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ANNO 2008

Forte Cosenz, restauro a rilento Nuovi fondi sono attesi a breve

la Nuova di Venezia — 28 dicembre 2008 pagina 22 sezione: CRONACA

FAVARO. Procede, anche se a rilento, il restauro dell’area di forte Cosenz, leggi la trasformazione del gioiellino militare nel campo trincerato mestrino in un centro ricreativo e culturale. Quest’anno i lavori non sono stati ultimati, del resto il cantiere è rimasto in stand-by per la richiesta di Via (Valutazione di incidenza ambientale) e ora è fermo in attesa di nuovi fondi che però dovrebbero arrivare a breve. Ad aprile il campo da calcio e la prima casetta alla quale sta lavorando l’impresa dovrebbero essere pronti e utilizzabili. Per il recupero e la ristrutturazione di quello che viene definito «il fabbricato di truppa» e del «ricovero mezzi» di Forte Cosenz, la Regione ha stanziato in un primo tempo 105 mila euro. Poi un edificio è andato bruciato e ci sono voluti maggiori fondi. La prima fase, attualmente in corso di attuazione, prevede la ristrutturazione dello stabile che si trova sulla destra appena oltrepassato il cancello, che accoglierà un salone ricreativo e gli spogliatoi. Non è ancora stato deciso a quale scopo sarà adibito il caseggiato che si trova di fronte. «Ci sono diverse richieste di associazioni - spiega Nelvio Prizzon - Ci piacerebbe creare uno spazio per le associazioni d’arma, carabinieri piuttosto che polizia o finanza. Abbiamo ancora tempo per decidere. La nostra intenzione è dar vita ad un servizio per la comunità, ad un centro diurno per persone che non sanno dove andare, piuttosto che un luogo per ritrovarsi. L’importante è che sia utile». Il terzo lotto di lavori vedrà invece la costruzione di una palestra all’interno dello spazio dell’ex polveriera. La ristrutturazione dei caseggiati del forte è stata anche presa di mira dai vandali. Senza contare l’incendio di due estati fa. (m.a.)

 

Le montagne, la nostra storia

Messaggero Veneto — 23 dicembre 2008 pagina 15 sezione: SPECIALI

di LEONARDO ZANIER Per i tipi della Comunità montana e delle Edizioni Rossi, è uscito negli scorsi giorni, “Carnia, il silenzio delle vette” sontuoso libro fotografico di Renato Candolini, con scritti di Gianpaolo Carbonetto, Luca Matteusich, Luciano Santin e Leonardo Zanier. Riportiamo il contributo di quest’ultimo, per gentile concessione degli editori. In carnico la parola Alpi non esiste. Si avvicina, come sinonimo, Mont. Infatti si dice: la in mont, anin in mont, a son lats in mont, cjama la mont. Ma qui la mont (dove si va) sono (erano?) i pascoli alpini, le malghe, la stagione estiva di vacche, pecore, capre e pastori e casari. Dove si vive per 3-4 mesi, risparmiando il foraggio dei fondi valle, fabbricando il formaggio più sontuoso e profumato che sia dato di mangiare. Perché l’aria è tersa, i pascoli son pieni di fiori, gli animali son quasi sempre in moto e all’aperto. Quello che sta più sopra non interessava: non c’è neppure erba, salvo in piccoli spiazzi qua e là, appena abbastanza per i camosci. E poi è tutto uno sfasciume, un franare: ghiaioni, pezzi di guglie e sassi di ogni dimensione che si staccano, dopo le gelate, e rotolano talvolta addirittura fin dentro i pascoli. Picchi e creste destinati a diventare pianura. Certo senza fretta. Come erano all’inizio. Fondali marini. Che, nei tempi dei tempi, sollevandosi, accartocciandosi, mescolandosi, si son portati dietro ogni sorta di minerali e miliardi di conchiglie di fossili compattati. Meraviglia delle meraviglie: le ammoniti che, per millenni, hanno sviluppato le loro spire inventando e obbedendo alle rigorosissime regole della sezione aurea. Avevano dunque ragione i triestini, gente di mare, ma noi ragazzi ridevamo sentendoli, quando sciando dallo Zoncolan si gridavano l’un l’altro: «Sta attento che qua torno xè pien de scoi». E ci sono ex voto che raccontano di cadute disastrose, ma non letali, altrimenti non ci sarebbe il PGR, andando, in anni di carestia, a strappare col falcetto erba nei canaloni. Rispetto ai pascoli: come sciare fuori pista quando c’è il rischio di valanghe. Conquistare una vetta: altro concetto che non esisteva, magari ci si arrivava, senza pensare di aver fatto chissà che, andando a caccia. Il contrabbando operava più in basso. Le vette inviolate, le prime ascensioni, le scalate su pareti impossibili, sono un’invenzione recente; all’inizio neppure della borghesia delle vicine città, ma semmai di austriaci, tedeschi, inglesi, solo dopo verranno la SAF e il CAI, i rifugi, le vie ferrate, le direttissime. Così comincia anche il turismo nell’area alpina. Alberghi, sanatori, seconde case... Ma nei “foresti” che scalano e misurano c’è anche un forte interesse militare e, dopo l’annessione, anche nei “nostri”: studiare, misurare, cartografare, conoscere, possedere il territorio. Certo che poi le montagne, le Alpi, le sponsorizzano molto, ci fanno addirittura una lunga e sanguinosissima guerra, impiantano teleferiche che portano i materiali (esplosivi, armi, munizioni, reticolati, vivande) dai fondi valle alle vette. Dove le teleferiche sono impossibili o troppo pericolose, perché esposte, si ricorre ai muli o si inventano le “portatrici carniche”. Due inverni sulle vette o poco sotto, metri di neve, freddo infame, cecchini, mitragliatrici, cannonate, mortai, assalti corpo a corpo, gallerie scavate in segreto sotto il nemico, con grande reciprocità, e poi fatte saltare, dilaniando e distruggendo quello che sta sopra. Tutti questi “gloriosi fatti”, illustrati e a colori, diventano anche centinaia di copertine de La Domenica del Corriere. Le montagne vedranno poi, per anni, il mestiere rischiosissimo di recuperante, non solo di reticolati e metalli, ma anche di munizioni, di bossoli di cannone, di bombe inesplose, un’occupazione per molti alternativa all’emigrazione. E poi riprendono le escursioni, ora più manovre che escursioni, con grandi motivazioni patriottiche: il presidio e la difesa del baluardo che Dio... «Oh penna d’aquila / oh penna nera / che sempre vigila / là sul confin (...) Nella Carnia / nel Cadore / sulle alpi del Trentino / ogni bimbo nasce alpino / saldo il piede / e saldo il cuor...». Le generazioni degli indigeni, a seguire, salvo beninteso gli alpini, la mia e quella prima, arrivano a cose fatte, cioè quando tolmezzini, udinesi e triestini, hanno già piantato la piccozza e la bandiera su tutte le vette: proprio su tutte! Ma prima le bucano di nuovo, questa volta per costruire “Il Vallo Alpino del Littorio”: una lunga sequela di gallerie, di fortini e di casematte che vogliono significare l’impegno del fascismo contro l’occupazione/Anschluss dell’Austria da parte del III Reich. Ma l’impegno dura pochi mesi: al monito, agli alpini schierati sul confine, segue l’alleanza, quindi l’Anschluss. Quel sistema di fortificazioni non sarà mai utilizzato. Diventerà cava di piastrelle. Segue il dilagare delle armate dell’Asse Roma-Berlino su tutta l’Europa. Resta fuori il Cervino e poco altro. Disgregato il fascismo, i nazisti dilagano in proprio. E qui nasce la "Repubblica libera della Carnia", al Cervino si aggiunge il Cogliàns. Ma dopo pochi mesi verrà travolta e anche la Carnia invasa. Da lì, per i partigiani, le montagne (intese anche qui come malghe, ma ora anche come rifugi alpini e alte quote) saranno utilizzate per sfuggire ai rastrellamenti dei nazifascisti, passare un inverno braccati, ma senza teleferiche: le valli sono ormai tutte occupate dai nazi-cosacchi, i rifornimenti, di inglesi e americani, arrivano, quando arrivano, dal cielo, col paracadute. Qualche anno dopo la fine della guerra ci saliamo anche noi, festosamente, in cima al Cogliàns, al Peralba, al Creton di Culzei e su tutte le altre cime, proprio su tutte. Le Alpi son diventate, anche per i carnici, le loro Alpi: luogo di meraviglia, di osservazione e di meditazione, lettura del mondo per quello che contengono e nascondono: grappoli di cristalli e fiori rarissimi, laghi e laghetti trasparenti come gemme incastonate, ungulati e volatili che non scendono mai, e per quello che da lì permettono di vedere: alte creste infinite, oceani di nebbia, albe e tramonti indimenticabili, i paesetti sotto minuscoli (magari semivuoti e con i prati attorno diventati bosco). Scrivevo in Il câli: Sul Talm Cjatâts sul colm dal Talm doi di Ludario vegnûts cassù da Uster a fâ - como ogni an - il plen di Cjargno Proprio così è successo e ci siamo parlati a lungo: emigrati da molti anni in Svizzera, ritornavano ogni estate e salivano fin lì ad aggiornare, quasi ricaricare, il loro immaginario, a vedere i loro paesetti, i prati, i boschi, le strade, i torrenti lì sotto, concludendo come rassicurati: tutto è al suo posto, anche noi... In Licôf avevo scritto, in omaggio al piccolo abete rituale infiocchettato e inchiodato sul colmo del tetto, nel momento in cui una nuova casa ha raggiunto il suo punto più alto: tra il spiç dal colm e il cîl il spiç dal peç Ed ecco che viene a trovarmi Renato Candolini, l’autore di queste stupende fotografie. Me le fa scorrere davanti, illustrandole una a una, e mi dice: «... quello che ho voluto far vedere, girando anni su queste montagne, è la fascia alta della Carnia, dai tetti degli ultimi paesetti o insediamenti: da Orias, Luint, Maranzanas, Clavaias, Grac, Ludario, Voltois, alle vette, alle cime delle catene alpine carniche, con la grande giogaia di calcare che va dal Passo di Monte Croce Carnico al Passo Giramondo e che esprime la sua massima potenza nel gruppo Coglians-Cjanevate, montagne che mai si conoscono abbastanza per quante sono e per quanto sono belle: fino allo strazio». Giusto i tetti e le creste; altrimenti come direbbe Brecht, nella sua poesia, Il fumo, in cui mi son limitato a mettere al posto di lago, montagna: «Il fumo La casetta fra gli alberi in montagna Dal tetto sale il fumo. Non ci fosse, Come tristi allora sarebbero Casa, alberi e montagna Che significa, detto in altro modo: tra i spiçs dai tets e il cîl i spiçs dai crets» Ma non bastano i spiçs dai tets, ci vuole anche il fumo...
 

