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ANNO 2015

In Norvegia, nel bunker della Nato

Da gqitalia.it del 28 dicembre 2015

Una sala operativa sotto 70 metri di roccia. Dove e come si addestrano i comandi dell’Alleanza Atlantica È il comando Nato responsabile di tutte le esercitazioni dell’Alleanza Atlantica. Da qui passano il soldato di truppa e il top brass, indistintamente. Prima di partire per l’Afghanistan o per l’Iraq. Per fronteggiare la crisi russa o l’Isis che avanza. Da qui si analizza tutto quello che succede nel mondo, attraverso il web, conosciuto e sconosciuto, per mettere a punto strategie di addestramento al passo con i tempi. Parliamo di un centro nevralgico lontano dalle capitali dei think tank internazionali. In un ambiente che non immagineresti neppure. Non è l’MI6 di Londra, né una dependance del Pentagono: il Nato Joint Warfare Centre (JWC) – questo è il suo nome – si trova in Norvegia, a Stavanger, su un fiordo profondo 200 metri. Ma non è esattamente quello che immagini. Niente a che vedere con i ghiacci islandesi o le cliniche austriache di memoria bondiana: il JWC è un elegante edificio nel più efficiente stile essenziale scandinavo. Mattoni rossi e vetrate che si aprono tra la roccia e il mare.

Ci arrivi dopo una salita e una serie di rallentamenti pedonali, guidando a 40 km/h tra ville in legno con le lanterne accese alle finestre. È proprio all’ultima curva, dopo la fermata dell’autobus, che ti sorprende lo sventolio delle bandiere dei paesi Nato: benvenuto, sei nel cuore del sistema di training e formazione più avanzato di tutto il mondo occidentale. Le barriere all’ingresso scompaiono nel pavimento appena inserisci il codice del tuo badge e quando si alza la sbarra ti trovi in un giardino ovattato, dove ogni suono è attutito dal vento del nord: dal fruscio dei pini sulla collina ai fuoristrada americani tra i rododendri dei viali d’ingresso. Che il più delle volte sono le mogli dei militari che vanno a fare la spesa nella shoppette della base, dove tra i troll formato souvenir e i tagli di carne di renna ci trovi anche i bottiglioni di gatorade da cinque litri. Qui lavorano in 250 tra militari e civili della Nato al comando di un generale tedesco a due stelle, Reinhard Wolski. Ma non c’è un tank né una mitragliatrice. Se pensavi a cavalli di Frisia, sacchi di sabbia e coltelli tra i denti, qui te la devi metter via. Non sei sul set di un film di guerra. “Lavoriamo con il cervello, qui, non con le armi”, ti spiega il program director delle esercitazioni con un sorriso. E ti sorprende con i numeri: “Quattro mega esercitazioni all’anno, che coinvolgono fino a 5.000 persone ciascuna, alloggiate in parte al JWC e in parte nei comandi nazionali; 18 mesi per costruire ogni esercitazione, che va scritta esattamente come la sceneggiatura di un film; decine di ufficiali esperti di training costantemente in viaggio tra i comandi per offrire formazione e assistenza, in una rotazione su tutto l’arco dei 12 mesi. Più l’attività di intelligence per la creazione di scenari appropriati e aggiornati e tanta analisi per ricreare nella simulazione dell’esercitazione quello che poi succede per davvero nella realtà”. “Un comando piccolo, ma unico al mondo” sottolinea il generale Wolski. Uffici eleganti, pavimenti in parquet; cucine, docce e spogliatoi per ogni divisione. Sale riunioni antistress con vista sulle tuje e sul fiordo. Se non fosse che è mare penseresti a uno scorcio del Lago Maggiore. Poi c’è lui, il bunker. Inaspettato. Silenzioso come un’auto elettrica nel centro di Stavanger. Misterioso dietro i tornelli d’acciaio.

Per entrarci devi aspettare che la barriera in plexiglass si accenda di verde quando il sistema di controllo riconosce il tuo badge, lasciandoti entrare nelle viscere della collina di alberi di Natale dove un labirinto di corridoi si snoda per tre piani sotto terra. “Abbiamo 70 metri di roccia sopra le nostre teste”, spiega il colonnello norvegese che mi fa strada mentre il sibilo della porta da caveau si richiude dietro di noi, mettendo una barriera di trenta centimetri di acciaio e cemento con il mondo là fuori. “Da qui in caso di emergenza possiamo uscire percorrendo 200 scalini verso la sommità della collina, sbucando tra i ginepri del bosco. Oppure percorrendo l’altra uscita, che ti porta a valle ai piedi della struttura. Vicino a dove vendono il gatorade in maxi formato, per capirci”. Costruito dai tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale, ultimato subito dopo dai norvegesi, il bunker è il luogo dove si pianifica, si scrive e si conduce una intera esercitazione. Quando arrivi nella sala operativa, il nucleo di tutta la struttura, ti sembra di sentire la classica richiesta di un “vodka-martini-shaken-notstirred” dietro le tue spalle, dove una vetrata sfaccettata si apre sospesa su una sala sottostante dalle pareti tappezzate di tre maxi schermi che neanche in piazza Duomo per la finale della Nazionale. È qui che batte il cuore del JWC. Invidiabilmente cablato, con un dipartimento media che elabora telegiornali e prodotti informativi a nastro. Sia simulati sia reali. Con la possibilità di collegarsi con ogni parte del mondo, digital divide permettendo. La Nato è arrivata qui nel 1994 e dal 2001 vi ha creato questo centro di eccellenza del training. Anche se tutto il comando è delle forze armate norvegesi, che usano il bunker per la sua peculiarità di rifugio dove vivere per un mese intero completamente isolati dal mondo in caso di necessità. Non si sa mai, siamo nel Mare del Nord e la Russia è pur sempre dietro l’angolo.

 

 

A Pineto un convegno per riscoprire le Torri Costiere Abruzzesi

Da abruzzonews24.it del 19 dicembre 2015

Unire in una rete regionale le varie torri costiere storiche presenti in Abruzzo. È stato questo il fulcro del convegno che si è svolto presso il Palazzo Polifunzionale della città, organizzato dall’Area Marina Protetta di Torre del Cerrano, e alla quale hanno presenziato, tra gli altri, anche rappresentanti delle città costiere abruzzesi, oltre al consigliere regionale Luciano Monticelli in rappresentanza della Regione. E’ quanto si legge in un comunicato diffuso, poco fa, dal servizio stampa del Comune di Pineto. La notizia, qui riportata secondo il testo completo del comunicato diffuso, e’ stata divulgata, alle ore 16, anche mediante il sito internet dell’ente, attraverso il quale e’ stata rilanciata la notizia. “Pensiamo possa essere una grande opportunità per la tutela e la riscoperta del nostro territorio, oltre che per il turismo di tutta la costa regionale”, ha dichiarato il sindaco di Pineto Robert Verrocchio. A partecipare all’incontro anche Ernesto Iezzi, presidente del consiglio comunale di Pineto, Marina De Ascentis, membro del Cda dell’Area Marina, e Leone Cantarini, presidente dell’Amp e ideatore del progetto. Sono circa una dozzina in Abruzzo le torri costiere ben conservate, mentre esiste traccia di altre venti. “Si tratta di un progetto potenzialmente in grado di attrarre anche l’attenzione e i finanziamenti da parte dell’Europa”, ha aggiunto il sindaco di Pineto. Un progetto simile, già avviato, è stato attivato dalla Regione Puglia, proprio per il recupero delle tanti torri del litorale. “L’intero Abruzzo, e anche la costa, ha una storia millenaria – ha precisato Verrocchio – Alla Torre di Cerrano si possono ammirare i resti del porto romano di Hatria e la storia secolare della Torre, usata per l’avvistamento dei pirati. Lo stesso discorso potrebbe valere per le altri torri della nostra costa, che sono luoghi attraverso cui è passata la storia abruzzese. La loro riscoperta non solo farebbe bene a noi stessi abruzzesi, ma credo che sarebbe anche una grande opportunità per la creazione di una rete regionale di turismo culturale”. | A cura della Redazione web AN24. Fonte: nota diramata dall’ufficio stampa dell’ente.

 

 

LA NATO E LA GUERRA AMBIENTALE

Da nogeoingegneria.com del 19 dicembre 2015

“La ‘guerra climatica’ minaccia il futuro dell’umanità, ma è stata casualmente esclusa dalle relazioni per le quali l’IPCC ha ricevuto nel 2007 il Premio Nobel per la pace”. Michael Chossudovsky

Scrive Chossudowsky: “L’opinione generale di base è che le emissioni di gas serra costituiscono l’unica causa dell’instabilità climatica. Nessun governo o gruppo di azione ambientalista ha sollevato il problema della “guerra ambientale” o delle “tecniche di modificazione ambientale (ENMOD)” a scopi militari. Malgrado una vastità di conoscenze scientifiche, il problema delle manipolazioni del clima per scopi militari è stato escluso dall’agenda delle Nazioni Unite sulle variazioni climatiche”.

John von Neumann, al culmine della Guerra Fredda (1955), sottolineava con tremenda preveggenza che: “Interventi in materia atmosferica e climatica… si apriranno ai nostri occhi con una dimensione difficile da immaginare al presente… Questo amalgamerà gli interessi di ogni nazione con quelli di tutte le altre, in modo totale, più di quello che la minaccia nucleare o una qualche altra guerra abbiano fatto fino ad ora” (Citazione da Spencer Weart, Guerra ambientale: schemi di modificazioni climatiche, Global Research, 5 dicembre 2009).

Nel 1977 una Convenzione internazionale, ratificata dall’Assemblea Generale dell’ONU, metteva al bando “l’uso militare, o di altra ostile natura, di tecniche di modificazioni ambientali con effetti a larga diffusione, di lunga durata o di violenta intensità” (AP, 18 maggio 1977). Sia Stati Uniti d’America che Unione Sovietica l’hanno firmata. “Guidati dall’interesse di consolidare la pace… e di salvare l’umanità dai pericoli derivati dall’uso di nuovi strumenti di guerra (…) Riconoscendo che l’uso militare di tali tecniche di modificazioni ambientali possa procurare effetti estremamente dannosi al benessere dell’uomo (…) Desiderando proibire efficacemente l’uso militare di tecniche di modificazioni ambientali in modo da eliminare i pericoli all’umanità (…) e affermando la volontà di lavorare per il conseguimento di questo obiettivo (…) ogni Stato Parte Contraente di questa Convenzione si impegna a non dedicarsi all’uso militare di tecniche di modificazioni ambientali con effetti a larga diffusione, di lunga durata e di violenta intensità, come mezzi di distruzione, di danneggiamento o di lesioni nei confronti di ogni altro Stato Contraente” (Convenzione sulla proibizione dell’uso militare o di altra ostile natura di tecniche di modificazioni ambientali, Nazioni Unite, Ginevra: 18 maggio 1977. In vigore dal 5 ottobre 1978). FONTE

LA NATO E L’ARMA DELLA GUERRA AMBIENTALE

Trasformare la natura in una vera arma, per generare eventi catastrofici, devastare l’agricoltura, le infrastrutture, sciogliere dei ghiacci per affogare città portuali avversarie, deviare correnti marine e atmosferiche, far esplodere ordigni nucleari finalizzati a provocare tempeste radioattive e incendi su enormi spazi abitati, tutto questo e altro ancora è scienza militare durante la Guerra Fredda.

Si chiama «environmental warfare», ed è una guerra condotta provocando intenzionalmente catastrofi ambientali.

Le guerre ambientali, adoperando come strumento bellico i fenomeni naturali, possono devastare paesi, creare catastrofi inimmaginabili senza destare sospetti sulle vere cause. Ne parla lo storico Jacob Darwin Hamblin nel suo libro «Arming Mother Nature». 

Questo tipo di strategia militare fu consolidata in forma ufficiale dal presidente americano Eisenhower con la costituzione di una commissione speciale, guidata dal capitano Howard Orville, con il compito di studiare il potenziale uso della natura come arma. Orville era sostenitore della ricerca sull’uso del controllo del tempo come arma, temendo che l’Unione Sovietica potesse sviluppare la tecnologia prima degli Stati Uniti. La relazione finale del comitato consultivo Orville sul Weather Control, fu pubblicato nel gennaio 1958 pochi mesi dopo il lancio di Sputnik . Orville morì improvvisamente nel 1960.

Nel 1960 nacque un gruppo in sede NATO guidato da Theodore von Karmàn. Kàrmàn è stato consigliere per l’aeronautica americana e per la NATO e aveva un ruolo importante nei meeting internazionali di ricerca sui temi aeronautici. Contribuì a fondare l’AGARD, il gruppo di ricerche aerodinamiche della NATO (1951), l’International Council of the Aeronautical Sciences (1956), l’International Academy of Astronautics (1960) e il von Karman Institute a Brussels (1956). Theodore von Kàrmàn fu quindi incaricato di coordinare il gruppo di specialisti e dirigenti della NATO, presieduto dagli USA, per evolvere progetti di guerre future usando (sfruttando, deviando, imitando) le forze della natura. L’incarico era l’incoronazione della lunga carriera di Kàrmàn. I progetti in cui era coinvolto andavano verso la conquista dello spazio.

VON KARMAN-COMMITTEE

Il comitato includeva rappresentanti di spicco dell’ambito militare di Stati Uniti, UK, Canada, Francia e Germania ovest. Ne facevano parte oltre 200 tra scienziati ed esperti militari. I membri principali erano: Theodore von Kàrmàn e G.S.Field (Canada), Karl Fischer (Germania), Guerin (Francia), H.P.Robertson (USA), Sir Solly Zuckerman (UK), Willliam  A.Nierenberg (NATO). La sigla chiave nelle indagini fu l’azione sinottica, la“SYNOPTIC ACTION”(forma di sinossi, secondo un criterio schematico che consente una rapida visione e acquisizione mnemonica dei problemi) con lo sguardo verso un controllo del sistema fisico di grandi ‘porzioni’ del pianeta. Erano necessarie l’osservazione e la coordinazione di varie discipline.

SYNOPTIC – SCALE MANIPULATION

Le forze NATO dovevano sapersi muovere in ogni tipo di ambiente, anche quelli più estremi: polari, deserti, giungla. Centri di addestramento e basi furono installati in Groenlandia, Alaska, Canada e nel deserto di Yuma (Arizona). I cartografi dovevano ridisegnare le mappe terrestri e rivedere la geodesia. Le armi intercontinentali richiedevano precisione, ma anche la manipolazione e il controllo del tempo meteorologico.

I consiglieri della NATO prevedevano che nel 1970 gli scienziati sarebbero stati capaci di identificare e tracciare i temporali su tutto il pianeta e di controllare costantemente la radiazione sul globo. I dati sarebbero stati forniti dal cielo. L’osservazione e l’elaborazione costante ed automatica dei dati in ogni angolo della terra indica la prospettiva e la meta del ‘mastery of global environment’ del comitato. I consiglieri predissero la manipolazione dell’ambiente su ampia scala. John von Neumann nel 1956 suggerì la possibilità di manipolazioni climatiche annerendo le distese artiche di ghiaccio. Secondo Neumann lo scioglimento della sola Groenlandia creerebbe un aumento del livello del mare di 10 piedi, creando disagi ai porti maggiori di questo mondo. Altro schema era quello di agire sulla corrente del golfo e di conseguenza cambiare il clima del nord Europa.

La NATO aveva a disposizione un mezzo potente, la bomba atomica. Con questo strumento era possibile alterare il clima globale e per un lungo periodo. Esperti dell’ambito meteorologico sostenevano (e sostengono tutt’ora) che i test atomici (oltre 2000 test nucleari: nell’aria, nell’acqua e nel suolo) non avessero provocato sconvolgimenti e anomalie meteorologiche. Erano coincidenze le anomalie meteorologiche impressionanti negli anni di maggior sperimentazione, nel 1954, 1958 e 1962.

Dalla Russia arrivavano voci di voler usare le bombe nucleari per modificare il Bering Strait e con questo intervento interferire sulle condizioni climatiche.

Nonostante il BAN TREATY del 1963 i test atomici proseguirono!

ENVIRONMENTAL WARFARE

Il nemico quindi poteva essere distrutto senza dover dichiarare guerra e senza identificazione dell’aggressore. Le nuove tecnologie militari hanno conseguenze sempre più devastanti per il Pianeta intero.

Von Kàrmàn morì poco dopo il compimento del primo rapporto del comitato.

Dopo la morte di Kàrmàn fu Edward Teller a presiedere il comitato NATO e Teller, come sappiamo, era altamente motivato ad usare le bombe nucleari e in molti modi. Tempi di pace o di guerra non erano un aspetto significativo per Teller, l’unica cosa importante era di poter mettere in pratica i suoi progetti deliranti. I membri del comitato furono designati da ARPA (Advanced Research Projects Agency) e dalla difesa USA.

Il campo di esplorazione era molto esteso: includeva gli strati atmosferici, la Hydrosfera – Troposfera (Bassa A), la Stratosfera, la Ionosfera (Alta A)  e la Exosfera (outer space). L’opzione di sciogliere l’Artico con le bombe è stata scartata, ma non di creare tsunami o alterare il tempo atmosferico.

CATACLISMI ARTIFICIALI

I militari studiarono attentamente i cataclismi di quegli anni per poter creare artificialmente scenari analoghi. Due eventi furono di particolarmente interesse per i militari: l’ALASKALITUA BAY 1958 – TSUNAMI (mega-tsunami del 1958: una colossale onda di 525 metri che travolse un’intera baia) e il GRANDE TERREMOTO CILENO 1960 . Secondo le letture di Hamblin era possibile per gli scienziati NATO controllare i centri di alta o bassa pressione, influenzandoli con l’introduzione di una quantità relativamente piccola di energia. Il rapporto NATO concludeva che le alterazioni dell’ambiente sono in larga misura fattibili, sintetizza Hamblin.

Le fonti citate da Hamblin (dall’Archivio NATO Bruxelles):

Scientific Studies for the Standing Group NATO (Von Karman Committee)

Les rapports du 3e exercice

VKC EX3 PH1 et 2 GP1 et 2 (novembre 1962)

VKC EX3 PH1 GP1 Electronic warfare La guerre électronique

VKC EX3 PH1 GP2 Environmental Warfare La guerre d’environnement

VKC EX3 PH2 GP1 Command and Control Commandement et contrôle VKC EX3 PH2 GP2 Man- achine relationship Les relations homme-machine

Scritti di Kàrmàn:

SCIENCE, THE KEY TO AIR SUPREMACY – Theodore von Kármán – [PDF 2.9 MB]

WHERE WE STAND – Theodore von Kármán – [PDF 4 MB]

WAR AND WEATHER (PDF)

http://www.nato.int/archives/tools/98-III.pdf

http://archives.nato.int/;digitalobject/browse?mediatype=137

http://archives.nato.int/long-term-planning-for-1960s-ten-years-plans;isad

DEVASTAZIONI AMBIENTALI NEL MONDO

E’ solo una coincidenza che negli ultimi anni molti paesi sono stati annientati da cataclismi “naturali”?

La foto qui sopra è stata scattata in Slovenia, l’80% delle foreste sono state devastate da questa tempesta di ghiaccio senza precedenti nel febbraio 2014.

Questo è esattamente il risultato che ci si aspetterebbe con l’adozione di agenti di nucleazione chimica o batteriologica per creare una tempesta di neve e ghiaccio.

 

 

Nel 2010 il Pakistan stava politicamente resistendo alle politiche USA/NATO.

Casualmente in contemporanea un’inondazione ha coperto d’acqua il 20% del paese.

 

 

Nel 2011 la Thailandia ha rifiutato al governo degli Stati Uniti di installare una base aerea, poco dopo il paese viene devastato da inondazioni impressionanti che devastano l’industria thailandese.

 

 

 

Ricordiamo il tifone Haiyan che ha massacrato le Filippine nel 2013. L’esercito americano è arrivato con pretesti umanitari, per poi installare le sue basi militari, che prima della catastrofe erano state negate. Il Ciclone Haiyan con un rafforzamento molto intenso ed estremamente anomalo appena dopo il landfall.

Dati scientifici disponibili sui riscaldatori globali ionosferici (HAARP e installazioni RF SBX) indicano che essi sono in grado di innescare l’attività sismica se l’energia che trasmettono è  concentrata in una zona sismicamente sensibile e per una durata abbastanza lunga. Il MIT ha conformato il fatto che c’era un riscaldamento atmosferico estremamente anomalo e senza precedenti direttamente sopra l’epicentro del sisma giapponese del 2011. Il caso vuole che i giapponesi cominciavano a prendere le distanze dagli Stati Uniti, mentre dopo il terremoto la loro alleanza si è rafforzata. C’è una connessione? La devastazione in Giappone è tutt’altro che finita e la crisi di Fukushima minaccia il mondo intero.

Che dire del disastro avvenuto ad Haiti 2010? E’ solo un’altra coincidenza che l’esercito americano è arrivato immediatamente con il pretesto umanitario per poi occupare il paese? Questa catastrofe è stata conveniente per qualcuno?

Nel 2014 l’Ungheria è stata colpita duramente da una tempesta di ghiaccio (qualcuno la chiama giustamente GELICIDIO ) senza precedenti . E’ solo un’altra coincidenza che le relazioni tra l’Ungheria e le potenze NATO non erano buone? L’Ungheria è un’altra delle vittime di un complesso industriale militare globale che è totalmente fuori controllo?

I militari di tutto il mondo hanno sempre desiderato utilizzare meteo e natura come arma. Ci sono guerre in corso combattute in tutto il mondo senza sparare un colpo? Tutte le prove disponibili dicono di sì. Molto di quello che vediamo oggi è senza precedenti e sembra verificarsi in correlazione con eventi geopolitici o occupazioni successive. L’esercito Usa ha lo stivale sul terreno in oltre 150 paesi. I leader iraniani hanno parlato alle Nazioni Unite sui programmi di modificazione del clima della NATO, accusando di provocare una siccità senza precedenti nel loro paese. Molti paesi africani sono stati devastati dalla siccità per decenni, la maggior parte di questi paesi sono ora occupati dai militari degli Stati Uniti.

È tutto questo solo una coincidenza? Penso di no, dice Dane Wigington concludendo una sua carrellata di osservazioni. L’ articolo di Wigington è QUI. La lista delle catastrofi potrebbe continuare a lungo. L’Italia stessa ha una lunga lista di disastri ambientali che meritano un attento esame.

MATERIALI DI APPROFONDIMENTO

L’arma meteorologica è stata applicata dalla NATO durante la guerra in ex-Yugoslavia

Two eminent experts from the University of Nis, Prof. Dr. Dimitrije Stefanovic from the Faculty of Electronics and Prof. Dr. Milovan Purenovic from the Department of Physics of  the Faculty of nature & mathematics are contending that in the course of the air strikes against Yugoslavia a meteorological war took place.http://emperorsclothes. com/docs/changed.htm

1966 – A Recommended National Program In Weather Modification — A Report to the Interdepartmental Committee for Atmospheric Sciences Homer E. Newell bY Associate Administrator for Space Science and Application National Aeronautics Si Space Administration Washington, D.C. http://ntrs.nasa.gov/archive/nasa/casi.ntrs.nasa.gov/19680002906_1968002906.pdf

CASE STUDY 2 WEATHER MODIFICATION: THE EVOLUTION OF AN R&D PROGRAM INTO A MILITARY OPERATION http://www.fas.org/man/eprint/leitenberg/weather.pdf

DANIEL ELLSBERG, analista militare, nel 1971 consegnò al New York Times e ad altri giornali il Pentagon Papers, uno studio segreto del Dipartimento della Difesa sul coinvolgimento statunitense in Vietnam. Ellsberg fece trapelare documenti in cui si rivelava come l’invasione del Vietnam fosse sistematicamente basata sulla menzogna. Melvin Laird che era segretario della Difesa, negò che gli Stati Uniti stavano modificando il tempo in Vietnam. Le operazioni di WARFARE innovativo in Vietnam erano di vasta portata. Dal 1965 al 1970, nel Sud del Vietnam gli Stati Uniti hanno scaricato oltre 43 milioni di litri di Agent Orange, i produttori del veleno devastante erano la Dow Chemical e la Monsanto.  

 

1975-1991, LA STRADA VERSO UN NUOVO ORDINE MONDIALE

Da storia.in.net del 1 dicembre 2015

di Max Trimurti -

Mentre nel 1975 la Conferenza di Helsinki sembra aprire un periodo di “distensione”, le iniziative sovietiche e il ritorno degli Stati Uniti alla politica attiva con l’amministrazione Reagan determinano un acuirsi delle tensioni nei rapporti Est-Ovest.

L’espansione del comunismo sovietico raggiunge il suo apogeo territoriale  agli inizi degli anni Ottanta. Paesi come l’Etiopia (1974), la Cambogia (1975), l’Angola (1975), l’Afghanistan (1978) e il Nicaragua (1979) sono passati a far parte del campo comunista; i due shock petroliferi del 1973 e del 1979 hanno contribuito a salvare in extremis una economia sovietica sul bordo del baratro. L’aumento delle entrate dovute all’esportazione dell’oro nero ha contribuito soprattutto alla mantenimento dell’arsenale nucleare e di una Armata Rossa numerosa ed equipaggiata.
Ma la caduta del corso delle materie prime agli inizi degli anni Ottanta porta ad una rivalutazione drastica delle ambizioni esterne del complesso militar-industriale, incarnato (fino alla morte nel dicembre 1984) dal ministro della Difesa Dimitry Ustinov e dal capo di Stato Maggiore generale Nikolai Ogarkov (liquidato al momento della crisi), entrambi convinti della necessità di raccogliere la sfida del confronto militar-tecnologica lanciata dagli Stati Uniti. In misura non trascurabile, inoltre, le crisi di successione contribuiranno a rendere meno solida la coerenza della strategia internazionale dell’URSS.

Ma occorre fare un passo indietro, al 1° agosto 1975 a Helsinki, dove, nel quadro della “distensione”, trentacinque capi di Stato e di governo firmano l’atto finale della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE). Tre blocchi di problemi sono stati negoziati: il primo riguarda l’”inviolabilità delle frontiere europee”; il secondo sulla “cooperazione europea fra il blocco comunista e quello capitalista”. Il terzo aspetto del negoziato di Helsinki è fondamentale per l’evoluzione delle relazioni internazionali: riguarda infatti il “rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.
La morsa va a serrarsi sul totalitarismo sovietico, in quanto da allora si moltiplicheranno i comitati di sorveglianza degli accordi di Helsinki nelle “democrazie popolari” e nella stessa Unione Sovietica. Questo processo renderà più fragile l’URSS che, in un primo tempo, aveva voluto vedere nell’accordo solo il riconoscimento della sua egemonia stabilita sull’Europa orientale all’indomani della Seconda guerra mondiale, confermata dalla adozione dell’inviolabilità delle frontiere europee e la rinuncia al ricorso della forza nella soluzione dei conflitti. L’idea della “libera circolazione delle idee e degli uomini”, però, legittima l’azione dei dissidenti dei paesi dell’Est: Alexandr Soljenitzin è stato appena espulso dall’URSS (1974) e il fisico Andrej Sakharov non può uscire dalla Russia per ricevere il premio Nobel per la Pace.

Alla morte di Leonid Breznev, nel novembre 1982, l’arrivo al potere di Yuri  Andropov, vecchio responsabile del KGB, corrisponde a un nuovo acuirsi delle tensioni nelle relazioni sovietico-americane.

Il contrasto, già esacerbato dalla crisi degli euromissili, si aggrava a seguito dell’ordine di abbattimento, il 1° settembre 1983, di un Boeing sud coreano entrato di poco nello spazio aereo sovietico. La decisione sovietica portò alla morte di 269 civili.

Gli americani utilizzeranno così l’affare della Korean Airlines per lanciare una campagna di ampiezza mondiale contro Mosca; i sovietici sospendono nel novembre 1983 i negoziati per la riduzione degli armamenti strategici (START) iniziati a Washington nel giugno 1982. Andropov, morto nel febbraio 1984, viene rimpiazzato dal malato Costantin Chernenko che a sua volta morirà il 10 marzo 1985; a questi succederà Mikhail Gorbacev.
Homo novus del Partito, Gorbacev era  convinto che l’incapacità del sistema sovietico di sostenere la corsa agli armamenti e il mantenimento dell’impero imponessero un cambiamento radicale di politica internazionale.

La crisi degli euromissili era nata dalla volontà dei sovietici di schierare nell’Europa dell’Est missili di portata intermedia SS20 capaci di colpire obiettivi nell’Europa occidentale, senza portare una minaccia diretta al territorio americano.
La risposta americana non si fa attendere dando il via alla installazione dei missili Pershing 2 e dei missili da crociera sui territori dei loro alleati europei. Questa crisi durerà dal 1979 al 1984. I movimenti pacifisti della Germania federale e dell’estrema sinistra europea metteranno in evidenza la loro vera natura di ausiliari dell’URSS, manifestando solo contro lo schieramento dei missili americani, mentre quelli sovietici erano stati schierati già da anni senza alcuna  protesta di piazza. Il loro slogan Lieber tot als rot (“meglio rossi che morti”), costituisce un esempio emblematico delle ultime capacità di seduzione del comunismo internazionale fino alla metà degli anni Ottanta. Il rapporto di attrazione aveva comunque già cominciato a declinare. Il mito di una Unione Sovietica la cui grande guerra patriottica aveva contribuito in maniera determinante alla caduta del nazismo si era progressivamente stemperato in occasione degli interventi dell’URSS a Berlino, in Ungheria, in Cecoslovacchia e, di fatto, nella dura repressione della dissidenza. L’intervento in Afghanistan, la denuncia della “statocrazia”, vale a dire del regime militare sovietico assimilato ormai a un “panzercomunismo” e, per ultimo, il carattere gerontocratico del potere moscovita contribuiscono a screditare il regime che, con  l’elezione alla presidenza statunitense di Ronald Reagan deve fare i conti con il “ritorno in forze dell’America”.

Ronald Reagan, entrato alla Casa Bianca il 20 gennaio 1981, ha rianimato lo spirito di crociata anticomunista contro “l’Impero del Male”. Il 23 marzo 1983 il presidente repubblicano lancia il progetto di Iniziativa di Difesa Strategica (IDS o Guerre Stellari) allo scopo di neutralizzare i missili intercontinentali sovietici. Questo “scudo spaziale”, come viene definito, verrà parzialmente abbandonato nel 1989: ciò nonostante, questa iniziativa americana viene concepita come una corsa decisiva al dominio della più alta tecnologia di difesa (radar, laser, satelliti, elettronica, informatica) riconvertibile nel settore commerciale e mercantile in una economia sviluppata. In occasione del suo discorso del 23 marzo 1983 Reagan insiste sulla santuarizzazione del territorio nazionale americano e sui negoziati START. Una frase, peraltro, non appare anodina: «Se l’URSS si affiancasse a noi nel nostro sforzo per pervenire a una importante riduzione degli armamenti, noi riusciremmo a stabilizzare l’equilibrio nucleare». Il progetto americano contiene la proposta di un trasferimento progressivo di tecnologia ai sovietici, affinché questi vengano a beneficiare di un sistema equivalente di santuarizzazione, eliminando la prospettiva di una mutua distruzione certa.
Appare decisamente pertinente collegare nella pressione americana sull’URSS il bastone rappresentato dal sostegno massiccio e crescente ai mujahiddin afghani (missili contraerei Singer in particolar modo) contro l’esercito sovietico, oltre che la superiorità tecnologica in materia di corsa agli armamenti manifestata dalla IDS con una campagna di sostegno degli Occidentali (Governi , media, FMI) a Mikhail Gorbacev nel momento in cui i due ministri degli esteri, James Baker ed Eduard Shevardnadze, intrattengono eccellenti relazioni.

L’assunzione da parte di  Gorbacev della carica di segretario del PCUS era stato apprezzata da Washington. Notato dagli Occidentali in occasione del suo viaggio in Canada nel 1983, Gorbacev sarà ricevuto a Londra nel 1984 da Margaret Thatcher che lo giudicherà un uomo «con il quale si può lavorare».

Il presidente americano e il successore di Chernenko si incontreranno nel novembre 1985. Se, all’epoca, Gorbacev rifiuta l’offerta di collaborazione americana sull’IDS, egli propone, a  partire dall’11 ottobre 1986 a Rejkiavik (a seguito della catastrofe nucleare di Chernobil e dopo una serie di incontri organizzati nell’agosto e nel settembre precedenti) l’opzione “doppio zero”.
Si tratta di un processo bilaterale di riduzione degli armamenti nucleari, aprendo la via a negoziati la cui conclusione è rappresentata dalla firma, avvenuta alla Casa Bianca, l’8 dicembre 1987,  del Trattato di Limitazione degli armamenti nucleari di portata intermedia e a corta portata in Europa (INF).

Un’altra partita strategica si gioca fra i due Paesi sul teatro del nuovo “grande gioco” afghano. I sovietici intervengo in Afghanistan il 25 dicembre 1979, meno di due mesi dopo la cattura degli ostaggi dell’ambasciata americana in Iran. Mosca ha due obiettivi connessi: assicurare una presenza militare già importante (cinquemila consiglieri residenti a Kabul) e trasformare il Paese in un hinterland territoriale stabile, impedendo qualsiasi controffensiva americana a seguito dell’incidente iraniano.
Dopo l’operazione preliminare dei paracadutisti a Kabul l’Armata Rossa privilegia, in un primo tempo, le operazioni convenzionali classiche, la potenza di fuoco e la sovietizzazione, misconoscendo la complessità della società afghana, la sua organizzazione etnica e per clan, il peso della religione e, soprattutto, la possibilità da parte avversa di una guerra asimmetrica. La sorpresa sarà dura e condizionerà la svolta operativa di contro-insurrezione degli anni 1981-1984. Senza l’aiuto massiccio ai mujahiddin, il cambiamento radicale di strategia dell’Armata Rossa messa in opera dal 1981, fruttifera solo dal 1984 (individuazione dell’Afghanistan utile, scelta dell’impiego degli elicotteri, operazioni di commandos, impiego delle forze speciali, gli spetsnaz, formazione di battaglioni dell’esercito afghano), avrebbe definitivamente marginalizzato la resistenza.
L’occupazione afghana nata per motivi di politica estera, però, era diventata con i suoi circa ventiseimila morti una “ferita sanguinante”, nelle parole dello stesso Gorbacev. Il discredito internazionale, la mancanza di un reale vantaggio strategico e l’agonia economica del regime spingono l’Armata Rossa alla ritirata, effettuata in buon ordine  fra l’estate del 1988 e il febbraio 1989, lasciando a Kabul un regime vicino a Mosca, che avrebbe resistito ancora tre anni, fino agli inizi del 1992, dopo la dissoluzione dell’Urss.

La prima conseguenza della Perestrojka nel febbraio 1986, legata alla caduta del prezzo del petrolio, costituisce una degradazione significativa del tessuto economico e del sistema sovietico, tanto che Mosca si ritrova quasi nell’impossibilità di garantire la stabilità delle economie del blocco dell’est europeo. Questa carenza del “grande fratello sovietico” libera le popolazioni  dalla paura dei regimi comunisti locali con i quali fanno ugualmente valere la Glasnost (trasparenza) venuta da Mosca, per giustificare una liberalizzazione e un processo elettorale reale. Da quel momento ha inizio il crollo del sistema, nel contesto di un effetto domino iniziato dalla Polonia, dove Lech Walesa e il sindacato Solidarnosc sono usciti vincitori, nel giugno 1989, dopo aver resistito alla repressione del generale Wojciek Jaruzelski.
L’Ungheria apre fisicamente una breccia nella cortina di ferro sulla strada fra Vienna e Budapest, che i Tedeschi dell’est andranno a percorrere a partire dalla primavera del 1989. I dirigenti occidentali moltiplicano i loro viaggi sul posto per consolidare questa evoluzione, come il presidente George Walker Bush in Polonia e in Ungheria nel luglio 1989, e il ministro degli esteri tedesco Hans Dietrich Genscher a Praga nel settembre dello stesso anno.

Con la dichiarazione di Gorbacev del luglio 1989, che assicura che l’Armata Rossa non interverrà nella Germania dell’Est, e l’abbandono del potere da parte del leader della Germania orientale Erich Honecker il 17 ottobre e la successiva caduta di Nicolae Ceausescu in Romania, il 22 dicembre, ha inizio un processo irreversibile che porterà alla definitiva caduta del muro di Berlino.

Si susseguono in breve tempo la rinazionalizzazione delle politiche degli ex democratici popolari nel corso dell’autunno dello stesso anno e la riunificazione, il 3 ottobre 1990, della Germania. L’onda d’urto colpirà poi i Paesi baltici e una serie di movimenti secessionisti appariranno sulla scena in Alto Karabak, Ossezia, Abkhazia, Moldavia, quindi in Ucraina e Bielorussia.

Con la dissoluzione dell’URSS, avvenuta l’8 dicembre 1991, la Russia ne diverrà l’erede, sola e unica potenza detentrice dell’arsenale nucleare sovietico. La seconda parte del XX secolo, dominato dal confronto ideologico e dalla guerra fredda, risulta praticamente conclusa.

Per saperne di più

Luigi Geninazzi, L’ Atlantide rossa. La fine del comunismo in Europa – Lindau, Torino 2013.
Jacques Andréani, Le Piège: Helsinki et la chute du communisme – Odile Jacob, 2005.
Xavier Moreau, La nouvelle grande Russie: De l’effondrement de l’URSS au retour de Vladimir Poutine – Ellipse, 2012.
Charles Maier, Il crollo. La crisi del comunismo e la fine della Germania est – il Mulino, Bologna 1999.

 

I NUOVI SILURI NUCLEARI RUSSI POSSONO GENERARE TSUNAMI CHE SPAZZANO VIA INTERE CITTA’ COSTIERE

Da comedonchisciotte.org del 21 novembre 2015

Mentre gli occhi del mondo sono puntati su ISIS, la Russia sta mettendo a punto armi diverse da tutte quelle che il mondo finora ha conosciuto. Poco tempo fa sono “trapelati per errore sulla stampa” i piani per la costruzione di un gigantesco siluro nucleare semovente capace di generare uno tsunami di più di 300 metri di altezza. A quanto pare le testate nucleari installate su questi siluri sono progettate per creare talmente tante radiazioni che “ogni essere vivente ne rimarrà ucciso” – compresi quelli che tenteranno di sopravvivere all’attacco nascondendosi in rifugi sotterranei. Questi “mini-sottomarini robotizzati” avrebbero una portata fino a 10.000 chilometri e sarebbe in grado di eludere tutti i sistemi di rilevamento statunitensi esistenti. Dire che una tale arma sarebbe un “cambiamento di scenario” è molto più che un eufemismo. So bene che non vi basteranno queste mie parole per crederci. E così come sempre faccio per tutti i miei articoli, andrò a documentare scrupolosamente quello che dico. Sappiamo di questi nuovi siluri nucleari perché sono stati brevemente illustrati nel corso di una recente trasmissione televisiva russa. Secondo funzionari russi, si è trattato di “un incidente”. Ecco uno stralcio dal “the Independent…”: “Secondo il Cremlino la rivelazione dei piani segreti per la costruzione di un nuovo sistema di siluri nucleari russi da parte della televisione di stato russa è stato solo un incidente. Durante un servizio sull’ incontro tra Putin e alcuni ufficiali militari russi, è stato trasmesso per alcuni secondi il primo piano di un documento riservato denominato “Ocean Multipurpose Syste: Status-6”. E’ possibile che non si sia trattato di un incidente ma di un fatto intenzionale? E’ possibile che si sia trattato di un avvertimento per l’Amministrazione Obama? Non si può mai sapere. Ma senza dubbio si tratta di quel genere di armamenti capaci di levare il sonno a qualsiasi stratega militare. Secondo RT, questo nuovo siluro nucleare è stato progettato per generare “aree estese di contaminazione radioattiva” tali da “precludere su di esse per lungo tempo qualsiasi attività militare, economica e sociale”. La slide di presentazione dal titolo “Ocean Multipurpose System: Status-6” mostrava la figura di un nuovo sistema missilistico nucleare sottomarino. Pare sia stato progettato in modo tale da eludere i radar della NATO e qualsiasi altro sistema di difesa missilistico, mentre provoca gravissimi danni a “strutture economiche importanti” lungo le aree costiere del nemico. Le note alla slide: “Status-6 provoca con certezza assoluta enormi danni insostenibili a qualsiasi forza avversaria. La sua detonazione nell’ “area nemica costiera” provocherebbe una “tale contaminazione radioattiva da impedire per lungo tempo sul posto ogni tipo di attività umana, militare, economica, commerciale o altro per lungo tempo”. Inoltre, Konstantin Sivkov dell’Accademia Geopolitica Russa avrebbe detto alla BBC che questo tipo di arma può provocare uno tsunami alto più di 300 metri…

“Una testata di più di 100 megatoni può produrre uno tsunami fino a 500 metri (1,650 piedi), che spazzerebbe via ogni cosa vivente fino a 1,500 chilometri (930 miglia) dell’entroterra statunitense”.

Come ho scritto in precedenza, un impressionante 39% di tutti gli americani vivono in aree con confini costieri. La detonazione di solo una piccola manciata di queste armi potrebbe spazzare via l’intera costa orientale e uccidere una grandissima percentuale della popolazione statunitense. Oltre a tutto questo, la BBC riporta che secondo una pubblicazione del governo russo, questi nuovi siluri sono dotati di testate al cobalto estremamente radioattive. Secondo la “Rossiiskaya Gazeta”, giornale di stato, il potere distruttivo attribuito alla testata di questo nuovo siluro è molto prossimo a quello di una bomba al cobalto. Sarebbe un tipo di testata termonucleare con uno strato di cobalto 59, che nella detonazione si convertirebbe in cobalto-60 altamente radioattivo, con una emivita di più di cinque anni. Una tale arma garantirebbe l’eliminazione di “ogni forma di vita”, dice il giornale; non ci sarebbe nessun sopravvissuto nei bunker. Una bomba al cobalto non è mai stata testata a causa delle radiazioni devastanti che scatenerebbe. E ciò che è peggio, non si può in alcun modo essere avvisati dell’arrivo di questi siluri: possono essere lanciati da ogni luogo, pare che abbiano una gittata massima di 10.000 chilometri e che siano stati progettati per “eludere ogni dispositivo di localizzazione ed altre trappole …”. Il diagrammaindica per questo gigantesco siluro una gittata massima “fino a 10.000 chilometri (6,200 miglia) e una profondità di traiettoria di 1,000 metri (3,300 piedi)”. Il sistema è stato sviluppato da “Rubin”, uno studio di progettazione di sottomarini con sede a St Petersburg. A quanto pare, verrebbe lanciato dai sottomarini a propulsione nucleare della serie 09852 “Khabarovsk” e 09851 “Belgorod”. La Rossiiskaya Gazeta definisce il siluro un “mini-sottomarino robotico” che viaggia a 100 nodi (185 km/ h.115mph), in grado di eludere “ogni possibile dispositivo di localizzazione ed altre trappole”. Sappiamo già che la Russia ha costruito dei “sottomarini buco nero” che i funzionari NATO ammettono siano impossibili da rilevare. Ma questi ultimi siluri nucleari portano il ‘gioco’ a un livello del tutto nuovo. E, naturalmente, questo non è l’unico nuovo sistema d’arma che la Russia sta sviluppando in previsione di una terza guerra mondiale. All’inizio di quest’anno ne parlai in modo molto più approfondito in un mio articolo dal titolo “Le armi di nuova generazione che la Russia potrebbe usare contro gli Stati Uniti in una terza guerra mondiale”. Purtroppo, l’amministrazione Obama appare quasi del tutto ignara di questa minaccia. Le nostre forze nucleari strategiche sono così obsolete che utilizzano ancora floppy disk e telefoni analogici; e a Barack Obama piace continuare a dire che “la guerra fredda è finita ormai da più di venti anni”. Sfortunatamente per noi, i Russi non la vedono allo stesso modo. Attualmente in Russia il sentimento antiamericano è a un nuovo record, e ogni volta che gli Stati Uniti interferiscono in Siria o in Ucraina, la cosa fa ancora più arrabbiare i Russi. Proprio come da noi, anche nella televisione russa ci sono delle “teste parlanti” che raccontano alla gente quello che pensano. Molte di queste teste ora stanno parlando apertamente di come la guerra con gli Stati Uniti stia diventando inevitabile. In questi giorni, i russi si considerano una grande potenza che agisce per il bene di tutto il mondo, mentre considerano l’America la più grande potenza del male. Difatti, una delle più famose ‘teste parlanti’ russe dal nome di Alexander Dugin ha definito pubblicamente gli Stati Uniti il “Regno dell’Anticristo”. E nonostante l’economia Russa sia in piena recessione, i Russi continuano imperturbabilmente a prepararsi a un conflitto. Solo in quest’ultimo anno, la spesa militare Russia è aumentata del 33% rispetto all’anno scorso. E’ vero, per la maggior parte degli americani è l’ISIS la maggiore minaccia, come ho detto ieri. Nel prossimo futuro, prevedo il verificarsi di diversi attacchi terroristici, in modo e in quantità mai visti prima. Ma sono del tutto convinto che sia la Russia la minaccia maggiore a lungo termine. I Russi si stanno preparando ad una terza guerra mondiale, mentre Obama si comporta come se niente fosse. Speriamo che sia Obama ad avere ragione, perché se si sbagliasse le conseguenze per la nazione sarebbero inimmaginabili. Michael Snyder Fonte: http://theeconomiccollapseblog.com Link: http://theeconomiccollapseblog.com/archives/russias-new- uclear-torpedo-can-create-gianttsunamis- and-wipe-out-entire-coastal-cities

 

MISTERIOSI CAMION AVVISTATI IN ASPROMONTE. LE IMMAGINI
Da notiziepericolose.com del 19 novembre 2015

“I camion arrivavano dalla costa di notte. Atterrano elicotteri silenziosi e il cielo è pieno di droni che partono e scompaiono tra le nuvole.” racconta le gente terrorizzata dei paesi vicini alla base Usaf ufficialmente dismessa di Nardello in pieno Aspromonte [http://notiziepericolose.blogspot.com/2014/01/cronostoria-dei-fenomeniparanormali. html] . Si dice che i camion trasportassero missili a lungo raggio, ma qualche personaggio parla anche di bombe atomiche  nascoste nei piani sotterranei all’interno della base. Sul sito Nato di Monte Nardello circolano da sempre voci allarmanti; la gente d'Aspromonte dice che, da quando questa base è stata attivata e dopo la sua dismissione avvenuta nel 1994, vi sono stati movimenti di camion sospetti intorno ad essi; inoltre, la gente si chiede perché, se la base è dismessa, il sito su cui sorge resta, a tuttti gli effetti, zona militare.

La base, versa, in verità, in uno stato di assoluto abbandono e nessuno si prende la briga di vigilare su cosa accada al suo interno; un atteggiamento improvvido in una terra in cui opera la più potente delle mafie. Un ex militare dei servizi segreti afferma [http://notiziepericolose.blogspot.it/2015/01/militare-americano-rilevainformazioni. html] che basterebbe un controllo a tappeto di ciò che c’è all’interno della base per fugare ogni dubbio; ma dal 1994 nessuno lo ha mai fatto. Anzi, qualcuno dice che in quei luoghi si siano addestrate al soldo degli americani le menti più terrificanti dell'Isis, che di notte uscivano ed andavano a sgozzare capretti in giro per gli ovili. In tante zone dell'Aspromonte la popolazione parla di misteriosi rumori, strane luci e di giganteschi TIR che nelle ore della notte più profonda si inerpicano sulle montagne con i loro carichi: missili, strani macchinari coperti da teloni d'acciaio, misteriose figure di umanoidi che scendeno dai mezzi per nascondersi nei boschi furtive, gente ammanettata ecc.. Si tratta della fantomatica storia del progetto segreto Aspromont Horizon? [http://notiziepericolose.blogspot.it/2014/02/aspromont-horizon-il-pianomilitare- usa.html]

 

Povegliano lancia il progetto di un “museo naturale diffuso” nell’ex base missilistica
Da primoweb.it del 13 novembre 2015

Si è svolta ieri, in municipio a Povegliano Veronese, la cerimonia di consegna della ex base missilistica e contraerea “Hawk 10”, dismessa da circa 15 anni. Erano presenti il sindaco Anna Maria Bigon e l’amministrazione comunale, il funzionario Giampietro De Pietro per l’Agenzia del Demanio, Maria Carmela Pace per il V° reparto infrastrutture di Padova, il Maresciallo Pascale e Alessandro Ferro della sezione staccata di Verona dell’Amministrazione Militare.
La base si trova nella parte sud del territorio, in località Torneghiso, è ampia 18 ettari ed è compresa nel sito di interesse comunitario e zona di protezione speciale “Fontanili di Povegliano”. Insistono infatti nelle vicinanze i sei gorghi della Liona e la sorgente della fossa Draga. Al suo interno si trovano piccoli edifici adibiti a caserme, inagibili al momento, sei rampe per il lancio dei missili e grandi spazi verdi.
L’amministrazione comunale ha da tempo iniziato l’iter per la sua acquisizione, e, grazie alla legge 98/2013, ha potuto ottenere la proprietà dell’area a titolo non oneroso. La questione è stata seguita con costanza dagli uffici comunali, supportati dal consigliere Comunale Luciano Bresaola, al quale è stata affidata proprio una delega specifica per l’acquisizione della base.
«Oggi si conclude un iter molto importante – ha affermato con orgoglio il sindaco Bigon – faremo di questo spazio un museo naturale diffuso, in connessione con le risorgive e con il patrimonio storico-archeologico. Sarà dedicato allo sport, all’attività motoria e al tempo libero, tutte attività di qualità e a basso impatto ambientale».

 

 

Riecco il bunker della Guerra fredda - Sulle pendici del monte San Michele aperta al pubblico la struttura militare costruita nel 1968 e mai entrata in funzione
Da messaggeroveneto.it del 9 novembre 2015

di Marco Bisiach

SAN MICHELE DEL CARSO. Scalini ripidi e stretti che scendono e, contemporaneamente, riportano indietro negli anni. Porte blindate, pesanti e cupe, che si aprono su un pezzo di storia in fondo recente, ma che pure pare già così lontana. Per la prima volta in assoluto, tra l’altro, di fronte agli occhi di civili. Non è stato qualcosa di banale, quel che è accaduto ieri mattina tra le rocce e il sommaco del Carso, sulle pendici del San Michele, sommità di una sua anticima, il monte Skofnik. L’inaugurazione e l’apertura al pubblico di un bunker della Guerra fredda, recuperato grazie alla collaborazione tra Provincia, associazione Fanti d’arresto e Fondazione Carigo. Un’opera militare interessante e sorprendente nelle sue caratteristiche tecniche e architettoniche, suggestiva per l’ambiente e i locali, emozionante per la storia che si porta dietro. Non ha dovuto (per fortuna) assolvere realmente al suo compito, resistere ad attacchi ed esplosioni, e fungere da baluardo per respingere il nemico. Ma tutto era pensato e pronto per farlo. E ora, nella sua seconda vita, il bunker diventerà al contempo monito e attrattiva per il visitatore, in un’area già di enorme interesse storico per il parco tematico della Grande guerra. Perché, come ha sottolineato il presidente della Provincia Enrico Gherghetta – parlando alla Lokanda Devetak di San Michele del Carso, prima del taglio del nastro, assieme tra gli altri al presidente dell’associazione Fanti d’arresto generale Pietro Maccagnano, al sindaco di Savogna Alenka Florenin e all’assessore provinciale Donatella Gironcoli -, «qui c’è un pezzo di storia importante, un luogo unico nel suo genere che potrà diventare risorsa turistica, oltre che storica e culturale. Dobbiamo ringraziare l’associazione per il lavoro fantastico che ha fatto: non è stato facile, soprattutto a causa della burocrazia, ma siamo stati molto determinati». «A noi spetta di perpetuare nelle future generazioni il ricordo e i valori di questa storia», ha spiegato il generale Maccagnano, che poi si è soffermato nel raccontare la genesi e le caratteristiche del bunker. La fortificazione fa parte di quella che nel suo complesso è stata definita la Cortina di ferro, una serie di manufatti difensivi che da Trieste arrivavano al Baltico, pensati per attivarsi in caso di attacco da Est. Il bunker del monte Skofnik, in località Cotici Superiore, è stato realizzato nel 1968, per poi essere dismesso e abbandonato definitivamente nel 1992. La Provincia lo ha ottenuto dal Demanio con apposito accordo, per poi affidarne la gestione all’associazione Fanti d'arresto, che ne ha curato il recupero.

 

Bunker di Mussolini a Villa Torlonia, in un anno 10mila visitatori

Da romacapitalenews.com del 30 ottobre 2015

Oltre 10mila visitatori in un anno hanno visitato i bunker e i rifugi antiaerei realizzati durante la Seconda Guerra mondiale a Villa Torlonia per proteggere Benito Mussolini e la sua famiglia. Tanti romani, turisti, stranieri e 1.400 studenti con tariffa agevolata hanno quindi compiuto l’affascinante viaggio nel tempo all’interno del suggestivo parco verde sulla Nomentana.

“Questo il bilancio più che positivo dei primi mille turni di visita curati dall’Associazione culturale CRSA-Sotterranei di Roma a partire dal 31 ottobre 2014, grazie ad una innovativa sinergia voluta dall’Assessorato alla Cultura e allo Sport – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali – si legge in una nota – Un successo turistico, (il sito è stato inserito fra le eccellenze di TripAdvisor) e mediatico, con 50 testate di ogni parte del mondo che hanno parlato del bunker e dei rifugi della famiglia Mussolini. Il tour, con visita guidata per piccoli gruppi e prenotazione obbligatoria sul sito www.sotterraneidiroma.it, offre spunti di approfondimento multidisciplinari: dalla storia alla tecnologia, dalla protezione antiaerea sino al vissuto della memoria bellica di Roma”. “Il percorso – aggiunge – è arricchito da audio e arredi d’epoca, pannelli illustrativi con rari documenti d’archivio e una proiezione video con una panoramica completa di tutti i bunker presenti a Roma. A breve sono previste alcune novità, con l’inserimento nei locali sotterranei del sistema antigas originario del Rifugio del Casino Nobile, che è in corso di restauro. Sarà infine resa fruibile ai visitatori anche una grande sirena antiaereo proveniente dal sistema di allerta della Capitale”.

 

"Itinerari turistici tra le Torri costiere di Puglia"

Da giovinazzoviva.it del 29 ottobre 2015
La Puglia riserva tanti aspetti da scoprire che permettono di conoscere appieno il suo patrimonio storico ed artistico. Questo è lo scopo della mostra "Itinerari turistici tra le Torri costiere di Puglia", che fa tappa a Giovinazzo nelle sale della Vedetta sul Mediterraneo e verrà inaugurata stasera alle 17.00.

Ideata dal Segretariato regionale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per la Puglia in collaborazione con il Comune di Monopoli (dove è stata già aperta presso il Castello Carlo V dal 9 al 24 ottobre scorsi, ndr) e l'Associazione "Vedetta sul Mediterraneo", la mostra è stata realizzata grazie ai finanziamenti della Regione Puglia e da fondi provenienti dal "Programma Operativo Interregionale" (POIn).

Alla base dell'esposizione l'idea di ampliare la conoscenza della Regione e del suo patrimonio storico, culturale ed ambientale attraverso la promozione di nuovi itinerari turistici che comprendano le Torri costiere pugliesi. Le Torri, infatti, rappresentano monumenti del paesaggio che parlano della storia e della cultura del territorio pugliese.

L'inaugurazione di stasera prevede interventi di Marianna Paladino, Assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Giovinazzo, Eugenia Vantaggiato, Segretario Regionale del MiBACT per la Puglia, Brigida Salomone, rappresentante della Regione Puglia, e Nicolò Carnimeo, Giornalista e Presidente della Vedetta sul Mediterraneo.

Dopo essere stata ospitata presso il Castello Carlo V di Monopoli dal 9 al 24 ottobre, sarà possibile visitare la mostra presso la Vedetta fino all'8 novembre ogni venerdì, sabato e domenica, di mattina dalle 11.00 alle 13.00, e di sera dalle 18.00 alle 20.00.

 

 

Batterie Amalfi e Pisani, presto i lavori del restauro

Da nuovavenezia.it del 28 ottobre 2015

CAVALLINO. «A breve partirà la gara per l’affidamento dei lavori e poi finalmente inizieremo il restauro delle batterie Amalfi e Pisani che sarà completato entro l’ottobre del 2017». Il sindaco Roberta Nesto ha annunciato il restauro conservativo delle due fortificazioni risalenti ai primi anni del Novecento per il quale è previsto un investimento di circa tre milioni di euro.

Le opere, per una parte finanziate dal comune e per il resto previste nell’ambito degli stanziamenti regionali previsti per il Centenario della Prima Guerra Mondiale, come ha chiarito il consulente per i forti ed i musei, Furio Lazzarini, durante l'ultima visita di domenica in occasione del raduno dell'associazione nazionale Marinai d'Italia “Veneto Orientale”, potranno far sviluppare di molto il turismo culturale e storico a Cavallino-Treporti.

«Si tratterà di un’importante opera di risanamento conservativo rispettando le caratteristiche originarie degli edifici», commenta il sindaco Nesto, «prevedendo la sistemazione di tutti gli impianti, degli intonaci, aggiungendo infissi, conservando pienamente la struttura delle batterie con la creazione dei locali predisposti per le mostre e una moderna caffetteria».

La batteria costiera Vettor Pisani fu costruita nel 1912, con concezione ottocentesca, per difendere Venezia da mare e da terra.

La batteria Amalfi fu invece inaugurata nel 1917 e dedicata a un incrociatore italiano affondato da un sommergibile tedesco nel 1915.

«Sarà molto importante in termini di destagionalizzazione», conclude la Nesto, «investire sul recupero delle fortificazioni ma anche creare il binomio cultura e turismo, oltre che sport turismo e cultura». di Francesco Macaluso

 

 

Bunker di Villa Ada, al via i lavori di recupero

Da romanotizie.it  del 24 ottobre 2015

Sono partiti i lavori di recupero del bunker di Villa Ada che sarà presto aperto al pubblico. Nell’arco di circa tre mesi verrà ultimato il progetto che riguarda sia il ripristino delle zone esterne sia l’interno del bunker, compresi gli accessi (cancellata d’ingresso, finestre della torretta), con ripulitura completa degli ambienti e riavvio delle funzionalità.

“Dopo il recupero dei bunker di Mussolini a Villa Torlonia, un anno fa, che hanno riscosso un grandissimo successo di pubblico tra studenti e appassionati di storia, restituiremo con questi lavori un altro luogo storico a romani e turisti”, ha commentato Giovanna Marinelli, assessore alla Cultura e allo Sport. “La memoria è un dovere ma anche un antidoto perché i drammatici eventi che hanno segnato e insanguinato il secolo scorso non si ripetano più”, ha aggiunto.

L’iniziativa di recupero del rifugio, costruito tra il 1941 e 1942 per la famiglia reale dei Savoia, è promossa dall’Assessorato alla Cultura e allo Sport – Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali e non comporta oneri per il Campidoglio, questo grazie alla collaborazione tra pubblico e privato. A curare i lavori è infatti l’associazione “Roma Sotterranea”, aggiudicataria della gara pubblica indetta appositamente da Roma Capitale.

 

Milano, settant'anni dopi i bombardamenti l'Ater riapre il bunker anti aereo

Da larepubblica.it del 24 ottobre 2015

È rimasto quasi intatto, dopo oltre 70 anni di abbandono.

Il bunker anti aereo di via Preneste 4, a Milano, oggi di proprietà dell'Aler è stato riaperto in vista dell'anniversario dell'inizio dei bombardamenti sulla città.

Il rifugio era uno dei cosiddetti ricoveri pubblici che i cittadini della zona utilizzavano per ripararsi dalle bombe incendiarie.

La struttura sotterranea si sviluppa in lunghezza ed è costituita da otto strette stanze rettangolari, con panche lungo i muri e accessi ai condomini.

Da oggi, dopo la riapertura, è disponibile per le visite (Luca De Vito)

 

 

 

Consegnati i lavori della Fortificazione Umbertina sulla collina di Pentimele

Da notizie.tiscali.it del 23 ottobre 2015

Reggio Calabria 23.10.2015 (CN) – “Con questo progetto andiamo a ricostruire un pezzo di storia della città. Restituiamo alla comunità una parte importante del nostro territorio, riqualificando una struttura che diventerà un centro pulsante di cultura, di arte, di aggregazione sociale a disposizione dei cittadini”. Ha commentato  così ieri il Sindaco diReggio Calabria Giuseppe Falcomatà a margine della conferenza stampa di presentazione della consegna lavori per la riqualificazione della Fortificazione umbertina sulla collina di Pentimele.

“Grazie al lavoro sinergico degli uffici – ha aggiunto il Sindaco - oggi mettiamo in cantiere un’altra opera strategica per la città, utilizzando i finanziamenti europei che sono una risorsa per il rilancio dello sviluppo sul territorio urbano. Con l’intervento sul forte umbertino puntiamo alla messa a sistema di tutte le strutture storiche che insistono nella parte nord della città. Tutte le attività programmate saranno integrate in un unico progetto d’insieme, che ricomprenderà le fortificazioni storiche inserite in un unico percorso turistico storico-culturale. Una volta ultimata – ha concluso il Sindaco Falcomatà - l’opera diventerà un laboratorio di iniziative, con la possibilità anche di importanti sbocchi occupazionali, esattamente come sta avvenendo al forte di Arghillà con il Parco Ecolandia, sul quale lavoreremo per riqualificare la strada di accesso, per migliorare i collegamenti con la rete di trasporto pubblico e per l’inserimento della struttura nell'offerta formativa degli istituti scolastici della Città Metropolitana”.

