Si aggiunge così un altro, importante tassello al progetto di recupero e valorizzazione dei Forti Austro-Ungarici dell'Alpe Cimbra. L'inaugurazione e l'apertura al pubblico sono previste ad inizio estate: sarà un'occasione per rileggere una delle pagine più drammatiche della cosiddetta «Guerra dei Forti».

 

 

Esplorando i fortini di Pentimele (Reggio Calabria)
Da calabria.it del 20 marzo 2018

Coinvolti in un recente progetto di recupero e valorizzazione, i fortini di Pentimele rientrano fra le cosiddette fortificazioni umbertine. Sono state costruite nella metà dell’Ottocento. Costruiti insieme ai fortini di Capo d’Armi, la batteria di Punta Pellaro, i fortini collinari di Arghillà e le fortificazioni dei Piani di Matiniti. Sono stati edificati come prima linea di difesa da possibili invasioni infatti sono rimasti attivi dal 1896 fino alla seconda guerra mondiale. Attraverso una stradina ripida e piena di tornanti, che si imbocca all’altezza del palazzo dell’Agenzia del Territorio, si raggiunge il sito oggetto della nostra esplorazione. Fortini Pentimele Reggio Lungo la via è possibile godere di alcuni scorci paesaggistici unici e offerti dallo sviluppo urbano della Città Metropolitana. Fra la linea di costa e i primi rilievi collinari, e dai giochi prospettici dello stretto di Messina.

DOVE SI TROVANO I fortini Pentimele Reggio Calabria si trovano su due cime prospicienti di una collina e si traguardano fra di loro. Identici nello sviluppo planimetrico, sono denominati “fortino Nord” o “Pizzi” e “fortino Sud” o “Pellizzeri”. Rientrano infatti fra la tipologia architettonica definita a “ipogeo” in quanto erano scavati nella collina che li ospitava e non presentava un alzato fuori terra. Questo offriva un notevole vantaggio strategico, così era possibile sfruttare la posizione geografica elevata per effettuare una vigilanza a ampio raggio sullo Stretto di Messina senza rendersi visibili da mare. I fortini erano circondati da un fossato che rimane in parte tutt’oggi visibile insieme al ponte levatoio da cui si accedeva nella fortificazione.


VISITANDO IL FORTINO Visitando il fortino Sud si prova un certo senso di  straniamento, infatti, accanto alla fortificazione recentemente recuperata attraverso un accorto restauro, si alzano numerose antenne per le trasmissioni televisive locali che turbano l’armonia fra l’edificio storico e il paesaggio. Tuttavia, i numerosi affacci panoramici su Reggio Calabria e lo Stretto di Messina compensano largamente il senso di disagio precedentemente percepito. A fianco del fortino Sud si apre una stradina che conduce a un belvedere dove è in corso la messa in opera del monumento dedicato a San Paolo. Per il momento il complesso si compone della statua del santo, della base di una colonna in marmo di Carrara e di un ampio basamento. La manutenzione del fortino Nord sembra più trascurata rispetto a quella del “gemello”. Qualche ciuffo d’erba insiste fra i corsi che separano i mattoni e il materiale lapideo, infatti nonostante l’impianto planimetrico sia identico al fortino Sud, il colpo d’occhio è meno di impatto.

COME SONO COMPOSTI I FORTINI I fortini sono composti da due corpi: i corpi laterali e il corpo longitudinale. L’incrocio delle componenti laterali e longitudinali delimitano un ampio cortile interno attorno al quale si distribuivano i dormitori per i soldati, gli alloggi per gli ufficiali e le scuderie. Attraverso scalinate e rampe è possibile accedere ai livelli più elevati. Costruiti in materiale lapideo e mattoni, sono muniti di finestre, feritoie ed eleganti gocciolatoi inquadrate dai corsi della pietra locale. Dopo il tramonto si accendono le luci dei lampioni, che delimitano il percorso dalla strada principale fino ai fortini, e dei faretti puntati sugli edifici storici creando un’atmosfera molto suggestiva. Si conclude, così, la nostra esplorazione dei fortini di Pentimele: una gita fuori porta, a ridosso dalla città, dove le vestigia di un passato recente attendono, pazienti e silenziose, che qualche curioso le riscopra ancora una volta. Articolo a cura di Giovanni Speranza

 

 

Sanremo, il bunker segreto dei sottomarini riemerge dagli scavi di un nuovo albergo
Da lastampa.it del 20 marzo 2018

Il secondo conflitto mondiale non è solo un ricordo ma una presenza tangibile nei manufatti sparsi per la costa e per l’entroterra della città dei fiori ed oltre. I recenti scavi nel sito dove sorgeva il Tiro a Volo a Pian di Poma, hanno riportato alla luce un vecchio bunker costruito dai tedeschi dopo l’otto settembre 1943, quando l’esercito di Hitler occupò buona parte della Penisola a seguito dell’armistizio di Badoglio con gli anglo-americani. La costruzione, di per se strategica ed a picco sul mare, è composta al piano superiore da bunker difensivi e al piano inferiore, a livello della spiaggia, una rimessa di mini sommergibili della Kriegsmarine, la marina militare del Reich, usati per le incursioni contro gli alleati in Francia (mai diventati operativi e nella maggior parte naufragati)  Questo tipo di postazioni militari, erano situate da Perpignan fino alla Toscana, una rete costiera difensiva costruita dai genieri della cosiddetta Organizzazione Todt. Opere come la Linea Sigfrido, il Vallo Atlantico e in Italia la Linea Gustav e la Linea Gotica, portano la firma della Todt. E a Sanremo oltre ad esserci il bunker del Tiro a Volo si trovano altre fortificazioni, ad esempio, alla Foce nei pressi della Villa Romana, in zona Sud Est e La Vesca. Questo pezzo di storia è stato raccontato nel libro di Renato Tavanti «Sanremo Nido di Vipere», come la città fosse divenuta una temuta base per l’impiego di mezzi navali d’assalto, sottomarini e di superficie tedeschi ed italiani, nello scacchiere operativo del mare Ligure-Provenzale e riscoperto dall’associazione Scas (Studi Cavità Artificiali Sanremo). «La nostra associazione, – ha spiegato Davide Bagnaschino – si occupa prevalentemente della riscoperta e tutela delle fortificazioni alpine in tutta la provincia di Imperia e sulle Alpi Marittime, in quei luoghi teatro della battaglia delle Alpi Occidentali del 1940 tra Italia e Francia. Per quanto riguarda il bunker del Tiro a Volo – prosegue Bagnaschino – speriamo che non venga coperto del tutto, anzi sarebbe bello se si potesse riuscire a mantenere visibile il sito con la possibilità di accesso. Il bunker infatti non ha segni di combattimento ed è ancora in buone condizioni strutturali, basta solo ripulirlo dalla polvere». Proprio per testimoniare questa grande passione per la storia, sul colle di Tenda a Vievola sorge il museo del Vallo Alpino, realizzato insieme ai colleghi dell’Asval, l’associazione di amatori che si occupa della riscoperta di questo sistema di difesa italiano.

 

 

Altri due capitoli dei Racconti di Alfredo Iannuzzi
Da cybernaua.it del 18 marzo 2018

Continua la narrazione di aneddoti della sua vita vissuta in Aeronautica militare

18-03-2018 - Cap. 4 IL “ PEDRO” (TAC-EVAL - NYANG) Alla fine degli anni ’70, finalmente riesco a tornare dalle mie parti. Mi trasferirono prima come Sector Controller al 1* SOC di Monte Venda e successivamente come Capo Ufficio Operazioni al 13* GRAM di Concordia Sagittaria, PEDRO RADAR. Rimasi al Pedro per 8 anni dei quali gli ultimi 3 da comandante. Di cose da raccontare di questo periodo ce ne sarebbero tante; mi limiterò a ricordare alcuni episodi più significativi. A parte la routine che scandisce le giornate, i mesi e gli anni di un sito radar operativo 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, particolare importanza e impegno hanno le TAC-EVAL (Tactical Evaluation), valutazioni tattiche che consistono, ogni 2 anni, in esercitazioni con le quali la NATO valuta la capacità operativa del sito, simulando uno stato di allarme e conflitto. A questo evento ci si prepara tutto l’anno ed i risultati (che il team di valutatori NATO esprime con dei voti) influiscono sul prestigio del Reparto e sulla carriera dei comandanti. Il Pedro, oltre a svolgere la TACEVAL con il 51° di Istrana, supporta anche quella del gruppo americano rischierato ad Aviano.

Per l’occasione ebbi (da comandante) la fantastica opportunità di fare un volo con il comandante del 614° USAF su un F16… Ad Aviano, venivano spesso rischierati anche i radar mobili della New York Air National Guard, il cui comandante colonnello IANUZI (AIANUSI) era convinto di essere mio parente, tanto che fece scrivere una storia sul giornale della Air force. Cap 5. UFFICIO OPERAZIONE DEL COMANDO 1a R.A. MILANO Dopo il Comando del 13° Gruppo Radar “Pedro”, vengo trasferito a Milano, all’Ufficio Operazioni del Comando 1^ Regione Aera. Lavoro di ufficio con reperibilità che torna comoda, in quanto siamo i soli ad alloggiare a Piazza Novelli anziché a Linate (Casa e bottega). Il Capo di SM di Regione è un generale di Brigata tosto e competente (non sempre le due cose coincidono). Ha l’abitudine di leggere tutto ciò che noi del OPN gli prepariamo, lavorando anche di notte, restituendoci il mattino seguente i lavori, arricchiti di appunti e di richieste di chiarimento… Un mio carissimo collega esasperato trova al mercato una testa di pupazzo di gomma con due orecchie enormi.. quando esce dall’ufficio del CSM se lo strapazza fra le mani per scaricare i nervi… Dimenticavo…il generale in oggetto aveva un bel paio di orecchie… Una mattina arriva sui nostri tavoli un telefax dai CC del Cavallino (zona balneare vicino a Venezia) riportando che il tetto di un villetta è stato divelto dal passaggio di un velivolo a bassa quota. Per quanto impossibile possa sembrare, il CSM ci incarica di portare a termine una indagine accurata.

Risultato negativo, i nostri radar non vedono a quote talmente basse da divelgere un tetto, ma alcuni voli di Tornado avrebbero dovuto sorvolare la zona a bassa quota. Estendiamo l’indagine alle basi di tornado ma tutti asseriscono di essersi attenuti ai piani di volo e di non essere mai scesi sotto i 1000 piedi (300Metri) e da quella quota non si divelgono tetti. La mia esperienza pregressa mi fa fare una ulteriore ricerca a Trapani e a Geilenkirchen le Basi AWACS della NATO, per sapere se per caso erano in volo a quell’ora e coprivano l’area dei dintorni di Venezia. Purtroppo, per il pilota di Tornado, loro c’erano ed avevano rilevato la quota di circa 200 piedi pari a poco più di 50 metri. Sia il CSM che il comandante di Regione erano contrariati dal fatto che dovemmo richiedere alla NATO perché i nostri radar non avevano visto nulla…. Si era in pieno “casino” per il tragico evento di Ustica, con le accuse che piovevano sulla AM. Io spiegai in una nota che quello che era successo a Ustica si sarebbe potuto ripetere altre volte, se per provare i fatti si fosse ricorsi ai tracciati radar della Difesa Aerea per via delle coperture e non solo a bassa quota…. Se ci fosse stato un AWAC in volo, probabilmente avremmo avuto più informazioni utili, anche per quella tragedia. di Alfredo Iannuzzi

 

 

Trekking sui Forti di Genova tra mura e antichi sentieri
Da mentelocale.it del 18 marzo 2018

Una visita guidata che porta sul tetto di Genova al Parco Urbano delle Mura e ai Forti di Genova, accompagnati da una guida escursionistica esperta. Una suggestiva camminata facile e adatta a tutti immersa nella natura, per esplorare le alture della città, le fortificazioni ottocentesche e le antiche mura. Appuntamento domenica 18 marzo 2018 con ritrovo alle ore 9 (il tour dei forti si ripete il 2 aprile; 1 maggio; 27 maggio e 10 giugno). Genova - Il punto d’incontro (alle ore 9.15, presentarsi 15 minuti prima) è previsto presso l’Ufficio di Informazione e Accoglienza Turistica di via Garibaldi 12r, dal quale si raggiungerà la funicolare Zecca-Righi, antichissimo e caratteristico sistema di risalita che condurrà sull’omonima collina del Righi, dove inizierà il tour. Da qui il percorso si svilupperà lungo l’antico sentiero che costeggia le mura seicentesche fino al Forte Sperone, per proseguire verso il Forte Puin lungo il cosiddetto sentiero delle farfalle e le antiche neviere e ritornare alla funicolare costeggiando il Forte Castellaccio. L’interno dei forti non è visitabile. Durata: 4 ore circa. Difficoltà: escursione facile su sentieri, adatta a tutti; si richiede una minima capacità di camminare in ambiente naturale. Consigliate scarpe e abbigliamento da trekking. Costo: intero 14 euro; 0-6 anni gratis. Il biglietto della visita non comprende il trasporto A/R in funicolare (biglietto AMT obbligatorio per maggiori di 1,5 m di altezza, da acquistare in loco autonomamente al costo di 1.50 euro a tratta). Biglietti: acquistabili presso gli Uffici d’Informazione Turistica (via Garibaldi 12r, via al Porto Antico n.2) e non sono rimborsabili. Se il servizio non sarà confermato, i partecipanti potranno avere la possibilità di ricalendarizzare la visita in altra data oppure di effettuare uno degli altri tour a scelta tra Walking Tour o il tour dei Palazzi dei Rolli "Le splendide dimore genovesi del '500". Genova - In caso di cancellazione verrà inviata una mail entro le 10 del giorno precedente al tour. Il servizio è subordinato al raggiungimento del numero minimo di 9 partecipanti e alle condizioni meteo. Il gruppo sarà composto da un massimo di 25 partecipanti, bambini compresi. Info: 010 5572903; info@visitgenoa.it.

 

 

I missili di Putin servono a dissuadere un attacco americano?
Da comedonchisciotte.org del 17 marzo 2018

La presentazione di nuove armi russe fatta il primo marzo è stata interpretata come un atto d’arroganza strategica. Lo scopo, in realtà, era quello di scoraggiare un attacco imminente. Il pericolo non è ancora finito, perché la settimana dopo, il 7 marzo, il presidente russo ha sottolineato la propria disponibilità ad impiegare armi nucleari a scopo di ritorsione, anche se ciò vorrebbe dire la fine del mondo. “Certo, sarebbe un disastro globale per l’umanità, un disastro per il mondo intero”, ha detto Putin, “ma, in quanto cittadino russo nonché Capo dello Stato, devo chiedermi: perché dovremmo voler un mondo senza la Russia?”. Risposta audace. Un uomo meno coraggioso avrebbe evitato di rispondere così. Significa che il pericolo è ancora imminente. Con queste schiette parole Putin vuole dissuadere chiunque voglia provocarlo troppo. Perché, all’improvviso, ha deciso proprio ora di svelare al mondo queste nuove armi? Non è che i russi (o gli americani, per quel che vale) siano abituati a dare pubblicamente aggiornamenti sul proprio arsenale. E dal 2002, l’anno in cui gli Stati Uniti si ritirarono dal trattato ABM, è passato molto tempo. Qual è stato il motivo, o, perlomeno, il fattore scatenante? Alcuni osservatori scommettono sia stato un astuto trucco pre-elettorale rivolto al pubblico domestico. Potrebbe essere un’interpretazione, ma minore. Il principale oppositore di Putin, il comunista Grudinin, non ne ha contestato né la politica estera né la spesa per la difesa; gli elettori approvano comunque la politica estera.

La rivelazione di Putin ha reso i russi orgogliosi, ma loro lo voterebbero comunque. Il motivo del discorso di Vlad è un altro, e più urgente: un terribile crescendo di minacce aveva reso la Russia molto vulnerabile. Le agenzie di spionaggio hanno forse convinto il leader russo che le minacce fossero reali. È da tempo che l’establishment americano cerca un modo per umiliare e punire la Russia, dopo l’accusa di Mueller verso 13 russi. Secondo questa, “i cospiratori russi volevano promuovere discordia negli Stati Uniti e minare la fiducia dell’opinione pubblica nella democrazia”, come afferma Rod Rosenstein, vice procuratore generale che supervisiona l’inchiesta di Mueller. Non importa che i russi incriminati non siano funzionari dello stato russo; che la loro attività (se mai sia esistita) sia stata minima: pochi annunci pubblicitari del costo di circa $100.000, una goccia nell’oceano rispetto alle enormi quantità di denaro speso dalle campagne sia della Clinton che di Trump. L’establishment americano ha tuttavia definito “atto di guerra” queste azioni minori di privati cittadini russi. Il 19 febbraio, Glenn Greenwald ha riassunto le reazioni statunitensi nel pezzo intitolato “La Russia ha commesso un ‘atto di guerra’ del livello di Pearl Harbor e dell’11/9”. Ci ha ricordato che senatori di entrambi gli schieramenti, come il repubblicano McCain e la democratica Shaheen, hanno a lungo descritto l’intromissione russa nel 2016 come un “atto di guerra”. Hillary Clinton ha descritto il presunto hacking della DNC e le mail in arrivo di John Podesta come un “cyber 9/11”. Tom Friedman del New York Times ha detto al “Morning Joe” che l’hacking russo “Hanno attaccato il cuore della nostra democrazia. È stato un evento del livello di Pearl Harbor”. Dopo l’accusa, il paragone è diventato una fiera del luogo comune. “Karen Tumulty del Washington Post, lamentandosi dell’inazione di Trump, ha chiesto ai lettori di “immaginare come la storia avrebbe giudicato Franklin D. Roosevelt all’indomani di Pearl Harbor, se avesse dichiarato alla radio che Tokyo se la stava ‘ridendo di gusto’. O se George W. Bush si fosse trovato tra le macerie del World Trade Center con un megafono e si fosse messo ad insultare i Democrats”. Greenwald ha concluso: “Se l’ingerenza delle elezioni russe è al livello degli attacchi di Pearl Harbor e dell’11 settembre, allora la risposta americana dovrebbe essere alla pari con la sua risposta a quegli attacchi?”. In altre parole, politici e media statunitensi hanno invitato a riservare alla Russia lo stesso trattamento che gli Stati Uniti hanno riservato a Giappone (Hiroshima e Nagasaki) ed Afghanistan (invasione più 16 anni di occupazione). Alla ricerca dell’escalation, l’establishment anglo-americano si è rivolto al solito trucco di presunti attacchi gas siriani. La gente è stata addestrata a rispondere a tali accuse (o, in alternativa, a non dire una parola mentre gli USA bombardano Mosul e Raqqa, o si prepara a distruggere la Corea del Nord con armi nucleari). Assad e la Russia sono stati accusati di aver distrutto col gas la roccaforte ribelle di Ghuta est, l’ultima chance dell’occidente di imporre un regime change in Siria, data la sua posizione vicino alla capitale. Il presunto attacco con gas di cloro è stato segnalato il 25 febbraio, ed è stato immediatamente smentito da russi e siriani. Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha detto che questo anonimo “falso report” è stato fabbricato negli Stati Uniti per denigrare il governo siriano e le sue truppe, per accusarli di crimini di guerra e per causare la rottura definitiva del paese. Gli americani ed i loro alleati, ha detto, stavano “strumentalizzando le infondate accuse dell’uso di armi tossiche da parte di Damasco”. I ribelli hanno detto di esser stati attaccati dal gas al cloro, in contrasto con le volte precedenti in cui hanno sostenuto che il gas usato fosse il sarin. Il gas di cloro è un affare complicato; non è mortale, ma l’inalazione è dannosa. È anche piuttosto difficile da monitorare e verificare, perché il cloro è ampiamente utilizzato per scopi domestici, dalla pulizia dei bagni alla depurazione dell’acqua, e non è una sostanza vietata (anche se il cloro gassoso è vietato). Questa difficoltà di verificare l’ha resa adatta ad essere una sostanza spesso rivendicata. La situazione a Ghuta est è stata un replay di Aleppo; notizie di bambini feriti, video prodotti dagli Elmetti Bianchi e testardi tentativi dei ribelli di impedire l’esodo dei civili dalla zona. Ogni volta che i ribelli vengono colpiti duramente, si inventano la balla di civili sofferenti e di attacchi di gas, sperando che gli Stati Uniti costringano il governo siriano ed i loro alleati russi a cedere. È indubbio che i civili abbiano sofferto nella guerra siriana; c’è tuttavia un modo per porre fine alla loro sofferenza. I ribelli potrebbero deporre le armi e seguire il processo politico, come altri paesi. Ci sono molti americani insoddisfatti del governo Trump, ma non vanno a bombardare Washington; sperano in un risultato migliore e diverso alle successive elezioni. Il loro esempio può essere emulato dai ribelli siriani, così da non far soffrire i civili. Se questo è chiedere troppo, potrebbero lasciar andare i civili e combattere fino alla morte. Ma no, non li lasciano liberi; al contrario, si inventano report di civili sofferenti. C’è un altro angolo di osservazione. I ribelli di Ghuta est sono addestrati e guidati da agenti dell’intelligence britannica e americana, e sono caduti sotto il fuoco russo. Forse è stata una ritorsione russa per il bombardamento su installazioni di aree petrolifere vicino a Deir ez-Zor, dove la compagnia militare privata russa (chiamata Wagner, dal soprannome del suo leader) è stata maggiormente colpita ed ha subìto molte perdite. Thierry Meyssan, il noto giornalista francese residente a Damasco, ha affermato che anche le truppe di terra russe abbiano partecipato all’assalto di Ghuta est.