 

In mostra le fortificazioni del Vallo Alpino

Alto Adige — 16 dicembre 2008 pagina 43 sezione: SPETTACOLOCULTURA E SPETTACOLI

Cinquant’anni di guerra (dal 1939 all’89), calda prima, fredda poi, in cui l’Europa viene stretta in una vera e propria cintura di ferro, di cui la nostra regione è uno degli anelli: il Museo della Guerra di Rovereto ha aperto sabato i per una mostra di grande interesse ed attualità, per il suo spingersi alle «ragioni» più vicine alle scelte politiche moderne: «Bunker», ovvero le fortificazioni del Vallo Alpino, Alto Adige 1939-1989. Significativo che un’istituzione fondamentale per la conservazione e studio dei materiali relativi alla prima guerra mondiale come il Museo della Guerra roveretano si spinga da tempo su questioni che traghettano direttamente all’oggi: «Da tempo il nostro impegno è quello di allargare la visione ai conflitti dell’età contemporanea - dice il direttore, Camillo Zadra - Questa volta abbiamo ripreso, ampliato e integrato con materiali e testi una mostra organizzata dalla Provincia Autonoma di Bolzano (curata da Christina Niederkofler e Andrea Pozza). Il tema è quantomeno originale, vicino al presente, abbastanza sconosciuto, una novità anche per noi, che rende conto di una precisa organizzazione militare nata, per volontà di Mussolini, nel’34, in funzione antitedesca (dopo il tentativo del’33 di Hitler di mettere le mani sull’Austria e il tentativo di colpo di stato interno ad opera dei partiti d’ispirazione nazista, Mussolini, ancora lontano dall’alleanza col tedesco, schiera le proprie divisioni al Brennero) e proseguita del dopoguerra come sistema difensivo contro le truppe del Patto di Varsavia». Non va scordato, precisa Zadra, che fino al ’55 i russi occupavano l’Austria. Il «Vallo Alpino del Littorio» (che fa del Trentino un «caso europeo», per la presenza di due archi fortificati paralleli, lungo i confini), così, continua ad essere integrato con nuove strutture. Fino alle soglie degli anni Novanta, alla caduta del Muro di Berlino, la cintura voluta da Mussolini continua a svolgere una qualche funzione. Dopo, con la sua dismissione, viene di fatto “consegnato” alle province di Bolzano, Belluno e alla Regione Friuli: «Dei 350 bunker, in caverna, interrati, mimetizzati nella vegetazione, con camere di combattimento con postazioni per cannoni e mitragliatrici, la Provincia di Bolzano ne tenne una ventina, tra cui quello visitabile di Fortezza. Gli altri vengono lasciati ai proprietari dei fondi agricoli su cui sorgevano», spiega Zadra. Chilometri di gallerie e di depositi, bunker mascherati da falegnamerie e da baracche dell’Anas, che la mostra documenta con fotografie, ricontestualizzazioni dei materiali, importanti testi esplicativi, esposizione di strumentazioni e soluzioni ingegneristiche che non mancheranno di stupire, come le inedite maschere antigas da fortezza, che si collegavano al sistema di circolazione interna dell’aria. L’allestimento si terrà fino all’11 gennaio 2009 (orario di visita: 10-18; chiuso i lunedì non festivi, 24, 25, 31 dicembre e 1 gennaio). Info: www.museodellaguerra.it - Anna Maria Eccli
 