 

Reggio: ecco come saranno le nuove fortificazioni umbertine sulla collina di Pentimele   

Da strettoweb.com del 22 ottobre 2015

Stamane, a Palazzo San Giorgio, è stata ufficializzata la consegna dei lavori di riqualificazione dellefortificazioni umbertine sulla collina di Pentimele, un’area storica, strategica, ma soprattutto soggetta ad una tutela importante sotto l’aspetto ambientale. A presenziare all’incontro odierno, il primo cittadino di Reggio, Giuseppe Falcomatà, l’assessore comunale alle politiche sociali e comunitarie, Giuseppe Marino, l’architetto Neri, responsabile unico del procedimento, ed il dirigente del settore, Francesco Barreca. Il tutto ha inizio con la deliberazione di Giunta comunale n.128 dell’11.05.2012, con cui è stato approvato il progetto preliminare relativo all’intervento suddetto, denominato “Riqualificazione Fortificazioni Umbertine (batteria Pizzi) – Valorizzazione area collina Pentimele”. Ad oggi, finalmente, l’appalto è stato aggiudicato in via definitiva per un importo di circa 606 mila euro, dunque possono iniziare i lavori, “grazie ad un lavoro meticoloso e quotidiano dei funzionari”, parole di Marino, il quale specifica l’investimento di 950mila euro di fondi comunitari, “che ci permetteranno di mettere a nuovo il fortino di Pentimele. Grazie a 5 milioni di euro di risorse complessive potremo rendere la collina un vero e proprio parco urbano a servizio della città”. Tra gli interventi previsti, anche la strada di accesso al sito, che grazie ad un finanziamento di 1 milione e 400 mila euro, sempre di fondi comunitari, verrà rimessa a nuovo, garantendo così anche la viabilità degli autobus. Un intervento preliminare, come si diceva, a cui c’è da aggiungere quello relativo al secondo fortino, per 3 milioni di euro.  Restituiremo un angolo di paradiso alla città – prosegue l’assessore Marino – tramite un’idea nata durante la prima amministrazione Falcomata. Grazie ad un dialogo costante con la Regione Calabria, abbiamo già ottenuto la proroga per il 2017 di alcuni importanti progetti che dovevano essere terminati entro l’anno in corso”. I progetti in questione sono quelli relativi al Campo Coni, al Waterfront, al Lido Comunale e agliarredi del Monastero della Visitazione. “Una proroga ottenuta – evidenzia Marino – non perché siamo simpatici a Catanzaro, ma perché abbiamo lavorato, consegnando lavori eseguiti per 18 milioni di euro”.

“Una collaborazione fruttuosa con la Regione Calabria”, messa in evidenza anche dal dirigente del settore, Francesco Barreca.

E ritornando, infatti, al progetto delle fortificazioni umbertine di Pentimele, i principali interventi previsti sono di pulitura e sistemazione degli spazi esterni e della viabilità d’accesso; di “restauro architettonico” per il recupero delle finiture esterne delle murature; per il ripristino di porzioni murarie o solai che manifestano un reale stati di crisi materiale, con localizzate manifestazioni di cedimenti; per la sostituzione di intere strutture con inserimento di travi e voltine di mattoni pressati, montate secondo la tecnica originaria, quando la crisi delle strutture portanti è più accentuata.

Tutti i dettagli sono stati oggi forniti dall’architetto Neri, la quale ha parlato del “progetto di restauro conservativo nel pieno rispetto di un immobile di particolare valenza storica ed architettonica, un sito di interesse comunitario, alla cui riqualificazione si è arrivati a seguito di un’ingente ricerca storica, monumentale e iconografica. I due forti – prosegue l’architetto Neri – sono di fatto una batteria di costa la cui caratteristica è di difesa dello Stretto, invisibile dal mare ma visibile dalla collina; sono stati realizzati contemporaneamente, quindi sono praticamente gemelli. Nel primo intervento ci occuperemo di quello meglio conservato, tenendo sempre conto della compatibilità dei materiali nuovi con quelli originari”.  Lavori su lavori, dunque, che dovrebbero iniziare già dalla prossima settimana e terminare dopo 18 mesi dalla data di consegna.

Particolare attenzione è stata prestata nei confronti della valorizzazione del complesso sistema di raccolta e canalizzazione dell’acqua piovana, dei servizi igienici, che saranno posti in posizione separata rispetto alla batteria vera e propria, dell’illuminazione esterna, idonea così alle possibilità di accesso ed utilizzo della struttura in orari serali o notturni, con apparecchi di illuminazione a basso consumo ed alto rendimento energetico, dell’illuminazione all’interno del perimetro della struttura, anch’essa realizzata con apparecchi a basso consumo energetico, dell’illuminazione degli ambienti interni, basante su linee elettriche cablate che accedono ai differenti vani tramite l’intercapedine (particolare rilevanza all’illuminazione delle volte), e non per ultimo dell’impianto di videosorveglianza

“Le fortificazioni umbertine – chiosa il sindaco Falcomatà – ricostruiscono quello che è stato il modo di vivere del passato. Nei secoli, abbiamo visto come Reggio abbia vissuto il mare più come una minaccia che come una risorsa, per questo è importante ricostruire un po’ una borghesia del mare, e lo stiamo facendo anche con progetti di riqualificazione di 30 Km di costa. Il sito di Pentimele si potrà finalmente mettere in rete con quello di Ecolandia, fornendo nuovi autobus in sinergia con Atam. Arte, cultura, musica spettacoli, innovazione tecnologica: questi i nuovi spazi di espressione previsti nella nuova collina di Pentimele. Riscopriamoci noi stessi turisti del posto in cui viviamo”.


 

Le Fortificazioni Genovesi tra età Napoleonica e restaurazione

Da genovatoday.it del 23 ottobre 2015

Appuntamento venerdì 23 ottobre alle 17 nella sala Borlandi della Società Ligure di Storia Patria (Palazzo Ducale) dove "A Compagna" promuove un incontro dal titolo "Le fortificazioni genovesi nel passaggio tra età napoleonica e Restaurazione".

Sono passati duecento anni da quando la Repubblica ha perso l'indipendenza, e con essa la titolarità sullo straordinario patrimonio di fortificazioni e mura che fanno corona alla città. Oggi quel patrimonio, finora gestito dal Demanio statale, sta tornando in mano ai genovesi, a cominciare da Forte Begato.

Il relatore sarà Emiliano Beri, collaboratore della cattedra di Storia Moderna dell'Università di Genova e membro del comitato scientifico del progetto comunale di recupero e valorizzazione delle cinte murarie e delle fortificazioni.



 
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Le fortificazioni genovesi tra età napoleonica e Restaurazione

Vince il premio nazionale per la sua tesi sui castelli

Da gazzettadireggio.it del 22 ottobre 2015

CASINA. E’ stata premiata lo scorso fine settimana a Milano, la giovane architetta casinese Federica Rabotti, che con la collega parmense Carlotta Lachi, ugualmente premiata, ha ricevuto un riconoscimento per la sua tesi sul sistema difensivo matildico, tra torri di guardia e case fortificate, nell’Appennino reggiano. I punti nodali della strategia insediativa matildica erano costituiti da borghi, chiese e castelli che, pur alterati dal tempo e dall’incuria, conservano ancora l’impronta originale. Federica Rabotti e Carlotta Lachi si sono laureate nel marzo scorso al Dipartimento di ingegneria civile, dell’ambiente, del territorio e architettura dell’Università di Parma. La tesi le ha viste lavorare sotto la supervisione della docente Eva Coïsson e dell’architetto Walter Baricchi di Reggio.

Un lavoro, quello per la redazione della tesi, durato un anno e mezzo, che però per approfondimento ha suscitato grande apprezzamento, arrivando ad aggiudicarsi il 2° posto del 18° premio tesi di laurea sull’architettura fortificata, concorso bandito dall’Istituto italiano dei castelli onlus nell’ambito delle iniziative per sostenere lo studio storico, archeologico e artistico del patrimonio fortificato italiano. La ricerca ha analizzato le peculiarità distintive delle torri di avvistamento ubicate nella zona compresa tra l’Enza e il Secchia.

Un patrimonio minore, ma non per importanza, visto che è stato elemento fondamentale all’interno di una fitta rete connettiva con i manufatti matildici maggiori sul territorio. «Sono costruzioni – spiegano Federica e Carlotta – che per la maggior parte sono in uno stato di abbandono da secoli, di cui restano solo ruderi, oppure alterate a seconda delle esigenze dei fruitori del momento, ma che all’occhio attento mostrano caratteri ben riconoscibili della propria identità. Tali indizi sono stati analizzati, sia mediante l’osservazione diretta, sia attingendo a fonti e documenti storici, cartografie e manuali, per ottenere una ricostruzione delle fasi e dei metodi di edificazione, delle possibili destinazioni d’uso e dei materiali utilizzati, giungendo così ad un profilo completo di ognuna di queste costruzioni. Dopo aver fatto ciò, ci siamo concentrate su una proposta di restauro e riuso di due torri: Gova e Gavardo. Per entrambe sono stati pensati sia interventi puramente conservativi, sia un progetto di ricostruzione che si discosta radicalmente dai canoni medioevali»

 

Il Montello “restituito”, dall’ex polveriera nasce il bosco vissuto

Da tribunatreviso.it del 20 ottobre 2015

VOLPAGO DEL MONTELLO. Una “città di alberi” fatta di pieni e di vuoti, di vegetazione, radure, spazi, percorsi per l’uomo. Ma anche di bunker, ricoveri, ambienti adatti alla conservazione di armi e munizioni: spazio per una guerra attesa, e mai scoppiata, per la quale bisognava prepararsi. In quegli stessi luoghi, oggi assurti a simbolo, che nei decenni precedenti furono teatro di un conflitto vissuto corpo a corpo, tremendo, sanguinoso – la Prima guerra mondiale – che ne ha mutato l’identità. È il Montello: luogo di storia e di natura, di vita e anche di morte. L’ex polveriera di Volpago torna all’uso pubblico, attraverso la cessione dal Demanio al Comune, dopo 50 anni di “sottrazione” militare. Sottrazione intesa come esclusione degli abitanti all’uso, per uno spazio grande un chilometro per un chilometro. Un quadrato di Montello nel Montello, dimenticato forzatamente che ora torna alla fruizione possibile di tutti. Ma come? Se ne parlerà venerdì 23 ottobre alle 18 nell’auditorium comunale di Volpago, Comune nel quale ricade quel quadrato di bosco, in un incontro voluto dall’amministrazione, al quale sono invitati soprattutto i cittadini. La Fondazione Benetton Studi e Ricerche presenterà, nel corso di una seduta di consiglio comunale dedicata, riflessioni e un percorso di lavoro maturati durante un denso workshop internazionale di studio sul campo. Non soluzioni finite, dunque, ma piuttosto un’indicazione di metodo che possa preludere alla graduale riappropriazione del luogo. «La domanda è quale forma vogliamo mantenere o costruire - spiega l’architetto paesaggista di Fondazione, Simonetta Zanon, che ha coordinato il workshop insieme al professor Luigi Latini - non si trattava di elaborare un progetto finito, ma di avviare un processo di studio per arrivare a delle ipotesi di lavoro che poi toccherà al Comune gestire con i cittadini». Per due settimane lo scorso giugno 14 giovani studiosi – architetti, agronomi, urbanisti, biologi, geografi – provenienti da tutta Italia, guidati dai professori Thilo Folkerts, Anna Lambertini e Luigi Latini, hanno iniziato un viaggio esplorativo nello spazio del’ex polveriera. Dapprima un viaggio conoscitivo di studio, poi vera esplorazione del luogo, tra radure, bunker, edifici militari, poi ancora vegetazione: quella stessa che la Serenissima utilizzava per ricavare il legname utile alla costruzione delle sue imbarcazioni. Il Montello bosco della Serenissima, poi luogo di vita e di lavoro profondamente legato all’economia locale, più avanti “bosco alle porte di casa”, polmone verde oltre le mura di un territorio in fase di crescente urbanizzazione. E luogo insanguinato dalla guerra, muro difensivo fatto di natura, baluardo di salvaguardia di territorio e identità dall’invasore straniero. Infine spazio chiuso, cristallizzato nell’attesa di una guerra mai scoppiata. Ora che quello spazio torna agibile, dopo 50 anni, il filo della memoria va dipanato in vista di qualsivoglia progetto. «I percorsi precedenti alla fase militare sono ancora leggibili – spiega Zanon – anche se sono stati interrotti, sono quindi recuperabili in pieno. Nel percorso di studio che abbiamo compiuto, divisi in tre gruppi di lavoro, abbiamo cercato prima di tutto di mettere insieme il materiale esistente su quell’area e sul Montelo: si tratta di numerosi studi e di cartografie già esistenti. Oltre agli amministratori, nostri primi interlocutori, abbiamo poi incontrato gli abitanti, compresi coloro che risiedevano nell’area quando arrivò l’ordine di sgomberare perché bisognava chiudere e farne un grande deposito per le munizioni. Il confronto si è allargato ad alcune associazioni attive nel territorio, ad alcuni politici interessati». Il modello che ne emerge è quello del bosco vissuto, «luogo di relax dove poter coltivare il rapporto con la natura. Dopo 50 anni di dimenticanza - aggiunge l’architetto Zanon - i cittadini si sono mobilitati alla notizia che l’ex polveriera sarebbe tornata al Comune, dimostrando un profondo interesse». Una mobilitazione pubblica, soprattutto per il tramite di alcune associazioni locali, nel desiderio forte di una riappropriazione che necessità, però, di coordinate. Quali? «La riapertura dell’ex polveriera può avvenire per esempio attraverso il governo del bosco che va tenuto nell’alternanza di radure, spazi aperti, gruppi arborei - spiega Zanon - ma non è un fatto scontato perché si potrebbe optare anche per la crescita totalmente spontanea». In vista di un progetto per il riutilizzo, i tre gruppi di lavoro di Fondazione hanno individuato alcuni elementi fondanti dell’ex polveriera, «come per esempio una bella zona umida con dei castagni monumentali, punti diversi caratterizzati da vegetazione». Poi ci sono i percorsi precedenti alla fase miliare. E infine gli elementi introdotti dall’esercito: un’ex caserma, i bunker, le riservette, i muri di contenimento, le recinzioni, le torrette, i luoghi di controllo. Edifici di scarso valore e tuttavia segni, elementi che testimoniano di un passaggio storico. Abbatterli, conservarli, modificarli? Aprirli alla fruizione o chiuderli così come è conclusa anche la loro funzione? Qui gli esiti del lavoro dei gruppo di lavoro si fanno più concreti. «Una prima misura - si legge nei documenti - può essere costruire insieme, in vista di un’apertura verso la nuova collettività, un sentiero “rosso Montello” che colleghi il paese di Volpago alla polveriera». Il ritorno all’uso pubblico coincide necessariamente con l’apertura che è anche abbattimento di confini, muri, recinzioni. Un abbattimento graduale. «Un’altra misura possibile – si legge ancora nel documento che verrà condiviso con amministratori e cittadini - vuole sfruttare la situazione topografica della riservetta 49 come occasione per creare un’apertura. Partendo dalle vestigia di questa si apre il recinto delle mura di contenimento per continuare con una passerella leggera». Si accenna anche alla possibilità di rimuovere, dai manufatti militari, coperture e tamponamenti, lasciando vivere

gli scheletri, «affinché come sculture custodiscano la memoria del luogo».

Ecco che, quindi, si libera la possibilità di reinventare lo spazio con elementi nuovi. Tra memoria e natura, ripercorsi gli scalini della storia, c’è una pagina nuova da scrivere. Qui vi sono poste le basi.

 

 

Quel fortino nella laguna ora è di nuovo sul mercato

Da iltirreno.it del 19 ottobre 2015

PISA. Scampato alla truffa, l'Ottagono degli Alberoni è di nuovo sul mercato. La fortificazione difensiva cinquecentesca di fronte al Lido di Venezia, lungo il canale di Malamocco, è, infatti, offerta dalle agenzie immobiliari con i suoi 455 metri quadri di superficie abitabile e il prezzo si aggirerebbe intorno agli 8 milioni di euro. Reclamizzando, insieme a una prima casetta di 55 metri quadrati e al caseggiato più grande da 400 metri quadri, anche la terrazza panoramica di oltre 100 metri quadrati sul tetto dell'edificio con vista sulla laguna. In vendita nel pacchetto anche il parco di oltre duemila metri quadrati che circonda l'isola, comprensivo di pozzo di acqua dolce costruito dagli austriaci ancora funzionante. Inserito nel sistema di fortificazioni che Venezia realizzò contro la minaccia turca, questo ottagono aveva il compito, assieme all'ottagono Campana e all'ottagono di Poveglia di sbarrare la strada alle navi nemiche che fossero riuscite a penetrare in laguna attraverso il porto di Malamocco. Proprio Poveglia è stata di recente offerta dallo Stato al miglior offerente. Da una parte si era presentato un gruppo di cittadini che aveva dato vita a una colletta per mantenere l'isola in possesso dei veneziani e della città. Dall'altra c'era stata l'offerta presentata da Luigi Brugnaro, patron della società di lavoro interinale "Umana" e attuale candidato alle elezioni comunali per il centrodestra. Entrambe le offerte erano state valutate "non adeguate" dall'Erario. L'Ottagono Alberoni, invece, è stato rifortificato dopo la guerra di Candia, venne modificato nell'Ottocento durante il dominio asburgico. Usato dai militari sino alla fine della Seconda guerra mondiale, poi fu acquistato da privati, uno dei quali fu l'avvocato pisano Ranieri Gini.

 

Marcia e corsa per recuperare Forte San Felice

Da nuovavenezia.it del 18 ottobre 2015

SOTTOMARINA. Una passeggiata-corsa per tenere accesa l’attenzione sul Forte di San Felice. L’omonimo comitato, in concomitanza con le iniziative del Fai (Fondo ambiente italiano) per riscoprire il patrimonio culturale diffuso, propone oggi un’escursione da piazza Todaro al Forte aperta a tutti, ma particolarmente rivolta ai bambini e ragazzini delle scuole, per continuare nell’opera di sensibilizzazione per il recupero del Forte e la sua fruizione pubblica. L’appuntamento è alle 9.30 in piazza Todaro da cui si svilupperà il percorso attraverso i murazzi fino alla bocca di porto con tappe intermedie (asilo San Luigi e Mosella), per complessivi due km. Alla manifestazione collaborano molte associazioni tra cui il gruppo remiero della polisportiva Don Bosco che con barche e canoe convergerà lungo i canali verso il Forte in un abbraccio finale ideale tra terra e acqua.

Un gruppo di volontari di “Amico giardiniere” sarà invece occupato nella pulizia dei rifiuti attorno al Forte. All’arrivo, previsto per le 11, saranno consegnati gadget ai bambini e le coppe per i primi classificati della corsa.

 

SIRIA, AVVISTATO IL "BURATINO": UNA DELLE ARMI PIÙ DEVASTANTI MAI INVENTATE DALL'UOMO
Da difesaonline.it del 12 ottobre 2015

(di Denise Serangelo) 12/10/15 - Ci ostiniamo a non chiamarla "seconda guerra fredda" ma la realtà parla chiaro. Il fronte russo e quello americano sono nuovamente sulle due rive opposte del fiume, non comunicano, non si capiscono ma combattono. Se l'America in questo frangente ha deciso di chetare i cannoni, i russi invece vogliono far sentire i boati lontano chilometri. Dalla soffitta delle armi poco conosciute ma dannatamente letali il Cremlino rispolvera il TOS-1 Buratino. Il nome non incute un gran terrore ma proprio soffermarsi al nome, sarebbe il nostro errore più grande. Il Buratino è stato un progetto quasi sconosciuto fino a tempi relativamente recenti ed è considerato dagli estimatori di armamenti inusuali una vera chicca in mano ai russi. Il nome tecnico del Buratino è TOS-1 ed è classificato come un'arma termobarica pesante destinato all'annientamento sistematico di qualsiasi ostacolo gli si pari davanti.

È stato progettato per ingaggiare forze appiedate, fortificazioni e veicoli corazzati leggeri. Il sistema è paragonabile ai sistemi MLRS (Multiple Launch Rocket System), ma questo spara diverse tipologie di missile e ha una gittata minore (6 km). Il TOS-1 è stato sviluppato nei primi anni 1980 ed è stato utilizzato con successo da parte dell'esercito sovietico in Afghanistan e in seguito dalle forze russe in Cecenia. Oggi pare essere approdato anche in Siria. Il Buratino utilizza razzi da 220 mm ed è a tutti gli effetti considerato artiglieria pesante visto il suo calibro. Su questo tipo di supporto sono impiegabili due diversi tipi di testate: la prima di tipo esplosivo incendiario e la seconda a combustibile-aria. Queste ultime sono anche chiamate testate termobariche.

Questo tipo di munizione rilascia una grande nube di gas infiammabile e provoca enormi esplosioni, proprio per questa sua forza dirompente questa tecnologia è usata per "sbriciolare" letteralmente bunker fortificati ed interrati. Il sistema di controllo del fuoco è considerato all'avanguardia, tutte le procedure di orientamento e cattura del target sono realizzati all'interno del veicolo senza equipaggio esposto al fuoco. Il TOS ha un mirino ottico, un computer balistico e un telemetro laser con cui misura la distanza del bersaglio con un errore massimo di 10 m. I dati acquisiti vengono inseriti automaticamente nel computer balistico che calcola l'elevazione e la rotazione necessaria. L'equipaggio è composto da tre elementi: comandante, cannoniere e pilota. L'incubo russo dallo strano nome in codice è considerato da molti alla stregua di una bomba atomica. L'esplosione provocata crea una sfera di gas incandescenti ad altissima temperatura, accompagnata da una devastante sovra-pressione. Per ottenere questo effetto la bomba combina uno speciale esplosivo, in forma di gel o polvere e con additivi metallici, all'ossigeno atmosferico, che funge da ossidante.

Dopo di che la miscela viene fatta deflagrare da un apposito innesco. I russi sono stati gli antesignani nello sviluppo ed impiego su vasta scala di armi basate su questi principi ma anche gli americani hanno dato il loro contributo soprattutto in Vietnam con le Daisy cutter, «tagliamargherite», per creare rapidamente piazzole di atterraggio per gli elicotteri. In Siria queste armi distruttive potrebbero già essere in azione per debellare barricate costruite dai ribelli o bunker in cui si nascondono i seguaci dello Stato Islamico. Qualunque sia il vero obbiettivo di Putin è fuor di dubbio che il Buratino ha un forte impatto strategico e psicologico. Coloro che si trovano vicinissimi alla deflagrazione vengono annientati. Allo stesso modo chi è nei suoi paraggi subisce diverse ferite interne, quindi invisibili, tra cui la rottura dei timpani e degli organi uditivi, concussioni varie, la rottura dei polmoni e degli organi interni, e cecità causate dall'onda d'urto potentissima. Qualsiasi tipo di tessuto che interagisce con l’onda d’urto viene compresso, schiacciato, tranciato o disintegrato dall’eccessivo peso in base alle proprietà del materiale metallico usato per aumentare la potenza esplosiva. Gli organi interni che contengono aria (orecchie, polmoni e intestino) sono particolarmente vulnerabili ad esplodere perché i microframmenti di materiale metallico si insinuano negli organi dove c'è ossigeno e brucia. Il TOS-1 non è stato pensato per arginare l'avanzata nemica, ma per distruggere gli eserciti ancor prima che vadano in battaglia. Minare la stabilità emotiva del nemico è una tecnica validissima anche in un contesto come quello asimmetrico attuale. Se non dovesse funzionare solo l'effetto deterrente, Putin e il Cremlino sarebbero disposti a fare i conti con le implicazioni che l'uso di quest'arma comporta?

 

Il Comitato Mura denuncia «Altre opere contro il Parco»

Da mattino.it del 10 ottobre 2015

«In via Sarpi, a lato del baluardo Moro I, intorno a un terreno di proprietà privata tenuto fino a oggi a prato aperto, è improvvisamente comparsa una recinzione, costituita, al momento, da una rete su stanti metallici, retti da un basamento in calcestruzzo».

 

La denuncia è del Comitato Mura che ha inviato una segnalazione agli uffici competenti «che hanno poi verificato la conformità dei lavori, rispetto a eventuali prescrizioni e vincoli gravanti sull’area.

 

Ma non è la regolarità o meno dell’opera il punto su cui richiamare l’attenzione di cittadini e amministratori.

 

Questo caso, come, nei mesi scorsi, la proposta di un parcheggio nella fossa del baluardo Cornaro, le incertezze sulla giusta scelta di pedonalizzare il tratto di via Portello davanti alla porta o gli interventi sui sottoservizi attuati senza criterio (alla Saracinesca e a Codalunga), conferma come ancora manchi una linea d’azione chiara e definita a proposito di fortificazioni padovane».

 

 

Mostra “Itinerari turistici tra le Torri costiere di Puglia”

Da radiodiaconia.it del 9 ottobre 2015

Monopoli Castello Carlo V dal 9 al 24 ottobre e Giovinazzo “La vedetta” 29 ottobre -8 novembre 2015 La mostra, che sarà inaugurata venerdì 9 ottobre 2015 alle ore 17,00 al Castello Carlo V di Monopoli, resterà aperta al pubblico fino al 24 ottobre 2015.

L’evento è stato realizzato dal Segretariato regionale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per la Puglia in collaborazione con il Comune di Monopoli e l’Associazione “Vedetta sul Mediterraneo” ed è stato finanziato dalla Regione Puglia con fondi POIn. Programma Operativo Interregionale “Attrattori culturali, naturali e turismo” FESR 2007-2013 – Asse II Linea di intervento II 2.1 – Intervento a titolarità regionale “Patrimonio immateriale e valorizzazione turistica del territorio” – Attività 3. “Itinerari delle Torri costiere”.

L’iniziativa intende promuovere nuovi percorsi turistici legati alla conoscenza e valorizzazione delle Torri costiere pugliesi, attraverso un percorso di riscoperta del patrimonio storico, culturale e ambientale.
Le torri costiere, infatti, rappresentano una autorevole testimonianza del passato e un forte segno identitario del nostro litorale pugliese.

La mostra, che sarà ospitata in una fase successiva a “La vedetta” di Giovinazzo (dal 29 ottobre all’8 novembre 2015), vuole proporsi anche come strumento di sensibilizzazione al tema del paesaggio costiero per la popolazione residente.

L’esposizione prevede immagini fotografiche di grande impatto, apparati testuali ed apparati multimediali, utilizzando le tecnologie di racconto audiovisivo dell’architettura.

Interverranno all’inaugurazione:
Emilio Romani, Sindaco di Monopoli
Eugenia Vantaggiato Segretario Regionale del MiBACT per la Puglia

 

La Crepa nel Muro: Progetto Montauk

Da crepanelmuro.com del 9 ottobre 2015

Il Progetto Montauk rientra in una serie di progetti segreti del governo degli Stati Uniti, che si sono sviluppati a Camp Hero e l'Air Force a Montauk, Long Island, New York, al fine di sviluppare tecniche di guerra psicologica e la ricerca esoterica tra cui il viaggio nel tempo.

 

A causa della scarsità di prove verificabili a sostegno della sua esistenza, i critici sostengono che il progetto Montauk è una leggenda metropolitana e una teoria non verificata del complotto. La data del primo progetto Montauk è incerta, ma gli elementi storici sono circolati gia' dal 1980.
Secondo l'astrofisico e ricercatore UFO, Jacques Vallee, l'Esperimento Montauk sembra avere origine dal racconto di Preston Nichols, che sosteneva di aver recuperato i ricordi rimossi dopo essere stato sottoposto al progetto.
Non esiste una versione definitiva del racconto relativo al progetto Montauk, ma alcuni resoconti lo descrivono come un prolungamento o prosecuzione del Philadelphia Experiment. I lavori erano iniziati presso il Brookhaven National Laboratory BNL) a Long Island, New York, sotto il nome di "Progetto Phoenix", ma ben presto ci si rese conto che il "progetto" richiedeva un grande antenna radar avanzata, la cui installazione presso il Brookhaven National Laboratory avrebbe messo a repentaglio la sicurezza del progetto stesso.
Fortunatamente, la US Air Force Base vicino Montauk, New York, non lontano dalla BNL, disponeva di un completo impianto radar SAGE. Il grande e remoto sito di Montauk, non era ancora un'attrazione turistica ...

 

Il radar SAGE lavorava su una frequenza di 400 MHz - 425 MHz, nella gamma di 410 MHz - 420 MHz, in grado di influenzare la mente umana.

 

I teorici del Progetto Montauk, sopravvissuti al Philadelphia Experiment si erano riuniti nel 1952-1953 al fine di continuare il loro precedente lavoro nel manipolare gli "scudi elettromagnetici" che sono stati utilizzati per rendere la USS Eldridge invisibile, e indagare sulle potenziali applicazioni militari nel campo magnetico, come la manipolazione del dispositivo per la guerra psicologica. I ricercatori avrebbero creato un rapporto sulle sue potenziali applicazioni, che era stato presentato al Congresso degli Stati Uniti venendo respinto perché considerato troppo pericoloso. Il progetto era tornato al Dipartimento della Difesa con la promessa dei ricercatori di creare una nuova potentissima arma in grado di provocare sintomi di disturbi psicotici e la schizofrenia, semplicemente premendo un pulsante. Il Dipartimento della Difesa aveva approvato il progetto il cui finanziamento proveniva da un presunto fondo segreto degli Stati Uniti di 10 miliardi di dollari in oro recuperato su un treno nazista da soldati dell'esercito degli Stati Uniti in un tunnel in Francia, vicino al confine con la Svizzera. Il treno venne fatto saltare in aria e distrutto, al pari di tutti i soldati coinvolti che vennero uccisi.

 

(Foto: tunnel sotterraneo a Montauk Point) Quando i fondi furono esauriti, un finanziamento supplementare era stato concesso dalla ITT Corporation e Krupp AG in Germania. Attraverso il progetto Montauk si era creata una "finestra (portale) nel tempo" che ha permesso ai ricercatori di viaggiare ovunque nel tempo o nello spazio attraverso un semi-stabile "Tunnel temporale ". Attraverso questo tunnel temporale sono stati contattati degli alieni per uno scambio di informazioni durante il progetto Montauk. Stewart Swerdlow aveva sviluppato il "linguaggio dell' iperspazio", utilizzando archetipi e glifi, così come il colore e toni, in altre parole, una "lingua non-linguistica ", il linguaggio del Creatore, che è Dio stesso. Tuttavia, molti ricercatori hanno messo in dubbio la validità di Swerdlow e ciò che effettivamente ha fatto nel progetto Montauk. Enrico Chekov, uno spagnolo-russo dissidente, ha riferito nel 1988, dopo la defezione in America, che la sorveglianza via satellite intrapresa nel corso del 1970, aveva mostrato la formazione di una grande bolla di spazio-tempo che si concentrava sul sito, dando ulteriore sostegno alla Base di ricerca del tunnel temporale D1.
Dopo che Chekov aveva condiviso alcune foto con un giornalista del New York Times, nel suo appartamento a Manhattan, le foto furono rubate da dei Men in Black le quali erano le uniche prove in suo possesso. Fonte: misteroufo.blogspot.it

 

Nel 1992 uscì negli Stati Uniti il libro "Project Montauk", di Preston B. Nichols e Peter Moon, che suscitò un certo scalpore negli USA.
Gli autori sostengono che il progetto di Montauk sia la continuazione dell’esperimento Filadelfia. Esso comprendeva diversi sconcertanti sviluppi che rientrano sia nell’alta tecnologia che nel paranormale: il teletrasporto, il viaggio nel tempo, lo studio della memoria umana, il condizionamento a distanza, lo sviluppo di apparecchiature psicotroniche per potenziare ulteriormente le capacità di sensitivi e psicocineti, la materializzazione di oggetti da parte di sensitivi, la distruzione di oggetti e l’uccisione di persone a distanza.
Montauk è l’estremità orientale di Long Island e prende il nome da una tribù di nativi. Di certo nella zona vi è un enorme consumo di energia elettrica, per ammissione della Lilco (Long Island Lighting Company), l’azienda elettrica isolana. Esiste un generatore attivo situato presso un garage frequentato da tecnici per le regolazioni e la manutenzione. Questo garage è ufficialmente adibito ad alloggiare le attrezzature per la manutenzione del verde pubblico, ma è sproporzionatamente grande per tale funzione.
Il generatore si trova a Camp Hero, nel parco che appartiene allo Stato di New York e può erogare fino ad un massimo di 70 Megawatt, anche se di solito nel 1993-1995 ne produceva solo 20. Anche 20 Megawatt sono un’esagerazione per dei lavori di giardinaggio.
L’ipotesi di Preston B. Nichols è che in generatore venga adoperato per alimentare i consumi delle strutture sotterranee. Inoltre a Montauk, verso il 1994, è stata riattivata una centrale elettrica di emergenza, di alcuni anni prima, di grande potenza. Secondo la Lilco si tratta di 100 Megawatt che è una quantità sproporzionata per la popolazione dei paesini di Montauk, East Hampton, ecc., anche in caso di forte afflusso turistico.

 

Un altro fatto, sicuramente provato ed inoppugnabile, è l’ingiustizia perpetrata ai danni della popolazione indigena di Montauk.


Con un processo farsa, iniziato nel 1908, è stata fraudolentemente sottratta la terra ai nativi americani della tribù Montauk. Essi sono stati dichiarati estinti il 9/12/1910, poiché si erano incrociati con afroamericani ed avevano la pelle molto più scura dei "Pellirossa" puri. Non essendo abbastanza ricchi per permettersi buoni avvocati, hanno dovuto accettare la sconfitta. In questo modo fu possibile costruire la base Aeronautica di Montauk e probabilmente anche un vasto complesso sotterraneo, sulla terra che apparteneva alla tribù di Montauk e che per loro era sacra.
Esiste il fondato sospetto che questo potenziale tecnico scientifico e, all’occorrenza, bellico sia stato utilizzato anche contro gli alieni in un’operazione di abbattimento di un UFO.
Questa volta non si tratterebbe di un incidente ma di un atto di ostilità deliberata. A raccontare la vicenda è un personaggio molto controverso, Preston B. Nichols, il quale afferma di aver lavorato per il "Montauk Project" e di esserne uscito negli anni ’80, riuscendo a vincere il condizionamento psicologico cui era stato sottoposto.

 

Nella base di Montauk c’è anche un potente radar di grosso diametro non specificato dagli autori che lo videro per la prima volta nell’estate 1993.

 

Gli uccelli che si trovavano vicino al radar erano fermi ed anche quando Nichols e Moon lanciarono dei sassi rimasero immobilizzati. Inoltre la telecamera di Nichols non funzionò nei pressi del radar, nonostante che l’apparecchiatura fosse adeguatamente schermata per le emissioni di microonde. Un sedicente addetto alle pubbliche relazioni, della Ditta Cardion, disse a Moon che quello era un radar sperimentale mostrato a tecnici di un paese straniero, da usare per scoprire gli yachts usati per il traffico della droga.
Nichols, esperto in elettronica, rivelò che non occorreva un radar così grande per rilevare tali natanti; sarebbero bastati radar molto più economici, alla portata dei paesi del terzo mondo e che erano in commercio da anni. Ad un amico di Moon fu detto poi che il radar serviva per rilevare le persone che avevano mangiato cibi contenenti bario. Gli alimenti di alcuni paesi arabi, si presume Iraq, Libano, Libia oltre a Sudan e Iran sarebbero stati contaminati con bario in modo che, se dei terroristi avessero cercato di avvicinarsi alle coste degli USA sarebbero stati scoperti...
A parte il fatto che uno o più uomini, anche se allenati, non possono attraversare un tratto dell’Atlantico a nuoto o su un pedalò, Nichols precisò che per rilevare una persona che avesse l’intestino contaminato da bario bastava un radar molto più piccolo. Gli scrittori notarono anche la presenza di alcune strutture sotterranee al di sotto del radar e nelle vicinanze. Tra di esse c’erano i chiari segni di un ambiente circolare. Un fisico nucleare amico di Nichols espresse il parere che fosse un acceleratore di particelle. Quindi si potrebbe trattare di un radar che emette raggi composti da particelle subatomiche (molto spesso neutroni). Ciò significa che le emissioni di questo radar contengono molta più energia cinetica rispetto ai radar ordinari.

 

Gli impieghi più probabili di questo radar sono:
- L’abbattimento di oggetti volanti non identificati come amici, inclusi anche gli UFO e gli IAC.
- L’emissione di onde di potenza insufficiente a danneggiare le strutture metalliche di un aereo o di una nave o il campo di forza di un UFO. Queste trasmissioni sarebbero dirette verso l’interno degli Stati Uniti per far arrivare messaggi direttamente al cervello delle persone ed effettuare un condizionamento della loro volontà.
Secondo Nichols ed il suo amico, presso i Laboratori Nazionali di Brookhaven a Long Island si trova l’acceleratore di particelle più grosso, che accelera i neutroni fino al 50% della velocità della luce; poi un condotto dirige le particelle verso un secondo anello più piccolo che si trova appena sotto il livello del terreno nell’ex base USAF di Montauk.
Questo acceleratore è del diametro di 625 piedi (circa 190 metri) e in esso i neutroni vengono portati a velocità prossime a quelle della luce. Poi vengono introdotti in un Klystron (o amplificatore di particelle) che dà forma a dei "pacchetti" quantistici di particelle. Le particelle in tutto questo percorso sono sempre estremamente ricche di energia. Infine i "pacchetti" raggiungono uno specchio elettronico dotato di magneti di localizzazione che li trasmette contro l’obiettivo. Queste particelle vengono convogliate in un raggio modulato sulla frequenza portante di 435 Mhz. La frequenza portante può essere paragonata, per intendersi, ad una specie di treno con vagoni che guidano le particelle verso l’obiettivo. In parole povere, se tutto ciò risulta vero, questi apparati danno l’equivalente elettromagnetico di una mazzata contro il "target" nemico. Un tale raggio potrebbe penetrare all’interno del campo di forze che circonda un UFO e che fa parte del suo sistema propulsivo, molto più efficacemente di un laser.
Esiste il fondato sospetto che questo potenziale bellico sia stato utilizzato anche contro gli alieni, in una o più operazioni di abbattimento di uno o più UFO. In questi casi non si tratterebbe di incidenti, ma di atti di ostilità deliberata da parte terrestre. A raccontare la vicenda è sempre Preston B. Nichols il quale afferma di aver lavorato per il "Montauk Project" e di esserne uscito nel 1990 (licenziato), riuscendo a vincere il condizionamento psicologico a cui era stato sottoposto ed a ricordare le incredibili vicende e le scoperte da lui compiute, nel ruolo di Assistente al Direttore del Progetto. Nichols avrebbe usato tecniche simili a quelle adoperate dall’USAC per recuperare la memoria e annullare i traumi parassitari e regressivi di coloro che sono stati sottoposti a rapimento da parte degli alieni.
Nichols, che era stato incaricato di costruire uno speciale trasmettitore UHF sulla gamma di 435 Mhz circa, di forte potenza, dopo che altri avevano fallito, capì che il problema era l’uso inadatto di transistors. Egli prese un vecchio trasmettitore dell’USAF a valvole impolverato e lo rimise in funzione. Racconta di aver avuto ordine di caricare l’apparecchio sulla sua Dodge Caravan e di averlo portarlo a Fort Meade, nel Maryland, presso il Quartier Generale della NSA. Là fu condotto da due uomini in un hangar dove c’era un piccolo disco volante telecomandato sospeso per aria. Fu dato l’ordine di accendere il trasmettitore ed il piccolo velivolo cominciò a rullare, vibrare emettendo strani rumori. Fu detto di spegnere il trasmettitore prima che il disco cadesse giù. Non appena Nichols interruppe l’emissione, il disco non diede più alcun problema e rimase fermo. Il 28/09/1989 fu ordinato a Nichols di portare il trasmettitore nel parco di Smith Point, dove fu collegato ad un oscillatore e ad un automezzo con un'antenna radar sopra.
Dopo alcune regolazioni, fu detto a tutti di tenersi ad una certa distanza dagli apparati. Il trasmettitore fu acceso ed i presenti videro un bagliore azzurrognolo provenire dall’antenna radar e dirigersi verso un punto nel cielo. In quel punto c’era un UFO triangolare di circa 90 metri di lato. L’UFO fu investito dal bagliore azzurrognolo e cominciò ad ondeggiare, poi cadde giù nell’acqua e sbatté contro il fondale.
Gli esponenti del "Long Island Ufo Network" affermarono che il 28/09/1989, giorno del disastro, una astronave che misurava dai 170 ai 300 metri di diametro era sospesa in alto sulla stessa zona ed emetteva potenti raggi di luce. Quattro elicotteri militari e due della polizia della Contea di Suffolk girarono intorno alla presunta astronave madre, poi rivolsero la loro attenzione al relitto. Un’intera famiglia di 3 persone, tutte adulte si trovò nella zona e scattò 48 fotografie. Le operazioni di recupero iniziate alle 20,45 terminarono alle ore 23,30 e per tutto il tempo il gigantesco UFO rimase fermo sulla Baia di Moriches. Noi tutti ci domandiamo come mai Nichols non sia stato eliminato.

 

Nichols sostenne che vi sono alcune frequenze radio che possono provocare amnesie.


Oltre a ciò, chi comanda a Montauk conosce i comandi ipnotici o subliminali del dimenticare. Fin dal 1974 aveva notato che i suoi colleghi tendevano a dimenticare quasi tutto del loro lavoro passato, che lui invece ricordava. Ciò può essere dovuto sia a fattori genetici della memoria di Nichols, che all’allenamento e a particolari discipline mentali.
Quando costruì un’antenna Delta-Time a forma di 2 piramidi attaccate, sembra che la sua memoria sia istantaneamente migliorata di molto. Il fatto eccezionale è che l’antenna Delta-Time era spenta e Nichols non aveva ancora finito di saldare tutti i collegamenti. Ciò significherebbe che l’antenna di tale forma cattura la free energy o energy di punto zero del vuoto, rendendola utilizzabile dai neuroni.

 

L’antenna Delta-Time è così chiamata perché, secondo Nichols, è una componente della macchina del tempo.

 

Probabilmente i superiori di Nichols, quando lo licenziarono nel 1990, erano convinti che avesse già dimenticato tutto. O forse anche i suoi superiori, visto il clima di paranoia galoppante, erano sottoposti a questa forma di lavaggio del cervello per cui poco tempo dopo si dimenticarono anche di averlo conosciuto. C’è un antico detto che i burattinai terrestri del cover-up non hanno mai preso sul serio: "Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi". Negli anni tra il 1990 ed il 1995, Nichols divenne membro del Liufon e consulente per le questioni tecnico-scientifiche, oltre che amico personale di John Ford.
In seguito, il 23/6/1996 i mass-media diedero la notizia che John J.Ford, di 47 anni, presidente del Liufon era stato arrestato. Anche Joseph Mazzucchelli, 42 anni e Edward Zabo, elettricista della Nortrop Gunman Corp. furono catturati come suoi complici e poco dopo rilasciati.


L’accusa era di cospirazione per avvelenare, mediante presunto materiale radioattivo, alcuni esponenti politici locali e incendiare la sede del Partito Repubblicano.


Il piano quindi sarebbe proseguito con una specie di grottesco mini golpe locale per prendere il potere nella contea di Suffolk. Zabo avrebbe venduto a Ford quantità mortali di un radioisotopo rubato dalla installazione Northrop. Il procuratore James M. Catterson, per dimostrare che i tre componenti del Liufon erano completamente ed irrimediabilmente psicopatici, affermò che Ford aveva scritto e spedito ai soci un bollettino in cui si affermava che nel 1995 le foreste di Pine Barrens erano state incendiate a causa della caduta di un enorme Ufo. Nella circolare si affermava anche che agenti della polizia della contea e del FBI avevano appiccato altri incendi per distrarre l’attenzione della gente ed attuare il cover-up. Nel bollettino si affermava anche che Mazzucchelli era stato avvertito di un complotto di agenti governativi per ucciderlo con il benestare della polizia locale. Anche la Northrop ed il Ministero della Difesa avevano aperto due inchieste. Tutti e tre gli indiziati si sono proclamati innocenti. L’unica prova a carico presentata dal procuratore era una raccolta di intercettazioni telefoniche molto confuse, in cui sarebbe stato delineato il complotto. Nel novembre 1997 è stata emessa la sentenza: internamento in manicomio a tempo indeterminato non inferiore ad un anno per John Ford e pene minori per gli altri due.
 

Un argomento che gli scettici accampano per demolire tutte queste indagini è che gli apparati militari del mondo non perdono tempo per balordaggini. In realtà i ministeri della difesa di tutto il mondo si occupano dei fenomeni extraterrestri fino alla paranoia.

 

Sulla rivista "Lobster" n° 32 pag. 30-32, vengono esposte da Armen Victorian, di origine armena, alcune vicende da lui vissute in prima persona. Egli è un polemico ufologo, politologo e teorico delle cospirazioni britanniche, che litiga spesso con gli altri ufologi e lavora in modo indipendente. Victorian riporta varie informazioni che afferma di aver ricevuto dal NORAD (North American Air Defense, con sede in un bunker a Colorado Springs, proprio dove Tesla fece esperimenti). Dopo il 17/12/1969, con la chiusura del "Blue Book", grazie alla Commissione "Condon", gli UFO sono stati rinominati e riclassificati come: - UCT "Uncorrelated Target" o UTR "Uncorrelated Target Report" ("Obiettivo Non Correlato" ad un’origine conosciuta) se si trova all’interno dell’atmosfera terrestre. - UCE "Uncorrelated Event" o UER "Uncorrelated Event Report" ("Evento Non Correlato" ad un'origine conosciuta) se si trova nello spazio esterno. Il termine "Target" ovviamente non fa pensare ad una campagna pubblicitaria, ma bensì ad una potenziale pericolosità e quindi ad un possibile tentativo di distruzione dell’intruso da parte americana. Ciò sembrerebbe smentire le affermazioni di Condon secondo cui gli UFO non costituivano e non costituiranno mai motivo di interesse per la difesa (lettere del "Norad" allo scrittore del 13/11/1995 e 19/12/1995 e dell’U.S. Space Command del 28/4/1993 e 7/4/1994). Inoltre Armen Victorian si recò a Washington nel 1996 e l’ONI (Office of Naval Intelligence) lo indirizzò presso un piccolo edificio non lontano dal Pentagono, la Pentagon House, anch’essa appartenente al Dipartimento della Difesa USA. I funzionari che svolsero il colloquio con Victorian dissero che ufficialmente non si occupavano di quelle cose, ma che ufficiosamente erano immensamente interessati a qualunque rapporto o informazione grezza che lui fosse stato in grado di fornire, nonostante fosse un civile e privo di una rete informativa stabile ed affidabile. 

 

Appare ancora una volta evidente la condotta menzognera di Condon e risulta molto ridicolo il cover-up, se gli apparati della difesa nordamericana conversano esplicitamente su corrispondenza non classificata, e per di più con un giornalista, riguardo dell’argomento Ufo e visite extraterrestri.


Note: Articolo scritto in collaborazione con Matteo Tenan, autore del testo "UFOS E GUERRE STELLARI", presentato al Convegno dell'USAC di S. Maria Maddalena (RO) del 1997.

 

FONTI BIBLIOGRAFICHE

 

- Salvador Freixedo: "Storia del fenomeno Ufo" (Ignoto n° 5) - Hobby & Work 1993
- Col. Wendelle C. Stevens & William S. Steinman: "Ufo crash at Aztec" - Stevens 1987
- Preston B. Nichols & Peter Moon: "Project Montauk" - Sky Books 1992
- Preston B. Nichols & Peter Moon: "Montauk revisited" - Sky Books 1994
- Preston B. Nichols & Peter Moon: "Pyramids of Montauk" - Sky Books 1995
- Preston B. Nichols & Peter Moon: "Encounters in the Pleiades" - Sky Books 1996
- "The New York Times" 23/06/1996
- "Lobster" n° 32 - 1997

 

Fonte: www.sos2012.it

 

 

Un piano e una fondazione per le mura

Da iltirreno.it del 8 ottobre 2015

MONTECARLO. Via libera alla variazione di bilancio per il reperimento dei fondi necessari per la messa a punto di un masterplan, mai tentato prima, in cui si individuano gli interventi specifici sulle mura; e dove si affrontano tematiche quali l’accessibilità al territorio e al centro storico, i sistemi di mobilità, di fruizione dei percorsi, di percezione da e verso le Mura e, più nel dettaglio, del sistema di illuminazione, regimazione delle acque, del sistema del verde.

Tutti quegli elementi che concorrono a sottolineare, quindi, il valore storico architettonico e paesaggistico del bene e l’impegno che la comunità montecarlese profonde per garantirne l’esistenza a beneficio dell’intera collettività nazionale e non solo.

Si tratta di uno strumento che disciplinerà la cinta muraria, risalente all'epoca della fondazione del borgo da parte di Carlo IV di Boemia, dopo gli interventi di manutenzione e consolidamento, grazie alla stretta collaborazione tra Comune e Soprintendenza di Lucca, che hanno ottenuto dal ministero dei beni culturali un importante finanziamento (70.000 euro), per un iniziale intervento di presidio delle parti immediatamente adiacenti al dissesto occorso nella primavera del 2013 con l'obiettivo di mettere in sicurezza l'intera area e la porzione sul lato sud-est.

La parte conservata meglio e più visibile è quella che va dalla Porta Nuova alla torre Belvedere, quindi alla Porta Fiorentina. Adesso, una volta completati gli interventi di consolidamento nella parte crollata, si potrà procedere alla seconda fase.

E una novità che sta prendendo corpo in queste ore è quella di creare una “Fondazione per le Mura” di Montecarlo che comprenda, oltre al Comune, anche enti e proprietari dei terreni ed immobili che confinano con la cinta muraria. (ni.nu.)

 

 

Demanio: accordo con il Comune di Genova per valorizzare Forte Begato

Da monitorimmobiliare.it del 8 ottobre 2015

E’ stato firmato oggi a Genova, nel Salone di Rappresentanza di Palazzo Tursi, l’accordo relativo alla prima fase del programma di valorizzazione del sistema difensivo seicentesco e delle fortificazioni esterne. Sottoscritto anche il primo atto di trasferimento, relativo a Forte Begato. Firmatari Marco Doria, sindaco della città, Ernesto Alemanno, direttore della Direzione Regionale Liguria - Agenzia del Demanio ed Elisabetta Piccioni, segretario generale MiBACT Liguria.
L’intesa consente il trasferimento dall’ Demanio al Comune di un primo gruppo di beni compresi nel Sistema Centrale dei forti: Forti Belvedere, Crocetta, Tenaglie, Begato, Sperone, Puin e dell’Ex Torre Granara. 
    
“La sottoscrizione di questo accordo per il trasferimento dei forti genovesi dal Demanio all’Amministrazione civica – ha detto il sindaco Doria – corrisponde e due scelte di fondo del Comune: da una parte la riconquista di spazi pubblici per i genovesi (in cui rientrano anche i percorsi per la ex caserma Gavoglio e l’ex Op di Quarto) e, dall’altra la valorizzazione del notevolissimo patrimonio storico della città. I forti costituiscono infatti  - insieme al centro storico, ai musei e ai beni architettonici di Genova – uno degli elementi su cui puntare per consolidare il rilancio della nostra città come meta del turismo culturale e verde”. 
  
Per Ernesto Alemanno, direttore regionale Liguria dell’Agenzia del Demanio ““La valorizzazione e il recupero del Sistema dei Forti è frutto di una sinergia tra i diversi livelli di governo che consente di restituire al territorio un patrimonio dal grande pregio storico-artistico”. Ha poi sottolineato Elisabetta Piccioni, segretario generale MiBACT Liguria: “Dal punto di vista strategico è previsto il passaggio al Comune dell’intero sistema fortificato di Genova mentre da subito sarà il sistema centrale dei forti a entrare nel patrimonio comunale. Il fine è quello di promuovere la valorizzazione dei grandi manufatti difensivi, per incrementarne la fruizione da parte di cittadini e visitatori.” Il sistema di mura e fortificazioni della città di Genova fu eretto tra il 1500 e il 1800 e si estende, complessivamente, per quasi venti chilometri a protezione dell’abitato. Oggi rappresenta un giacimento di tesori architettonici e paesaggistici da utilizzare in chiave turistica con percorsi guidati, aree di svago, 
organizzazione di eventi, nel segno della sostenibilità ambientale e di uno sviluppo culturale, economico e sociale. La sua valorizzazione si inserisce in un piano di lungo periodo che ha visto le sue prime fasi nel recupero del Porto Antico e, in seconda battuta, del sistema dei palazzi nobiliari dei Rolli e che, dopo questo primo stralcio, proseguirà con il completamento del sistema centrale dei forti, con il sistema orientale dei forti sui crinali della Valbisagno e con la Cinta Muraria seicentesca di collegamento


Approvato il progetto "Le due fortezze", critiche dall'opposizione

Da cittadellaspezia.com del 8 ottobre 2015

Sarzana - Nei giorni scorsi la giunta Cavarra ha approvato il progetto esecutivo relativo alla realizzazione dell'iniziativa “Le due fortezze: il centro museale multimediale del sistema fortificato della Lunigiana" che sorgerà presso la Fortezza Firmafede. Presentato circa un mese fa prevede l'impegno di un importo complessivo di 590mila euro, 319mila dei quali finanzianti con un contributo della Regione ed i restanti 271 dalla Provincia della Spezia. Proprio su quest'ultima cifra si è dibattuto nel consiglio comunale di martedì, prima della discussione fiume sul piano di Marinella. In particolare il consigliere del Movimento 5 Stelle Chiappini ha sottolineato: “Diventando esecutori del progetto al posto della Provincia si rischia di doverli coprire con finanziamenti nostri visto che l'ente è ormai in default e non farà nemmeno il bilancio di previsione. Questa operazione è viziata in partenza dal rischio di pesare ulteriormente su un bilancio già in difficoltà e sui cittadini con impegni di debiti per i prossimi anni a venire. Si tratta di un progetto del 2007 nato vecchio e superato – ha concluso – che si porta avanti senza nemmeno la certezza di avere quei soldi”. 
Duro anche l'attacco di Zanetti (SEL) il quale ha evidenziato: “Dubito che quei soldi possano arrivare ma è giusto che l'Amministrazione si tuteli. Ribadisco però per la terza volta che il museo multimediale è una un'inutile “boiata pazzesca” la Fortezza deve essere aperta a tutti e gratuita. Secondo me sarà un museo per pochissime persone e fra qualche anno quelle attrezzature faranno una brutta fine come altre all'interno della Cittadella. Inoltre andrà a penalizzare spazi usati ben più proficuamente come ad esempio con l'Acoustic Guitar Meeting o Acmè. Si impegnano un sacco di soldi quando non riusciamo a finire la piscina comunale che sarebbe utile a tutta la Val di Magra. L'iniziativa non è stata scelta da questa giunta – ha concluso Zanetti – ma per come è cambiato il mondo non interessa più a nessuno, come i dinosauri nel castello di Lerici”. 
Rampi (Forza Italia) ha invece affermato: “La maggior parte dei consiglieri se potesse direbbe solo cose negative su questo progetto museale ampiamente superato e di cui stiamo diventando capofila vista l'assenza della Provincia. Le nostre fortezze sono bellissime – ha proseguito – rappresentano un periodo storico che le rende ancora più preziose ed un progetto articolato su entrambe potrebbe essere interessante magari con una biblioteca o con dei reperti, non con un intervento multimediale che serve solo per format e tv satellitari. Cerchiamo – ha concluso – di renderle ancora più utili visto che il percorso di valorizzazione e fruibilità è già iniziato”. 

Critiche respinte ai mittenti dal sindaco il quale dopo aver rassicurato l'opposizione sulla presenza dei fondi provenienti dalla Provincia ha ricordato: “Le fortezze sono già aperte da più di un anno e hanno già superato i ventimila ingressi. Fin da subito abbiamo cercato di valorizzare i nostri monumenti e credo che i numeri ci stiano dando ragione. Il progetto “Le due fortezze” per noi è molto valido e può attirare moltissime altre persone inoltre – ha concluso – questi soldi potevano andare solo su questa opera e non su altre ed abbiamo fatto il possibile per non perderli”.

 

Un rifugio antiaereo “dimenticato”

Da varesenews.it del 3 ottobre 2015

Se i varesini hanno iniziato a conoscere ed apprezzare, come dimostrano i numeri delle visite, il rifugio antiaereo situato nel centro storico, sotto il parco dei Giardini Estensi, un altro bunker potrebbe essere riaperto. Si tratta di un rifugio antiaereo che si trova sotto Villa Toeplitz, nelle vicinanze di un altro tunnel, anch’esso inesplorato da almeno 15 anni. Ma mentre quest’ultimo è noto, l’esistenza del bunker nelle vicinanze della villa sarebbe rimasta ignota. Fino alla scoperta dell’esploratore Bolognini, della “Geographical Research Association. Il quale, in collaborazione con l’associazione “La Varese Nascosta”, guidata da Andrea Badoglio, ha presentato al Comune di Varese un progetto di esplorazione del tunnel.

La collaborazione tra le due associazioni, che sta venendo portata avanti anche su altri fronti, rappresenta un’importante novità per la Città Giardino: la passione per la scoperta e la riscoperta, a seconda dei casi, dei “segreti” di un territorio ricco dal punto di vista storico, ma troppo spesso ignorato, lanciata da “La Varese Nascosta” e subito accolta da altre realtà e soggetti, come la “Geographical Research Association”, crea i presupposti per quello che possiamo definire una vero e proprio “Rinascimento” varesino.

Un impegno che ha trovato subito l’appoggio del Comune, come dimostra infatti l’interessamento dell’assessore a Lavori pubblici e Verde pubblico Riccardo Santinon, il quale ha annunciato la sua presenza sul posto durante la fase esplorativa.

«Per villa Toeplitz, avvieremo una prima fase dove sul campo verificheremo l’accessibilità ai bunker – spiega Michael Bolognini – in base alla valutazioni che verranno decideremo come procedere nella seconda fase, quella esplorativa. Andrà valutata l’accessibilità, il rischio (presenza di aria inquinata, crolli, struttura instabile e metodo esplorativo). Dopo questa seconda fase, se sarà possibile, accederemo alle strutture documentando. Geographical Research Association coordinerà il progetto, e determinerà anche il team, tra i vari componenti selezionati in GRA».

«Varese è una terra ricca di testimonianze storiche, che, insieme alle bellezze paesaggistiche, la rendono un luogo affascinante e di richiamo. Le iniziative di cittadini e professionisti, che hanno lo scopo di valorizzare il proprio territorio, sono non soltanto una risorsa che le istituzioni devono sostenere, ma il segnale di un profondo attaccamento alla propria terra. Di amore per la propria città e provincia» dichiara l’assessore Santinon.

«Il progetto della Varese Nascosta, nata come gruppo e diventata in breve tempo un’associazione, sta raccogliendo tantissimi aderenti. La curiosità di conoscere i segreti e i lati nascosti del proprio territorio è molto forte dei varesini. Ad oggi nel gruppo abbiamo superato i 3.500 membri e stiamo crescendo sempre di più. Ringrazio tutti coloro che stanno dando una mano attivamente per portare alla luce quella Varese sotterranea che, scoperta e studiata, può raccontarci molto sulle nostre origini e sulla nostra città» è il commento del presidente Badoglio.

 

Palmanova città verde L’Expo premia i bastioni

Da messaggeroveneto del 3 ottobre 2015

PALMANOVA. Il premio all’Expo ieri lo ha ritirato lei, la città di Palmanova, ma i veri protagonisti, coloro che quel premio lo hanno reso possibile, sono le migliaia di volontari grazie ai quali la stella a nove punta ha cominciato nuovamente a risplendere. Ieri al Comune è stato infatti consegnato il riconoscimento per la migliore iniziativa di volontariato del premio “La città per il verde” 2015, nella categoria riservata ai comuni tra i 5 e i 15 mila abitanti. Il premio è un’idea della casa editrice “Il verde editoriale” di Milano ed è assegnato ai Comuni che si sono distinti per realizzazioni o metodi di gestione volti all’incremento e alla valorizzazione del verde pubblico. Il titolo nazionale, assegnato all’unanimità in una cerimonia che si è svolta all’Expo di Milano, è un riconoscimento che va alla città, ma anche alla sua gente e, soprattutto, ai volontari per l’impegno profuso in passato (in due distinte operazioni coordinate dalla Protezione civile nel 2011 e nel 2014) nell’operazione di pulizia straordinaria dei bastioni, ma anche nel presente attraverso le associazioni e l’impegno dei singoli.

«È stato grazie all’operazione di pulizia dei bastioni avvenuta nel 2011, che ha visto impegnati oltre 4 mila volontari, che è iniziato il vero rilancio di Palmanova – ha commentato il sindaco Francesco Martines, ricevendo il premio –. Dedico questo importante e prestigioso riconoscimento, il primo di questo tipo tributato alla città stellata, ai volontari della Protezione civile, agli Amici dei bastioni, agli alpini della sezione di Palmanova e a tutti coloro che hanno collaborato alle operazioni di salvaguardia della fortezza. Il loro impegno ha riportato alla luce gran parte delle fortificazioni secentesche nascoste dalla fitta vegetazione».

Ieri a Milano con Martines c’erano anche la vicesindaco Adriana Danielis e l’assessore all’ambiente Luca Piani che da vicino seguono le iniziative di valorizzazione delle fortificazioni. «Ricevere questo riconoscimento – ha commentato Piani – ha suscitato in noi una grande emozione che vogliamo condividere con tutta la cittadinanza. Ritengo infatti sia fondamentale il lavoro fatto e quello svolto ordinariamente da tutte le associazioni di volontariato che operano nel nostro territorio e che contribuiscono in maniera sostanziale ad accrescere la bellezza di questa città». di Monica Del Mondo

 

Inaugurato a Barga il museo multimediale delle rocche e fortificazioni

Da luccaindiretta.it del 3 ottobre 2015

Inaugurato a Barga il museo multimediale delle rocche e fortificazioni della Valle del Serchio. Presenti, oltre al presidente dell'Unione dei Comuni, Andrea Bonfanti e al sindaco di Barga, Marco Bonini, anche la consigliera regionale Ilaria Giovannetti, che così ha commentato: "Bellissimo progetto - dice la consigliera - sia per l'aspetto storico-culturale sia per quello turistico che ai visitatori percorsi diversi a seconda dei propri interessi, invogliando i cittadini della Provincia a conoscere meglio il proprio territorio ed i turisti a visitare i luoghi rappresentati e descritti. Un museo che mira a far amare la Valle del Serchio e le sue bellezze".