È possibile che russi e americani stiano già combattendo direttamente, sebbene ambo le parti siano restie ad ammettere le proprie perdite. Il ministro degli Esteri britannico Boris Johnson è stato il primo a “prendere seriamente in considerazione” gli attacchi aerei in Siria. Si è perso la festa in Libia (“siamo venuti, abbiamo visto, è morto”, disse la Clinton di Gheddafi), ed ora il pel di carota freme per bombardare qualcuno. Il suo Parlamento tuttavia non gli consente di farlo. La palla è stata ripresa dagli americani. Bloomberg ha scritto in un editoriale: “È tempo di un’altra linea rossa, una dalla quale gli Stati Uniti non si tirino indietro. Trump dovrebbe dire ad Assad ed ai suoi alleati russi che ad un ulteriore verificato uso di qualsiasi arma chimica, incluso il cloro, si risponderà con una rappresaglia ancor maggiore di quella avvenuta ad aprile”. [Il riferimento è all’attacco del missile da crociera sulla base aerea siriana di Shayrat, presumibilmente per vendetta contro l’attacco con gas sarin a Khan Sheikhoun. Da sùbito sono emersi dubbi su questo “attacco con gas sarin”, ed Unz.com li ha subito riportati. A giugno 2017, Seymour Hersh ha svelato tutta la storia dietro Shayrat: non c’è stato alcun “attacco di sarin” , ed a Trump è stato detto dai suoi stessi servizi di chiudere il caso. Lui ha insistito ed attaccato ancora, stavolta però avvertendo i russi prima: non ci sono state vittime russe o siriane, solo il danno minimo di $100 milioni per i contribuenti americani. I media mainstream statunitensi erano in sollucchero, e si sono congratulati con Trump per questo esemplare comportamento presidenziale]. L’American Conservative, sito repubblicano pro Trump, si è fortemente opposto ai piani di bombardare la Siria: “Il presidente non aveva alcuna autorità per ordinare l’attacco alle forze siriane l’anno scorso, e tuttora non ce l’ha. Non esiste un mandato internazionale acciocché le forze americane siano in Siria, né esiste alcuna autorizzazione per un’azione militare contro le forze governative siriane o relativi alleati. Se Trump ordinasse un altro attacco illegale, gli Stati Uniti commetterebbero plurimi atti di guerra contro un governo che non ci minaccia, che non ha fatto nulla contro di noi o contro i nostri alleati, e che sta ancora combattendo all’interno dei propri confini internazionalmente riconosciuti”. Le voci di chi vuole attaccare e punire russi e siriani sembrano però più forti. “La Casa Bianca sta considerando una nuova azione militare contro il regime siriano”, ha scritto il The Washington Post il 5 marzo. Il quotidiano ha indicato chi ha spinto per l’attacco (il Consigliere per la Sicurezza Nazionale H.R. McMaster) e chi no (il Segretario alla Difesa Jim Mattis). “Altri funzionari, in particolare alla Casa Bianca ed al Dipartimento di Stato, sembrano più aperti ad un’ulteriore azione contro Assad”, dice l’articolo. Questo è il contesto del discorso di Putin del 1° marzo. Il presidente russo ha parlato dei nuovi missili russi, resistenti al sistema Aegis e non arrestabili dal fuoco di terra, che possono rendere le portaerei americane, il maggior simbolo della potenza USA, facili bersagli. La Russia li affonderebbe in caso di attacco contro di lei o contro i suoi alleati, ha detto Putin. ‘Alleati’ è la parola chiave. L’alleato russo minacciato è la Siria. Putin ha avvertito gli americani che un attacco aereo in Siria potrebbe ricevere come risposta un attacco al loro Carrier Strike Group (CSG) nell’area. Se bombardate Damasco, faremo affondare i vostri CSG nel Mediterraneo e nel Golfo. Possiamo incenerire anche le vostri basi aeree nell’area. La posta in gioco bruscamente alzata è un punto di svolta. Chissà quale sarà la risposta russa a questa o quell’altra azione degli alleati occidentali? I bellicosi neocon dicono che la Russia è tutto fumo e niente arrosto. I realisti dicono che gli Stati Uniti potrebbero subire l’umiliante e dolorosa perdita dei propri CSG, oltre a quella di migliaia di vite. Trump si era goduto il precedente attacco in Siria con dozzine di Tomahawk, prima di tornare alla sua meravigliosa torta al cioccolato. Se l’attacco venisse ripercorso sui CSG che attaccano, la questione sarebbe completamente diversa. Qualcuno ha detto Pearl Harbor? Anche se questo scambio non portasse a massicci attacchi nucleari di Stati Uniti e Russia, od alla guerra totale che distruggerebbe il mondo, avrebbe comunque un prezzo molto alto. I russi potrebbero persino colpire il club privato di Trump a Palm Beach, Florida, come hanno maliziosamente prospettato nel video parodia. Sembra che il presidente americano ne abbia appena parlato con la May. Gli inglesi per qualche ragione sono più desiderosi di far guerra alla Russia. Stanno facendo del proprio meglio per fermare il riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia. La strana storia dell’avvelenamenteo della propria ex spia con un gas nervino aggiunge ulteriore pepe al loro impegno, e l’Ambasciata Russa nel Regno Unito ha trollato su Twitter: “Nei giornali di oggi: gli esperti chiedono a @Theresa_May di interrompere il disgelo Russia-USA. Nessuna fiducia nel miglior amico ed alleato della Gran Bretagna?”. La partita è diventata più eccitante. I russi stanno bluffando o no? Giocheranno la mano, o lasceranno cadere le carte, questa è la domanda. Non c’è ancora nessuna risposta. Solo la storia lo dirà. Nel frattempo, a giudicare dalla tesa calma in Medio Oriente ma anche altrove, il gioco di Putin ha avuto successo. I missili americani sono rimasti nei propri siti di lancio, così come quelli russi. L’offensiva russosiriana a Ghuta est procede senza sosta; le operazioni di terra americane in Siria sono invece giunte ad un punto morto, perché i curdi sono troppo occupati coi turchi. Forse sopravviveremo a questo quasi scontro, come siamo sopravvissuti al quasi-scontro del 2011. Israel Shamir Fonte: www.unz.com

 

 

Scauri / Presentazione al pubblico della mostra sulle Torri costiere e dell’Ecoalbergo
Da temporeale.info del 16 marzo 2018

MINTURNO – Sabato 17 Marzo alle ore 16:00 a Scauri, nella struttura dell’Ecoalbergo sito in Via Appia (area dell’ex Sieci) avverrà la presentazione della mostra, organizzata dal Parco Regionale Riviera di Ulisse, intitolata “Le Torri Costiere tra Canneto e il Garigliano in Terra di Lavoro”. Undici pannelli illustreranno con fotografie, cartografie e descrizioni tecnico-storiche, il sistema di torri di avvistamento, presenti lungo la costa tra Terracina ed il Garigliano in Terra di Lavoro, costruite e utilizzate per consentire la comunicazione tra la costa e l’entroterra. Alcune torri, la cui costruzione risale al X e all’XI secolo non sono più visibili, altre mostrano soltanto alcuni resti mentre altre, ancora, sono ben conservate. Le carte geografiche redatte tra la fine del 1500 e gli inizi del 1600 mostrano uno spaccato delle fortificazioni presenti sia sulla costa che nell’entroterra. Molti anche i documenti cartografici che, nel XVI secolo, individuano le torri costiere, la cui utilità è, nel frattempo, tornata prepotentemente alla ribalta per l’incubo dovuto al sempre crescente aumento della presenza nel Mediterraneo della potenza turca. Con la mostra il Parco Riviera di Ulisse presenterà al pubblico anche il c.d. “Ecoalbergo”, una struttura ricettiva eco-sostenibile, atta a soddisfare la crescente richiesta di turismo ecosostenibile. La sua realizzazione è avvenuta con finanziamenti europei, nazionali e regionali, ristrutturando un manufatto concesso in comodato d’uso dall’Amministrazione Comunale di Minturno. Gli ecoalberghi sono nati per abbracciare la vocazione ecologica e fanno della sostenibilità e della salvaguardia dell’ambiente il loro obiettivo principale. Rispondono alla volontà di un numero crescente di turisti di attuare forme di risparmio energetico anche durante i periodi di vacanza. Nella struttura di Scauri, oltre alle opere di efficientamento ed isolamento  termico delle pareti perimetrali e delle coperture sono stati installati dispositivi per il risparmio energetico, per il riciclo delle acque grigie, il recupero delle acque meteoriche ed il loro successivo riutilizzo, la predisposizione di compostiere per il recupero dei rifiuti organici, impianti fotovoltaici e solare termico per la produzione di energia elettrica ed acqua calda. In tutta Italia sono presenti centinaia le strutture ecoturistiche, e per comprenderne l’importanza, basta ricordare che, secondo alcune stime, l’inquinamento delle strutture alberghiere ha un impatto negativo sull’ambiente quattro volte maggiore rispetto a un’abitazione civile. La gestione dell’Ecoalbergo sarà, in seguito, affidata tramite bando pubblico. In tal modo sarà anche possibile verificare che al suo interno vengano utilizzati prodotti alimentari biologici e territoriali e che la raccolta differenziata dei rifiuti venga scrupolosamente attuata.

 

 

Polonia e Romania scelgono il Patriot
Da caffegeopolitico.org del 15 marzo 2018

In 3 sorsi/MS – Il 6 luglio di quest’anno il Presidente Trump ha dato il nulla osta per la vendita alla Polonia di missili MIM-104F (i.e. PAC-3) Patriot. La firma da parte del Ministro della Difesa polacco Macierewicz fa seguito alla decisione di ammodernare il sistema anti-aereo/anti-missile (programma WISLA)1.

L’OFFERTA STATUNITENSE
Raytheon, il produttore del Patriot, ha reso noto che integrerà la Polonia nel programma SkyCeptor, un sistema per la difesa da missili balistici a corto-medio raggio e da missili cruise basato sul missile hit-to-kill Stunner, arma coprodotta da Raytheon a Rafael e nata per il sistema di difesa aereo israeliano David’s Sling Weapon System (DSWS).

Lo SkyCeptor è da intendersi come parte integrante e NON sostitutiva del sistema missilistico Patriot, dal momento che i sistemi di controllo del tiro e radar sono gli stessi.

A fronte di questi sviluppi, la Polonia rinuncerà all’acquisto dei PAC- 2 GEM-T per focalizzarsi su più SkyCeptor e su un numero limitato di PAC-3 (dedicati all’intercettazione di missili balistici di medio raggio).

Se la Polonia fa acquisti USA anche la Romania non è da meno: è data per certa l’integrazione nel sistema di difesa aereo rumeno di una componente Patriot.

Le decisioni polacche e rumene di migliorare le proprie capacità nel settore anti-missile risalgono alla crisi in Ucraina e al conseguente peggioramento dei rapporti NATO-Russia.

2. USA vs. EUROPA?
Sebbene questi due Paesi siano tradizionalmente legati all’Europa per quanto concerne il procurement di mezzi militari, hanno scelto un sistema completo statunitense a fronte della proposta italo-francese dell’FSAF SAMP/T basata sul missile Aster 30. Si tratta di una scelta politica o tecnica?

Il PAC-3 è un sistema combat proven, è stato impiegato in teatri operativi per anni e le sue evoluzioni tecnologiche sono passate quasi sempre dal “laboratorio al campo di battaglia”. Per quanto concerne l’ultima versione, il Patriot PAC-3 MSE, si tratta di un sistema solido, per quanto moderno sotto molti aspetti.

La possibilità di disporre di una testata hit-to-kill a energia cinetica (anche il missile Aster 30 dispone di una testata hit-to-kill ma di tipo esplosivo con frammenti focalizzati sul target) e di una carica esplosiva secondaria da 73 kg che aumenti la letalità nei confronti dei bersagli “air breathing” dimostra indirettamente se non la bontà del sistema di guida attivo utilizzato almeno la fiducia riposta dagli USA sulle capacità di intercetto diretto del PAC-3.

L’Aster 30 a sua volte dispone di un sistema di spinta duale vettorato (il cosiddetto “PIF-PAF”) in grado di direzionare la carica in maniera molto precisa nei confronti dell’obbiettivo. La carica primaria a frammentazione lascia intuire inoltre ottime capacità distruttive su qualsiasi bersaglio intercettato. Il radar a terra ARABEL del sistema SAMP/T è di tipo AESA, quindi a scansione elettronica attiva, mentre l’attuale sistema radar Patriot (in via di sostituzione, tuttavia) si basa su un phased array passivo di generazione precedente.

Come si può notare, entrambi i sistemi dispongono di ottime capacità e rappresentano quanto di meglio l’industria occidentale possa sviluppare in questo segmento.

 

3. LA SCELTA POLITICA
La scelta della Polonia di entrare nel programma PAC-3/SkyCeptor come partner di sviluppo invece di limitarsi all’acquisto finale è basata su considerazioni di tipo industriale che vanno oltre la mera efficacia. La possibilità di avere in patria parte delle capacità tecnologiche necessarie, assumere manodopera locale e accrescere il know-how tecnologico è stato molto allettante.

Per quanto concerne la Romania, possiamo supporre che (anche) questa volta Francia e Italia non siano riuscite a fare squadra e a proporre un pacchetto unico, penalizzando le possibilità di successo di una proposta tecnicamente valida. Il missile Aster 30 è in costante evoluzione, e una versione ad hoc per minacce balistiche è vicina all’operatività.

Ciononostante, gli Stati Uniti sono stati capaci di offrire capaci di offrire un ottimo prodotto – peraltro combat proven – a condizioni e ritorni allettanti. Il team commerciale europeo sembra non essere stato abbastanza convincente. Più in generale, il discorso sui sistemi anti-missile è ormai un argomento all’ordine del giorno su scala globale.

Le schermaglie fra Stati Uniti e Corea del Nord hanno sottolineato come la proliferazione delle armi balistiche e da crociera – e delle conoscenze disponibili nel settore – sia da considerare come un trend assodato. Ciò significa che i missili per la difesa antiaerea classica sono sempre meno significativi.

 

Il mercato per Patriot e Aster si amplia, dunque, ma vincerà di più chi avrà alle spalle un team più coeso, più che la proposta tecnica più pregevole. di Luca Melandri

 

 

 

“Grüne Linie”: si cercano fondi per pubblicare un libro fotografico sulla Resistenza in Mugello
Da ilfilo.net del 14 marzo 2018

MUGELLO – “Grüne Linie” era il nome che l’esercito tedesco aveva dato, nell’estate del 1944, alla Linea Gotica: quella traccia di difese e fortificazioni che correvano lungo l’Appennino, tagliando in due l’Italia, dalla costa tirrenica a quella adriatica. Una linea che si snodava fra boschi e paesi, costellata di storie di coraggio e di paura, di rivalsa e di resistenza. Storie che hanno lasciato segni indelebili nel paesaggio e nella memoria ”Grüne Linie” è oggi anche il nome di un libro, un percorso narrativo fatto di immagini e parole sulla memoria dei luoghi della Resistenza. Le immagini sono le fotografie di Giancarlo Barzagli, le parole quelle di WuMing2. “Grüne Linie è l’espressione che fin da bambino ho sentito nei racconti degli anziani del mio paese”. Nell’infanzia di Giancarlo Barzagli, cresciuto fra le poche case di Razzuolo, frazioncina aggrappata alle pendici dell’Appennino, la memoria del conflitto è stata un inconsapevole sfondo ai giochi: nelle vecchie trincee dove si andava a nascondersi, nei bossoli usati come vasi per i fiori… per poi mutare consistenza, con il passare del tempo e lo studio della storia. “La consapevolezza del valore e della caducità della memoria ha generato in me l’urgenza di documentare ciò che ancora era rimasto del passaggio della guerra e degli anni della Resistenza, mentre i custodi di quei ricordi se ne andavano”. Il libro potrà essere acquistato solo sostenendo il crowdfunding su: https://www.eppela.com/it/projects/18478-grune-linie-libro-fotografico-sullaresistenza da oggi fino al 23 maggio. Un volume che si compone di numerosi documenti e fotografie, a raccontare i segni che la montagna ancora custodisce e i volti dei testimoni, accompagnati da estratti dei loro ricordi, oltre ad un racconto di WuMing2 – autore de “Il cammino degli dei” – e profondo conoscitore delle montagne che separano Bologna e Firenze. Grüne Linie conterrà inoltre una mappa, con itinerari scelti per ripercorrere luoghi della memoria e imparare a conoscere un territorio di grande fascino. Per avere maggiori informazioni sul libro e per restare aggiornati sul crowdfunding che ne renderà possibile la pubblicazione, basta cliccare “mi piace” sulla pagina  Facebook https://www.facebook.com/grunelinie/ o visitare il link www.giancarlobarzagli.com.

 

 

Apre il complesso museale della batteria Pisani
Da  nuovavenezia.it del 14 marzo 2018

CAVALLINO. Riapre in grande stile sabato 24 marzo, in tempo per avviare la nuova stagione di eventi, il complesso museale della batteria Pisani. In quella giornata è prevista la presentazione in grande stile da parte dell’amministrazione comunale delle attività culturali della batteria Pisani riferite alla stagione 2018. Il complesso fortificato ristrutturato lo scorso anno ospiterà, oltre alla mostra permanente “Schegge, oggetti della Prima Guerra Mondiale”, le esposizioni “Via dei Forti, le fortificazioni nel Territorio”, “Restauro delle Batterie V. Pisani e Amalfi”. Sempre all’interno dell’edificio storico si potranno inoltre ammirare due collezioni private: “Cavallino-Treporti: la Grande Guerra” dello storico Furio Lazzarini, e “Sanità, percorso con oggetti e racconti vissuti” di Erminio Scarpa dell’Associazione IV Novembre. In occasione dell’apertura prevista il 24 marzo alle 16 si terrà la proiezione del documentario “1866 il Furto delle Venezie” alla presenza di Alberto Montagner presidente Associazione Culturale Veneto Nostro – Raixe Venete e del regista Tommaso Giusto. (f.ma.)