 

Batteria Amalfi, quanti ricordi

la Nuova di Venezia — 09 dicembre 2008 pagina 36 sezione: GIORNO/NOTTE

di Francesco Macaluso Quando si pensa alla storia del secondo conflitto mondiale, la mente va subito agli ossari, ai crimini di guerra, alle località che hanno ospitato importanti battaglie. Pochi hanno la fortuna di confrontarsi con racconti e emozioni vissute dai protagonisti. Per conservare questo importante tassello della storia moderna prima che se ne sgretoli la memoria, lo storico Furio Lazzarini, presidente dell’associazione «Forti e musei della costa» di Cavallino-Treporti, ha compiuto un lavoro di ricerca storiografica durato 10 anni intervistando decine di veterani di tutta Italia che hanno combattuto la seconda guerra mondiale nel Veneziano tra il 1942 e il 1945. La ricerca ha permesso a Lazzarini, attraverso il pugno di foto ingiallite e ricordi che ogni reduce aveva da consegnargli, di ricostruire la vita della batteria Amalfi di Cavallino-Treporti negli anni di Salò. Il libro intitolato «L’Amalfi racconta» descrive la suspence, ma anche speranze, amicizie e amori, vissuti al culmine del secondo conflitto mondiale all’interno della imponente struttura bunker sormontata da due enormi cannoni girevoli che potevano sparare una granata al minuto ad una distanza di 19,8 chilometri. Il contenuto in immagini ed esperienze raccontate a viva voce dagli ospiti e relatori ha incantato il pubblico durante la presentazione del libro organizzata dall’Apt e con Union Lido, nei giorni scorsi. Toccante la testimonianza della professoressa Franca Zocche, ordinaria della Bocconi di Milano e figlia dell’ultimo comandante dell’Amalfi tra il ’43 e il ’45, Umberto Zocche. In prima fila non sono mancati una ventina di reduci dal Veneto e dal Trentino e tra tutte sarà ricordata la simpatica testimonianza del veterano dottor Celio Visentin, all’epoca infermiere all’Amalfi. A 60 anni da quei fatti c’è stata commozione di fronte alle immagini che ritraevano quelli che oggi sono veterani come ragazzi giovani e pieni di coraggio fra le cannoniere della imponente torre corazzata di Ca’ Savio. A fine convegno i ristoratori di Cavallino-Treporti hanno offerto agli ospiti dell’appuntamento piatti tratti realizzati leggendo le ricette dell’epoca.
 

Progetti chiusi nei cassetti, intanto i forti cadono a pezzi

la Nuova di Venezia — 06 dicembre 2008 pagina 39 sezione: PROVINCIA

CAVALLINO. La batteria Vettor Pisani, a 60 anni dalla sua dismissione, potrebbe trasformarsi in un museo storico artistico polifunzionale con tanto di tensostruttura e teatro all’aperto, negozio di gadget e di articoli locali e area ristorazione con bar e ristorante specializzato. Sull’immobile militare, ora in grave stato di abbandono dove non mancano i continui atti di vandalismo, ci sarebbero il progetto e anche gli investitori, mancano solo l’interessamento e le autorizzazioni rispettive del comune e del demanio marittimo, attuale proprietario. E’ infatti chiuso da due anni nei cassetti dell’amministrazione comunale di Cavallino-Treporti un ampio progetto, per un costo di realizzazione di circa 6 milioni di euro, commissionato dall’associazione «Forti e Musei della Costa» al corso professionalizzante progettista d’interni Enaip di Dolo. Sulla possibile ristrutturazione interna ed attivazione della storica struttura militare ormai dismessa, visto che gli esterni sono vincolati dalla Soprintendenza ai beni storici e culturali, avrebbero già puntato gli occhi da un punto di vista finanziario alcuni imprenditori ed enti della zona disposti a compiere il cospicuo investimento mettendo in rete la batteria Pisani nel percorso museale veneto degli spazi espositivi dedicati ai due grandi conflitti bellici mondiali. «La Pisani sarebbe il più immediato obiettivo di ripristino fra le fortificazioni militari - spiega l’ex sindaco Claudio Orazio, ripetendo i contenuti del suo intervento alla presentazione del libro «L’Amalfi racconta» imponente opera dello storico Furio Lazzarini - visto che è di proprietà del demanio marittimo che dipende dalla Regione. L’attuale amministrazione interessandosi al demanio marittimo e in Regione potrebbe darsi una bella mossa su questo fronte visto che il degrado di queste fortificazioni e torri telemetriche è sempre più preoccupante e potrebbe rendere sempre più difficile e costoso un restauro. Non vorrei che anche l’ultima presentazione del libro «L’Amalfi racconta» che descrive la vita di uomini e donne attorno ad un’altra grande fortificazione del litorale, fosse solo un’altra occasione per fare una passerella politica con bei propositi per abbindolare gli elettori e poi magari far cadere tutto nel dimenticatoio come sempre». (f.ma.)

 