 

 

Un progetto per la cinta est da presentare al Demanio

Da mattinopadova.it del 29 settembre 2015

MONTAGNANA. L’obiettivo iniziale – far sì che il Demanio ceda al Comune la proprietà delle mura medievali – è utopia. Per questo la strada da percorrere è oggi un’altra: acquisire piccole porzioni di mura, rimetterle in sesto, farle fruttare e convincere il Governo a proseguire su questa strada. Le mura, infatti, cadono sa pezzi e da anni ormai è chiaro che ai piani alti il recupero dell’antica testimonianza architettonica non è una priorità: la proprietà demaniale limita gli interventi di recupero del Comune e da Roma non si vedono soldi da oltre dieci anni. «L’unico modo per risolvere la situazione è ottenere dal Demanio la titolarità delle mura» spiega il sindaco Loredana Borghesan «La nostra richiesta è sempre stata snobbata, motivo per cui abbiamo deciso di procedere diversamente: vogliamo chiedere la cessione di una porzione di mura, nella speranza che la richiesta più piccola venga considerata». Nello specifico, il Comune vuole acquisire Rocca degli Alberi e la cinta muraria est: «La richiesta da presentare al Demanio dovrà essere corredata da un progetto di recupero di questa parte di mura, per la quale abbiamo già pensato a una possibile destinazione». L’idea è quella di creare nella Rocca, fino a cinque anni fa sede dell’ostello cittadino, una sorta di museo virtuale della città murate venete. Tra le idee che girano da tempo c’è anche quella di avviare una sartoria medievale, o comunque un’attività artigianale dedicata al Medioevo. «Vogliamo far capire che le mura necessitano sì di risorse e soldi per la manutenzione, ma possono anche diventare redditizie», sottolinea il sindaco. Il compito di elaborare un progetto dettagliato è stato affidato allo studio ArcheoEd di Padova (spesa di 8.196 euro): lo studio verrà quindi sottoposto al Demanio nella speranza che accetti la proposta di valorizzazione.

 

 

Tra le venti fortezze più belle d'Italia il Castello Svevo di Barletta

Da barlettaviva.it del 25 settembre 2015

Skyscanner, inconfondibile sito in cui sono comparate la maggior parte delle offerte di voli sul mercato, offre anche un insieme puntuale di interessanti notizie per i viaggiatori, dalle spiagge più belle del mondo alle città migliori d'Italia. Tra le ultime classifiche stilate e pubblicate sulla famosa piattaforma, ne è stata pubblicata una riguardante i venti castelli più belli d'Italia, tra i quali compare proprio il Castello Svevo di Barletta.

Tra le numerose immagini ritraenti atmosfere da favola, viuzze di pittoreschi borghi medievali e costruzioni arroccate su maestose montagne, figura inconfondibile l'imponente castello nostrano di cui è scritto "Sulla base di una fortificazione normanna, gli Svevi consolidarono e diedero la forma attuale a questo bellissimo castello che evidenzia e conserva il segno delle stratificazioni di potere durante i secoli: da fortezza difensiva a museo e biblioteca comunale, oggi il castello, oltre ad essere molto visitato, è un centro nevralgico di Barletta, utilizzatissimo nelle attività cittadine. Resterete colpiti, garantito".

Mentre il castello Scaligero di Malcesine colpisce per la sua posizione privilegiata sul Lago di Garda, l'Aragonese di Ischia presenta l'inconfondibile fusione di architettura e natura, passando da Rocca Calascio a Forte Diamante, tra il castello Pandone di Venafro ed il castello di Marostica si colloca l'elogio dell'imponente costruzione caratteristica della nostra città, importante sede di incontri culturali e talvolta anche di "banchetti molto criticati", la culla in cui riposa il busto di Federico II di Svevia ricorda ai cittadini la grandiosità del tempo che fu, riportando profumi di intrighi e storia a chi si ritrovi a passeggiarvi nei pressi o ad esplorarne i freschi sotterranei.

 

 

 

 

 

Torri costiere, progetto “promosso” a Brindisi

Da quotidianodipuglia.it del 21 settembre 2015

Il primo step è superato: c'è anche il progetto del Comune di Brindisi per il recupero delle Torri costiere tra quelli giudicati ammissibili dalla Regione nell'ambito dell'avviso pubblico "per il finanziamento di interventi di recupero, restauro e valorizzazione dei beni culturali immobili e mobili di interesse artistico e storico" che è stato emanato dall'ente. 
Il passo successivo sarà quello della verifica documentale. Sul sito della Regione, infatti, in seguito alla determina dirigenziale emanata appositamente sono stati pubblicati tutti i risultati per i progetti inviati da ogni parte della Puglia. Quello che riguarda le torri, quindi, è andato a finire tra le "istanze ammissibili alla fase di verifica documentale".

La determina prevede ora la valutazione dei diversi progetti pervenuti da parte di un'apposita commissione, che sarà formata da sei persone. 
Il bando, andando a guardare più nel dettaglio, ha posto una serie di requisiti specifici, che hanno fatto individuare al Comune proprio nelle costruzioni del litorale l'ambito migliore per richiedere l'intervento. L'avviso, infatti, era rivolto ad enti pubblici (Comuni singoli o associati, Province e Città metropolitane) della Regione Puglia, mentre le istanze di finanziamento potranno essere presentate nel giro di pochi giorni e per un lasso limitato di tempo: la durata, tra l'1 ed il 15 settembre di quest'anno.

Le tempistiche, quindi, sembrano essere particolarmente serrate. Tra le altre condizioni necessarie per il finanziamento dell'opera in questione, ci sono la proprietà (o, in mancanza di quest'ultima, la disponibilità) del bene per il quale si chiede il finanziamento; il possesso di un livello di progettazione almeno definitiva in caso di lavori, con la regolare documentazione; la destinazione del bene ad una fruizione culturale pubblica, un costo di intervento (come detto) non superiore al milione di euro; il limite di un solo progetto per ogni Comune; il possesso di un piano di gestione economico-finanziario di durata quindicinale.

Il progetto brindisino prevede la riqualificazione di due delle torri che sono situate sulla costa brindisina, in particolare Torre Testa e Torre Punta Penne. Nelle ultime settimane prima dell'apertura dei termini (l'1 settembre), da molti politici cittadini si era levata un'esortazione a tenere alta l'attenzione sul tema, anche in presenza di una progettazione avanzata. In passato erano state alcune associazioni che avevano fatto (e che fanno ancora) del recupero delle torri una sorta di loro bandiera, come il Gruppo Archeologico brindisino. Questi ultimi, infatti, portano avanti ormai da anni la loro battaglia per la salvaguardia di entrambe le torri costiere, le due più bisognose di interventi per la loro messa in sicurezza e riqualificazione. Il Gabha anche realizzato un documentario che è stato chiamato "I baluardi dell'occidente".

 

 

 

In Carso il restauro deI bunker della Guerra fredda

Da ilpiccolo.it del 17 settembre 2015

SAVOGNA Le fortificazioni figlie della Guerra fredda sul monte Skofnik, vicino l'abitato di Cotici, in territorio di Savogna d'Isonzo, e poco distante dal Monte San Michele, saranno visitabili già nel corso dell'inverno. Dopo la firma del protocollo d'intesa tra Agenzia del demanio e Provincia di Gorizia, che ha concesso i manufatti a quest'ultima per sei anni, i volontari del Comitato della Fanteria d'Arresto, collegato all’Associazione nazionale fanti d’arresto (referente di zona il colonnello Mario Borean) hanno iniziato i lavori di messa in sicurezza e ripristino di un complesso difensivo unico nel suo genere e che ben racconta un pezzo importante e non lontanissimo della storia italiana, oltre che della Venezia Giulia. Grazie al sostegno della Fondazione Carigo e della Provincia, il Comitato, nato alcuni anni fa per lo studio della storia e del ruolo della Fanteria d'Arresto, ha già avviato il ripristino dei portelloni d'ingresso, che erano stati saldati, dopo il definitivo abbandono delle postazioni nel 1992, a seguito del crollo del Muro di Berlino, della fine del blocco sovietico. Nella giornata di sabato è stata data corrente all’impianto elettrico interno e quindi originale ed effettuato un importante lavoro di sfalcio e potatura del verde circostante. Questa postazione è unica», spiega Stefano Cogni, componente del Comitato e che le postazioni le aveva conosciute nel corso del servizio militare, assolto proprio della Fanteria d'Arresto, al lavoro assieme ad altri volontari. «Oltre all'osservatorio di fanteria ha anche quello di artiglieria - sottolinea Boris Cotic, un altro dei volontari ieri sul monte Skofnik -. E' realizzato su due piani e dotato di un "locale polmone», dove i fanti, grazie all'impianto di sovrapressurizzazione, potevano contare su una riserva di ossigeno "protetta" da eventuali aggressioni chimiche o batteriologiche esterne". La linea telefonica "campale", che collegava cioè tutte le postazioni, è inoltre ancora funzionante, com'è intatta la mimetizzazione della sottostante postazione per le mitragliere, realizzata in vetroresina a replicare i muretti a secco del Carso. «Adesso siamo circondati dalla vegetazione - dice Cogni -, ma ancora vent'anni fa da qui si aveva la visuale aperta fino al mare e alle Prealpi Giulie". Quanto era indispensabile a chi avrebbe dovuto impedire un eventuale controllo della cima del San Michele e l'infiltrazione di unità nemiche in direzione di Polazzo e Sagrado. «Infatti la postazione era dotata anche di un piccolo radar - aggiunge Cogni - per monitorare eventuali avanzamenti dell'esercito nemico». Il ripristino si muove a fronte delle ricerche effettuate negli archivi del 12° Reparto infrastrutture di Udine. «Anche quand'erano ancora formalmente "in servizio" sparivano lucchetti e lampadine dalle postazioni sotterranee - ha spiegato un altro volontario, Alberto Pastorutti -. I locali della mitragliera sono però rimasti intatti e sono in ottime condizioni». L’obiettivo è di rendere fruibile il sito, che si trova a non molta distanza da quelli della prima Guerra mondiale, già nel corso dell'inverno, garantendo visite che potranno essere solo guidate. Sul Carso sono rimaste in totale 5 torrette osservatorio e 26 postazioni M per mitragliatrice. Per chi volesse saperne di più ora c'è anche la paginaFacebook Bunker San Michele. di Laura Blasich

 

 

Mura di Ferrara

Da news.fidelityhouse.eu del 17 settembre 2015

La cinta muraria che è possibile ammirare oggi a Ferrara è una sorta di aggiornamento delle precedenti mura medievali, attuato prevalentemente attorno al XV-XVI secolo, in risposta alla massiccia proliferazione delle armi da fuoco, che sin dalla loro comparsa sui campi di battaglia finirono con il rivoluzionare drasticamente ogni aspetto tattico e strategico dei conflitti bellici. Le Mura di Ferrara, lunghe all’incirca 9 chilometri, cingono praticamente tutto il borgo urbano e presentano una conformazione che può ricordare pressappoco i contorni di un triangolo. O, con un po’ di fantasia, quelli di un diamante allungato.

La Porta degli Angeli, raggiungibile mediante corso Ercole I d’Este che la congiunge al monumentale Castello Estense, è un importante monumento storico integrato nella cinta muraria. Si tratta di un’antica torre d’avvistamento, e deve il suo nome al toponimo quattrocentesco di quello che è oggi corso Ercole I d’Este, al tempo chiamato appunto Via degli Angeli. Anch’essa, come molti dei monumenti presenti a Ferrara, figurava nel progetto dell’Addizione Erculea del 1492, e fu progettata dall’architetto Biagio Rossetti. Le sembianze che Porta degli Angeli esibisce ancora oggi le furono conferite nella seconda metà del XVI secolo, quando venne edificata la casetta del corpo di guardia. Questa porta, collegata al rivellino ove si potevano trovare le artiglierie pesanti, assolveva il compito di fungere da porta di rappresentanza in caso d’arrivo di ospiti illustri.  Molti di questi, fra i quali v’erano duchi, ambasciatori e più in generale persone d’alto rango sociale, vi transitavano per andare a cacciare in quello che era allora noto come il territorio del Barco, ad oggi Parco Urbano. Porta degli Angeli cambiò spesso funzione e conformazione nel corso dei secoli, diventando dapprima una dogana, quindi un macello per maiali, poi ancora unmagazzino per il fieno, una polveriera militare e persino un’abitazione privata, fino al 1984. Solo negli anni ’80, grazie a specifici lavori di restauro, fu restituito a Porta degli Angeli il suo originario aspetto cinquecentesco.

Nell’area a Sud-Ovest della città si trovava una fortezza la cui conformazione poteva ricordare quella di una stella, o di un fiocco di ghiaccio, eretta per volere diPapa Paolo V. Questa fortezza  fu una naturale e fisiologica evoluzione dei baluardi ferraresi del XVI secolo, e fu edificata tra il 1608 ed il 1618 in seguito all’allontanamento degli Estensi da Ferrara. I due baluardi di San Paolo e Santa Maria della Fortezza sono ciò che rimane dell’imponente sistema difensivo congegnato dallo Stato Pontificio per governare sulla città. Durante il periodo rinascimentale, l’ingresso alla città era concesso mediante tre porte: Porta PaolaPorta degli Angeli e Porta San Giovanni, situate rispettivamente a Sud, a Nord e ad Est della cinta muraria. L’area Sud della città risulta inoltre particolarmente ben difesa, e rappresenta la porzione più antica di tutto il borgo. Ancora oggi vi si possono ammirare parti della vecchia città medievale, come laDelizia di Schifanoia e la Cattedrale di San Giorgio, che sorge proprio di fronte al Palazzo Comunale.

I vari bastioni che sorgono lungo le mura, alcuni a forma di sperone altri di picca, erano muniti di cannoni su più livelli, circondati da un largo fossato e progettati per fornire una resistenza maggiorata ai colpi di artiglieria. Particolarmente interessanti sono anche il Torrione del Barco, ubicato all’estremità Nord-Ovest delle mura, ed il Torrione di San Giovanni ad Est, con la sua struttura circolare peculiare dell’architettura rinascimentale.

Cosa vedere alle Mura di Ferrara

Lungo le Mura di Ferrara potrete trovare diversi luoghi di alto interesse storico, come la Garitta di vedetta nel Baluardo di San Giorgio, che aveva la funzione di salvaguardare l’antica Porta di San Giorgio, il Baluardo della Montagna, con la sua collinetta artificiale datata 1500 circa, il Baluardo di San Tommaso, il Doccile di San Tommaso, che serviva a convogliare le acque nere al di fuori del contesto urbano cittadino, il Torrione di San Giovanni, la Porta degli Angeli, il Torrione del Barco e laStatua di Papa Paolo V, situata nell’area verde fra i baluardi di San Paolo e Santa Maria.

 

Week end alla Polveriera con le "Trame disperse" e la "Guerra bianca"

Da comune.ancona.it del 10 settembre 2015

Domani, sabato 12 settembre alle 18 presentazione alla Polveriera del Parco del Cardeto del libro del prof. Marco Severini "Trame disperse” . Esperienze di viaggio, di conoscenza e di combattimento nel mondo della Grande guerra*" (ed. Marsilio), in luogo della prevista conferenza del generale Coltrinari.

All'incontro, moderato dal prof. Sergio Rigotti, sarà presente l'autore. Tra le vicende trattate nel libro, quella dell'incursione dei commando austriaci al Lazzaretto di Ancona e la storia del monitore Faà di Bruno incagliatosi a Marotta.

Domenica 13 alle 18, conferenza su "La guerra di mina sulle Dolomiti” e il marchigiano Ettore Martini. Come si è svolta la guerra di mina e quali erano le condizioni di vita dei nostri alpini nei combattimenti in alta quota? I relatori sono il giornalista Giorgio Guidelli, esperto di guerra in montagna, e lo studioso di Carpegna, Giorgio Lombardi, che descriveranno luoghi magici e insanguinati quali Le Tofane, il Sasso di Stria e il Col di Lana. In omaggio alla memoria del maggiore Martini, nato a Macerata Feltria, saranno presenti i sindaci di Macerata Feltria e Carpegna, Luciano Arcangeli e Angelo Francioni, e l'assessore di Macerata Feltria, Andrea Brisigotti.

Tra i prossimi appuntamenti, mostra e conferenza su “Palermo Giangiacomi” poeta e soldato*/ (inaugurazione venerdì 18 settembre alle 17,30), - presentazione del libro del giornalista triestino Nicolò Giraldi "La Grande guerra a piedi", presente l'autore, sabato 19 settembre alle 17. La mostra nel prossimo weekend sarà pertanto visitabile anche venerdì

 

Opera Sesta, tre giorni di rievocazione

Da la gazzettadimantova.it del 10 settembre 2015

Grande rievocazione storica che si svolgerà da domani a domenica a Forte Ardietti, nel comune di Ponti sul Mincio.

 

Il nome deriva dall’antico nome della fortificazione, un tempo chiamata appunto, Opera Campale Sesta.

Una manifestazione imponente che coinvolgerà un centinaio di figuranti in divise d’epoca della II Guerra di Indipendenza - periodo di costruzione del fortilizio - appartenenti all’esercito austriaco, francese e piemontese, ma non solo. «Qualificata» è l’aggettivo usato dal sindaco, Giorgio Rebuschi, (affiancato dal vicecesindaco di Peschiera, Tiziano Cimarelli e dall’assessore di Borgo Virgilio, Francesco Aporti), poiché - ha spiegato - all’interno della tre giorni saranno disponibili le guide del Fai per la visita guidata della struttura.

Durante Opera Sesta sarà ufficializzato il gemellaggio d’intenti, rigorosamente in costume d’epoca, dei tre comuni uniti appunto dalla storia e dai percorsi fluviali in un’ottica di sviluppo turistico dal Mincio, passando dal Po fino all’Oglio.

L’evento vuole dunque promuovere e valorizzare la portata storica di un manufatto ancora in ottime condizioni.

Si parte domani sera con l’inaugurazione ufficiale con salva di cannone dalle 18 e alle 20 la cena risorgimentale seguita dal concerto dell’orchestra filarmonica dei Colli Morenici.

Sabato e domenica è prevista un’offerta ad hoc per coprire tutte le fasce d’età, dalla caccia al tesoro per i più piccoli, a workshop militareschi per gli adulti; per l’occasione verrà allestito anche un salotto dell’epoca per spiegare e vivere il ruolo della donna.

Tutto ciò per permettere al visitatore di accedere alla rievocazione in qualsiasi momento ed orario e poter assistere o partecipare alle numerose attività in programma. Ingresso 5 euro e gratuito sino ai 14 anni.

Per info, info@prolocopontisulmincio.it;

per il programma consultare il sito www.prolocopontisulmincio.it.

 

Agosto 1915, la guerra sugli altipiani

Da ilfatto24ore.it del 4 settembre 2015

GRANDE GUERRA - Nell’estate del 1915, cento anni fa, il fronte italiano infine si apre. La guerra assume nuove forme: quella della guerra bianca in alta quota e quella dei forti sugli Altipiani, simbolo indelebile del conflitto in Trentino.

La storia dei forti italiani e austro-ungarici della prima guerra mondiale vede le sue origini qualche decennio prima, quando i due stati non avevano ancora stretto accordi d’alleanza. Le prime fortificazioni costruite dal genio austro-ungarico risalgono alla seconda metà dell’Ottocento: progettate per uno scopo diverso - la difesa di Trento - quelle fortezze si trovano logicamente quasi tutte lontane dal confine e quindi dal fronte.

In una seconda fase, successiva alla firma della Triplice Alleanza del 1882, il generale Franz Conrad von Hötzendorf progettò una nuova linea fortificata che fu la protagonista di questa guerra tra fortezze. Diffidando dell’italico alleato - che peraltro rispose con i medesimi strumenti - l’Austria-Ungheria si preparò a un conflitto anche sul fronte meridionale, e per questo fortificò massicciamente il confine.

Nel quadro della più generale corsa agli armamenti che segnò il passaggio dall’Otto- al Novecento, anche gli italiani costruirono forti in prossimità del confine. L’obbiettivo dell’esercito di Vittorio Emanuele era quello di conquistare le irredente città di Trento e Trieste, portando a termine il processo di unificazione. L’Austria-Ungheria d’altra parte doveva difendersi. Da qui la costruzione di forti che da una parte e dall’altra rispondevano a esigenze diverse.

Da un lato, i forti dell’imperial-regio esercito si dotarono di strutture più solide per la difesa: fortemente corazzati erano molto più difficili da bombardare. Ne è un esempio il forte del Pizzo di Levico - Valsugana. Struttura costruita con scopi esclusivamente d’osservazione a 1900 metri di quota venne pesantemente bombardata dall’artiglieria italiana; i danni, seppur cospicui, non sortirono l’effetto desiderato e la fortezza rimase in funzione per tutto il periodo della guerra.

I forti italiani, invece, avevano una finalità diversa. Pensati come supporto per l’avanzata, vennero armati pesantemente. Al loro interno obici e cannoni dai calibri importanti, due o tre volte quelli dei piccoli calibri che armavano i forti austro-ungarici. D’altro canto, però, quelli italiani presentavano dei difetti. Il più importante è probabilmente la relativa debolezza delle loro strutture.

Ne è un esempio il forte Verena che, a venti giorni dall’inizio del conflitto, fu bombardato dagli austriaci. Un colpo particolarmente fortunato penetrò nella Santa Barbara - la zona dedicata allo stoccaggio delle munizioni - e distrusse il forte, uccidendo oltre 40 soldati. Ma anche i possenti forti austro-ungarici si rivelarono inadeguati allo scopo prefissato.

Molti furono distrutti o pesantemente danneggiati, ma soprattutto mancarono nella loro funzione originaria. Secondo Conrad, infatti, i forti del Trentino dovevano servire da avanzata verso l’Italia. Sfruttando la struttura geografica della regione - un saliente che penetra nel territorio italiano - dovevano essere la base per una presa del fronte orientale italiano. Una volta penetrati nella Pianura Padana dal Trentino, sarebbe stato più semplice per gli austriaci attaccare alle spalle truppe tricolori schierate lungo l’Isonzo.

Ma ciò non avvenne mai. In primo luogo perché gli alleati dell’Austria-Ungheria non diedero particolare importanza al forte meridionale in genere. L’Italia non era considerata una grande avversaria soprattutto dai tedeschi, che preferirono concentrare le loro forze al confine con la Francia o con la Russia. 

Ben presto, quindi, il ruolo di queste fortezze venne ridotto a baluardi del confine. Pochi violenti attacchi dell’artiglieria italiana causarono danni non sufficienti ad un arretramento del fronte, anche perché i conseguenti attacchi di fanteria non produssero risultati. Come racconta bene Fritz Weber nel suo noto romanzo autobiografico Tappe della disfatta, gli attacchi degli italiani non inflissero mai perdite eccessive all’esercito austro-ungarico ben riparato dietro alle cupole corazzate dei forti dell’Altipiano. di Elisa Corni

 

Povera Fortezza invasa dalle erbacce

Da iltirreno.it del 4 settembre 2015

PISTOIA. “Molto bella!! Peccato che la natura stia prevalendo troppo”. Così la pensavano Sandro e Mary di Asti, che il 3 gennaio scorso hanno visitato la Fortezza Santa Barbara, lasciando le loro impressioni nel grande quaderno all’ingresso.

Difficile dar loro torto: entrando nella Fortezza oggi, infatti, si ha proprio l’impressione che erbe e rampicanti stiano vincendo una guerra senza quartiere contro i vecchi mattoni della fortezza medicea, che offre di sé un’immagine di desolazione e abbandono ai pochi turisti che approfittano dell’orario di apertura (per la cronaca: dalle 8,15 alle 13,30, escluso il lunedì, ingresso libero) per visitarla. E pensare che si tratta di una delle pochissime fortezze medicee completamente intatte e complete di tutti e quattro i bastioni. Il problema è che la proprietà del grande edificio è dello Stato e la Sovrintendenza, che teoricamente dovrebbe occuparsene, ha da dividere le magre risorse con le richieste di Prato e, soprattutto, di una città d’arte internazionale come Firenze.

I periodici appuntamenti organizzati negli anni scorsi (basti ricordare la splendida rassegna organizzata dai fornai pistoiesi) e l’utilizzo (fino a due anni fa) come sede dell’arena cinematografica estiva da parte del Comune ne avevano garantito finora un minimo di manutenzione. Ma da qualche tempo a questa parte la situazione è precipitata.

Le uniche informazioni sulla Fortezza i visitatori le possono trovare su un cartello bilingue e piuttosto sbiadito all’ingresso. Dentro, non ci sono indicazioni che spieghino quello che si sta vedendo, né cartelli per guidare la visita. Il vasto cortile interno, dove fino a due anni fa d’estate si potevano vedere i film, è completamente invaso da erbacce alte fino al ginocchio. Farsi strada fino all’unica porta aperta sul cortile, quella della cappellina affrescata, è impresa ardua. Chi entra a visitare la Fortezza decide anche per questo, di solito, di prendere la strada delle mura, salendo sul lungo camminamento. Ma anche qui le erbacce la fanno da padrone: spuntano dappertutto tra i mattoni degli splendidi impiantiti della fortezza, alte e rigogliose. Gli stessi camminamenti sono in cattive condizioni di pulizia, tra foglie morte e detriti che disseminano il percorso. Un tratto di una delle balaustre è addirittura mancante ed è stato sostituito da alcune transenne e un po’ di nastro bianco e rosso. Proseguendo la camminata, in prossimità dell’angolo sud est dell’edificio, si arriva nei pressi del monumento ai caduti del sommergibile Scirè: ma il cannoncino del bastimento svetta (per il momento) su un mare di erbacce che quasi nasconde il basamento. Anche perché scendere dalla scaletta metallica che conduce sul prato dove si trova il monumento è una bella impresa, visto che per metà la scaletta stessa è stata ingoiata dall’invadenza dei rampicanti.

Insomma, una breve visita alla Fortezza è sufficiente a capire che il monumento è in condizioni di abbandono. Anche così, comunque, riesce a stappare commenti di meraviglia ai visitatori. Figurarsi cosa potrebbe rappresentare per Pistoia una struttura del genere debitamente valorizzata. Ma quanto ci sarà ancora da attendere? di Fabio Calamati

 

Il grande italiano di oggi: Francesco di Giorgio Martini

Da  leggotenerife.com del 2 settembre 2015

Celeberrimo per le sue straordinarie capacità creative… non solo nel campo dell’architettura, ma anche nei settori della scultura e della pittura. A quel tempo l’ingegniarius aveva un campo di azione molto più vasto rispetto ad oggi ed era principalmente un umanista ed un ricercatore, che spesso assumeva le vesti anche dell’inventore e del trattatista.

Nelle Marche il Martini realizzò soprattutto eccezionali opere di architettura militare: si tratta di magnifiche fortificazioni, vere e proprie macchine belliche dall’inconfondibile funzionalità.

vedi anche Francesco di Giorgio Martini


https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_di_Giorgio_Martini

 

Falsa bonifica di fortificazioni della guerra fredda: 4 indagati

Da ilgazzettino.it del 1 settembre 2015

di Paola Treppo


UDINE - Truffa aggravata a danno dello Stato e turbativa d’asta sono i reati accertati al termine di un’articolata attività investigativa coordinata dal Procuratore della Repubblica Aggiunto di Udine, Raffaele Tito, nei confronti di un funzionario già in servizio presso la Direzione Regionale dell’Agenzia del Demanio di Udine, e di tre imprenditori, uno cittadino italiano e due fratelli di nazionalità romena. L’indagine, del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Gorizia, ha permesso di riscontrare l’esistenza di lavori di messa in sicurezza e bonifica di alcune opere di fortificazione permanente, realizzate per scopi difensivi nel periodo post-bellico a ridosso della linea di confine, ricollocabili nel contesto della guerra fredda. In particolare, le Fiamme Gialle goriziane hanno rilevato come tali lavori fossero stati svolti in maniera superficiale e apparentemente finalizzati all’esclusiva asportazione delle cupole blindate in metallo del peso di alcune tonnellate l’una, successivamente cedute/consegnate ai centri per il recupero del metallo, e non anche alla messa in sicurezza delle strutture che le ospitavano. Proprio nel corso degli accertamenti avviati per chiarire gli aspetti di tali attività di “bonifica”, eseguiti anche monitorando alcuni siti web e forum frequentati da appassionati di fortificazioni militari ed in parte anche sulla scorta di alcune notizie apparse sulla stampa locale, i finanzieri hanno riscontrato l’esistenza di un’unica gara d’appalto indetta nell’anno 2012 dalla Direzione Regionale dell’Agenzia del Demanio per il Fvg con sede a Udine, finalizzata alla cessione di 30 cupole/torrette metalliche ubicate su altrettante fortificazioni.
tutt’altro che favorevole alle casse dello Stato nonostante l’elevatissimo business economico derivante dal recupero di tali pregiati materiali (trattasi di acciaio balistico). Infatti, non solo è emerso che la gara indetta è stata un maldestro tentativo di spostare l’attenzione degli investigatori dalle pregresse numerose cessioni gratuite dei medesimi materiali, ma la stessa è stata “pilotata” per far si che, alla fine, i bunker metallici venissero di fatto acquistati dalle medesime imprese che sino ad allora si erano accaparrate tonnellate di acciaio balistico, del valore di centinaia di migliaia di euro, senza alcun introito per l’Erario. Ciò è stato possibile mediante la partecipazione alla gara di una ditta “amica” che, dopo essersi illegalmente aggiudicata la licitazione – per un importo di denaro assolutamente inadeguato rispetto al reale valore del metallo in vendita - peraltro senza essere stata ufficialmente invitata a parteciparvi e senza avere la benché minima competenza. Tuttavia, ancorché inadeguato, nemmeno l’importo di aggiudicazione della gara (37.550 euro) è stato incamerato dallo Stato poiché, con la complicità del funzionario del Demanio, sono state prodotte false attestazioni di avvenuto pagamento dell’importo di gara, di fatto mai effettuato. Ora il Funzionario pubblico ed i tre imprenditori dovranno rispondere davanti alla Giustizia delle ipotesi di truffa aggravata a danno dello Stato e turbativa d’asta. Per il pubblico dirigente si prospetta anche l’assoggettamento ad una procedura di accertamento e recupero dell’importo di denaro non incassato dallo Stato per la gara esperita. Gli investigatori del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Gorizia stanno ora ricostruendo, in collaborazione con l’Esercito Italiano e con l’attuale Direttore Regionale dell’Agenzia del Demanio per il Friuli Venezia Giulia, quante siano state le cessioni “gratuite” delle cupole/torrette metalliche dei bunker, avvenute tra il 2010 ed il 2012, al fine di determinare il corrispondente danno Erariale.

 

IL MITO DI UNA “MINACCIA” RUSSA

Da comedonchisciotte.org del 29 agosto 2015

Non passa settimana senza che il Pentagono si lamenti di una lesiva “minaccia” russa 

Il responsabile dei Capi dello Staff Martin Dempsey è entrato nel territorio di marca Donald “conosciuto sconosciuto” Rumsfeld quando di recente ha tentato di concettualizzare la “minaccia”: “Le minacce sono una combinazione, o l’unione, di capacità ed intenzioni. Mettiamo da parte temporaneamente le intenzioni, perché non so quali siano quelle russe”. Quindi Dempsey ammette che non sa di cosa sta parlando. Quello che pare sapere è che la Russia è una “minaccia” in ogni caso – nello spazio, nello spazio cibernetico, nelle basi missilistiche, nei sottomarini.

Più di tutto, una minaccia per la NATO “Una delle cose che la Russia sembra fare è screditare, o ancora più subdolamente, creare le condizioni per un fallimento della NATO”. Quindi la Russia “sembra” screditare una NATO che ci ha già pensato da sola. Non è una grande “minaccia”. Tutti questi giochetti di retorica vengono messi in piedi mentre la NATO “sembra” prepararsi per un confronto diretto con la Russia. Non cadete in errore: Mosca vede l’atteggiamento bellicoso della NATO come una minaccia concreta.

PGS vs. S-500

Il presentarsi della “minaccia” avviene ogni volta che i centri di pensiero USA ricaricano la nozione di contenimento della Russia. Il famoso Stratford, facente capo alla CIA, ha sciorinato una propaganda che elogia la mente della Guerra Fredda George Kennan come autore della strategia di “contenimento della Russia”. L’apparato dell’intelligence statunitense non scherza: prima della sua morte, Kennan aveva detto che era il momento che gli USA andassero contenuti, non la Russia. Il contenimento della Russia – attraverso l’espansione di UE e NATO – è sempre stato un obiettivo in corso, perché l’imperativo geopolitico è sempre stato lo stesso: come il dottor Zbigniew “Grande Scacchiera” Brzezinsky non si è mai stancato di ripetere, prevenire la – minacciosa – crescita del potere eurasiatico, in grado di competere con quello statunitense. Di recente il concetto di “contenimento” può essere spiegato con lo smantellamento della Russia stessa. Ci si porta dietro anche il paradosso che l’infinita espansione della NATO verso est ha reso l’Europa dell’est meno sicura. Partendo dal presupposto che ci possa essere un confronto letale tra Russia e NATO, le armi tattiche nucleari russe distruggerebbero tutti gli aeroporti della NATO in meno di 20 minuti. Dempsey – in maniera criptica – lo ammette. Ciò che non può assolutamente ammettere è che se fosse stata presa una decisione a Washington, molto tempo fa, per prevenire l’espansione infinita della NATO, le mosse russe per migliorare il proprio arsenale nucleare sarebbero state inutili.

Geopoliticamente il Pentagono ha capito in che direzione il vento – della partnership strategica – sta soffiando: verso Cina e Russia. Questo cambio di equilibri di potere fondamentale si traduce anche nel fatto che le potenze militari di Cina e Russia messe assieme sovrastano quella della NATO.

In termini di potenza militare la Russia ha missili offensivi e difensivi migliori di quelli statunitensi, con il nuovo sistema missilistico terra-aria S-500 in grado di intercettare obiettivi supersonici e di proteggere in toto lo spazio aereo russo. Per di più, nonostante la breve turbolenza finanziaria, la strategia sino-russa per l’Eurasia – un’interconnessione delle Nuove Vie della Seta e l’Unione Economica Eurasiatica (EEU) – è destinata a sviluppare le loro economie e la regione fino ad un livello che potrebbe nel 2030 superare quella di USA e UE congiunte. Cosa resta alla NATO è mostrare la propria telegenica potenza militare come “Risoluzione Atlantica” per “mettere in sicurezza la regione”, specialmente la Polonia e le Repubbliche Baltiche, stati facili alla paranoia. Mosca, nel frattempo, ha reso noto che le nazioni che dispiegano sistemi missilistici di proprietà degli USA sul loro territorio saranno obiettivi dei loro sistemi di allerta di Kaliningrad. Il Gen. Magg. Kirill Makarov, il vice comandante delle Forze di Difesa Aerospaziali russe, ha già dichiarato che Mosca sta implementando le proprie capacità di difesa aeree e missilistiche per distruggere ogni – reale – minaccia proveniente dal Prompt Global Strike (PGS) statunitense. A dicembre 2014 nella dottrina militare russa, le infrastrutture militari della NATO e il PGS sono listati come le maggiori minacce per la sicurezza della Russia. Il Viceministro della Difesa Yuri Borisov ha dichiarato “LA Russia è in grado e sarà costretta a sviluppare un sistema come PGS”.

Dov’è il nostro bottino?

I giochetti retorici del Pentagono servono anche a mascherare un processo di grande valore: di base una guerra energetica – basata sul controllo del petrolio, del gas naturale e delle risorse minerali della Russia e dell’Asia centrale. Tutta questa ricchezza sarà sotto il controllo di oligarchi burattini “supervisionati” dai loro capi a New York e Londra o dalla Russia e dai suoi partner asiatici? Da qui l’incessante guerra della propaganda. Può essere d’esempio il fatto che i Padroni dell’Universo abbiano resuscitato il vecchio alibi del contenimento/della minaccia geopolitica – diffuso da quella che potremmo chiamare la connessione  Brzezinsky/Stratfor – per coprire, o camuffare, un altro evento estremo.

Il fatto è che la vera ragione per la Guerra Fredda 2.0 è che il potere finanziario di New York/Londra ha accusato una perdita di più di 3 trilioni di dollari, quando il Presidente Putin ha tirato fuori la Russia dai loro piani di lucro.

Lo stesso si può applicare anche al colpo di stato di Kiev – messo in atto dagli stessi poteri finanziari di Londra e New/York per impedire a Putin di rovinare le loro speculazioni in Ucraina (le quali, tra l’altro, proseguono senza sosta, almeno dal punto di vista agricolo). Il contenimento/la minaccia viene ribadita ad alto volume per prevenire con tutte le forze una partnership strategica tra Germania e Russia – che la dottrina Brzezinsky/Stratfo vede come una minaccia per l’esistenza degli USA. Il sogno erotico di questi – condiviso, guarda caso, dai neo-con – sarebbe un glorioso ritorno al saccheggio della Russia degli anni ’90, quando il complesso industriale/militare era collassato e l’occidente si prendeva le risorse naturali nel Regno a Venire. Non succederà mai più. Quindi quale sarebbe il piano B del Pentagono? Creare le condizioni per trasformare l’Europa in un potenziale portatore di una minaccia di guerra nucleare. Questa è una vera minaccia, sempre che ce ne fosse una prima. Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007), Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge (Nimble Books, 2007), e Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009). Può essere contattato a pepeasia@yahoo.com. Fonte: http://sputniknews.com/ Link: http://sputniknews.com/columnists/20150825/1026161727/myth-of- ussian-threat.html

 

Bunker tedesco sulla spiaggia di Fondi

Da h24notizie.com del 27 agosto 2015

Echi di guerra dalla spiaggia di Fondi. Mercoledì, nel bel mezzo del tratto sinistro dell’arenile di Sant’Anastasia, all’altezza dell’area antistante l’omonimo campeggio, sono ricomparsi i resti di un fortino del secondo conflitto mondiale, che periodicamente tornano alla luce grazie all’azione delle maree.

Una base esagonale in muratura a fil di sabbia, appartenente ad uno dei tanti bunker tedeschi tirati su lungo il litorale locale tra il ’42 e il ’43.

Presenza nota: dal Reich avevano ipotizzato che gli Alleati, poi sbarcati nel gennaio ’44 ad Anzio, fossero pronti ad aggirare la linea Gustav proprio approdando sulle coste fondane. di Mirko Macaro

 

Torri Costiere Leccesi, un bando per salvarle prima che sia troppo tardi

Da lecceprima.it del 24 agosto 2015

LECCE – Giunge da Gabriele Molendini di Lecce Bene Comune il grido d’allarme per salvare le tre torri costiere di avvistamento presenti nel territorio di Lecce (una delle quali, Torre Veneri, in zona militare). Le torri sono, infatti, gravemente danneggiate e, in mancanza di interventi conservativi vedranno ulteriormente peggiorare il già precario e residuo stato di conservazione. La settimana scorsa è stato pubblicato un bando dalla Regione Puglia, nell’ambito del Fondo di sviluppo e coesione 2007/2013 per “Interventi di recupero, di restauro e valorizzazione dei beni architettonici ed artistici” con contributi finanziari agli enti locali proprietari o comunque detentori dei beni, che potrebbe essere utilizzato proprio per il recupero e la valorizzazione delle nostre torri costiere.
A rendere complessa la vicenda, oltre la scadenza del bando, prevista per il 15 settembre, la proprietà dei beni. Risultato difficile stabilire se costituiscono demanio di pertinenza del Comune, della Provincia ovvero dello Stato: la stessa Soprintendenza, interpellata dallo stesso Molendini, ha bisogno di fare delle verifiche. Per questo Lecce Bene Comune rivolge un appello a tutti gli enti potenzialmente interessati perché non venga persa questa opportunità così preziosa per la storia e l’identità di un territorio, specialmente nell’anno in cui Lecce è insignita del titolo di capitale italiana della cultura.

Incredibilmente nessuna delle torri ha neppure un cartello indicatore che ne rammenti il nome, l’anno di costruzione e i relativi cenni storici. Si tratta di manufatti storico-architettonici di notevole importanza. Realizzati nel XVI secolo, sotto la dominazione spagnola, erano funzionali ad un’interconnessione con tutte le altre torri dislocate sulla costa e guarnigioni castelli e fortilizi dislocati nel territorio per la difesa dalle frequenti incursioni piratesche. A quel tempo non era affatto insolito che pirati saraceni si avventurassero fino alle coste salentine per approdarvi e fare razzia delle ricchezze prodotte dal territorio e detenute da popolazioni, manieri e strutture masserizie. Purtroppo questa splendida testimonianza della storia e mirabile esempio architettonico rischia inesorabilmente di scomparire per mancanza di manutenzione e restauri conservativi.

 

Torri costiere leccesi, un bando regionale per salvarle prima che si troppo tardi
Torri costiere leccesi, un bando per salvarle prima che sia troppo tardi



 

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Ventimiglia: l'ASVAL vuole il recupero dei bunker del vallo Alpino, "Vogliamo farne musei per incrementare il turismo"

Da sanremonews.it del 23 agosto 2015

Dopo più di settant'anni un gruppo di giovani imperiesi sta cercando di far tornare alla luce una delle pagine meno conosciute dell'impegno bellico italiano nella seconda guerra mondiale. E lo fa con il sostegno dei nemici di allora: i francesi.

"Noi abbiamo l'obiettivo di far tornare alla luce alcune fortificazioni del Vallo Alpino - spiega Antonio Fiore - per renderle fruibili come musei e reperti di una storia recente, ma poco conosciuta. Non abbiamo alcun intento nostalgico, ma semmai l'obiettivo di incrementare una forma di turismo, simile a quella che attira migliaia di visitatori nella restaurata Linea Maginot, in Francia"

Fiore vive a Vallebona, ha un'impresa di video produzioni sportive,conosciuta in tutta Italia. Insieme a pochi suoi amici, che avevano le sue stesse competenze sulla storia dell'Italia nella seconda guerra mondiale, nel 1992 costituì l' Associazione per lo studio del Vallo Alpino "ASVAL", gemellata con l'analoga istituzione francese EO3.

Lo spazio grigio verde dell'ASVAL è stata una delle attrazioni della giornata del libro che si è svolta a Triora. Una serie d tavole "didattiche" che spiegano la connotazione di un delle più gigantesche opere di architettura militare italiana, introduce allo spazio espositivo in cui facevano bella mostra alcuni rari reperti, scovati in tutt'Italia dal sodalizio imperiese.

"Questa è un'uniforme autentica di un tenente della Gaf, la Guardia alla frontiera. Era il reparto che nel Regno d'Italia si occupava di sorvegliare i confini- spiega il cicerone Fiore- quest'altro è un rarissimo telefono da campo utilizzato nella guerra di Spagna e poi assegnato anche ai reparti del Regio Esercito. Lì c'è un raro mortaio da 80 ovviamente disattivato che ha fatto tutta la guerra. Questi reperti scovati in giro per l'Italia sono rigorosamente compatibili con la vita che si svolgeva nel Vallo Alpino"

Il Vallo è un'opera poderosa di ingegneria militare messa in campo dagli italiani prima della guerra. "Era la nostra Maginot. Si tratta di un insieme organico di 2500 bunker realizzati lungo tutta la cerchia delle Alpi che doveva servire a difendere i confini italiani, e analogamente era stato fatto nelle colonie africane - dice Antonio Fiore - Noi, dopo anni di lavoro sottratto al nostro tempo libero, entro l'estate del 2016 renderemo visitabile il bunker 261 che si trova nella zona di Vievola nel territorio, ora francese, del comune di Tenda. I francesi ci hanno dato una grossa mano. Il comune d'oltralpe ha compreso la nostra idea ed ha speso 20 mila euro per portare nell'ex insediamento militare la corrente elettrica. Eppoi c'è stato l'aiuto materiale dell'associazione francese EO3 con cui siamo gemellati. Loro sanno quale impulso turistico abbia avuto l'area in cui è stata restaurata la linea Maginot"

Parallelamente va avanti, ma con molta difficoltà, per le procedure burocratiche frapposte dall'amministrazione italiana, il recupero di un altro bunker del vallo che si trova a Roverino nel comune di Ventimiglia. "Comunque ora abbiamo avuto un incontro con il sindaco Ioculano - conclude il presidente dell'Asval - si tratta di un giovane che comprende l'importanza del nostro sforzo e dell'incremento che potrebbe derivare all'economia della zona".

Intanto l'associazione che ora conta venti soci da continua l'opera divulgativa. Uno di loro Davide Bagnaschino, ha scritto due piccole pubblicazioni che con dovizia di particolari riaprono con documenti alla mano, il capitolo, semi sconosciuto, di una guerra persa, in cui comunque l'ingegneria militare italiana fece la sua parte con grande impegno."Noi italiani dovremmo essere meno autolesionisti, come ci insegnano i francesi" È il commento di un turista dopo aver visionato con attenzione le tavole che hanno fatto "rivivere" il Vallo dimenticato su un antico muro in pietra di Triora. Per ora. 

 

Lucerna: finiti i lavori di restauro delle fortificazioni

Da cdt.ch del 21 agosto 2015

LUCERNA - I lavori di restauro delle fortificazioni della città vecchia di Lucerna sono terminati. La fattura ammonta a 12 milioni di franchi, pagati dai contribuenti e da privati, e il cantiere è durato dieci anni.

Le mura del Musegg (in tedesco Museggmauer), terminate nel 1408, è un'opera lunga 870 metri e comprendente nove torri. Sono state riconosciute come parte del patrimonio architettonico nazionale.

All'inizio del 2000 le fortificazioni erano notevolmente degradate e rischiavano di crollare a causa di infiltrazioni d'acqua e di radici di alberi. Un comitato si è mobilitato per salvarle creando una fondazione assieme a Città e Cantone.

Sono state restaurate tutte le mura di cinta, che in media misura 9 metri di altezza e 1,5 metri di spessore, e sei delle nove torri.

 

 

“Le Fortezze di Sarzana” sono online. E il Castello della Brina si amplia

Da cittàdellaspezia.com del 21 agosto 2015

Sarzana - Dopo la messa in rete delle due Fortezze sarzanesi, che grazie ad una gestione unificata sono oggi entrambe aperte e visitabili tutto l’anno con un biglietto cumulativo, si compie un nuovo importante passo per il consolidamento del marchio “Le Fortezze di Sarzana”.


È infatti online il sito www.lefortezzedisarzana.com che unisce ulteriormente le due strutture, con l’intenzione di implementare e migliorare i servizi a disposizione di turisti, curiosi ed appassionati alla ricerca di informazioni sulle attrazioni turistiche della città di Sarzana.

Dalla pagina di apertura è possibile ricevere le prime nozioni riguardanti le due opere fortificate, per poi scegliere quale sito specifico visitare. Nei prossimi mesi, inoltre, verrà introdotta una nuova sezione dedicata al Castello della Brina.

Proprio all’interno della Fortezza di Sarzanello è in fase di ultimazione l’allestimento della sala espositiva dedicata al sito archeologico. La “sala della Brina” ospiterà i reperti trovati durante gli scavi archeologici effettuati dove, un tempo, sorgeva il castello e dove, ancora oggi, è possibile ammirare i resti dell’antica torre.

La promozione del marchio “Le Fortezze di Sarzana”, come la gestione delle due strutture, è al momento affidata alla cooperativa Earth che, in collaborazione con il Comune di Sarzana, sta effettuando, da un anno a questa parte, una campagna di comunicazione volta a valorizzare le due fortificazioni, creando i presupposti per lanciare un vero e proprio brand turistico (con tanto di logo) per promuovere al meglio le bellezze cittadine.

Oltre al sito internet, che unisce le due Fortezze, in questi giorni sono in distribuzione, per tutta la provincia, brochure e volantini informativi delle due Fortezze. L’attività è sostenuta grazie anche al sostegno della locale Banca della Versilia Lunigiana e Garfagnana.

 

Cosa vedere in Francia: i bunker del Vallo atlantico della Gironda

Da travelblog.it del 20 agosto 2015

Tra il 1940 e il 1944 Soulac-sur-Mer – comune francese di poco meno tremila abitanti nella Francia centro-occidentale – è stata un anello della maglia di acciaio e cemento dell'Atlantikwall, il Vallo atlantico, il sistema di fortificazioni costiere costruito dal Terzo reich: una serie di poderose fortificazioni lungo tutte le coste dell'Europa nord-occidentale, dalla Norvegia alla Francia, per difendere le posizioni tedesche dagli sbarchi alleati.

Oggi è una nota stazione balneare, ma perché la memoria non vada perduta, Jean-Paul Lescore, appassionato di Storia nato a Soulac e testimone diretto della costruzione dei bunker durante l'occupazione tedesca, organizza visite guidate all'interno di queste postazioni, figlie di un passato sempre più remoto, per evitare che cadano nell'oblio.

Nel corso delle visite l’uomo spiega anche il codice cifrato dei bunker tedeschi:

Quando organizzo le visite guidate colgo lo stupore e la gioia di quanti mi seguono e sono contento di trasmettere loro la mia passione.

 

Venezia. modesta proposta per gli antichi cannoni ricuperati per il Mose

Da ilsole24ore.com del 19 agosto 2015

Alle bocche di porto che mettono in collegamento la laguna di Venezia con il golfo di Venezia (le bocche di porto sono tre: Lido, Malamocco e Chioggia) da molti secoli ci sono fortificazioni. Questi forti servivano a proteggere Venezia da aggressioni via mare. Ci sono “i due castelli” di San Niccolò alla bocca di porto del lido, di origine medievale; il forte degli Alberoni a Malamocco; il forte san Felice a Chioggia, e poi altre fortificazioni (il cinquecentesco forte di Sant’Andrea, la Torre Massimilianea di Sant’Erasmo, gli Ottagoni e così via).
Alcune fortezze sono della serenissima, altre sono state costruite dopo il 1815 dagli austriaci. Ci sono infine fortificazioni più recenti, bunker e residui di batterie costiere.

Per la costruzione delle dighe ottocentesche all’imbocco della laguna (i progetti e le realizzazioni cominciate per esempio da Paleocapa), i vecchi cannoni ad avancarica delle batterie furono dismessi e riutilizzati come bitte d’ormeggio. I colossali cannoni costieri ad avancarica dei forti sono stati cementati a mo’ di bitte nel corpo delle dighe d’accesso. Le “culatte” dei cannoni sporgono ogni centinaio di metri dal piano di calpestio delle dighe di Alberoni, Pellestrina, San Niccoletto, Punta Sabbioni. I cantieri del Mose hanno smantellato lunghi tratti delle dighe per potervi costruire la grande opera contro le acque alte. Alcuni antichi e preziosi cannoni, nei tratti non toccati dal lavori, sono ancora al loro posto; ma molti di questi manufatti pregiati sono stati estratti insieme con lo smantellamento delle dighe per realizzare le opere del Mose. ho fotografato uno di questi cannoni che il Consorzio Venezia Nuova non ha estratto dalle dighe. molti altri invece sono stati tolti.

Domande.

Dove sono stati messi i cannoni estratti dalle dighe? In che condizioni erano? Che destinazione ha dato loro la sovrintendenza? Che programmi di riutilizzo degli antichi splendidi cannoni prevede il progetto Mose? 

La mia modesta proposta per il Consorzio Venezia Nuova. Quanto rimane di queste preziose e rare testimonianze storiche estratte dal Consorzio Venezia Nuova potrebbero essere disposte allineate, a ricordo delle batterie costiere dei secoli scorsi, a mo’ di batteria su basamenti di calcestruzzo a fianco di uno degli edifici tecnici di servizio del Mose alle bocche di porto di Venezia. Secondo il loro numero, potrebbero essere un solo allestimento di diversi cannoni, oppure più allestimenti alle diverse bocche di porto. Per analogia, questi cannoni allestiti su una spalla di calcestruzzo sarebbero un completamento del paio di cannoni veneziani contro l’assedio austriaco del 1849 che sono stati montati sul bastione a metà del ponte ferroviario translagunare, le cui bocche da fuoco sono rivolte verso Marghera. Mi farebbe piacere se il Consorzio Venezia Nuova rispondesse alle mie domande. di Jacopo Gilberto

 

 

I segreti della Guerra Fredda sepolti nella nostra regione - Tra il 1945 e il 1990 il Friuli Venezia Giulia è stato l’utima barriera tra Occidente e Oriente

Da ilfriuli.it del 15 agosto 2015

Il Friuli Venezia Giulia è, fin dall’alba dei tempi, un crocevia fondamentale per chi viaggia verso l’Italia e il Mediterraneo venendo da Nord e da Est. Le sue montagne basse e i valichi facili in tutte le stagioni lo hanno esposto nei secoli a ripetute invasioni provenienti da Oriente. Unni, Goti, Avari, Ungari, Turchi sono sempre entrati nella Penisola attraverso la stessa porta, la cosiddetta ‘soglia di Gorizia’, dove le cime vanno smussandosi e l’Isonzo è ovunque guadabile. Da qui inizia un corridoio pianeggiante che si addentra nel cuore della regione, attraverso un asse viario antichissimo, la famosa ‘Stradalta’ o via ‘Ungheresca’, oggi chiamata più comunemente ‘Napoleonica’.

Prove sotto copertura
La difesa della ‘soglia di Gorizia’ fu la causa delle famose 11 battaglie dell’Isonzo, durante la Grande Guerra, e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, con l’inizio di quel periodo di tregua armata noto come ‘Guerra Fredda’, che si protrasse dal 1945 al 1990, il motivo per la realizzazione di un complesso ed articolatissimo teorema di difese e installazioni militari oggi definitivamente dismesso.
Fino alla caduta dell’Urss, la nostra regione era il primo bastione del Patto Atlantico e del mondo occidentale, un segmento fondamentale di quella ‘cortina di ferro’, che dal Mare del Nord alla Turchia, passando per il muro di Berlino, tagliava in due l’Europa e il mondo. Qui erano dislocati, in uno stato di perenne allerta, i due terzi delle nostre Forze Armate. Due generazioni di soldati italiani si sono succedute ai confini orientali, aspettando che il nemico si materializzasse da un momento all’altro sui bassi crinali delle Alpi Giulie, come la guarnigione della mitica fortezza Bastiani del ‘Deserto dei Tartari’ di Dino Buzzati.
All’insaputa dell’opinione pubblica e della maggioranza dei cittadini, il Friuli Venezia Giulia era puntinato di istallazioni segrete, mentre i piani di arresto di una ipotetica invasione erano provati periodicamente proprio qui, sul nostro territorio.
Oggi lo scacchiere internazionale è completamente cambiato, il baricentro si è spostato verso il Mediterraneo e l’area mediorientale, così le istallazioni sono state abbandonate (nella nostra regione siamo passati nel giro di vent’anni da 150 a 12 caserme operative) e molte informazioni desecretate. “La difesa territoriale  - spiega Eligio Grizzo, ufficiale dell’Esercito in congedo e studioso di storia militare -   si esprimeva attraverso reparti mobili corazzati e di fanteria con il forte ausilio di fortificazioni permanenti, dette ‘opere’, arredate principalmente da cannoni controcarro, mitragliatrici, posti di osservazione e comando”. Alcune, molto semplici, erano costituite da torrette di carro armato interrate; altre erano molto più elaborate.  Le ‘opere’ si estendevano principalmente a ridosso del confine della Ex Jugoslavia e, secondo le direttrici Nord-Sud, lungo le rive destre dei fiumi maggiori: Isonzo, Judrio, But, Torre-Fella, fino al Tagliamento, che costituiva l’ultima linea di difesa fissa.
Altre fortificazioni erano costruite in prossimità degli assi stradali principali. Spesso si trattava di postazioni con cannoni celate dentro magazzini di materiale dell’Anas. Altre opere, dotate di armi automatiche, erano mascherate da covoni. Un espediente piuttosto ingenuo, soprattutto per le collocazioni spesso improbabili. Per esempio è ancora visibile un ‘covone’ su una piazzola dell’autostrada A4, a un chilometro e mezzo circa dall’uscita di Villesse. Ma non solo: sul greto del Tagliamento, tra Venzone e l’uscita dell’autostrada ‘Carnia’, c’è ancora il ‘fornello’ per l’inserimento di una mina nucleare tattica, l’extrema ratio in caso di sfondamento delle linee, per contaminare l’intera area e ritardare l’avanzata del nemico lungo quella direttrice. Il ‘fornello’ si presenta come un gigantesco sasso, completamente cavo al suo interno, al quale si accede attraverso un piccolo pertugio. Altri fornelli atomici pare siano presenti anche nel territorio della ‘Soglia di Gorizia’. L’invasione titina In realtà, lo stato d’allerta delle nostre truppe non superò mai il livello ‘Verde’, quello dell’addestramento normale, se non in una occasione, nel 1953, quando sembrava imminente un’invasione del Friuli Venezia Giulia da parte dell’esercito Titino.  Per il resto, salvo le periodiche manovre Nato, le cosiddette Display Determination, e qualche  innocua scaramuccia sulla linea del confine per lo spostamento dei cippi, la vita sul fronte orientale scorse piuttosto tranquilla. Almeno questo è quello che ci è dato sapere.

 

Apertura bunker: a ferragosto nuovi orari

Da ilgiornaledivicenza.it del 13 agosto 2015

In occasione di ferragosto, sabato 15 agosto 2015, il bunker di Kesserling alle terme di Recoaro sarà visitabile il mattino dalle 10 alle 11 e il pomeriggio dalle 14 alle 18.

Domenica 16 sarà aperto sempre dalle 14 alle 18. Inoltre per gruppi di una decina di persone è possibile, rivolgendosi allo IAT di via Roma, ottenere un'apertura straordinaria.

L'attività è curata dalla Pro Loco di Recoaro.

 

Collio, la guerra fredda vista dal Dosso dei Galli

Da bresciaoggi.it del 12 agosto 2015

È uno straordinario viaggio nella storia e nella memoria quello in cartellone per questa sera dalle 20,30 nel Centro congressi di Collio. Si parlerà della vecchia base Nato del Dosso dei Galli; delle grandi antenne paraboliche che dal 1969 al 1995 hanno sorvegliato la «Cortina di ferro». A raccontare quell'epoca, col patrocinio del Comune e per l'organizzazione della associazione culturale locale «Vivere la nostra storia», saranno gli ex operatori del centro di ascolto: gli amici del gruppo «Idgz Ace High team», proprio i militari che si occupavano di un compito segreto e delicatissimo. Sarà un «amarcord» anche per i vecchi scialpinisti che negli anni '70 giravano di cresta in cresta sul Maniva con ai piedi gli sci di legno con le lamine fissate con le viti. Diretti ai Setteventi, salivano sempre il Dosso dei Galli, e una volta davanti piegando a destra, e aggirando la base militare, scendevano dalla parte opposta evitando di tagliare la parete verticale a Nordovest. Sul piazzale delle antenne il personale militare riconosceva da lontano gli appassionati, e le sentinelle si facevano avanti invitandoli a bere un caffè. Non c'erano molti satelliti in orbita all'epoca, e lassù c'era una delle 49 stazioni Troposcatter Nato (Idgz in codice) divenuta di primaria importanza dopo l'uscita della Francia dall'Alleanza atlantica. Utilizzava un sistema ritenuto affidabile anche in condizioni meteo avverse: il segnale radio a microonde in fascio stretto lanciato verso la troposfera superava gli ostacoli, scendeva, era intercettato e rilanciato dalle diverse stazioni a «balzi» (quello del Dosso sparava verso Malta, Grecia e Turchia), e poteva far scattare un allarme in tempo reale su una linea di 12 mila chilometri. Poi arrivò un esercito di satelliti; nel 1995 la Nato lasciò la base e offri agli enti pubblici la possibilità di acquistarne gli edifici. Si parlò di un grande rifugio in quota ma tutto finì in niente. Stasera si racconterà questa storia e ci sarà anche un annuncio: gli ex operatori e Vivere la nostra storia vogliono creare un museo permanente. oE.BERT.

 

I castelli catari candidati a Patrimonio dell’Unesco

Da fidelityhouse.eu del 12 agosto 2015

I castelli catari sono tra le attrazioni turistiche più gettonate della regione francese della Linguadoca. Risalenti al secolo XII, i castelli catari sono delle imponenti fortificazioni arroccate sulle cime più alte delle montagne, molto difficili anche da raggiungere e per questo affascinanti e pieni di mistero. I castelli catari sono stati i protagonisti della Crociata albigese e hanno svolto un ruolo molto importante nella regione Midi-Pirenei per favorire l’espansione della Chiesa catara e per proteggere i numerosi cristiani perseguitati.

I castelli in verità sono dei villaggi fortificati a cui centro si trova un torrione: qui viveva il signore locale e per la sua importanza storica i castelli catari sono candidati all’inserimento nel patrimonio mondiale dell’Unesco. Tra questi si distinguono le rocche catare di Montségur, di Lastours/Cabaret, Peyrepertuse, Puivert, Puilaurens, Queribus, Termes, Aguilar e Roquefixade. Ogni anno le rocche catare attirano circa 400mila turisti che da ogni parte del mondo vengono qui per  ammirarne la bellezza e l’originalità.

Se i castelli catari entrassero nel patrimonio dell’Umanità dell’Unesco il numero di visitatori potrebbe crescere enormemente durante l’anno e favorire la presenza di turisti provenienti dai paesi asiatici. Il sindaco di Duilhac, sede della rocca di Peyrepertuse, ha commentato così la scelta di candidare i castelli catari all’Unesco:”I catari non erano dei costruttori, loro non hanno mai costruito nulla. Queste sono delle fortezze medievali edificate su antichi castrum che appartenevano ai signori occitani e che furono conquistate durante le crociate”. 