 

 

La Palmaria al centro delle Giornate di Primavera Fai
Da cittadellaspezia.com del 13 marzo 2018

La musica degli alunni del Conservatorio Puccini e l'arte culinaria degli studenti dell'Aberghiero Casini. Ci saranno i 130 anni di storia della spettacolare Torre corazzata Umberto I, per tutti il forte dell'isola Palmaria. Altra iniziativa di sicuro successo sarà organizzata dal FAI, Fondo Ambiente Italiano, della Spezia per le Giornate di Primavera che si terranno nell'ultimo fine settimana di marzo. Sabato 24 e domenica 25 marzo (10-18) porte aperte nella grande struttura sabauda. "Con la nascita dell'arsenale militare, il Golfo della Spezia venne disseminato di Fortezze, Batterie e altre strutture volte alla difesa. L'articolazione delle postazioni fu così intelligentemente studiata che nel tempo queste opere vennero più volte utilizzate, ampliate e adattate all'evolversi dei sistemi di combattimento. Allo stato attuale molte di queste fortificazioni sono in degrado, ma costituiscono un'affascinante occasione per un'escursione nel verde, alla ricerca di antiche mura e imponenti strutture architettoniche e fanno del golfo spezzino una realtà quasi unica in Europa per densità di opere militari. La delegazione della Spezia, dopo l'apertura dell'Arsenale militare e del Varignano con la Punta di Santa Maria, apre il Forte Umberto I, particolare esempio di fortificazione interessante dal punto di vista storico, architettonico e ambientale, situato sulla Palmaria, affascinante isola ricca di vegetazione e di scorci mozzafiato", annuncia il FAI. Gli apprendisti ciceroni che racconteranno la storia della torre saranno gli studenti della media "Fontana", liceo classico "Costa", liceo scientifico "Pacinotti", liceo artistico "Cardarelli", istituto "Fossati - Da Passano", istituto alberghiero "Casini" e istituto "Capellini - Sauro" della Spezia e del liceo "Parentucelli - Arzelà" di Sarzana. Le visite guidate saranno svolte anche in inglese, francese, spagnolo e tedesco. Per entrare servirà un contributo di 5 euro.

 

 

Visita guidata gratuita alla mostra Casale Monferrato la piazzaforte europea del Rinascimento
Da ilmonferrato.it del 7 marzo 2018

Domenica 11 marzo alle ore 10,30 si svolgerà una visita guidata gratuita alla mostra Casale Monferrato la piazzaforte europea del Rinascimento allestita nelle sale del secondo piano del Castello del Monferrato. Condurranno l’esperienza, un vero e proprio momento di confronto collettivo capace di accogliere riflessioni e diversi punti di vista i curatori Roberto Maestri, Dionigi Roggero, Luigi Mantovani. Parteciperà anche l’assessore alla Cultura Daria Carmi: «Qualsiasi mostra dovrebbe avere nell’animo l’obiettivo di produrre conoscenza e le mostre che sanno creare dibattito e nuovi punti di vista sono sempre più felici di quelle in cui non emerge nulla di nuovo. Il divertimento intellettuale è proprio questo, un sentimento di attiva felicità della nostra materia grigia che ci apre verso nuove idee, curiosità, opinioni. Questa mostra in più è caratterizzata dallo spirito di riscoperta, di rilettura di documenti che non venivano mostrati al pubblico dal 1969 (quando si aprì il "Quarto Congresso di Antichità e d’Arte”), di metterli in relazione a opere inedite - per le quali ringrazio ancora i prestatori privati – per restituire alla Cittadella il protagonismo che merita. Ringrazio i curatori della mostra, tutti quelli che hanno colto questo aspetto costruttivo e i numerosi visitatori che oltre a godere della bellezza delle opere stanno ampliando la considerazione stessa del luogo “Cittadelle” oggi, processo fondamentale per riappropriarsene a livello identitario». Casale Monferrato, la Piazzaforte Europea del Rinascimento – fino all’8 aprile Ingresso gratuito. Sabato e domenica 10-13 / 15-19 L’esposizione è dedicata alla Cittadella di Casale Monferrato. Ad organizzare la mostra è l’Assessorato alla Cultura in collaborazione con la Biblioteca Civica/Archivio Storico Comunale "G. Canna", e con l'Associazione "I Marchesi del Monferrato". Il percorso verte soprattutto sulle stampe raffiguranti la Città e la Cittadella di Casale Monferrato, pubblicate dalla fine del Cinquecento agli inizi del Settecento, conservate dall'Archivio Storico Comunale, e riferite a quella che fu una delle più importanti piazzeforti europee del Rinascimento e dell'età barocca, sotto le cui mura Francia e Spagna si confrontarono ferocemente per il controllo dell'Europa a cui si aggiungono opere inedite tratte da collezioni private. L’esposizione è un’appendice della mostra tenutasi a Palazzo Ducale “Sabbioneta e Charleville città ideali dei Gonzaga”.

 

 

Ex fortezze militari di Palau parte il restauro: dal Ministero arrivano i fondi
Da galluraoggi.it del 6 marzo 2018

Verranno presto restaurate le ex fortezze militari di Monte Altura e Capo d’Orso. Il Comune di Palau, infatti, è stato inserito nel piano di investimenti del ministero dei Beni culturali, che ha finanziato il progetto di 1 milione e 22 mila euro.

Si tratta di un intervento di recupero architettonico e ambientale attuato nell’ambito delle politiche di tutela, promozione del territorio e valorizzazione turistica del patrimonio culturale nazionale. Il commissario straordinario del Comune, Mario Carta, sottolinea come l’ottenimento del finanziamento sia avvenuto anche grazie alla collaborazione con l’assessorato regionale della Pubblica istruzione.

“Abbiamo appreso con piacere – ha dichiarato il commissario Carta – che le batterie militari di Palau sono state inserite nel piano degli interventi Mibact, rimodulato appena una settimana fa, con decreto ministeriale”.

 

 

Patrimonio fortificato, scorci in mostra
Da ansa.it del 5 marzo 2018

(ANSA) - Una mostra fotografica dedicata al patrimonio fortificato dell'Alto Adriatico è ospitata da oggi al 23 marzo (lunedì-venerdì, 9-18) nella Residenza municipale di Ferrara.

Organizzata dal Comune e dalla Marco Polo System Geie di Venezia, allestimento a cura della comunità italiana di Capodistria, la mostra intende contribuire alla conoscenza e alla promozione di questo patrimonio, con 40 foto a colori e bianco e nero di diversi fotografi italiani, sloveni e croati, e una selezione di 60 scatti d'autore.

E' proposta un'ampia panoramica di un lascito storico-monumentale con vestigia che vanno dall'età antica all'epoca contemporanea, elemento caratterizzante dell'area di confine tra Italia e Slovenia: dalle primissime fortificazioni ai castelli, fortezze e cinte murarie del medioevo, con grande attenzione al lascito veneto lungo le due sponde dell'Adriatico, fino alle più recenti testimonianze della Prima Guerra mondiale e della contrapposizione militare tra i due blocchi nel periodo della Guerra fredda.

 

 

West Star è del Comune «Facciamola brillare»
Da larena.it del 2 marzo 2018

Le Cerimonia in grande stile, con tanto pubblico presente nella sala consiliare ieri mattina, per un evento storico: il passaggio di proprietà dall’Agenzia del demanio al Comune di Affi dell’ex base militare West Star, il più grande bunker antiatomico d’Europa. «Festeggiamo il termine di un iter iniziato nel 2007, poco prima che la nostra ex base militare chiudesse definitivamente», ha detto il sindaco Roberto Bonometti, «in quella occasione ho visitato per la prima volta il bunker accompagnato dal generale Gerardino De Meo, l’ultimo comandante di West Star. Ora il Comune di Affi si arricchisce di questo importante sito che ha grande importanza non solo per Affi, ma per tutta la provincia di Verona anche sotto il profilo turistico. C’è grande entusiasmo dobbiamo riuscire a far rispendere la nostra stella d’occidente». «Questa giornata è particolarmente importante perché lo Stato restituisce un bene ai cittadini», ha spiegato Dario Di Girolamo direttore dell’agenzia delDemanio Veneto, «il trasferimento della proprietà avviene a titolo gratuito. Ora questa ex base militare verrà recuperata per altri scopi. Noi continueremo a stare al fianco del Comune di Affi appunto per verificare l’uso che ne verrà fatto». «È nostro dovere valorizzare l’ex base militare scavata nel Monte Moscal», ha sottolineato Carla De Beni ex sindaco di Affi, «è un’opportunità molto interessante per il nostro territorio». «West Star è stata la base antiatomica, ovvero il comando protetto, per i vertici della Nato, più sofisticata e moderna d’Europa», ha ricordato il generale Lucio Inneco già comandante della Ftase. «Il 9 ottobre del 2007 West Star, 51 anni dopo che gli americani ne avevano presto possesso, è stata restituita all’Italia», ha spiegato il generale Gerardino De Meo, «dall’estate del 2006 è iniziato lo sgombero delle attrezzature. Le operazioni di smaltimento del materiale si sono concluse nella primavera del 2007. La prima visita effettuata dai rappresentanti dell’amministrazione si è svolta il 10 maggio. Qualche mese prima, a settembre, pareva che la funzione di West Star potesse essere riconvertita dal ministero della Difesa, ma poi non se ne fece nulla». «La costruzione di West Star, che si concluse nel 1966, costò otto miliardi di lire dell’epoca», «L’unico museo dedicato alla guerra fredda, aperto solo alcuni mesi all’anno, si trova a Folgaria a Passo Coe in Trentino a 1.600 metri d’altitudine e sta riscontrando successo. Se ne venisse aperto uno qui nella West Star, avrebbe un successo ancor più grande». Della stessa idea il regista Mario Vittorio Quattrina, che ha dedicato a West Star il documentario Polvere di una stella: «Qui un museo potrebbe essere aperto subito», ha detto, «Non si può ricostruire la base com’era, ma bisogna giocare sul mistero e sul fascino di questa struttura, faacendo rivivere ai visitatori l’atmosfera di quando era in funzione». Ha chiuso l’assessore Gianmarco Sacchiero: «Ci stiamo muovendo per trovare sponsor e partner per gestire la base. Nel frattempo si dovrà provvedere a ottenere l’agibilità e a far partire il recupero. È stato ipotizzato che una parte di West Star diventi centro di ricerca e luogo di recovering data, cioè un centro dove vengono custoditi i server che contengono grandi masse di dati. Abbiamo una grande opportunità da trasformare in grande risorsa». •Luca Belligoli

 

 

Trento. Forte Cadine simboleggia i valori europei
Da laprimapagina.it del 2 marzo 2018

Un prestigioso riconoscimento per Forte Cadine, la nota fortificazione nei pressi di Trento edificata tra il 1860 e il 1862. E’ divenuta patrimonio storico e culturale europeo. Il sito ha ottenuto il “Marchio del patrimonio europeo” con altri 8 luoghi in tutta l’Unione che simboleggiano “gli ideali, i valori, la storia e l’integrazione europea”. Forte Cadine faceva parte del primo gruppo di fortificazioni permanenti austriache a difesa delle vie di collegamento a Trento e venne disarmato nel 1915. Dagli anni Novanta è proprietà della Provincia autonoma. E’ gestito dalla Fondazione Museo storico del Trentino. I nove siti saranno insigniti ufficialmente del Marchio Ue il 26 marzo durante una conferenza a Plovdiv, organizzata per celebrare il 2018 come Anno europeo del patrimonio culturale. Tra i premiati, oltre al forte trentino, ci sarà anche il Bois du Cazier di Marcinelle, ex miniera oggi trasformata in museo. Con i nove appena nominati, diventano 38 i siti che possono fregiarsi del “Marchio del patrimonio europeo”, fra cui un altro luogo del Trentino: il Museo Casa di Alcide De Gasperi a Pieve Tesino.

 

 

Roma, riaprono il bunker di Mussolini di villa Torlonia e quello di Villa Ada
Da affariitaliani.it del 28 febbraio 2018

Torneranno presto aperti al pubblico due dei bunker storici di Roma: quello di Mussolini a Villa Torlonia e il bunker Savoia Villa Ada. Il Campidoglio ha assegnato per 3 anni all'associazione Roma Sotterranea la realizzazione di interventi di indagine, promozione e valorizzazione dei bunker e dei rifugianti aerei situati nel sottosuolo delle due ville storiche di Roma. L'Associazione ha infatti vinto un bando di gara che non prevede impegno economico per l’Amministrazione capitolina.

Il provvedimento, oltre a cedere la cura e la gestione dei due siti, ne disciplina l'apertura al pubblico con tetti massimi per i biglietti d'ingresso. "I due siti, una volta firmata la nuova convenzione, riapriranno al pubblico dopo alcuni lavori di manutenzione - spiega l'associazione Roma sotterranea - I lavori saranno necessari a seguito della prolungata chiusura (di 5 mesi per il bunker Savoia, di più di un anno per quelli Torlonia) dovuta alla scadenza delle due precedenti convenzioni.

Il nuovo bando ha infatti unito in una gestione unica i due luoghi, oggetto tre anni fa di un'accurata e attenta operazione di recupero da parte di Roma Sotterranea (Savoia) e di Sotterranei di Roma (Torlonia). Le proposte inserite nel bando dalla nostra associazione sono state premiate e vedranno la collaborazione di altre Associazioni e Onlus, con iniziative che non rimarranno sempre nel tracciato classico che più ci si aspetterebbe data la natura dei luoghi".

 

 

Comiso e i "Cruise”, missili da crociera
Da repubblica.it del 25 febbraio 2018

L’impegno pacifista, ripreso con determinazione nella fase finale della sua vita, prende linfa dalla battaglia contro l’installazione dei missili a testata nucleare in Europa, da parte della Nato, l’Alleanza atlantica guidata dagli Stati Uniti d’America e del Patto di Varsavia, l’organizzazione militare che faceva capo all’Unione Sovietica. Ultimi colpi di coda della Guerra Fredda, che aveva contrapposto i cosiddetti blocchi guidati dalle due superpotenze, note con i loro acronimi USA e URSS. Il 7 agosto del 1981, il governo italiano aveva reso noto l’accordo con la Nato per l’installazione degli euromissili nucleari Cruise nella base militare di Comiso, in provincia di Ragusa. Siamo in piena guerra fredda. Pio La Torre dà forza e contributo strategico all’organizzazione del crescente movimento di protesta contro l’istallazione delle testate atomiche, vista come minaccia alla sicurezza, non solo siciliana, e non come possibile fonte di ritorno economico, come affermavano, tra l’altro, i fautori dell’accordo. A questo riguardo, mio padre affermava che se benefici economici vi sarebbero stati, questi avrebbero interessato gli speculatori sulle aree agricole attorno all’aeroporto, e le ditte appaltatrici dei lavori di costruzione della base, con evidenti rischi d’infiltrazione della mafia, sempre attenta agli affari, specialmente quando di mezzo c’era la politica, come in questo caso. Il clima di tensione tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica comportava l’adozione di un atteggiamento prudente e di trattativa che, non per questo, rendeva meno convinte le richieste da parte dei contrari all’accordo. Furono mesi, a cavallo tra il 1981 e il 1982, durante i quali il movimento pacifista internazionale dispiegò una capacità d’iniziativa straordinaria, che è restata unica per la sua vastità, magnitudine ed efficacia degli strumenti di lotta adottati. L’obiettivo della protesta pacifista era quello di sospendere l’installazione dei missili, sia sovietici sia americani, mentre proseguiva la trattativa per il disarmo, in corso a Ginevra. Mio padre si era speso molto perché quest’obiettivo fosse accolto dal movimento pacifista. La prima grande manifestazione a Comiso si tenne l’11 ottobre 1981, con oltre trentamila partecipanti. Il 4 aprile mio padre organizzò una nuova manifestazione per la pace a Comiso, cui parteciparono oltre 80.000 manifestanti. La marcia si concluse con il concerto del gruppo cileno “Inti Illimani”. Il 6 aprile una delegazione pacifista internazionale effettuò un sit-in silenzioso di fronte l’aeroporto “Magliocco” di Comiso contro il ventilato inizio dei lavori di realizzazione della base. Vi parteciparono, tra gli altri, Giacomo Cagnes del Cudip, il parlamentare dei “Grunen”, i verdi tedeschi, Roland Vogt, Janne Kuik dell’IKV olandese, Michael Friese dell’END britannico e Alberto L’Abate del Movimento Nonviolento. L’8 aprile iniziarono i lavori di demolizione dei vecchi edifici dell’aeroporto. Il 16 aprile, Pio La Torre lanciò dal Circolo della Stampa di Palermo una petizione – nell’ambito di un convegno, cui parteciparono esponenti di ogni orientamento politico, culturale e religioso – indirizzata al governo italiano per la “sospensione dei lavori della base di Comiso”. L’obiettivo era quello di raccogliere, in Sicilia, un milione di firme. La richiesta degli organizzatori: non “si dia inizio ai lavori di costruzione della base di Comiso quale contributo italiano al buon esito della trattativa di Ginevra”. Il successo della protesta fu enorme e l’obiettivo della raccolta di firme fu raggiunto. Mio padre, in un articolo pubblicato postumo su “Rinascita” del 14 maggio 1982, spiegò che le ragioni dell’opposizione ai missili erano basate sull’assoluta contrarietà alla “trasformazione della Sicilia in un avamposto di guerra in un mare Mediterraneo già profondamente segnato da pericolose tensioni e conflitti. Noi dobbiamo rifiutare questo destino e contrapporvi l’obiettivo di fare del Mediterraneo un mare di pace”. I suoi propositi furono bruscamente interrotti la mattina del 30 aprile 1982. di Franco La Torre (15 - continua)

 

Torna l'incubo dei missili a Comiso
Da invexnews.com del 27 febbraio 2018

Il piano fu preannunciato tre anni fa, durante l’amministrazione Obama, quando funzionari del Pentagono dichiararono che «di fronte all’aggressione russa, gli Stati uniti stanno considerando lo spiegamento in Europa di missili con base a terra» (il manifesto, 9 giugno 2015). Ora, con l’amministrazione Trump, esso viene ufficialmente confermato.

Nell’anno fiscale 2018 il Congresso degli Stati uniti ha autorizzato il finanziamento di «un programma di ricerca e sviluppo di un missile da crociera lanciato da terra da piattaforma mobile su strada». È un missile a capacità nucleare con raggio intermedio (tra 500 e 5500 km), analogo ai 112 missili nucleari Cruise schierati dagli Usa a Comiso negli anni Ottanta. Essi vennero eliminati, insieme ai missili balistici Pershing 2 schierati dagli Usa in Germania e agli SS-20 sovietici schierati in Urss, dal Trattato sulle forze nucleari intermedie (Inf), stipulato nel 1987. Esso proibisce lo schieramento di missili con base a terra e gittata compresa tra 500 e 5500 km.

Washington accusa ora Mosca di schierare missili di questa categoria e dichiara che, «se la Russia continua a violare il Trattato Inf, gli Stati uniti non saranno più vincolati da tale trattato», ossia saranno liberi di schierare in Europa missili nucleari a raggio intermedio con base a terra.

Viene però ignorato un fatto determinante: i missili russi (ammesso che siano a raggio intermedio) sono schierati in funzione difensiva in territorio russo, mentre quelli statunitensi a raggio intermedio sarebbero schierati in funzione offensiva in Europa a ridosso del territorio russo. È come se la Russia schierasse in Messico missili nucleari puntati sugli Stati uniti. Poiché continua la escalation Usa/Nato, è sempre più probabile lo schieramento di tali missili in Europa.

Intanto l’Ucraina ha testato agli inizi di febbraio un missile a raggio intermedio con base a terra, realizzato sicuramente con l’assistenza Usa. I nuovi missili nucleari statunitensi – molto più precisi e veloci dei Cruise degli anni Ottanta – verrebbero schierati in Italia e probabilmente anche in paesi dell’Est, aggiungendosi alle bombe nucleari Usa B61-12 che arriveranno in Italia e altri paesi dal 2020.

In Italia, i nuovi Cruise sarebbero con tutta probabilità di nuovo posizionati in Sicilia, anche se non necessariamente a Comiso.

Nell’isola vi sono due installazioni Usa di primaria importanza strategica. La stazione Muos di Niscemi, una delle quattro su scala mondiale (2 negli Usa, 1 in Australia e 1 in Sicilia) del sistema di comunicazioni satellitari che collega a un’unica rete di comando tutte le forze statunitensi, anche nucleari, in qualsiasi parte del mondo si trovino. La Jtags, stazione di ricezione e trasmissione satellitare dello «scudo anti-missili» statunitense, che sta per divenire operativa a Sigonella. È una delle cinque su scala mondiale (le altre si trovano negli Stati uniti, in Arabia Saudita, Corea del Sud e Giappone). La stazione, che è trasportabile, serve non solo alla difesa anti-missile ma anche alle operazioni di attacco, condotte da basi avanzate come quelle in Italia.