La Grande Guerra in una guida interprovinciale

il Corriere delle Alpi — 30 novembre 2008 pagina 41 sezione: SPETTACOLO

Anche la Provincia di Belluno è stata presente in questi giorni a Verona al XII Salone dei beni e delle attività culturali, a VeronaFiere, con uno stand in associazione con le Province di Treviso Venezia e Vicenza supportate dalla Regione Veneto. Nell’ambito del Salone le Province hanno proposto ai visitatori la prima guida ai luoghi della Grande Guerra. Il volume illustra una selezione dei luoghi della memoria del conflitto rinvenibili a livello regionale, tra le quali i campi di battaglia e le fortificazioni, spesso trasformati in musei all’aperto, i sacrari, i musei che raccolgono le testimonianze della vita in trincea. La Guida interprovinciale è il primo frutto di un complesso progetto di collaborazione proposto dalla Direzione regionale ai Beni Culturali della Regione Veneto alle Province di Belluno, Treviso, Venezia e Vicenza, e che ha come obiettivo specifico la valorizzazione dei luoghi e delle memorie della Grande Guerra, mettendo a sistema il ricco patrimonio di testimonianze materiali ed immateriali, anche con l’obiettivo di programmare il percorso di avvicinamento alle celebrazioni del centenario che si svolgeranno nel 2018. Il tavolo di lavoro fra le Province ha previsto per il futuro la messa in rete dei musei e di siti storici, la creazione di un portale Internet, oltre alla programmazione degli eventi di valorizzazione e alla omogeneizzazione della segnaletica e delle soluzioni informative. La Provincia di Belluno oltre alla guida ha presentato al pubblico i materiali sui luoghi recentemente recuperati e valorizzati come musei all’aperto e singoli musei presenti nel proprio territorio, tra i quali il Museo storico del 7º Reggimento Alpini allestito a Villa Patt di Sedico, dove il materiale sulla prima guerra mondiale costituisce il nucleo più importante delle collezioni. Il Museo del 7º Reggimento Alpini espone al pubblico i cimeli di guerra conservati nel museo sacrario ospitato nella caserma Salsa di Belluno dal 1937 al 2003. Dopo il trasferimento nei locali di Villa Patt di Sedico, grazie all’intervento della Provincia i materiali storici sono stati esposti all’interno di un allestimento di grande suggestione che ripercorre la storia del 7º Reggimento Alpini dal 1887 ai nostri giorni. Il museo è aperto tutte le domeniche, al mattino dalle 9 e al pomeriggio fino alle 18.

 

 

Forti al Comune, priorità al Mezzacapo

la Nuova di Venezia — 18 novembre 2008 pagina 20 sezione: CRONACA

ZELARINO. Il Comune ha in mano i forti del Campo trincerato di Mestre, ma cosa ne farà in tempi di crisi? Il passaggio del lotto che comprende tra gli altri il Mezzacapo di Zelarino e il Gazzera di via Brendole è cosa fatta, ma restano dubbi sul futuro delle strutture. Mara Rumiz, assessore al Patrimonio, auspica un concorso dei privati. Laura Fincato, titolare dell’assessorato ai Lavori Pubblici, inserisce due punti fermi all’interno della partita: soldi ce ne sono e l’intervento al Mezzacapo è una priorità. Il problema di forte Mezzacapo di via Scaramuzza è rappresentato dalla massiccia presenza di componenti in amianto te: il crollo, causa maltempo, di due baracche ha portato allo sbriciolamento e alla dispersione sul suolo del pericoloso materiale. La «pulizia» dell’area diventa quindi non solo più complicata, ma anche più costosa, tanto che si ipotizza un costo totale attorno ai 50.000 euro. «Spero di risolvere questo problema con un esborso minore - puntualizza la Fincato - ma va detto che intervenire urgentemente al Mezzacapo è per me una priorità. Qui non si tratta solo di una manutenzione alle strutture, ma anche di eliminare un potenziale rischio per la salute di tutti, ovvero l’amianto. Abbiamo messo a bilancio 300.000 euro per gli interventi sui forti, chiaro che questa somma non potrà essere dirottata esclusivamente per le esigenze di Zelarino. Quando si deciderà come impiegare la cifra, però, farò sì che il Mezzacapo sia in cima alla lista. Tempi? Probabile che l’operazione bonifica scatti nel 2009». Mezzacapo priorità del Comune, insomma, mentre a forte Gazzera si cerca di migliorare ancora una struttura già utilizzata dalla gente. In questi giorni, infatti, i volontari del comitato di gestione di Forte Gazzera hanno iniziato alcuni lavori nell’area esterna della ex postazione di artiglieria di via Brendole. Stanno posando dei piastroni nella zona dei barbecue. Verrà realizzata, inoltre, una sorta di separè tra la zona dove si cucinano le vivande e quella dove sono sistemati i tavoloni usati per feste e picnic. E per il futuro aumenterà anche l’offerta museale del forte, visto che si sta lavorando per aprire nuovi spazi espositivi all’interno del frontone centrale del Gazzera, di recente oggetto di un intervento di manutenzione del Comune. (Maurizio Toso)

 

 

LA GIUNTA REGIONALE ASSEGNA UN CONTRIBUTO DI 191 MILA EURO PER LA BONIFICA DELL'AREA EX POLVERIERA di Precenicco

Il 6 novembre 2008

Il   Vice Sindaco Massimo Occhilupo esprime grande soddisfazione per l'importante decisione assunta dalla Giunta Regionale nella seduta del 6 Novembre 2OO8 di assegnare, su proposta dell'assessore alla pianificazione Territoriale, autonomie locali e sicurezza Federica Seganti un contributo straordinario di EURO 191 MILA per la bonifica dell'area ex Polveriera.
L' Amministrazione Comunale - ha affermato il vice sindaco Massimo Occhilupo - ha sostenuto fortemente questa richiesta nelle sedi opportune poichè condivide la prospettiva di una riqualificazione dell'area  ( 33 MILA MQ) di proprietà comunale - strategica per l'intera comunità.
Obiettivo dell'amministrazione comunale è il recupero e la riqualificazione dell'area con l'inserimento di attività turistiche e del tempo libero, salvaguardando l'impianto originario del forte.
Infatti, nella variante N. 6 del PRGC è stata inserita come zona per attrezzature turistico ricettive e ricreative da attuare attraverso un PRPC con interventi di ripristino ambientale dell'area e di ristrutturazione e ampliamenti sui fabbricati esistenti e nuovi edifici al limite del perimetro dell'area.
Anche per questa opera ha affermato il vice sindaco, se pur con delle pratiche complesse, si è riusciti a dare risposte per la riqualificazione dell'intera area su un asse strategico dal punto di vista turistico.

 

BORMIO: PER IL 90° DELLA GRANDE GUERRA UN AMBITO RICONOSCIMENTO.

 
Lunedì 3 Novembre 2008

E' stata celebrata a Bormio la cerimonia di commemorazione del 90° anniversario della fine della 1° Guerra Mondiale. 

Compatti hanno partecipato gli Alpini della locale Sezione dell'A.N.A., alla presenza del primo cittadino di Bormio Prof.ssa Elisabetta Ferro Tradati e di numerosa popolazione locale. 

Dal punto di riunione, stabilito in piazza del Kuerc', un lungo corteo di fiaccole - capeggiato dalle classi quinte della scuola elementare di Bormio - è sfilato lungo la via principale del paese, la Via Roma, ed ha raggiunto sotto una debole pioggia il monumento ai Caduti in Piazza V Alpini.

Dopo la benedizione dell'Arciprete di Bormio, Don Giuseppe Negri, è stata data lettura della lettera di saluti e di augurio del Generale Perona, Presidente dell'Associazione Nazionale Alpini.