Le rocche catare presto quindi potranno essere conosciute in tutto il mondo da un punto di vista diverso, come monumenti preziosi da salvaguardare per la loro testimonianza di un mondo ormai passato che non tornerà più ma che affascina anche dal punto vista storico religioso. Una importante decisione che senza dubbio attirerà nuovi visitatori e permetterà alle fortificazioni di essere protette dall’usura del tempo che corre.

 

Saseno, l'isola bunker dell'Albania comunista apre ai turisti

Da askanews.it del 10 agosto 2015

Roma, (askanews) - È stata la base militare più segreta dell'Albania comunista nonché postazione di vedetta alle porte dell'Adriatico: oggi l'isola di Saseno apre ai visitatori i suoi bunker e tunnel anti-atomici, immersi in una natura selvaggia, con le autorità che sperano di farne un'attrazione turistica.

Il direttore dell'Agenzia nazionale della costa albanese, Auron Tare: "Questa - dice - è un'isola che può riflettere l'Albania comunista, una zona bellissima circondata da filo spinato, installazioni militari, completamente isolata dal resto del mondo e convinta che sarà attaccata, ma così non è mai stato. In un certo modo rappresenta il passato dell'Albania".

Secondo Tare è una destinazione per viaggiatori che si fanno delle domande e non certo per il turismo di massa. "È un luogo per viaggiatori che vogliono provare l'esperienza di qualcosa che assomigli a una capsula temporale - ha concluso - per viaggiare indietro nel passato e capire cosa sia l'isolamento".

Mihal Lule, ex soldato che su questa piccola isola montagnosa ha vissuto 17 anni all'epoca della dittatura comunista (1945-1990), la ricorda così: "Pensavamo alla guerra 24 ore su 24 per difenderci dal nemico, la pressione psicologica era grande", spiega. "I nostri possibili aggressori erano il blocco sovietico e la Nato, considerati minacce per l'integrità territoriale dell'Albania".

Saseno, situata all'entrata della baia di Valona, nel canale D'Otranto, è attraversata da oltre 3.600 bunker, chilometri di tunnel e installazioni sotterranee - tra cui un cinema, una scuola e un ospedale.

Fortezze Storiche un altro passo verso l'Unesco

Da l'arena.it del 8 agosto 2015

"Le opere di difesa veneziana tra XV e XVII secolo": è il nome del sito seriale transnazionale all'interno del quale anche Peschiera del Garda chiederà l'iscrizione nella Lista dei Patrimoni dell'Umanità (World Heritage List) dell'Unesco. Il progetto, avviato nel 2009, in Italia abbraccia anche Bergamo (Comune capofila), Palmanova (Udine), Venezia, Chioggia e comprende anche la Croazia con Zara, Sebenico e Curzola e il Montenegro con Castelnuovo e Cattaro.

Nel 2014 ha ottenuto un primo via libera grazie all'iscrizione nella «lista propositiva», con cui l'Unesco ha incaricato i richiedenti di produrre la parte storico documentale più corposa. Una seconda svolta è arrivata a metà luglio, quando Regione Lombardia, provincia e comune di Bergamo hanno sottoscritto il Protocollo d'intesa nazionale «per la definizione e l'attazione della parte nazionale dei dossier di candidatura e del piano di gestione del Sito». L'obiettivo, ha spiegato in quella occasione l'assessore regionale alle Culture identità e autonomie Cristina Cappellini, è fare in modo che questo sito rappresenti la candidatura italiana all'Unesco per il 2016.

Lo conferma anche l'assessore alla cultura di Peschiera Elisa Ciminelli: «Stiamo preparando il dossier per presentare la candidatura, siamo a un ottimo punto nonostante i ritardi accumulati a causa del Montenegro, che sembrava si ritraesse per carenza documentale, situazione peggiorata dal fatto che mancava un referente alla cultura», fa sapere Ciminelli, precisando che «oggi i problemi si sono risolti». A marzo di quest'anno il protocollo era stato approvato dal comune di Peschiera, che rinviava la sottoscrizione anche agli altri soggetti (Demanio dello Stato e Cassa depositi e prestiti) proprietari di parti delle mura e dei fabbricati della fortezza arilicense. I vari dossier del progetto dovranno essere presentati unitariamente entro febbraio: se il termine sarà rispettato, da quel momento l'Unesco avrà 18 mesi di tempo per decidere se inserire o meno il Sito transnazionale nella World Heritage List. Il primo riconoscimento ottenuto da Peschiera risale al 2011, quando i siti palafitticoli di località Belvedere e del laghetto del Frassino sono stati definiti Patrimonio mondiale dell'Umanità assieme a quelli di altri sei Stati europei, tutti ricompresi tra i «Siti palafitticoli preistorici attorno alle Alpi». di Katia Ferraro.

 

 

I forti di Portoferraio nell’Isola d’Elba

Da

L’Isola d’Elba è una magnifica cornice naturale che fronteggia la regione Toscana. Si tratta di un’isola speciale, che da millenni rappresenta un punto di villeggiatura per chi ricerca un mare molto bello e delle bellezze naturali particolari, un po’ selvagge e ricche di fascino. L’isola d’Elba ha infatti saputo mantenere inalterato il suo fascino originario e, anche al giorno d’oggi, si propone come un’isola ricca di bellezze naturali, di riserve e di piccoli borghi dove è possibile respirare l’aria del passato. 

Chi sceglie di visitare quest’isola e di trascorrerci le vacanze può dedicarsi al relax, alla vita di mare e alle lunghe nuotate, ma anche scoprire i tanti itinerari dell’entroterra che offrono la possibilità di fare lunghe e panoramiche passeggiate. Terra e mare si fondono, infatti, in quest’isola così bella, piccina ma ricca di attrattive storiche e culturali. Il tutto senza trascurare il relax e la vacanza, infatti oltre allo splendido paesaggio naturalistico potete trovare numerosi alberghi Elba con animazione perfetti per una vacanza in famiglia con bambini. In particolare, la località di Portoferraio si rivela ricca di fortificazioni dell’epoca medicea, che ancora oggi si stagliano nell’azzurro del mare e che rappresentano delle mete belle e alternative da visitare durante la stagione estiva. Si tratta di tre forti storici, la Torre della Linguella, il forte Stella e il forte Falcone, tre imponenti strutture che sono dislocate a poca distanza fra di loro e che possono essere visitate durante una passeggiata pomeridiana o serale, per godere del panorama magnifico che essi offrono e per conoscere un po’ di storia di questi carismatici luoghi.

La torre della Linguella

L’isola d’Elba annovera molte fortificazioni nel suo territorio e, come accade in molte isole del nostro Paese, si tratta di edifici che venivano impiegati per visionare l’orizzonte e proteggere le coste dall’arrivo delle flotte di invasori. Molte di queste fortificazioni sono rimaste inalterate nel corso del tempo e, al giorno d’oggi, rappresentano una bella attrazione da visitare. È questo il caso della torre della Linguella, un imponente edifico che si trova nella punta omonima e che si chiude con forma di ferro di cavallo nella darsena di Portoferraio. Questo edificio è accessibile percorrendo la calata, quindi si tratta di una bella passeggiata che può essere compiuta durante la giornata, per ammirare il mare da un punto di vista diverso e scoprire la storia dell’isola.

L’accesso dell’area della torre di Linguella è aperto solo nelle stagioni estive, mentre le zone interne sono spesso adibite a mostre d’arte, quindi vengono aperte in speciali occasioni e non durante tutto il corso dell’anno. Chi viaggia nell’isola d’Elba può quindi controllare se si stanno esponendo delle opere in questo edificio, in quanto si tratta di un’occasione molto bella e speciale per gustarsi una mostra in un luogo davvero unico in tutta Italia. La torre della Linguella ha una forma ottagonale e si alza per ben tre piani con soffitti costruiti a volte. Il terzo e ultimo piano è sormontato da una speciale piattaforma, che un tempo era adibita a ospitare le cannoniere. Purtroppo la torre fu pesantemente bombardata durante la Seconda guerra mondiale, quindi il suo assetto originario è stato mutato, ma una sapiente ristrutturazione ha potuto far tornare agli antichi fasti l’edificio, anche se la porta centrale al piano terra è andata a sostituire l’affascinante entrata originale, che era quella affacciata alla darsena. La forma della torre della Linguella ricorda moltissimo la bocca di un martello e, per questo motivo, essa è chiamata la torre del Martello, o anche la torre del Passanate, in quanto nell’edificio venne recluso l’attentatore del re Umberto I.

L’edificio ha un fascino molto speciale, perché la sua posizione lo fa emergere dal mare e il seminterrato si trova addirittura sotto il livello dell’acqua, un tratto che purtroppo gli fa subire frequenti allagamenti, soprattutto nel periodo delle alte maree. La struttura e la posizione sono però speciali, giacché la torre sembra un edificio immaginario e onirico, che si erge dalle maree e che sembra realmente essere costruito in mezzo al mare.

Storicamente la torre può essere considerata uno dei capolavori medicei che si trovano a Portoferraio, sia per la sua struttura così speciale, sia per i materiali che sono stati impiegati per realizzarla, un mix di mattoni e di marmo che donano alla torre un dolce e carismatico colore rosato, il quale diventa più acceso e infuocato durante i tramonti e che si associa al blu delle acque dando vita ad un paesaggio naturale e architettonico davvero “sui generis”. Si tratta del terzo caposaldo difensivo, assieme alle torri di Stella e Falcone che si trovano nella località di Portoferraio, ed è posteriore alle costruzioni di queste due roccaforti. La torre è opera esclusiva di Giovanni Camerini, successore di Giovan Battista Bellucci, considerato il primo architetto della località. Il Bellucci aveva progettato la torre della Linguella come un semplice edificio di difesa, molto semplice dal punto di vista architettonico, ma il suo successore Camerini volle dare vita ad un autentico capolavoro, quindi sviluppò un progetto più ampio e scenografico, che ebbe inizio nel lontano 1548.

Si trattò di un lavoro speciale quanto monumentale, al quale parteciparono ben 200 operanti e che richiese molti anni di lavoro. Nel 1959 la torre venne restaura in seguito ai disastrosi bombardamenti della II guerra mondiale e scavando nelle fondamenta venne alla luce una lapide che celebrava l’inizio dei lavori, la quale riportava la dicitura ‘Cosimo de’ Medici duca di Firenze a fondamento l’anno MDXLVIIII AD VIIII luglio’. Molto scenografica era anche la catena di fianco che raggiungeva la famosa località del molo del Gallo, la quale era lunga 135 metri e completamente realizzata da tavole di legno unite da massicci anelli di ferro. La torre venne rafforzata nella metà del 1600, ad opera del granduca di Toscana Ferdinando II, il quale considerava la postazione troppo poco resistente, quindi fu aggiunto un avambraccio fortificato, anch’esso purtroppo distrutto dai bombardamenti. La storia della torre della Linguella vide anche la costruzione di un piccolo ponte lavatoio e di vari edifici attigui pensati per la realizzazione di una tonnara. Nella seconda metà del ‘700 la torre di Linguella fu adibita a bagno penale e la torre portò avanti la sua funzione fino al 1942. Briganti, anarchici di inizio secolo e antifascisti furono rinchiusi in questa scenografica torre, che a causa dei bombardamenti venne chiusa e mai più riaperta se non dopo il restauro avvenuto nell’immediato dopoguerra.

Il forte Stella di Portoferraio

Il forte Stella è dislocato nella parte alta del borgo di Portoferraio e, assieme al forte Falcone e alla torre della Linguella, rappresenta una delle tre maggiori fortificazioni presenti in questo territorio. Come si può notare questa incantevole isola non è solo splendido mare, alberghi e villaggi, ma in realtà offre molto di più, borghi e forti medievali tutti da scoprire.

La vista che si gode dal forte è davvero speciale, poiché è possibile spaziare la vista sul mare e sulle terre vicine, dalla costa settentrionale fino al mare aperto e allo Scoglietto. La sua forma è particolare e il colore rosa che lo contraddistingue rappresenta un punto distintivo, in quanto esso si erge fra le case antiche del borgo con la sua struttura snella ed elegante. Il forte Stella è dislocato al culmine delle due colline che formano il dolce promontorio del borgo e si raggiunge semplicemente risalendo dalla centrale Piazza della Repubblica o percorrendo le strette gradinate della Stella. Il forte Stella è, al giorno d’oggi, una proprietà privata, ma esso può essere visitato tutto l’anno attenendosi agli orari di vista stabiliti. Il nome forte Stella deriva dalla sua forma speciale, poiché si tratta di una struttura a cinque punte costruita con mattoni di terracotta che gli donano la caratteristica tinta rosata. All’interno del forte si respira tanta storia e ogni sezione riporta alla mente battaglie lontane e un passato ricco di avvenimenti. Realizzato dall’architetto Camerini, il forte Stella presenta un ingresso davvero scenografico, mentre le stanze interne testimoniano la sua valenza militare, in quanto il forte era il centro decisionale del territorio. Il forte fu inizialmente progettato dal Bellucci e successivamente completato dall’allievo Camerini nel 1548. La storia del forte Stella si lega al Dopoguerra, in quanto dapprima fu acquistato da una grande società italiana, per poi essere smantellato in diversi lotti e al giorno d’oggi presenta diversi proprietari privati.

Il forte Falcone

Il terzo forte che compone la barriera difensiva di Portoferraio è il forte Falcone, meravigliosa costruzione che si trova sulla collina più alta della località.

Dalla sua posizione si possono scorgere dei panorami davvero speciali, soprattutto dagli spalti esterni che dominano il mare e il borgo sottostante. Il forte si raggiunge semplicemente da ogni parte del centro, soprattutto mediante delle scalinate ripide e scenografiche.

La forma del forte è irregolare e quadrata e questo edificio è forse il meno scenografico dal punto di vista architettonico, ma quello più solido e robusto, ovvero il forte che più di tutti regala un senso di protezione a chi lo ammira. L’area occupata dalla struttura è imponente, poiché la superficie della costruzione è di ben 1726 metri quadrati. Si tratta della prima costruzione fortificata progettata dal Bellucci, che diede il via ai lavori poco prima di realizzare il forte Stella. Si tratta dell’edificio che maggiormente ha conservato la sua vocazione militare, in quanto fino a tempi recenti è stato gestito dalla Marina Militare Italiana. Attualmente il forte si presenta restaurato ed è stato acquistato dal comune di Portoferraio che lo impiega per organizzare eventi legati alla stagione estiva e anche durante il resto dell’anno.

L’edificio è stato riaperto al pubblico solamente nel 2011 e anche le sue sezioni interne sono state restaurate in modo preciso. Visitare il forte è un’esperienza molto interessante, e se nel borgo vengono organizzati degli eventi serali o notturni è ideale approfittarne, per ammirare il panorama meraviglioso che si gode dalla sua posizione e fare un tuffo nella storia centenaria dell’isola d’Elba e degli scenografici borghi che costellano le sue rive.

 

Martedì visita guidata al castello arabo-normanno di Castellammare del Golfo

Da alqamah.it del 3 agosto 2015

CASTELLAMMARE DEL GOLFO – Nell’ambito della manifestazione “Un’Estate con SiciliAntica” si terrà Martedì 4 Agosto 2015 alle ore 10,00 a Castellammare del Golfo la visita guidata al Castello arabo-normanno che si erge su uno sperone roccioso prossimo al mare.

Le prime notizie riguardanti il castello sono riferite dal geografo arabo Idrisi.

La costruzione del maniero si attribuisce agli arabi che lo eressero, intorno al X secolo, anche se probabilmente esistevano già delle preesistenti fortificazioni. Ampliato dai Normanni, divenne poi un’importante fortezza degli Svevi che lo cinsero di mura e vi innalzarono delle torri.

A seguito della resa a Roberto d’Angiò, nel 1316 gli Aragonesi si impadroniscono del castello, e procedono alla distruzione delle fortificazioni ed una delle torri. Successivamente il Castello fu ricostruito. Nel 1521 la struttura venne protetta da una prima cinta muraria e, eretta una terza torre, chiamata “il Baluardo”. Nel 1587 venne completata la seconda cinta muraria, munita di tre porte d’accesso.

Oggi il castello è stato restaurato e ospita al suo interno, il Polo Museale “La memoria del Mediterraneo”.

Esso è articolato in quattro sezioni: Museo dell’acqua e dei mulini, Museo delle attività produttive, Museo archeologico e Museo delle attività Marinare.

Per info tel. 091.8112571 – 339.5921182

E-mail: unestateconsiciliantica@siciliantica.it

 

 

L'aviazione chiude gli accessi alla base Nato del Melogno: nuove rivelazioni sulla struttura del Monte Settepani a Voyager

Da savonanews

Giacobbo durante le riprese di Voyager (foto Arena

 

I segreti dei sotterranei del Monte Settepani, sopra Finale Ligure, nuovamente protagonisti di Voyager. Domani sera, lunedì, il noto programma di Rai Due condotto da Roberto Giacobbo dedicherà una puntata, con nuove rivelazioni del gruppo Savona Sotterranea Segreta, ideato da Claudio Arena.
“Come ormai in molti sanno, spiega Claudio Arena, questi cunicoli, celati per segreto militare, furono edificati durante il periodo del dopo guerra, esattamente in piena “guerra fredda”. Si tratta di un lavoro di scavi e di fatiche, durato molti anni, con uno sviluppo artificiale di circa 3000 mq, per un percorso di 1500 mt; il tutto a una profondità dalla cima di 61 mt. Al suo interno, si trova una della camere forse più grosse mai scoperte in Italia”.
Nella puntata si parlerà però di nuovi sviluppi, come ci spiega lo stesso Arena:"L'aviazione militare che presidia il posto ha cementato tutti gli accessi ai sotterranei con uno strato alto 3 metri e spesso 40 centimetri".
“Ma facciamo un piccolo passo in dietro. Intanto va precisato che, pur se ufficialmente le carte parlano di americani alla base Pian dei Corsi dal 1963, con la richiesta di edificare la caserma, si sa per certo e da testimonianze attendibili, che gli americani giravano in zona già almeno dal 1954. Per altro sono stati rinvenuti manufatti con tale data a prova della loro presenza.
“Le ipotesi di alcuni, prosegue Claudio Arena, ci volevano far credere si trattasse giustappunto di un rifugio anti nucleare-atomico, ma è molto strano pensare a una cosa del genere,
considerando che tutto il complesso ha decine di parti esposte e dirette con l' esterno, quando sappiamo bene che un complesso anti atomico, è costruito totalmente in autonomia, stagno, con porte blindate, minimo un metro di spessore e con tutto un sistema di rigenerazione aria e così via. Senza contare che al suo interno non era prevista nessuna sosta umana, infatti i segni visibili, sono tangibili direttamente analizzando il posto. Non esistono latrine, ne scarichi di acque nere, o sistemazione logistiche per i militari.
Oggi sono anche a conoscenza di tutte le ditte che hanno lavorato, le ho contattate e parlato con alcuni anziani operai. Ho seguito il mio istinto dall' inizio, ma gli indizi sono tutta altra cosa rispetto quello che alcuni volevano proporci. Oggi posso dire con assoluta certezza che, tutto questo complesso sotterraneo altro non era che un' importante deposito armi.
“Probabilmente, prosegue il portavoce del gruppo Savona Sotterranea e segreta, uno dei tanti in disuso ma tanti ancora segreti e costruiti in Italia. Considerando le dimensioni, indubbiamente, uno dei più grandi in assoluto, e visto l'epoca, forse il più grande deposito di esplosivi in Italia. Dimostrazione anche il fatto che venne costruito in zona isolata, al di sotto del monte, giacché in caso di emergenza grave, dovuta ad incendi o esplosioni, potesse fare meno danni possibili quindi implodere e collassare su se stesso”.
“ Mi vien ancora in mente la moglie di un militare Usa, che intervistata e  sentita anche durante la trasmissione rai Voyager, più volte diceva: “Siamo seduti su una polveriera”. Ora tutto è chiaro e tutto collima, senza dubbi. Come detto è significativo è il fatto storico che i militari Usa erano nella nostra zona già dal 1954, stesso periodo che ufficializzavano il Comando di Camp Darby presso Livorno ( oggi una cittadella ) dove al suo interno a decine di metri sotto, esiste ora il più grande arsenale di armi in Europa. Ecco pertanto che gli scavi furono realizzati sotto la base AM Italiana del Settepani, per costruire un deposito segreto di armi per gli Americani, che poi ufficializzavano la loro base “Radio Scatter site 046” ai Pian dei Corsi solo nel 1963. Quei sotterranei erano un deposito che metteva in sosta armamenti importantissimi del periodo, quindi successivamente essere trasportati a Camp Darby che in quel periodo era in via di ultimazione”.
“Seguendo questi indizi, prosegue Claudio Arena, ho potuto verificare che ancor oggi gli Americani usano, per tecnica e modalità, costruire Hangar per deposito armi proprio simili a quello rinvenuto al Settepani. Quella stanza di 200 mq che tanto mi aveva impressionato e fatto parlare”. “In quei corridoi sotterranei che parevano stretti per dei camion, circa 1,60 mt di utilizzo, su 2 mt ( anche se le leggende parlavano di camion che sparivano dentro la montagna ) ci passavano sì dei mezzi, ma precisamente dei muletti militari per trasportare al suo interno bombe di ogni tipo.In oltre al suo interno avevamo rinvenuto due cartelli segnaletici al muro, uno di svolta a sinistra e uno di incrocio a testimonianza di movimentazione. In oltre si pensava a due uscite laterali, ma proprio seguendo queste indicazioni, in realtà si tratta di un' entrata e un' uscita, giusto per permettere ai muletti militari di scaricare il materiale e riuscire senza incrociarsi con altri mezzi”.
“I primi allarmi in merito di possibili armamenti speciali, arrivarono appunto in quegli anni dal Ministero della Difesa francese, il quale mandava comunicati e avvisi, che vi erano a Pian dei Corsi, missili a testate nucleari. In realtà si trattava del Settepani e come detto, non potevano esserci missili pronti al lancio, non ci sono indizi utili che facciano pensare a questo, ma testate depositate e custodite segretamente si”, conclude Arena

 

Chianale: incontro storico sulle fortificazioni della Valle Varaita

Da

Venerdì 31 luglio alle ore 21,00 presso la Chiesa di San Lorenzo di Chianale un interessante incontro storico culturale dedicato a"IL VALLO ALPINO E LE FORTIFICAZIONI DELL'ALTA VALLE VARAITA TRA STORIA E CURIOSITA'".

Ospite e relatore della serata il Dr. Diego Vaschetto, scrittore, geologo e specialista in scienze e culture alpine.

La Valle Varaita venne intensamente fortificata a partire dall'inizio degli anni Trenta del secolo scorso con lavori che si protrassero fino alla fine del 1942 e che portarono alla realizzazione di opere in molti casi originali e uniche.

Una serata dedicata alla scoperta delle postazioni tutt'ora visibili dal Vallo alpino tra casermette, osservatori, batterie d'artiglieria, strade e mulattiere ubicate in prossimità del confine ed in luoghi spesso particolarmente selvaggi ed in molti casi tutt'ora poco frequentati.

 

Riapre la Rocca d'Anfo: da agosto visite guidate

Da brescia.corriere.it del 27 luglio 2015

Questione di giorni. Il presidente della Comunità Montana di Vallesabbia Giovan Maria Flocchini è in trepidante attesa. Entro la fine del mese è annunciata la conclusione dell’operazione «Rocca d’Anfo» con la concessione da parte della Regione Lombardia dello  straordinario complesso militare napoleonico alla Comunità montana. A sua volta il Pirellone lo riceverà dal Demanio per la durata di 19 anni. A partire da agosto poi fino a settembre, nei fine settimana, almeno una parte del presidio difensivo militare tornerà ad essere aperta al pubblico.

I LAVORI DI QUESTA PRIMA TRANCHE TERMINERANNO ENTRO SETTEMBRE Nella sede di Nozza di Vestone l’entusiasmo è alle stelle. «Da tempo - spiega Flocchini - aspettiamo questo momento e in tanti hanno contribuito a realizzarlo. In particolare l’assessore regionale al territorio Viviana Beccalossi che ha portato avanti tutta la partita. Piena collaborazione anche con il comune di Anfo». Sul versante politico dunque a giorni la firma ufficiale mentre alla Rocca si lavora da un paio di mesi alla messa in sicurezza del versante che si affaccia sulla strada costiera. L’appalto vinto da una ditta specializzata di Bovegno, la Stazzi Livio, indica un importo di 700 mila euro circa. Primo importante traguardo la riapertura almeno in parte della struttura dopo una frana che negli anni scorsi l’aveva danneggiata e resa insicura. L’impresa ha operato per rendere subito visibile seguendo un percorso obbligato il settore meridionale dall’ingresso fino alla sommità. Ma molto resta da fare. I lavori di questa prima tranche termineranno entro settembre.

PER LE VISITE SI COMINCIA AD AGOSTO, SABATO E DOMENICA Nei sogni del presidente Flocchini però ci sono altri finanziamenti per i quali sono state avviate le richieste: primo tra tutti quello di 500 mila euro messo a disposizione da Cariplo e Regione Lombardia. . Sarà deciso nei prossimi giorni. Saranno visite guidate, due il mattino, una il pomeriggio. È richiesta la prenotazione. Tutte le info su www.roccadanfo.eu. Un’occasione da non perdere, questa, per visitare almeno in parte, lo spettacolare sistema di fortificazioni che si affaccia sul lago d’Idro. Lo sbarramento è antico - dicono gli storici - era presente già in età carolingia. Successivamente ampliato e potenziato fino a giungere al periodo napoleonico dal 1796 al 1813. In quegli anni prende forma il progetto dell’architetto F. J. Didier Liedot, per un coerente sistema fortificato del quale rimangono diversi elementi: caserme, casematte, la lunetta, l’osservatorio. Ampliata e fortificata con baluardi e bastioni da Giuseppe Zanardelli nel 1878-1881, non venne poi utilizzata, se non come polveriera, nella Grande Guerra. Dopo il 1915-1918 la Rocca d’Anfo perse ogni importanza strategica e venne usata soltanto come deposito di munizioni. Dal 1975 non ospita più alcun contingente militare. Quella successiva è una storia di progressivo declino, seppure di tanto in tanto rivitalizzata da qualche meritevole tentativo. Da oggi però inizia una nuova era. Una nuova alba sull’Eridio. di Maria Paola Pasini.

 

 

Alla scoperta dei passaggi segreti della Fortezza Malatestiana

Da forli24ore.it del 25 luglio 2015

CESENA. Scoprire i passaggi segreti della fortezza malatestiana, attraverso racconti e letture animate ascoltate al lume di lanterna.

 

Fra letture, suoni e degustazioni di prodotti tipici, la Rocca Malatestiana torna ad illuminarsi domenica 26 luglio, dalle ore 20 alle 21.15.

 

Bambini (a partire dai 9 anni) e famiglie potranno intraprendere un suggestivo percorso, che vedrà al centro la figura di Domenico Malatesta, detto “Novello”.

Sotto la sua guida, la città di Cesena visse un periodo di notevole splendore artistico e culturale: contribuì a costruire la Biblioteca Malatestiana all’interno del Convento di San Francesco, portò a termine il restauro della cinta muraria, oltre a far costruire un ponte di pietra sul fiume Savio (distrutto da una piena nel 1684) ed altri importanti edifici.

Nel corso della visita si parlerà di com’era un tempo e di com’è oggi la città di Cesena, ricordando il Canali dei Mulini e la vasta cinta muraria che percorre la città e che tanto ha affascinato personaggi come Cesare Borgia e Leonardo da Vinci.

Il percorso che si svolgerà a lume di lanterna e alla luce del tramonto, avrà luogo nei camminamenti interni alle mura, negli spalti panoramici e nei torrioni. Costo: 12 euro a persona, 10 euro per bambini dai 9 ai 12 anni. In biglietteria occorre arrivare un quarto d’ora prima dell’inizio della visita.

 

Il fascino del Castello di Matsumoto

Del 20 luglio 2015

MATSUMOTO - Terra di filosofi, guerrieri e straordinari architetti, il Giappone del passato non è particolarmente famoso per i suoi castelli. Eppure la terra del Sol Levante ospita alcuni brillanti esempi architettonici anche in questo campo. Uno su tutti è il castello di Matsumoto, cittadina che appartiene alla prefettura di Nagano, non molto lontano da Tokyo. Si tratta di un complesso monumentale di grande bellezza, a picco su uno specchio d’acqua che lo rende ancor più affascinante.

Chiamato anche il “castello del Corvo”, a causa della sua mura nere e delle ampie tettoie che ricordano le ali spiegate di un uccello, la fortezza di Matsumoto vede la sua fondazione attorno al 1500, in piena epoca Sengoku. A costruirlo fu il clan Ogasawara, che lo intitolò castello Fukashi. Il clan cadde poi in rovina e il castello passo in mano ad altre dinastie. Ishiwaka Norimasa completò la costruzione della fortezza con l’edificazione delle torri. Attualmente, il castello copre un’area di 39 ettari: ad occuparle, principalmente, è in donyon, la struttura centrale della fortezza, attorno alla quale, insieme alle torri, si trovano i magazzini per le armi, quelli della biblioteca e degli oggetti di valore.

Più esterni, invece, si trovavano gli alloggi dei samurai che facevano parte della guardia personale dei daimyo, ovvero il signore del castello. Il donyon, con i suoi sei piani, è l’elemento di spicco del castello: dall’esterno è possibile vedere solo cinque livelli perché il terzo era un piano segreto, dove il signore poteva rifugiarsi in caso di attacco nemico.

 

Botta e risposta culturale sul passato di Siracusa. E una nuova riproduzione in 3D della fortezza spagnola di Ortigia

Del luglio 2015

Riceviamo e pubblichiamo una nota dell'ingegner Umberto di Marco, autore della restituzione grafica della Porta di Ligny che dopo aver letto le puntualizzazione da parte dei docenti della Facoltà di Architettura di Siracusa su una "primogenitura" della restituzione in 3d di plastici e disegni noti da tempo relativi alla grande fortezza spagnola di Siracusa intende esprimere alcune precisazioni.

"Premesso che sconosco le ricostruzioni in 3D effettuate dai docenti della Facoltà, tengo a precisare che le ottime ricostruzioni di Andrea Raimondo da me suggerite per puro piacere della mente, si inquadrano non in una banale “attenzione verso quei beni che tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 sono stati cancellati per sempre ….”, ma in un’idea, questa sì originale, di ricostruzione virtuale della fortezza spagnola del XVI e XVII secolo, per far diventare Siracusa l’unica città del mondo in cui poter leggere l’intera storia delle fortificazioni, dal Castello Eurialo (periodo greco) al Castello Maniace (periodo medievale), alla fortezza spagnola (periodo moderno).

Le mie ricerche, che non si fermano alla sola fortezza spagnola ma proseguono con il Castello Eurialo (del quale ho fatto realizzare l’unico plastico in scala, di 2m x 1m con più di 10.000 mattoncini di pietra), Archimede, elementi di Archeologia Sperimentale e molto altro ancora, si basano esclusivamente su studi approfonditi e consulenze fondamentali come quella dell’illustre studiosa Liliane Dufour.

Sarebbe difficile, se non impossibile comprendere correttamente le peculiarità delle fortificazioni di qualsiasi periodo storico se prima non si studiano approfonditamente le armi in uso in quel determinato periodo, come ad esempio le vere catapulte greche utilizzate nel già citato Castello Eurialo, e non quelle fantasiose che qualche anno fa ho visto riprodotte da allievi architetti, vero sberleffo alla storia di un periodo straordinario, quello ellenistico, in cui nascono ad opera del nostro Archimede, la fisica-matematica e la tecnologia scientifica. Questo è il mio intendimento, questa la precisazione che devo".

 

 

Pornassio, il Comune vuole ristrutturare Forte Bellarasco: previsti interventi per 1.258.800 euro

Da riviera24.it del 21 luglio 2015

L’opera militare , che come il “Forte Centrale” è ubicato sulla vetta del Colle di Nava, è ben conservato e tuttora visitabile. Perno del sistema difensivo ( campo trincerato di Nava) è stato realizzato dal 1880 al 1888 al fine di impedire che eventuali truppe francesi, sbarcate sulla costa nei pressi di Imperia, potessero dirigersi verso il Piemonte e la Pianura Padana attraverso la strada da Oneglia a Ormea.

Secondo le parole degli stessi tecnici comunali, il recupero del forte sarà: “ conservativo del complesso edificato mediante un insieme sistematico di opere che non prevedono interventi invasivi e/o modificativi delle caratteristiche tipologiche, formali e strutturali dell’edificio ed individuano destinazioni d’uso in parte variabili, in parte fisse, tutte comunque complementari, che risultano compatibili con le caratteristiche dell’edificio non prevedendo modificazioni nelle aperture, percorsi e strutture esistenti e contemplando il ripristino di alcuni elementi architettonici quali le pavimentazioni in pietra, laddove non più presenti, caratteristiche della costruzione originaria, nella impermeabilizzazione delle volte di copertura finalizzata alla totale eliminazione delle abbondanti infiltrazioni meteoriche attualmente presenti e rappresentanti l’elemento maggiormente dannoso per le strutture e le finiture, mediante sistemi moderni ma invisibili posto che si prevede il completo ripristino della attuale terra inerbita caratteristica di tutti i forti presenti nel Colle di Nava”

All’interno della struttura, secondo il progetto preliminare, troveranno posto: un bar, un ristorante, un albergo, una palestra, spazi espositivi e zona conferenze.

Sempre il progetto preliminare verrà definito con con l’intento di accedere ad un finanziamento di competenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri attraverso il canale di contribuzione denominato “otto per mille” finalizzato appunto a sovvenzionare interventi di recupero di immobili storici e monumentali nel territorio italiano. La spesa preventivata in sede di progettazione preliminare ammonta ad 1.258.800 euro

 

Tirana underground

Da internazionale del 19 luglio 2015

Al culmine della paranoia per l’invasione da parte di un imprecisato nemico straniero, l’Albania comunista degli anni settanta si riempì di centinaia di migliaia di bunker. Costruiti in cemento armato e capaci di ospitare al loro interno tre, quattro, cinque persone si diffusero come un’epidemia in tutto il paese. Furono costruiti con l’aiuto della Cina, ai bordi delle periferie cittadine, lungo le strade e i sentieri di campagna, nei villaggi di montagna e in quelli di pianura, vicini alla costa adriatica. A quei tempi era molto nota la massima del dittatore albanese Enver Hoxha: “Tutto il mondo deve sapere che in Albania e in Cina vive un miliardo di comunisti”.

Il “processo di bunkerizzazione” voluto dallo stesso dittatore rispondeva alla “necessità prioritaria” di difendersi da un imminente attacco dell’imperialismo occidentale (in primo luogo dell’Italia, che durante il fascismo aveva occupato il paese) o del cosiddetto blocco socialimperialista, (cioè i paesi dell’Europa orientale aderenti al patto di Varsavia e legati all’Unione Sovietica). Oggi simili definizioni possono far sorridere. Ma c’è stato un periodo, negli anni settanta e ottanta del secolo scorso, in cui un piccolo paese balcanico fu letteralmente segregato all’interno dei suoi confini. Negli stessi anni in cui la stesura della nuova costituzione albanese sanciva l’istituzione dell’ateismo di Stato, Hoxha decise di interrompere qualsiasi relazione con l’esterno nell’intento di preservare il suo piccolo paradiso socialista dalla pur minima influenza straniera. Dopo aver rotto con l’occidente e la confinante Jugoslavia di Tito, ruppe nei primi anni sessanta anche con l’Urss di Chruščëv e i paesi dell’est perché ritenuti troppo riformisti. Dopo la breve fase maoista, alla metà degli anni settanta si affievolirono le relazioni con la stessa Cina che aveva abbandonato la “rivoluzione culturale” e si era avviata, dopo la morte del grande timoniere Mao Tse-tung, verso le riforme di Deng Xiaoping.

Ossessione a parte, il “processo di bunkerizzazione” ebbe l’effetto pratico di ricordare, ogni giorno, a un intero popolo di tre milioni di abitanti di essere finito all’interno di un immenso gulag. Dopo la caduta del regime, nel 1991, i bunker furono presi a picconate. Furono ridotti in macerie non solo per cancellare il segno più tangibile della passata oppressione, ma soprattutto per estrarre l’acciaio contenuto nelle loro pareti.

Anno dopo anno, quelle centinaia di migliaia di casupole dal tetto tondeggiante sono scomparse dalle città e dai villaggi albanesi, dalle montagne e dalle coste. In tutta la capitale se ne conserva solo uno, a futura memoria, davanti al palazzo del governo. Sorge in mezzo a un’aiuola verde e nel caos del traffico cittadino sembra essere stato scaraventato lì da un’altra galassia.

Il Grande Bunker

Se il popolo avrebbe potuto trovare riparo nei bunker lillipuziani disseminati in ogni strada o viottolo di campagna, la nomenclatura stretta intorno alla guida del partito avrebbe trovato invece la sua salvezza nel Bunker, quello con l’iniziale maiuscola. Poche cose come la storia della sua costruzione rendono l’idea dell’intreccio tra paranoia, megalomania sfrenata e terrore ideologico che ha stretto a sé l’Albania degli anni settanta. Il Bunker fu costruito tra il 1972 e il 1978. Ma non fu edificato alla luce del sole, né sarebbe stato la versione gigante dei piccoli bunker per la gente comune. Fu scavato sotto una delle ripide colline che dividono la città di Tirana dal monte Dajti alle sue spalle. A differenza di tutti gli altri, che erano sostanzialmente dei presidi difensivi a prova di bombardamento, il Bunker fu pensato come un vero rifugio antiatomico in grado di ospitare – sotto il manto verde che cinge le estreme propaggini della città – tutti membri del politburo, i deputati dell’assemblea del popolo, i vertici delle forze armate. In quei sei anni la dirigenza fece scavare una sorta di piramide egizia sotto i piedi della montagna. Tremila metri quadri di stanze, cunicoli, corridoi, sale, appartamentini divisi su cinque piani e tesi a riprodurre – in quel mondo rovesciato e asfittico – la struttura portante del potere albanese. Al vertice del Bunker, come una sorta di occhio di dio degli abissi ci sarebbe stato infatti l’appartamento riservato al dittatore Enver Hoxha. Al di sotto, quello riservato a Mehmet Shehu, il delfino. E così via, di carica in carica. L’idea non era solo quella di salvaguardare l’esistenza di un ceto dirigente, ma permettergli di continuare a operare, per mesi o per anni, lontani dal sole e dall’aria fresca, secondo le sue rigide e invariate geometrie. Una specie di Underground ante litteram, pienamente realizzato.

L’idea sarebbe stata di un gruppo di generali che avevano visitato un rifugio antiatomico costruito in Corea del Nord. Il Bunker fu inaugurato alla fine degli anni settanta, ma pare che Enver Hoxha non abbia mai dormito al suo interno. Neanche per una sola notte. Nell’arco di tredici anni, fu usato solo per alcune esercitazioni dell’esercito. Poi, alla caduta del regime nel 1991 (Hoxha era già morto nel 1985), il Bunker fu sigillato come una vecchia cantina. Chiusero la porta d’accesso in cemento armato, spessa oltre un metro, e quel sottomondo coreano a due passi dall’Adriatico piombò nell’oscurità più assoluta. Poco alla volta se ne dimenticarono tutti, anche chi aveva occupato le nuove stanze del potere negli anni della transizione postcomunista. Per oltre vent’anni il Bunker è rimasto come congelato, senza che nessuno ci mettesse piede. Ora è stato restaurato, trasformato in una sorta di monumento al totalitarismo e aperto al pubblico per un numero limitato di giorni tra il novembre e il dicembre del 2014 e durante il recente festival delle arti, Tirana Open, in attesa che l’esposizione diventi permanente. Lo hanno ribattezzato Bunk’Art. Ho potuto visitarlo nei giorni del festival che si è tenuto a maggio, insieme a un gruppo di scrittori e artisti invitati alla rassegna.

In auto ci si mette circa un quarto d’ora dal centro della città. Subito dopo le ultime case di periferia, la strada si inerpica lungo la collina. Poi comincia la zona militarizzata, l’ultimo tratto l’abbiamo percorso a piedi. Per raggiungere l’ingresso del Bunker abbiamo dovuto superare due posti di controllo dell’esercito.

Dentro il Bunker

La porta d’accesso spunta all’improvviso dietro gli alberi, aperta su una parete verticale di tufo scurito. Una volta dentro, dopo aver oltrepassato due piccole stanze in cui erano installate le docce che avrebbero dovuto purificare i membri del politiburo dalle radiazioni, si è subito risucchiati da un lungo corridoio che corre dentro la collina. Alto, stretto, illuminato da una luce innaturale. I muri sono bianchissimi. “Sono stati riportati al bianco originario”, dice la guida, un ragazzo robusto, dai capelli castani tagliati a spazzola e la voce squillante. Parla un italiano fluente. Lungo la parete del primo corridoio la scritta Bunk’Art è seguita da un logo: un mezzo cerchio che racchiude tutti i colori dell’arcobaleno con al centro una stella rossa. Più o meno a metà del corridoio, entriamo nell’appartamento di Enver Hoxha, rimasto praticamente identico a quando il Bunker fu ultimato nel 1978. Le stanze per il dittatore sembrano essere state concepite come un punto medio tra un rifugio di guerra spartano (quale effettivamente doveva essere) e un appartamentino piccoloborghese arredato nello stile della vecchia Repubblica Democratica Tedesca (a cui si rifaceva probabilmente l’immaginario dei suoi architetti). In caso di attacco termonucleare, la prima stanza sarebbe stata riservata al suo segretario personale. Si sarebbe seduto davanti a un piccolo tavolino con un enorme telefono nero, con il quale avrebbe potuto chiamare non si capisce chi, dal momento che tutto il gruppo dirigente del partito sarebbe stato interrato lungo i cinque piani sotterranei.

Subito dopo ci sono le due stanze private del dittatore. I pavimenti sono rossi. Nella prima, la più grande, spuntano due poltroncine squadrate, tappezzate di stoffa rosa, rossa e beige, davanti a un tavolino spesso di legno marrone scuro. Sopra è adagiato un posacenere di vetro dozzinale. In fondo alla stanza ci sono una scrivania dello stesso legno e dello stesso colore del tavolino, e una poltrona più o meno simile a quelle del piccolo salotto, ma più scura, quasi color vinaccia, e più imbottita. Sulla parete più vicina alle poltrone e alla scrivania è stata attaccata una cartina geografica dell’Albania alta due metri e larga uno. Davanti all’altra è stata posta una piccola libreria con le ante di vetro. Ci sono solo due volumi dalla copertina rigida che raccolgono le traduzioni in albanese delle tragedie di Shakespeare. Pur chiedendolo alla guida che ci accompagna, non sono riuscito a capire se quei libri erano stati voluti dallo stesso Hoxha o siano stati messi lì a caso. Sopra la piccola libreria è appeso un ritratto in bianco e nero del dittatore ai tempi della guerra partigiana che liberò il paese dall’occupazione nazista. La cravatta e la camicia bianca sotto la divisa militare, i capelli corti pettinati all’indietro sulla faccia rotonda, lo sguardo fisso in macchina. È ancora molto giovane. La foto è stata scattata almeno tre decenni prima dell’ideazione del Bunker, quando un Hoxha ormai invecchiato e roso da mille sospetti si avviava ai suoi ultimi anni di vita. La stanza in fondo è occupata da un letto a due piazze coperto da una trapunta rossa e da un piccolo comodino accanto al lato destro.

Le pareti dell’intero appartamento sono ricoperte da un sottile strato di legno giallognolo. In un angolo della seconda stanza lo strato è stato eliminato per permettere ai visitatori di vedere di che impasto era fatto il guscio che avrebbe dovuto proteggere il padre della nazione. “Un misto di cemento, piombo e vetro, in grado di arginare le radiazioni”, dice la guida con lo sguardo serio, come se un attacco di simili proporzioni potesse realizzarsi da lì a poco. Usciti nuovamente nel corridoio, ci addentriamo nelle viscere del Bunker. Le stanze che si susseguono, un centinaio in tutto, appaiono più piccole. Per la mostra sono state riempite di foto, cartine del paese e cimeli d’epoca che ricordano le varie fasi della storia nazionale: l’indipendenza dagli ottomani, l’occupazione fascista e nazista, la guerra di liberazione, la dittatura comunista. Nelle stanze riservate al fascismo, a parte la vecchia insegna di una strada della capitale su cui è scritto “Rruga Konti Çiano” (via Conte Ciano), ci sono alcune bandiere dell’Albania fascista: l’aquila bicipite su sfondo rosso è circondata da due fasci di combattimento.

Nelle stanze riservate alla guerra partigiana, sono invece esposte alle pareti decine di foto degli eroi della resistenza, in gran parte mandati in un gulag o davanti a un plotone d’esecuzione dallo stesso Hoxha molti anni dopo aver consolidato il suo potere, se non erano stati a loro tempo fucilati dai fascisti o dai nazisti. Tra queste spunta anche un ritratto di Nexhmije Xhuglini, la compagna e poi moglie del dittatore, e secondo molti la vera mente del regime, specie negli anni di demenza senile di Hoxha e subito dopo la sua morte avvenuta nel 1985. Ma nella foto che la ritrae alla metà degli anni quaranta è solo una bellissima ragazza dai capelli scuri, le labbra carnose e lo sguardo velato da un misto di tristezza e orgoglio, in tutto e per tutto simile a tante ragazze che come lei sono salite sui monti in Italia o in Jugoslavia durante la guerra partigiana. Dopo una serie interminabile di stanze, cunicoli e nuovi corridoi, scendiamo al piano inferiore al precedente ed entriamo in un altro piccolo appartamento identico a quello di Enver Hoxha. La prima impressione è quella di essere ritornati al punto di partenza, in un gioco di specchi in cui ogni stanza è apparentemente uguale a se stessa, salvo piccolissime differenze, come in un film di David Lynch. Le poltrone sono simili, anche se tendono al verde e sono meno imbottite. Il tavolo della scrivania marrone è lo stesso di Hoxha, e così il ritratto del dittatore che questa volta troneggia alle spalle della scrivania e non sopra l’ultimo scaffale della libreria. La camera da letto è identica. Identico il comodino, identica la spalliera. Cambia solo il colore della trapunta, questa volta è blu.

“Questo era l’appartamento di Mehmet Shehu”, tuona la guida alle mie spalle. È quasi sovrapponibile al precedente, anche se penso subito all’effetto che avrebbe potuto avere sul delfino in clausura guardare fisso negli occhi, in ogni istante, il ritratto del padre-padrone della rivoluzione. “L’unica cosa che cambia è il materiale utilizzato per proteggere le sue stanze. Le pareti dell’appartamento di Mehmet Shehu sono fatte solo di cemento. Non ci sono il piombo e il vetro.” Effettivamente mi rendo conto che sono proprio le pareti a costituire la grande differenza tra i due appartamenti: queste sono ricoperte da fascine di legno scuro verticali, mentre nell’altro un sottile strato giallognolo copre il diaframma ultraresistente a ogni radiazione. Un po’ come nella Fattoria degli animali di George Orwell, tutti i membri del politburo sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Scendiamo di un altro piano. Dopo altre stanze occupate da vecchi aggeggi radio che avrebbero dovuto stabilire le comunicazioni con l’esterno, arriviamo a una sorta di slargo interno. È la mensa del rifugio. Ci sono tavoli e panche di fòrmica e, sul lato più lungo, un bancone d’altri tempi in legno chiaro protetto da un vetro. In alto appare la scritta in stampatello, Bufe. Buffet. Tutto è scarno, semplice, austero, oltre che lievemente surreale. Ma il pezzo forte dell’esposizione, ancora più dello stesso appartamento del dittatore, è costituito dalla sala riservata all’assemblea del popolo. Vi si accede al terzo piano sotterraneo e, dopo aver percorso l’ultimo stretto corridoio, sembra maestosa. Sarà profonda una trentina di metri. Il pavimento è inclinato verso il basso, e il soffitto è alto almeno otto, nove metri. Più che un’assemblea legislativa scavata sotto la roccia, pare un teatro: le poltroncine rosse sono disposte geometricamente lungo una decina di file orizzontali. Fronteggiano un piccolo palco, sul quale avrebbero potuto prendere posto i membri della segreteria politica del Partito del lavoro.

È questo il vero cuore del Bunker. L’idea che lo sorregge è molto semplice: non occorre solo interrare i vertici del partito, dell’esercito e dell’assemblea, dargli delle stanze e un bufe dove alimentarsi; il fine ultimo è ricreare un vero e proprio parlamento sotterraneo, in cui continuare a riunirsi, sentire i discorsi pronunciati dalla tribuna posta sul palco, annuire, applaudire, unirsi agli slogan di lode al compagno Enver Hoxha o al partito, temere le conseguenze dell’ennesima purga. Una volta all’aria aperta, mi coglie un senso di liberazione. Non è solo una reazione fisica ai corridoi chiusi e alla luce artificiale. Ho come la sensazione che, stanza dopo stanza, una patina acida si sia sedimentata sui vestiti. Anche la collina verde e disabitata che copre il Bunker mi appare ora irreale, fuori dal tempo, irrimediabilmente mutata. Solo incontrando il frastuono della strada che attraversa la periferia sembra di essere tornati davvero sul pianeta Terra.

Il rapporto con il passato

Il fatto che il Bunker sia stato riaperto ora, dopo essere rimasto chiuso per circa venticinque anni, è il segno che qualcosa sta cambiando nel profondo della società albanese. Non è solo merito del ministero della cultura e del ministero della difesa del nuovo governo di Edi Rama, che hanno fortemente sostenuto il progetto. Solo dieci anni fa un’operazione del genere sarebbe stata letteralmente impensabile, perché ancora molto complicato, per niente pacificato, era il rapporto con il passato totalitario e soprattutto con la folta schiera di suoi rappresentati trasmigrata nelle istituzioni democratiche. L’apertura del Bunk’Art, insieme a una serie di iniziative culturali più o meno appariscenti, segna forse l’avvento di una nuova epoca. È difficile spiegare a chi non c’era come si viveva sotto il totalitarismo. Chi ha avuto la fortuna di non viverlo, difficilmente riuscirà a capire quel particolare miscuglio di repressione e sospetto, generato dalla retorica dominante, dal culto del capo, dalla politicizzazione esasperata della società e allo stesso tempo dal terrore della delazione o di un arresto, dalla paura che la propria vita e quella dei propri famigliari possano andare in fumo dall’oggi al domani… Chi c’era, d’altro canto, difficilmente troverà le parole per farlo, e per rivelare l’essenza di ciò che ha tenuto in piedi quei regimi: non solo il culto del capo e l’efficienza delle polizie segrete, ma anche il consenso della “zona grigia”, del “ventre molle” del paese, finché tutto non è venuto giù. È avvenuto nelle società postotalitarie uscite dai regimi fascisti, e nei paesi dell’Europa dell’est dopo la caduta del muro di Berlino. È accaduto anche in Albania.

Eppure il rapporto del piccolo paese balcanico con il suo passato totalitario ha assunto un carattere particolare, tale da rendere la sua transizione in parte diversa da quelle degli altri paesi dell’est. Pur nelle analogie con il panorama totalitario e postotalitario descritto da Václav Havel, Adam Michnik, Norman Manea, Herta Müller eccetera, c’è una specificità albanese che va ancora indagata. Essa nasce innanzitutto dalle peculiarità dell’ultrastalinismo albanese, un regime rimasto pressoché immobile, bloccato, fino alla fine degli anni ottanta. Come già accennato, al di là dei turbolenti rapporti con Belgrado, le strade dell’Albania e degli altri paesi allora aderenti al patto di Varsavia si separarono ai tempi della destalinizzazione e del ventesimo congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica, il Pcus, nel 1956. Fu allora che Enver Hoxha e i vertici del partito decisero di rompere con l’Urss accusando Chruščëv di revisionismo e di essersi allontanato dalla strada maestra tracciata da Stalin. Tale mossa condannò il paese all’isolamento; ma oggi va forse ricordato che a tale isolamento indirettamente contribuì anche la sinistra filosovietica occidentale (e, in particolare, quella italiana) che, per fedeltà a Mosca, voltò le spalle all’Albania. L’isolamento fu quindi il prodotto di un reciproco voltarsi le spalle sullo scacchiere ideologico, più che strettamente geopolitico. Le sue conseguenze trasformarono l’Albania in un paese chiuso in sé, che trovò come unica alleata la Cina della rivoluzione culturale, prima che, verso la seconda metà degli anni settanta anche i rapporti tra Cina e Albania cominciassero a raffreddarsi, per interrompersi definitivamente dopo la morte di Mao, nel 1976.

Da allora, fino al crollo del regime nel biennio 1990-91, l’Albania fu difatti una prigione a cielo aperta edificata intorno al culto del capo, Enver Hoxha, che morì solo nel 1985. Nel film Enveri Yne, realizzato negli ultimi anni di vita della dittatura comunista è possibile osservare, oltre che i canoni estetici dell’ideologia ufficiale, le immagini dei funerali del leader: un paese intero letteralmente si blocca (o, più precisamente, è costretto a bloccarsi per ordini dall’alto) per rendere omaggio al “compagno Enver”. Sembrano immagini degli anni trenta o cinquanta del novecento: sono state girate quattro anni prima dalla caduta del muro. Intorno alla metà degli anni settanta, proprio quando era in costruzione il Bunker, si abbatterono sull’Albania (e sugli stessi vertici del partito fino allora rimasti fedeli alla guida) una serie di purghe. Non che a Tirana fosse presente una vera dissidenza come a Praga o a Danzica o a Budapest. Semplicemente Hoxha mandò al gulag, o davanti al plotone di esecuzione, coloro che in futuro avrebbero potuto minare il suo potere. Una delle rare testimonianze di quelle purghe, disponibile in lingua italiana, è il Diario di un intellettuale in un gulag albanese di Fatos Lubonja pubblicato dalla casa editrice calabrese Marco. Nel memoir di Lubonja il racconto della prigionia (dei lavori forzati, dell’annullamento delle proprie vite, della solidarietà tra detenuti politici) si mescola ai ricordi degli anni che hanno preceduto il suo arresto. Lubonja ha scontato 17 anni di carcere, di cui molti nel gulag di Spaç: oltre che essere il figlio di Todi Lubonja, direttore della tv di stato considerato troppo “liberale”, la sua unica colpa è stata quella di aver elencato nei suoi diari privati, nascosti in soffitta, alcune critiche al regime. Sono tante le vite che si sono spezzate negli anni del carcere, dei lavori forzati, del confino nei villaggi di montagna. Tanti i suicidi, tanti i crolli psicologici. Quasi sempre i “nemici del popolo” erano uomini e donne che avevano fortemente creduto nel partito. E questo, in fondo, è stato il più grave fallimento del socialismo reale: aver distrutto la stessa base che lo aveva realizzato, e aver eliminato sistematicamente tutti coloro che avrebbero potuto contribuire alla sua trasformazione.

A venticinque anni dal crollo, l’Albania contemporanea sembra costruita urbanisticamente, socialmente, culturalmente sulla totale negazione di quel passato, tanto che viene costantemente da chiedersi, ogni volta che si attraversano le strade della capitale, come sia elaborato il suo ricordo. In tv trasmettono documentari storici, sui giornali si rievocano gli eventi della lotta partigiana e del vecchio regime, spesso sulle terze pagine si parla del dittatore di ieri e dei suoi familiari con la stessa deferenza di un tempo. Ma è difficile capire quanto tutto ciò sia materia di una indagine storica accurata, capace di individuare le cause, i processi, le concatenazioni, al di là delle “colpe” di questo o di quello, spesso utilizzate strumentalmente nell’agone politico. Già all’indomani della caduta del regime (di fronte al solito dilemma tra epurazione e amnistia), Lubonja scrisse che sarebbe stato impossibile applicare alla lettera il diritto, riparando ogni torto subìto. L’Albania si sarebbe trasformata in un tribunale e le carceri si sarebbero riempite di un numero di detenuti maggiore che ai tempi di Hoxha. Ciò sarebbe stato inevitabile in un paese totalmente inglobato nella dittatura… Oggi che la politica sembra aver archiviato la stagione di Sali Berisha (l’uomo forte della transizione, il fondatore del Partito democratico), e che il paese ha ottenuto lo status di candidato all’ingresso nell’Ue, sembra cominciata una nuova stagione. Mentre la scelta tra amnistiare o emendare è rimasta sostanzialmente in sospeso, si è creata una frattura generazionale. Chi oggi ha vent’anni inevitabilmente è venuto dopo. È nato dopo l’abbattimento della statua di Enver Hoxha in piazza Skanderbeg il 20 febbraio del 1991, evento che segnò la caduta del regime. È nato dopo l’approdo della Vlora nel porto di Bari nell’agosto dello stesso anno, culmine dell’esodo verso le coste italiane rievocato nei film La nave dolce di Daniele Vicari e Anija di Roland Sejko. Per questo, nel dialogo tra chi ha vissuto il “prima” e chi è nato “dopo”, diventa cruciale imparare a maneggiare la consapevolezza storica. di Alessandro Leogrande

 

 

Parte dal passo Monte Croce la via per il bunker con vista sulle Dolomiti

Da bresciaoggi.it del 16 luglio 2015

Dolomiti di Sesto: uno dei gruppi dolomitici più famosi e frequentati al confine tra le province di Belluno e di Bolzano. L'itinerario di oggi sale in un selvaggio vallone per il versante atesino raggiungendo la Forcella Popera e salire alla panoramicissima Croce della Croda sopra i Colesei (Arzalpenkopf per i tedeschi) in una zona ricca, oltre che di bellezze naturali, di resti e trinceramenti bellici. Per esplorarli si potrebbero trascorrere lassù intere giornate senza annoiarsi. SI PARTE dal passo Monte Croce di Comelico. Salendo dal versante bellunese 250 metri dopo il valico si trova sulla destra un piccolo parcheggio non a pagamento (negli altri parcheggi le tariffe sono abbastanza esose). Si torna per un tratto verso il passo e si prende a destra una stradina (frecce) che sale entrando nel parco delle Tre Cime. Quasi subito la stradina diventa sentiero nel bosco che, salendo, si fa più rado. Raggiunto un poggio erboso, si sale per un tratto alla destra degli impianti di risalita. Al bivio si lascia a sinistra il sentiero per il Lago dell'Orso e il Rifugio Berti, si passa accanto ad un grosso masso con vie di arrampicata e si incontrano i primi ruderi di guerra. Sopra di noi, tra le cime e le torri rocciose che dominano dall'alto, si individuano numerosi altri resti bellici, soprattutto gallerie.

 A circa 1900 metri incontriamo un quadrivio: a destra si andrebbe ai Prati di Croda Rossa; a sinistra il sentiero per il Passo della Biscia. Noi andiamo diritti (ometto in pietra) dove il sentiero risale un ripido pendio ghiaioso. Si raggiunge la zona d'un bunker di guerra incassato nella roccia, una formidabile postazione difensiva dalla quale si dominava il passo con la vallata sottostante.

A sinistra un sentiero conduce al bunker, in cui però è sconsigliato e pericoloso entrare. Si attraversa un canalone e si continua la faticosa risalita del pendio (a inizio stagione da qui in poi è possibile trovare ancora neve) mentre davanti a noi la maestosa Pala di Popera (Neuner) si staglia contro l'azzurro del cielo. Si passa alla destra di alcune placche rocciose e, facendo attenzione a seguire i bolli rossi, si arrampica su facili roccette per canalini e piccoli salti. Si arriva così, a circa 2230 metri di quota, all'inizio della ferrata.La descrizione continua giovedì 23 luglio

 

Un tavolo tecnico per rilanciare i forti di Genova - Con la partecipazione dell'agenzia del Demanio

Da rsvn.it del 14 luglio 2015

Genova. L’Agenzia del Demanio ha partecipato al Tavolo Tecnico Operativo organizzato a Genova dal Segretario Regionale per la Liguria del MIBACT per l’Approvazione del Programma di Valorizzazione del “Sistema Centrale dei forti”.

La città di Genova vanta un sistema di mura e fortificazioni, costruite tra il 1500 ed il 1800, che si estende per quasi venti chilometri. I forti presenti sul territorio di Genova, inseriti nell’accordo di valorizzazione sono il Forte Puin, il Forte Crocetta, il Forte Sperone, il Forte Tenaglia, il Forte Belvedere, la Torre Granara e il Forte Begato, quest’ultimo inserito anche nel progetto Valore Paese – Dimore.

In particolare, l’accordo sottoscritto è finalizzato alla valorizzazione ed al recupero delle relazioni del sistema delle fortificazioni con la città e il territorio naturale circostante, mediante azioni di rilancio urbanistico, ambientale ed economico. Fondamentale al progetto di riqualificazione è infatti la creazione di un museo all’aperto integrato con il Parco delle Mura: l’Agenzia, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Comune di Genova si impegnano a costituire un percorso culturale e turistico di particolare interesse storico e naturalistico per la crescita del tessuto socio-economico del territorio, producendo la graduale riappropriazione da parte della città di luoghi ricchi di storia, che tornano alla vita con un significato totalmente nuovo, non più luoghi di guerra, ma spazi per il tempo libero, la cultura, il turismo.

Il Tavolo Tecnico ha sottoscritto la bozza dell’Accordo di Valorizzazione e l’Agenzia si è impegnata a procedere alla stipula degli atti di trasferimento a titolo gratuito al Comune, grazie alle procedure del federalismo demaniale, entro 180 giorni dalla sottoscrizione.

Concluso il trasferimento del sistema centrale dei forti, si procederà con la valorizzazione del sistema orientale e della Cinta Muraria seicentesca di collegamento.