«Gli Stati uniti – spiega il Pentagono nel rapporto «Nuclear Posture Review 2018» – impegnano armi nucleari, dispiegate in basi avanzate in Europa, per la difesa della Nato. Queste forze nucleari costituiscono un essenziale legame politico e militare tra Europa e Nord America».

Legandoci alla loro strategia non solo militarmente ma politicamente, gli Stati uniti trasformano sempre più il nostro paese in base avanzata delle loro armi nucleari puntate sulla Russia eles, quindi, in bersaglio avanzato su cui sono puntate le armi nucleari russe. di Manlio Dinucci

Un simbolo per raccontare la Rocca d'Anfo, il passato come spunto per progettare il futuro
Da professionearchitetto.it del 21 febbraio 2018

La Comunità Montana di Valle Sabbia ha indetto un concorso di idee per l'individuazione di un nuovo logo e payoff per la Rocca d'Anfo, il sistema di fortificazioni militari di grande interesse storico e paesaggistico, che copre una superficie di circa 50 ettari sulla sponda occidentale del Lago d'Idro (BS), nei pressi dell'antico confine tra Lombardia e Tirolo, tra Valle Sabbia e Valli Giudicarie. L'obiettivo è identificare un simbolo che racconti la Rocca d'Anfo nella sua interezza e articolazione a partire dallo stretto legame che essa ha con il proprio territorio, rifletta sulla capacità di attrazione turistica e culturale del sito, marchi l'importanza che il compendio ha avuto nella storia e tenga conto del passato come spunto per progettare il futuro. Il concorso è aperto a: • società e/o studi di grafica, design, pubblicità, comunicazione; • grafici e designer; • laureati presso scuole di formazione post-diploma o di livello universitario di belle arti, grafica, design o comunicazione pubblica e privata; • diplomati presso Licei Artistici e Istituti Tecnici con indirizzo grafica o comunicazione, statali e paritari, Scuole Superiori di Arte e di Grafica; Accademie di Belle Arti, Istituti Superiori per le Industrie Artistiche (ISIA) e Istituti Privati nell'ambito dell'Alta Formazione Artistica e Musicale; • licei o Istituti Tecnici con indirizzo grafica o comunicazione, statali e paritari, Scuole Superiori d'Arte e di Grafica; Accademie di Belle Arti; Istituti Superiori per le Industrie Artistiche (ISIA) e Istituti Privati nell'ambito dell'Alta Formazione Artistica e Musicale. I termini per presentare le proposte scadranno il 13 marzo 2018 ore 12:00. I concorrenti le cui proposte sono state ritenute migliori, saranno contattati dall'Ufficio Tecnico di Comunità Montana, il quale richiederà loro il materiale per la seconda fase. Premi Sono previsti 2.000,00 euro per il logo e 800,00 euro per il payoff. Gli importi sono lordi omnicomprensivi . Bando Tutte le informazioni relative al bando potranno essere richieste all'indirizzo ufficiotecnico@cmvs.it Per informazioni dettagliate sulla storia e composizione del Compendio della Rocca d'Anfo, si invita a visitare il sito www.roccadanfo.eu

 

 

Ritrovata l’ultima linea di difesa nazista nel Bresciano

Da ilgiornaledibrescia.it del 20 febbraio 2018

Hanno inseguito, cercato, scavato tra i cespugli alla ricerca della «Linea Blu» che, come una Fatamorgana, li ha aspettati per sorprenderli. La storia della Seconda Guerra Mondiale si arricchisce di un nuovo capitolo: lo storico di Gianico Franco Comella, il regista, giornalista e videomaker Stefano Malosso e i ricercatori camuni Andrea Cominini e Daniele Forloni hanno ricostruito genesi e apocalisse dell’ultima (e inutilizzata) linea di difesa tedesca costruita in bassa Valle Camonica nei mesi bui ed esaltanti che portarono alla vittoria degli Alleati. Come briciole sui sentieri della memoria, i ricercatori hanno ritrovato tunnel sepolti dalla vegetazione, bunker dimenticati, contrafforti e muraglie pericolanti costruiti in pochi mesi da almeno duemila uomini: e, dopo aver sgomitato due anni e mezzo tra ricordi e leggende, hanno prodotto «La guerra scampata. Lungo i cantieri Todt della Linea Blu in bassa Valle Camonica», un documentario-verità di 86 minuti che raccoglie le voci di 40 testimoni. Venerdì alle 20.45, al teatro parrocchiale di Gianico, è in programma la prima proiezione e il secondo appuntamento è previsto per sabato 3 marzo alle 15 nella sala Liberty delle Terme di Boario. Il progetto è stato voluto dall’Apig Auser di Gianico, patrocinato da sei Comuni e da Anpi ed Ersaf e premiato con un contributo da Fondazione Comunità Bresciana. «Colmiamo una lacuna della storia locale con la consapevolezza che non è la fine ma l’inizio di un percorso - ha spiegato Comella -. La Linea Blu non è mai entrata in funzione perché i tedeschi furono sconfitti ben prima che le forze di liberazione arrivassero in Valle Camonica». «Dei quaranta testimoni intervistati in questi due anni e mezzo, sei sono morti - ha aggiunto Daniele Forloni -. Abbiamo scoperto che Todt fu uno degli ingegneri più lungimiranti e capaci negli anni del Reich: la costruzione della Blaue Linie, che diede lavoro a migliaia di camuni, permise anche di creare un clima di convivenza pacifica e di evitare sabotaggi e rappresaglie in tutta la zona di Darfo e Gianico». Muovendosi sul terreno inquieto di quegli anni difficili per l’Italia, i ricercatori non sono scivolati nella retorica politica, ma hanno indossato scarponi e zaini diventando detective della storia. Andrea Cominini si è confermato un «topo d’archivio» portando alla luce documenti, mappe e fotografie inedite. «Il documentario dura un’ora e venti minuti e non è il classico prodotto televisivo - ha spiegato Malosso, che ha vissuto mesi con al collo la sua fotocamera Sony -. Si tratta di un racconto popolare corale: la maggior parte dei testimoni ha raccontato la propria esperienza in dialetto con toni appassionati e coinvolgenti. A volte sono stati gli stessi testimoni a portarci sui luoghi che non conoscevamo e a svelarci particolari interessanti di questa storia». A Erasmo Savoldelli è toccato l’appello finale. «A chi ha lavorato a questo progetto va il nostro grazie di cuore e ai Comuni ed agli enti pubblici chiediamo che questi luoghi vengano resi fruibili - ha concluso il presidente dell’Apig di Gianico -. Sarebbe utile una nuova segnaletica visibile e leggibile che permetta a tutti di scoprire una storia che è parte del nostro passato». Un filo, la «Linea Blu», per non perdersi nel tempo.

 

 

Carini, scoperta postazione militare della seconda guerra mondiale
Da palermotoday.it del 16 febbraio 2018

Una postazione militare della seconda guerra mondiale, mimetizzata da abside medievale, è stata censita a Carini nell’ambito del progetto "Cercami" promosso da Palermo Pillbox Finders e Bcsicilia. Presenti al momento del ritrovamento anche Michelangelo Marino e Marcello Pecora per Palermo Pillbox Finders e il presidente della Sede di BCsicilia di Isola delle Femmine, Agata Sandrone. La particolarità e la pregevolezza della postazione, in via Trento, consiste nell’adozione di un mascheramento da finta abside, ottimamente realizzato all’epoca dagli uomini del Genio militare del Regio Esercito e studiato sfruttando il contesto storico e architettonico circostante dell’antico borgo siciliano. "La postazione militare rilevata - spiegano gli esperti - faceva parte di un caposaldo di sbarramento a protezione dell’importante incrocio stradale antistante che collegava la litoranea SS113 proveniente da Trapani con l’intercomunale di Torretta dalla quale era possibile attraversando un altro sbarramento, quello di Portella della Torretta, entrare a Palermo. La postazione militare, probabilmente affianca da un’altra struttura difensiva similare posta sul lato opposto della via e oggi non più esistente, era dotata di una mitragliatrice pesante in grado di interdire la presenza di eventuali forze avversarie. Del caposaldo di sbarramento del quale la postazione faceva parte, sono rimaste le tracce di una trincea difensiva e di un piazzola ospitante presumibilmente un cannoncino con funzioni anticarro". Per lo studio della postazione, si è fatto ampiamente ricorso all’utilizzo del satellite, tecnologia indispensabile per studiare le finalità strategico militari delle postazioni militari della Seconda guerra mondiale presenti sul territorio siciliano. Le associazioni hanno sollecitato il Comune di Carini per le necessarie azioni di tutela al fine di una adeguata salvaguardia e valorizzazione della struttura.

 

 

«Restauriamo noi le casermette»
Da nuovavenezia.it del 14 febbraio 2018

Marghera vedrà importanti investimenti, ribadisce il sindaco. Non solo urbanizzazione e sottoservizi (fondi dal Patto per Venezia e Mibact per 12 milioni, cinque per urbanizzare il forte e creare nuovi percorsi pedonali e 7 per i restauri arrivati dal Ministero), ma anche restauri importanti. «Restaureremo noi le Casermette francesi», continua il sindaco. Si erano cercati mecenati con l’Art bonus, ma è andata male, gli ricordiamo: «Il mecenate lo avete perso. È diventato sindaco», scherza il primo cittadino.

Rinviata a data da destinarsi la spiegazione di come verranno reperiti i fondi per restaurare le Ali napoleoniche che guardano sulla baia del forte. Per Brugnaro, Forte Marghera ha un ruolo di primo piano. «Sarà un grande luogo di cultura. Gli attuali gestori? Rimarranno se sapranno presentare progetti validi. Di certo rimarrà la Biennale con un nuovo padiglione dopo due anni di esperienza e porteremo i Musei Civici» con un altro padiglione.

È bene che Mestre stessa si riappropri con orgoglio della sua storia. Forte Marghera era il luogo di difesa di Venezia dagli austriaci», ribadisce Brugnaro confermando che il Forte, «proprietà della città», viene ripreso in mano dall’amministrazione assieme a «fondazioni culturali, Biennale, Musei civici per farne uno spazio corale e offrire ai cittadini e turisti tante possibilità».

Altri tasselli del progetto sono il ponte ciclopedonale fino al campus universitario di via Torino; il rifacimento della pista di atletica; il collegamento ciclabile con viale San Marco per arrivare in bici fino al parco di San Giuliano, «dove lavoriamo al progetto che coinvolge Remiere, trasportatori canile». Dal 2019 torneranno i concerti. (m.ch.)

 

 

Ingegno umano e arte della guerra: si presenta il libro di Alessandro Bellomo
Da balarm.it del 14 febbraio 2018

Si presenta alla Soprintendenza del Mare il libro: “Le Fortificazioni della città di Palermo dall’antichità ai giorni nostri” di Alessandro Bellomo. Ne discuteranno con l’autore: Sebastiano Tusa, Alessandra De Caro, Alfonso Lo Cascio. Sarà esposta un’opera della pittrice Valentina Faraone. Già da molti secoli, studiosi si sono succeduti nella descrizione e nello studio approfondito dei documenti che raccontano l’antica Palermo. Il libro cerca di sviluppare in una forma più divulgativa e sintetica la descrizione del lento evolversi del complesso difensivo militare che interessò Palermo. L’ingegno umano impegnato nell’arte della guerra fu coinvolto nella costante competizione tra lo studio del sistema per assediare e dunque distruggere le difese delle città nemiche e la ricerca delle migliori soluzioni per difendere i centri urbani. Sembrò prevalere un metodo di ideazione che prevedesse in qualche modo di conservare quanto costruito nel tempo cercando di adattare le strutture alle nuove armi introdotte sui campi di battaglia. Ma ad un certo punto, quando alla fine del XIX secolo il “sistema di fare la guerra” iniziò a cambiare a tal punto da rendere tali opere di ingegneria superate, si scelse di non conservare quanto nei secoli era stato creato dall’ingegneria militare preferendo demolire indiscriminatamente tutto. Oggi, dopo una lunga pausa, nuovi studiosi hanno ripreso a studiare e ricercare ciò che resta delle passate vestigia cittadine nel tentativo di ricostruire la memoria dell’antica città. L’iniziativa si svolge nell’ambito del progetto “Il Dialogo delle Forme” curata da Alessandra De Caro, della Soprintendenza del Mare, in collaborazione con Alessandro Bellomo e Angela Valentina Faraone. Il programma prevede la presentazione delle pubblicazioni “Le fortificazioni della Città di Palermo”, 14 febbraio 2018, “Palermo Turrita”, 14 marzo 2018, e “Le conchiglie nell’Arte e nella Società dell’Uomo” 19 aprile 2018, per la regia di Alessandro Bellomo con proiezione di foto, esposizione pittorica di opere di Angela Valentina Faraone e laboratorio creativo dedicato ai più piccoli presso l’Arsenale della Marina Regia. Il progetto sarà realizzato a Palermo presso Palazzetto Mirto e l'Arsenale della Marina Regia e a Ustica all'interno del Villaggio Letterario di Punta Spalmatore.

 

 

Quando i tedeschi temevano lo sbarco americano su coste friulane
Da ilgazzettino.it del 10 febbraio 2018

LIGNANO (Udine) - C'è una Lignano poco nota ai turisti e agli stessi friulani: quella delle fortificazioni realizzate nei primi anni Quaranta del secolo scorso dai tedeschi che, nel timore di uno sbarco degli alleati sulle coste tra il Friuli e il Veneto, realizzarono una serie di bunker lungo una striscia di costa che dalla zona del faro rosso di Lignano, quella più vicina alla laguna, per questo strategica, arrivava fino a Chioggia. Erano occhi nascosti, armati con cannoni, da cui si poteva scrutare bene il mare. Alcuni di questi punti di difesa e osservazione sono ancora visibili e in buone condizioni, come quello, appunto, a due passi dal faro rosso, vicino alla prima spiaggia libera, di fronte alla caserma della Guardia di finanza. A realizzarli fu la società Todt che, per la difficoltà nella costruzione di queste opere, remunerava molto bene gli operai, pagati con monete nuove di zecca, cioè appena coniate. Il bunker non si può ancora visitare ma è intenzione dell'amministrazione comunale di Lignano valorizzarlo per far conoscere la storia meno nota della cittadina balneare, con il posizionamento di tabelloni illustrativi realizzati in più lingue. Oltre a questo bunker, nel piccolo viaggio dei pescatori che sorge lì accanto, ce n'è un altro nel quale, peraltro, per alcuni anni visse una famiglia di Lignano. L'idroscalo militare Altri bunker erano stati progettati lungo la costa di quella che oggi è una nota e apprezzata località balneare. Ma non furono mai realizzati, perché cessò la necessità di difesa dopo lo sbarco degli alleati dall'altra parte dell'Italia, sulle coste della Sicilia. Non è nota la storia anche della darsena vecchia, sempre nella punta est di Lignano, usata da sempre per l'ormeggio: in origine questa insenatura, che guarda alla laguna, fu realizzata come idroscalo militare, sempre dai tedeschi, anche se non venne mai utilizzata per fini bellici o di difesa.di Paola Treppo

 

 

La Guerra Fredda vissuta sotto lo Škofnik
Da turismofvg.it del 6 febbraio 2018

Il Carso nasconde molte sorprese.

Vi si possono trovare innumerevoli segni della Grande Guerra, ma non solo. Mi sono così incamminato per un breve sentiero a partire dal parcheggio del cimitero di Cotici, nel comune di Savogna d’Isonzo [http://www.turismofvg.it/Localita/Savogna-di-Isonzo] (GO) per raggiungere la cima del monte Škofnik (233 metri s.l.m.).

Qui l’Associazione Fanti d’Arresto ha reso fruibile un bunker risalente alla Guerra Fredda.

 

 

Dalla postazione corazzata sulla vetta osservo le rocce carsiche che mi circondano senza notare grandi appostamenti.

Il complesso viene aperto in date prestabilite o su richiesta per cui sono sempre presenti le guide dell’associazione.

Sono queste a sottolineare quanto ci sia di celato alla vista, pochi metri sotto terra. Attraverso un portello scendo pochi gradini e comincia la visita al bunker.

In un batter d’occhio mi sono ritrovato dalla calorosa cima del monte, circondata dal verde, in un ambiente completamente chiuso, fatto di stretti corridoi illuminati artificialmente.

In questo sistema che si dipana sotto terra ogni stanza è stata arredata dai volontari per riproporre la sua funzione originale.

Lo sguardo corre alle scritte sulle pareti e alle attrezzature originali in mostra.

 

 

Sembra di trovarsi in una sommergibile, tra sistemi radar che, come un periscopio, escono allo scoperto per poi ritrarsi e pesanti porte d’acciaio.

Queste si aprono cigolando, quasi a ricordarci il fine prettamente culturale che ora avvolge una struttura costruita per far fronte a invasioni mai avvenute.

Seguo le indicazioni per l’uscita di sicurezza, sopra di me rivedo le fronde degli alberi.

Dopo circa un’ora la visita termina, come era iniziata, presso una cupola corazzata, unica parte visibile del labirinto che si trova sotto lo Škofnik al bunker di San Michele

[https://www.facebook.com/bunkersanmichele/] del Carso.

 

 

Il radar di Monte Settepani connesso al sistema di allerta meteo francese
Da savonauno.it del 5 febbraio 2018

Uno scambio di dati meteo in tempo reale tra il Radar ligure del Monte Settepani di proprietà comune tra Regione Liguria e Piemonte e il sistema Radar meteorologico del Monte Vial in Francia nei pressi di Nizza. E’ quanto si prefigge la convenzione approvata dalla giunta regionale ligure su proposta dell’assessore alla Protezione civile Giacomo Giampedrone per migliorare il sistema di raccolta dati in tempo reale nell’area transfrontaliera, per ottimizzare al meglio il monitoraggio in tempo reale e la gestione delle piogge. La convenzione è immediatamente operativa e prevede la condivisione della banca dati dei rispettivi sistemi per le conseguenti utilità con la successiva elaborazione.

Il Radar Settepani (nella foto), sopra il colle del Melogno, nel Finalese, è gestito da Fondazione Cima (Centro Internazionale per il Monitoraggio Ambientale) e serve per sorvegliare le perturbazioni che si muovono dal Golfo del Leone fino a tutta la Liguria. In questo modo, grazie alla convenzione, si potrà mettere a sistema i dati provenienti dal radar francese per avere informazioni più puntuali sulla localizzazione dei temporali più forti e una maggiore comprensione della loro evoluzione a breve termine. La convenzione è stata stipulata nell’ambito del progetto transfrontaliero di cooperazione Italia Francia Uramet, che ha previsto il potenziamento del sistema radar ligure di osservazione dei temporali, insieme all’applicazione gratuita Live Storm sulla loro localizzazione, e la valutazione dei fenomeni a partire da un’area, quella francese, dove spesso nascono piogge intense che si evolvono fino alla Liguria.

 

 

Nell’arsenale della Nato dai giorni della guerra fredda
Da bresciaoggi.it del 4 febbraio 2018

Le B-61 sono bombe di fabbricazione statunitense, prodotte nell'epoca della guerra fredda e configurate per portare testate nucleari. Ancora presenti nell'arsenale nucleare americano, sarebbero coinvolte, ma questo è ufficialmente un segreto, nel programma di «nuclear sharing», di condivisione nucleare con altri alleati Nato, ovvero Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia. Oltre agli aerei americani, anche alcuni modelli di cacciabombardieri americani sarebbero abilitati al trasporto e al lancio: gli F16 turchi, olandesi e belgi, i Tornado italiani e tedeschi. In Italia i «sospetti», se così si possono definire in mancanza di ammissioni ufficiali, ricadono sulla base italiana di Ghedi, dove è presente un «gruppo munizioni» dell’Air force americano e su quella di Aviano, dove si trova uno squadrone di F16 statunitensi. Nell'aprile 2013 il Pentagono americano ha stanziato 11 miliardi di dollari per ammodernare questo sistema d’arma, realizzando un nuovo modello denominato B61/12. I test sono in corso e la produzione in serie dovrebbe iniziare nel 2020, quando le vecchie B 61 saranno sostituite dalle nuove. Nel contempo anche gli aerei, sia F16 sia Tornado, saranno sostituiti dai «famosi» e discussi F35, per i quali è prevista (ma per ora solo prevista) la capacità nucleare. V.R.