E' seguito un discorso del Sindaco di Bormio, rivolto soprattutto ai bambini delle Scuole Elementari, che si sono cimentati per l'occasione cantando l'inno d'Italia.

La serata si è conclusa con la consegna di un importante riconoscimento da parte del Sindaco Elisabetta Ferro Tradati ad un cittadino di Bormio che si è messo in  evidenza a livello nazionale nello studio e nella divulgazione degli eventi legati alla Grande Guerra nel territorio dell'Alta Valtellina, portando indirettamente lustro ed immagine al Bormiese.

Il Dott. Giovanni Peretti, geologo ma da sempre appassionato dei tematismi legati al proprio territorio e della Grande Guerra in particolare, da anni porta avanti con passione e scientificità numerose ricerche sia sul terreno che a livello di archivi privati e pubblici.

Ne sono scaturiti importanti volumi, magnificamente illustrati, tra i quali spiccano  "Il Capitano sepolto nei Ghiacci" (per il quale ha curato in particolare l'apparato iconografico ed il restauro delle oltre duecento fotografie d'epoca), "Il Sentiero della Pace in Lombardia" ed i più recenti "Battaglie per la Trafojer" e "Battaglie per il San Matteo", libri di grande formato molto importanti nella storiografia legata alla Prima Guerra Mondiale nell'Ortles Cevedale, sia dal punto di vista documentale che iconografico, riportanti imponenti archivi fotografici inediti.

Tutti i volumi sono editi da ALPINIA Editrice di Bormio (www.alpinia.net/guerra.php).

Per questi ultimi, Giovanni Peretti è stato insignito di due importanti riconoscimenti a livello nazionale, il prestigioso Premio AMEDEO DE CIA 2007, rivolto a coloro che, con le loro azioni ed opere, hanno saputo tenere alto i valori dell'alpinità soprattutto nei confronti delle nuove generazioni, ed il noto Premio Giornalistico Nazionale VAL DI SOLE 2008, nella Sezione Speciale dedicata al 90° Anniversario della Grande Guerra.

Altre significative gratificazioni sono giunte da Milano, da Bergamo, da Sondrio, da Firenze e con una non celata soddisfazione Giovanni Peretti, nel ringraziare per l'ambito riconoscimento il Sindaco del suo Comune, ha sottolineato il particolare piacere di ricevere proprio dalla sua terra un'attestazione di stima per le disinteressate ricerche che svolge da anni. 

In questo caso, il motto "nemo profeta in patria" è stato sfatato.

 

Nei cunicoli del forte con il Parco del Mincio

La Gazzetta di Mantova - 31 ottobre 2008

Visita al Forte di Pietole, domenica, con il Parco del Mincio. L’iniziativa si svolge nell’ambito del programma di ‘Escursioni d’Autunno’ promosso dal Parco del Mincio con alcune associazioni del territorio. Exploring Academy è l’associazione di speleologi che negli ultimi anni ha studiato ed esplorato palmo a palmo la struttura facendola riemergere dall’oblio. Sono proprio gli esperti speleologi di Exploring Academy che domenica, consegnando torce e caschi ai partecipanti, guideranno il gruppo di visita attraverso cunicoli e stanze segrete raccontando anche i passaggi della complessa storia del forte. Impegnativa la durata dell’escursione completa: 7 ore di cammino cui si somma il tempo per consumare il pranzo al sacco. Il percorso non presenta particolari difficoltà ed è adatto anche ai bambini non troppo piccoli ma prevede il passaggio in un lungo cunicolo nel quale è necessario stare ricurvi. Previsto anche un percorso di due ore. L’escursione si svolgerà a partire dalle 9.30 del mattino anche in caso di maltempo (gran parte del percorso è al coperto) al costo di 10 euro (le metà per l’itinerario più breve) prenotandosi al numero 333/9378780. Con un minimo di sei partecipanti, anche ogni prima domenica dei mesi di dicembre, gennaio e febbraio.
Il calendario di ‘Escursioni d’Autunno’ prosegue domenica prossima alle Bertone dove si festeggerà il termine della stagione di apertura al pubblico del bosco giardino prima della pausa di risposo invernale: caldarroste per tutti e visita guidata nel bosco giardino dei mille alberi e delle cicogne per scoprire i colori dell’autunno. Ultima tappa il 16 novembre con un appuntamento dedicato all’acqua e alle arti preziose.

 

Rinasce il forte della Grande guerra sul Col Badin

Messaggero Veneto — 27 ottobre 2008 pagina 13 sezione: NAZIONALE


CHIUSAFORTE. Bastano pochi minuti per raggiungere il forte corazzato sul colle Badin dalla statale 13. Una struttura imponente, che fu costruita dall’Esercito Italiano tra il 1904 e il 1907, dalla quale si può avere una visuale mozzafiato della valle del Fella. Da qui, ieri, ha preso il via il recupero della memoria storica di Chiusaforte, con la posa della prima pietra del nuovo forte Col Badin. Una giornata molto attesa dall’amministrazione comunale e dal sindaco Luigi Marcon che, con il recupero del forte, contano di dare nuova linfa al comparto economico-turistico della valle. Per questo hanno investito molto in questo progetto, organizzando una cerimonia in prossimità del 90º anniversario della fine della Grande Guerra. E così, ieri a Chiusaforte, sono arrivati l’assessore regionale Roberto Molinaro, il Soprintendente per i Beni architettonici del Friuli Venezia Giulia Guglielmo Monti, alcuni storici, gli amministratori della valle e moltissima gente comune. Tutti per testimoniare la rinascita del forte corazzato, che sarà fatto tornare a nuova vita grazie a due finanziamenti regionali che, complessivamente, superano i 2 milioni di euro. Non si tratterà, però, di una semplice ristrutturazione, in quanto molte parti del forte resteranno segnate dal degrado, a testimonianza del trascorrere del tempo. L’intenzione dell’amministrazione comunale, in accordo con la “C&C architettura ingegneria srl” rappresentata dall’architetto Fulvio Caputo, è quella di dar vita a un luogo della memoria aperto al futuro, dove convivranno tra loro spazi museali e ricettivi, sale espositive e zone di accoglienza per i visitatori. I lavori di sistemazione, affidati all’Agriforest, termineranno alla fine del 2009. «Il “gigante” di Chiusaforte si sta risvegliando – ha commentato il sindaco Marcon – e, tra breve, sarà trasformato in un luogo di esperienza condivisa, riservato ai turisti, agli appassionati di storia e alle scuole. Sul Col Badin si potrà entrare in contatto con una realtà museale basata su conoscenze emozionali e sensoriali». Una visione condivisa anche dall’assessore regionale Roberto Molinaro, che ha evidenziato l’interesse della Regione per gli interventi di recupero del patrimonio storico del Friuli Venezia Giulia: «Si tratta di manufatti risalenti ad un periodo storico di cui le comunità dovrebbero riappropriarsi, che potranno essere sfruttare come risorsa e motivo di attrazione. Per questo – ha aggiunto – la Regione ha intenzione di creare una rete tra le varie forticazioni, dal Carso al Friuli, per valorizzarle in maniera complessiva. Il Comune di Chiusaforte – ha concluso Molinaro – si trova ad affrontare una duplice sfida: restituire in termini di fruibilità una testimonianza storica della Grande Guerra e trasformarla in un luogo a vantaggio della comunità locale». A posare la prima pietra del nuovo forte, sono stati proprio Marcon e Molinaro, dopo aver firmato la pergamena che è stata sotterrata a ricordo della cerimonia di ieri. Alessandro Cesare
 