 

«Sentinelle di pietra - Incontri sul futuro della memoria nei forti del Trentino»

Da

«Il Trentino – spiega il dirigente alle Attività Culturali della Provincia autonoma di Trento Claudio Martinelli, nel corso degli anni ha investito in modo significativo per il restauro delle fortificazioni della Prima Guerra Mondiale presenti sul territorio, anche in previsione delle commemorazioni per il Centenario del primo conflitto mondiale.
Non un intervento finalizzato a se stesso, ma con l’obiettivo di restituire questo patrimonio alle comunità locali affinché diventi veicolo e testimonianza di un periodo tragico della storia della nostra gente.
La Rete dei forti del Trentino rappresenta la concretizzazione di questo obiettivo. Non solo: credo che la Rete dei forti e delle fortificazioni trentine debba diventare un vero e proprio marchio, capace di coinvolgere in particolare il mondo delle scuole e dei giovani.
Ringrazio della collaborazione e sono riconoscente alle Comunità locali per la convinzione con cui hanno accompagnato questo progetto, riuscendo a predisporre un programma di iniziative di prim’ordine per valorizzare questo patrimonio.
Con questa manifestazione si amplia la proposta culturale che vede nella messa in rete del patrimonio culturale presente in Trentino il suo punto di forza e che si candida anche a diventare un elemento della proposta turistica che il nostro territorio può offrire.
Questo obiettivo vede coinvolti in questo importante gioco di squadra anche la Fondazione Museo storico del trentino, il Museo storico italiano della guerra di Rovereto e il Centro Servizi Cultuali S. Chiara.»

GLI EVENTI 

Mercoledì 15 luglio, ore 18 Forte Larino e Domenica 23 agosto, ore 16 al Forte Dossaccio, La Piccionaia Prima guerra con Mario Perrotta e Paola Roscioli, musiche originali eseguite dal vivo da Mario Arcari (oboe, clarinetto, percussioni) e Maurizio Pellizzari (chitarra).
La prima guerra mondiale vista da un’angolazione particolare, con gli occhi degli italiani di confine. Prima Guerra nasce grazie al prezioso contributo del Museo della Guerra di Rovereto e della Fondazione Museo storico di Trento, dalle testimonianze raccolte nei loro archivi.
Sono testimonianze di una lacerazione profonda delle coscienze in quelle zone dell’Italia che, all’inizio del primo conflitto mondiale, si trovavano oltre confine e che lasciarono sul campo decine di migliaia di morti misconosciuti dalla storia che, come sempre, fu scritta dai vincitori.
 
Domenica 26 luglio, ore 18 a Forte di Cadine, J.Futura Orchestra Histoire du soldat / L'aventura d'en soldà, Liberamente ispirata alla «Storia da leggere, recitare e danzare» in due parti di Igor Stravinskij e Charles Ferdinand Ramuz, l’opera viene proposta nella traduzione in dialetto trentino realizzata dall’attore Denis Fontanari, che si sovrappone alla dimensione popolare della fonte originaria.
Con questa operazione si vuole recuperare in modo importante il dialetto che, pur essendo lingua del popolo, nata ed utilizzata per esprimere gesti e oggetti della quotidianità, del lavoro e dell’intimità domestica, era fino a qualche decennio fa la lingua in cui tutte le classi sociali si esprimevano, non solo fra le pareti domestiche, in una trasversalità funzionale che accomunava il colto borghese al bracciante o al contadino.
 
Mercoledì 29 luglio, ore 18 al Forte Sommo Alto e Giovedì 30 luglio, ore 21 al Forte di Cadine, La Casa degli Alfieri, Trincee, di e con Marco Baliani, Il corpo di un soldato nelle trincee della Prima guerra mondiale. Lo spettacolo di Marco Baliani è uno scavo dentro la disgregazione spirituale di quel singolo corpo. Movimento, suono, immagini, parole cercano di mostrare l'indicibile di quella guerra, la follia, la paura, la perdita di identità, la trasformazione di esseri umani in ingranaggi di un'enorme fabbrica produttrice di morte.
E su tutto la fame, di cibo, di acqua, di umanità, di relazioni. Uno spettacolo aspro, crudo, a tratti grottesco, un viaggio dentro la notte della nostra Modernità.
 
Lunedì 3 agosto, ore 21 al Forte Sommo Alto, L'angelo del soldato, opera musicale multimediale, L’Angelo del soldato è un'opera multimediale di Carlo Casillo e Mariano De Tassis con Valerio Bazzanella (voce e tastiere), Lisa Bergamo (voce), Corrado Bungaro (violino, nyckelharpa e cori), Carlo Casillo (chitarre, mandolino, armonica, campionamenti e cori), Mariano De Tassis (voce recitante e percussioni). Rivisitando note canzoni popolari di guerra, si propone una forte esperienza sensoriale sul tema, con particolare attenzione alla figura dell’uomo-soldato. La musica e i canti si combineranno con effetti speciali, sound design, documenti sonori originali, testi in italiano e tedesco, dialoghi, immagini video rielaborate.
Un visionario ed evocativo caleidoscopio percettivo sensoriale.
 
Martedì 4 agosto, ore 21 al Forte Tenna, Mercoledì 5 agosto, ore 18 alla Batteria Roncogno, Mercoledì 12 agosto, ore 21 al Forte Belvedere e Giovedì 13 agosto, ore 21 al Forte Cadine, Collettivo Clochart, Come d'autunno sugli alberi le foglie, regia di Michele Comite
Un grido, un motto, una porta dove la guerra bussa, un viaggio in quell’inferno attraverso la letteratura e l’arte figurativa.
L’Europa in guerra, attraverso D’Annunzio, Trilussa, Kafka, Agatha Christie, Otto Dix, Scalarini, Kathe Kollwitz, Raemaekers e molti altri poeti, artisti, uomini e donne che grazie ai loro diversi linguaggi artistici ci conducono in quel «tremendo festino di Moloch, stanza dell’ammazzatoio di Barbableu» come definisce la guerra Clemente Rebora.
Lo faremo unendo teatro e danza, musica popolare ed elettronica, un mix di stili, come lo era quello di George Grosz. Una restituzione della drammaticità mettendo in luce l’atteggiamento e il pensiero dell’intellettualità europea.
 
Giovedì 6 agosto, ore 21 al Forte Corno e Venerdì 14 agosto, ore 18 al Forte San Biagio, Compagnia Naturalisl Labor, La guerra granda delle donne, Uno spettacolo coinvolgente che, nel centenario della Grande Guerra, vuole ricordare il ruolo delle donne nel primo conflitto mondiale, una vicenda ancora poco nota, ma piena di conseguenze anche per il nostro presente.
Nei paesi belligeranti la guerra fu anche un’occasione di emancipazione per le donne, impegnate a rimpiazzare in molte funzioni gli uomini partiti per il Fronte, lavorando nelle fabbriche e nelle città svuotate, donne che si ritrovarono a soccorrere gli uomini come crocerossine, o a portare loro viveri, calze e munizioni con la gerla sulle spalle.
Quelle che con la seduzione potevano cambiare le sorti delle battaglie e quelle che dalle scuole educavano il popolo alla pace. Quelle donne hanno cambiato per sempre la loro immagine e il loro ruolo nella società. La regia e le coreografie dello spettacolo sono di Silvia Bertoncelli. Insieme alla giovane coreografa, i danzatori in scena saranno Chiara Guglielmi, Natascia Belsito, Jessica d’Angelo e Paolo Ottoboni.
 
Lunedì 17 agosto, ore 21 al Forte Strino, I Teatri Soffiati, Pace in guerra, di e con Giacomo Anderle e Alessio Kogoj, voce fuori campo. Barbara Bertoldi, drammaturgia e regia: Alessio Kogoj, Disegno luci: Mariano Detassis
Tanto per cominciare, questa è una storia di guerra. Ma anche una storia d’amore. Guerra combattuta in trincea, negli assalti e nelle attese, ma anche guerra raccontata dai giornali, dai manifesti, dalla propaganda, da parole simili a proiettili.
E amore; amore che non si ferma davanti agli scoppi delle bombe e che non ha bisogno di messaggi o appuntamenti. «Pace in guerra» è un caparbio dialogo d’amore dove amore non c’è.
È la voce della poesia che resiste tenace, mentre tutto sembra scivolare nella notte profonda dell’odio: uomini, corpi, pensieri, parole. In un racconto a più voci, la storia della Grande Guerra s’intreccia a quella di due giovani che non vogliono rinunciare alla loro fragile eppure straordinaria umanità, che non accettano confini e distanze, che vogliono resistere alla normale assurdità dell’odio e che, con le loro scelte, testimoniano come la pace non sia una questione di parole, slogan o bandiere, ma di azioni personali, concrete, rischiose, spesso silenziose e sconosciute.
Alla follia scellerata della guerra si può opporre solo la fragile temerarietà dell’amore.
 
Sabato 22 agosto, ore 16 al Forte Pozzacchio, Compagnia Teatrincorso, La guerra in casa, Regia e drammaturgia: Elena R. Marino, Interpreti: Silvia Furlan, Silvia Libardi, Chiara Superbi
«La guerra in casa» racconta la Grande Guerra da un punto di vista inedito, importante perché diffuso, anche se trascurato, sconosciuto: quelle delle donne di una terra di confine.
Lo racconta con le loro voci, con l’emozione che è intelligenza delle cose più profonda, visione d’insieme e nei dettagli, intuizione dei nessi. Voci femminili lottano per farsi udire, per raccontare la loro versione della Grande Guerra, lo sconvolgimento che ha segnato irrevocabilmente l’Europa e il mondo.
C’era una guerra dentro la guerra, o molte guerre che esplodono dentro quella apparente. E mentre si combatte per il territorio, e si fanno esplodere proiettili e bombe, nelle retrovie si combatte una guerra su molti più fronti: per la giustizia e la verità, per il senso d’umanità, per la dignità dell’essere umano in quanto tale. Idealmente al fronte con i loro uomini, ma nella realtà assorbite da combattimenti quotidiani per strappare allo sfacelo brandelli di vita, così le donne, mentre tentano di difendere la famiglia e se stesse dall’apocalisse, rimangono testimoni di una lotta profonda, universale, definitiva: quella per il senso delle cose, per la dignità dell’uomo.

 

Monte Legnoncino, recuperate le trincee

Da corrieredilecco.it del 13 luglio 2015

Barzio (Bàrs) - Il presidente della Comunità Montana della Valsassina, Carlo Signorelli, con l'assessore Francesco Branchini e i sindaci della Valvarrone e di Premana, ha presenziato Domenica alla inaugurazione del recupero delle fortificazioni della Linea Cadorna e della cappella di San Sfirio, sul Monte Legnoncino.

SODDISFAZIONE. Un ringraziamento agli enti che hanno collaborato al recupero tra cui la Comunità Montana e la Regione Lombardia - oltre che alle imprese e ai progettisti - è stato espresso con grande soddisfazione dal sindaco di Introzzo Luca Buzzella. L'ALTO SIGNIFICATO. Carlo Signorelli ha sottolineato l'alto significato culturale e storico del recupero delle fortificazioni di San Sfirio, nell'anno delle celebrazioni del centenario della grande guerra, oltre che l'importanza in chiave turistico-ricettiva.

La Polveriera si presenta alla città

Da la gazzettadireggio.it del 10 luglio 2015

REGGIO EMILIA. Un edificio vuoto, uno spazio abbandonato, un luogo dismesso che torna a nascere.

Ma anche uno sguardo rivolto verso il domani, che suggerisce un’idea di futuro diversa. Sta accadendo in Polveriera.

Un progetto nato dall’ interesse di voler riqualificare una parte di storia della nostra città, l’area dell’ex-polveriera, porzione superstite della vecchia Piazza d’armi di Reggio Emilia.

Venerdì 10 luglio la Polveriera aprirà il suo cantiere per far scoprire ai cittadini un progetto che è un sogno, dove pubblico e privato collaborano in modo virtuoso per far rivivere un’area storica che diventerà un luogo d’incontro e aggregazione, un laboratorio attivo di cultura sociale: caffè, aperitivi, ristoranti, negozi, sedi e uffici di aziende, cooperazione sociale, orto urbano e panchine, ma anche laboratori differenti e luoghi di accoglienza per disabili.

Per l’inaugurazione dell’evento ci sarà l’intervento di Stefano Bonaccini, presidente della regione Emilia Romagna.

Poi food, drink e live music accompagneranno la serata dalle 20 alle 00.30.

 

 

Museo della Guerra, alla scoperta di un inedito palazzo Santo Stefano

Da padovaoggi.it del 9 luglio 2015

"Non posso pensare che un complesso monumentale di straordinaria importanza storica come palazzo Santo Stefano sia lasciato all’incuria. Il mio impegno è recuperare le strutture originarie dell’edificio, per rendere fruibile a tutti i cittadini e ai turisti una testimonianza fondamentale per la città – dichiara e annuncia il presidente della Provincia, Enoch Soranzo - e per questo sono assolutamente determinato a trovare le risorse necessarie per realizzare tutti gli interventi necessari. Ho incaricato l’Ufficio tecnico provinciale di elaborare una proposta d’itinerario turistico che preveda il recupero dei luoghi significativi di palazzo Santo Stefano e della Prefettura, insieme all’antistante piazza Antenore, e uno studio di fattibilità per procedere alla ricerca di finanziamenti dedicati.

Ora siamo pronti a partire". L'ITINERARIO. Il percorso, di estremo interesse storico e culturale, prevede la visita alla tomba di Antenore, situata nell’area della piazza omonima di fronte a palazzo Santo Stefano e la cui costruzione risale al 1283, per continuare poi nella sala del Consiglio provinciale, risalente alla seconda metà dell’Ottocento quando venne ristrutturato l’intero Palazzo, totalmente ricoperta da stucchi, marmorini e affreschi di elevato livello qualitativo, dipinti nel 1877 e restaurati nel 2012. Questo per parlare del preesistente.

I RIFUGI ANTIGAS E IL BUNKER. "Ma la vera novità – continua Soranzo - consisterà invece nella creazione di un 'Museo della Guerra', previsto all’interno dei rifugi antigas sotterranei di palazzo Santo Stefano, cunicoli e stanze posti al di sotto dell’ala Novecentesca del complesso e che arrivano fino a piazza Antenore, corredati dalle caratteristiche porte blindate e dai condotti di ventilazione, strutture che vennero realizzate nel 1943 durante la II guerra mondiale. Nel piano di recupero dell’area è previsto inoltre il bunker antiaereo attualmente presente nel giardino della Prefettura, dalla caratteristica forma a ogiva, costruito nel 1944 interamente in calcestruzzo. Per ciò che riguarda i rifugi antigas, in particolare, è prevista la predisposizione d’interventi particolari in quanto il cunicolo che conduce alla porzione sottostante piazza Antenore è stato murato per degli sfondamenti della soffittatura, dovuti probabilmente alle radici dei due grandi cedri presenti nella piazza".

NUOVO ACCESSO TITO LIVIO E COSTI. Nello studio di fattibilità è prevista anche l’installazione di una nuova cartellonistica in più lingue, da porre in posizione visibile, con la descrizione storico-artistica del complesso, e l’organizzazione di visite guidate dedicate soprattutto alle scuole. Naturalmente tutti gli interventi verranno concordati e approvati dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e paesaggistici. Il progetto di recupero prevede inoltre la realizzazione di una nuova cancellata in ferro per l’ingresso al liceo Tito Livio, in arretrato rispetto a quello attualmente presente sulla Riviera, in modo da poter aprire un ingresso riservato soltanto alla visita del bunker, senza far passare i turisti dalla residenza prefettizia o dal corridoio della scuola. Il totale dell’investimento necessario all’intera realizzazione dell’opera ammonta a 300mila euro.

 

"Falsi chalet”: sono così i bunker dell’esercito svizzero nascosti all’interno di deliziose case di montagna

Da idealista.it del 7 luglio 2015

All’apparenza sono case idilliache, tipici chalet alpini proprio come quelli raffigurati sulle cartoline.

Ma, in realtà, queste case di montagna nascondono un oscuro segreto: dietro le loro colorate facciate e le loro preziose finestre in legno si nascondono i muri di cemento dei bunker dell’esercito svizzero.

Durante la Seconda guerra mondiale e negli anni della Guerra fredda, i comandanti della Difesa del Paese alpino hanno deciso di camuffare 250 edifici militari per non farsi scovare dagli aerei spia.

Per oltre 60 anni nessuno ha immaginato che quegli chalet in realtà erano punti strategici dell’esercito.

E’ stato, nel 2004, il fotografo Christian Schwager a scoprire il segreto dell’esercito elvetico nel libro “Falsi chalet”.

Per decenni il governo svizzero ha pagato un gruppo di artisti con l’obiettivo di mantenere in perfette condizioni l’innocuo aspetto di questi immobili, in realtà segrete installazioni militari. E il lavoro è stato eseguito molto bene.

Secondo Schwager, infatti, a più di 20 metri l’occhio umano non può capire la vera identità di questi edifici.

 

Grande Guerra: Trentino, riapre l'ultima fortezza imperiale

Da agi.it del 2 luglio 2015

Trento, 2 lug - A 100 anni dall'inizio della Grande Guerra, l'ultima delle fortezze imperiali ritorna al pubblico al termine di un lungo e accurato recupero che ne ha riportato alla luce la particolarissima identita' di manufatto interamente scavato nella roccia. Vicino a Rovereto, sul monte Pasubio, il 5 luglio una giornata di eventi, visite guidate, allestimenti ed incontri, con ingresso gratuito. Il Forte rimarra' aperto e visitabile ai visitatori italiani e stranieri; le sue sale e gallerie potranno essere scoperte grazie a percorsi guidati, arricchiti dalla presenza di performer che approfondiranno temi e figure della Grande Guerra.
Forte Pozzacchio e' l'ultimo manufatto bellico delle fortezze austro-ungariche realizzate tra Ottocento e inizio Novecento sul confine del Trentino con il Regno d'Italia.
Interamente scavato nella roccia, rappresentava la piu' moderna macchina da guerra della monarchia danubiana.
I lavori di costruzione del forte iniziarono nel 1913 e proseguirono fino alla scoppio della guerra con l'Italia, ma l'opera non fu mai completata. Abbandonato dall'esercito austro-ungarico, il 3 giugno 1915 venne occupato dai soldati italiani. Con l'offensiva del maggio 1916 il forte ritorno' in mano austriaca e vi rimase fino alla conclusione del conflitto.
Gia' fortemente danneggiato dai bombardamenti, nel dopoguerra venne completamente spogliato delle parti metalliche. Il forte di Pozzacchio rappresenta lo stadio piu' evoluto raggiunto dall'ingegneria militare austro-ungarica. Il tenente Stephan Pilz progetto' un'opera quasi interamente in caverna; erano in calcestruzzo solo la batteria per obici in cupola corazzata e la caponiera.

 

Bunker fatti ad arte: ecco i gioielli dell’architettura tedesca compresa l’ex base Nato di Raketenstation

Da ilmessaggero.it del 2 luglio 2015

Quando ci si prefigura un viaggio “culturale”, vengono in mente metropoli ricche di musei capienti, con servizi, percorsi e file degni del JFK di New York.
Ma se invece di città percorressimo parchi e anziché nei musei l'arte la trovassimo racchiusa in gioielli dell'architettura, allora forse oltre che culturale il nostro diventerebbe un viaggio per la pace dei sensi e dello spirito. Questo viaggio esiste, e al suo cuore sta Düsseldorf, la capitale tedesca della Nord Vestfalia affacciata su alcune delle più belle insenature del Reno.

Capitale europea dello shopping e hub internazionale per società di pubblicità, moda e media, Düsseldorf è anche il simbolo delle avanguardie artistiche europee, con la sua rinomata Accademia d'arte dove studiò anche Joseph Beuys. Meno nota è la relazione unica fra arte e architettura che circonda la città in tre centri a pochi minuti di treno o di auto da Düsseldorf: Krefeld, Wuppertal e Neuss. A Krefeld, a 20 km a nord ovest da Düsseldorf, fra il 1928 e il 1930 l'architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe costruisce per due fabbricanti di stoffa, in pieno stile Bauhaus, due case private in un vasto giardino: Haus Esters e Haus Lange, che viene donata alla città nel 1968. Dieci anni dopo la città acquista anche la Haus Esters. Da allora le due ville, di per loro già monumento storico, sono un luogo rinomato di esposizione per mostre di arte contemporanea. IL PARCO A Wuppertal (sede del Tanztheater di Pina Bausch), a 25 km a est da Düsseldorf, immersa in un bosco, si trova invece lo Skulpturenpark Waldfrieden, la fondazione di Tony Cragg, scultore inglese ed ex direttore dell'Accademia d'arte di Düsseldorf. Anche qui arte, architettura e storia convivono nel verde: nel parco sono inserite sculture di Cragg e di altri scultori contemporanei, mentre la sede della fondazione – visitabile con prenotazione e disponibile per eventi – è la villa antroposofica progettata negli anni '40 dall'artista e architetto Franz Krause. Ma è a Neuss, a soli 10 km da Düsseldorf, che si scopre un luogo arcano quanto la storia di colui che l'ha creato: il mecenate Karl-Heinrich Müller (1936-2007). Questi, nel 1982, rinnova un parco ottocentesco presso il fiume Erft, e commissiona allo scultore tedesco Erwin Heerich (1922-2004) 11 padiglioni per accogliere la sua imponente collezione di archeologia e arte moderna (da Hans Arp a Kurt Schwitters, Jean Fautrier fino a Yves Klein). Oggi il parco è il Museum Insel Hombroich, un'isola incantata che accoglie numerosi visitatori che vi passano intere giornate, a passeggio in libertà fra opere d'arte, silenzio e natura.

ASSETTO MILITARE
Nel 1994, il mecenate aggiunge, comprandola, un'ex base missilistica Nato adiacente, nascosta in un giardino la cui atmosfera oggi è onirica e tarkovskiana. E' Raketenstation, un luogo da visitare, ma dov'è anche possibile dormire, nel “Kloster” realizzato da Heerich nel 2001. Mantenendo l'assetto militare originario – bunker e torre di controllo - Müller, oltre che a Heerich (che vi concepisce anche lo stupendo padiglione Fontana, con un rilievo dell'artista italiano), chiede questa volta anche ad architetti di realizzare edifici in sintonia con il luogo, dedicato alla ricerca in architettura, arte, letteratura e filosofia. Fra questi: l'austriaco Raimund Abraham, Tadao Ando e Álvaro Siza che, con Rudolf Finsterwalder, concepisce il Padiglione Siza ispirandosi alle case di Ludwig Mies van der Rohe della vicina Krefeld.

GLI ANNI ’60
Per il neo direttore, l'architetto Frank Boehm, già a Milano per 15 anni come curatore per la Deutsche Bank Collection Italy e come direttore artistico del MiArt nel 2012, «l'architettura come luogo per l'arte contemporanea è una caratteristica storica di questa zona. Già negli anni '60 nelle due ville di Krefeld si esponeva arte contemporanea; epocali furono le mostre curate da Paul Wember, come quella di Yves Klein, o di Burri. Ciò collega Krefeld con Hombroich, ma qui è diverso: Müller creò un ambiente per l'arte, ma invece di chiamare un architetto, chiese a un artista, Erwin Heerich, di creare sculture con scala architettonica, per esporre la collezione. Questo è unico almondo».

L’OSPITALITÀ
Non traggano in inganno i nomi di fama internazionale degli architetti scelti per Raketenstation: «Lo scopo non era chiamare archistar. Müller si rivolse a questi architetti scegliendoli solo per la qualità del loro lavoro, come un collezionista quando sceglie l'opera che ama. Trattava l'architettura come arte: sognando un progetto che ancora non aveva». L'anima che ancora oggi caratterizza questo luogo senza simili al mondo spiega Boehm «è l'ospitalità». Ospitalità anziché comunicazione: forse è ora di ricominciare da qui. di Angela Maria Piga

 

Oasi ecologiche dalla Guerra Fredda

Da italyjournal.it del 30 giugno 2015

Sono oltre sessanta le basi militari tedesche che saranno riconvertite in oasi naturali, per mantenere la biodiversità ed anche per fornire un luogo sicuro per uccelli di piccole e grandi dimensioni.

E’ stata questa la decisione presa dal Governo tedesco dopo che ha valutato che quelle aree non sarebbero mai state più utilizzate a fini bellici perché la pace non è in pericolo imminente. E comunque la strategica militare si è profondamente modificata rispetto alla fase precedente al “crollo del Muro” quando una gran massa di caserme doveva fronteggiare eventuali invasioni da parte delle Germania dell’Est. Stessa cosa nel territorio della ex DDR, che era pronta ad invadere i propri fratelli occidentali.

Le aree consistono in oltre ben 30 mila ettari e, poiché sono state costruite da almeno mezzo secolo, hanno già i primi semi della biodiversità, della variazione delle specie vegetali, in quanto i boschi, le paludi, le praterie non sono state più frequentate da alcuno e l’ingresso vietatissimo ai non militari. Ora il Governo ha ritenuto che eventuali risorse derivanti dalla vendita a scopo edilizio non avrebbero compensato il beneficio ambientale ed ha deciso di soprassedere alla vendita, donandole a specifiche associazioni ambientalistiche regionali e locali.

Una politica avveduta, quindi, e piena di buon senso che ha qualche aspetto comune con quella italiana, anch’essa strapiena di caserme ormai inutilizzate e l’obiettivo finale dovrebbe essere, anche per l’Italia, lo stesso. Per il fatto che il polmone verde delle installazioni ex militari pare essere almeno il doppio di quelle tedesche: gran parte strutture inutilizzate, che occupano, specie in Sardegna, migliaia di ettari pregiatissimi. Purtroppo, la strategia è diversa: mentre in Germania scientemente si è pensato a non andare incontro alla speculazione edilizia, in Italia la condizione di un utilizzo ambientalistico è stato determinato solo dal fatto che la burocrazia a vario titolo ha bloccato le vendite ad uso edificatorio sul cui incasso il Governo aveva fatto, eccome, conto.

Per tornare in terra tedesca, la parte del leone, dal punto di vista vegetale ed ornitologico, rimane la striscia demilitarizzata intorno al confine, ettari ed ettari che erano stati «inquinati» dai reticolati e dai campi minati, ormai tutti rimossi: quella è la vera «striscia verde», è la vera dorsale ecologica europea, che riesce a congiungere il Baltico all’Adriatico.

 

L'Agenzia del Demanio mette all'asta l'ex base missilistica di Zelo

Da rovigooggi.it del 30 giugno 2015

Ceneselli (Ro) - L’ex base militare di Zelo va all'asta. Il sito, che in passato aveva ospitato alcune batterie di artiglieria e missili di varia gittata, figura infatti tra i cinque beni di proprietà dello Stato messi in vendita come si legge sul sito dell'Agenzia del Demanio. L'area, circa 84mila metri quadrati, comprende ben 42 fabbricati di varie dimensioni ed è situata nel territorio comunale di Ceneselli. Per partecipare alla gara, che prevede offerte segrete ma vincolanti, è necessario inviare, entro e non oltre le ore 16 del 29 settembre 2015, un'offerta economica corredata della documentazione richiesta presso gli uffici delle Direzione regionale competente. 

Il giorno successivo, alle ore 10, un'apposita commissione di gara, costituita ad hoc, valuterà la conformità delle offerte nel frattempo pervenute: i beni, tra cui l'ex base missilistica, verranno aggiudicati a chi presenterà l'offerta economica più alta, che dovrà a norma di regolamento essere pari o superiore rispetto alla base d'asta prevista dal bando. Tutte le info sono disponibili su www.agenziademanio.it dov'è scaricabile il bando unico 2015 per partecipare all'asta. Dismesso ormai da diversi anni, il sito di Zelo ha conosciuto, dopo i fasti della Guerra fredda, un triste declino fatto di sporadici eventi musicali e frequenti visite di predoni notturni.

 

Chiude il bunker di Monte Cavo da dove l'Italia e la Nato "gestirono" la guerra fredda

Da ilmamilio.it del 27 giugno 2015

ROCCA DI PAPA – Nei giorni scorsi completata la dismissione del suggestivo sito. L'intera area è ora sotto il controllo del 31° stormo dell'Aeronautica di Ciampino.

Quasi sessantanni di onorato, onoratissimo servizio. Il cuore pulsante di Monte Cavo, l’occhio vigile sulla sicurezza aerea italiana (e Nato), ha chiuso definitivamente i battenti qualche giorno fa.

Un tuffo nella Guerra fredda, negli anni del grande gelo e della grande paura atomica prima che, roba dei nostri giorni, il terrore arrivasse dal Medio Oriente.
La base aeronautica di Monte Cavo, dopo una lunga e faticosa operazione di dismissione, è passata nei giorni scorsi in carico al 31° stormo dell’Aeronautica italiana di stanza a Ciampino. Un cuore pulsante sconosciuto ai più ma idealmente saldato al tessuto sociale e cittadino di una realtà, quella di Rocca di Papa, abituata a convivere con le divise azzurre e con l’accento d’oltreoceano.
Due chilometri di gallerie a difesa di quello che, dopo essere stato base del 2° Roc Nato (Regional Operation Center), dal 1976 al 1998 – a Guerra fredda ormai finita – è stato il Centro operativo dello Stato maggiore dell’Aeronautica italiana. Gallerie disposte su due livelli e, realizzate con spesse volte cemento armato nella roccia viva, in grado di resistere ad un eventuale attacco nucleare su Roma.

Quando Usa e Urss, insomma, “giocavano” a minacciarsi a forza di testate atomiche, a pochi passi da Roma, al riparo da occhi indiscreti, a Rocca di Papa si gestiva tutto il traffico aereo nazionale e di una parte dell’Europa dell’est. Un doppio comando, italiano e Nato, al lavoro nel bunker di Monte Cavo dove per anni voce di popolo ha voluto nascoste basi missilistiche e bombe atomiche. Nulla di questo ma, per certi versi, qualcosa di molto vicino. Una base che nelle sue gallerie a prova di fallaout atomico, era attrezzata anche per ospitare in caso di attacco le massime personalità dello Stato italiano. Presidente della Repubblica e Governo avrebbero trovato a Monte Cavo l’ultimo rifugio per mantenere in vita le strutture democratiche repubblicane.
Alla “sua” base aeronautica da sempre Rocca di Papa deve molto. Deve un indotto importante, arrivato dagli oltre 500 militari contemporaneamente in servizio negli anni di maggior lavoro.


Terminata la funzione di Centro operativo, la base per anni ha ospitato altre funzioni diventando un centro di addestramento. Negli ultimi anni Monte Cavo ha ospitato il Centro nazionale supervisione reti. Il 31 dicembre 2011 la chiusura ufficiale. Da quel momento la lenta dismissione fino ad oggi. In quelle gallerie c’è una fetta di storia patria e mondiale importante, qualcosa che meriterebbe di finire sui libri di storia.

 

”Fare un museo all’ex Cosma sarebbe stato un dovere”

Da ilgrilloonline.it del 25 giugno 2015

Le dichiarazioni del consigliere comunale Venerdì 19 giugno ha chiuso definitivamente l’ex C.O.S.M.A., il Centro Operativo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, testimonianza storica del periodo della Guerra Fredda. E’ stata una stazione telecomunicazioni Usa con copertura Nato, successivamente convertita in base dell’Aeronautica Militare. Nel periodo critico della Guerra Fredda fu costruito un Bunker, un rifugio sicuro in caso di attacco atomico. I lunghi corridoi, la strumentazione – capace di elaborare dati per l’intera zona Europa – tutto conserva ancora oggi la stessa inquietante sensazione che si respirava allora.

”Mantenere viva la memoria storica è un dovere prima ancora che un diritto, – afferma oggi il consigliere comunale di minoranza Danilo Romei – perché errori del passato non siano anche futuri. Divulgare un pezzo di storia così importante, per Rocca di Papa, sarebbe stato un dovere dell’amministrazione. Con volontà, amore per questo paese e rispetto per i suoi cittadini, l’ex C.O.S.M.A. sarebbe potuto diventare un museo di superba bellezza, una ghiotta occasione da parte degli uomini dell’amministrazione di dimostrarsi diversi dalla politica ostentata fino ad oggi”. ”Il progetto – afferma Romei – avrebbe rimesso in moto la nostra vita sociale: lavoro, turismo, commercio”. Dopo il trasferimento di tutti i militari entro dicembre scorso, nella caserma era rimasto solo l’ufficio di stralcio a sbrigare le ultime burocrazie, fino a totale dismissione. Rimane, tra i boschi di Rocca di Papa, una base composta da due ampie palazzine, ad oggi vuote.

 

 

Dal 20 giugno al 4 agosto i Forti messinesi aperti ai cittadini con la rassegna "VivilForte”

Da tempostretto.it del 18 giugno 2015

Obiettivo principale della rassegna “VivilForte” è quello di creare un circuito virtuoso unitario tra i vari Forti appartenenti al Sistema Difensivo dello Stretto che possa diventare attrattore culturale e volano per la costituzione di una rete stabile di cooperazione tra i soggetti gestori delle singole strutture fortificate, a beneficio della collettività.

Dal 20 giugno sino al 4 agosto si svolgerà la rassegna "VivilForte", coordinata da Vincenzo Caruso, che che coinvolgerà i  Forti appartenenti al patrimonio difensivo messinese.

La manifestazione  è stata presentata stamani dall'assessore alla cultura, Tonino Perna, nella Sala Falcone Borsellino di Palazzo Zanca, alla presenza del responsabile del Centro sperimentale, Giacomo Villari e dell'esperto  del sindaco per il turismo, Filippo Grasso.

L’evento si inserisce nel festival sperimentale del Centro di Competenza per lo sviluppo di servizi culturali e turistici nel campo dell'arte e dell'architettura contemporanea, progetto sviluppato dall'ATS composta da Comune di Messina (capofila), GTS Consulting Srl, Grafo Editor Srl, Europrogetti & Finanza Srl e Sud Dimensione Servizi Srl, rappresentati da Giuseppe Galatà, Riccardo Bonaventura e Manlio Maiolino.

Obiettivo principale della rassegna “VivilForte” è quello di creare un circuito virtuoso unitario tra i vari Forti appartenenti al Sistema Difensivo dello Stretto che possa diventare attrattore culturale e volano per la costituzione di una rete stabile di cooperazione tra i soggetti gestori delle singole strutture fortificate, a beneficio della collettività; sarà un’occasione per  accendere i riflettori su un patrimonio architettonico – storico e ambientale, unico nel suo genere, che pone Messina tra le città fortificate più interessanti del Mediterraneo.

La rassegna è organizzata in collaborazione con i soggetti concessionari delle strutture e associazioni che proporranno momenti di animazione e di incontro, con la finalità di testare le potenzialità culturali e turistiche dei nostri Forti, appartenenti a due diversi periodi storici, ma certamente uniche per lo spettacolare panorama dello Stretto che si può ammirare dai loro spalti.

 

Le fortezze sarzanesi si schiudono ai turisti. Domenica di visite gratuite a Sarzanello e Firmafede

Da cittadellaspezia.com del 18 giugno 2015

Sarzana - Domenica 21 giugno il calendario degli eventi per il 550° anniversario di Sarzana città giunge al suo penultimo appuntamento con un convegno dedicato al principale fattore che rende la città unica sotto il profilo architettonico: le sue due fortezze.

La fortezza Firmafede e la Fortezza di Sarzanello, vero e proprio unicum in quanto perfetto esempio dell'architettura militare 'di transizione' tra Medioevo e Rinascimento, ma anche quale 'sistema' formato da due fortificazioni distinte, l'una sul poggio che domina la città e l'altra a ridosso della principale via d'accesso sul lato meridionale.

I relatori del convegno, che avrà luogo nella sala del Consiglio Comunale a partire dalle 10.30 e sarà aperto da un saluto del Vicesindaco Elisabetta Ravecca, saranno tre: i due architetti Stefano Milano e Gianfranco Damiano illustreranno le caratteristiche che rendono uniche le due fortezze, il primo ripercorrendone la storia e le peculiarità architettoniche, ed il secondo concentrando invece l'attenzione sulle ipotesi e proposte attuali per rivitalizzarne la fruizione.

La presenza di Monica Baldassarri, archeologa che ha coordinato le varie campagne di scavo sul sito del castello delle Brina, consentirà poi di fare il punto su uno dei progetti, che ora si avviano verso il compimento, per l'allestimento di importanti musei: in particolare due sale della Fortezza di Sarzanello conterranno l'esposizione sui risultati delle ricerche archeologiche alla Brina.

Per riscoprire le due fortezze, infine, non c'è nulla di meglio che andare a visitarle, tanto più che nella giornata di domenica 21 l'Amministrazione Comunale ha deciso di consentire l'ingresso gratuito.

 

 

Il bunker extra-lusso: 900mila dollari per l'appartamento anti-apocalisse

Da repubblica.it del 17 giugno 2015

 

Base dell’Epomeo: sotto un’apparente trasparenza, il mistero

Da ildispariquotidiano.it del 17 giugno 2015

Massimo Coppa | Nella scorsa puntata ho illustrato alcuni enigmi riguardanti la base militare situata sul Monte Epomeo, sorta come presidio NATO di telecomunicazioni. Ho rilevato che non si ha memoria storica della sua costruzione, neanche in persone di età avanzata: è come se fosse emersa dal nulla. Alcune testimonianze hanno riferito di aver visto approdare ai Maronti uomini e mezzi americani, introdottisi poi nel canyon dell’Olmitello: esiste dunque un passaggio segreto, forse scoperto o creato dai nazisti (grandi esperti di città sotterranee, come quelle realizzate in Polonia), e utilizzato addirittura per arrivare sulla cima della montagna? Quel che è certo è che nessuno ricorda di aver mai visto inerpicarsi verso la base camion ed altro: in che modo, dunque, avvenivano i rifornimenti di viveri e strumentazioni? Così come nessuno ha mai visto in giro militari americani: e sì che non passano inosservati! E’ come se ci fosse un modo per arrivare e lasciare la base senza essere visti. Una presenza discreta, dunque. Eppure, la base NATO dell’Epomeo era uno snodo importantissimo della rete“Troposcatter”, ed ancora oggi è censita in tutti gli elenchi noti di basi militari americane (la sua sigla è IICZ). La rete Troposcatter, oggi non più attiva perché superata da nuove tecnologie, utilizzava gli impulsi radio emessi verso la troposfera (la fascia più bassa dell’atmosfera terrestre), capaci di viaggiare in qualsiasi condizione meteo, e costituiva un sistema di monitoraggio e allarme usato dalla NATO.

Attualmente alla base ischitana si fa ufficialmente riferimento come “stazione USA con copertura NATO” anche se, in realtà, gli americani non sono più presenti. Dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) e la fine dell’Unione Sovietica (1991) e della cosiddetta Guerra Fredda, la stazione radio (ufficialmente chiusa, come NATO, il 30 novembre 1995) è passata all’esercito italiano, si chiama “Stazione Radio Interforze” ed è attualmente gestita dai militari del 45esimo Battaglione Trasmissioni “Vulture”. Mi è stato riferito che, in pratica, oggi il personale è ridotto al minimo e, a livello di trasmissioni, l’operatività è quasi nulla. Ovviamente la struttura è comunque utilizzabile, in caso di necessità, dalla NATO. La segretezza, apparentemente, è ormai un ricordo del passato, tant’è vero che, addirittura su Internet, è possibile trovare foto della base con tanto di indicazione del compito di ogni struttura edificata! L’associazione dei radioamatori ischitani, facenti capo alle associazioni nazionali di settore ARI e CISAR (oggi fuse), ha addirittura visitato ufficialmente la base, con tanto di foto-ricordo con il comandante italiano, ed ha ricevuto l’autorizzazione ad installare proprie antenne, cosa già effettuata. Del resto, sui tralicci dell’installazione sono stati collocati anche ripetitori utilizzati dalle forze dell’ordine locali. Una trasparenza apparentemente totale che cozza con i dubbi e gli interrogativi che rimangono tuttora senza risposta. Bisogna pure aggiungere che, in realtà, non manca chi definisce l’intera struttura come facente parte di un elenco di “siti militari attualmente in stato di abbandono e degrado del territorio”, come fa il polemista Gianni Lannes. In effetti, questa circostanza mi è stata confermata da persone che hanno avuto accesso alla base: la maggior parte delle strutture coperte è praticamente inutilizzata e lasciata al suo destino. Questo dell’inquinamento ambientale causato dalle basi alleate è un aspetto di cui si parla poco e su cui grava, sempre, il segreto militare.

L’emissione di onde radio ad alta potenza (specialmente al tempo dell’utilizzo della rete Troposcatter), unitamente ai materiali altamente inquinanti utilizzati e, spesso, abbandonati (basterebbe pensare all’amianto) suscita inquietudini fondate. A volte qualche forza politica minore ha cercato di smuovere qualcosa, ma senza successo. Anche la sezione ischitana di Rifondazione Comunista ha trattato dell’argomento nell’ambito di un forum sull’ambiente promosso con altre realtà territoriali come Legambiente, associazioni animaliste, eccetera. All’interno del discorso sulle problematiche ambientali che interessano l’isola, il circolo di Rifondazione ha segnalato criticamente pure la vicenda della base Nato sull’Epomeo. Purtroppo, al di là di un confronto sul tema con i referenti regionali della formazione politica, non ci sono stati riscontri a livello nazionale. Inutile dire che il governo italiano si è totalmente disinteressato dell’argomento ed ha ignorato tutte le interrogazioni parlamentari formulate in merito alle basi dislocate in tutta la penisola. Non mancano testimonianze di fenomeni strani verificatisi nei pressi della base, fuori dall’area militare, riportate da isolani avventuratisi per funghi, per fare trekking o altro: inspiegabili banchi di nebbia improvvisi, dall’apparenza artificiale, forse rivolti ad occultare qualcosa; strane tubazioni; misteriosi tremori sottoterra; estrattori che fuoriescono dal terreno, nascosti dal fogliame, la cui funzione è ignota.

Sono però testimonianze inutilizzabili, perché rigorosamente rilasciate in cerchie ristrettissime di amici e che non vengono esplicitate formalmente all’esterno per timore del ridicolo o di qualche reazione di tipo legale. Queste voci sono state raccolte anche da Salvatore Marino Iacono, un ischitano con la passione del mistero, il quale nel suo libro “Epomeo figlio di Agarthi”, tra l’altro riferisce di uno strano episodio capitatogli nel 2004. Di fronte a numerosi testimoni, in un bar, un ignoto signore (presentatosi come turista in vacanza) dall’apparente età di quarant’anni e dall’accento romano, raccontò a Marino Iacono ed ai suoi amici “che l’Epomeo nasconderebbe al suo interno un’enorme base segreta. Tale base scenderebbe in profondità per alcune centinaia di metri e le antenne visibili a occhio nudo sarebbero nient’altro che l’unica parte visibile dell’intera installazione. A prova di quanto sosteneva, ci fece una domanda: ‘Secondo voi, se veramente esistesse una base di tale grandezza, quanta gente ci dovrebbe lavorare al suo interno?’ La risposta fu ovvia da parte nostra. ‘Parecchia!’. Qualcuno azzardò anche ‘centinaia di persone!’. ‘Risposta esatta’, disse lui”, spiegando che gli spostamenti di uomini e mezzi avvengono attraverso occulte gallerie sotterranee utilizzate dai militari. Inoltre i molti avvistamenti di misteriose luci provenienti dal mare e terminanti nell’Epomeo, specie dal lato di Forio, si spiegherebbero con la presenza di velivoli utilizzati prima dell’apertura delle gallerie sotterranee per trasportare “le persone dalla terraferma alla base senza destare sospetti, altrimenti il porto d’Ischia sarebbe troppo affollato”. Verità, suggestioni? Chissà. (2 – FINE) www.massimocoppa.it

 

La cinta muraria del Buonconsiglio tornerà a splendere

Da lavocedeltrentino.it del 15 giugno 2015

Termineranno a luglio gli interventi di pulitura e consolidamento delle superfici lapidee che riporteranno agli antichi splendori un’ulteriore porzione dell'estesa cinta muraria del Castello del Buonconsiglio.

Da qualche settimana ormai la cinta muraria del Castello del Buonconsiglio, in particolare la parte racchiusa tra il torrione a nord vicino alle scuole Sanzio e quello in prossimità della porta di ingresso di San Vigilio, è oscurata dall’impalcatura necessaria per i lavori di manutenzione straordinaria seguiti dalla Soprintendenza ai Beni Culturali. I lavori, diretti dall’architetto Luca de Bonetti e dal geometra Tiziano Vicentini e appaltati all’impresa Tecnobase srl., interessano le superfici esterne della cinta murarie con interventi di pulitura, revisione dei giunti di malta degradati, eliminazione di eventuali materiali successivamente aggiunti incompatibili con quelli originari, consolidamento di malte, fissaggio di elementi mobili e perniatura di fessurazioni.

La notizia potrebbe apparire importante solo per gli "addetti ai lavori" se non fosse che le mura, attuale oggetto di pulizia e restauro, un tempo rischiarono di essere abbattute. Nel 1837 il podestà Benedetto Giovannelli aveva ipotizzato infatti di abbattere la cinta muraria assieme a tutto il Castelvecchio per lasciare in piedi solo il Magno Palazzo clesiano e donare così al monumento una fisionomia rinascimentale reinventata in chiave neoclassica. Il consiglio cittadino mise all’ordine del giorno l’abbattimento di Castelvecchio, delle mura e dei bastioni fino a Torre Aquila, ma la proposta fu respinta e del progetto non se ne parlò più.

L’unico intervento di demolizione si ebbe quasi cent'anni dopo, nel 1928, quando l’allora soprintendente Giuseppe Gerola fece abbattere la sopraelevazione eretta dagli austriaci nel lato a sud verso Torre Aquila ed erigere gli attuali possenti merli in pietra e mattoni. La cinta muraria attualmente visibile fu realizzata nel corso del Cinquecento durante la costruzione del Magno Palazzo voluto dal principe vescovo Bernardo Cles. Durante quei lavori venne abbattuta la più antica cortina fortificata, intercalata da torri a difesa e immortalata nel 1494 nel celebre acquerello della Veduta del Castello del Buonconsiglio di Albrecht Dürer. Non è da escludere che potrebbero sussistere ancora alcune porzioni delle mura quattrocentesche, inglobate in quella posteriore.

 

Ristrutturazione ai bunker di guerra, ecco le novità

Da livingcesenatico.it del 15 giugno 2015

Il Comitato Ricerche Belliche 360 gradi annuncia novità in città sul versante della tutela dei residuati bellici in città .

Ecco le novità in cantiere in zona Cesenatico:

Sistemazione esterna del bunker Tobruk zona Ponente situato fra il Bagno Belvedere e il Bagno Pasquina.

Sarà mimetizzato.


Riesumazione del bunker Mod. Vf 58c Tobruk, situato in parcheggio di un albergo in zona spiaggia di Levante.

“Dopo averlo imbragato – si legge -, lo trasporteremo in una zona dove sorgerà un parco tematico dedicato alla seconda guerra mondiale”.

 

 

Forte di Exilles, qualche speranza sulla riapertura

Da tgvallesusa.it del 12 giugno 2015

Dopo le numerose vicende sulla chiusura del Forte e sui problematici accordi tra le precedenti giunte regionali e il Museo della Montagna che lo gestiva, si intravede uno spiraglio di luce. Il Forte di Exilles costituisce un bene prezioso non solo per la cittadina che si distende ai suoi piedi ma come potenziale centro di attrazione turistica e culturale per tutta la Val di Susa con importanti ripercussioni economiche.

Dopo ulteriori lavori e tante parole la struttura è rimasta chiusa per tutto il periodo invernale. I commercianti di Exilles si sono sovente lamentati del fatto che i turisti chiedevano loro informazioni sulle date di riapertura del Forte ed essi non erano in grado di fornirle. Francesca Frediani, consigliera regionale del M5S, saluta con un comunicato stampa il nuovo accordo tra la Regione Piemonte e il Comune di Exilles per la gestione del Forte.

Permangono alcune perplessità tra le quali il ruolo dell’Unione dei Comuni e di eventuali partner privati nell’ambito del progetto. Mancano ancora delle linee chiare su quelle che saranno le proposte culturali messe in campo affinché il Forte costituisca un polo di turismo non solo per i periodi estivi.

La Frediani augura che  a questo primo passo ne seguano speditamente altri per realizzare un complessivo progetto di rilancio sul territorio e sulle realtà locali del quale possano beneficiare tutti gli attori.di Davide Amerio.

 

 

La base militare dell’Epomeo ed i suoi enigmi

Da ildispariquotidiano.it del 11 giugno 2015

Massimo Coppa | Incombe sull’isola d’Ischia dal periodo immediatamente successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando cioè l’Italia era ormai entrata saldamente a far parte del sistema dell’Alleanza Atlantica attraverso il patto militare della NATO.

È una presenza che ormai passa inosservata, tanto siamo abituati a vederla stagliarsi dal Monte Epomeo: si può dire addirittura che, ormai, faccia parte del paesaggio, con i suoi altissimi tralicci e le sue parabole visibili anche da lontano. Apparentemente immobile, sempre uguale a sé stessa, in realtà è stata (e parzialmente lo è ancora) un organismo vivo ed operativo, teoricamente rivolto alla protezione delle nostre libertà, parte di un baluardo che fa capo agli Stati Uniti e che difende l’Italia ed il mondo occidentale da qualsiasi pericolo di tipo militare, da qualunque parte provenga.

Ma cosa sappiamo, realmente, di questa base? Apparentemente sappiamo tanto: ma la verità è ben diversa e non potrebbe essere altrimenti, visto che parliamo di un presidio militare a cui la dicitura “top secret” ben si attaglia. Tuttavia non mi riferisco all’ovvia segretezza che caratterizza un sistema di difesa; ma ad aspetti e suggestioni, direi addirittura leggende metropolitane, che fanno capo alla sua esistenza ed al suo livello di operatività.

Il primo enigma concerne la sua costruzione. Nessuno ne ricorda nulla: e non parlo solo di noi isolani contemporanei (come sarebbe logico per una banale questione anagrafica), ma anche di persone anziane. Nessuno ha mai assistito al passaggio di camion e personale verso la zona destinata al sorgere della base: un’area situata sul Monte Epomeo a cui, ufficialmente, si accede attraverso la “Strada Militare”, appositamente realizzata, nel Comune di Serrara Fontana. Si suppone che per la costruzione di una base militare, oltretutto in un’area così impervia, sia necessario un continuo andirivieni di mezzi meccanici e di trasporto, con trasferimento di ingenti quantità di materiali edili, strumentazioni, macchinari; oltre, ovviamente, alla manodopera necessaria. Nessuno ha mai visto niente del genere: è come se la base fosse sorta dal nulla, utilizzando materiali già presenti in loco. Questo, ovviamente, è impossibile. Mi è stato riferito di qualche testimonianza, lontanissima nel tempo, secondo cui uomini e mezzi sarebbero stati visti arrivare via mare, su mezzi giunti sulla spiaggia dei Maronti, per poi scomparire nei canyon della zona dell’Olmitello.

C’è dunque un passaggio segreto, sotterraneo, forse naturale, conosciuto dalle autorità militari americane, che porterebbe addirittura direttamente in cima alla montagna? Sarebbe l’unica spiegazione logica, per quanto incredibile, che potrebbe spiegare la visione di uno spettacolo del genere: militari e materiali che sbarcano sulla spiaggia e si addentrano nell’alveo delle sorgenti termali. E come mai esso era conosciuto dalle truppe a stelle e strisce? Avevano forse ereditato quest’informazione dalla Germania nazista? C’è tutta una credenza, che risale a secoli addietro, secondo cui il nostro pianeta, internamente, è cavo. Hitler e diversi gerarchi nazisti di vertice credevano fermamente in questa impostazione ed effettuarono ricerche per scoprire gli ingressi di questo mondo sotterraneo: è una vicenda di enorme complessità che tratterò meglio in un prossimo articolo, perché ha attinenza persino con l’isola d’Ischia. Per adesso basti sapere che, se i tedeschi hanno trovato delle strade sotterranee, queste potrebbero essere state utilizzate anche dagli americani. Del resto la capacità dei nazisti di realizzare intere città sotto il suolo è già storicamente comprovata: basti ricordare l’esistenza di enormi complessi situati in Polonia, nella Bassa Slesia, scoperti dai sovietici sul finire del secondo conflitto mondiale, tutt’oggi ancora in larga parte inesplorati e addirittura parzialmente accessibili ai turisti.

La base NATO dell’Epomeo è sempre rimasta una specie di oggetto misterioso, silente. Alzi la mano chi ha mai visto salire o scendere, lungo la Strada Militare, un camion con dei rifornimenti o del materiale logistico, o passare truppe. Niente del genere viene ricordato da nessuno, mai. Per quali strade e con quali sistemi, allora, viene rifornita la base? Con elicotteri è da escludere: ho abitato per trent’anni in via Cretaio, a Casamicciola, e vedevo la base nitidamente, proprio di fronte casa mia, in lontananza. Non ho mai visto atterrare o decollare un velivolo! E’ a dir poco strano che possano passare uomini e mezzi per una strada vecchia ed all’apparenza abbandonata, quale è quella che si snoda a partire da un vetusto cartello che ammonisce “zona militare, vietato l’accesso” (al bivio con la stradina pedonale che conduce alla cima dell’Epomeo). E dunque? Mistero. Così come un altro mistero riguarda la teorica presenza, ad Ischia, di militari americani. Dico “teorica” perché anche questi sono stati un oggetto misterioso. Dovunque ci sia una base americana la presenza dei militari non passa inosservata: sono chiassosi, estroversi, bazzicano i bar e, spesso, ci scappa pure qualche problema di ordine pubblico. Mai niente del genere si è registrato qui. Tutt’al più, qualche volta, è stata vista circolare un’auto con la targa “AFI” (acronimo di “Allied Forces in Italy”, cioè “Forze Alleate in Italia”). Un po’ poco, no? (1 – CONTINUA) www.massimocoppa.it

 

Nei bunker degli aeroporti fantasma

Da varesenews.it del 9 giugno 2015

Decine di km di piste e strade di raccordo ormai scomparse, torrette, terrapieni paraschegge per proteggere gli aerei, alloggi e sistemi difensivi: sono alcune delle tracce del vasto sistema di aeroporti militari e strutture aeronautiche che si sviluppano sul pianoro sopra alla valle del Ticino, tra Somma Lombardo a Nord e Castano Primo all’estremo Sud. Le tracce più nascoste – per loro natura ma anche per lo scorrere del tempo – sono però i bunker: strutture difensive rimaste nella zona ma spesso poco note (per esempio perchè isolate) o addirittura invisibili.

Siamo andati alla ricerca di alcune di queste tracce, insieme al gruppo Unex Project, che sulle pagine di VareseNews ha presentato già lo scorso anno una ricerca in questa zona (che ha portato alla scoperta di alcuni resti di un trimotore Sm79 distrutto a Lonate Pozzolo).

Gli esploratori di Unex Project ci hanno accompagnato in due bunker della zona: il piccolo bunker di Cardano al Campo (unico visibile al pubblico dei tre costruiti durante la Seconda Guerra Mondiale, piuttosto facile da rintracciare, nei dintorni della superstrada 336) e quello, più ampio e risalente al periodo tra le due guerre, del “Campo della Promessa”, l’aeroporto sede di aerei da bombardamento che sorgeva tra Lonate Pozzolo e Castano Primo. Quest’ultimo era al servizio anche delle famiglie degli ufficiali che abitavano in quattro ville ai margini dell’aeroporto (che sono più note e facili da individuare).

Il video racconta una giornata di esplorazioni a caccia dei bunker intorno agli aeroporti fantasma

 

Il mistero del bunker del Kgb a Riano

Da ilgiornaleditalia.it del 7 giugno 2015

Alle porte di Roma radio e armi dei servizi sovietici: dall'Inghilterra la conferma ai contenuti del dossier Mithrokin

Nuovi documenti sui depositi segreti piazzati dall'Urss ai tempi della Cortina di ferro: chi sapeva? Monte Perazzo, più precisamente Colle Romano: settecentocinquanta metri dal bivio per Riano dalla via Tiberina, i cartelli indicano la zona militare dell‘ arsenale dell‘ Esercito Italiano. Ma i documenti appena depositati dal Governo britannico al Churchil Archives della Università di Cambridge, svelano che l’arsenale li non è tricolore ma ha una bandiera diversa, una bandiera che da oltre un ventennio non sventola più ma che ancora incute paura e terrore in chi ha vissuto sotto il suo tacco. È la bandiera rossa con falce e martello l’insegna sotto cui anonimi agenti del Kgb sovietico nascosero proprio a Riano, alle porte di Roma, le armi da utilizzare in caso di necessità e gli apparati radiotrasmittenti per comunicare con la Lubianka, la sede centrale dei servizi di Mosca. Nel 1999 il Servizio segreto italiano fu informato. Il Ros dei Carabinieri fece verifiche, la Procura indagò senza risultati tangibili. Ci furono anche commissioni di inchiesta, ma la svolta vera arrivò solo pochi mesi fa, quando a Londra decisero di declassificare i documenti con le specifiche dei tre siti italiani dove il Kgb nascose i suoi segreti.

Uno era a sud di Roma su Monte Cavo (Nome in codice Bor, sito ad Artena-Grottaferrata) sede dello Stato Maggiore della Aeronautica, vicino il dedalo di cunicoli sotterranei che avrebbe ospitato i vertici della Forza Armata in caso di guerra nucleare: questo sito fu individuato e i dossier segreti dei defezionisti di Mosca si rivelarono esatti, come a Poggio Moiano dove il sito “Fosso”, nome in codice attribuito dalla Residentura del Kgb, fu scoperto dagli artificieri.
Il sito ed il deposito nome in codice “Kollo”, posizionato in comune di Riano, invece non fu mai rinvenuto per le inesattezze riportate negli appunti delle spie defezioniste russe e forse per gli insabbiamenti operati “dall’interno”, cioè da chi, è stato ipotizzato, non vedevano di buon grado il fatto che Mosca avesse nascosto nelle aree militari italiane i loro tesori.
Molti gli interrogativi: perché Riano? forse per la vicinanza con Sant Oreste e Monte Soratte, gemello di Monte Cavo che ospitava le basi segrete sotterranee antiatomiche dell‘ Esercito? E chi aveva libero accesso alle aree militari tanto da poter posizionare cassette con radio ed armi? Avevamo spie russe fra i nostri militari? Le cassette interrate erano munite, nello stile Kgb, di trappole esplosive: fu per questo che si evitò di cercare il deposito di Riano?
Resta il Fatto che il Maggiore russo Vassilj Mitrokhin descrisse per filo e per segno agli inglesi le mappe dei covi sovietici e la lista degli agenti e degli amici di Mosca, cosi come il Maggiore Gru Victor Suvorov, dell’intelligence centrale militare, descrisse l’avvenuto posizionamento di mini bombe atomiche vicino le sedi militari italiane, da fa esplodere come mine in caso di guerra. Queste Mini Atomiche posizionate dal Gru dovevano essere attivate da apparati radio posizionati dal Kgb: era forse questa la funzione tattica dei siti russi di Monte Cavo e di Riano? Molte le domande, poche le risposte perché l’Autorità Giudiziaria non ha mai ritenuto di dover approfondire ed i militari lo avranno anche fatto ma non alla luce del sole, pertanto i misteri restano, finché la Procura della Repubblica non deciderà di scavare…

 

 

L’Arsenale riapre le porte, visite guidate di gruppo

Da laprovinciapavese.it del 7 giugno 2015

Si utilizzerà il modello Expo per garantire la sicurezza negli spazi dell’Arsenale che dopo 50 anni aprirà di nuovo le porte ai pavesi. L’area nascosta dal muro di via Riviera dal 15 maggio non è più militare, ma resta comunque sotto i vincoli del Demanio Civile e viene concessa eccezionalmente al Comune di Pavia per permettere le visite che si svolgeranno nella sola giornata di domenica 21 giugno.

Le visite guidate si svolgeranno no-stop dalle 10.30 alle 17.30. Gli orari però sono ancora da riconfermare dopo il sopralluogo da parte dei tecnici del Comune.

Si entrerà a gruppi cadenzati (tra le 20 e le 30 persone a turno), ogni visita durerà circa 15 minuti. Ogni gruppo sarà accolto e accompagnato dai volontari lungo un percorso protetto attraverso i vialetti della cittadella dismessa del Genio militare.

Ciascun gruppo sarà accompagnato sia in testa sia in coda da addetti alle visite guidate affinchè nessuno lascia i percorsi concordati.

L’area sarà presidiata nei punti sensibili da personale della Protezione civile di Pavia e della provincia, oltre che dagli uomini della polizia locale. Tutti saranno in contatto via radio.

Verrà probabilmente vietato l’ingresso ai cittadini con i cani, inoltre verrano sigillati per sicurezza alcuni dei tombini ai quali i vandali hanno rubato i chiusini in modo da scongiurare pericoli e cadute. Così è stato stabilito in una riunione dal sindaco Massimo Depaoli, dagli assessori Massimo Gualandi e Giuliano Ruffinazzi. Ora tocca al prefetto valutare il piano di visite guidate all’interno dell’area demaniale che si svolgeranno tutte sotto la responsabilità del Comune. Per aiutare nell’accoglienza e nell’assicurare percorsi ordinati e in tutta sicurezza saranno al lavoro anche i volontari del comitato «Arsenale creativo».

 

 

Le fortificazioni nel Nord Sardegna a cavallo della Grande Guerra

Da lisciuta.it del 4 giugno 2015

La Conferenza sulle fortificazioni nel Nord Sardegna a cavallo della Grande Guerra svoltasi ad Olbia il 28 maggio 2015 presso l’istituto ‘Dionigi Panedda’, in partenariato con l’Ufficio del Genio Militare per la Marina Militare Scuole – Nucleo Demanio, de La Maddalena, ha fornito un’ulteriore testimonianza dell’eredità che il Genio Militare de La Maddalena ha lasciato al territorio del Nord Sardegna nel corso dell’intensa opera di costruzioni posta in essere sin dal 1888, in funzione della attività istituzionali necessarie per la difesa della Patria. Nell’ambito degli eventi e ricorrenze per il centenario dell’entrata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale il Prof. Filippo Ledda dell’Istituto Tecnico Commerciale e per il Turismo di Olbia ha chiesto alla Dott.ssa Assunta Maria Pastò, Responsabile del Nucleo Demanio de La Maddalena, che dal 2014 è posto funzionalmente alle dipendenze del Comando Marittimo Nord tramite collegamento tecnico con la Direzione del Genio Militare di La Spezia, se poteva organizzare, presso la sala conferenze dell’Istituto, un evento rivolto agli alunni ed alla popolazione interessata sul tema delle fortificazioni militari e sul debito che il territorio della Gallura ha nei confronti del Genio Militare, mettendo l’accento sull’esistenza di quelle costruzioni che nel tempo sono divenute monumenti architettonici e che potrebbero essere valorizzate, nel tempo, in vista di un turismo sempre meno stagionale e più orientato alla storia ed alla qualità. L’interesse mostrato risulta oltre modo attuale anche in virtù delle dismissioni dei beni del Demanio Militare, non più necessari alla Forza Armata, che hanno realizzato una sorta di restituzione alla collettività di molte opere che raccontano una pagina importante della storia locale.