 

 

DENTI DI DRAGO: lo sbarramento contro i carri armati
Da ilmeteo.it del 2 febbraio 2018

Denti di Drago. Il nome stesso incute timore. E in effetti è proprio ciò che si voleva ottenere. Si tratta infatti di un particolare tipo di sbarramento anticarro realizzato durante la Seconda Guerra Mondiale in molte aree d’Europa in sostituzione dei tradizionali fossati.

In sostanza una struttura in calcestruzzo con forma puntuta. I carri armati erano un veicolo mortale e i classici fossati non erano più molto efficaci contro questi mostri cingolati ed escogitarono un modo per fermarli: costruire i denti di drago. Furono determinanti per gli equilibri bellici europei: la Linea Sigfrido e la Linea Maginot.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, lo sbarramento principale, teatro dei più importanti combattimenti, fu quello della Linea Sigfrido. Gli ostacoli della Linea Maginot, invece, si rivelarono del tutto inutili. La barriera, infatti, venne aggirata dalle truppe tedesche.

Oltre che in Germania e in Francia, alcuni li possiamo ancora trovare in Inghilterra e in Svizzera, oltre che in Estonia, Russia e Corea. Ad oggi, la barriera più spettacolare e meglio conservata è certamente quella sulle Alpi italiane, presso lo Sbarramento Pian dei Morti, localizzata in Val Venosta, nei dintorni del Passo Resia.

 

 

Presentati i progetti di valorizzazione delle fortificazioni della Media Valle e della Garfagnana
Da giornaledibarga.it del 2 febbraio 2018

Torneranno all’antico splendore, grazie ad un capillare progetto di recupero storico architettonico e di valorizzazione alcune rocche e fortezze ubicate nella Mediavalle del Serchio e in Garfagnana. Gli interventi di restauro e di recupero di questi importanti manufatti del patrimonio storico del territorio lucchese erano stati annunciati nei mesi scorsi e sono stati illustrati oggi – venerdì 2 febbraio –, a Palazzo Ducale, nel corso di una conferenza stampa a cui hanno preso parte il Soprintendente ai beni archeologici, alle belle arti e al paesaggio Luigi Ficacci, i sindaci di Castelnuovo, Andrea Tagliasacchi, di Barga Marco Bonini, di Borgo a Mozzano Patrizio Andreuccetti, di Careggine Mario Puppa, di Minucciano Nicola Poli, nonché alcuni tecnici della Sovrintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le province di Lucca e Massa-Carrara. La presenza dei parlamentari locali si spiega con il fatto che il progetto in questione, varato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo del Governo Gentiloni, ha recentemente avuto il via libera dal CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) che ha stanziato circa 1,990 milioni di euro per gli interventi in Lucchesia. Interventi che si collocano all’interno del progetto di valorizzazione e fruibilità delle strutture fortificate e degli antichi sistemi viari della Mediavalle del Serchio e della Garfagnana, finalizzato al recupero del patrimonio architettonico storico e dell’antica rete infrastrutturale come nuovo tessuto connettivo degli itinerari di fruizione turistica del territorio, riguardante le risorse ambientali, culturali e produttive. Gli interventi riguardano i territori comunali di Barga, Borgo a Mozzano, Castelnuovo Garfagnana, Careggine e Minucciano. Ecco, di seguito, nel dettaglio i singoli progetti di recupero.

 

Restauro conservativo e riqualificazione del sistema delle fortificazioni di BARGA Il restauro delle mura è funzionale al recupero della capacità attrattiva da sempre dimostrata da Barga, dal suo territorio e dalla sua vitalità culturale.

Il progetto si propone di riqualificare il paramento murario, i percorsi adiacenti e l’antico acquedotto che, a partire dal XV secolo, ha assicurato per secoli l’acqua alle fonti del centro storico del paese captandola dalle sorgenti delle “Rupine”.

Con un intervento del 1654 l’acquedotto è stato appoggiato alle stesse mura creando tra di loro un rapporto di continuità e di unione.

I lavori riguardano in particolare l’area settentrionale della fortificazione composta da mura, porta Macchiaia e acquedotto, nonché la porzione ovest delle mura, comprendente la porta Reale (zona del Fosso).

 

Recupero e consolidamento della Rocca del Bargiglio – frazione di CUNE (BORGO A MOZZANO)

Il finanziamento porterà al completamento le opere di restauro e di valorizzazione della peculiarità architettonica e paesaggistica del bene e del suo sito creando la piena accessibilità e fruibilità attraverso il completamento del percorso perimetrale alla Rocca.

Nonostante l’importante ruolo di torre da segnalazione, non a caso detta “Occhio diLucca” o “Occhio dello Stato di Lucca”, la prima mappa, arrivata ai nostri giorni, del sistema di comunicazione, a cui faceva capo, è datata 1664, molto tempo dopo al suo ultimo restauro, effettuato per mano di Vincenzo Civitali, avvenuto nel 1584. In un documento del 1557, la torre risulta sempre sorvegliata da un castellano e da due guardie, la rocca verrà abbandonata  definitivamente, sul finire del ‘700.

Il sito è stato oggetto di operazioni di scavo archeologico nel 2002 e, nel 2008, sono iniziati i lavori di restauro all’interno del progetto elaborato dalle due Unioni dei Comuni (Media Valle del Serchio e Garfagnana). Successivamente sono proseguiti i lavori di consolidamento delle strutture murarie e di realizzazione dei percorsi al fine di migliorare la fruizione del complesso.

 

Progetto per la riqualificazione del Ponte della Maddalena (BORGO A MOZZANO)

Il ponte della Maddalena, detto del Diavolo, è un monumento di eccezionale interesse, oggetto di un continuo flusso turistico, che qualifica di assoluta unicità una porzione particolarmente spettacolare del paesaggio italiano. Fino al 2017 il ponte è stato oggetto solo di sporadiche azioni di manutenzione e di pronto intervento.

Il finanziamento di questo progetto punta al completamento del restauro del paramento murario, del parapetto e della pavimentazione, eliminando alcuni interventi pregressi effettuati con materiali incongrui.

Il progetto è parte di un’innovativa impostazione urbanistica, al fine di risolvere le esigenze funzionali di accessibilità e fruizione, conservando le apparenze e proporzioni antiche che costituiscano la assoluta unicità dell’area.

 

Restauro, ripristino dell’accessibilità e creazione di un percorso culturale della cinta muraria di CASTELNUOVO GARFAGNANA L’intervento s’inserisce in un programma più ampio mirato alla valorizzazione del centro storico di Castelnuovo Garfagnana che si rapporta organicamente con la Rocca Ariostesca, centro del potere politico degli Estensi e la fortezza di Montalfonso punto di riferimento del sistema difensivo della provincia. Il progetto di valorizzazione della cinta muraria di Castelnuovo , di impianto medioevale e con espansioni in epoca rinascimentale, prevede il restauro del tratto dalla torre poligonale rinascimentale prospiciente il Vicolo delle Mura fino alla porta Castruccio. Ciò consentirà l’attivazione di un circuito culturale supportato da opportuna cartellonistica, legato alle vicende storiche del capoluogo della Garfagnana estense fra ‘400 e ‘500, l’architettura militare del periodo. Il progetto prevede la pulizia delle mura, il consolidamento delle porzioni pericolanti, il livellamento dei piani di calpestio e il ipristino di lastricature in pietra di tratti della viabilità di accesso, anche per favorirne la fruizione da parte dei portatori di handicap, la sostituzione dell’attuale lastricato in porfido con pavimentazione in asfalto natura, nonché il ripristino dell’accessibilità dei visitatori al percorso di ronda lungo il tratto di mura.

Progetto di restauro del percorso lungo il borgo fortificato di CAREGGINE

L’intervento al borgo fortificato di Careggine prevede il restauro del tracciato murario di origine medioevale, ma con significativi interventi risalenti al periodo estense, e delle aree adiacenti al centro storico con particolare riferimento alle pavimentazioni e all’arredo urbano incrementando il valore intrinseco del bene permettendo così una migliore fruibilità turistica-culturale e il recupero di caratteri identitari dell’insediamento antico.

Nel comune di Careggine sono due i borghi interessati da progetti di riqualificazione: quello di Isola Santa, il cui recupero è in fase di affidamento dei lavori da parte dell’Unione dei Comuni della Garfagnana e quello di restauro del percorso lungo il borgo fortificato del capoluogo, oggetto del progetto in questione.

 

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Restauro di tratti delle mura di Albiano, di Pugliano e riqualificazione di aree pubbliche del castello di MINUCCIANO

Il progetto costituisce un’ulteriore tappa del più vasto programma di interventi messi in atto dal Comune di Minucciano volti al recupero di siti fortificati ed emergenze storiche del territorio. Un territorio strategico da un punto di vista politico in quanto parte del sistema difensivo della Repubblica di Lucca, incuneato fra la Garfagnana estense, il capitanato fiorentino di Fivizzano e i territori dei Cybo Malaspina. Il progetto interessa tre siti fortificati posti lungo gli antichi sistemi viari che dalla via Francigena raggiungevano Lucca attraverso la valle del Serchio, quale innovativa proposta connettiva di itinerari di fruizione turistica del territorio, coinvolgente siarisorse ambientali che specificamente culturali e produttive. L’obiettivo è il completamento dei lavori intrapresi in questi ultimi anni. L’intervento alla cinta muraria di Albiano prevede il recupero della torre di guardia posta in corrispondenze della porta di accesso al borgo e di alcune strutture antiche collegate; il ripristino di tratti di mura e il recupero di spazi oggi occupati da superfetazioni in corrispondenza delle mura, da mettere a disposizione dei visitatori e della comunità locale, nonché la riqualificazione di piccole aree pubbliche a servizio del centro storico. Le opere previste per la frazione di Pugliano, costituiscono il prosieguo del più vasto intervento di restauro della torre medioevale completato pochi anni fa, con il recupero di tratti delle mura in prossimità della chiesa di San Jacopo e la messa in sicurezza di aree pubbliche in corrispondenza di esse minacciate da crolli.

 

Il progetto di restauro del Castello di Minucciano, intrapreso per la prima volta nell’ambito del progetto “Bacino culturale Valle del Serchio – Sistema delle Rocche e delle fortificazioni” riguarda interventi di riqualificazione del borgo con particolare riferimento alle pavimentazioni e all’arredo urbano, opere che incrementeranno il valore intrinseco del bene permettendo così una maggiore fruibilità per i turisti e un più adeguato utilizzo da un punto di vista dell’accessibilità per i residenti.

 

 

Dal Museo Forte Cavalli il panorama mozzafiato dello Stretto di Messina ripreso dalla Rai
Da paeseitaliapress.it del 2 febbraio 2018

Messina, 2 febbraio 2018 - Sono ritornate le telecamere della Rai con il giornalista Nino Amante, per riprendere il maestoso panorama, che si può godere dagli spalti della grande fortezza Umbertina, e i nuovi locali recentemente allestiti, a cominciare dal rifugio antiaereo e dall'infermeria. Le riprese sono coincise con una delle visite guidate in programma, per i duecento alunni delle quinte classi del Liceo Archimede di Messina. Il gruppo di studenti, accompagnati dai professori, Maria Longo, Maria Trifiletti e Davide Cacciola, assieme al giornalista Rai Nino Amante sono stati ricevuti dal direttore del Museo e dal suo staff con un breve messaggio di benvenuto e l'invito a visionare, per maggiori approfondimenti, la pagina social e il sito ufficiale del Parco- Museo. La visita degli studenti del Liceo Archimede è stata pianificata dalla dirigenza scolastica ed inserita nelle attività esterne da svolgere in occasione del "Centenario della Grande Guerra", che si concluderà nel mese di novembre del corrente anno. Gli alunni, dopo l'arrivo sono stati divisi in gruppi ed affidati alle guide del Forte, per iniziare il percorso didattico in una vera immersione nella storia nel periodo compreso fra l'Unità d'Italia e il 1943, con particolare riferimento alla costruzione dell'intero sistema di difesa dello Stretto e al suo impiego bellico. Tra le poche fortezze visitabili e ancora perfettamente integre, Forte Cavalli rappresenta un'eccellenza grazie alla grande opera di recupero e valorizzazione svolta dai volontari che aderiscono e operano nel "Museo Storico della Fortificazione Permanente dello Stretto di Messina". Questo lungo lavoro ad opera dell'Associazione Zancle, concessionaria della struttura, ha consentito di restituire alla collettività la fruizione del bene architettonico; attraverso visite guidate e momenti culturali organizzati in sinergia con Associazioni che insistono ed operano sul territorio. Le riprese televisive eseguite dagli operatori RAI, accompagnati dall'Assessore al Turismo Guido Signorino, saranno utilizzate per la realizzazione di alcuni speciali, andranno in onda prossimamente su RAI Regione Sicilia e serviranno alla valorizzazione del territorio dal punto di vista storico e turistico. Domenica 11 febbraio, l'importante struttura sarà fruibile al pubblico per la consueta apertura mensile dalle ore 9.30 alle 12.30. Sarà possibile vedere filmati d'epoca e la più completa collezione di munizionamento sganciato dalle "Fortezze volanti" su Messina al termine della “Campagna di Sicilia” del 1943. La piazza d'armi, la rinomata Base Scout, le sale mostre e il "Museo della Fortificazione Permanente dello Stretto di Messina", consentono oggi al vasto pubblico di appassionati, curiosi, studenti e turisti, di godere di uno spazio attrezzato e dello spettacolare scenario dello Stretto, che si può ammirare dagli ampi spalti della Fortezza. Per maggiori informazioni e per visionare il percorso che porta alla Fortezza, consultare il sitowww.fortecavalli.it.

 

 

Le basi militari abbandonate nel profondo nord del pianeta, bombe ad orologeria sotto la pressione dei cambiamenti climatici
Da green.it del 1 febbraio 2018

Spesso le basi militari abbandonate, lasciate in fretta e furia durante le ritirate, sono una vera fonte di informazioni storiche e belliche. Ricercati dagli appassionati un po’ in tutto il mondo, i reperti bellici diventano materia da collezionisti. Purtroppo però gli orrori della guerra non si lasciano dietro solo qualche elmetto o qualche bossolo, a volte si lasciano dietro anche intere forniture di carburante e rifiuti radioattivi che rischiano di diffondersi nell’ambiente e nell’oceano.

Le basi militari abbandonate in Groenlandia Parliamo in questo caso della Groenlandia, terra di ghiacci e di ex sedi militari per il controllo dei traffici nelle acque del nord. Nel 1941 la Danimarca, che all’epoca controllava il Paese, diede il permesso agli americani di costruire lì le loro basi per prevenire una possibile invasione nazista del paese. Oggi il territorio selvaggio della Groenlandia è ammorbato da una serie di rifiuti pericolosi lasciati mezzo secolo fa dai miliari USA: baracche, galloni di combustibile, tralicci, camionette e spazzatura di ogni genere. La Groenlandia ha quindi chiesto alla Danimarca di ripulire. Ne è sorta una diatriba su “chi deve pulire cosa” tra americani e danesi. Ovviamente il problema riguarda il denaro. La Danimarca ha infine deciso di perdersi le proprie responsabilità attraverso un programma statale di pulizia dei rifiuti tossici. Un investimento di 30 milioni di dollari che coinvolgerà nel progetto studiosi e ed esperti per valutare i danni e il livello di pericolo delle zone da bonificare. Con il team scientifico collaboreranno anche gli abitanti che meglio di tutti sanno identificare le zone in cui giacciono i rifiuti. Purtroppo i fondi danesi non coprono la pulizia di tutta la “spazzatura americana” e alcuni siti, tra i quali la pericolosa Camp Century, di cui parleremo tra poco, non saranno bonificati.

La Bluie East, anche chiamata American Flowers Il disastro ambientale della Bluie, base aerea americana in funzione nel 1941, è stato portato all’attenzione dei medi dal reportage di Ken Bower, fotografo di New York. Nei suoi scatti si vedono oggetti metallici, tetti di amianto delle baracche crollate e decine e decine di barili arrugginiti, accatastati ed abbandonati in mezzo alla natura selvaggia e bellissima della Groenlandia. La base, collocata sulla costa orientale della più grande isola del mondo, è stata soprannominata American Flowers dagli abitanti: lo scintillio dei rottami metallici sotto il sole ricorda da lontano un giardino di fiori. Da vicino purtroppo la realtà è ben diversa. Lo sfavillio proviene da 100 mila taniche di petrolio degradate. “Poco dopo aver scattato una di queste foto, il cielo si è schiarito e la temperatura è salita rapidamente. È stato uno dei giorni più caldi del mio viaggio; si superavano i 15 gradi. Circa tre quarti d’ora dopo, ho iniziato a sentire dei colpi sordi. Era il carburante contenuto nelle botti che si espandeva e faceva rumore premendo contro con i coperchi. Questo mi ha fatto capire che c’erano molti più barili pieni rispetto a quanto pensavo inizialmente. Un altro aspetto che mi ha scioccato è la quantità di tegole e di materiale isolante per le tubature realizzati in amianto. L’amianto era diffusissimo all’epoca. E ora, resta lì a deteriorarsi in mezzo ai detriti dagli edifici in rovina” Ken Bower Come si evince dal racconto del fotografo, rimasto per qualche giorno nel luogo estremamente isolato in cui sorgeva la Bluie, il petrolio fuoriesce dai barili deformati dall’escursione termica e l’amianto si disintegra sotto le intemperie dell’estremo nord.

I rifiuti radioattivi di Camp Century C’è di peggio. E si chiama Camp Century. Tra le basi militari abbandonate in Groenlandia c’è anche lei. La storia, nella sua particolarità, è degna di essere raccontata. La costruzione risale alla guerra fredda quando gli americani nel 1959 costruirono una base missilistica per ospitare 600 missili nucleari puntati contro la Russia… a 65 metri di profondità sotto il ghiaccio. Furono scavati tunnel che collegavano alloggi, centri logistici, laboratori, e addirittura anche un ospedale, una chiesa ed un cinema. Come veniva prodotta l’energia per la vita di oltre 200 soldati sotto il ghiaccio? Con un piccolo reattore nucleare. Il ghiaccio però come si sa è una creatura viva, si deforma e “si sposta” scivolando sul terreno. Proprio questi movimenti iniziarono a danneggiare le strutture e nel 1967 i militari dovettero abbandonare Camp Century. Il reattore fu l’unico ad essere portato via dalla base ma non le sue scorie che rimangono ancora sepolte e che potrebbero riemergere a causa dello scioglimento dei ghiacci. La contaminazione da rifiuti radioattivi potrebbe essere catastrofica per l’ambiente circostante. Il climatologo William Colgan ha deciso di effettuare dei carotaggi: già a 35-40 metri si trova ghiaccio contaminato dagli idrocarburi.

Basi militari perdute Non solo basi militari abbandonate USA. Le terre a nord sono state oggetto negli anni di costruzioni strategiche da parte di vari eserciti. È recente infatti il ritrovamento nell’Artico, da parte di un gruppo di scienziati del Russian Arctic National Park, anche di una base meteorologica nazista costellata di reperti bellici di ogni genere. Vista la tipologia di rifiuti abbandonati sarebbe bene che le nazioni si prendessero la responsabilità di ripulire, con le dovute precauzioni e tecnologie, i rifiuti dei loro eserciti evitando in questo modo possibili catastrofi ambientali.