 

Recupero del forte sul colle Badin: stamane la posa della prima pietra

Messaggero Veneto — 26 ottobre 2008 pagina 15 sezione: UDINE


CHIUSAFORTE. Comincerà oggi, con la posa della prima pietra, il recupero architettonico del Forte corazzato sul colle Badin, a Chiusaforte. Un avvenimento che l’amministrazione comunale ha voluto celebrare con una giornata di approfondimento storico dal titolo “Il futuro della memoria. 1904/2008”, a pochi giorni dal novantesimo anniversario della fine della Grande Guerra. Il programma della giornata prevede, dalle 10 alle 12, nella sala convegni del Centro scolastico, la presentazione del progetto di recupero del forte sul colle Badin. Dopo il saluto del sindaco Luigi Marcon, interverranno l’assessore regionale Roberto Molinaro e il Soprintendente per i Beni architettonici, archeologici, artistici e storici del Friuli Venezia Giulia Guglielmo Monti. Spazio poi all’approfondimento storico con le relazioni di Roberta Cuttini (“Architetture della Grande Guerra: i Forti del Tagliamento”) e Davide Tonazzi (“Forti e territorio: Chiusaforte”), prima della presentazione del recupero da parte di Fulvio Caputo (“La nuova vita di un vecchio Forte”). Dalle 14 alle 17 sarà possibile partecipare alle visite guidate al Forte Col Badin, non prima però della cerimonia di posa della prima pietra. (a.c.)
 

Si è spento l’ultimo Cavaliere di Vittorio Veneto

26 Ottobre 2008

il Bersagliere Delfino Borroni 

E' morto ieri sera, a 110 anni compiuti da poco, Delfino Borroni, l'ultimo cavaliere di Vittorio Veneto. Borroni, nato il 23 agosto 1898 a Turago Bordone, piccolo paese nelle vicinanze della Certosa di Pavia, era ospite di una casa di riposo per anziani in Lombardia. Arruolato nel corpo dei bersaglieri come soldato semplice, venne mandato al fronte sull'Altipiano di Asiago e visse le tragiche giornate di Caporetto.  

Tornò a casa nel Natale del 1918. Tre anni dopo fu assunto dall'azienda tranviaria e impiegato come macchinista sul tram chiamato 'Gamba de Legn' che percorreva la linea Milano-Magenta-Castano Primo, il paese dove ha abitato per moltissimi anni, continuando a fare anche dopo la pensione il meccanico di biciclette, la sua grande passione.  

Altre informazioni in rete anche a questo link http://www.corriere.it/cronache/08_ottobre_26/borroni_morto_1dc9ba5e-a3a0-11dd-8d2c-00144f02aabc.shtml

          Ci associamo ai numerosi messaggi di cordoglio alla famiglia in riverente rispetto per questo ultimo protagonista di quei tragici eventi.

 

Col Badin, memoria e futuro nella Fortezza

Messaggero Veneto — 24 ottobre 2008 pagina 19 sezione: CULTURA - SPETTACOLO


CHIUSAFORTE. A pochi giorni dal novantesimo anniversario della fine della Grande Guerra, sta per essere ufficializzato il recupero architettonico del Forte corazzato sul colle Badin. Domenica l’incontro intitolato Il futuro della memoria. 1904/2008 richiamerà l’attenzione sul Canal del Ferro con l’intervento di storici e politici e con la posa della prima pietra della nuova struttura. Collocato su uno sperone roccioso alle pendici del colle Badin, il Forte corazzato (in origine “Fortezza Alto Tagliamento-Fella”, poi “Fortezza di Chiusaforte”) fu realizzato dall’Esercito italiano tra il 1904 e il 1907. Disposto su quattro livelli, comprendeva alloggi per la truppa e gli ufficiali, quattro cupole corazzate per i cannoni, opere difensive (come gallerie per fucilieri e cofani laterali per mitragliatrici), nonché edifici di supporto e servizio (depositi per le munizioni, officine, e magazzini). Il 24 ottobre 1917, durante la dodicesima battaglia dell’Isonzo, l’esercito austro-tedesco ruppe il fronte italiano davanti a Plezzo e Tolmino, e dopo cinque giorni i nostri contingenti si ritirarono attraverso la valle del Fella. Il Forte ebbe il compito di opporre una resistenza tenace. Dopo un violento fuoco di sbarramento e l’esplosione finale con cui si fecero saltare i cannoni e le cupole, la guarnigione si arrese alle truppe del 30° battaglione di Feldjager della 59° Brigata alpina. Cominciò così il lento degrado del Forte, terminato nel 2001 con il suo trasferimento come proprietà dal Ministero della Difesa al Comune di Chiusaforte. Nel 2005 fu sottoposto a vincolo di tutela da parte del Ministero dei beni culturali per le sue caratteristiche e per la presenza di sistemi di difesa ravvicinati, innovativi per l’epoca in cui fu realizzato. Grazie a un contributo regionale di 1,6 milioni di euro, ora potrà essere risistemato. Ma non si tratterà di una semplice ricostruzione di un manufatto utilizzato durante la Grande Guerra, bensì di un luogo della memoria aperto al futuro, dove convivranno spazi museali e ricettivi, sale espositive e zone di accoglienza per i visitatori. Per questo i vari edifici subiranno un processo di restauro differente: quelli destinati a ospitare a lungo le persone saranno restaurati in maniera completa, mentre negli altri si fermerà, con tecniche particolari, il processo di degrado e rimarrà leggibile l’immagine di rovina e del trascorrere del tempo. L’obiettivo di questa “strategia formale” è di mostrare la storia attraverso l’architettura: dal periodo della guerra e dell’abbandono al momento della salvaguardia e della valorizzazione. La ristrutturazione si concretizzerà in tre fasi: il restauro architettonico degli edifici, l’allestimento di un museo della memoria, la sistemazione degli spazi esterni e degli accessi a valle. La struttura accoglierà comitive studentesche, studiosi o turisti che, visitando il percorso, potranno conoscere le vicende belliche che si sono svolte nei territori circostanti e informarsi sulla vita e sulle abitudini della comunità durante quel periodo. Agli ospiti sarà dato non solo “ristoro” culturale, ma anche la possibilità di soggiornare e di pernottare. Alle esposizioni permanenti si affiancheranno mostre temporanee e i locali interni potranno accogliere riunioni, piccoli convegni o incontri conviviali. Domenica il programma prevede, dalle 10 alle 12, nella sala convegni del Comune di Chiusaforte, la presentazione del progetto di recupero del Forte. Spazio poi all’approfondimento storico mentre nel pomeriggio, dalle 14 alle 17, sarà possibile partecipare alle visite guidate al Forte Col Badin, al termine della cerimonia di posa della prima pietra. Una giornata organizzata dal Comune con la collaborazione e il sostegno della Regione, della Soprintendenza del Friuli Venezia Giulia, della Comunità Montana e della Fondazione Crup. Alessandro Cesare
 