Giova ricordare che nel 2010, il Genio Militare de La Maddalena, si è fatto promotore di una mostra-convegno sull’Architettura militare del Nord Sardegna. Un evento molto partecipato ed apprezzato dal quale è scaturita la pubblicazione del libro ‘In Labore Ingenium‘ a cura della Dott.ssa Assunta Maria Pastò’ che è stato adottato da biblioteche scolastiche ed anche dallo stesso Istituto Panedda, particolarmente attento alla conoscenza della storia, della cultura e dell’evoluzione architettonica del territorio.
Anche la Mostra Convegno, dedicata alle Vie dell’Acqua, organizzata dal Genio Militare nel 2012 ha raccolto una grande quantità di consensi; numerosi gli Istituti scolastici che hanno partecipato al concorso fotografico indetto per scoprire le tracce dei sistemi di ingegneria idraulica ancora presenti nel territorio. In corso di pubblicazione gli Atti. La conferenza sulle fortificazioni svoltasi il 28 Maggio 2015, presso la Sala Conferenze dell’Istituto, ha coinvolto, oltre la Dott.ssa Pastò, anche il personale civile del Nucleo Demanio, Antonella Muglia, Emilia Malleo, Stefano Fioredda, Gianfranco Pastorelli, Antonella Pisano, Angelo D’Apice, Giuseppina Sircana, Daniela Acciaro e Roberto Pirredda, che hanno collaborato alla ricerca degli atti e delle planimetrie storiche, alla realizzazione dei reportage fotografici ed all’allestimento e conduzione della mostra estemporanea delle planimetrie e dei registri storici attinenti le opere difensive del Nord Est Sardegna e di Terranova Pausania, oggetto della giornata studio.
L’obiettivo che si sono posti gli organizzatori è stato quello di scoprire e far scoprire agli studenti “il senso dell’essere dei luoghi” (così è stata titolata la mostra) e renderli maggiormente consapevoli della storia del loro territorio.

La Conferenza, cui hanno partecipato circa 50 studenti dell’ultimo anno provenienti da vari istituti Scolastici di Olbia e il Capo Ufficio del Genio Militare per la Marina Scuole di La Maddalena, C.F. Luca Marco Addis, ha visto l‘autorevole presenza del Comandante della Scuola Sottufficiali della Marina Militare de La Maddalena, C.V. Claudio Gonfalonieri, del Rappresentante della Direzione Marittima di Olbia e del Comandante del Centro Telecomunicazioni della M.M. di Tavolara, C.F. Stefano Loi. Il Capo Nucleo Demanio ha evidenziato come la costruzione delle opere militari e delle strutture logistiche, viarie e idriche a esse collegate, costruite per esigenze militari – e che da sempre, hanno contemporaneamente assolto utilità civili – in virtù delle esigenze strategiche perseguite hanno plasmato un territorio e ne hanno condizionato l’evoluzione urbanistica, antropica, culturale ed economica. La dualità dell’attività istituzionale della Marina, il c.d. Dual-Use, ha ricordato la Dott.ssa Pastò, è un concetto che la Marina Militare ha abbracciato fin dall’inizio della Prima Guerra Mondiale. La Conferenza ha rappresentato un prezioso contributo alla conoscenza del territorio del Comune di Terranova Pausania (attuale Olbia) e dei suoi cambiamenti nel periodo della Grande Guerra, con l’impianto della Stazione Idrovolanti e dell’Aeroscalo per i Dirigibili M1, attraverso le attività tecnico-demaniali poste in essere nell’ambito dell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali dal Genio Militare, corpo tecnico della Regia Marina.
E’ stata ricostruita la storia tecnico-demaniale di varie infrastrutture militari; dalle batterie della Costa Sarda (Est) nel Comune di Arzachena in Località Tremonti (Opera Tremonti, Battistoni e Opera M333) al Semaforo di Monte Moru e Capo Figari; dai baraccamenti e dalla batteria Luigi Serra di Golfo Aranci alla stazione di vedetta di Capo Ceraso.
L’intervento dell’architetto, Prof. Emilio Esposito, ha conferito all’incontro anche una autorevole connotazione specialistica sottolineando la valenza architettonica delle costruzioni militari non semplici manufatti ma costruzioni dalle linee e dai dettagli ricercati.
L’intervento del Dr. Gabriele Rabuini ha oltremodo attualizzato e concretizzato la valenza turistica delle fortificazioni portando la sua esperienza professionale di conoscenza delle esigenze turistiche che, oltre alle specialità eno-gastronomiche, quali fondamentali strumenti di conoscenza, palesano il desiderio di ripercorrere gli itinerari storici che hanno connotato il territorio oggetto del loro viaggio. Le architetture militari, che si fondono con lo splendido paesaggio naturale conferendo al Nord Sardegna un fascino senza tempo e che raccontano una pagina importante della storia locale, rappresentano una preziosa risorsa da valorizzare in chiave turistica e culturale a livello internazionale poiché il sistema difensivo costiero ben potrebbe ambire al riconoscimento di World Heritage Site dell’Unesco.

 

Le torri costiere del Salento diventano radar per tutelare il mare

Da quotidianodipuglia.it del 4 giugno 2015

Le torri fortificate dell'Area Marina Protetta dello Jonio custodi del territorio e “vedette” di legalità. Con i radar installati sulla sommità e la possibilità di allungare lo sguardo, verso il mare, per decine di miglia. Per controllare, ma soprattutto per proteggere e per tutelare il blu di Porto Cesareo che si allunga fino a sud davanti alla costa di Nardò. Con la presentazione ufficiale del progetto realizzato dal Consorzio di gestione dell'Amp nell’ambito del Programma Operativo Nazionale (Pon) parte il sistema di videosorveglianza che rappresenta, per tutta l’Italia, un progetto-pilota. Questa mattina a partire dalle 9.30, presso la Masseria Torrenova in territorio di Nardò, è in calendario con un workshop tematico il taglio del nastro che garantirà sicurezza e legalità a terra ed in mare nell’ambito di un sistema integrato.
L'obiettivo fondamentale, tra i più importanti nel suo genere in tutta Europa, è quello di restituire alle antiche torri costiere edificate molti secoli fa la loro antica funzione. Baluardi del territorio come nel Quattrocento - età aragonese - quando furono in larga parte costruite lungo le coste pugliesi (e non solo) a difesa delle scorrerie dei turchi e dei pirati del Mediterraneo. Roccaforti sul mare che si riappropriano del ruolo di “vedette” - è questa la nuova veste - per la salvaguardia dell’ambiente e della legalità sul territorio e sul mare. Il progetto rientra nei finanziamenti Ue per il 2007/2013: sulle sei torri lungo la costa della Riserva Marina è previsto un sistema di videosorveglianza intelligente, grazie allo stanziamento, in parte proveniente dall’Unione Europea e in parte dal ministero dell’Interno, di un milione e mezzo di euro. L’intero sistema di videosorveglianza, ad altissima tecnologia, con visione diurna/notturna per la rilevazione di intrusioni nelle zone interdette della riserva, consentirà un monitoraggio capillare del territorio lungo la fascia costiera, a salvaguardia della sicurezza ed a tutela dei beni ambientali.
Sei le torri interessate dall’installazione dei sistemi radar e di videosorveglianza: Torre Lapillo all’inizio della baia sabbiosa, Torre Chianca davanti agli stabilimenti balneari, Torre Cesarea che è quella della marina, Torre Squillace all’inizio della penisola della Strea, Torre di Sant’Isidoro a ridosso della spiaggia e, infine, più a sud, Torre Inserraglio in coincidenza con l’inizio del parco di Portoselvaggio. La centrale operativa è stata istituita presso la sede del Consorzio di Gestione dell'Amp, in condivisione con la locale Capitaneria di Porto. «L’obiettivo principale del sistema è la rilevazione delle intrusioni nelle Zone A dell’Amp, interdette all’accesso, e la documentazione delle infrazioni nelle altre zone della Riserva in cui le attività umane sono regolamentate - spiegano Paolo D'Ambroso direttore Amp Porto Cesareo e Remì Calasso presidente del Consorzio-.
Più facile sarà quindi mettere un freno a diversi tipi di reati che vanno dal superamento delle velocità consentite di transito alla pesca illegale, allo sfregio della costa, nonché la documentazione di infrazioni negli adiacenti parchi regionali, l'edificazione abusiva, l'occupazione abusiva di spazi demaniali, l'intrusione nelle aree interdette, l'immediata individuazioni di incendi e la loro prevenzione. dono». L'evento di presentazione del progetto prevedrà l’intervento di tutte le istituzioni coinvolte nel progetto: dal ministero dell’Interno a quello delle Politiche Ambientali, dal Consorzio Amp di Porto Cesareo ai Comuni di Porto Cesareo e Nardò passando per i tecnici progettisti. Con le forze dell’ordine, ovviamente, in prima fila

 

E' sotto la Prefettura il bunker di Mussolini

Da corriereromagna.it del 3 giugno 2015

Una botola di ferro a prima vista insignificante, tra il terrapieno e lo spiazzo della corte interna. E, sotto, una scala a pioli che porta a un groviglio di stanze ricavate cinque metri sotto al livello del suolo. Spunta un bunker nel giardino della Prefettura di Forlì, dove tra il 1936 e il ’37 l’architetto Cesare Bazzani realizzò la residenza per Benito Mussolini. L’ultimo tra i rifugi antiaerei che il Duce volle per proteggere sé e la sua famiglia durante la Seconda guerra mondiale, al pari di quelli realizzati a Villa Torlonia e Palazzo Venezia a Roma.Non si tratta di una cantina adattata a ricovero antiaereo, è un vero e proprio fortino in cemento armato, scavato in profondità in un secondo momento rispetto al palazzo Piazza-Paulucci. Nessun documento ufficiale ne parla, l’ultimo a mettervi piede è stato il prefetto Salvatore Montanaro.Da allora l’oscurità è tornata a regnare sovrana nel bunker segreto di Forlì. La Prefettura in questi giorni ha dato alle stampe una pubblicazione dove ricostruisce la storia della residenza e, per la prima volta, diffonde la notizia della presenza di un ricovero antigas sotterraneo ormai inagibile.

Solo accompagnati dai Vigili del Fuoco è stato possibile visitarlo. Buio pesto e acqua alla caviglia caratterizzano l’intera struttura, che poteva accogliere ben 180 persone. C’era una scala in muratura per scendere, oggi quell’accesso è stato bloccato dall’esterno, più due vie di fuga per risalire attraverso i tombini. Sotto si rivela un grande labirinto articolato in più di quindici vani, isolabili uno dall’altro attraverso porte ermetiche, sulle quali spicca la targa della Società anonima Bergomi di Milano, ditta specializzata nelle costruzioni in metalli per i ricoveri del periodo bellico. Lo stesso nome che compare sulle porte antigas della residenza romana di Mussolini ed è tuttora impresso sul sistema di aerazione.

Non si sa se il dittatore vi abbia mai messo piede, ma è evidente che un blocco della segreta fosse destinato alle personalità, mentre l’altra parte poteva ospitare l’entourage. Nella zona nobile, infatti, si notano nel gabinetto tazza e bidet, mentre il resto degli ambienti erano serviti da due semplici turche a scarico diretto nel terreno. Il calcestruzzo armato raggiunge in alcuni punti spessori anche di tre metri, mentre le stanze sono collegate attraverso una rete di tubature, quelle dell’impianto elettrico e di aerazione. Un bunker in piena regola, interrato cinque metri, capace di resistere non solo alle bombe ma agli attacchi di armi chimiche. Contro i gas e per avere un adeguato livello di ossigenazione esisteva un sistema di filtraggio, che poteva essere attivato anche pedalando su una sorta di cyclette. Questi congegni venivano definiti elettroventilatori a pedali e a Forlì un modello più semplice si trova nel rifugio antibombe degli Uffici statali di via delle Torri. Azionando la bici si poteva accumulare energia in una batteria, contro eventuali blackout, e far circolare l’aria in sei grossi filtri a calce e carboni attivi, scegliendo tra semplice ventilazione, filtraggio o, addirittura, completa rigenerazione dell’atmosfera interna. Niente da invidiare ai più avanzati impianti in circolazione per il rifugio blindato a disposizione nella “Forlì del Duce”. A distanza di oltre settant’anni sul fortino della casa forlivese del capo del governo fascista resta ancora, però, un fitto mistero. Nessun cenno fino a oggi è mai spuntato nelle carte della Prefettura, né all’Archivio di Stato, sul progetto di costruzione, o sulla sua successiva manutenzione. Per caso fu riportato alla luce dopo il 2003 dal prefetto Montanaro, che vi installò una pompa per rimuovere l’accumulo di acqua. Non c’erano già più attrezzature per la sopravvivenza o mobilio, come letti, maschere antigas, filtri per l’aerazione, lampadine, scatolame e cibi essiccati. Un segreto ben custodito, sotto cumuli di terra, e nei faldoni top secret di una storia solo in parte riesumata.

 

Conclusi i lavori alla Fortezza medicea: sabato 6 l’inaugurazione

Da gonews.it del 2 giugno 2015

Sarà inaugurata sabato prossimo la Fortezza di Poggibonsi (Siena), con la cinta muraria completamente restaurata e circa 1,5 km di camminamenti che offrono un panorama sulle colline del Chianti, castelli, chiese e San Gimignano. L’intervento sulla Fortezza, voluta da Lorenzo dei Medici e progettata dall’architetto Giuliano da Sangallo, porta a completamento un progetto che ha interessato negli anni tutta la collina di Poggio Imperiale. Il Cassero della Fortezza è già completamente restaurato dai primi anni Duemila, ed ospita una piazza d’Armi che è una terrazza affacciata sul Chianti.

Già restaurati anche i bastioni. L’interno ospita poi scavi archeologici con un villaggio altomedievale preesistente, “unico in Europa – si spiega – perché conserva la pianta urbanistica originale di quello che resta dell’antica Poggio Bonizio, città fortificata a lungo contesa fra guelfi e ghibellini e poi rasa al suolo da Firenze che vi edificò Poggio Imperiale”. Prima dello scavo gli unici resti di Poggio Bonizio erano la ‘Fonte delle Fate’ ai piedi del colle che oggi ospita sculture di Mimmo Paladino.

All’interno della cinta muraria è presente un Archeodromo che riproduce in scala 1:1 il villaggio, con una grande capanna, la longhouse, di 17 x 8,5 metri, circondata da diverse strutture più piccole destinate ad attività artigianali e all’immagazzinamento di derrate e prodotti agricoli. L’intervento di restauro è stato realizzato con un investimento di circa 7 milioni di euro, grazie al contributo della Fondazione Mps e al cofinanziamento dalla Regione Toscana nell’ambito del programma europeo Piuss Altavaldelsa ‘Città di Città’ che ha sostenuto circa il 60% dell’intera operazione. I lavori sono durati circa un anno e mezzo.

Per l’inaugurazione del 6 giugno la Fortezza rivivrà il suo passato: saranno presenti circa 80 rievocatori in abiti storici impegnati in manovre militari, scontri fanti-cavalieri, servizi di pattugliamento. Contemporaneamente il Cassero vedrà gli archeologi di Archeotipo calarsi nei panni del fabbro, del tessitore, del coniatore di monete, del falegname, del cuoco, del tintore, di tutti gli antichi mestieri che rendevano possibile la vita di un villaggio fra il Medioevo ed il Rinascimento.

Poi la cena narrata ‘a tavola nel 500′ che si svolgerà nella Piazza d’Armi con la riscoperta dei piatti e degli alimenti che caratterizzavano quel periodo storico.

 

 

Messina, al via il primo evento a Forte Ogliastri: LovMe, il festival della creatività

Da strettoweb.com del 1 giugno 2015

Prenderà il via domani, martedì 2, nell’ambito del progetto “Centro di Competenza per lo sviluppo delle attività culturali e turistiche nel campo dell’arte e dell’architettura contemporanee” la rassegna VivilForte curata e coordinata da Vincenzo Caruso. Il primo evento, previsto a Forte Ogliastri a partire dalle ore 10 sino alle 24, sarà “LovMe”, promosso dall’Assessorato alla Cultura e dal Comitato Scientifico di Forte Ogliastri, con la collaborazione della rete di Associazioni Universitarie e della Consulta Provinciale degli studenti della Provincia di Messina.

LovMe vuole essere un festival della creatività e della cultura attraverso espressioni di giovani artisti messinesi, studenti universitari e scuole. L’iniziativa, quale momento di rappresentazione e di partecipazione condivisa, sarà, inoltre, legata al tema del 2 giugno, Festa della Repubblica e ricorrenza del 60esimo anniversario della Conferenza di Messina. Questo evento, come gli altri che seguiranno nell’ambito della rassegna VivilForte, ha l’obiettivo di creare un circuito virtuoso unitario tra i vari forti appartenenti al Sistema Difensivo dello Stretto che diventi attrattore culturale e volano per la costituzione di una rete stabile di cooperazione tra i soggetti gestori delle singole strutture fortificate a beneficio della collettività.

Il Riuso delle fortificazioni quali contenitori di funzioni urbane contemporanee diventa pertanto il tema cardine degli studi che il Centro di Competenza, grazie alla rassegna, concluderà a settembre, fornendo idee e proposte utili per l’integrazione del sistema fortificato all’interno del nuovo disegno di città che l’Amministrazione Comunale sta promuovendo.

 

Is Mortorius: riflettori sul progetto di riqualificazione

Da alguer.it del 1 giugno 2015

QUARTU SANT'ELENA - Si svolgerà giovedì 4 giugno, ore 9, a Quartu Sant’Elena (Ex Convento dei Cappuccini, via Brigata Sassari 3) «Accessibilità e valorizzazione del patrimonio storico - architettonico costiero». L’incontro rientra nell’ambito del progetto trasfrontaliero I-Perla che mette in rete Provincia di Livorno (capofila), Mairie de Bastia, Regione Toscana, Provincia della Spezia, Agenzia Conservatoria delle Coste della Sardegna e Comune di Bibbona con l’obiettivo di sviluppare nuove soluzioni sostenibili volte a promuovere l’offerta di servizi turistici nelle aree del partenariato.

Finanziato nel quadro del Programma di cooperazione transfrontaliera Italia/Francia "Marittimo" con il bando risorse aggiuntive, I-Perla può contare su un budget complessivo di 2,48 milioni di euro, di cui il 90% circa è utilizzato in investimenti materiali ed immateriali, e porta avanti le attività del progetto P.E.R.L.A., all’interno del quale si è dato vita ad azioni per aumentare e uniformare l’offerta dei servizi e rendere più accessibili, sicure e fruibili le zone costiere con investimenti materiali e tecnologici.

In questo contesto l’incontro di Quartu Sant’Elena, presentato dall'Agenzia Conservatoria delle Coste della Sardegna e organizzato da Promo PA Fondazione, sarà un’interessante occasione per presentare i risultati scaturiti dalle attività del progetto in Sardegna.
L’idea alla base dell’incontro, infatti, è quella di stimolare un dibattito tra cittadinanza, enti locali e partner di I-Perla sulle criticità e sulle potenzialità del progetto stesso, anche in vista dei nuovi bandi 2014-2020. In particolare, al convegno di giovedì si punterà l’attenzione sugli interventi per il miglioramento dell’accessibilità nell’Area di Conservazione costiera di “Is Mortorius” nel Comune di Quartu Sant’Elena, con finalità di tipo ambientali, ricreative-culturali-turistiche, di riqualificazione del territorio e di sensibilizzazione verso i beni paesaggistici e storico-architettonici locali. All’interno di quest’area, infatti, è prevista la creazione di un corridoio di collegamento tra la costa e l’interno, costituito dal patrimonio ambientale del massiccio dei Sette Fratelli, attraverso la definizione dei percorsi pedonali e ciclabili messi in relazioni con le zone balneari. Il recupero di queste aree sarà reso possibile con piccole opere di risanamento ambientale, vegetazionale e di mitigazione dell’erosione, con la sistemazione del percorso lungo-costa esistente nel promontorio di Is Mortorius, con la definizione di un nuovo percorso sonoro/sensoriale per la raggiungibilità dell’area archeologica del nuraghe Diana, con la localizzazione di un’area di sosta e di informazione in prossimità del nuraghe Diana, con opere di adeguamento per l’accessibilità del sottopassaggio esistente, con la localizzazione di due piazzole in legno e in materiale sintetico per la balneazione di cui una (in prossimità alla ex tonnara) accessibile ai diversamente abili, con l’individuazione delle aree di parcheggio e del bike sharing. Ma una maggiore accessibilità sarà resta possibile anche da opere di risanamento ambientale, di riassetto idrografico, di arredo funzionali alla fruizione dei percorsi (sedute, cippi, aree per la sosta panoramica), di segnaletica…e con lavori di messa in sicurezza delle aree dei vecchi fabbricati e delle fortificazioni militari.

Dopo gli interventi introduttivi di Giorgio Onorato Cicalò, Commissario straordinario Agenzia Conservatoria delle coste, di Irene Nicotra, Posizione Organizzativa “Trasporti Programmazione Trasporti, Servizi TPL, Albo Autotrasportatori”, Provincia di Livorno (capofila del progetto) e di Vincenzo Cossu, Centro regionale di programmazione - la nuova programmazione 2014-2020, si parlerà delle «Buone pratiche promosse sui beni del patrimonio regionale gestito dalla Conservatoria delle coste».
Moderati da Francesca Velani, Vicepresidente Promo PA Fondazione, interverranno: Paolo Vargiu, Conservatoria delle coste (Is Mortorius: un modello virtuoso e ripetibile tra metodologia operativa e risultati), Caterina Giannattasio, Università degli Studi di Cagliari (Valorizzazione del patrimonio culturale rappresentato dalle fortificazioni difensive. Il progetto For Access), Maria Grazia Mele, ISEM CNR (Scacco alle Torri: la multimedialità per la conoscenza e la promozione turistica delle coste. Un Mediterraneo di torri XVI - XVII Secolo), Giovanni Serreli, ISEM CNR (Il Progetto Torri Multimediali nell'ambito del Dipartimento Scienze Umane e Sociali Patrimonio culturale), Salvatore Esposito, Conservatoria delle coste (Interventi di recupero delle torri costiere).

 

TORINO. Forte di Exilles non sarà più gestito da Museo Montagna

Da 12alle12.it del 27 maggio 2015

Il Forte di Exilles non sarà più gestito dal Museo della Montagna. Lo sottolinea una nota congiunta del Museo della Montagna e della Regione Piemonte, che spiegano la decisione come una necessità legata alla razionalizzazione delle risorse, che inducono per il futuro a puntare più sullo sviluppo turistico che su quello museale.

“Dopo vent’anni di reciproca e proficua collaborazione fra Regione Piemonte e Museo Nazionale della Montagna – scrivono i due enti – il Forte di Exilles cambia il proprio indirizzo gestionale. Dopo un lungo cammino che ha visto i due enti lavorare congiuntamente e in piena coesione decisionale al recupero e alla valorizzazione del Forte, la struttura giunge a una svolta e l’attuale gestore passa il testimone”.

“La riorganizzazione delle politiche regionali di questi ultimi anni, condizionata in particolare dal ridursi delle disponibilità economiche delle pubbliche amministrazioni – aggiungono – ha comportato un ridimensionamento di progettualità finanziate integralmente dalla Regione. Una situazione che, nel caso del Forte di Exilles, rende inevitabile la prospettiva di costruire un nuovo percorso finalizzato a una maggior sostenibilità dell’edificio e al suo rilancio in un’ottica di gestione partecipata fra pubblico e privato.

Un futuro quindi caratterizzato in modo decisamente minore dalla dimensione museale ed espositiva che lo ha contraddistinto fino a oggi, ma più orientato ad ambiti turistico-culturali”.

Il nuovo corso del Forte verrà ora tracciato dal bando lanciato dalla Regione Piemonte. Il futuro affidamento “dovrà essere caratterizzato da un modello economicamente sostenibile”.

Le collezioni, progettate dal Museomontagna, “saranno mantenute visitabili in attesa della futura destinazione del sito”.


 

Ancona nella grande guerra. Ecco gli eventi alla Polveriera

Da vivereancona.it del 27 maggio 2015

Dopo la straordinaria "due giorni" dell'inaugurazione riprende venerdì 29 maggio con la rassegna di cinema il programma "Ancona nella Grande guerra" alla Polveriera del Parco del Cardeto.In calendario venerdì alle 21 è il film "All'ovest niente di nuovo" di Lewis Milestone del 1930. Premio Oscar, il film è considerato un capolavoro del cinema bellico e del cinema antimilitarista.

Presenta Antonio Luccarini. 

Per sabato 30 è invece in programma, alle 18, la presentazione in anteprima (con immagini) del libro del giornalista Lucio Martino, intitolato "Il 24 maggio di Ancona" (Eidon edizioni). Sarà presente l'autore che nella circostanza parlerà anche dei contenuti del suo volume precedente intitolato "La Grande guerra in Adriatico" (ed. Il Cerchio), con prefazione di Franco Cardini.

Sempre aperta - in occasione degli eventi (perciò anche venerdì sera) - è la mostra "Ancona nella Grande guerra" che osserva comunque i seguenti orari: sabato dalle 17 alle 20 e domenica dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 20.

 

Pentimele (RC): Riqualificazione fortificazione umbertine e valorizzazione area Collina

Da Cmnews.it del 26 maggio 2015

Nell’ambito di una rinnovata e continua azione di monitoraggio dei cantieri comunali interessati da opere finanziate da fondi comunitari, l’assessore comunale alle politiche sociali, comunitarie e welfare Giuseppe Marino, insieme al consigliere regionale Nicola Irto, si è recato sulla collina di Pentimele, per effettuare un sopralluogo.

“Siamo qui a porre un ulteriore tassello nel percorso già intrapreso dall’amministrazione comunale –ha dichiarato Marino – finalizzato al recupero ed alla valorizzazione dell’intero sistema di fortificazioni dell’area dello Stretto. Con l’intervento in questione, che ha ad oggetto il recupero dei fortini esistenti in cima alla collina di Pentimele – ha continuato l’assessore Marino – si intende integrare e potenziare l’offerta del Parco Tematico Ecolandia, creando i presupposti per la realizzazione di un itinerario turistico che colleghi tutte le fortificazioni mediante l’elaborazione di percorsi tematici. I Fortini di Pentimele come è noto, appartengono al sistema delle fortificazioni umbertine, realizzate nell’area dello Stretto sul finire dell’800, per precisa volontà del generale Luigi Mezzacapo. L’intervento di restauro e conservazione, sulla base di un progetto preliminare elaborato dai tecnici comunali, sarà avviato a breve, e vedrà il recupero e la valorizzazione del bene artistico, ma anche il recupero dei luoghi, degli itinerari, insieme alla predisposizione di sentieri che mettano in comunicazione e collegamento l’area di Pentimele con l’Aspromonte”.

L’assessore Marino e il consigliere Irto a questo proposito si sono ampiamente soffermati sulla necessità di prevedere il miglioramento congiunto delle condizioni di sicurezza, accesso e fruibilità dell’intera area che attraversa la collina di Pentimele. In particolare, lo scopo del progetto, che ha oggetto fondi del Programma Operativo Interregionale ( Fesr 2007-2013), interamente finanziato da risorse comunitarie, mira alla fruizione integrata dei Fortini con il patrimonio architettonico regionale e l’inserimento degli stessi e dell’intera collina di Pentimele nelle reti tematiche culturali e degli itinerari storico artistici regionali, così come previsto dal cd. addendum di recente approvazione regionale. “La realizzazione dell’opera, al di là dell’importante recupero architettonico – concluso l’assessore Marino – costituirà un moderno baluardo, una nuova porta per la città metropolitana, in grado di offrire itinerari e circuiti integrati di sport e cultura, in una sorta di parco urbano naturale che possa offrire percorsi di rigenerazione e coesione socio-aggregativa per la città di Reggio Calabria”.

 

Bitonto e la Grande Guerra in mostra al Torrione

Da bitontotv.it del 26 maggio 2015

Ci sono le lettere di soldati che chiedono il congedo per tornare a lavorare nei campi, ma anche missive al Sindaco affinché si prendesse carico delle spese per sostenere i prigionieri di guerra. E' stata inaugurata nei giorni scorsi la mostra al Torrione Angioino dedicata alla Bitonto del triennio della Prima Guerra Mondiale. "E' il punto di partenza per un lavoro di ricerca più ampio" come afferma il presidente del Comitato Feste Patronali, Nicola Pice, che ha inserito l'evento nel cartellone dei festeggiamenti, che ricorrono nel centenario dell'entrata in guerra dell'Italia.

La mostra, che attinge dall'archivio comunale e da alcune collezioni private, si propone di offrire uno spaccato sociale ed economico della città, durante gli anni di un conflitto che, soprattutto per il Sud, ha rappresentato l'anno zero tra gli antichi costumi borbonici e la nascita di una effettiva consapevolezza dell'Italia unita. "La prima impressione che si ha da una lettura di questi documenti - spiega Domenico Elia, tra i curatori della mostra e relatore di un recente convegno in Toscana sul tema - è che per i soldati del Sud, e quindi per quelli bitontini, la Grande Guerra è stata vissuta come un trauma".

Una tragedia, prima che in termini di vite umane, soprattutto sociale: la Prima Guerra Mondiale è stato la prima vera occasione per molti di incontrare il mondo della tecnologia. Se Cadorna - "maledetto" in molte lettere dai soldati locali - si ostinava a ricorrere a strategie belliche napoleoniche, tedeschi e austriaci fecero pesante uso di armi da fuoco avanzate. "Se ci aggiungiamo che molti soldati del Sud non capivano gli ordini dei generali capiamo bene la dimensione tragica dell'evento" continua Elia.

Non solo oscurantismo. La Grande Guerra per molti bitontini rappresentò un momento formativo importante. In tanti, infatti, impareranno a parlare e scrivere l'italiano, come testimoniano le lettere, grazie all'aiuto dei cappellani, all'epoca veri e propri soldati autoreclutatisi. Alcuni dei documenti più interessanti sono le lettere di congedo mandate a parenti e sindaci, con cui i soldati bitontini chiedevano di poter tornare in città, nel periodo tra Novembre e Dicembre, per la raccolta delle olive.

"A volte un pretesto - specifica Elia - per poter tornare in pianta stabile". Sempre al Sindaco erano rivolte anche richieste di sostentamento per i prigionieri di guerra, da inviare alla Croce Rossa internazionale. L'elemento più forte che emerge dalla lettura dei documenti, tuttavia, è il pesante stress post trauma bellico di chi, dalla Grande Guerra, riusciva a tornare. A cui si aggiungeva il fatto di non essere creduti. Se diversi baresi si erano dati alla macchia nel Gargano, in tanti, ritornando al Sud, finivano per essere presi in giro ed emarginati perchè raccontavano una realtà, in quei giorni, troppo estranea. "Una vera beffa" per Elia. di Savino Carbone

 

Da il Corriere.it del 26 maggio 2015

 

Bunker Corea Nord su isola a confine Sud

Da

La Corea del Nord sta realizzando un sistema difensivo basato su un network di bunker nell'isola di Gal, lungo il confine con il Sud nelle acque del mar Giallo:

lo ha detto il portavoce del ministero della Difesa di Seul, Kim Min-seok, sottolineando che i bunker "potrebbero costituire una grave minaccia" per il Sud.

Secondo l'agenzia Yonhap nei bunker potrebbero essere schierati lanciarazzi multipli da 122 millimetri.

L'attivismo del Nord ha costretto il Sud ad alzare i livelli di vigilanza.

 

II 24 maggio celebrato da Auronzo ad Alano

Da corrierealpi.it del 23 maggio 2015

BELLUNO. Giornate intense, oggi e domani, per ricordare l’inizio della prima guerra mondiale.

Ad Auronzo alle 17 in sala consigliare gli storici Antonella Fornari, Paolo Giacomel e Walter Musizza illustreranno gli scenari che portarono all’entrata in guerra dell’Italia. Domani si tiene in centro ad Auronzo e nella zona delle Tre Cime una cerimonia che prende avvio alle 10 con la messa nella parrocchiale, quindi alle 11 la benedizione di una targa in ricordo dei caduti auronzani, quindi l’omaggio ai caduti in piazza Vigo. Partecipano il Coro interparrocchiale, il corpo musicale di Auronzo e gli alpini del gruppo Ana. A Forcella Col di Mezzo, omaggio del gruppo Ana e della sezione Ana Cadore ai due alpini del Battaglione Cadore caduti nelle prime ore della guerra.

A Pieve di Cadore cerimonia la Forte di Monte Ricco, sala della Capponiera, domani a partire dalle 17 con la presentazione del volume «I monumenti urbani ai soldati cadorini» di Emanuele D’Andrea. Presenta Antonella Fornari, intervengono Emanuele D’Andrea e Valentina Comis. Segue «Il futuro della memoria», riutilizzo del Forte di Monte Ricco, con i curatori del progetto.

Oggi a Sedico villa Patt, alle 16.30 visita guidata della villa con il maestro Gianni De Vecchi e al museo del Settimo. Alle 18 nella sala convegni «Il Piave prima e dopo la Grande Guerra», con Antonio Rusconi, a seguire «Al 24 maggio» lettura di Pino Costalunga, con accompagnamento musicale del Canzoniere Vicentino. Visite e ingresso gratuito.

Domani ad Alano di Piave, alle 15 inaugurazione del museo storico territoriale di Alano di Piave, nella sede museale di Campo di Alano. Un museo che è un autentico gioiello della memoria. Ricco il programma anche di Lentiai dove domani si celebra l’anniversario partendo dalle 10.30 con il ritrovo in Largo Marconi, alle 10.45 l’alzabandiera, alle 11 la messa, alle 17.45 il ritrovo in piazza Crivellaro, alle 18 l’intervento storico di Gino Pasqualotto sull’entrata in guerra dell’Italia, alle 18.30 Voci lentiaiesi cantano «Il Piave».

Cortina dedica una marcia organizzata dalle Sentinelle del Lagazuoi, che partiranno da Vodo di Cadore, per arrivare a Dogana Vecchia. Appuntamento alle 9-9.30 di domani.

 

READINESS VERIFICATION DELLA NATO AL 22° GR.R.A.M.
Da difesaonline.it del 22 maggio 2015

22/05/15 - Martedì 14 aprile la Sala Operativa del 22° Gruppo Radar dell’Aeronautica Militare (Gr.R.A.M.) di Licola (NA) ha sostenuto una valutazione operativa NATO non programmata (Readiness Verification), finalizzata alla verifica della capacità di adempiere efficacemente ai propri compiti, a fronte di uno scenario di crisi simulato.

Nello specifico la Sala Operativa del 22° Gruppo Radar - sotto il comando del Combined Air Operation Center (CAOC) di Torrejon (Spagna), responsabile della Difesa Aerea collettiva dell’Alleanza per l’Europa meridionale - ha esercitato il controllo tattico su dei caccia Eurofighter del 36° Stormo di Gioia del Colle, allertati per intercettare ed identificare un velivolo che ha simulato un’intrusione non autorizzata nello spazio aereo di competenza.

La rapida ed efficace attuazione di quanto previsto dalle procedure operative ha valso agli operatori della Difesa Aerea di Licola (NA) il plauso dei valutatori NATO, che il tenente colonnello Capasso, comandante del 22° Gruppo Radar, ha esteso a tutto il personale del Reparto per il contributo operativo, tecnico e logistico trasversalmente profuso.

 

Varese, dentro il bunker: in visita al rifugio antiaereo

Da Ilgiorno.it del 21 maggio 2015

Varese, 21 maggio 2015 - Un'importante iniziativa del Gruppo Speleologico Prealpino, che ha trovato l’appoggio dell’assessorato alla Tutela ambientale, offrirà a tutti i cittadini l’opportunità di visitare uno dei più interessanti rifugi antiaerei risalenti alla seconda guerra mondiale tuttora presenti nel sottosuolo varesino. E poco importa se l’evento è programmato per l’anniversario di un altro evento bellico: quella di domenica 24 maggio, centenario dell’entrata dell’Italia nel primo conflitto mondiale, resta infatti un’occasione da non perdere per gli appassionati di vicende belliche e per tutti coloro che desiderano scoprire aspetti storici poco noti della città. La gestione dell’installazione sotterranea, così come avviene in tutte le occasioni nelle quali il rifugio è aperto al pubblico, è affidata al Gruppo Speleologico Prealpino. «Siamo stati noi a occuparci dei lavori di bonifica della galleria - spiega Guglielmo Ronaghi, presidente dell’associazione istituita nel marzo 2002 ad Arcisate -, bloccando alcuni ingressi e abbattendo diverse pareti per renderla transitabile».

Lungo 120 metri, il tunnel - in cemento armato - si sviluppa da via Lonati (di fronte al parcheggio Aci) a via Copelli (nei pressi della piscina comunale) attraversando la collina dei Giardini Estensi, «dove - continua Ronaghi - si può arrivare attraverso una scala a chiocciola. In quel punto l’uscita è stata chiusa per questioni di sicurezza, ma resta una finestrella per mezzo della quale è possibile vedere fuori». Lungo la galleria, costruita nel 1944 e rimasta intatta da allora, si possono osservare le scritte sulle pareti e altri dettagli originali di un ambiente in grado di far (ri)vivere i momenti difficili e inquietanti dei bombardamenti.  «Al suo interno - prosegue Ronaghi - si trovano anche le due file di panche sulle quali si sedevano i cittadini durante i bombardamenti: si tratta di quasi 300 posti». Le visite al rifugio antiaereo, completamente gratuite, sono in programma dalle 9 alle 17: i partecipanti riceveranno dai volontari in servizio un caschetto protettivo dotato di impianto di illuminazione e saranno poi accompagnati lungo il percorso sotterraneo da alcuni esponenti del Gruppo Speleologico Prealpino. Per l’occasione saranno presenti anche i circa 400 militari impegnati nella competizione internazionale per pattuglie in programma nel weekend a Bisuschio, con tanto di fanfara e cerimonia di premiazione che renderanno la domenica varesina ancor più imperdibile. «Si tratta di una bella iniziativa da abbinare al 100esimo anniversario dell’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale - dichiara l’assessore comunale alla Tutela ambientale, Riccardo Santinon -, un’occasione per comprendere i momenti di tensione che si vivevano durante i bombardamenti del ’44». Appuntamento, dunque, a partire dalle ore 9, con l’apertura del rifugio, la sfilata per le vie del centro di autorità e rappresentanze militari (con la deposizione di una corona di fiori davanti al Monumento ai Caduti di piazza della Repubblica) e la premiazione delle squadre partecipanti alla competizione per pattuglie di Bisuschio. di Paolo Candeloro

 

Croazia, il bunker di Tito diventa centro visite del Parco nazionale

Da Ilpiccolo.it del 21 maggio 2015

Amato ancora da molti, odiato da tanti, eppure la figura di Josip Broz Tito, al di là delle discussioni ideologiche, politiche e storiche sulla sua figura, indiscutibilmente sta diventando sempre più fonte di business turistico per la Croazia. Croazia dove c’è la città natale del Maresciallo, mèta addirittura di turismo scolastico dagli Stati Uniti. Croazia dove ci sono le isole Brioni, residenza amatissima del defunto presidente della Jugoslavia. Croazia dove ora si sta rivalutando, sempre in chiave turistica, un altro sito legato alla parabola storica e politica di Josip Broz. Siamo nel Parco nazionale di Paklenica sulla dorsale del Velebit, un po’ più a Nord di Zara. Un’area naturalisticamente incontaminata dove mare e montagna coniugano i loro fascini. Foreste, stupende pareti meta e paradiso dei climber di tutta Europa e affascinanti grotte che si perdono nel sottosuolo. E da oggi anche il restyling di quello che fino allo scoppio della guerra che ha sfasciato la Jugoslavia nel 1991 era un sito conosciuto da pochissimi. Si tratta del bunker che Tito aveva fatto scavare nella montagna. Un bunker anti-atomico dove il Maresciallo si sarebbe rifugiato assieme ai familiari e ai più stretti collaboratori in caso di attacco nucleare da parte dell’Armata sovietica di Stalin. Bunker che oggi è diventato un centro di visite tra i più originali al mondo. Non fosse altro per quanto vi è stato installato.

Del bunker si sapeva, come detto, poco o nulla e molto era avvolto nella leggenda popolare, questo però fino allo scoppio della guerra nei Balcani quando l’Esercito croato prese possesso del sito e lo utilizzò come deposito di armi e munizioni. Finita la guerra, nel 1997, nacque l’idea di trasformare le aule del bunker in un centro per visitatori. «Siamo nella prima fase dei lavori - racconta al Jutarnji list che per primo ha visitato e fotografato l’ex bunker di Tito il rettore del Parco nazionale, Zlatko Marasovic - che si estendono su un’area complessiva di 1.100 metri quadrati. Abbiamo appena ottenuto il via libera del governo e il sostegno del Fondo nazionale per la protezione dell’ambiente che finanzierà l’80 per cento delle spese necessarie alla ristrutturazione e che ammontano complessivamente a 10 milioni di kune (1 milione e 300mila euro circa ndr)». L’operazione ristrutturazione e restyling dovrebbe concludersi entro la fine di gennaio del 2016. Saranno creati corridoi - spiegano - una sala multimediale principale con muro per le arrampicate, un bar, un negozio di souvenirs e una grande area per il Soccorso alpino della Croazia con una piccola clinica medica per il pronto soccorso. Nella seconda fase dei lavori, invece, si opererà sulla restante area di circa 800 metri quadrati che saranno adibiti a due musei tematici sul Velebit e sul Parco nazionale di Paklenica.

 

Son 15 i forti del nuovo circuito "Forti del Trentino"

Da Lavocedeltrentino.it del 20 maggio 2015

I forti del Trentino rappresentano delle testimonianze straordinarie dal punto di vista storico e architettonico. A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, la Provincia autonoma di Trento e i Comuni interessati hanno promosso un importante e impegnativo lavoro di recupero e di restauro. Un lavoro che prosegue tutt’ora curato dalla Soprintendenza dei Beni culturali.  Il Centenario, e in particolare l’approssimarsi della data del 24 maggio 2015, ha spinto l’Assessorato provinciale alla cultura a promuovere un progetto di gestione e di valorizzare di questo patrimonio. L’incarico è stato affidato alla Fondazione Museo storico del Trentino, che ha seguito tecnicamente il progetto coordinandosi con le amministrazioni comunali proprietarie dei forti stessi. Il progetto è stato illustrato ieri a Trento nell'ambito della piattaforma di Comunicazione “Cultura Informa,” dal direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, Giuseppe Ferrandi, dal provveditore del Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, Camillo Zadra, dal dirigente del Servizio Cultura della Provincia autonoma di Trento, Claudio Martinelli e dai sindaci dei Comuni interessati. Ben quindici sono, ad oggi, i forti interessati a tale progetto. Tra essi Forte Strino che è il capofila delle fortificazioni della Valle di Sole e del sistema difensivo del Tonale, Forte Lardaro e Forte Corno in Valle del Chiese, le fortezze del Monte Brione e di Nago che si affacciano sul Lago di Garda.  L’apertura al pubblico di Forte Pozzacchio, scavato interamente nella montagna, rappresenta sicuramente una delle novità più importanti del 2015.

Di straordinaria importanza è poi il sistema dei forti a difesa degli altipiani cimbri. Tra essi Forte Belvedere, che si è salvato dalle distruzioni della guerra e dal lavoro dei recuperanti, rappresenta il centro del sistema ed è sicuramente il più noto e visitato.  Tra poco diventeranno visitabili altre fortezze, tra le quali il suggestivo Forte Campo Luserna.  In Valsugana, posti sui due lati del lago di Levico, vi sono Forte Tenna e Forte delle Benne, i cui lavori di restauro sono stati conclusi l’anno scorso ed è al centro di un’intensa attività espositiva e di animazione culturale. Spostandosi in Val di Fiemme, all’interno del Parco di Paneveggio Pale di San Martino, si stanno ultimando i lavori di restauro del Forte Dossaccio. Completano questo ricco sistema di siti, alcuni dei quali hanno un ruolo importante e riconosciuto all’interno dell’offerta turistica e storico – culturale del Trentino, i Forti della città di Trento: la batteria Roncogno e Forte Cadine.  A Forte Cadine, gestito direttamente dalla Fondazione Museo storico del Trentino, è stato attribuito il ruolo di centro informativo e di documentazione dell’intero sistema. Le informazioni su orari, aperture, attività ed eventi verranno pubblicate a partire dal 23 maggio sul sito www.trentinograndeguerra.it. Il circuito dei Forti del Trentino si è inoltre dotato di un logo, che riprende simbolicamente gli elementi architettonici principali di queste fortezze e la bandiera dell’Unione Europea, oltre a segnalare il lungo tracciato del Sentiero della pace. Si sottolinea ulteriormente in questo modo il significato del Centenario promosso in Trentino: dalla guerra alla pace, la trasformazioni di questi luoghi progettati per esigenze belliche in strumenti per la diffusione della conoscenza della storia e della cultura della pace. 

 

Passeggiata ai Forti con Nuova Acropoli

Da Zenazone.it del 19 maggio 2015

Domenica 24 Maggio, l’Ass. di Cultura e Volontariato Nuova Acropoli tel.0109754291, organizza una passeggiata lungo i sentieri che uniscono le fortificazioni sulle alture genovesi.

Per vivere una giornata immersi nella storia e nella natura, ci incontreremo domenica 24 alle ore 8.30 presso il piazzale atterraggio elicotteri, alla volta di Forte Sperone e poi ancora verso le altre tappe (Sperone, Puin, Fratello Minore, Diamante).

I forti di Genova sono un insieme di fortificazioni militari risalenti a diverse epoche, che la Repubblica di Genova edificò a difesa del territorio urbano e che ne raccontano oltre tre secoli di vita. E’ gradita la conferma della partecipazione. L’associazione oltre alle attività culturali è impegnata attivamente nel settore del volontariato di Protezione Civile, nel cui ambito svolge regolare attività in convenzione col Comune di Genova e collabora con la Regione Liguria, col Corpo Forestale dello Stato e con altri Enti ed Istituzioni a vario titolo.

Organizza inoltre dei corsi di formazione al volontariato, dove vengono coinvolti giovani e meno giovani favorendo una cultura del volontariato etico e pratico allo stesso tempo.

 

                                                             

Alghero: Iniziativa Futura presenta un camminamento tra le antiche fortificazioni

Da Buongiornoalghero.it del 18 maggio 2015

L’Associazione Iniziativa Futura ha presentato una proposta di un nuovo camminamento sul bastione presente nel retro dell’ex caserma dei Carabinieri di via Simon. Nel corso dell'incontro è stata illustrata la proposta di realizzazione di questo nuovo camminamento che è il frutto di un’analisi dello antiche fortificazioni di Alghero. Da tale analisi è emersa la necessità di valorizzare e rendere fruibili tutte le antiche mura ancora presenti come il bastione della Fortezza di Montalbano che a seguito della apertura della Piazza di Pino Piras è ben visibile.

L’incontro si è aperto con l’intervento del Presidente Avv. Francesco Sasso che ha illustrato il lavoro dell’associazione e la proposta di realizzazione del camminamento. “La nostra proposta prevede la realizzazione di un passerella in legno e ferro che permetterà di accedere al camminamento sul Bastione dalla Torre di Porta Terra. Lo spunto a questa nostra proposta ci è giunto dalla Muraglia di Girona che, dove si interrompe, ha una passerella che permette continuare il camminamento in perfetta sicurezza. Altro intervento necessario per realizzare il camminamento è la demolizione due piccoli ampliamenti.
Noi stiamo continuando nel nostro lavoro di laboratorio di idee e per questo proponiamo idee e progetti concreti per valorizzare la nostra città”. Dopo l’intervento del Presidente ha preso la parola il Sindaco Mario Bruno che, dopo essersi complimentato per il lavoro di Iniziativa Futura, ha apprezzato la proposta progettuale ed ha affrontato il tema della destinazione dell’ex caserma. Su tale destinazione sono emerse diverse proposte come quella di realizzare un centro multimediale dell’Area Marina, quella di realizzare la casa delle associazioni, quella di realizzare un museo del mare e quella di realizzare un albergo.
Tra i diversi interventi si è registrato l’apprezzamento verso il lavoro dell’Associazione da parte dell’assessore alle opere pubbliche Gianni Cherchi, del consigliere comunale Emiliano Piras, di Francesco Marinaro, di Roberto Barbieri e di altri cittadini che hanno dato il loro contributo alla discussione. Iniziativa Futura ha deciso di elaborare proposte mediante simulazioni grafiche sperando che possano essere accolte dalle diverse amministrazioni alla guida della città.

 

Alto Adige, alla scoperta delle antiche fortezze con "Castelronda"

Da Adnkronos.it del 18 maggio 2015

Alla scoperta dei castelli dell'Alto Adige. Dal 5 al 7 giugno Bolzano ospita l’edizione 2015 di “Castelronda”.

Durante le tre giornate della manifestazione, approfondimenti sulla storia, percorsi culturali, musica, gastronomia e rievocazioni in costume portano indietro nel tempo nei manieri e nelle fortezze della regione per un intero weekend tra folklore e tradizione.

Sei le dimore che partecipano all'iniziativa: Castel Roncolo, Castel Mareccio, MMM Messner Mountain Museum Firmian, Castel Boymont, Castel Moos-Schulthaus, Castel Trostburg.

In ciascun castello è previsto un diverso programma di iniziative, c'è chi accoglie i visitatori con un viaggio nel Medioevo, chi punta sui sapori e sui piatti della tradizione, chi sceglie storie emozionanti soprattutto per bambini e chi organizza eventi legati al cinema.

www.bolzano-bozen.it

 

Grande Guerra una mappa sui forti di Cavallino

Da nuovavenezia.it del 16 maggio 2015

CAVALLINO. Nell’ambito delle celebrazioni europee del Centenario della prima guerra mondiale oggi alle 17 alla Conference Hall dell’Union Lido sarà presentata la prima mappa cartacea destinata al turismo dedicata al tour completo delle fortificazioni storiche di Cavallino-Treporti. «Brevi e immediati testi», dichiara il ricercatore storico Furio Lazzarini, «tradotti anche in inglese e tedesco, raccontano storia, aneddoti e leggende di quanto accadde a Cavallino-Treporti durante la Prima Guerra Mondiale, avvalendosi di diverse foto d’epoca, disegni e carte geografiche».

Dopo il benvenuto di Carla Macola Bonsembiante e il saluto delle autorità, presenteranno l’iniziativa Alessandro Sgaravatti, il generale di brigata, Marcello Ravaioli, comandante provinciale della guardia di finanza, che ricorderà il ruolo del Corpo durante le battaglie sul Basso Piave, e il ricercatore storico Furio Lazzarini. (f.ma.)

 

 

La Todt nel Longaronese: domani la presentazione

Da corrierealpi.it del 14 maggio 2015

LONGARONE. Tappa anche a Castellavazzo per la presentazione del libro dello storico Ferruccio Vendramini e dell'ex guardia boschiva Elvio Bez sull'occupazione tedesca della Todt nel Longaronese. L'appuntamento è per domani alle 20.30 nella sala dell'ex municipio. Il volume, dal titolo intitola “Fame, paura, speranza: la Todt nel Longaronese e dintorni 1943-45”, è stato pubblicato da Cierre edizioni, con il contributo del Comune di Longarone e Consorzio Bim Piave e la collaborazione dei comuni di Ospitale di Cadore e dell’Isbrec.

Lo scopo del racconto è quello di dare voce alla gente comune, raccontando il lavoro all'industria Todt infatti in quegli anni aveva diversi cantieri, tra cui uno proprio a Soffranco, in cui hanno lavorato tanti bellunesi e ha lasciato decine di gallerie e fortificazioni nella montagna. Nella pubblicazione molti documenti storici raccolti da Ferruccio Vendramini e diverse interviste ai protagonisti dell'epoca fatte da Bez, che racconta anche la storia del padre coinvolto suo malgrado in una fuga per le Alpi dopo l'armistizio del 1943. (e.d.c.)

 

Prosegue il progetto "Il Percorso delle Torri e delle Primizie"

Da Guidasicilia.it del 14 maggio 2015

Il turismo rurale come alternativa di viaggio e di scoperta per apprezzare alcuni tra i luoghi più suggestivi ed affascinanti in Sicilia. È la proposta de "Il Percorso delle Torri e delle Primizie", progetto realizzato dall’associazione culturale "Glocal" e finanziato dalla Regione Sicilia nell’ambito delle Psr Sicilia 2007/2013 - Misura 313 "Incentivazione di attività turistiche - azione B". Tra gli itinerari proposti c’è quello denominato "Trekking a Cava d’Ispica", e proprio all’interno del Parco Archeologico, sabato 16 maggio in occasione della "Notte Europea dei Musei", verranno presentati e promossi i sei differenti itinerari che valorizzano la natura, le tradizioni e le aziende del territorio, con un’offerta turistica capace di proporre anche mezzi alternativi e ancora poco usati come le bighe elettriche e le biciclette a pedalata assistita, in modo da poter soddisfare ogni esigenza. A Cava d’Ispica, a partire dalle ore 21 si alterneranno installazioni sonore, musical, degustazioni, mostre ed un servizio accoglienza e guide che faranno visitare l’affascinante sito archeologico.

I percorsi del progetto abbracciano le zone di Modica, Scicli e Santa Croce Camerina, con differenti itinerari che legano il cibo con la natura e l’escursionismo. Oltre il "Trekking a Cava d’Ispica", il progetto propone "Archeo bike, archeo bighe", con percorsi in mountain bike o biga elettrica alla scoperta del patrimonio archeologico di Santa Croce Camerina, partendo da Punta Braccetto, e proseguendo attraverso la zona forestale di Randello, tappa al museo archeologico Regionale di Kamarina, ed ancora, ai siti di Mirio e Mezzagnone, la necropoli e la basilica della Pirrera e visita di Kaukana. Altro itinerario è "Gli odori della Contea", tra Modica e Scicli, per apprezzarne il barocco e visitare aziende capaci di far vivere una suggestiva esperienza sensoriale, tra le erbe officinali ed aromatiche, scoprendo le splendide produzioni vivaistiche della zona, assaporando il pregiato miele degli Iblei e le prelibatezze della tradizione dolciaria. "Agri bike, agri biga" dà la possibilità ai turisti di apprezzare le produzioni di primizie direttamente all’interno di aziende specializzate del territorio di Santa Croce Camerina, percorrendo incantevoli paesaggi tra mare e campagna e assaporando nelle degustazioni gli straordinari sapori della terra.

"Le vie del latte" rappresenta un vero e proprio viaggio nella filiera di questo prodotto, dall’allevamento di razze autoctone (vacca modicana, asino ragusano) alla lavorazione e trasformazione dei latticini. Si snoda in tre visite specializzate, "Il viaggio del latte d’asina", "La via del latte di capra" e "Le vie del latte vaccino", dando la possibilità di visitare aziende immerse in un territorio rurale incontaminato, dove gli animali vengono allevati nel rispetto dell’ambiente e delle tradizioni. "Il Percorso delle tre Torri" prevede un circuito che coinvolge le 3 torri costiere edificate dai Normanni nel 1600. Si parte dalla Torre Vigliena o Torre del Bracello che fu costruita negli anni 1595-1607 all'estremità del Braccio della Colombara oggi comunemente chiamato Punta Braccetto. Il percorso procede lungo la costa, in un emozionante fuoristrada, immersi in uno spettacolare ambiente dove regna sovrana la macchia mediterranea, fino ad arrivare a Torre di Mezzo, o Torre di Pietro, ed infine a Torre Scalambri a Punta Secca. Percorsi che valorizzano quindi le straordinarie peculiarità paesaggistiche e naturalistiche del territorio, le sue attrazioni archeologiche, l’eccellenza delle primizie e dell’enogastronomia locale, l’arte e la cultura della Sicilia sudorientale attraverso coinvolgenti percorsi rurali. I visitatori e i turisti che parteciperanno sabato 16 maggio alla Notte Europea dei Musei a Cava d’Ispica potranno approfondire e conoscere meglio questi particolari itinerari, apprezzare e lasciarsi stupire da luoghi e realtà a volte nascoste o poco note che rappresentano una Sicilia insolita da scoprire, vivendo un’indimenticabile esperienza.

 

L’occhio indiscreto del nemico. Spie francesi nel Trentino austriaco

Da Ilfatto24ore.it del 13 maggio 2015

Ad un occhio poco attento potevano sembrare turisti, e probabilmente l’accento transalpino permetteva di individuarli da subito come francesi. Ma non percorrevano il Trentino-Alto Adige in cerca di svago: erano spie al servizio dell’Armée de Terre e cercavano di carpire tutte le possibili informazioni sulle fortezze che Vienna aveva deciso di costruire in Tirolo meridionale. Qualsiasi mezzo era utile per ottenere lo scopo: macchine fotografiche, schizzi, cartoline, carte turistiche.

L’attività di spionaggio in campo militare era una pratica attestata da diversi secoli e la presenza di informatori, spie e doppiogiochisti era ramificata ed attiva. Nell’imminenza della Grande Guerra questa pratica si strutturò e divenne imprescindibile per gli stati maggiori di tutte le nazioni europee. Anche un esercito di solida tradizione e ben organizzato come quello francese disponeva di un efficiente ufficio informazioni, utilizzato per tenere sotto controllo le mosse degli altri Stati. Queste attività non si esercitavano solo relativamente alle aree di frontiera della Francia, ma si estendevano anche in contesti più distanti. A partire dal 1810, quando il Trentino entra a far parte dell’orbita napoleonica per alcuni anni, lo spionaggio francese, in particolare il personale distaccato presso il Depot de Fortifications dell’Armée de Terre, venne inviato in Tirolo a rilevare e documentare la realizzazione delle fortezze austro-ungariche.

Ne nacque una serie dettagliatissima di reconnaissances e memoires (ricognizioni e memoriali) sia sulle cinture fortificate realizzate ai confini con l’Italia, che sulle potenti piazzeforti tirolesi di Trento, Riva del Garda e Franzenfeste-Fortezza. I resoconti, che univano rappresentazioni descrittive ad apparati cartografici dettagliatissimi, prospetti, schizzi e persino fotografie, fornivano un quadro dettagliato e analitico sui piani strategici dell’Impero asburgico. La “curiosità” francese non si limitò peraltro alle realizzazioni della Duplice Monarchia, ma venne rivolta anche alla nazione italiana, in particolare su alcune fortezze realizzate al confine con il Tirolo. Ciò che colpisce di questo materiale è la pervasività ed il dettaglio con cui i servizi segreti francesi seppero cartografare e analizzare le fortezze austriache e italiane, a testimonianza che i servizi informativi europei all’epoca erano in grado di scavalcare agevolmente i confini nazionali ed operare all’estero per controllare gli stati nemici. Meravigliose in particolare due foto del 1882, che ritraggono il maestoso complesso fortificato di Franzenfeste da diverse angolazioni. Forse alcune fra le ultime scattate in piena luce, visto che proprio in quell’anno entrò in vigore il divieto di fotoriprodurre le installazioni militari.

Nonostante i francesi fossero molto bravi a localizzare le fortezze e le principali infrastrutture di supporto (strade, ferrovie, teleferiche, centri logistici, depositi), le severe restrizioni austroungariche non consentirono agli ufficiali del Deposito della Guerra di entrare o semplicemente avvicinarsi alle installazioni militari. Gli stessi schizzi e planimetrie sono molte fantasiose e non colgono fino in fondo le innovazioni introdotte dal Genio austriaco nelle proprie realizzazioni (come le cupole corazzate a fusione unica, le casamatte corazzate, l’adozione del calcestruzzo rinforzato).

Molto meno rigida invece la sorveglianza italiana, tanto che negli stessi resoconti si sottolinea più volte la facilità nell’entrare e uscire dai forti per rubare le dotazioni: “quando uno conosce un poco gli italiani, sa perfettamente che l’esistenza di una semplice cartuccia, una volta comparsa in qualsiasi ambiente senza sorveglianza, sarà rubato il giorno dopo, e la polvere venduta a tutti i cacciatori e artificieri dei dintorni. Ora, senza la presenza fortuita in quelle opere di truppe di passaggio, sarebbe stato semplicissimo per noi entrare persino in pieno giorno, i mascheramenti (fosse pressoché riempite, palizzate di semplici tralicci) sono dei più rudimentali”. Gli stessi commenti dei militari francesi si occupano di descrivere la situazione politica e l’attaccamento allo stato delle popolazioni dei dintorni. Questa la frase più significativa: “In tutti i casi, le popolazioni agricole di Lavarone, Folgaria, etc, non condividono per nulla l’irredentismo di Trento e dei grandi centri. Essi apprezzano la saggia e poco dispendiosa amministrazione dell’Austria. In caso di guerra di guerriglia, e là si avrà sicuramente, una volta di più gli italiani saranno sbaragliati malgrado i loro vantaggi di posizione”. Infine l’estensore, anonimo, del memoriale si sbilancia in una profezia piuttosto veritiera: “La Val d’Astico, per queste condizioni, sarà teatro di lotte omeriche a causa di queste frontiere singolarmente munite […]. Le posizioni delle opere corazzate sono numerose […]. I montanari tirolesi risponderanno semplicemente alle fanfaronate italiane, i quali saranno ad Arsiero ed Asiago l’indomani della morte di Francesco Giuseppe e non verranno fermati un minuto né dal forte Corbin né dalla chiusa di Barcarola”  Una vera e propria profezia che, purtroppo, si avvererà pochi anni più tardi.