 

Mura scaligere di Vicenza, avviati i lavori di restauro alla torre 2 in contra' Mure della Rocchetta
Da vicenzapiu.com del 31 gennaio 2018

Restauro delle mura scaligere: è la volta della torre numero 2, il manufatto assai degradato che si trova di fronte all'edificio del genio civile in contra' Mure della Rocchetta. Sono infatti iniziati i avori di consolidamento strutturale e rifacimento della copertura, che, da contratto, si concluderanno entro marzo, per un costo complessivo di 195.547 euro. L'unica a forma quadrangolare a differenza delle altre sette che vanno dal castello della Rocchetta fino a porta s. Croce (tutte a base pentagonale scudata con lo sperone rivolto verso l'esterno della cinta muraria cittadina), la torre, compresa tra edifici privati, versa in uno stato di conservazione critico e presenta una situazione di degrado generalizzata, soprattutto sul lato verso il centro città. I lavori appena avviati infatti - che rientrano nell'ambito del recupero delle mura di viale Mazzini, progetto di quasi 8 milioni di euro - provvederanno ad un consolidamento strutturale della torre scaligera, mediante carotaggi volti all'inserimento di barre in acciaio inox, mentre, in corrispondenza delle lesioni più significative, verrà attuata la tecnica del "cuci/scuci", utile a rinsaldare i mattoni nelle posizioni originarie. Verrà inoltre rifatta la copertura a due falde con coppi, sostituendo la struttura lignea di sostegno, e saranno realizzate due scale in legno per collegare i tre livelli, con fattura analoga a quella rinvenuta in un'altra torre. Verranno rifatti i serramenti esterni, in acciaio, e l'impianto elettrico con tubazione in rame a vista. Completeranno il recupero una pulizia generale, la rimozione dei ganci, delle staffe di ferro, dei vecchi pluviali e dei canali di gronda. Con il restauro, peraltro, verranno riaperte le porte laterali poste al secondo piano, a livello del cammino di ronda, offrendo così una prospettiva ormai dimenticata verso la città. Verranno riaperte anche le arciere superiori poste a fianco delle porte, dando così modo di apprezzare l'artificio militare che difendeva la porta di collegamento tra il cammino di ronda e la torre senza esporre il soldato alle frecce nemiche, o forse soltanto per consentire alla sentinella di vigilare senza esporsi alle intemperie, ma tenendo d'occhio l'ambito circostante. La ditta che si è aggiudicata i lavori tramite gara, in base all'offerta economicamente più vantaggiosa, oltre a garantire di completare le opere entro marzo (con 125 giorni di anticipo rispetto ai 180 previsti in progetto), ha offerto 100 mesi di manutenzione all'immobile e il miglioramento dell'impianto illuminotecnico.

 

 

Al via le visite al bunker di Opicina
Da triesteprima.it del 29 gennaio 2018

Al via le visite ai bunker di Opicina per il mese di febbraio. Le date scelte sono sabato 3 alle ore 15.30 e domenica 4 alle ore 9.30. Durante queste  visite si andranno a visitare tre bunker e un ex cimitero di guerra tedesco e durante la visita saranno fornite tantissime notizie storiche sulla zona e sulla battaglia di Opicina.

Il ritrovo è fissato 15 minuti prima dell'inizio di ogni visita nel parcheggio di fronte al negozio dei surgelati presso il quadrivio di Opicina ed è necessario portare con se una torcia per la visita ai tre complessi sotterranei. La visita non presenta nessuna difficoltà, prevista una durata di 2 ore e mezza. Visita a offerta libera.

Per ulteriori informazioni e prenotazioni mandare un e-mail a: get.trieste@gmail.com indicando i nominativi dei partecipanti, la giornata e l'orario da voi scelto. Sarà inviata un'e-mail di conferma della prenotazione, in caso non vi arrivasse potete venire direttamente sul luogo del ritrovo.

 

 

L’arma del giorno del giudizio: “Kayon”, il “terzo colpo” russo
Da comedonchisciotte.org del 29 gennaio 2018

Mentre ci arrovelliamo su questioni fondamentali come uomini maldestri che cercano di palpeggiare donne ed il bisogno di ‘inclusione’ di genere e di razza, datemi un attimo per pensare a qualcosa di veramente importante e spaventoso: l’apocalittico siluro nucleare russo. Denominato in codice “Kanyon” dalla NATO, si dice sia qualcosa di nuovo e terrificante, un’arma “third strike”, progettata per annientare le coste est ed ovest degli Stati Uniti in una guerra nucleare. Sembra che l’intelligence americana pensi che quest’arma effettivamente esista. Ho appena rivisto per l’ennesima volta “Dr. Stranamore” e mi sono di nuovo sorpreso di quanto quella tagliente satira abbia previsto il futuro.

Nel film, i sovietici ammettono di aver finito i soldi per mantenere la corsa agli armamenti nucleari con gli Stati Uniti. La loro risposta è quella di creare un dispositivo nucleare segreto ed automatizzato che distrugga l’intero pianeta in caso di una grande guerra. Ora, i russi sembrano aver risposto ad un nuovo programma statunitense da mille miliardi di dollari, sviluppando e dispiegando un sistema anti-missile che fermi il loro sistema di missili balistici: il “Kanyon”. La realtà imita la finzione. Questa rivelazione arriva subito dopo che l’amministrazione Trump ha anche approvato nuovi programmi per schierare un’intera nuova generazione di armi nucleari a basso rendimento, da usare per scopi tattici di guerra. La Corea del Nord e l’Iran sono gli obiettivi evidenti, così come l’Afghanistan. Ma ora nei circoli del Pentagono si parla molto di una guerra nucleare tattica limitata alla Russia. Nuovi programmi di bombardieri e droni stanno accelerando. Parole di guerra sono nell’aria. Le scorte militari stanno esplodendo. ‘Kanyon’, secondo la conservatrice Heritage Foundation, una cheerleader per le spese militari, è un gigantesco dispositivo nucleare da 100 megatoni, trasportato da un sottomarino senza pilota. Questa mostruosa arma è progettata per esplodere sulla costa occidentale degli Stati Uniti, distruggendo i porti di San Diego, Los Angeles e San Francisco. Il dispositivo si dice sia coperto di cobalto, per ottenere un effetto radioattivo massimo. Un dispositivo simile lanciato dall’Oceano Atlantico distruggerebbe l’east coast, lasciandola per generazioni sotto un letale velo radiattivo. Se tali report fossero veri, qualsiasi speranza che alcuni generali statunitensi abbiano di combattere e vincere uno scambio nucleare “limitato” con la Russia o la Cina (lasciando stare l’India) è assurda. In realtà qualsiasi scambio nucleare serio tra le grandi potenze sarebbe una condanna a morte per l’intero pianeta, ci avvolgerebbe in un inverno nucleare. Uno studio dell’intelligence americana su uno scambio nucleare tra India e Pakistan ha stimato due milioni di morti immediate e 100 milioni di morti in poche settimane. E questo riguardava una guerra nucleare piuttosto limitata con armi di prima generazione. Le armi di oggi hanno una potenza esplosiva dieci volte superiore.

La Russia ha un grande ed efficace arsenale nucleare. Il forte declino dal ’91 delle forze militari convenzionali, un tempo poderose, ha spinto Mosca a far sempre più affidamento sulle armi nucleari per difendere i propri interessi. La Russia ha anche iniziato ad introdurre armi nucleari modernizzate in versioni strategiche e tattiche. Anche la Cina sta lentamente sviluppando le proprie forze nucleari, per essere in grado di combattere una guerra termonucleare contemporaneamente contro Stati Uniti ed India. Il presidente Trump, che evitò il servizio militare durante la guerra del Vietnam per pretestuosi motivi medici, appare infatuato dagli affari militari e dall’assortimento di armi su cui presiede. In un atto di storica irresponsabilità, ha portato gli Stati Uniti vicino alla guerra nucleare contro la Corea del Nord, incurante delle terribili conseguenze di un’ancorché “piccola” guerra nucleare in Asia. Chiunque pensi che una guerra nucleare possa essere combattuta senza inquinare permanentemente il nostro pianeta, dovrebbe essere sottoposto a cure psichiatriche. Per quanto folle possa sembrare questa visione, ci sono alcuni generali americani di alto livello che la condividono e così, molto probabilmente, anche Trump, l’uomo con il grande bottone rosso. I marescialli russi sono più cauti. Vedono ancora le cicatrici della seconda guerra mondiale, in cui morirono circa 27 milioni di civili sovietici, e sanno cosa significhi la guerra. Forse le fughe di notizie su questa mostruosa arma russa sono intelligenti disinformazioni diffuse da Mosca per spaventare gli americani. Speriamo sia così, perché, se reali, dovrebbero farcela fare sotto a tutti. Eric Margolis Fonte: www.strategic-culture.org

 

 

USA migliorano le bombe antibunker
Da sputniknews.com del 29 gennaio 2018

L'aviazione americana ha completato l'ammodernamento delle sue più grandi bombe non nucleari: le testate anti-bunker pesanti GBU-57 MOP, progettate per distruggere le fortificazioni sotterranee.
Come riportato dal portale Defense News, nel prossimo futuro verranno aggiornate tutte le bombe dell'arsenale statunitense.

Lo sviluppo delle bombe GBU-57 viene portato avanti dalla società Boeing dal 2007.

All'inizio del 2012 il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti aveva segnalato che il potenziale della bomba GBU-57 sarebbe potuto non bastare per distruggere le strutture sotterranee fortificate in Iran e Corea del Nord, pertanto aveva ordinato alla Boeing di perfezionare le munizioni.

 

 

Ex Polveriera di San Giovanni, Siliqua
Da sardegnabbandonata.it del 28 gennaio 2018

Una vera e propria città militare abbandonata. E’ stata attiva dagli anni ’30 al 1985, mentre oggi è una delle mete preferite di chi la guerra la fa per gioco e di chi disegna sui muri. Come ci piace ricordare, in mezzo al nulla c’è qualcosa. Ad esempio a pochi chilometri da Siliqua,tra la macchia mediterranea, c’è l’ex polveriera di San Giovanni. E’ una vera e propria città militare abbandonata, in passato deposito di armi e munizioni della marina militare e poi dell’esercito. E’ stata attiva dagli anni ’30 del secolo scorso fino agli anni ’70, ma fino al 1985 era presente un presidio militare. Poi l’abbandono. Almeno per quanto riguarda le divise ufficiali, dato che l’area oggi è un punto di riferimento di altre divise, cioè di chi la guerra la fa per gioco, i softgunner. Ma anche di artisti più o meno bravi che si esprimono sui muri(anche se noi siamo dalla parte dei meno bravi: si veda il consueto spazio dedicato alle scritte oscene). L’area, circa 80 ettari, occupa diversi edifici, quasi tutti ridotti a ruderi. Le case dove i militarivivevano con le loro famiglie, la casermetta dei carabinieri, un locale con le insegne della Marina, la grande palazzina degli alloggi dove hanno portato via persino i pavimenti, il lavatoio, il distributore del carburante e il grande bunker, ma anche la ferrovia, le casette, il campo di calcio, la cabina elettrica. Altri luoghi difficili da identificare in quanto spogliati completamente di ogni cosa: forse la mensa, la lavanderia, il circolo dei marinai. In pratica una piccola città. Intorno al perimetro le garitte e le torrette da dove si sorvegliava e si controllava tutta l’area. E poi il vecchio tracciato ferroviario ormai privo di binari con la stazione, la sala scambio dei binari, l’edificio dello scarico merci e più avanti quello del carico merci . Dietro la ferrovia vi sono i 13 depositi di armi e munizioni. Questi sono situati all’interno di aree protette da alti argini di contenimento al cui interno si accede tramite un arco in pietra. Gli edifici presentano i resti della gabbia Faraday costituita da un insieme di conduttori metallici incrociati che avvolgono tutta la costruzione e hanno una messa a terra. La gabbia serviva per la protezione dalle scariche elettriche atmosferiche. A margine dell’area originaria la grande struttura dell’autoparco, dove dal soffitto penzolano come stelle filanti i ferri dei travetti, impossibili festoni che si inseriscono perfettamente in una scenografia surreale solo in parte creata dall’uomo. All’interno di quest’area vi sono numerose discariche di materiali inerti, compreso l’amianto, e incredibilmente nessuna capra. Ma quello che veramente colpisce attualmente è l’abbondante presenza di murales che hanno colorato questi edifici austeri e ormai spenti. Decine e decine di immagini sulle pareti: dai mostri immaginari che incombono sul visitatore alle scritte tipiche della street art, fino alle scritte più semplici, incerte e a loro modo poetiche: “ho fatto un incubo poi mi sono accorta di non essermi addormentata”, “Popota 6 la mia vita…il tuo cucciolo”, oscenità, insulti, svastiche e tutto ciò che può venire in mente facendo quattro passi in campagna tra i ruderi di una città militare abbandonata. Dove si trova: nella campagna a pochi chilometri da Siliqua, sud Sardegna, non lontano dalla SP90.

 

 

Tre musei nel forte rinnovato
Da gazzettadimantova.it del 25 gennaio 2018

BORGO VIRGILIO (Borgoforte). Un contenitore unico e suggestivo per raccontare secoli della nostra storia. Va delineandosi il percorso espositivo che caratterizzerà il forte Magnaguti di Borgoforte. Quattro stanze al piano terra saranno gestite dall’Associazione napoleonica d’Italia e costituiranno il museo del Serraglio mantovano. Nella prima verrà ricreata la stanza di un ufficiale, con letto, mobili in legno e scrittoio. In una seconda troverà spazio la camerata per i soldati. Un altro ambiente, curato in collaborazione con l’associazione Mantova Medievale, sarà incentrato sulle fortificazioni nel mantovano a partire da Borgoforte, sul cui territorio era presente un castello. La quarta sala sarà dotata di strumenti multimediali e ospiterà conferenze e momenti didattici per le scuole. Due stanze, sempre al piano terra, faranno da contenitore per il museo nazionale della Pasubio, divisione nella quale era inquadrato anche l’80° reggimento di fanteria Roma, di stanza a Mantova. Il primo piano, invece, sarà la location del museo dedicato alla storia e all’evoluzione delle armi, che conterrà le collezione Rama di Rivoli e Manzoni Borghesi di San Marino. Il primo stralcio di lavori, da circa 300mila euro, risale all’amministrazione Chechelani, a fine anni Novanta. Altri 245mila euro vennero stanziati durante il primo mandato Allegretti. Gli interventi in via di completamento, da circa 100mila euro, riguardano scale esterne, interne e di sicurezza e illuminazione del primo piano. Completata la ripulitura degli spalti dalla vegetazione. L’apertura è prevista a step: si punta ad inaugurare i primi ambienti in estate, l’apertura totale è fissata per inizio 2019. Matteo Sbarbada

 

 

Al 5001 Festival puoi ballare all’interno di un bunker nucleare vicino Berlino
Da parkettchannel.it del 25 gennaio 2018

Dal 17 al 19 agosto 2018, all’interno del Bunker nucleare di Honecker immerso in una foresta a circa 40 chilometri a nord di Berlino, prenderà il via la prima edizione del 5001 Festival. Chiuso definitivamente nel 1993, grazie all’organizzazione no profit Projekt 5001, associazione che dai primi anni del 2000 si batte per poter utilizzare alcuni spazi all’interno del Bunker per scopi culturali, il 18/5001 Festival inaugurerà la prima serie di manifestazioni all’interno della suggestiva location. Lo spazio che delimiterà l’evento sarà nell’area delle caserme con il nome Objekt 5001. Settore che è stato utilizzato per nascondere il Bunker 17/5001, sito costruito tra il 1978 e il 1983 e che ha svolto un ruolo fondamentale durante gli ultimi anni della Guerra Fredda, in quanto utilizzato come sede principale del Consiglio di Difesa Nazionale della Repubblica Democratica Tedesca. I servizi di intelligence occidentali, la NATO e l’esercito statunitense non riuscirono a scoprire il Bunker di Honecker fino alla caduta del Muro di Berlino nel 1989, rendendone così nota la sua vera funzione, fino ad allora sconosciuta. Chiuso definitivamente nel 1993, nel 2003 l’area fu dichiarata Monumento Nazionale. Hannes Hensel, curatore del Projekt 5001 ha come scopo finale quello di poter utilizzare il Bunker in modo permanente, dando vita a un vero e proprio programma culturale ed educativo. Tra gli artisti confermati al 5001 Festival troviamo: Acierate, Antigone, François X, Freddy K, Goner, Jasmine Azarian, Jenus, Rachel Lyn, Shlømo, Stephanie Sykes, Tham e Tom Talenberg. Ma sono solo i primi dodici artisti dei trentadue che potrebbero essere potenzialmente presenti nella line up (guarda QUI). Molti altri infatti saranno confermati intorno alla metà di febbraio. La manifestazione sarà in grado di offrire campeggi o un bungalow nel bunker per tutta la durata dell’evento. Per info e ticket visita la pagina ufficiale del 5001 Festival QUI o la pagina Facebook QUI.

 

 

Riemergono a Zara i resti delle mura della Serenissima

ZARA. Sono finalmente venuti alla luce, a Zara, i resti delle fortificazioni che la Repubblica di Venezia fece erigere nel sedicesimo secolo per difendersi dall’avanzata dei Turchi. L’esistenza di queste mura difensive era già nota, in quanto le opere comparivano nelle piante e nei progetti relativi alla Città di Zara realizzati intorno al 1570, ma mai finora erano state riportate in superficie.

Ci sono voluti i lavori di ristrutturazione di via Liburnia, avviati qualche settimana fa, per far riemergere questo pezzo di storia dell’antica Zara e della Serenissima: un ritrovamento salutato con soddisfazione dagli archeologi e dagli studiosi della storia della località dalmata. «La fortificazione – ha spiegato Timka Alihodžić, curatrice del Museo archeologico zaratino nonché responsabile dei controlli archeologici nel cantiere di via Liburnia – si trova al di fuori dei celebri bastioni e scorre parallela alla fortificazione difensiva compresa tra il mercato ittico e la Porta di Terraferma, la più bella opera rinascimentale di Zara.

Finora abbiamo rinvenuto una sessantina di metri di mura, ma contiamo di riportarne alla luce ancora qualche segmento». Stando all’esperta, con tutta probabilità le mura fanno parte delle fortificazioni originali, cioè del sistema difensivo progettato dall’architetto italiano Michele Sanmicheli a tutela degli Ottomani. Parliamo dell’opera lunga tre chilometri, che lo scorso anno è stata inserita nella Lista del patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco. «Non credo che nei mesi a venire esporremo questi resti al pubblico – ha precisato Alihodžić – se però si presenterà l’occasione per farlo, gli zaratini e i turisti avranno l’opportunità di ammirare queste strutture». Nel corso degli scavi, oltre ai resti delle mura, non è stato rinvenuto invece alcun oggetto di valore particolare: e purtroppo, ha aggiunto l’esperta, «in alcune parti le mura risultano leggermente danneggiate».

In passato gli interventi in via Liburnia sono stati numerosi e alcuni sono andati a intaccare alcune parti delle mura lesionandole, anche se in modo lieve. L’importanza di questo rinvenimento, ha concluso la curatrice, sta nel fatto di potere finalmente documentarne con certezza l’ubicazione così da poter proteggere in futuro l’opera in maniera adeguata.

 

 

Siria, ritrovata un’antica rete di fortificazioni militari
Da turismo.it del 19 gennaio 2018

PERCHE' SE  NE PARLA Una rete di fortificazioni militari risalente all’Età del Bronzo Medio (II millennio a.C.) è stata scoperta nel Nord della Siria durante una missione archeologica franco-siriana, grazie alle immagini aeree e satellitari. Comprensiva di fortezze, recinti e torri, serviva a proteggere le aree urbane e le terre circostanti, ed è la più estesa finora ritrovata. Lo studio è stata pubblicato sulla rivista Paléorient il 19 dicembre 2017. La regione esplorata dalla missione si trova a est della città di Hama e si estende per 7.000 kmq. “È la prima volta che viene riportato alla luce un sistema fortificato di tali dimensioni. Questa struttura corre lungo il rilievo che domina la steppa della Siria centrale e proteggeva gli insediamenti e le terre più ricche durante l’Età del Bronzo Medio”, sostengono i ricercatori. PERCHE’ ANDARCI Sei i siti UNESCO della Siria: la città antica di Aleppo, le città di Bosra e Damasco, le "Città dimenticate" o Antichi villaggi della Siria settentrionale, Krak dei Cavalieri, la Cittadella del Saladino e la Old City di Palmira. Dodici altri siti presentati all'UNESCO sono inserito in un elenco provvisorio dell'organizzazione. Si tratta di Noréas de Hama, Ugarit (Tell Shamra), Ebla (Tell Mardikh), Mari (città) (Tell Hariri), Dura Europos, Apamea (Afamia), Qasr al-Hayr al-Sharqi, Ma'lula, Tartus, l'île d'Arados/Arwad e due siti della valle dell'Eufrate.