 

Quella spia del dopo Caporetto

il Corriere delle Alpi — 23 ottobre 2008 pagina 37 sezione: SPETTACOLO

«Missionari» venivano chiamati, con enfasi patriottica e riconoscenza quasi religiosa, quegli agenti segreti che durante la Grande Guerra, dopo Caporetto, volontariamente si offrivano di farsi trasportare oltre le linee nemiche per raccogliere notizie sui movimenti e sullo spirito delle truppe occupanti. Scendevano in territorio invaso in punti già ben studiati in precedenza, vestiti da soldati, per evitare l’immediata fucilazione in caso di cattura. Erano però provvisti anche di abiti civili, carte d’identità, lasciapassare austriaci falsi, gabbiette di piccioni viaggiatori e materiale vario. Dopo aver raccolto il maggior numero di notizie possibile ed averlo trasmesso con segni convenzionali ai nostri ricognitori o più spesso tramite piccioni, essi dovevano venir recuperati da nostri aerei o, nella peggiore delle ipotesi, cercare di raggiungere le nostre linee sul Piave a piedi o via mare. Quello che però è rimasto defilato alla storia ufficiale e sconosciuto agli stessi cadorini è che il creatore ed organizzatore di tutte le attività dell’Ufficio Informazioni della III Armata, dai primi combattimenti sul Carso fino alla rivincita sul Piave, fu un grande amico del Cadore. Intendiamo parlare di Ercole Smaniotto, nato a Livorno nel 1875, Sottotenente nel 1896, Aiut. Magg. in seconda al 7º Alpini, da sempre legato alle montagne del Veneto e del Trentino. Fu proprio grazie ai suoi rilevamenti orografici e ai suoi studi di fortificazione, che egli nel 1911 venne promosso Capitano per meriti eccezionali, con l’incarico di costituire presso la Div. Mil. di Verona l’Ufficio “Monografie del Terreno”. Trasferito a Milano alle dirette dipendenze del Sotto Capo di Stato Maggiore Gen. Porro, divenne responsabile della segreteria di quella sezione del Servizio Segreto Militare Italiano, che raggiunse il suo culmine operativo nel 1913 e che rivaleggiò col servizio segreto dell’esercito austriaco. Fu grazie ad un paziente lavoro di ricognizione sul terreno e di successive rielaborazioni che fu pubblicata nel 1912 la serie di Guide Militari che visualizzavano in chiari itinerari strade e sentieri di montagna di Veneto e Trentino. Così ricordava il Col. Smaniotto un suo amico, il Magg. Trener: “Figura alta, viso pallido, occhi penetranti, intelligenti e buoni, passo svelto, più da uomo molto occupato che marziale. Parla poco quando non occorre, ma è d’indole comunicativa, non però con tutti”. Egli si segnalava per la sua capacità di trattare con gli ufficiali richiamati e coi volontari irredenti, scegliendo gli “agenti” giusti e distinguendosi nell’ammodernamento del servizio: per esempio introdusse il metodo di analisi stereoscopica delle fotografie ed adottò in larga scala il sistema della fotografia aerea dei territori, il lancio dei piccioni, le missioni speciali... Morì il 20 ottobre 1918 per “spagnola”, attorniato dai suoi amici (Gigante, Simoni, Fabbroni, Kobelinsky, don Costantini), e fu sepolto a Mogliano Veneto, alla presenza del Duca d’Aosta. Il servizio svolto dallo Smaniotto contemplava anche gli interrogatori dei prigionieri, le intercettazioni telefoniche (il 14 giugno 1918 la stazione di intercettazione di M. Spinoncia captò il giorno e l’ora dell’offensiva austriaca prevista per quello stesso mese), l’uso di palloni frenati, il servizio propaganda dopo Caporetto, la costituzione della legione boema per dar voce alle parole dei czechi disertori... Ma è proprio dopo Caporetto che lo Smaniotto scelse di battere la via delle missioni speciali e pensò anzitutto all’uomo giusto, a Camillo De Carlo, da lui già notato al Comando Aeronautico della III Armata, ma che ricordava ancora giovanetto quando lo aveva conosciuto in una villeggiatura a Pieve di Cadore. Fu a Villa Favier, il 15 gennaio 1918, che il Col. Smaniotto offrì al De Carlo l’affascinante dilemma “forca o gloria?”, da cui sarebbero nate tutte le sue imprese. Ma esiste un secondo aggancio col Cadore, che risale anzi ad alcuni anni prima, e precisamente al 1907, quando lo Smaniotto, allora Tenente, sfruttava le sue conoscenze “affettive” della nostra regione per redigere importanti studi di fortificazione, che poi furono sfruttati, e almeno parzialmente realizzati, dal Mag. Ferdinando Pecco, il “padre” della Fortezza Cadore-Maè. Egli cercò di rispondere al quesito, in quegli anni invero assillante, della posizione migliore per un nuovo forte corazzato in grado di dar protezione all’opera bassa (ed obsoleta) di Col Piccolo. Come sappiamo, prevalse in seguito l’idea di fortificare Tudaio e Col Vidal, ma lo Smaniotto patrocinò allora la regione “Pragrande”, a quota 1700, sulle pendici di Monte Col, a sud-est di S.Stefano. Come si può evincere dalle sommarie notizie, lo Smaniotto fu senz’altro uomo poliedrico ed attivo, legato sempre al nostro Cadore da vincoli di affetto e di lavoro, in un nesso unico di profonda conoscenza del territorio e soprattutto di indubbia fede nella forza e virtù dei suoi abitanti. Walter Musizza Giovanni De Donà
 

Grande Guerra e i forti sul Tagliamento

Messaggero Veneto del 18/10/08

RIVE D’ARCANO. Si terrà oggi, alle 10, nel Forte Col Roncone di Rive d’Arcano (sulla strada panoramica Fagagna-San Daniele) il convegno storico che avrà come tema “I forti del Tagliamento nella Grande Guerra in Friuli”, organizzato dall’Associazione Military Historical Center di Udine. Interverranno il professor Gianluca Volpi, il dottor Marco Pascoli e l’architetto Roberta Cuttini. I forti del Tagliamento rappresentano un patrimonio culturale di indiscussa rilevanza per la funzione che in quel periodo storico, e nel nostro territorio di confine, hanno rivestito. Il convegno rientra in un percorso storico-culturale che l’Associazione sta portando avanti da diversi anni con lo scopo di recuperare e mostrare al pubblico preziose testimonianze della prima guerra mondiale, in cui il Friuli Venezia Giulia ha avuto un ruolo importante.