Questo articolo deriva da una conferenza tenuta dall’autore all’VIII seminario “Dalla mappa al GIS” organizzato dal CISGE (Centro Italiano per gli Studi Storico-Geografici).

 

Strade e sentieri della Linea Cadorna - Un guida tutta da scoprire con «L’Eco»

Da Ecodibergamo.it del 14 maggio 2015

A partire da giovedì 14 maggio con L’Eco di Bergamo e La Provincia (Como, Lecco e Sondrio) sarà in vendita il volume «Strade e sentieri della Linea Cadorna. Itinerari storico-escursionistici dalla Valle d’Aosta alle Alpi Orobie». 

La Linea Cadorna è la più imponente opera difensiva della prima guerra mondiale tuttora esistente in Europa. Capisaldi fortificati, batterie in caverna, osservatori, trincee in muratura: un complesso di opere, tutte da scoprire, in luoghi di alto valore paesaggistico.

La guida, al prezzo di 9,90 euro più il quotidiano, propone la descrizione dettagliata delle escursioni, completa di cartine, livelli di difficoltà e tempi di percorrenza.Il volume rimarrà in edicola per 45 giorni e verrà ritirato a partire da domenica 28 giugno. Un viaggio affascinante sui sentieri della Linea Cadorna: non è mai stata un teatro di guerra, ma è la più imponente opera difensiva della prima guerra mondiale tutt’ora esistente in Europa. Costruita negli anni 1916-17 lungo la frontiera alpina, l’obiettivo era impedire un’ipotetica invasione tedesca attraverso la neutrale Svizzera. Dalla Valle d’Aosta alle Orobie, su Alpi e Prealpi si snoda una serie di fortificazioni poco nota al grande pubblico, eppure di eccezionale importanza storica e architettonica, in molti casi in ottimo stato di conservazione, anche un secolo dopo la sua costruzione. Capisaldi fortificati, batterie in caverna, osservatori, oltre 70 km di trincee in muratura e più di 100 postazioni d’artiglieria, servite da 300 km di strade e 400 km di mulattiere. Un complesso di opere tutte da scoprire, in luoghi di alto valore paesaggistico, che questo libro invita a visitare attraverso un’inedita serie di itinerari, percorribili in gran parte dell’anno.

Una guida alle escursioni completa e originale: cartine, livelli di difficoltà,tempi di percorrenza, un imperdibile apparato iconografico realizzato ad hoc. E, per ogni itinerario, box tematici che offrono al lettore l’opportunità di approfondire le proprie conoscenze culturali, scientifiche, storiche e architettoniche sulle fortificazioni di montagna. Un libro per camminare sui sentieri della storia ideato da Diego Vaschetto, laureato in Scienze geologiche all’università di Torino, specialista in scienze e culture alpine, difesa del suolo e tutela dell’ambiente. Si occupa di glaciologia alpina e artica, vulcanologia, meteorologia e rilevazione nivometrica.

 

Sentinelle silenti sul mare: Le torri costiere nel teramano

Da Ilfattoteramano.com del 10 maggio 2015

Alvarez de Toledo e Parafan de Ribera, Viceré spagnoli del Regno di Napoli, sognavano da tempo di realizzare uno dei più grandi sistemi difensivi della costa. La seconda metà del XVI secolo era funestata da miriadi di devastanti incursioni turche che si concentravano proprio nel tratto di costa oggi abruzzese. Nacque così un reticolo di torri di avvistamento distribuite lungo il perimetro costiero del Regno, ognuno in vista dell’altro, in una sorta di “fratellanza” di pietra, da Martinsicuro a Vasto. Questo si rivelò come una grande intuizione e le torri svolsero per molti anni la duplice funzione sia di respingere il nemico e sia di avvertire, con spari e con altri mezzi rudimentali, le popolazioni dell’interno.

Buona parte delle torri abruzzesi fu costruita da Vincenzo Tavoldi, un bergamasco che con il fratello si stava occupando delle fortificazioni di Pescara e Civitella. Nel 1568 si aggiudicò l’appalto per otto di tali edifici, impegnandosi a finirli entro diciotto mesi. Sulle ultime torri, la “Mucchia” di Ortona e su quella a guardia del porto vastese, nel capo di Punta Penna, non lontano dall’oasi protetta di Punta Aderci, i nobili fecero apporre il “Crux et Ignis”. Era questo lo stemma del ferro e fuoco raccolto dalle labbra del frate eremita, San Celestino V. Il famoso Papa per “virtude” e non “viltade”, come sosteneva Dante nel canto dell’Inferno, fece il gran rifiuto. Quel percorso di fede e virtù che evidenziava il cammino celestiniano, tra Spirito Santo e fuoco dell’Amore era divenuto, per mano dei boriosi signori, il segno della distruzione per chi osava mettersi contro. Storia vecchia come il mondo. Erano i tempi in cui l’Adriatico forgiava i cuori degli uomini assegnando loro un destino impossibile da cambiare.

Le torri, insostituibili sentinelle solitarie, ancora appaiono oggi, all’improvviso sulla strada e sembrano raccontare leggende perse nella notte dei tempi. Ne contiamo circa diciotto, tutte di epoca medioevale, con le quali in quei tempi bui, si cercò di porre un argine alle continue scorrerie di turchi e saraceni, seguendo un piano unitario e organico di difesa. Certo, la modernità non ha trovato il cancello chiuso e questi antichi manufatti sono cambiati rispetto ai tempi originali, se si eccettua la “Torre del Vibrata” nei pressi di Alba Adriatica. Alcuni di questi torrioni d’avvistamento sono scomparsi, come ad esempio, quello di Giulianova sulla sinistra delle rive del fiume Tordino, distrutto nell’ottocento da una piena terribile delle acque, o quello di Roseto degli Abruzzi denominato “del Vomano”eretto nel 1568. Oggi quest’ultimo è noto solo in antichi documenti storici. Il manufatto fu abbattuto, come accade per le cose belle della città delle Rose che tutto distrugge, per far posto al solito devastante palazzone.

Si gira lo sguardo intorno, a trecentosessanta gradi, ed eccolo ancora lì intatto il fascino selvaggio di queste sentinelle che appaiono ancora indomabili nonostante l’abbandono. Guardarle è come tuffarsi nella magica atmosfera di un mondo incantato fatto di realtà e fantasia. Sembrano sculture scaturite dall’estro guerriero, concrezioni dettate dalla natura ribelle. La più importante delle torri, di certo la più conosciuta, è isolata sullo splendido tratto di spiaggia fra Silvi e Pineto che attende ancora la definitiva consacrazione a oasi protetta. È la famosa “Torre del Cerrano”. Insiste proprio sul territorio nel quale sorgeva il porto Cerrano-Matrinus del periodo romano, I e II sec. d.C, di vitale importanza per i commerci e le guerre dei Romani. Era lo scalo della famosa Hatria, riferimento insostituibile della successiva politica espansionistica mercantile della Repubblica della Serenissima a Venezia. La torre è ben inserita in un habitat meraviglioso, direi magico, tra pini e mare, connubio ideale tra natura e arte dell’uomo.

Molto dell’antico manufatto è mutato. Sulla originaria torre a tronco di piramide, con base quadrata e apparato a sporgere su robusti beccatelli con tre caditoie per lato, fu innestata, all’inizio del XX secolo, un secondo livello, molto riconoscibile, costituito da una torretta quadrata coronata da piccoli merli. In quel frangente molto mutò, anche con scadimento della qualità architettonica, negli interni dell’antico manufatto, tra improvvide scale, tremende finestre a oblò tipo sommergibile (sic!). Lo sconvolgimento continuò negli anni ’80, per adibire la torre a Laboratorio Biologico marino. Oggi è sede dell’oasi marina del Cerrano e si fa visitare durante il periodo estivo. Di certo è andata peggio ad altre strutture come quella del “Vibrata” del 1568, che ha subito una sorta di interramento nel corso del tempo. Si trova ad Alba Adriatica, in via Cavour. La torre si presenta come una costruzione tutta in mattoni, molto tozza, presidiata. Oggi è inutilizzata, fino a poco tempo fa era adibita a pollaio con tanto di bruttissimi cassonetti dell’immondizia accanto. Sorte simile è toccata alla “Torre di Salinello”, in via Galilei 327 un paio di chilometri dal centro di Giulianova Lido. Oggi in disuso, il manufatto ha ricordato anche l’onta dell’improprio utilizzo di cantina.

Diversa la situazione della “Torre di Martinsicuro”, località Colonnella, meglio conosciuta come la torre di Carlo V, visibile prima del ponte sul fiume Tronto. Insieme all’adiacente casa doganale, la torre restaurata ospita il Centro di Educazione Ambientale ed è sede dell’interessante Museo archeologico Antiquarium dell’allora Castrum Truentinum. L’imponente costruzione quadrangolare presenta sulla facciata est, due colonnine con capitelli poggiati su mensole a sorreggere un architrave che racchiude le insegne araldiche di Don Pedro di Toledo, poste sotto quelle dell’imperatore Carlo V. Si distingue l’aquila bicipite degli Asburgo. La torre fu progettata dal valenciano Pirro Luis Escribà, capitano e grande architetto militare che contribuì all’edificazione del Forte Spagnolo della città aquilana. A dispetto della giovane età, Martinsicuro è comune da 1963, il paese vanta origini antichissime, come villaggio dell’età del Bronzo e del Ferro e custodisce i resti di Truentum Castrum Truentinum città fondata dai Liburni come testimonia Plinio il Vecchio.

A Martinsicuro sono passati grandi condottieri come Giulio Cesare, Annibale, oltre al mitico Federico II e Vittorio Emanuele. La torre esisteva probabilmente da secoli precedenti, ma ebbe un rifacimento radicale nella prima metà del cinquecento dal maestro Portolano d’Abruzzo Martolino di Segura, per volontà di Carlo V. www.paesaggioteramano.blogspot.it

 

L'AQUILA: NUOVI RITROVAMENTI SULLE MURA, FORSE SCOPERTA PORTA ROMANA MA RISERBO DEI TECNICI

Da Abruzzoweb.it del 9 maggio 2015

L'AQUILA - La storia aquilana non finisce di stupire e dopo Porta Barete un nuovo tesoro riaffiora dai lavori di recupero e valorizzazione della cinta muraria trecentesca, condotti dalla Soprintendenza unica archeologica, Belle arti e Paesaggio per la città dell’Aquila e i comuni del cratere. I tecnici della Soprintendenza per ora preferiscono non pronunciarsi, ma potrebbe trattarsi di Porta Romana, di cui si era persa traccia fino a oggi. La scoperta è avvenuta sul tratto di mura di via XXV aprile nei pressi della stazione ferroviaria, dove sorgeva anche l’antica caserma Francesco De Rosa del 18esimo artiglieria che occupava la parte interna delle mura e che fu bombardata durante la seconda guerra mondiale. A confermare che potrebbe trattarsi proprio di Porta Romana, l’antica pianta di Girolamo Pico Fonticulano del 1575 che la colloca tra Porta Rivera e Porta Barete a fianco a Porta Pilese.

Porta Romana scompare poi dalla pianta di Antonio Francesco Vandi, del 1753, prima carta successiva al sisma che nel 1703 distrusse la città. A ulteriore riprova dell’autenticità del varco, ci sarebbe anche l’acciottolato riemerso, tipica pavimentazione fatta di ciottoli di fiume, sulla quale transitavano i carri in ingesso alla città. Circa le prime informazioni ufficiose trapelate sui ritrovamenti, l’assessore alla Ricostruzione Pietro Di Stefano, raggiunto da questo giornale commenta: "Il bel progetto di recupero delle mura continua a dare sorprese, di cui però attendiamo certezze dalla Soprintendenza che ringrazio per il lavoro messo in campo da tutti i suoi professionisti". Uno splendore, quello delle mura cittadine, lungo 700 anni e che ancora oggi non smette di stupire.

Il restauro della cinta muraria lunga circa 5 chilometri è stato finanziato per 8 milioni di euro da fondi Por Fesr e per altri 3 dalla ex Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici d’Abruzzo. I lavori sono stati curati dall’architetto della Soprintendenza Antonio Di Stefano e si concluderanno entro l’estate. "Un’opera grande e intelligente e un lavoro di professionalità e competenza - aggiunge - Questa è L’Aquila che riscopre i suoi valori e  suoi tesori. Al pari di Porta Barete anche qui sembra riaffiorare qualcosa dalla storia antica: bisogna puntare alla valorizzazione massima  della nostra storia e delle nostre radici. Queste scoperte restituiscono alla città il suo valore collettivo". di Marianna Galeota

 

 

Apertura straordinaria dei Bunker del Monte Soratte: un viaggio tra storia e mistero

Da Liberoquotidiano.it del 8 maggio 2015

Uno dei posti certamente più misteriosi e al di fuori dell’ordinario di tutta la penisola: le gallerie della Seconda Guerra Mondiale e il Bunker anti-atomico del Governo italiano realizzato durante la guerra fredda, saranno aperti al pubblico attraverso visite guidate e con una kermesse davvero d’eccezione.

In questo posto il tempo sembra davvero essersi fermato a 70 anni fa: suoni, odori e resti di architetture militari sono fermi alla seconda guerra mondiale quando il Maresciallo Kesselring installò dentro questi tunnel una vera e propria città sotterranea approntando il Comando Supremo di tutto il Sud Europa, cabina di regia segretissima dal quale amministrava i vari fronti di battaglia nei 10 mesi più tragici della storia d'Italia del '900 tra l'8 Settembre del 1943 ed il 4 di Giugno del 1944.

Ma oltre questo, a mano a mano che ci si spinge più in profondità (l'intero impianto si estende per oltre 4 Km sotto terra!) si arriva al "core", al nocciolo iper-protetto già naturalmente da oltre 300 metri di roccia calcarea e rinforzato da spessi diaframmi in cemento armato per l'installazione di un super-bunker antiatomico utile ad ospitare il Governo Italiano ed il Presidente della Repubblica ai tempi della guerra fredda, per esplicito volere della NATO.

Alle visite guidate farà da cornice una grandiosa manifestazione a carattere rievocativo degli eventi bellici della seconda guerra mondiale con un centinaio di figuranti in uniforme d'epoca, altrettanti veicoli storici militari e civili, alcuni dei quali rarissimi, ed un fantastico air-show fra i cieli del Soratte che, per quanti non lo conoscessero, gode di una spettacolare vista sulla capitale.

Addirittura, ad arricchire la collezione dell’associazione che viene presentata al pubblico per la prima volta, oltre a due carri armati, numerosi blindati e pezzi d'artiglieria si potranno ammirare i modelli dei missili Nike Ajax ed Hercules che furono posti a difesa del territorio nazionale in caso di conflitto nucleare, su concessione della NATO.

Un viaggio tra l'apocalisse che fu e quella che avrebbe potuto essere, una sovrapposizione di due layers storici che anche essa ha dello straordinario ed unico in tutta Europa.

I volontari dell'Associazione Culturale "Bunker Soratte" che curano le visite guidate e che hanno realizzato l'opera di "riesumazione" di questa città sotterranea, vi potranno guidare in questo piacevole tuffo nella storia d'Italia del '900, quella poco conosciuta e rimasta segreta - spesso volutamente o per motivi di sicurezza - per oltre 70 anni.

Info e prenotazioni:

Prenotazioni online su www.bunkersoratte.it e-mail: bunkersoratte@gmail.comTelefono 380.3838102

 

 

Apre la Fortezza Medicea: 1300 metri di cinta muraria tornati alla luce con 7 milioni di euro di investimento

Da Gonews.it del 8 maggio 2015

Sabato 6 giugno sarà inaugurata la Fortezza Medicea di Poggio Imperiale al termine dell’imponente intervento di recupero dell’intero complesso monumentale. “Dopo circa un anno e mezzo di lavori – dice il Sindaco – torna alla comunità un luogo a cui noi tutti siamo molto legati. In questo recupero c’è il nostro passato e c’è anche parte del futuro di questa comunità. C’è soprattutto il completamento di un progetto importante che parte da lontano e che ha visto una massiccia operazione di valorizzazione che ha interessato fin dai primi anni novanta tutta la collina di Poggio Imperiale”.

Si pensi all’avvio della campagna di scavi archeologici, al recupero dell’edificio interno al Cassero. Quindi al recupero dei bastioni laterali, delle mura del Cassero, all’avvio di tutto l’iter di intervento sulla Fortezza. Un impegno articolato che ha potuto realizzarsi nei decenni anche grazie al sostegno di partner quali la Regione Toscana, la Fondazione Mps, l’Università di Siena, la Provincia di Siena. “Dopo la recente apertura dell’Archeodromo – prosegue la Giunta – inaugureremo la Fortezza con una due giorni di iniziative attualmente in fase di definizione. Un ricco calendario di eventi in collaborazione con tante realtà del territorio e che presto diffonderemo. Invitiamo tutti a partecipare e a condividere questa grande emozione per il recupero di questo luogo in cui bellezza, storia e opportunità si legano in maniera meravigliosa”. I lavori in Fortezza. L’intervento è stato realizzato nell’ambito del programma PIUSS, strumento attraverso il quale la Regione Toscana ha attuato le politiche di sviluppo economico e sociale per le aree urbane nel rispetto del programma dell’Unione Europea. Ha avuto un costo complessivo di oltre 7 milioni di euro. I lavori sono effettuati dalla ditta Edilco che ha allestito il cantiere all’inizio del 2014.

Il restauro dell’intero circuito delle mura esterne, 1300 metri, ha portato a restituire nuovo splendore alle porta di Calcinaia e alla porta della Fonte (dove è già montata la passerella per accedervi) che precedentemente erano inutilizzate e in parte nascoste. Sono stati realizzati camminamenti tutto intorno alle mura, da porta del Giglio al Cassero. Una ‘passeggiata’ costellata da spazi di sosta, piazzole panoramiche, aree attrezzate. Sono state rifatte le staccionate, realizzato il parcheggio sotto il complesso (spazio adiacente al parco del Vallone), sistemato il percorso che porta dal complesso monumentale al centro storico, installata l’illuminazione che interessa sia la parte alta che la parte bassa.

 

 

Albrecht Dürer autore di lettere geometriche & militari

Da Totalità,it del 6 maggio 2015

Come avviene per le grandi individualità, che da qualsiasi attività intrapresa, fosse pure la più modesta, sempre lasciano tralucere un lampo del proprio genio, ognuna delle molteplici facce del Dürer è degna d’interesse. L’artefice di Norimberga non era infatti solo il sovrano pittore ed incisore che conosciamo ma fu anche un trattatista di valore al corrente di costruzioni geometriche molto evolute. Appassionato dell’Italia, come era naturale per un artiere del suo tempo, il Dürer fu per un lungo periodo in Venezia e sono gli appunti del viaggio verso la città adriatica o almeno tratti da essi quei bellissimi acquarelli che ritraggono la Val di Cembra, e i dintorni di Arco e di Trento incontrati durante la discesa lungo la valle dell’Adige. È quasi sicuro che nella capitale lagunare egli potesse vedere un’esemplare della famosa edizione della Hypnoerotomachia Poliphili stampata dal romano Aldo (ovvero Teobaldo) Manuzio con l’insegna, inarrivabile pure oggi per senno ed armonia grafica, del delfino che con grazia di creatura apollinea si avvita all’ancora. Ammirato dall’arte del romano, Albrecht Dürer ne imitò la classicità dell’architettura di testo e illustrazioni per i suoi volumi sui canoni delle proporzioni nel disegno e nella figura e, con una certa sottile affinità, in una sua opera di architettura militare. Volumi che è sempre utile, per non dire necessario, passare in visione se si vuole imparare l’arte della grafica e della bella pagina e dei quali ci si domanda perché non ne venga fatta una bella ristampa anastatica con, in fondo, una traduzione in italiano allo stesso modo di come è stato fatto per la famosa ed arcana avventura di Polifilo. I titoli di queste opere ci appaiono sempre complicati, dato che sono delle frasi intere, e indicano che, a quel tempo, cauto, meditato e preciso era l’indirizzo dell’autore al circolo dei suoi lettori, spesso capitanati da un condottiero o da un principe esperti intenditori di arti e lettere. “Unterweysung der Messung etc.” ovvero, e qui dico all’incirca perché il tedesco del XVI secolo è molto differente da quello contemporaneo, “Dimostrazione della misura etc” -dove l’etc è il nostro taglio al titolo- è il testo del Dürer che tratta dei fondamenti del disegno immaginato in guisa d’una composizione inesauribile delle tre linee elementari, la retta che ha una lettera I come suo simbolo, il cerchio che prende una O per segno e, infine la linea genericamente curva sotto tutela della S, lettera serpentina che può anche vedersi composta di un tratto retto e di due archi di cerchio dalle curvature opposte e di diverso raggio. Le tre lettere sono dal Dürer associate in una pagina del trattato nella figura dell’enigmatica sigla: I O S. 

Da questi elementi si arriva per gradi alle costruzioni prospettiche dove si incontrano, lungo i vari capitoli, delle incomuni costruzioni geometriche, fra queste una bellissima costruzione del pentagono quasi regolare, a lati eguali ma con un angolo ad apertura differente dagli altri, effettuabile con una sola apertura di compasso e l’originale costruzione della curva parabolica, che danno un Dürer bene addentro le matematiche. Un aspetto, questo, che appaia l’artiere norico a Piero della Francesca del quale si sa dal suo biografo che “ebbe bonissima cognizione d’Euclide” e riuscì a calcolare esattamente il volume d’una architettura di volumi assai complessa con metodi che forse si avvicinano al calcolo differenziale di oggi. 

Con i “Vier Bücher der menschlichen Proportion“, i “Quattro capitoli sulle proporzioni della figura” il pittore di Norimberga torna sull’antico tema del canone che già fu di Policleto. Sono da ricordare, in margine di quest’opera, dei curiosi studi fatti di schizzi su fogli sparsi dove la nostra figura corporea è chiusa entro una composizione di volumi a prisma e parallelepipedo le cui altezze, larghezze, profondità stanno fra loro secondo precisi rapporti per consentire, una volta che si tracceranno le linee curve che delimitano la figura ideata, la riuscita di un modello in ordine perfetto con i canoni della proporzione. La curiosità è data dal fatto che le figurine a parallelepipedi e prismi sembrano davvero la creazione di un moderno disegnatore pure se il rispetto dei canoni rende ragione della loro inaspettata e fine bellezza. Esse sono inoltre così apparentemente elementari da potersi facilmente ricopiare a mano libera.

 “Etliche Unterricht zur Befestigung der Stett, Schloss etc” è, al contrario, il titolo, che accorciamo in “Alcune direttive nella fortificazione delle città, castelli etc.”, di un’opera militare, irta di figure di bombarde che sparano a mura fortificate e illustrata ad uso non del lettore in cerca del bel disegno ma del guerriero che ha da scegliere o le traiettorie di tiro dove i muri possano cedere o l’architettura per la sua piazzaforte più razionale e robusta contro i tiri delle artiglierie assedianti. Schizzi dunque d’un ingegnere militare, spartani e veloci da penetrare in ogni particolare che, anche se minimo, deve risultare funzionale alla pratica. Disegni non da architetto civile ma da ingegnere militare per i quali domandarsi se siano belli ha ben poco senno; se dal loro studio si ottiene che la costruzione sia ben salda ai tiri delle bombarde e dei cannoni sempre più potenti essi sono perfetti e tanto infine può pure indicare ch’essi risultano del tutto in ordine con l’estetica. Che siano stati adottati nella pratica gli accorgimenti architettonico militari proposti dal genio di Norimberga? E dove? Qui possiamo solo dire che lo spettacolare castello a pianta rotonda che campeggia fiero sulla collina sovrastante Sciaffusa, la città svizzera sul Reno, qui presso a precipitarsi dalle famose cascate, sembra mutui le sue belle forme da dei disegni del Dürer. Di Il Piccolo da Chioggia.

 

Sabato e domenica fortificazioni aperte

Da messaggeroveneto.it del 6 maggio 2015

COLLOREDO DI MONTE ALBANO. Ritorna sabato 9 e domenica 10 maggio “Mirabilia”, l’evento culturale organizzato due volte l’anno dal Servizio Associato Cultura dell’ente collinare che ha come obiettivo quello di far conoscere gli angoli meno noti, ma non per questo meno interessanti, presenti nei 15 Comuni aderenti. La nuova edizione primaverile di Mirabilia ha scelto il tema delle “strutture militari”, che farà scoprire al visitatore un altro volto del Friuli collinare. Un volto che affonda le sue radici in un passato antichissimo iniziando dai castellieri protostorici, strutture fortificate romane, castra altomedievali, castelli medievali fino a giungere alle due Guerre Mondiali e alle fortificazioni post belliche.

Per l’approssimarsi del centenario dell’entrata in guerra dell’Italia (24 maggio 1915 - 24 maggio 2015) l’ente promotore ha scelto di raccontare come questo territorio visse quei drammatici eventi e come negli anni precedenti fu modificato dalla realizzazione della linea difensiva del Medio Tagliamento. “Tracce e memorie di guerra … per non dimenticare” e … capire che una guerra non potrà mai avere un vincitore.

I siti saranno aperti con ingresso gratuito il sabato e la domenica. Volontari, esperti, appassionati di storia locale e gli assessori dei comuni coinvolti accoglieranno i visitatori che potranno apprezzare anche altri eventi collaterali che faranno da cornice all’iniziativa. Si potranno visitare musei e altri siti di interesse presenti nel comprensorio. Per maggiori informazioni: 0432 889507 o www.friulicollinare.it.  Luciana Idelfonso

 

 

Il M5S Bergamo: “Mura, chi si prende cura del forte di San Marco?”

Da Bergamonews del 4 maggio 2015

Il Movimento 5 Stelle di Bergamo chiede all'amministrazione comunale di chiarire chi si prenderà cura delle parti di Mura venete in terreni privati. E' il caso del forte San Marco a cui gli operatori non possono accedere perché compreso in aree private. Le Mura venete di Bergamo (più correttamente veneziane), candidate a diventare patrimonio dell’umanità UNESCO, nel quadro del noto progetto transnazionale, sono state oggetto di una recente stipula di convenzione, tra Comune e OrobicAmbiente (ONLUS) per la manutenzione e pulizia del paramento lapideo ovvero per la cura delle stesse rispetto alla vegetazione infestante. Detta convenzione ha preso in considerazione la cinta delle Mura, escludendo la parte compresa nel settore a nord, quella per intenderci compresa tra le porte San Lorenzo e Sant’Alessandro altresì nota come Forte di San Marco, cioè di quel tratto di mura rivolto verso il Colle di San Vigilio. Si tratta della porzione di Mura (circa un quarto dell’estensione totale) che è finita interclusa a delle proprietà private nel corso degli ultimi due secoli, con una significativa accelerazione del fenomeno nella seconda metà del ‘900.

La cinta muraria in questa parte, per intenderci, è rimasta di proprietà del Demanio, ma il terreno a monte e quello a valle sono divenuti privati, rendendola di fatto inaccessibile non solo al pubblico, ma perfino agli operatori di controllo e manutenzione. Questa parte risulta inoltre essere la parte più degradata con tratti ricoperti da una folta vegetazione e con casi evidenti di crescita di alberi le cui radici hanno sconnesso significativamente i corsi dei conci lapidei. Dopo la conferenza stampa del 20 marzo scorso, considerati i contenuti della Convenzione triennale, possiamo dire che i limiti spaziali della sua applicabilità sono stati stabiliti tecnicamente più per opportunità tecnico/amministrativa e quindi politica che per reale volontà di conservazione in toto della splendida cinta.

Si è scelto cioè di evidenziare […] La domanda che muoviamo pertanto è: CHI si prenderà cura del Forte di S. Marco? Come si intende procedere nel prossimo futuro per garantire la cura dell’intera cinta muraria e non di una significativa parte, anche in considerazione di promuovere il bene nella candidatura con UNESCO?

 

Portoscuso: tra torri costiere e studi di architettura

Da Castedduoline.it del 4 maggio 2015

Domenica 10 maggio andranno in scena a Portoscuso l'archeologia, le architetture costiere, gli antichi insediamenti del Sulcis, tra i quali le torri di guardia e le tonnare. E' questo l'obiettivo della giornata di studio che si terrà alle 9 nella sala convegni del vecchio Arsenale. Il seminario, ideato dall'Ordine degli architetti paesaggisti conservatori di Cagliari, prevede il rilascio dei crediti formativi per gli sudenti e i professionisti.

Si alterneranno infatti, nel corso della giornata, interventi di architetti e ingegneri sui temi della valorizzazione, dello studio e della fruzione dei luoghi dell'identità del Sulcis.

A moderare la giornata sarà il professor Giovanni Maria Campus.

Dopo i saluti istituzionali dell'architetto Giorgio Saba, presidente dell'Ordine degli Architetti pianificatori paesaggisti conservatori di Cagliari, interverranno Giorgio Alimonda, Sindaco del Comune di Portoscuso, Gian Luigi Pillolla, Commissario del Parco Geominerario storico e ambientale della Sardegna, Paolo Giovanni Maninchedda, assessore ai lavori pubblici della Regione Autonoma della Sardegna. Ancora: Giorgio Sanna, Commissario straordinario dell'ex Provincia di Carbonia-Iglesias, Antonello Pilloni, Presidente della Cantina del vino di Santadi e altri esperti. L'evento si concluderà alle ore 12,30.

Si parlerà anche della storia del "Rais delle tonnare del Sulcis", della "tecnica della pesca del tonno" e delle "tecniche costruttive delle imbarcazioni tradizionali: vascelli, bastarde, barbacciu".

La pausa pranzo successiva prevede una degustazione di piatti tipici locali a base di tonno preparati dallo chef dell'associazione Sa Turri.

 

Affi: il più grande bunker antiatomico d'Europa sarà presto visitabile?

Da gardapress di maggio 2015

È il Monte Moscal di Affi a nascondere al suo interno il più grande bunker antiatomico d'Europa: “Si chiama West Star  ed è attualmente proprietà del V Reparto Infrastrutture dell’Esercito Italiano.” È ancora attivo? “Lo è stato tra il 1966 ed il 2007. È stato realizzato in piena Guerra Fredda, e costituiva il comando delle forze operative terrestri della NATO nel sud Europa in caso di guerra, nonché la Sala Operativa della V APAF dell’Aeronautica della NATO  per la difesa aerea, la cui sede si trovava e si trova presso l’Aeroporto Dal Molin di Vicenza. Dal 2007 la proprietà è stata ceduta all’Esercito Italiano.” Dunque, qual è lo stato della struttura, oggi? “Parliamo di 13 mila mq. suddivisi in due piani più l’interrato che conteneva cavi e sistemi di comunicazione. Poteva ospitare fino a 500 persone in oltre 110 stanze con tre ingressi ed una galleria di accesso.

È stata progettata per essere completamente autonoma dal mondo esterno in caso di attacco nucleare, con l’aria interna filtrata e mantenuta sotto pressione senza contatti con quella esterna, vasche per l’acqua potabile, infermerie, cucina, docce antiradiazioni, filtri antiatomici, un sistema antisismico… durante l’arco della sua operatività è stato costantemente aggiornato e ammodernato.

L’unico termine di confronto esistente è il NORAD in Colorado (dove hanno girato alcune scene del noto film War Games, per intenderci). Purtroppo non è visitabile, io stesso ho ottenuto il permesso solo lo scorso 20 gennaio e sono stato accompagnato da rappresentanti dell’Esercito.” Ma ritiene possibile che possa essere in futuro aperto al pubblico? Dopo tutto si tratta di un sito d’importante rilevanza storica. “La nostra associazione, AISF, ne sarebbe entusiasta. Il 24 ottobre abbiamo tenuto una conferenza in merito per inaugurare la nostra attività divulgativa, a breve pubblicheremo un volume in merito e riscontriamo grande interesse da parte della gente e - sono felice di dirlo – anche da parte del comune di Affi. Sappiamo, infatti, che proprio il comune di Affi ha fatto richiesta all’Esercito di cessione del bunker West Star per riqualificarlo a fini espositivi e renderlo una meta turistica visitabile.

E i militari che mi hanno accompagnato nella mia visita del 20 gennaio mi hanno detto che è bene sollecitare la domanda perché ritengono probabile un consenso nell’arco di pochi mesi. Noi ci speriamo: è un luogo affascinante, circondato da molte leggende, i cui dipendenti (militari e civili) erano legati a stretti vincoli di riservatezza.  Sarebbe un bene per tutta la comunità di Affi, sia da  un punto di vista culturale che economico, poter aprire al pubblico il West Star.” I vostri contatti? “L’email dell’associazione è aisf.segreteria@gmail.com  e   abbiamo  un sito internet il cui link è www.fortificazioni.net oltre ad essere su Facebook come Fortificazioni militari e artiglieria.

 

Recupero trincee sullo Stino

Da Vallesabbianews.it del 29 aprile 2015

Gruppo Alpini di Capovalle, Protezione civile Ana “Monte Suello”, Museo Reperti bellici Capovalle. Grazie alla collaborazione di questi tre gruppi, sabato 25 aprile si è concretizzata una giornata dedicata al recupero di parte delle fortificazioni risalenti alla Grande Guerra presenti sul monte Stino, nel territorio del comune di Capovalle.

«Pur essendo le fortificazioni dello Stino di seconda linea – ci racconta Enrico Rizzi, da poco nuovamente alla guida delle penne nere capovallesi, dopo aver smesso la fascia tricolore a conclusione del suo mandato di primo cittadino –, percorrendo le centinaia di metri di trincee, guardando all’interno delle gallerie dove erano posizionati i pezzi d’artiglieria, scrutando l’orizzonte dalle postazioni di sentinella scavate nella roccia, ci si rende da subito conto che per i soldati la guerra non fu solo la battaglia cruenta con le armi. Fu anche la fatica del lavoro svolto con le proprie braccia, scavando la dura roccia di queste montagne  impervie. Fu il vivere giorno e notte all’addiaccio in buche scavate nel terreno, con il sole o la pioggia, d’estate o d’inverno.
Questo è il fine che si pongono le associazioni: tentare di far capire ai chi passa di là la crudezza della guerra, non certo celebrare un conflitto o la grandiosità di un esercito».

Le operazioni, portate avanti già da qualche anno dai volontari del locale Museo Reperti bellici, hanno da sempre visto una perfetta simbiosi con gli alpini capovallesi. Quest’anno in occasione della ricorrenza del centenario del Primo conflitto mondiale si è voluto dare un nuovo slancio ai lavori, coinvolgendo anche una quindicina di volontari della sempre attiva Protezione civile della sezione “Monte Suello” di Salò.

Quaranta in totale i volontari impegnati: manutenzione dei ruderi già fruibili, recupero di trincee completamente sommerse dalla boscaglia,  pulitura e tabellatura di un nuovo sentiero che collega le postazioni italiane dello Stino con le dirimpettaie austriache di Bocca Cocca.

Che il lettore non si preoccupi: tutti i volontari, al termine del duro lavoro, hanno ricevuto sollievo alle proprie fatiche con un copioso pranzo, nella pienezza dello spirito alpino.  

 

Volontari al forte A Pietole bando ancora aperto

Da gazzettadimantova.it del 29 aprile 2015

Rimarrà aperto fino al prossimo mercoledì il bando che porterà alla formazione di un gruppo di operatori volontari che guideranno i turisti alla scoperta del Forte di Pietole. Il progetto è stato presentato nei giorni scorsi insieme ai dettagli del bando ed ora tutte le informazioni sono state pubblicate sul sito del Comune di Borgo Virgilio. Potrà partecipare chiunque abbia compiuto diciotto anni e sia in possesso del diploma di scuola superiore. Il corso durerà tre settimane, gli esperti Francesco Rondelli e Carlo Sogliani si occuperanno per lo più della parte storico-teorica, mentre Alberto Pedroni mostrerà nella pratica quali sono i percorsi e i camminamenti da seguire e i punti da vedere. «Quest'anno partiranno inoltre le opere di riqualificazione che riguarderanno l'allacciamento delle utenze, la sicurezza e l'installazione dei servizi igienici – ha ricordato il sindaco Alessandro Beduschi – però nel frattempo vogliamo dare il via a questa iniziativa, che servirà ad aprire le porte della fortezza, formando dei cittadini qualificati e volenterosi per costituire un gruppo di operatori didattici, che affiancheranno gli esperti». (ele.car)

 

 

Londra, stazione metro fantasma presto riaperta: fu bunker di Churchill

Da Liberoquotidiano.it del 29 aprile 2015

Potrebbe presto essere riaperta al pubblico la stazione 'fantasma' della metropolitana di Londra, utilizzata da Winston Churchill come rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale. La fermata si trova in Down Street, nel quartiere centrale di Mayfair e fu chiusa nel 1932, a causa del numero limitato di passeggeri che la utilizzavano. Durante il secondo conflitto mondiale, una parte della stazione fu utilizzata da Churchill e dal gabinetto di guerra, grazie all'intervento di alcuni architetti che proprio qui crearono sale riunioni a prova di attacchi. La Tfl, la società dei trasporti londinese, ora ha invitato le imprese a presentare idee innovative per trasformare la stazione dimenticata in un progetto commerciale in grado di generare profitti da reinvestire nel sistema dei mezzi pubblici.

 

Caccia all'oro di Fortezza

Da altoadige.it del 27 aprile 2015

FORTEZZA. 250 mila metri cubi di granito, 200 mila metri quadrati di superficie, 6200 operai coinvolti, 75 metri di dislivello, 20 ettari di terreno circostante e uno spettacolare passaggio sotterraneo di 451 scalini.

Sono i numeri del Forte di Fortezza, un gigantesco labirinto di stanze, corridoi e scale che dal 1 maggio aprirà la stagione 2015 con mostre, eventi, incontri culturali e una leggendaria caccia all'oro di Mussolini.

È il 16 dicembre 1943 quando nella stazione ferroviaria di Fortezza entra un treno carico di 127,5 tonnellate di oro da immagazzinare nel forte. Una parte di quel carico prezioso non ha lasciato traccia e si suppone sia ancora lì.

Nascosta. In attesa che qualcuno la riporti alla luce.

Un viaggio avventuroso nella storia, per famiglie, appassionati e amanti della natura.

 

Grande Guerra: monte Zugna, a 1. 600 metri 11 km postazioni militari

Da Agi.it del 25 aprile 2015

Trento - Sul Monte Zugna, in Trentino, sono stati rimesse in luce le postazioni militari del primo conflitto mondiale, in un percorso di 11 km che raggiunge la vetta di 1.617 metri (dopo 900 m di dislivello). Il lavoro di ripristino storico-bellico ha preso in considerazione i residuati come stazioni di teleferiche, baraccamenti, postazioni di artiglieria, cimiteri militari, linee di sbarramento del crinale, ma anche crateri dei colpi d'artiglieria e alcune targhe ed iscrizioni. Il Monte Zugna ha un ruolo centrale nella storia della Prima Guerra mondiale; occupato dai soldati italiani nei primi mesi del conflitto, venne investito nel maggio del 1916 dall'offensiva austro-ungarica, che fu arrestata a Passo Buole ed al "Trincerone". Da quel momento i due eserciti si logorarono in una lunga guerra di posizione. La strada che sale da Albaredo alla cima dello Zugna permette di attraversare per intero la strutturazione bellica realizzata sulla montagna: dalle retrovie austro-ungariche a valle, all'area recuperata delle prime linee del "Trincerone-Kopfstellung"; dalle conseguenti retrovie italiane fino alla cima, luogo del previsto forte austro-ungarico prima e importante caposaldo italiano in seguito. Oltre che in superficie, l'organizzazione militare si articolava sottoterra, come testimonia il tratto delle postazioni in caverna del "Sass dei Usei" (nei pressi del rifugio). Lungo il percorso sono presenti installazioni didattiche che, con gradualita' di forme e contenuti, guidano i visitatori alla scoperta dei siti recuperati. (AGI) Tn1/mld

 

In Bosnia l'arte italiana nel bunker di Tito

Da Ansamed.info del 24 aprile 2015

(ANSAmed) - SARAJEVO, 24 APR - "Dal progetto Ars Aevi alla Biennale nel bunker anti-atomico di Tito, la Bosnia dimostra di avere le carte in regola per tornare ad essere il primo centro culturale dei Balcani nella più ampia prospettiva europea della regione. L'Italia ci crede ed è presente alla Biennale con Leone Contini, artista italiano tra i più giovani e attivi, impegnato nello studio dei rapporti tra popoli e culture." Lo ha detto l'Ambasciatore d'Italia, Ruggero Corrias, in occasione dell'inaugurazione, presso il bunker antiatomico di Konijc realizzato da Tito, della terza edizione della Biennale d'arte contemporanea D-0 ARK Underground, cui per l'Italia partecipa l'artista Leone Contini. Hanno presenziato alla cerimonia di apertura il Ministro degli Affari Civili della Bosnia-Erzegovina, Adil Osmanovic, il Ministro per la Cultura e lo Sport della Federazione croato-musulmana, Zora Dujmovic, ed il direttore dell'Ufficio UNESCO per l'Europa Sudorientale, Sinisa Sesum. Tra gli ospiti anche il Ministro della Cultura austriaco Joseph Ostermayer ed alcuni importanti curatori della Biennale, Margarethe Makovec, Anton Lederer e Adela Demetja.

Tra le opere selezionate, quelle dell'italiano Leone Contini, nato a Firenze nel 1976. Contini, artista di fama internazionale, ha esposto alla Biennale di Venezia, al Centro di Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato, nonche' a Milano, Roma, Londra, New Delhi, Amsterdam, Belgrado. Con la sua ricerca artistica studia i rapporti tra culture nel contesto di migrazioni, conflitti e diaspore attraverso performance collettive, installazioni audio e video, blogging, pubblicazioni. L'opera esposta a Konjic ribalta il concetto della "incontaminabilità" del bunker, dimostrando - con l'ausilio del Dipartimento di Biologia dell'Università di Tor Vergata di Roma - come esso sia popolato da miliardi di batteri, in un rapporto tra uomo e natura che vede quest'ultima sempre prevalere.

La partecipazione di Contini ad D-0 Ark Underground si iscrive nella piu' ampia cornice dell'azione dell'Italia - primo partner culturale del Paese - a favore di un rafforzato impegno delle istituzioni bosniache nel settore della cultura e, in particolare, a sostegno dello sviluppo del progetto d'arte contemporanea Ars Aevi.

 

Bunker in liquidazione

Da Italintermedia.globalist.it del 24 aprile 2015

La scelta della località fu una delle operazioni più complesse dell'intero progetto: forse fu la conoscenza dei luoghi, battuti durante la guerra partigiana, che alla fine convinse Tito a costruire il proprio rifugio anti-atomico proprio nello sperduto villaggio di Konjic. Incastonato fra le montagne della Bosnia centrale, il bunker denominato "Ark D-0 "doveva essere, secondo le istruzioni del Maresciallo ,difficile da raggiungere e facile da difendere.
La sua costruzione durò quasi trent'anni per creare una struttura di 6500 metri quadri a 280 metri di profondità, capace di accogliere 350 persone appartenenti all'élite politico-militare. Tito, già malato durante gli ultimi anni dei lavori, non riuscì a vedere l'opera e morì un anno dopo la sua ultimazione. Certamente il leader della Federazione jugoslava non avrebbe mai immaginato quale sarebbe stato il vero utilizzo della struttura, ancora oggi gestita dal Comando di guerra atomico (Ark) di Konjic.

Diverso è il contesto del territorio, perché il viottolo che si arrampicava a fatica fino al bunker è stato trasformato in un tratto dell'arteria autostradale più importante della Bosnia, che punta verso la costa Adriatica. La struttura e gli arredamenti sono rimasti intatti, ma invece di ospitare 350 alti esponenti dello Stato oggi accoglie migliaia di turisti ed è sede di mostre artistiche di rilievo. Il business delle visite culturali sembra essere l'unico mezzo capace di apportare proventi per mantenere in vita la struttura, che nonostante l'indiscussa importanza storica sembra sia diventata, dopo il crollo della Jugoslavia, solo un immenso grattacapo economico per le autorità della Federazione bosniaca.

Lo scorso febbraio il ministero della Difesa ha decretato che il bunker non è "necessario né adatto" per un uso militare: in altre parole, il dicastero si è sdoganato da ogni responsabilità di gestione trasferendo l'incarico, secondo quanto annunciato, nelle mani della fabbrica di munizioni Igman, di proprietà dello Stato al 51 per cento. La manutenzione del bunker prevede delle spese minime correnti pari a 5.000 euro al mese: troppo per le risicate risorse della Federazione, ma a quanto pare anche per la stessa Igman, che ha subito replicato precisando ai media che il processo di trasferimento "non è stato ancora completato". Tenere in piedi un bunker anti-atomico costa troppo anche per i conti della fabbrica, come dichiarato dal direttore Dzahid Muradbegovic che ha però ammesso di utilizzare alcuni spazi per il deposito delle munizioni. A tre mesi di distanza dai primi annunci il braccio di ferro non sembra allentarsi, e in questa fase di interregno il rifugio di Tito viene gestito temporaneamente dalle forze armate.

I militari  si sono persino trasformati in "guide d'eccezione" per i visitatori: una piccola unità è incaricata di accogliere i turisti e accompagnarli lungo i tunnel sotterranei e le stanze ancora tappezzate delle foto del Maresciallo. "Il bunker era il segreto custodito più gelosamente dalla nomenclatura jugoslava", spiega Admir Gakic, uno dei militari addetti all'accoglienza. "La gente che lavorava qua dentro ha dovuto firmare una dichiarazione vincolante - dice ancora - che prevedeva il riserbo più assoluto su quello che veniva costruito". L'Ark D-0 è composto di 11 blocchi, che dovevano garantire la sopravvivenza in caso di un attacco nucleare lanciato da Est o da Ovest.

La struttura era sigillata ermeticamente, con sistemi di aria condizionata e  di l'approvvigionamento idrico che funzionavano grazie a dei generatori di corrente. Gli alloggi vedono ancora gli arredi originali, con alcune centinaia di letti ricoperti da teli di nylon e telefoni rossi accanto. Il vero proposito per cui il bunker era stato pensato si scopre però nell'ala attigua, dove sono collocate le stanze di comando e di comunicazione. Lì sono allestite le apparecchiature militari e gli equipaggiamenti per poter mantenere un contatto con il mondo esterno e compiere attività di monitoraggio.  La sensazione, ammettono le guide, è quella di trovare dietro ad ogni angolo personaggi catapultati direttamente da un film ambientato ai tempi della Guerra fredda. Forse per questo i turisti sono ogni anno in aumento, tanto che le prenotazioni vanno effettuate con largo anticipo.

"Adesso il bunker è stato proclamato monumento nazionale - dice Gakic - perché è l'unico edificio militare jugoslavo preservato nelle sue condizioni orginarie. Quando eravamo piccoli, nessuno si poteva avvicinare  e l'area era off-limits. Adesso i turisti possono vedere qualcosa di unico". Pochi sono i visitatori stranieri consapevoli del fatto che nessuno, al momento, è in grado di garantire con certezza una continuità funzionale del rifugio-museo. Amela Hujdur, dell'agenzia di viaggi "Konji", conferma che il numero delle visite è in continua crescita. "I turisti - dice - ormai non provengono più solo  dalla nostra regione ma da tutte le parti del mondo".  Jessie Hronesova è una ricercatrice di Oxford, ed è venuta in visita con un gruppo di colleghi. "Non immaginavo che il bunker fosse così grande - dice - ma la sorpresa maggiore è quella di potersi immergere nel passato come se il tempo non fosse mai trascorso". (Fonti: Balkan Insight - agenzie)

 

Affidata la gestione definitiva delle Fortezze

Da Quinewsmaremma.it del 22 aprile 2015

L’affidamento provvisorio era stato stabilito dell’amministrazione comunale ma mancava l’accertamento dei requisiti da parte dell’impresa

MONTE ARGENTARIO — E’ stata aggiudicata in via definitiva la gestione delle Fortezze Spagnole e degli Uffici di Informazione Turistica d Porto S. Stefano e Porto Ercole.

A curare l’apertura e gli altri servizi che le strutture offrono a turisti e residenti dell’Argentario sarà l’Associazione Temporanea di Impresa tra la cooperativa Le Orme e la cooperativa Coopera di Grosseto.

Requisiti che, una volta verificati, hanno permesso di affidare definitivamente la gestione di Forte Stella, Fortezza Spagnola ed Uffici di Informazione fino al gennaio 2017

 

Nel giorno della Liberazione Torino apre il suo rifugio antiaereo

Da Lastampa.it del 22 aprile 2015

Un bunker in cemento armato, 10 metri sotto terra, con un sofisticato sistema di areazione e tre vie di fuga, nel caso che i bombardamenti avessero tirato giù il Palazzo. Sarà aperto al pubblico questo fine settimana, in occasione dell’anniversario del 25 aprile, giorno della Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e dal regime fascista, il Rifugio Antiaereo di Palazzo Civico, costruito per proteggere i dipendenti comunali dagli attacchi dal cielo durante la Seconda Guerra Mondiale.  

Il sistema di corridoi rimasti sconosciuti per 70 anni, e porte in ferro a soffio, recuperati dal Comune con un investimento di 200 mila euro e bonificate dall’amianto, viene alla luce sabato 25 e domenica 26. È visitabile dalle 10 alle 18, con l’accompagnamento di una guida. «Nei prossimi mesi, apriremo il Rifugio alle scuole, in modo permanente», hanno spiegato ieri il sindaco, Piero Fassino, e l’assessore al Patrimonio, Gianguido Passoni, durante la visita in anteprima di quel bunker sotterraneo che la Divisione Lavori Pubblici della Città costruì nel 1942.  

Il Rifugio si presenta come uno dei più attrezzati dei 40 che c’erano sul territorio torinese, e che potevano ospitare solo il 15% della popolazione di allora: si accedeva (e si accede di nuovo oggi) con due scale a chiocciola in pietra e legno antiscivolo (il terzo ingresso, su via Bellezia, non è più accessibile), al fondo e all’inizio del cortile di Palazzo Civico, poi si percorre un lungo corridoio di 30 metri, fino al bunker. Accoglieva un massimo di 50 persone, era dotato addirittura di una latrina, per le lunghe permanenze, e di un canale di areazione, che sbucava al centro della corte dello stabile, per permettere ai rifugiati di avere sempre aria fresca. 

Oltre alla riscoperta del Rifugio, le celebrazioni per la Festa della Liberazione iniziano domani, alle 20,30, con la fiaccolata da piazza Arbarello a piazza Castello, accompagnata dalla banda dei vigili. Sabato 25, al Cimitero Monumentale, cerimonia commemorativa del settantesimo, con l’orazione di Fassino e del presidente emerito della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky. Domenica, letture, percorsi della Liberazione nei luoghi simbolo della deportazione e della memoria partigiana, mentre al pomeriggio, nel porticato del Palazzo di San Celso, anteprima del Jazz Festival, coi Bebemalà, con repertorio di musiche della tradizione folk italiana. L’iniziativa è promossa, tra gli altri, dalla Città, dal Regione, in collaborazione con il Museo Diffuso della Resistenza, l’Istoreto e gli altri istituti storici, e le associazioni partigiane. «Abbiamo il dovere di riflettere su queste giornate - ha detto il sindaco Fassino -, del sacrificio di un’intera generazione che si ribellò al nazifascismo e trasferirne la conoscenza, perché soltanto trasmettendo memoria possiamo evitare che ciò che è accaduto possa ripetersi».  Letizia Tortello

 

 

LA NOVARA DIMENTICATA | I luoghi della resistenza
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FESTA DELLA LIBERAZIONE NEL BUNKER DEL MONTE SORATTE Sabato 25 Aprile 2015 - Sant’Oreste (RM)

Da Funweek.it del 20 aprile 2015

Sabato 25 Aprile 2015, a Sant’Oreste (RM), in occasione del 70° anniversario della Liberazione, l’associazione culturale “Bunker Soratte” organizza dei tours guidati con letture itineranti a tema, a numero chiuso e a prenotazione tassativamente obbligatoria al 380-3838102, per scoprire, conoscere e toccare con mano un’importantissima pagina di storia del ‘900, dal Fascismo alla Seconda Guerra Mondiale, dalla Guerra Fredda ai giorni nostri, all’interno del bunker del Monte Soratte, che si trova a soli 35 km da Roma. 

LA STORIA IN BREVE

Voluta da Benito Mussolini, quella che ad oggi è la più imponente opera ipogea di ingegneria militare d’Italia (oltre 4,5 km di gallerie scavate nelle viscere del Monte Soratte), costituiva un segreto rifugio antiaereo per le alte cariche del Regio Esercito. Durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale (settembre 1943 – giugno 1944), poi, il sito ospitò il Supremo Comando del Sud (Oberkommando der Wehrmacht), il quartier generale nazista dal quale il feldmaresciallo Albert Kesselring dirigeva tutte le operazioni belliche del fronte tedesco. Nel 1967, infine, nel corso della Guerra Fredda, un tratto della fortezza sotterranea venne convertito, sotto l’egida della N.A.T.O., in bunker antiatomico per il Presidente della Repubblica. PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA: 380-3838102. 

TURNI DI VISITA (a numero chiuso): ore 10.30 e ore 15.30.
INFORMAZIONI GENERALI: la durata media di ogni visita guidata è di circa 2 ore e il biglietto d’ingresso ammonta ad € 7,00 (riduzione a € 4,00 per bambini dai 6 ai 15 anni e per gli over 75); il paese di Sant’Oreste (RM) è facilmente raggiungibile tramite la Via Flaminia o attraverso l’A1 (uscita “Ponzano Romano-Soratte”); il percorso, illuminato, non presenta alcuna difficoltà, poiché interamente pianeggiante, ma si consigliano scarpe comode ed un indumento caldo, in quanto la temperatura interna si aggira sui 12°C e l’ambiente è un po’ umido. SITO INTERNET: www.bunkersoratte.it FACEBOOK: Bunker Soratte.

 

Torna a scorrere l’acqua attorno alla fortezza di Palmanova

Dal Diariodelweb.it del 18 aprile 2015

Conclusi lavori di rifacimento del nodo idraulico. Ora si punta con decisione al riconoscimento da parte dell'Unesco. Le parole di Serracchiani: «Vogliamo che la città sia patrimonio Unesco e per questo stiamo lavorando con il MiBACT»

PALMANOVA - E’ tornata a scorrere l’acqua attorno alla fortezza veneziana di Palmanova. Nel fossato che cinge i bastioni l'acqua mancava da oltre 20 anni. I lavori di rifacimento del nodo idraulico, che garantisce l'immissione dell'acqua della Roggia di Palma nella cinta fortificata, sono terminati in queste settimane, dopo un iter piuttosto lungo. Il primo contributo regionale risale a sei anni fa per un importo complessivo di 200 mila euro, sostenuto da fondi della Protezione Civile regionale, per la revisione di tutto il sistema idraulico a nord della città.
Lo scorso autunno sono stati appaltati i lavori di sistemazione idraulica del tratto di canalizzazioni che va da Ronchiettis di Fauglis (Udine) fino al punto in cui la roggia si immette nel fossato, fuori Porta Udine. A questi interventi si sono aggiunti i lavori di pulizia eseguiti dai forestali del Servizio Gestione del territorio, in base alla convenzione quinquennale stipulata dalla Regione con il Comune di Palmanova, per consentire interventi annuali di manutenzione specifica sulla vegetazione delle fortificazioni rinascimentali. Il Comune ha speso in questo secondo intervento solo 6.000 euro per l'acquisto di materiali.

La soddisfazione di Serracchiani «Il Friuli Venezia Giulia ha beni culturali che vanno resi fruibili. Palmanova è un esempio di come si possa valorizzare un bene mettendo a frutto il lavoro di più forze congiunte». Sono le parole con cui la presidente della Regione Debora Serracchiani ha celebrato la conclusione dei lavori del nodo idraulico di Palmanova. «A Palmanova, con una visione importante di recupero della città, si sono messe insieme le forze del Comune, della Regione, del Consorzio Ledra Tagliamento per concludere un lavoro necessario per far fruire questa città ai visitatori», ha aggiunto Serracchiani.

Palmanova città patrimonio Unesco «Abbiamo chiesto di inserire Palmanova nei sentieri culturali promossi dalla Commissione Europea. - ha chiarito la presidente -. Vogliamo che la città sia patrimonio Unesco e per questo stiamo lavorando con il MiBACT anche per giungere in tempi brevi al protocollo d'intesa che porti le risorse nazionali ed europee necessarie alla salvaguardia delle fortificazioni».
Palmanova fa parte della candidatura Unesco delle Opere di difesa veneziane tra XV e XVII secolo, di cui fanno parte anche le città italiane di Bergamo, Peschiera del Garda, Venezia e alcuni siti veneziani di Croazia e Montenegro. Un progetto che, ha aggiunto Serracchiani, «rappresenta un'opportunità per la Regione di inserirsi in una rete di relazioni internazionali».

Seconda vita per le attrattive storiche della città Il sindaco di Palmanova Francesco Martines ha ricordato come il ritorno dell'acqua nel fossato sia l'opera finale di un percorso di interventi per la valorizzazione della cinta bastionata rinascimentale e napoleonica iniziato con la pulizia dei bastioni da parte dei volontari e finalizzato a fare del parco storico dei bastioni una destinazione turistica e culturale.
Da decenni la vegetazione aveva infestato le fortificazioni, impedendo la vista delle opere veneziane e la possibilità di accedere al parco dei bastioni. La costruzione del fossato di Palmanova è coeva alla fondazione della città da parte dei veneziani che fin dal 1593 scavarono la fossa attorno alla fortezza, ricavandone la terra di asporto per erigere i bastioni. Il fossato inizialmente raccoglieva le acque stagnanti che si accumulavano in città, ma successivamente fu adeguato per portare acqua dall'esterno delle fortificazioni, deviando l'allora roggia di Cucana, oggi Roggia di Palma.

 

 

Grande Guerra: Riva del Garda, visitabili le fortificazioni

Da Agi.it del 18 aprile 2015

Trento - Con la primavera 2015 aprono al pubblico le fortificazioni militari sopra la localita' lacustre di Riva del Garda; a Forte Garda ed alla "Batteria di Mezzo", sul monte Brione. Ogni sabato di aprile, dalle 10 alle 17, sara' possibile realizzare le escursioni storico-militari sopra il lago di Garda. Il forte Garda, una roccaforte militare austro-ungarico, appartiene alla "Fortezza Subrayon III" del grande sistema di fortificazioni austriache al confine italiano; nel centro militare saranno esposti cimeli di guerra, alcune biciclette usate all'epoca ed i fotolibri di Trentino Storia Territorio sui paesaggi di guerra e sulle lapidi dei combattenti scomparsi. Sara' attiva una postazione dedicata alla raccolta di memorie, allestita con una macchina da scrivere costruita con "broche" della vicina val di Ledro. Per i piu' giovani verra' proposto un laboratorio per bambini, con merenda offerta dall'associazione Opla'. La "Batteria di Mezzo" e' un tipico esempio di fortificazione austro-ungarica in stile "Vogl" (dal nome del colonnello del Genio Julius von Vogl), sorto all'inizio del 1880 sul Monte Brione. Dalla sua posizione venivano controllate le sottostanti cittadine di Nago, Torbole e la foce del fiume Sarca. La struttura era in casamatta con una muratura ricoperta da una colata di calcestruzzo. Le uniche aperture erano le feritoie per mitragliatrici e per i 4 cannoni da 120 mm. (AGI) Tn1/Mld

 

Villa Torlonia, 5000 visite in quattro mesi nel bunker di Mussolini

Da Fanpage.it del 17 aprile 2015

Boom di visitatori tra il novembre 2014 e il marzo 2015 per il bunker e i rifugi antiaerei di Villa Torlonia a Roma, residenza romana di Mussolini durante la guerra. Tra i visitatori, tutti accompagnati su appuntamento da apposite guide, numerosissime le classi di studenti che proprio oggi hanno raggiunto quota 1000 visite.

Le scolaresche che hanno toccato con mano questo pezzo di storia provenivano da 10 scuole superiori e istituti (di Roma ma anche di altre province come Latina, Frosinone, Pescara, Catanzaro e Brescia), 12 scuole medie (1o di Rome, due da Reggio Emilia e Perugia) e addirittura sei classi straniere in visita a Roma.

"La visita alle strutture realizzate durante la Seconda Guerra Mondiale per proteggere la residenza privata di Benito Mussolini e della sua famiglia da eventuali bombardamenti Alleati è un viaggio nel tempo, un'inedita discesa negli oscuri sotterranei della città che offre spunti di approfondimento multidisciplinari: dalla storia alla tecnologia, dalla protezione antiaerea fino al vissuto della memoria bellica italiana. – spiega il comunicato che riporta i successi di apertura al pubblico del nuovo percorso guidato.

La proposta didattica è rivolta in particolare a classi della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado e, per favorire la partecipazione delle scuole, è prevista una tariffa agevolata".

Tutte le informazioni sono reperibili sul sito www.sotteraneidiroma.it.

 

Casermette, nuovo bando con aperture e canoni ridotti

Da Il Tirreno del 15 aprile 2015

LUCCA. Pronto il nuovo bando per l’affidamento in concessione d’uso delle casermette delle Mura urbane, dopo lo stop alla versione originaria. Dopo la delibera di sospensione della procedura selettiva datata 24 febbraio, infatti, si sono svolti nelle scorse settimane una serie di incontri con tutti i soggetti interessati ad avere informazioni sull’avviso di procedura selettiva e recentemente il consiglio di amministrazione dell’Opera ha approvato alcune modifiche al Regolamento d’uso delle Mura. Adesso dunque il bando è stato nuovamente approvato dal cda nel pomeriggio di mercoledì 14 aprile: gli interessati avranno tempo fino al 5 giugno per presentare la loro proposta.