DA NON PERDERE Tra i siti più gettonati della Siria, tanti ovviamente quelli che si trovano a Damasco. Parliamo della Grande Moschea degli Omayyadi, del Palazzo Azm, del Mausoleo di Saladino, del Museo Nazionale e della Old City. Nel resto della Siria da non perdere anche Aleppo, con la sua Cittadella, la Old City e con la Dead City of Serjilla. Da scoprire anche l’antico sito di Palmira e il suo Teatro Romano, nonché Homs con il suo castello.

PERCHE’ NON ANDARCI Il turismo in Siria, a partire dallo scoppio della guerra civile siriana e alla crisi dei rifugiati ad essa collegata, si è drasticamente ridotto. Nonostante tesori inestimabili quali Damasco e Aleppo. Il turista, inoltre, è particolarmente esposto ad azioni ricollegabili al fenomeno del terrorismo internazionale. Elevatissimo il rischio di rapimenti, attentati e violenze in tutto il Paese. Anche nella Capitale.

 

 

Chioggia, il Forte di San Felice sarà riaperto
Da nuovavenezia.it del 16 gennaio 2018

CHIOGGIA. Il Forte San Felice verso la ristrutturazione e l’apertura al pubblico. Giovedì sarà firmato il protocollo d’intesa che avvia il percorso per il recupero che sarà gestito dal Provveditorato alle opere pubbliche utilizzando i fondi di compensazione per il Mose. La proprietà e la gestione del bene non passeranno al Comune perché si tratta di un bene inalienabile, di proprietà del Demanio marittimo. Per la firma del protocollo l’amministrazione comunale ha organizzato un convegno pubblico, giovedì dalle 16 in sala consiglio, a cui parteciperanno tutti gli enti coinvolti nel percorso di recupero: Comune, ministero della Difesa, ministero delle Infrastrutture, ministero dei Beni culturali, agenzia del Demanio. «È un momento storico», spiega il vicesindaco, Marco Veronese, «per questo vogliamo condividerlo con la città, invitata tutta alla firma del protocollo che chiude un anno di incontri e di confronti. Un lavoro che ci ha permesso di capire che il percorso intrapreso prima (dall’amministrazione Casson ndr) non era quello corretto perché il Comune non poteva permutare il bene con la Marina perché il bene non è della Marina, è del Demanio marittimo e non è alienabile. Siamo stati a Roma per approfondire la questione al ministero della Difesa e lì abbiamo trovato la soluzione per arrivare al recupero del bene e alla sua fruizione pubblica». L’urgenza è quella di avviare la ristrutturazione perché alcune parti degli edifici, in particolare il portale, stanno cadendo a pezzi. Finora il grosso punto di domanda riguardava il reperimento dei fondi per affrontare il restauro e la successiva gestione del bene. Il protocollo risolve anche questo ostacolo perché dei costi di ristrutturazione, come pure della progettazione e della gara di appalto, si occuperà il Provveditorato. «L’intera operazione non costerà nulla al Comune», osserva il vicesindaco, «e non impegnerà in nessun passaggio gli uffici. Il ministero della Difesa ha una società in house che si occupa della valorizzazione di tutte le fortificazioni italiane. Il protocollo parte proprio dalla valorizzazione che è possibile solo dopo un restauro». I dettagli dell’accordo saranno resi pubblici giovedì. Tra i relatori Massimo Scala, direttore generale del settore Lavori e demanio del segretario della Difesa, Roberto Linetti responsabile del provveditorato delle opere pubbliche del Triveneto, Emanuela Carpani della Soprintendenza di Venezia. Con il protocollo l’87% del compendio diventerà pubblico, il 13% rimarrà di proprietà del ministero della Difesa che farà un bando per la gestione. Un forte supporto all’amministrazione nel tracciare il percorso di valorizzazione è stato dato dal comitato per il Forte san Felice e dall’Istituto italiano dei castelli. di Elisabetta Boscolo Anzoletti

 

 

Il prossimo 21 gennaio l’appuntamento per scoprire le fortificazioni umbertine reggine
Da yescalabria.com del 15 gennaio 2018

Appuntamento lIl prossimo 21 gennaio infatti, sarà l’occasione per trascorrere un’intera giornata tra le fortificazioni umbertine a Reggio Calabria. La gita, organizzata da Viaggi e Miraggi in collaborazione con Open Lab e KalaCalabria – quest’ultime, realtà nate come output del progetto Open “tante vie per l’integrazione” – ci porterà a visitare i fortini di Mateniti e Pentimele in primis e si concluderà al fortino di Arghillà, dove oggi sorge il magnifico Parco ludico tecnologico Ecolandia. Il programma del 21 gennaio Fortino Umbertino – collina di Pentimele Ore 8.30 ritrovo dei partecipanti a Piazza indipendenza (Reggio Calabria). Incontro con la guida e partenza per la visita delle fortezze: Mateniti e Pentimele. Le fortificazioni di Reggio Calabria sono un insieme di strutture architettoniche – rocche, castelli, torri e bastioni – di epoca diversa che costituiscono quello che fu sistema di difesa della città e del suo territorio storico, che in tempi diversi ebbe necessità, a causa della propria configurazione geografica, di dotarsi di particolari strategie di tutela del proprio territorio. Al termine delle visite ci trasferiremo al Parco “Ecolandia” dove daremo spazio al palato con un buffet “interculturale” per vivere una vera e propria “food experience”. Nel pomeriggio visita del parco Ecolandia, e delle 4 aree tematiche (ARIA, FUOCO, ACQUA, TERRA) interamente dedicate ai grandi miti della Magna Grecia e all’ecologia pratica. Rientro in serata. QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE: € 26,00 (Intesa per un minimo di 30 partecipanti).

 

 

Stazione NATO di Lughezzano, sarà la più importante d'Europa
Da verona.pantheon.com del 15 gennaio 2018

C’è chi, affettuosamente, l’ha soprannominata la “Palla”, per via di quel curioso involucro tondo e bianco che ricopre la grande antenna parabolica, strumento principe della stazione di telecomunicazioni satellitari NATO di Lughezzano, nel Comune di Bosco Chiesanuova. Una presenza discreta, talvolta rassicurante, quella della base denominata SGS F14 (Satcom Ground Station, che fin dal lontano 1985, anno della sua attivazione, ha sempre convissuto in perfetta armonia con il territorio circostante e con le persone che lo abitano. Nel settembre scorso, e precisamente mercoledì 14, sono iniziati i lavori di ampliamento della stazione previste dalle linee guida della NATO che già nel 2004 avevano battezzato il sito veronese come idoneo e ideale per lo sviluppo europeo e per il nuovo assetto operativo di cui si ta dotando l’organizzazione di difesa internazionale. Insieme a quella di Kester, in Belgio, la base di Lughezzano è una delle poche stazioni satellitari fisse attive nel nostro Continente e oggi deve adeguarsi ai nuovi standard di sicurezza e a un’elevata capacità d’azione. Ecco il perché del progetto di ampliamento che durerà per tutto il 2017 e parte del 2018. «Il progetto prevede l’installazione di altre tre parabole oltre a quella già esistente» spiega il comandante di SGS F14, il tenente colonnello Diego Fasoli, che aggiunge «Una avrà il diametro di 12 metri, come quella già presente, chiamata dai residenti “La Palla”, e due di 16 metri, per poter rendere la stazione “flessibile” alle esigenze dell’Agenzia» «Abbiamo cominciato con una prima fase di adeguamento infrastrutturale e con la creazione delle fondamenta su cui impiantare le altre tre antenne. Proseguiremo nei prossimi mesi col vero e proprio adeguamento tecnologico dei sistemi di telecomunicazione» prosegue Fasoli «Questo porterà alla creazione di una nuova base NATO molto attrezzata, adeguata all’attuale evoluzione della componente trasmissiva e tecnologica e seguita da personale esperto». La realizzazione di questo progetto è affidata alla SELEX (ora LEONARDO Lt), realtà industriale globale nel settore dell’alta tecnologia e protagonista chiave nell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza. «La complessità delle opere di ampliamento hanno richiesto la partecipazione di aziende straniere e italiane e hanno reso indispensabile la collaborazione con realtà operanti sul territorio veronese, come Beton Lessinia S.r.l, Scavi Valpantena s.n.c. di Annichini e Tezza, Ferrari BK, il geologo Paolo De Rossi per citare alcuni nomi» sottolinea il Comandante di SGS F14 che ricorda anche il pieno supporto del Comune di Bosco Chiesanuova e del sindaco Claudio Melotti per affrontare questo passaggio importante nel rispetto dei cittadini e dell’ambiente circostanti. «Per quanto riguarda l’impatto visivo ambientale, installeremo una recinzione in legno perimetrale pensata per creare continuità con il paesaggio che delimiterà il perimetro della stazione satellitare. Sul confine di questa vi sarà, come avviene tutt’oggi, il personale militare con il supporto dei Carabinieri, guidati dal Maresciallo Giuseppe Fichera. Inoltre, per mitigare ulteriormente l’impatto delle future strutture dall’esterno, verrà eseguita una piantumazione, voluta espressamente dalla Regione Veneto. Così facendo, non si andrà a rovinare l’aspetto estetico della zona, che ospiterà l’aggiunta di nuovo personale assegnato alla base, apportando un flusso consistente di persone che si sposteranno e si integreranno senza problemi, come è sempre stato, sul territorio della Valpantena e della Lessinia». Breve storia del SGT F14 La Stazione Satellitare nasce negli anni ’60 e viene costruita nel 1978, diventando operativa nel 1985. Lo scopo principale è quello, fin dalla sua origine, di mettere in comunicazione l’Italia con gli altri paesi membri della NATO. Dagli anni ’90 lo scenario geopolitico si è modificato e di conseguenza deve fare anche la NATO, la quale ha intrapreso un rinnovamento dell’assetto operativo. Tale sviluppo verrà applicato anche alla base di Lughezzano, scelta come uno dei due nuovi centri europei. di Marina Pistaffa e Matteo Scolari

 

 

Ex polveriera di Albate, lavori fermi dopo il ritrovamento di due ordigni bellici nel controsoffitto
Da quicomo.it del 13 gennaio 2018

Lavori appena iniziati e già fermi. Contrattempi per la riqualificazione e ristrutturazione dell'ex polveriera di Albate, all'interno del Parco della Spina Verde. A inizio dicembre è partito il cantiere ma i lavori si sono dovuti quasi immediatamente arrestare. Motivo? Il ritrovamento di due ordigni bellici inesplosi che erano stati nascosti decenni fa, in tempo di guerra, nel controsoffitto della palazzina uffici. Una prima verifica e bonifica del sottosuolo nell'area di cantiere è stata fatta prima di iniziare i lavori, ma certo nessuno si aspettava di trovare ordigni inesplosi nascosti all'interno dell'edificio, forse da qualcuno che pensò allora di imboscarli per poi rivenderli. Ad ogni modo, dopo che i due proiettili di artiglieria della seconda guerra mondiale sono stati rimossi e fatti brillare dal personale artificiere specializzato, i lavori si sono comunque bloccati. Dalla direzione del Parco della Spina Verde assicurano che il "rischio bombe" non c'entra niente con lo stop del cantiere. In realà si attende semplicemente che Enel provveda all'allacciamento dell'energia elettrica per servire il cantiere, visto che inizialmente i lavori sono stati avviati semplicemente per mezzo di un generatore di corrente.

 

 

Brindisi, le fortificazioni in un click! - Un percorso fotografico per scoprire la città da un nuovo punto di vista con il SAC – La Via Traiana
Da brindisisera.it del 12 gennaio 2018

Proseguono gli appuntamenti promossi nell’ambito del SAC - La Via Traiana che vede i comuni di Brindisi, Carovigno, Ceglie Messapica, Ostuni, Fasano, San Vito dei Normanni, il Parco Naturale Regionale Dune Costiere da Torre Canne a Torre San Leonardo e la Riserva Naturale dello Stato di Torre Guaceto, impegnati insieme nella creazione e promozione di prodotti turistico culturali innovativi per la valorizzazione dei beni del sistema e per la destagionalizzazione dei flussi turistici. Il calendario delle attività con i percorsi esperienziali dedicati alle fortificazioni della città di Brindisi continua sabato 13 e domenica 14 gennaio. Si tratta di un percorso di visita innovativo tra le mura della città per conoscere la sua storia da un nuovo punto di vista e attraverso l’obiettivo di macchine fotografiche messe a disposizione dei partecipanti. Al termine del percorso si svolgerà un’attività esperienziale all’interno del Bastione di Porta Mesagne per creare un prodotto multimediale unico nel suo genere. Gli appuntamenti successivi per Brindisi sono fissati per ogni fine settimana. L’ incontro è alle ore 10.30 nei pressi di Porta Lecce. Nell’ambito de progetto SAC, sono state avviate le attività che vedono protagoniste le fiabe della contessa Dentice di Frasso nel castello di Carovigno e nel Parco Regionale delle Dune Costiere con un percorso di visita tra storia e natura presso l’impianto di acquacoltura di Fiume Morelli, presto gli appuntamenti anche per gli altri comuni. Il servizio, rivolto a turisti, famiglie e visitatori sarà gratuito ma con prenotazione obbligatoria. Per informazioni e per prenotare è possibile contattare il call center del Sistema Museo allo 080 4140264 (numero verde), per chiamate da cellulari 0744 422848 (tutti i giorni dalle 9.00 alle 18.00). Il progetto SAC - La Via Traiana è attuato dalla Società Cooperativa Sistema Museo, il CETMA e la Profin Service.

 

 

Torre civica, partono i lavori di restauro dopo l'incendio. A luglio tornerà accessibile
Da ildolomiti.it del 12 gennaio 2018

TRENTO. Tempo 180 giorni e la Torre Civica di Trento tornerà a vivere e con lei tornerà a scorrere il tempo sull'orologio di Piazza Duomo, fermo a quelle 10.50 del 4 agosto 2015 quando un incendio ne distrusse le strutture in legno nella parte superiore facendo crollare la campana (fermatasi all'ottavo piano) e provocandole danni irreparabili. I lavori di ristrutturazione, infatti, stanno per partire e costeranno circa 400 mila euro e, da programmi, dovrebbero terminare a luglio. "Noi ci auguriamo per le Feste Vigiliane", spiega Daniela Tesserin, funzionario dell'ufficio ristrutturazione e restauro arredo urbano del Comune di Trento. Dal punto di vista esecutivo il lavoro più importante è quello che riguarda la scala in acciaio che verrà realizzata all'interno. Si partirà dall'alto verso il basso per ricostruire la torre realizzando la scalinata che permetterà di collegare i vari livelli e consentire l'accesso al punto panoramico con una visuale a 360 gradi su Trento.

La vecchia campana, la "Renga", andata danneggiata durante l'incendio, verrà collocata all'ottavo piano, mentre la nuova campana verrà posizionata al centro della cella campanaria con una nuova incastellatura in legno di larice ripristinando, inoltre, i meccanismi per il suono della campana (in Re bemolle) e il funzionamento degli orologi. Verranno, quindi, rifatti l'impianto di illuminazione e il sistema di rilevazione degli incendi. "6 mesi è il tempo che verrà impiegato per il restauro della torre - spiega Daniela Tessarin - con un termine massimo fissato intorno a luglio. Per portare all'interno il materiale utile per i lavori adopereremo l'impalcatura già presente all'interno della torre e un elevatore, posizionato sulla cima, per il trasporto che ci permetterà di calare dall'alto ogni cosa. Chiaramente si verificherà qualche disagio durante i lavori ma tutto sarà gestito in maniera tale da ridurli al minimo". Di Andrea Solimano

 

 

I territori  dell'Alta Val d'Elsa in un libro tra torri, casseri e fortezze. Presentazione a Colle e Casole
Da valdelsa.net del 12 gennaio 2018

Sabato 13 gennaio alle ore 17.30 presso la Biblioteca M. Braccagni di Colle Val d’Elsa si terrà la presentazione del testo curato da Ettore Pellegrini ed edito da Betti Editrice sulle fortificazioni nei territori dell’Alta Val d’Elsa: “Fortificare con Arte”. Insieme al professor Italo Moretti, all’Architetto Fabrizio Mezzedimi e gli autori del libro, Cristina Cicali, Francesca Giambruni, Luciana Masi e lo stesso Ettore Pellegrini che si è occupato nella curatela, si analizzerà questo lavoro di analisi e ricerca tra torri, casseri e fortezze di questo territorio.

Nato insieme al volume sui castelli del Chianti e quinto della serie “Fortificare con Arte” questo testo è frutto di un’analitica, vasta e accurata ricerca storica, basata su fonti archivistiche ma che si è sviluppata poi con assidue verifiche sul campo e culminata in un lavoro inedito e assai significativo per la storia del territorio considerato. 236 pagine che raccolgono le ricerche degli autori, arricchito da una generosa serie di immagini fotografiche, compresi alcuni scatti aerei che contribuiscono a facilitare la lettura anche ai non addetti ai lavori.

Il libro sarà presentato anche il al Centro Congressi di Casole d’Elsa il 20 gennaio con la presenza di Vittoria Panichi ed Enzo Mecacci, con il patrocinio dei comuni di Colle Val d’Elsa, Casole d’Elsa, Monteriggioni e Poggibonsi. Per informazioni:redazione@betti.it

 

 

Ripartono le visite ai bunker anti-bomba
Da vocedimantova.it del 12 gennaio 2018

Cavriana - Ripartono le visite guidate ai bunker antibomba che si trovano in centro a Cavriana e che vennero riaperti circa un anno fa.

 

L’appuntamento è per domenica 14 gennaio, quando sarà possibile fare visita ai cunicoli nell’orario compreso tra le 10.30 e le 17.00. Il costo è di due euro.

 

Per chi volesse, con l’aggiunta di 3 euro, è possibile affrontare anche un percorso più complicato: la discesa nel "büs de la lümaga", ovvero la vecchia cisterna dell’acqua di cui era dotato il castello.

I bunker in centro vennero realizzati nel 1944 per sfuggire ai bombardamenti. (r.pro.)

 

 

Demanio, aperte le buste tre progetti per S. Secondo
Da nuovavenezia.it del 11 gennaio 2018

San Secondo è corteggiata da ben tre società italiane, mentre nessuno si è dimostrato interessato all’Ottagono di Ca’ Roman.

Ieri pomeriggio, nella sede centrale del Demanio a Roma, sono state infatti aperte le buste del terzo bando per la concessione per 50 anni di alcuni beni di proprietà dello Stato che necessitano un urgente restauro. Il terzo bando, “Valore Paese-Fari”, includeva l’Isola di San Secondo e l’Ottagono di Ca’ Roman. Se per quest’ultimo non ci sono state proposte, per l’isola invece si sono presentate tre società.

Tra queste anche una veneziana, la Tev (Tecnologie Ecologiche Venezia), attiva dal 1999 nel settore della sostenibilità ambientale.

San Secondo è l’isola dalla folta vegetazione che si vede dal Ponte della Libertà. Ricoperto di rovi e arbusti, al centro c’è un forte di fine Ottocento, realizzato dagli austriaci e usato come postazione di difesa militare.
Se qualcuno avesse avuto intenzione di attaccare Venezia, da San Secondo sarebbe partita una raffica di cannonate per distruggere il ponte ferroviario, inaugurato l’11 gennaio del 1846. Le altre due società sono la sarda New Fari srl e un raggruppamento temporaneo di imprese, formata da due società che si occupano di vendere energia. Per ora nessuna delle società può dire nulla perché potrebbero incombere nel reato di turbativa d’asta.

Soltanto a fine gennaio, quando il Demanio si riunirà per la seconda seduta tecnica, i progetti si potranno svelare e così anche il destino dell’isola. Della società veneziana si sa che è tra quelle più all’avanguardia per gli impianti di depurazione negli alberghi e che in passato ha proposto, in collaborazione con l’università, un’innovativa pista ciclabile che collegava l’isola a San Giuliano. Il progetto potrebbe quindi rivolgersi a un turismo di nicchia a due ruote, ma è solo un’ipotesi. In totale ieri sono state 23 le proposte destinate al recupero e al riuso di nove fari, torri ed edifici costieri, strutture di pregio storico e paesaggistico. La novità è che il criterio dell’offerta punta a valorizzare il bene, attribuendo un punteggio pari al 70% alla qualità del progetto e un punteggio pari al 30% all’aspetto economico.

La valutazione terrà conto di elementi qualitativi come: soluzioni di ristrutturazione delle strutture, manutenzione, fruibilità pubblica, contributo allo sviluppo locale sostenibile e, infine, alla possibilità di creare un network di servizi e attività condivise. (v.m.)

 

 

ENAV: FURTO DI RAME A BASE RADAR . INDAGATO MILITARE PER FAVOREGGIAMENTO
Da congedatifolgore.com del 5 gennaio 2018

STELLA CILENTO-SALERNO- . Rubano rame e gasolio dalle base Enav e mettono a rischio il controllo aereo del Tirreno. E’ accaduto la scorsa notte nel Cilento, sul Monte Stella, nel Comune di Omignano, dove i carabinieri hanno tratto in arresto tre pregiudicati napoletani per furto aggravato e denunciato per favoreggiamento un militare dell’Esercito Italiano. I tre malviventi sono riusciti a disattivate i sistemi di allarme e ad entrare all’interno della struttura forzando il cancello di ingresso. Poi hanno portato via 200 metri di cavi di rame e 10mila litri di gasolio. A dare l’allarme, durante la notte, sono stati i funzionari della sala operativa Enav di Roma.

Sul posto sono subito arrivati i militari della compagnia di Vallo della Lucania, diretti dal capitano Mennato Malgieri, che hanno avviato le ricerche su tutto il territorio anche con l’ausilio di un elicottero. Sono stati passati al setaccio decine di chilometri di boschi e casolari di campagna. Uno dei ladri è stato arrestato subito, intercettato a bordo di un’autovettura mentre tentava la fuga. Gli altri due sono stati invece fermati dopo circa dieci ore di ricerche. Sono stati bloccati personalmente dal capitano Malgieri, a bordo di una Citroen C2 guidata da un militare dell’esercito italiano, nel piccolo centro di San Giovanni, frazione di Stella Cilento. Tutti hanno ammesso la propria responsabilità. Il militare dell’esercito, residente a Napoli ma in servizio ad Ascoli Piceno, è stato denunciato per favoreggiamento per aver tentato di recuperare gli amici e riportarli a Napoli; gli altri tre sono stati tratti in arresto e condotti presso la Casa Circondariale di Vallo della Lucania. Recuperato anche il furgone con la refurtiva. Enav usa la struttura LORAN sul Monte stella come base radar per il controllo del traffico aereo dei settori Est del Tirreno Centrale e del Tirreno meridionale. E con il furto del gasolio la base poteva restare completamente senza energia elettrica mettendo seriamente a rischio il controllo del traffico aereo”.

 

 

Mura pisane. da febbraio nuovi lavori
Da iltirreno.it del 4 gennaio 2018

PISA. I lavori partiranno a febbraio. Per concludersi entro fine anno, quando i pisani potranno ammirare nel loro splendore altri due scorci di mura: il tratto del Giardino Scotto e l’altro, dal Bastione San Giorgio verso il lungarno, accanto al Parco della Cittadella. Dove verrà abbattuta un’intera fila di pini, sette in tutto, quella più vicina alle fortificazioni storiche. Un provvedimento necessario - secondo l’amministrazione - perché le radici da tempo stanno spingendo contro le fondamenta, rischiando di danneggiarne l’integrità. LA GARA D’APPALTO A vincere la gara d’appalto un’impresa laziale, di Viterbo: la Pro.Mu Restauri artistici di Antonello Proietti. Al bando pubblico erano state invitate 25 aziende, poi se ne sono presentate 12, quasi la metà. Sono lavori da 461mila euro «comprensivi del contributo della Fondazione Pisa, che sul progetto ha investito 366mila euro», commenta l’assessore ai lavori pubblici, Andrea Serfogli, che ha seguito il bando nel dettaglio. NESSUN CAMMINAMENTO In entrambi i tratti interessati dal restauro sarà rimossa la vegetazione infestante, mentre vicino al Giardino Scotto anche «i ponteggi in legno posizionati per scongiurare i crolli». Per il momento, almeno lì, non sono previsti camminamenti in quota, a differenza del lungo tratto dalla Torre verso il lungarno Buozzi, che in più occasioni è stato aperto nel corso degli ultimi mesi. «Non escludiamo che in futuro – rivela Serfogli – non si possa comunque passeggiare dalla Cittadella al Bastione San Giorgio, dato che lì c’è il Museo di Galileo». I lavori partiranno entro la fine di febbraio e anche se per finire c’è tempo fino al giugno del 2019, nelle intenzioni dell’amministrazione gli interventi conservativi dovranno terminare «entro la fine del 2018», precisa Serfogli. SI PARTE A FEBBRAIO Di tutti i lavori - come anticipato - si occuperà la Pro.Mu Restauri artistici di Viterbo. L’impresa di Antonello Proietti ha già effettuato alcuni interventi alla Certosa di Calci e altri fra Livorno, la Rocca spagnola di Porto Ercole, in Maremma e a Firenze. Lo scorso 28 dicembre l’imprenditore laziale, insieme ai suoi tecnici, ha fatto un sopralluogo in città. «Per iniziare dobbiamo aspettare che le temperature siano leggermente più calde – sottolinea Proietti – penso alla fine di febbraio. Finire entro il dicembre 2018 non credo sia un problema: i lavori non prevedono particolari difficoltà e incontreremo subito la Soprintendenza per definire nel dettaglio ogni aspetto da affrontare». NESSUNA STRADA CHIUSA Proietti precisa inoltre che non ci saranno disagi al traffico cittadino. Un’eventualità tutt’altro che scontata, visto che sotto le mura di lungarno Fibonacci - dove c’è il Giardino Scotto - passano le macchine. «Ma lì la strada è larga – precisa Proietti – quindi non serve chiudere il traffico, al massimo dovremo restringere la carreggiata per qualche giorno. Entro febbraio comunque allestiremo i primi cantieri». SETTE PINI DA TAGLIARE Durante i lavori saranno tagliati anche sette dei pini più vicini alle mura, tutta la fila accanto alla fortificazione fra il Bastione San Giorgio e il fiume, accanto al Parco della Cittadella. «Le radici creano un po’ di problemi – spiega l’imprenditore viterbese – e con il mio geometra abbiamo certificato che premono contro le mura. Le piante più lontane rimarrebbero comunque al loro posto, a qualche metro di distanza. Gli interventi sulla vegetazione infestante – conclude Proietti – saranno tutti effettuati con prodotti ecocompatibili».

 

 

Il Torrione apre al pubblico dopo 500 anni
Da corrieredelveneto.it del 4 gennaio 2018

VICENZA Il Torrione di piazza Castello apre le porte ai vicentini - e ai turisti - e diventa la prima torre storica aperta al grande pubblico. Sarà dunque possibile spaziare con lo sguardo a 360 gradi dal punto più alto della città che possa essere visitato. Un’occasione unica che avrà un tempo limitato - sarà aperta solo il mese di gennaio - e che rappresenta però l’antipasto di quel che verrà a partire dal prossimo autunno, quando l’immobile riaprirà le porte in pianta stabile come spazio espositivo per l’arte contemporanea. È questo il destino voluto dall’imprenditore-mecenate Antonio Coppola, 57 anni, campano, e scritto nero su bianco nell’accordo siglato nei mesi scorsi con il Comune. «Un’esperienza eccezionale nel valore e nel merito - dichiara il vicesindaco, Jacopo Bulgarini d’Elci - frutto della passione del privato per questa città e per l’arte e che si trasforma in un’occasione unica per Vicenza di tornare ad appropriarsi di un bene di inestimabile valore storico e architettonico». Il programma delle visite Nel dettaglio, l’immobile sarà visitabile nei fine settimana da sabato fino al 28 gennaio, solo nelle giornate di sabato (dalle 15 alle 18) e domenica (dalle 10 alle 13): l’entrata è gratuita ma è obbligatoria la prenotazione - entro le 20 del giorno antecedente la visita, telefonando al numero 346.5933662 o via mail all’indirizzo: ass.ardea@gmail.com - poiché si entra in gruppi di 20 persone alla volta per un massimo di 40 minuti di visita, allargata a un’ora nel primo weekend per la presenza di un piccolo spettacolo teatrale. Il motivo di tanta organizzazione, curata dall’associazione Ardea, è semplice: per salire sulla sommità del monumento si può scegliere di percorrere tutti i 186 (ripidi) gradini oppure di prender l’ascensore, che porta fino al quinto piano, dal quale mancheranno comunque circa un centinaio di gradini. Tanto che gli organizzatori consigliano «scarpe comode, chiuse e senza tacchi». Una volta giunti in cima, però, lo sguardo spazia in lungo e in largo sui tetti della città del Palladio, con vedute inedite (la facciata del Duomo) e particolari (corso Palladio dall’alto). La storia del Torrione Di certo, la stessa visita al Torrione è un’esperienza inedita per la maggior parte dei vicentini: costruito nel 1300 assieme alle mura storiche, la torre ha protetto Vicenza fino al Seicento, quando è diventata patrimonio della famiglia Valmarana, che trasformò la parte nord in un affaccio sul proprio giardino privato (il Salvi). «Da 500 anni l’immobile è chiuso alle visite pubbliche - afferma Coppola - dunque credo sia importante che le persone entrino in questi spazi». Il resto è storia recentissima: dopo essere finito all’asta il Torrione è stato acquistato la scorsa primavera dall’imprenditore-mecenate per 350 mila euro, che propose al Comune per realizzare un museo d’arte contemporanea. L’operazione fece discutere in città, nacquero voci critiche e polemiche ma alla fine, la scorsa estate, il Consiglio votò in modo favorevole all’accordo: lo stabile alto 30 metri diventerà a breve patrimonio del Comune, che ne affiderà l’usufrutto per la gestione nei prossimi 30 anni alla costituenda Fondazione Antonio Coppola, con lo scopo di creare il primo spazio espositivo d’arte contemporanea in città. «La Fondazione sarà attiva dalla fine di gennaio - precisa Coppola - e pensiamo di poter inaugurare il monumento come spazio espositivo dal prossimo settembre, dopo l’iter burocratico necessario per adeguare la struttura e allestire la prima mostra». di Gian Maria Collicelli

 

 

Diventeranno poli museali i bunker di Tito a Osijek
Da ilpiccolo.it del 3 gennaio 2018

OSIJEK. Trasformare i bunker di Tito costruiti negli anni Cinquanta del secolo precedente contro una possibile invasione della Jugoslavia da parte dei sovietici e degli ungheresi (ricordiamo che con lo strappo del Cominform del 1948 il Maresciallo aveva in pratica rotto con il blocco comunista guidato da Mosca) in obiettivi turistici. È questa l’idea che è stata proposta dagli amministratori locali della regione di Osijek in Croazia (Slavonia orientale). A essere interessati sono soprattutto i comuni di Erdut e di Aljmaš e il ministero del Tursimo della Croazia ha immediatamente espresso il proprio favore a seguire il progetto. L’idea, per Zagabria, potrebbe altresì essere sviluppata con un progetto comune con le municipalità ungheresi dove esistono eguali infrastrutture sotterranee a loro volta eseguite negli stessi anni per contrastare un eventuale invasione delle terre magiare da parte dell’Armata popolare jugoslava (Jna). Insomma c’è la volontà di trasformare questa porzione di guerra fredda in salsa comunista in un vero e proprio museo stimolando anche l’Unione europea a prendere parte allo sviluppo dell’idea con i dovuti finanziamenti. Il progetto pensa di trasformare, infatti, i tunnel in una sorta di musei multimediali per raccontare la storia della Jugoslavia ai tempi della guerra fredda, di tutte le circostanze che hanno condotto ad esse nonché le relazioni e gli attriti politici e militari lungo entrambi i lati della cosiddetta Cortina di ferro. «Tutti sapevamo dell’esistenza dei bunker ma a nessuno di noi era consentito parlarne, neppure tra di noi», spiega il presidente del consiglio comunale di Aljmaš, Ivica Stanković. «Qui, dove troviamo ora le case del week end degli abitanti di Osijek - prosegue - non c’erano abitazioni. E gli stessi ingegneri militari che li hanno progettati sono rimasti, dopo la realizzazione, qui in zona quasi in una sorta di esilio onde garantire la segretezza. I bunker sono due, una sotto il Calvario della nostra via crucis che porta al santuario della Madonna della consolazione e l’altro vicino al fiume Danubio». I tunnel chiusi da possenti cancellate negli anni Novanta si sono perfettamente conservati. Si possono notare ancora gli spazi destinati all’armeria, i condotti di aerazione, le “stanze dove avrebbero dormito i soldati”. Se il tunnel verso il Danubio avrebbe avuto il compito di contrastare un’eventuale invasione, quello sotto il Calvario avrebbe dovuto fungere da ospedale per i cittadini della vicina Osijek. «Noi ci aspettiamo molto dal possibile utilizzo turistico di queste strutture - spiega il vice sindaco di Erdut, David Sušec - anche perché nei pressi d Aljmaš c’è un porto fluviale sul Danubio che ogni anno serve circa quattrocento navi da crociera lungo l’imponente via d’acqua, navi che ospitano soprattutto turisti americani ai quali sicuramente interesserebbe vedere e conoscere questa parte di storia del secolo scorso». Un primo passo in questa direzione è stato fatto quando il ministero della Difesa croato ha trasferito la proprietà dei suddetti bunker alla Regione di Osijek e agli enti locali interessati. In questi primi mesi dell’anno i comuni croati e quelli ungheresi prepareranno i singoli progetti scrivendo come si erano vissuti quegli anni della Guerra fredda nei rispettivi Paesi per avere così una visione completa delle vicende nell’intera regione a cavallo del confine. Il Comune di Aljmaš vorrebbe includere nell’itinerario museale e turistico anche due bunker successivi a quelli di Tito scavati invece dai soldati tedeschi durante la Seconda Guerra mondiale, proprio per offrire una visione storica la più completa possibile. A sposare l’idea anche il professor Tvrtko Jakovina, una vera autorità in Croazia per i suoi studi sul secondo conflitto mondiale e la Guerra fredda che ne è seguita. «Ritengo che potrebbe essere molto interessante il progetto visto che nascerebbe in un luogo diciamo così inatteso e se gli albanesi hanno trasformato i bunker di Enver Hoxha in discoteche, qui noi potremo offrire delle “dependance” della Guerra fredda». Jakivina, tuttavia, frena un po’ gli entusiasmi temendo un qual disinteresse delle autorità croate relativamente a una parte di storia che non riguarda la Croazia indipendente.

 

 

Trasformate in discariche per anni, riemergono le trincee sconosciute
Da ilgazzettino.it del 2 gennaio 2018

CAMPOLONGO TAPOGLIANO (Udine) - D'inverno si vedono meglio, quando gli alberi sono spogli e i campi sono una distesa di terra senza colture. Sono le linee di difesa arretrate tra Torre e Isonzo. Chilometri di trincee di fatto sconosciute, che attraversano silenziose i paesi della Bassa Friulana, tra Campolongo Tapogliano, Ruda e Villa Vicentina, al confine con l'attuale provincia di Gorizia, realizzate nel periodo della grande guerra come difesa dal nemico. Affiorano appena Non sono state mai utilizzate, perché la rotta di Caporetto portò i soldati a fuggire verso il Piave. Affiorano appena, dalle campagne. Da lontano, per chi non conosce la storia di questi luoghi, possono sembrare delle opere realizzate per l'irrigazione, o semplici mura divisorie tra proprietà private. Ma basta avvicinarsi un po' e mettere i piedi nei campi, appena a due passi dalla strada, per scoprire che sono dei cunicoli in cemento armato e conglomerato, spazi dove i militari avrebbero potuto nascondersi in caso di attacco, dotati di ingressi, feritoie, ambienti per le munizioni. Un recupero che dura da anni Da anni l'amministrazione comune di Campolongo Tapogliano lavora con tenacia per pulire questi siti, rimasti abbandonati per decenni, avvolti dalla vegetazione, distrutti, riempiti di terra, usati come discarica, anche per gettare carcasse di cani e gatti. I risultati adesso si vedono, anche se c'è ancora molto da fare. Con la squadra comunale di Protezione civile numerose trincee sono state ripristinate: tolta l'immondizia, la terra, aperti gli ingressi. Non tutte, però, ricadono sul territorio di proprietà del Municipio e il progetto per la loro valorizzazione, per la promozione turistica e, in generale, di recupero della memoria, non è sempre semplice. Non tutti i contadini comprendono l'importanza del mantenimento di questa linea di difesa che è unica. Non se esistono altre simili in Italia. La Ridotta Battisti «Di recente - spiega l'assessore alla cultura, Antonio Rosolini - la protezione civile ha recuperato, rendendola percorribile, la Ridotta Battisti. Con i richiedenti asilo pakistani, poi, abbiamo recuperato un'altra parte di tracciato. Crediamo molto in questo progetto; l'amministrazione ha realizzato sia una mostra, per far conoscere questi luoghi e la loro storia, che dei semplici dépliant con le immagini delle trincee e le cartine dove è ben chiaro lo sviluppo delle fortificazioni sul territorio. Lungo il tracciato si possono vedere ancora i resti del vecchio ponte sul Torre e poi ci sono una infinità di testimoniante uniche». In diverse trincee, le cui coperture spesso si stagliano allo stesso livello del terreno, nascoste, si può entrare e rendersi conto di come era concepita al tempo la guerra e la difesa del territorio: di fatto un corpo a corpo diviso solo da un muro a contenere i primi spari. A Campolongo la linea è di circa cinque chilometri, interrotta solo in alcuni punti, da cui in corrispondenza del passaggio dell'autostrada A4. Di Paola Treppo

 

 

Chioggia, nuova vita per il Forte San Felice
Da lastampa.it del 1 gennaio 2018

Sono 24 i luoghi votati e 15 le regioni coinvolte dagli interventi: si tratta de I luoghi del Cuore, l’iniziativa promossa dal Fondo Ambiente Italiano per salvaguardare e tutelare opere d’arte e monumenti che verrebbero altrimenti dimenticati. Che si tratti del restauro di una tela seicentesca custodita in una piccola chiesa al centro di un borgo, oppure di un supporto a un comitato locale che chiede la tutela di un’area naturale, ogni intervento è importante per le comunità che custodiscono beni e paesaggi simbolo delle proprie origini e tradizioni. Grazie a un progetto di recupero voluto dal Fai proprio con il sondaggio de I luoghi del Cuore, anche il Forte San Felice di Chioggia tornerà a nuova vita. L’importanza del Forte San Felice Vale la pena valorizzare una cosi importante fortificazione ricca di storia. Il suo nucleo originario risale al 1385, quando venne costruito in posizione strategica sull’isolotto naturale all’ingresso della laguna, dopo la Guerra di Chioggia che aveva visto la Repubblica di Venezia attaccata da quella di Genova. L’attuale struttura si deve alle successive riedificazioni che si sono susseguite fino al 1797, anno della caduta della Repubblica di Venezia. Se si ammira dall’alto il Forte San Felice ricorda una stella a cinque punte sul modello del Castello di Famagosta a Cipro e di altre fortificazioni veneziane. Se dal punto di vista difensivo permetteva un controllo a 360° sia sulla laguna che sul mare e si è dimostrato anche un valido ostacolo alle mareggiate, non meno interessante si presenta dal punto di vista architettonico, con il portale in pietra d’Istria progettato da Andrea Tirali all’inizio del Settecento e i resti delle fortificazioni militari, ed anche naturalistico, poiché al suo interno custodisce una vasta area verde. Il progetto del FAI mira ad un recupero del complesso prima che vengano perdute parti delle strutture a causa del degrado. L’obbiettivo è un’apertura stabile al pubblico con una nuova destinazione d’uso. Attualmente, infatti, non è visitabile ed è ancora in mano alla Marina Militare. In attesa di una riqualificazione d’uso che tenga conto e ne valorizzi sia gli aspetti naturalistici che paesaggistici vale la pensa di intraprender una passeggiata o un giro in bicicletta per ammirare paesaggi e scorci assolutamente unici: lo skyline della città, soprattutto al tramonto, è di grande effetto.