Saranno oggetto di concessione d’uso la casermetta interna al Baluardo Santa Croce con 372 metri quadrati di superficie; la casermetta interna al Baluardo San Frediano  (mq.82); la casermetta Castello di Porta Santa Maria (mq. 215,40);  casermetta interna al Baluardo San Martino (mq.264); Casermetta interna al Baluardo San Pietro (287,50); ex Casermetta daziaria Porta Elisa  (36,00 metri quadrati); locale interno al Baluardo San Colombano (mq.39); casermetta interna al Baluardo San Colombano (mq.208); locale con accesso da via della Rosa (mq.58); casermetta Castello Porta San Pietro (mq.312); locale piano terra porta San Pietro (mq. 25); casermetta interna al  Baluardo San Paolino (174 metri quadrati).

La concessione sarà affidata per quattro anni rinnovabili una sola volta fino quindi ad un massimo di otto anni. L’Opera delle Mura si riserva l’uso in esclusiva della casermetta del Castello di Porta Santa Maria durante la settimana di svolgimento di Verdemura, mentre per la casermetta interna al Baluardo San Colombano ed il locale con l’entrata da via della Rosa sarà possibile anche presentare un unico progetto che preveda l’utilizzo in contemporanea di entrambi questi spazi.

Quattro i requisiti principali che dovranno rispettare i soggetti interessati all’avviso: la richiesta dovrà essere conforme a quanto previsto dal Regolamento; il richiedente dovrà dichiarare la propria disponibilità a collaborare con l’Opera delle Mura, ovvero con altri soggetti indicati dall’istituzione, su iniziative rivolte alla promozione, valorizzazione e tutela del monumento; ci dovrà essere da parte del richiedente l’impegno a tenere aperto l’immobile concesso nell’orario previsto dal progetto culturale proposto per un periodo non inferiore a 100 giorni all’anno e per almeno 4 ore al giorno, anche nei festivi; il richiedente si dovrà impegnare a pagare il canone d’uso dell’immobile concesso e delle utenze collegate.

Rispettate queste condizioni, fondamentale per partecipare all’avviso è la presentazione di un progetto culturale (pena l’esclusione della domanda) che dovrà tenere conto delle caratteristiche della casermetta prescelta. Dovranno essere precisate le modalità gestionali che si propone di realizzare.

Nell’apposito allegato al bando vengono indicati i costi della locazione di ciascun immobile, rimasti invariati rispetto alla prima versione del bando. il cda dell’Opera delle Mura potrà deliberare la riduzione del canone fino alla metà del valore locativo, ulteriormente estendibile secondo la validità del progetto e del servizio erogato, escludendo la possibilità del comodato gratuito.

I soggetti interessati dovranno presentare due opzioni di scelta, ma la concessione riguarderà ovviamente un solo immobile a scelta insindacabile della commissione. Se poi alcune casermette dovessero restare non utilizzate, l’Opera delle Mura potrà proporli ai richiedenti quale ulteriore alternativa alle due segnalate da essi.

Una volta verificata la sussistenza dei requisiti necessari alla partecipazione all’avviso, la commissione giudicherà i progetti presentati attribuendo fino ad un massimo di 100 punti così suddivisi: fino a 60 punti per il progetto culturale, fino a 20 per i servizi offerti (giorni di apertura previsti in aggiunta a quelli richiesti e proposte di miglioramento e valorizzazione della casermetta), fino a 10 punti per la collaborazione con l’Opera delle Mura e ancora fino a 10 punti per la presenza nel progetto culturale di altri soggetti con cui condividere gli spazi della casermetta.

 

I bunker tedeschi sul Monte di Portofino - Storia del Vallo ligure, l'organizzazione Todt, tedeschi che rubavano cemento

Da il Tigullionews del 15 aprile 2015

Ancora oggi tutta la fascia costiera ligure è costellata di fortificazioni e stazioni di vedetta contro due nemici.
La prima rete di avvistamento e difesa è quella delle torri di avvistamento contro i pirati turchi, tunisini, algerini, che infestarono le coste italiane fino ai primi decenni dell’Ottocento. Le torri erano dislocate su alture e promontori e avevano funzione di allerta alle città e ai borghi, difesi da mura e castelli: dopo l’allarme lanciato da fuochi accesi e colpi di archibugio, la popolazione correva a rifugiarsi all’interno delle mura di cinta.

La seconda rete di difesa fu realizzata dagli occupanti nazisti, dopo il 1943.
I nazisti utilizzarono la linea di difesa ligure realizzata dopo l’Unità d’Italia, ma crearono un vero e proprio muro lungo le Riviere, realizzato dalla Organizzazione Todt, l’impresa che si occupava di infrastrutture e logistica militare, creata da Fritz Todt nei paesi occupati dalla Germania, e che utilizzava come lavoratori-schiavi ben 1,5 milioni di persone tra uomini e ragazzi, inclusi i prigionieri di alcuni lager.

La Todt realizzò la Linea Sigfrido, il Vallo Atlantico e – in Italia – la Linea Gustav, la Linea Gotica e il vallo ligure.

Il Vallo Ligure fu realizzato in quanto i tedeschi (aiutati nella loro paranoia dai servizi segreti degli Alleati) erano convinti di uno sbarco alleato sulle coste liguri. I tedeschi furono aiutati da personale della OTO Melara e dell’Arsenale militare di La Spezia. Furono sistemate le batterie del Regio Esercito, fu realizzata una rete molto fitta di bunker (circa uno ogni 3 km.), furono occupate delle ville o case sulla riva del mare, dove si sistemarono i comandi nazifascisti (per esempio villa Baldini a Cavi di Lavagna), fu realizzata una linea di muraglioni antisbarco sulle spiagge più ampie (per esempio a Riva Trigoso e Sestri Levante), in alcuni casi si crearono persino dei canali per spezzare con l’acqua l’arrivo di mezzi corazzati da sbarco americani (Un vallo con acqua per esempio correva in via Maria Teresa a Sestri Levante). I torrenti, i ponti e le strade liguri furono minati con 148.000 mine anticarro ed antiuomo. Genova fu trasformata in una città fortificata (Piano Zeta), visto che per i tedeschi era la sede più probabile dello sbarco.

Un’altra linea di difesa passava tra La Spezia e la val di Taro, attraverso il passo del Cerreto (Il piano Herstnebel). 
La situazione dello schieramento tedesco in Liguria nel 1944 era il seguente:
-il “gruppo Genova” da Ventimiglia fino a Portofino;
il “gruppo La Spezia” da Portofino a Marina di Carrara;
il “gruppo Livorno” composto da reclute turchestane e azerbaigiane;
– A disposizione c’era poi in caso di emergenza la divisione “Hermann Göring”della Luftwaffe schierata in Toscana come riserva.

Il 15 agosto ’44 lo sbarco degli Alleati liberatori avvenne effettivamente, ma sulla costa francese tra Tolone e Cannes in Costa Azzurra (Le Lavandou e Théoule). Lo sbarco angloamericano ebbe successo e costrinse i tedeschi a ritirarsi verso la valle del Rodano o la Liguria. Nel novembre 1944 a Genova si trovava il “gruppo Meinhold”, derivante dalla 135ª brigata da fortezza, al comando del generale tedesco Reinhart Meinhold incaricato della difesa della “fortezza Genova”, mentre a ponente era stanziata la divisione di fanteria San Marco e a Levante e nelle valli interne i battaglioni e compagnie della Monterosa.

La veloce avanzata terrestre dei Liberatori tagliò fuori le difese costiere. Le fortificazioni e i muraglioni sono ancora oggi visibili sia sul Promontorio di Portofino sia in tutta la Liguria.

I testimoni di quegli anni ci riferiscono che la leggenda sul rigore dei tedeschi non sempre corrisponde a verità. Infatti, se è vero che il cemento della Todt, rimasto sulle spiagge per oltre 70 anni, sembra ancora oggi nuovo di zecca, è però altrettanto vero che non furono pochi i soldati tedeschi che rubavano parte del cemento destinato alla costruzione delle difese per rivenderlo agli italiani o scambiarlo con cibo e altro. Ogni razza “superiore” ha un lato inferiore. A volte molto inferiore.

 

NARDELLO, UN MIRAGGIO A STELLE E STRISCE

Da corrierelocride.it del 14 aprile 2015

Il piacere che provi ad ogni vetta raggiunta non sta tanto nel panorama che ammiri una volta in cima, quanto nel voltarsi indietro a guardare la strada che sei riuscito a percorrere. Mi capita spesso di rielaborare questa riflessione, soprattutto quando cammino da solo alla ricerca di un luogo dove e su cui riflettere, ma anche alla ricerca di tanti ricordi che la montagna mi suscita più di qualsiasi altro posto. Tutti abbiamo un luogo che più di altri aiuta a trovare l’interruttore giusto, per me quel luogo sono i boschi e le pietraie dell’Aspromonte greco, i dirupi, i valloni, gli immensi piani, i laghetti e le cascate, mi basta passare da queste parti che profumano di casa per illudermi che il tempo non sia passato, per regalarmi lunghissimi attimi durante i quali volti, storie, lampi di luce e di affetti ormai scomparsi riemergono e prendono vita. È per questo, ma certamente non solo per questo che il mio racconto o se preferite la ricerca della mia prospettiva sulla Calabria greca in un viaggio in cui spero mi facciate compagnia, non poteva non partire dalle montagne che amo, rilievi che da soli sanno diventare metafora assoluta della bellezza e delle ferite di questa terra in un susseguirsi di contrasti che ritrovi davvero ovunque, dalle usanze della gente al suo lessico, dall’azzurro dello Ionio al verde dei boschi. Ricordo bene dove mi trovavo quando mi attraversò la mente quel pensiero con cui vi ho dato il benvenuto, ricordo altrettanto bene la fatica di quel momento provata dopo aver percorso non ricordo più di preciso quanti chilometri tra boschi di abete e faggio.

Mi avevano parlato tantissime volte di un luogo che da tempo era diventato senza volerlo testimone delle storture della nostra montagna ed ella nostra terra. Aspettate un attimo, pensandoci bene però è proprio vero, da dove avrei potuto iniziare a riempire il contenitore delle luci e delle ombre della Calabria greca, dove riesci a trovare come in montagna tante luci e tante ombre come quelle regalate dai raggi del sole che filtrano in una boscaglia fitta ed intricata ! facciamo un passo indietro e fermiamoci al 1965, in quell’anno sull’Aspromonte dalle parti di Roccaforte del Greco succede qualcosa che fino a qualche anno prima in una montagna ancora quasi completamente in bianco e nero sembrava impensabile, su quei monti arrivano gli americani e di colpo Roccaforte trova un fil rouge che lo lega a Catania e Trapani, ma che ci azzeccano Catania e Trapani, dall’altra parte dello stretto con quell’angolo di Aspromonte ? Dall’altra parte del Mondo siamo in piena guerra fredda e in ballo c’è il controllo delle telecomunicazioni nell’area del Mediterraneo. Parte da qua la storia di monte Nardello e lo fa naturalmente senza sapere che nel tempo si trasformerà in telenovela perché quella dell’ex base U.S.AF. è davvero una telenovela in salsa aspromontana ambientata in un avamposto militare USA, insomma un miraggio americano con stelle e strisce oggi completamente cancellate da trent’anni di incuria e degrado. Correva l’anno 1985 quando l’utilizzo dei satelliti determina ufficialmente la fine dell’operatività della Base di Nardello. Per i meno avvezzi all’altura cerchiamo di capire dove ci troviamo. Nardello si trova a circa 10 km da Gambarie a 1.750 metri sul livello del mare nel comune di Roccaforte del Greco ed oggi che l’eco della guerra fredda è meno di un ricordo, oltre a trovarsi in totale stato di degrado rappresenta una seria minaccia ambientale. Lo scorso autunno ci sono salito proprio via Roccaforte osservando con grande tristezza come a fare il paio con lo scempio di quello che rimane della base militare si sia aggiunto, come se ve ne fosse stato bisogno, anche un paesaggio lunare ridisegnato dall’incendio di qualche anno fa. Quello che rimane delle migliaia di alberi bruciati sembra abbinarsi a meraviglia con la ferraglia e i residui di amianto lasciati a testimoniare il passaggio degli americani.

Tante negli anni le iniziative proposte per il recupero dell’area, istituti scolastici, enti locali, la stessa Regione Calabria e il Ministero dell’Ambiente hanno dichiarato il forte interesse per l’area e per il suo sviluppo, ciò nonostante le procedure di dismissione hanno finora continuato a bloccare quello che appare un diritto delle comunità locali: riappropriarsi di un bene ormai in disuso e che allo stato attuale costituisce fonte di pericolo e degrado. Tra le ultime idee lanciate qualche anno addietro dall’ultima amministrazione comunale di Roccaforte, quella successivamente licenziata dalla scure prefettizia che ha consegnato la gestione della cosa pubblica ad una terna commissariale, c’era la realizzazione di un Centro polivalente costituito da un Osservatorio astronomico, un laboratorio di didattica e educazione ambientale, un centro culturale di educazione alla pace, un museo della natura dei parchi della Regione Calabria, un parco tematico sui miti e le civiltà del mediterraneo tema con annessa una struttura di accoglienza e ospitalità diffusa. L’area dell’ex Base Nato avrebbe costituito così un attrazione per studiosi, appassionati di osservazione, studenti e ricercatori, escursionisti, associazioni, turisti in genere. Unita all’idea della riqualificazione dell’area c’era poi quella di inserire il centro storico di Roccaforte come punto di approdo e di partenza in un percorso ideale da e verso Nardello con la creazione di posti letto sul modello del b&b. Sappiamo come andò a finire la storia di quella amministrazione, sappiamo anche che tra poco più di un mese quel comune potrebbe avere come molti auspicano una nuova guida politica democraticamente eletta. Staremo a vedere come andrà a finire, intanto ci salutiamo da Nardello nell’attesa di ripassarci magari in estate quando il clima benevolo favorirà una buona scarpinata. Nell’attesa di planare sulla nostra prossima meta che per ora non svelerò vi chiedo qualche riflessione, qualche commento o qualche analogia su una pagina sicuramente poco edificante, una delle tante ombre che attendono da troppo tempo il loro buon raggio di luce.

 

San Giorgio, si scopre la storia nelle gallerie austroungariche

Da larena.it del 7 aprile 2015

Sopra il verde terrapieno, ripulito dagli scout e visitabile per la prima volta, si gode il panorama su Borgo Trento. Sottoterra, nell'oscura galleria di controscarpa, si ammira l'ingegno strategico e architettonico degli austriaci. La visita dentro e fuori forte San Giorgio, complesso difensivo a nord della città, è ormai un “must” di Pasquetta. Anche quest'anno ha attirato circa duecento partecipanti, suddivisi in più gruppi per poter scendere agevolmente nelle viscere sotterranee della fortificazione.

Guidano e istruiscono i visitatori Maurizio D'Alessandro, geologo e studioso di storia veronese, e Zeno Montresor, capo scout dell'Agesci Verona 10. Giù, negli oscuri e lunghissimi cunicoli fatti costruire nel 1835-40 dall'Impero austroungarico, si è ascoltata (o riascoltata) la storia dei dominatori austriaci e del geniale ingegnere Franz von Scholl,  che morì prima di veder terminata l'immane opera, mai usata, perché Verona era fortificata così tanto e bene che nessun avversario si azzardò mai ad attaccarla. Il complesso militare di San Giorgio, un capolavoro oggi parte della Verona nascosta e da molti dimenticata, è un labirinto che copre uno spazio enorme, nell'insieme, sostenuto da muri in pietra spessi un metro e trenta centimetri, e da soffitti a volta di fattura perfetta. Il tutto sarebbe abbandonato all'incuria, se non fosse per l'opera generosa e gratuita degli scout, che negli anni hanno estratto dalle gallerie tonnellate di macerie, rendendo possibile la visita.

Ma la bellezza è anche fuori, in lungadige San Giorgio, dove si può ammirare la caponiera semicircolare con le feritoie per i fucili. Montresor spiega che «queste fortificazioni erano strutturate per resistere alle armi del primo Ottocento, quando ancora i cannoni erano caricati da davanti e avevano proiettili non esplosivi. La loro potenza distruttiva consisteva quindi solo nella forza d'urto, qui attutita da muri di grande spessore e dalla copertura in terra». La strategia bellica era ancora, per certi versi, medievale. San Giorgio, parallelamente ai giardini Lombroso, conserva ancora il suo fossato, che veniva parzialmente riempito con l'acqua del Lorì. La terra accumulata in seguito ha snaturato l'immagine originaria del fossato, che era molto più profondo: almeno sei-otto metri. Serviva ad attirare il nemico in un punto basso, a favore della traiettoria dei fucili. Forse in futuro lo vedremo nella sua forma ottocentesca. Montresor rivela: «Sia gli scout sia la Scuola edile hanno presentato un progetto per svuotare e ripulire parte del fossato». Intanto i veronesi continuano a godersi i misteri di questa città nascosta, almeno una volta all'anno. L.CO.

 

IL PENTAGONO HA ESEGUITO IL TEST DELLA BUNKERBUSTER ANTI IRAN

Da difesaonline.it del 4 aprile 2015

04/04/15 - Un accordo di massima è stato raggiunto sulla questione nucleare iraniana, ma permangono dubbi su alcuni passaggi nel documento preliminare di intesa. Questo, ha convinto i decision makers statunitensi a concludere lo sviluppo di un nuovo sistema d’arma iniziato nel 2013. È un miglioramento della bomba bunker-buster, la quale era già in grado di distruggere manufatti costruiti sotto terra. Ora, ha sviluppato la capacità di disattivare gli impianti nucleari più pesantemente fortificati in Iran e, parallelamente, sono state sviluppate anche le contro misure elettroniche atte ad impedire agli avversari di intercettare il dispositivo di guida della bomba. La bunker buster è stata sganciata da un bombardiere B-2, decollato dalla Whiteman Air Force Base in Missouri, nel poligono di White Sands nel New Mexico. Per migliorare il potenziale distruttivo, si ipotizza il lancio contemporaneo di due bombe sullo stesso punto di impatto, ciò dovrebbe consentire una maggiore accuratezza al bersaglio e la certezza di distruggerlo o comunque di arrecare danni tali da impedirne l’utilizzo. Secondo le stime del Pentagono, la simultaneità di due ordigni lanciati insieme, garantirebbe un effetto non paragonabile a nessuna arma convenzionale. La combinazione con i miglioramenti anti-jamming, inoltre, consentirebbe una accuratezza al bersaglio sin ora possibile solamente con un attacco portato da un numero ben superiore di ordigni. Un rapporto dell’intelligence statunitense, riporta che l’opzione militare contro gli impianti nucleari iraniani non sarebbe comunque risolutiva, al massimo ne ritarderebbe l’attuazione di un paio di anni. La lettura più accurata del documento sottintenderebbe la necessità di eludere la capacità tecnica umana piuttosto che l’hardware. I tecnici statunitensi hanno condiviso i dettagli del sistema d’arma con i loro omologhi israeliani, ma lo Stato Ebraico non sarà dotato della nuova bunker-buster. In particolare è stato mostrato loro un video nel quale è possibile evincere le capacità della bomba. Lo sviluppo di un’arma di questo genere, detta Penetrator Ordnance Massive, rappresenta una sorta di dissuasione all’Iran, laddove i colloqui ed in particolare le specifiche sull’accordo preliminare, non siano soddisfacenti per l’Amministrazione statunitense. L’aggiunta della MOP nelle potenziali minacce ai siti nucleari iraniani, ma anche a quelli della Corea del Nord, palesa la continuazione dell’opzione militare USA, che evidentemente ipotizza il possibile fallimento della diplomazia, impegnata in Svizzera, nel tentativo di regolare lo sviluppo nucleare della Repubblica Islamica, ed anche di rendere credibile l’accordo quadro sin ora raggiunto ed applicabile entro il 30 giugno 2015. Nel contempo, però, permangono le sanzioni occidentali varate contro l’Iran.Giovanni Caprara

 

Un gioiello della storia restituito alla città

Da larena.it del 31 marzo 2015

Un nuovo tratto della cinta magistrale restituito alla città. Dopo due mesi e mezzo di lavoro è stato completato e presentato ieri dall'assessore ai Giardini Luigi Pisa, durante un sopralluogo, il vallo che corre lungo le mura magistrali da Castel San Pietro a Castel San Felice, sulla Torricelle, ultimo intervento di riqualificazione nella parte nord delle mura, che completa il lungo lavoro di sistemazione delle aree verdi realizzato dall'Amministrazione. L'intervento, che ha avuto un costo di 60 mila euro e ha riguardato una superficie di 50 mila metri quadri, ha infatti dato seguito ad operazioni di pulizia svolte negli anni precedenti sulla parte nord della cinta muraria e ha reso fruibile gli spazi verdi grazie alla pulizia igienico-sanitaria dell'area, con la rimozione dei tanti rifiuti abbandonati che rendevano impraticabile il percorso, e il taglio delle erbe e delle piante infestanti che erano nate spontaneamente sulle mura. «Questo intervento», ha spiegato l'assessore Pisa, «era necessario non solo per riportare alla luce l'ultima parte di cinta muraria, ma soprattutto per garantire la sicurezza della strada e il decoro urbano. Da oggi la cittadinanza potrà fruire di questi spazi e passeggiare nel vallo di Castel San Felice». Il patrimonio storico e ambientale rappresentato dal sistema delle fortificazioni che circondano la nostra città si arricchisce così di un nuovo tassello. Le mura possenti di Forte San Felice, ripulite dalle edere infestanti cresciute negli anni, che arrivavano ormai a nascondere completamente la struttura muraria, spiccano ora in tutta la loro suggestiva bellezza. Veronesi appassionati di camminate e turisti potranno così percorrere in sicurezza il tratto che da Castel San Pietro arriva al vallo di Castel San Felice, camminando nell'erba a fianco della strada, e poi spingersi nel vallo ripulito dalle piante infestanti. Una curiosità? Se al centro dell'area verde liberata dai rovi vedrete un alberello solitario, graziato dalle falci dei giardinieri, sappiate che si tratta di un esemplare di tasso. Il tasso ha la particolarità di essere una pianta zoofila, che si riproduce cioè attraverso gli animali. Sono infatti gli uccelli a favorirne la diffusione: mangiano gli arilli, le escrescenze carnose che coprono il seme, e ne digeriscono la polpa, mentre i semi veri e propri riescono ad attraversare intatti il processo digestivo e, espulsi, si insediano nel terreno dando origine ad un nuovo esemplare. Consapevoli della «storia» che ogni tasso porta in sè, i giardinieri comunali hanno lasciato crescere questo alberello. Ancora da valutare è invece la possibilità di realizzare anche un'uscita dal vallo, attraverso magari l'area militare adiacente, che consenta di collegare questo spazio con il resto del percorso. Intanto però, arrivando dalla rondella della Grotta si può ammirare il fronte di gola di Castel San Felice, con un colpo d'occhio degno di nota. Il castello fu iniziato dai Visconti nel 1390 e completato dai veneziani all'inizio del Quattrocento. Aveva forma di trapezio irregolare; durante l'occupazione di Verona da parte dell'imperatore Massimiliano I fu rafforzato con una rondella. Tornata la città in possesso di Venezia, il rafforzamento del castello fu al centro del programma del generale Francesco Maria Della Rovere, che nel 1526 fece costruire il puntone sul vertice occidentale; per decisione del figlio Guidobaldo II Della Rovere fu quindi costruito tra il 1543 e il '46 il «ponton novo» che guarda la Valpantena. I due puntoni si intersecano a 100 grandi e formano una tenaglia. Nel 181 i francesi bombardarono il castello. Fu Franz Von Scholl che, nel 1832, ne progettò la ricostruzione che giunse a termine tra il 1842 e il 1845. Percorrendo la strada militare interna si può vedere il fronte di gola, rivestito con il caratteristico paramento in tufo ad opus poligonale; il portale d'ingresso è difeso da un tamburo con feritoie per i fucilieri; in alto si scorge la polveriera, in stato di degrado. Alessandra Galetto

 

Forti del monte Brione da domani apertura gratuita

Da ladige del 28 marzo 2015

Con la primavera riaprono al pubblico le fortificazioni del monte Brione – il forte Garda e la Batteria di mezzo – i cui lavori di recupero e ripristino sono stati ultimati nel corso del 2014 grazie all’intervento della Provincia e del Comune di Riva del Garda.

Attraverso un programma coordinato tra il Mag-Museo Alto Garda, Ingarda Trentino Azienda per il Turismo e l’associazione Trentino Storia Territorio, da domani, domenica 29 marzo, e fino all’autunno sarà possibile, in diverse date, visitare i forti del monte Brione e partecipare ad un calendario di attività collaterali. Per la giornata di domani il programma prevede l’apertura del Forte Garda, visitabile dalle 10 alle 17. Nel corso della giornata saranno esposti i fotolibri di Trentino Storia Territorio sulle fortificazioni e una selezione di giocattoli d’epoca a cura dei collezionisti Franco De Boni e Massimo Scotti. Sarà attiva una postazione dedicata alla raccolta di memorie, allestita con una macchina da scrivere costruita con “broche” della val di Ledro.

 

GestioneUn nuovo radar per la base aerea di Poggio

Da estense.com del 20 marzo 2015

“L’Aeronautica Militare è una forza armata tecnologica perché l’ambiente in cui è chiamata ad operare richiede tecnologie avanzate. Ma di certo senza l’etica e la professionalità del militare, del nostro personale, la tecnologia da sola non ci porterebbe lontano”. È in questo modo che Roberto Nordio, generale in forze al Coa di Poggio Renatico ha presentato mercoledì sera durante un incontro con i cittadini tenutosi all’auditorium comunale i prossimi avanzamenti tecnologici della base, in particolare per quanto riguarda la sorveglianza aerea, che vedrà l’arrivo di un radar nuovo, fatto per durare 20 anni, che sostituirà quello attuale. La sostituzione del radar, parte di un progetto iniziato nel 2011 che dovrebbe concludersi il prossimo anno e che sta coinvolgendo 12 basi su tutto il territorio nazionale, vedrà l’installazione di un sistema Fadr — Fixed-postion arid defense radar, ndr — del tipo RAD31DL sviluppato da Selex la quale, per il completamento del progetto, ha dato il via ad un’associazione temporanea d’imprese con Vitrociset.

Il rinnovamento tecnologico — già avvenuto a Mortara, Crotone, Otranto, Marsala, Mezzogregorio e Porta Piacenza Picena —, va a sostiuire una serie di sensori sparsi per l’Italia che permetteranno di avere sotto controllo tutto lo spazio aereo italiano dal comando operazioni aeree di Poggio Renatico e, in più, a liberare le frequenze, finora utilizzate in parte per scopi militari, su cui opera la rete WiMax. I lavori di scavo per l’installazione del nuovo radar di Poggio Renatico sono iniziati nel mese di dicembre 2014. Il sistema sarà consegnato formalmente per l’impiego al termine delle verifiche finali di funzionalità, previste nell’autunno del  2015. Caratterizzato da una portata operativa di circa 500 Km, il RAT31DL è in grado di operare in reale e completa agilità di frequenza e può supportare diverse funzioni come la difesa da missili anti-radiazione e da contromisure elettroniche.

Questo tipo di radar è già in funzione in numerosi altri Paesi europei, tra cui sette dell’alleanza atlantica, ed extra-europei. Oltre a questo è stata annunciata l’attivazione, a partire da settembre, dell’European Personnel Recovery Centre, struttura che comprende tutte le procedure volte a consentire il recupero non solo dei militari e civili impegnati in operazioni, ma anche di una più ampia gamma di operatori: diplomatici, giornalisti, volontari di organizzazioni non governative e personale che, a vario titolo, si potrebbe trovare in condizioni di isolamento in territorio ostile, o potenzialmente tale, al verificarsi di una crisi. “Per noi questa è la terza bandiera, dopo quella italiana e quella della Nato”, ha osservato Nordio. Un ringraziamento è poi arrivato dal sindaco di Poggio Renatico Daniele Garuti, secondo il quale “l’Aeronautica è sempre stata presente e attiva in questo territorio, e permettere questo incontro coi cittadini in questa sala è il minimo che potevamo fare”.

 

Smantellamento in vista per la cupola della base radar

Da lanuovaferrara.it del 19 marzo 2015

POGGIO RENATICO. La cupola di "Pioppo Radar", denominazione cifrata del radar della base dell'aeronautica, verrà smantellata.

Sparisce quindi un simbolo visivo che da oltre trent'anni era il riferimento indicativo della presenza del sedime della base dell'Aeronautica.

Il tutto rientra nell'ambito del programma della sostituzione dei sensori radar e, al posto di quello che verrà smantellato, ne sorgerà un'altro, più moderno e con sistemi sofisticati, ma sempre con la caratteristica sagoma a forma di fungo.

Il nuovo radar che sarà realizzato da un consorzio di ditte italiane formato dalla Selex Sistemi Integrati e dalla Vitrociset.

I lavori di scavo per l'installazione sono già iniziati nel dicembre scorso ed il sistema sarà consegnato al termine delle verifiche finali di funzionalità previste per l'autunno di quest'anno.

il nuovo radar rappresenta lo stato dell'arte per quanto riguarda i sensori di avvistamento e di scoperta tridimensionale a lunga distanza di aeromobili in volo.

Caratterizzato da una portata operativa di circa 500 km.

L'annuncio è stato dato in un incontro pubblico alla presenza del sindaco Daniele Garuti e del Generale Roberto Nordio comandante Coa della base poggese.

 

IL SISTEMA DI DIFESA ANTIAEREA E ANTIMISSILE AEGIS

Da ilcaffegeopolitico.org del 12 marzo 2015

Miscela Strategica – Una delle componenti della difesa antimissile statunitense ed europea è il sistema AEGIS. Sviluppato inizialmente per proteggere la flotta della Marina USA, l’AEGIS è stato potenziato come sistema antimissili balistici. Ecco una panoramica sul sistema, dalle origini alle versioni attuali, con uno sguardo alla sua funzione di dimostrazione dell’impegno statunitense in Europa.

ORIGINE DEL SISTEMA – Lo sviluppo da parte dell’Unione Sovietica di missili antinave portò gli Stati Uniti ad avviare programmi per dotare le proprie navi militari (inizialmente gli incrociatori) di sistemi di difesa antierea-antimissile integrati, che migliorassero la coordinazione tra i radar di scoperta e tracciamento e i sistemi attuatori come missili antiaerei (Surface to Air Missiles – missili superficie-aria – SAM), missili antimissile e cannoni a tiro rapido o mitragliatrici per la difesa di punto. Il primo progetto risale al 1958, ma fu abbandonato dopo pochi anni per la scarsa fattibilità tecnica e gli alti costi associati. Nel 1964 fu avviato il programma ASMS (Advanced Surface Missile Sistem – Sistema missilistico di superficie avanzato) che nel 1969 fu denominato AEGIS, dal nome latino dello scudo del dio greco Zeus. Il primo dimostratore tecnologico fu installato nel 1973 su una nave appositamente utilizzata dalla Marina statunitense (United States Navy – USN) per i test. Originariamente, l’AEGIS avrebbe dovuto essere installato su incrociatori a propulsione nucleare e su cacciatorpediniere convenzionali, ma alla fine il primo esemplare operativo del sistema fu installato a bordo dell’incrociatore Ticonderoga, primo esemplare dell’omonima classe. Dal 1991 l’AEGIS è stato installato anche sui cacciatorpediniere, iniziando dall’Arleigh Burke.

FUNZIONAMENTO – Il sistema da combattimento AEGIS (AEGIS Combat System – ACS) integra capacità antiaeree (Anti-Aircraft Warfare – AAW), di guerra sottomarina (Anti-Submarine Warfare – ASW) e il sistema d’arma TLAM (Tomahawk Land Attack Missile – missile per l’attacco al suolo Tomahawk). Il componenti principali dell’AEGIS (in funzione difensiva) sono il radar AN/SPY-1, i diversi sistemi di controllo di tiro e i missili SM-2 (Standard Missile-2). Il radar AN/SPY-1 è soprannominato “scudo della Flotta” e ha la capacità di eseguire contemporaneamente la ricerca e tracciamento dei bersagli e la guida dei missili intercettori. Il numero di bersagli tracciabili simultaneamente non è disponibile, ma si stima una cifra attorno alle 100 unità per un raggio di più di 190 chilometri. Nonostante questo insieme notevole di caratteristiche, l’AN/SPY-1 non è in grado di guidare i missili nella fase terminale di volo, perciò deve essere integrato dal radar AN/SPG-62.

L’AEGIS BALLISTIC MISSILE DEFENSE – Negli anni Ottanta, il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan lanciò la SDI (Strategic Defense Initiative – Iniziativa strategica di difesa), più conosciuta come “Scudo Spaziale“. Come è noto, inizialmente la SDI era concepita su armi basate su satelliti, ma il tutto si risolse in un nulla di fatto a causa di difficoltà tecniche e costi eccessivi. Tra i vari progetti della SDI si salvò il cosiddetto LEAP (Lightweight Exo-atmospheric Projectile – Proiettile eso-atmosferico leggero) il quale, dopo vari passaggi culminò nel progetto ABMD (AEGIS Ballistic Missile Defense – AEGIS per la difesa antimissili balistici) della Marina USA. Il programma aveva lo scopo principale di aggiungere al già operativo sistema AEGIS l’ulteriore capacità di scoperta tracciamento ed eventuale intercettazione di missili balistici a corto medio e intermedio raggio (Short Range Ballistic Missile – SRBM; Medium Range Ballistic Missile – MRBM; Intermediate Range Ballistic Missile – IRBM). Dopo alcuni successi dei test d’intercettazione (due su cinque tentativi) chiamati ALI (AEGIS LEAP Intercepts) il Presidente George W. Bush Jr. decise il primo dispiegamento del sistema per la fine del 2004, anche se ancora in fase pre-operativa. Tra il 2004 e il 2005 iniziarono le consegne del sistema di gestione AEGIS 3.0 e degli SM-3 Block 1 per l’intercettazione (che sia affiancarono agli SM-2). La versione attuale in servizio adopera i radar nelle versioni AN/SPY-1B o AN/SPY-1D, una versione di software aggiornata per il controllo armi, lo SM-3 Block 1A (per l’abbattimento di SRBM, MRBM e IRBM nella fase di volo extra- tmosferico) e lo SM-2 Block 4 (per l’abbattimento di SRBM nella fase terminale di volo). La versione futura dell’ABMD sarà dotata di controllo remoto di lancio, che potrà beneficiare dello Space Tracking and Surveillance System (Sistema di sorveglianza e tracciamento spaziale – STSS) per l’acquisizione del bersaglio e l’invio di dati per il software di guida del missile intercettore. Lo SM-3 sarà aggiornato fino alla versioni Block 2A e Block 2B e lo SM-2 sarà sostituito dallo SM-6.

L’AEGIS COME ARMA GEOPOLITICA – Il sistema AEGIS nella sua versione ABMD consente agli Stati Uniti di dispiegare un sistema antimissile mobile nelle aree ritenute più opportune in base alle esigenze politico/militari di Washington. Al momento ci sono circa 30 navi della Marina USA, tra incrociatori classe Ticonderoga e cacciatorpediniere classe Arleigh Burke, equipaggiate con l’ABMD. La funzione primaria rimane la protezione della flotta e, soprattutto, delle portaerei. Negli ultimi anni tuttavia, l’ABMD è stato incluso dall’amministrazione Obama tra i componenti della difesa antimissile in Europa, sia nell’ambito della strategia European Phased Adaptive Approach (Approccio europeo adattabile per fasi – EPAA) sia nel programma della NATO Active Layered Theatre Ballistic Missile Defense (Difesa attiva antimissili balistici di teatro su più livelli – ALTBMD). Ciò per dimostrare che, nonostante la traslazione della strategia statunitense verso il Pacifico, Washington non ha intenzione di abbandonare l’Europa. Tramite un apposito accordo una nave militare statunitense dotata del sistema ABMD sarà sempre schierata presso la base navale spagnola di Rota, mentre la Romania (nel 2015) e la Polonia (nel 2018) schiereranno sul proprio territorio una nuova versione dell’ABMD, ossia il cosiddetto AEGIS Ashore (AEGIS a terra). Il sistema avrà tutte le caratteristiche dell’omologo navale dotato di intercettori SM-3. Ufficialmente, le minacce contro le quali l’ABMD (a terra e navale) sarà schierato saranno quelle provenienti dall’Iran e da eventuali missili lanciati da gruppi terroristici operanti nella regione mediterranea e mediorientale, sempre che ne acquisiscano la capacità (cosa non facile). Anche se non ufficialmente, lo schieramento dell’AEGIS Ashore in Romania e Polonia ha una funzione di deterrenza anti-russa, soprattutto dopo l’escalation della crisi in Ucraina orientale. L’ABMD non è in grado d’intercettare missili di tipo ICBM (Intercontinental Ballistic Missile – Missile balistico intercontinentale), ma le sue capacità antimissile a corto, medio e intermedio raggio hanno messo in allarme la Russia. Le autorità di Mosca considerano lo schieramento dell’ABMD in Europa un ennesimo passo verso la corsa agli armamenti con il pretesto di difendere il Vecchio Continente da minacce considerate al massimo potenziali. di Emiliano Battisti

 

IL CAPO DI SMA IN VISITA A PANTELLERIA E LAMPEDUSA

Da difesaonline.it del 12 marzo 2015

Lunedì il capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare, generale di squadra aerea Pasquale Preziosa, ha visitato il Distaccamento Aeroportuale di Pantelleria e successivamente la 134^ Squadriglia Radar Remota ed il Distaccamento Aeronautico di Lampedusa. Accompagnavano il capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare il comandante la Squadra Aerea, generale di squadra aerea Maurizio Lodovisi, il direttore della Direzione per l'Impiego del Personale Militare dell'Aeronautica, generale di divisione aerea Gianpaolo Miniscalco, ed il comandante il 37° Stormo di Trapani Birgi, colonnello Luca Capasso.

Nel corso della mattina il tenente colonnello Alessandro Scabia, comandante il Distaccamento Aeroportuale di Pantelleria, ha illustrato le peculiarità dell'Ente e guidato le Autorità attraverso una visita alle storiche ed imponenti strutture del reparto. In particolare il comandante del Distaccamento ha evidenziato la lunga tradizione storica che lega la presenza dell'Aeronautica Militare all'isola di Pantelleria, terra di frontiera nei confronti del continente africano, la rinnovata missione dell'Ente e le capacità di supporto logistico e tecnico-operativo che la base fornisce quotidianamente in favore delle Forze Armate e delle Forze dell'Ordine.

Nell'occasione il capo di Stato Maggiore ha espresso rinnovato apprezzamento, in particolare, per l'Aviorimessa Nervi (intitolata all'Ing. Pierluigi Nervi), struttura monumentale e tutt'oggi all'avanguardia, oltre che per la capacità del personale dell'Ente di mantenere un adeguato livello di efficienza e assolvere alla propria missione. Nel pomeriggio, il generale Pereziosa si è recato presso la 134^ Squadriglia Radar Remota ed il Distaccamento Aeronautico di Lampedusa, ove il tenente Vito Bitetto, comandante di entrambi gli Enti, ha illustrato la missione affidata ai due Reparti, gli obiettivi raggiunti e il costante supporto logistico fornito a tutte le Forze Armate ed alle Forze dell'Ordine che quotidianamente operano, a vario titolo, sull'isola di Lampedusa, anche per fronteggiare l'emergenza immigrazione.

Fonte: Comando Squadra - Roma - t.col. Alessandro Scabia, ten. Vito Bitetto

A margine della visita, il capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare ha incontrato il generale di corpo d'armata Carmine De Pascale, comandante il 2° Comando delle Forze di Difesa (F.O.D.), presente sull'isola per verificare gli assetti logistici e operativi del contingente "Strade Sicure", rischierato sull'isola di Lampedusa.

Il Distaccamento Aeroportuale di Pantelleria, presente sull'isola dal 1986, assicura l'assistenza ai velivoli militari in transito o rischierati, garantisce il funzionamento dell'Aeroporto Militare aperto al traffico civile di Pantelleria ed il servizio meteorologico secondo le normative internazionali e nazionali in vigore. Il Distaccamento ha il compito, inoltre, di custodire e mantenere in efficienza l'"Aviorimessa Nervi", struttura militare di notevole valore storico, ingegneristico e architettonico.

La 134^ Squadriglia Radar Remota, inserita nella rete di Difesa Aerea Nazionale, ha il compito di mantenere in efficienza, senza soluzione di continuità, il sistema assegnato e di assicurare la sorveglianza dello spazio aereo di competenza. Il Distaccamento Aeronautico di Lampedusa assicura il supporto logistico alla 134^ Squadriglia Radar Remota e agli altri Enti militari dislocati sull'isola di Lampedusa. In tale contesto fornisce assistenza ai velivoli militari in transito sull'aeroporto civile.

 

Forte Ardietti e la storia protagonisti a Ponti sul Mincio

Da gazzetadimantova.it del 12 marzo 2015

PONTI SUL MINCIO A Ponti sul Mincio, nel fine settimana, protagonista sarà una recente acquisizione del comune morenico, ossia Forte Ardietti, con una due giorni intitolata, "Incontro con la storia". Sabato e domenica all'interno della fortificazione asburgica, si svolgerà un addestramento congiunto dei reparti francesi ed austriaci appartenenti all'Associazione Napoleonica d'Italia. Il programma vedrà l'adunata dei gruppi sabato pomeriggio a partire dalle ore 15,30 e proseguirà tutto il pomeriggio con attività addestrative. Alle 20, vi sarà un vero e proprio rancio al tavolo con i reggimenti, aperto anche ad eventuali ospiti che ne facessero richiesta. Domenica 15 dalle 8.30 adunata ed inizio attività all'aperto con un'imperdibile simulazione di una battaglia tra le truppe francesi del l'11° demi-brigade d'infanterie légère e gli austriaci del 14° fanteria di linea supportati da artiglieria. L'addestramento si concluderà intorno alle 13. Inoltre, da evidenziare che nel corso della manifestazione, e quindi nei giorni di sabato e domenica, il Forte sarà aperto per visite guidate di singoli e gruppi. Una meta considerevole per appassionati o semplici visitatori, in quanto il manufatto è uno dei sedici forti che costituirono il campo trincerato, realizzato dal genio militare asburgico a potenziamento e difesa della fortezza di Peschiera, con Mantova, Legnago e Verona, parte del sistema difensivo del Quadrilatero. Info: 320-2749661; salandini.claudio@gmail.com.

 

 

Niente paura per le emissioni elettromagnetiche del nuovo radar di Favignana

Da marsalanews.it del 4 marzo 2015

Il nuovo radar installato dalla Marina Militare a Favignana non reca danni agli abitanti e al territorio. I risultati della campagna di rilievi elettromagnetici – durata due settimane – sul nuovo radar tipo RASS-CI installato sull’Isola appaiono ampiamente sotto le soglie limite di legge. Le analisi sono state condotte da una task force a cui hanno preso parte i tecnici della Marina Militare, il Centro Interforze Studi Applicazioni Militari (CISAM) e l’Arpa, l’Agenzia regionale per la Protezione dell’Ambiente.

I risultati saranno oggetto di una relazione che la Marina Militare presenterà nei dettagli a tutte le parti interessate. L’attività rientra nel piano di ammodernamento della rete radar costiera militare ed è stata utile a valutare eventuali rischi per la salute della popolazione e per l’ambiente circostante. Il programma di ammodernamento prevede la sostituzione degli impianti ormai obsoleti con apparati di nuova generazione più performanti e più sicuri per la salute della popolazione civile e per il personale impiegato. Tutte le stazioni radar saranno munite di impianti di monitoraggio continuo delle emissioni elettromagnetiche che serviranno a controllare il corretto funzionamento dei sensori entro i valori previsti.

Quella di Favignana rappresenta un “case study” per gli altri siti interessati dal programma di ammodernamento. La normativa di riferimento è quella attualmente in vigore in ambito nazionale. La Marina Militare intende operare – si legge nella nota diffusa alla stampa – “con la massima trasparenza, in concorso con l’ARPA Sicilia, le Autorità sanitarie competenti e le amministrazioni comunali interessate fornendo i dati ricavati dalla campagna di misurazione e le doverose assicurazioni circa il rispetto dei valori di soglia delle emissioni elettromagnetiche generate dai radar”.

 

Gestione di Forte Gazzera «Serve subito il bando»

Da nuovavenezia.it del 4 marzo 2015

GAZZERA. Conferenza stampa con polemiche alla casetta degli attrezzi-ortisti Auser di Forte Gazzera. In gioco il futuro della struttura che, come quasi tutte le altre fortificazioni di Mestre, vive in una sorta di autogestione. Sul tavolo del presidente della municipalità di Chirignago, Maurizio Enzo, un’idea di coprogettazione tra le associazioni per condividere un percorso gestionale provvisorio, in attesa del bando di assegnazione. Sulla carta l’idea è ottima: mettere più associazioni interessate al rilancio del forte in condizioni di poter operare al meglio. «Da tempo», sottolinea Enzo, «l'amministrazione ci stava lavorando. L'iter finale doveva essere una delibera, partendo dal presupposto che dal 2011 il bene non è assegnato, con un protocollo di collaborazione con l’individuazione di un soggetto conduttore in modo da rendere produttiva tutta la struttura».

Se da un lato questo dimostra la volontà di tenere viva questa parte del territorio, i problemi sono sorti con l’uscita (dopo un “sì” iniziale) del Comitato Forte Gazzera che da anni gestiva il forte; ci sono state anche discussioni tra rappresentanti di associazioni che hanno lamentato la scarsa accoglienza ricevuta. E c’era chi voleva vedere assegnato il nulla osta per la gestione. Così la speranza del presidente di arrivare a una gestione combinata sembra naufragare ancora prima di iniziare. «Il vero problema è che qualcuno dovrebbe capire che aderire a un percorso partecipato è un vantaggio per tutti», ha concluso Enzo, «così facendo non si sfrutta la risorsa e non si pensa al futuro. Chiediamo al commissario di preparare subito il bando, altrimenti Forte Gazzera rischia di restare una risorsa mai sfruttata». Gian Nicola Pittalis

 

UNA CANTONATA PER RIGA. L'INFORMAZIONE DEL CORRIERE DELLA SERA

Da comedonchisciotte.org del 25 febbario 2015

Nella foto: Interferenze esiziali per la sicurezza nazionale (foto di Fabio d’Alessandro)

IL MUOS E’ US NAVY, NON NATO. ED E’ PERICOLO, NON DIFESA

Il mutuo soccorso fra scriventi sui quotidiani (io non oso chiamarmi giornalista, non intendo usurpare una qualifica così apprezzata oggidì in Italia: TUTTI gli italiani amano i giornalisti, no?) è una buona norma. A volte capita ai noi scriventi sui quotidiani di dover essere costretti, da — diciamo — indicazioni editoriali dall’alto a dover scrivere di cose delle quali non sappiamo assolutamente nulla: allora ci si arrangia come si può, e magari — purtroppo — si costruisce tutto il proprio pezzo su affermazioni di base che sono false. Angelo Panebianco firma addirittura un editoriale sul Corriere della Sera, noto quotidiano a diffusione nazionale, dal titolo: Sentenze miopi e tagli sbagliati, le armi puntate contro di noi Non entro nel merito della prima parte dell’articolo, tutto in soccorso e difesa della Difesa, tutto pieno di rimpianto sul “c’eravamo poco armati”, tutto ardente di nuovo spirito guerriero verso Tripoli bel suol d’amore, tutto scandalizzato su come molti deputati abbiano osato esprimere addirittura la loro “opposizione di principio” verso l’acquisto degli F-35, nota arma antiterroristica efficiente e a basso costo: il tutto in questo Grave Momento in cui l’ISIS — impresa con startup USA — minaccia di invadere Roma. Magari andrei a discuterne con i pacifici e civilizzati hooligans europei del Feyenoord, che qualche giorno fa l’hanno invasa davvero, Roma; mentre i romani — purtroppo lettori dei quotidiani nazionali che altro non fanno che mettere loro paura per distrarli da quanto fanno gli ineffabili nostri governanti — attendevano tremebondi l’ISIS, si son trovati 500 olandesoni ubrachi. Attenzione però qui a prepararsi bene: l’ignoranza di magari indossare una maglietta dell’Ajax andando a intervistarli potrebbe essere esiziale. E’ nel finale dell’articolo, però, dove Panebianco ha bisogno del mio aiuto, dato che scrive, più o meno, una inesattezza per riga. Parla del MUOS, il sistema d’arma della US Navy la cui costruzione di una stazione di terra a Niscemi è stata oggetto di una sentenza recente del TAR di Palermo. Scrive (cito letterale): A molti è forse sfuggito ma proprio mentre l’altra settimana eravamo alle prese con le minacce dello «Stato islamico» all’Italia dei crociati, l’ineffabile Tar di Palermo, con una sentenza, bloccava la costruzione, nella locale base Nato, della stazione di terra del Muos, il più avanzato sistema americano di comunicazioni satellitari a scopi militari, dando ragione al Comune di Niscemi che la definiva «dannosa per la salute».

E’ inesatto.

 – Il MUOS è della US Navy (Marina Militare degli Stati Uniti d’America) e si trova all’interno di una installazione (in inglese: Facility) chiamata NRTF (Naval Radio Transmitter Facility) degli Stati Uniti e non una Base Militare, tantomeno della NATO. La NATO non c’entra nulla.

– L’”ineffabile” TAR di Palermo (che emette “sentenze miopi” che “sono armi puntate contro di noi”) non ha dato ragione al Comune di Niscemi, il cui ricorso anzi non è stato accolto. Al Comune di Niscemi, tuttavia, si deve l’avvio di questo procedimento, ed al suo ricorso sono stati poi unificati molti altri ricorsi sullo stesso tema, sia no-muos che pro-muos.

– L’”ineffabile” TAR di Palermo (che emette “sentenze miopi” che “sono armi puntate contro di noi”) ha accolto invece i ricorsi presentati da Legambiente, dal Coordinamento Regionale dei Comitati No MUOS e dal Movimento No MUOS Sicilia contro il provvedimento della Regione Siciliana del 24 luglio 2013, la cosiddetta “revoca delle revoche” all’autorizzazione alla costruzione del MUOS.

– L’”ineffabile” TAR di Palermo (che emette “sentenze miopi” che “sono armi puntate contro di noi”) ha motivato la sentenza non tanto sul fatto che il MUOS sia “dannoso per la salute”, ma essendo un ineffabile organo del sistema giudiziario italiano che delibera su ineffabili questioni amministrative (si segni la sigla: TAR = Tribunale AMMINISTRATIVO Regionale) — ha accolto i ricorsi basandosi sui vizi delle autorizzazioni originarie (emesse nel 2011 dalla Regione Siciliana) perché carenti di validi studi sui rischi per la popolazione e l’ambiente e prive totalmente di studi riguardo i rischi per il traffico aereo. Inoltre, l’autorizzazione paesaggistica, necessaria per la realizzazione dell’opera all’interno di un sito protetto (in zona A della Riserva Naturale Orientata Sughereta di Niscemi ed all’interno di un SIC – Sito di Interesse Comunitario) era frattanto scaduta e non rinnovata. L’ “ineffabile” TAR rileva per tutti questi motivi che i lavori sono iniziati e proseguiti in assenza di valido titolo autorizzativo e si devono qualificare, quindi, come abusivi. Andiamo avanti. Chiosa quindi il nostro articolista: La sentenza, naturalmente, è stata accolta con esultanza da tanti bravi cittadini della zona. Qui non si vuole scherzare su cose così gravi ma forse servirebbe una riflessione collettiva sul fatto che i «danni per la salute», se la situazione in Nord Africa continuerà a deteriorarsi, potrebbero risultare maggiori di quelli che può procurare una stazione Muos. Ma davvero la sicurezza nazionale, nonché i nostri impegni Nato, possono essere appesi alle sentenze dei Tar?

E’ inesatto.

– Il MUOS non ha alcun interesse per la difesa nazionale: esso non è ancora in funzione non essendo in orbita tutti i satelliti necessari per il suo funzionamento, e il programma MUOS è in grave ritardo e richiede ancora tempi piuttosto lunghi. Inoltre non se ne conoscono bene né le modalità di funzionamento né gli scopi. Poi, si tratta di installazione ad uso esclusivo del Governo degli Stati Uniti d’America, e non dell’Italia né della NATO.

– I “nostri impegni NATO” non hanno nulla a che vedere con il MUOS.

– I «danni per la salute» del MUOS potrebbero essere minori di quelli che ci farebbero quelli dell’ISIS? Forse al Corriere della Sera non potevano prevedere che i propugnatori del MUOS, ad esempio il Ministero della Difesa, si staranno ora mordendo le mani. Perché da sempre chi ha sostenuto l’installazione del MUOS a Niscemi ha gabellato l’idea che fosse INNOCUO per la salute. Allora questi danni per la salute esistono, solo che sono “accettabili” in quanto la gente intorno a Niscemi dovrebbe sacrificarsi in nome della Suprema Difesa Nazionale, contro l’ISIS? Ottimo: basta saperlo.

– A proposito di Sicurezza Nazionale, e di vivere con le proprie case a due passi da un obiettivo militare sensibile, per nulla difeso, ed essere quindi ostaggi in una guerra fra americani e fantomatici altri, guardiamo questa bella foto del MUOS montato (quella nell’articolo del Corsera è vecchia, il MUOS nel frattempo è stato completato). Pensate: ci si può avvicinare alle parabole del MUOS fino a poche decine di metri. Pensiamo poi che le antenne NRTF e la “Base MIlitare” dalla quale dipenderebbero i nostri fantomatici “impegni NATO” sono anche frequente oggetto di free climbing Aggiungo alcuni commenti. La sentenza non è stata accolta con esultanza da “tanti bravi cittadini della zona”, ma da tutta la Sicilia e da tutti coloro che, in Italia sono la maggioranza, sono contrari alla colonizzazione militare del nostro territorio, Sicilia e Sardegna in primis, per fare di noi gli ostaggi o la prima linea di una guerra che è uno Scontro di Inciviltà dal quale dovremmo prender le distanze: sappiamo bene che chi ne ha scatenato le origini e ampiamente armato e finanziato i “cattivi”, è lo stesso che ora manterrà ben oliata la sua macchina da guerra — sulla quale è basata la propria economia — giocando alla guerra sulla pelle altrui. Fino al prossimo spauracchio: Saddam, Gheddafi, I Talebani, Assad, l’ISIS: tutti costoro, in passato, furono armati e finanziati dagli americani e dall’occidente. E smettiamola di agitare spauracchi futuri per farci inghiottire rospi presenti. Cosa dovremmo scrivere — noi scriventi sui giornali — se fossimo davvero dalla parte dei “tanti bravi cittadini” e non di altri? Questo.

– Il Governo ci spieghi come intende porre in essere ogni azione utile e scrupolosa al fine di rimuovere il danno esistenziale ai Niscemesi già determinatosi in più di 20 anni, provvedendo al blocco dei lavori del MUOS e allo spegnimento delle antenne NRTF esistenti, con anche monitoraggio costante e continuo del sito sui limiti di emissioni elettromagnetiche.

– Perché il Governo non promuove l’effettuazione di uno studio scientifico per dare contezza dell’ avvenuto impatto sulla salute della popolazione fin dal 1991, assicurando un costante coinvolgimento informativo degli Enti locali e dei Comitati NO MUOS, affidando lo studio a scienziati super partes?

– Il Governo ci spieghi come intende ridurre drasticamente l’inquinamento delle matrici ambientali derivante dal Petrolchimico di Gela, tuttora in funzione, e che l’Istituto Superiore di Sanità ha dimostrato provocare a Gela, Butera, Niscemi e altri comuni limitrofi inquinamento ambientale a livelli intollerabili.

– Perché il Governo non realizza a Niscemi un Centro di ricerca di eccellenza, sotto l’egida del CNR, per lo studio e l’approfondimento delle problematiche legate agli effetti dell’elettromagnetismo? Infatti il territorio di Niscemi e il suo ecosistema hanno comunque ricevuto nocumento per l’impatto determinato dalla presenza di questi impianti . Sarebbe questa, non una semplice proposta compensativa per il danno subito fin dal 1991, ma il riconoscimento ad un territorio martoriato di un’opportunità anche di creazione di posti di lavoro e di collocazione di tante intelligenze locali, oggi costrette ad emigrare. Non mi adonto se chiunque farà copiaincolla di queste frasi e — magari — proverà a scrivere un articolo di rettifica. Il Corriere della Sera è un quotidiano molto letto. Spiace che i lettori abbiano ricevuto sul MUOS informazioni così inesatte. Massimo Zucchetti Fonte: http://ilmanifesto.info Link: http://ilmanifesto.info/storia/il-muos-e-us-navy-non-nato/

 

“Sul fronte della memoria” Cavallino e la Grande Guerra

Da nuovavenezia del 17 febbraio 2015

CAVALLINO. Inizia stasera il ciclo di incontri culturali “Sul fronte della memoria” previsti dall’amministrazione comunale per celebrare il centenario della Prima Guerra Mondiale. Alle 20.30 al centro civico si terrà il primo evento che porta il titolo del libro “Come cavalli che dormono in piedi” occasione per incontrarne l'autore Paolo Rumiz.

«Questo incontro», spiega il sindaco Claudio Orazio, «e la proiezione prevista per martedì 24 febbraio del film “Fango e gloria” del regista Leonardo Tiberi che vedrà la presenza dell’attrice Anna de Franceschi, saranno occasione di riflessione sulla tragicità di quell’evento e sulla necessità di operare affinché i rapporti fra i popoli e fra le nazioni siano sempre improntati alla coesistenza pacifica. Come Comune siamo fortemente impegnati in un progetto di recupero del sistema delle fortificazioni sul territorio che risalgono alla Grande Guerra. Nelle ultime due estati, in alcune batterie si sono svolti eventi teatrali, musicali,sotto il nome di Pisani Lab curato da ComunEventi con la direzione artistica di Federica Zagatti, che hanno visto la partecipazione di appassionati di fotografia, musica, teatro e storia». Francesco Macaluso

 

Il forte punta sul bistrò aperto per tutto l’anno

Da Altoadige.it del 21 gennaio 2015

FORTEZZA

Si può dire che sia il primo atto ufficiale di rilancio del forte di Fortezza da parte del nuovo gestore, il Consorzio Osservatorio. Che lo aveva annunciato per tempo: il forte deve tornare a vivere, ma non solo. Deve essere un traino fondamentale per il turismo della zona, fondendo storia e cultura con le nuove necessità attrattive di una zona particolare dell’Alto Adige, dove i fasti di un tempo hanno lasciato il posto a dubbi e incertezze sul futuro.

Il primo punto all’ordine del giorno era rendere vivo il forte per tutto l’anno, superando l’apertura stagionale che creava qualche limitazione al turismo. E il primo passo è quello di aprire il bistrot proprio per tutto l’anno. Ecco perché è stato indetto il bando di gara che offre la gestione del locale ricavato nella vecchia mensa degli ufficiali (per un periodo di sei anni a base d’asta di 72 mila euro, in rialzo). Al nuovo gestore viene chiesto di tenere aperto il locale tutto l’anno e di occuparsi anche del catering in occasione di mostre ed eventi vari. A disposizione c’è anche il giardino, risorsa non di poco conto. Nelle idee del direttore dell’Osservatorio, Ausserdorfer, c’è per esempio anche quella di rendere il forte appetibile per matrimoni e ricevimenti (gli spazi non mancano certo e la scenografia ha tratti spettacolari), ma anche per eventi privati. Una concessione alle necessità economiche e alla carenza di risorse: l’obiettivo è che il forte si mantenga da solo. Poi, che l’apertura sia garantita tutto l’anno porta di conseguenza la struttura stessa ad essere meta non più stagionale e da questo punto di vista un forte contributo lo porterà anche il punto informativo della Galleria di base del Brennero. Che chiamarlo punto informativo è un eufemismo, visto che si tratta di una struttura notevole dal punto di vista degli spazi e architettonicamente, destinata a diventare una sorta di museo interattivo.

Ma quella del bistrò non è l’unica novità. Anche il bunker numero 3 nelle immediate vicinanze della Fortezza è gestito dal Consorzio Osservatorio. L’associazione Oppidum che da anni svolge le visite guidate storiche presso la Fortezza, propone anche la visita guidata al bunker. Coperto quasi interamente dalla vegetazione circostante, il Bunker nr. 3 facilmente sfugge allo sguardo delle persone. Edificato negli anni 30 l’impianto era in funzione fino il 1992. Il 9 luglio 1993 il Bunker venne chiuso definitivamente. La Fortezza riapre i battenti il 1 maggio e potrà essere visitata per conto proprio o tramite una visita guidata.

 

Fortezza, il bunker al Consorzio

Da Altoadige.it del 3 gennaio 2015

FORTEZZA. Anche il bunker espositivo nelle vicinanze del Forte di Fortezza viene affidato in gestione al Consorzio osservatorio ambientale e per la sicurezza del lavoro della Galleria di base del Brennero.

Dal 1° gennaio, il Consorzio ha preso in gestione a titolo gratuito l’intero complesso del Forte (centro visite, manifestazioni, mostre ed esposizioni, coordinamento delle visite guidate da parte dell’associazione Oppidum, richieste e marketing...) e la gestione del bunker, ufficializzata da una deliberazione della giunta provinciale del 23 dicembre e dal relativo accordo tra Provincia e Consorzio, va a completare quell’incarico, visto che il bunker, si sottolinea nella deliberazione, “ha uno stretto legame con la Fortezza”.

La Provincia, proprietaria del bunker, l’aveva messo a disposizione a titolo gratuito del Comune di Fortezza con concessione del 2007 prorogata nel 2014. Ora, quella concessione è stata annullata e sostituita dal contratto di concessione con il Consorzio della Galleria di base, contratto accolto favorevolmente anche dal Comitato scientifico del Forte di Fortezza e dallo stesso Comune di Fortezza.  Il Consorzio si impegna a far sì che l’areale del bunker possa essere visitato almeno 200 giorni all’anno. I relativi costi di gestione, le spese accessorie come le spese ordinarie di manutenzione sono a carico del Consorzio, quelle di manutenzione straordinaria a carico del Dipartimento opere edili della Provincia.