 

 

Forte Mezzacapo, operazione pulizia

 

la Nuova di Venezia — 17 ottobre 2008 pagina 24 sezione: CRONACA


ZELARINO. Vogliono che Forte Mezzacapo resti un patrimonio per la collettività, in particolare per la comunità di Santa Lucia Tarù. Per questo motivo ieri un gruppo di rappresentanti di associazioni ha deciso di cominciare a pulire perlomeno l’area esterna della struttura militare, in fase di passaggio al Comune. Atto di forza che ha un preciso valore simbolico: chi vive da queste parti rivendica questo spazio, contrario a soluzioni come quella della «farm», prospettata dalla presidente di Chirignago-Zelarino, Maria Teresa Dini. Due le associazioni maggiormente impegnate nel blitz. Sono «Dalla guerra alla pace» e il comitato civico di Santa Lucia Tarù. Hanno superato la sbarra che dà su via Scaramuzza e hanno cominciato a ripulire dalle sterpaglie l’area attorno al vecchio alloggio del maresciallo comandante. L’irruzione è soprattutto formale e simbolica, visto che penetrare nel Forte è un gioco da ragazzi. In questo periodo, poi, ci sono anche i cacciatori che ci bazzicano, con tanto di fucile a tracolla e cani da riporto. Per ora i cittadini si limiteranno a pulire l’area esterna. «Questo deve essere uno spazio per la collettività - spiega Vittorio Darisi, presidente dell’associazione “Dalla guerra alla pace” - Qualcuno dovrebbe ricordarsi che al momento la realtà di Santa Lucia Tarù non ha nessun luogo di socializzazione». A ribadire il concetto è anche Albino Ghedin, vicepresidente del comitato di Santa Lucia Tarù. «Con il nostro ingresso al forte, con i lavori che stiamo facendo - afferma - vogliamo rivendicare il fatto che sentiamo nostra questa struttura». La situazione generale al Mezzacapo è difficile. Il complesso, enorme, presenta più criticità, a cominciare dal deposito nell’area esterna crollato in parte per l’incuria. Dentro è ancora peggio. Su quattro baracche in legno, con componenti in amianto, tre sono crollate al suolo anche per effetto di un temporale particolarmente violento di questa estate. Ci sono anche zone apparentemente a posto, come il blocco a un solo piano che una volta ospitava le camerate: parte del tetto, però, è stata danneggiata tre anni fa da alcuni ordigni fatti esplodere dagli artificieri dell’esercito. Le potenzialità del complesso, però, sono grandi, considerando anche che Forte Mezzacapo si estende su un’area davvero grande. E l’associazione «Dalla guerra alla pace» rilancia una proposta: ripristinare il vecchio fossato, una misura che garantirebbe un migliore equilibrio idraulico a tutta questa zona.

 

 

Fine settimana con il Marciât da Vile

Messaggero Veneto — 17 ottobre 2008 pagina 19 sezione: UDINE


VILLA SANTINA. Ritorna il Marciât da Vile, la più antica fiera della Carnia, che con le sue centinaia di bancarelle e giostre, l’area agroalimentare, la mostra dell’artigianato e il mercatino delle pulci “Il Baule della Nonna” richiama per ogni edizione migliaia di visitatori. Il mercato, organizzato dal comune in collaborazione con la Pro Loco, le associazioni locali ed il Parco intercomunale delle colline carniche, un tempo punto di ritrovo degli abitanti delle Valli Degano e del Tagliamento, attira anche ai giorni nostri gente anche dalle altre vallate della montagna e dalla pianura friulana. Un mercato che dura tre giorni, da sabato sino a lunedì 20 ottobre compresi, con musica e balli, giochi ed animazione per i più piccoli. Il programma: prevede con inizio alle 9 nel piazzale della stazione la riscoperta dei sapori tradizionali di un tempo e dei prodotti dell’artigianato con attività dimostrative e con lavorazioni dal vivo a cura degli Amici dell’A.R.T.E. per i più piccini nel parco sarà a disposizione il castello di Fantasilandia con spettacoli e sorprese. Il centro sociale propone sculture di acqua: le grotte della Carnia a cura del Museo geologico della Carnia di Ampezzo. Ogni pomeriggio durante le tre giornate, sarà inoltre possibile prender parte a delle gite guidate alle fortificazioni del vallo littorio in località Plera con l’associazione Xma Regio Italica. Domenica pomeriggio, alle 14, nel parco si esibirà la scuola di ballo Happy Dance Studio mentre lunedì 20 ottobre alle 9 sarà proposto un laboratorio didattico per i bambini dai 6 ai 10 anni. Per tutta la durata della fiera nelle sale del municipio funzionerà una ricca pesca di beneficenza. (g.g.)

 

 

La caduta dei fortini

il Corriere delle Alpi — 17 ottobre 2008 pagina 41 sezione: SPETTACOLO

Le truppe occupanti del Feldmaresciallo Boroevic, dopo aver vagliato nella primavera 1918 la possibilità di prelevare le cupole corazzate dei nostri forti (mod. Armstrong, spessore mm 140, in acciaio al nichelio superiore al 3%, a M. Tudaio, Col Piccolo, Col Vidal, Pian dell’Antro, M. Rite) e di portarle presso i loro stabilimenti Skoda, Poldihutte, Resicza ecc., al fine di riciclarle in funzione del disperato bisogno di acciaio palesato dall’impero austro ungarico, decisero ai primi segnali di cedimento del fronte sul Piave, di distruggerle sul posto per non lasciarle al nemico, come fatto invece da di Robilant e Piacentini al momento della ritirata di Caporetto nel novembre 1917. Apposite squadre di artificieri arrivarono in Cadore per la bisogna e il 12 ottobre si sistemò all’Albergo “Lozzo” un gruppo di 84 uomini incaricati del sabotaggio ed evidentemente tanto esperti di fuoco da provocare la sera stessa del loro arrivo, verso le 21.30, un incendio che rovinò parecchie camere. La prima vittima fu Batteria Castello, presso Pieve di Cadore, distrutta alle ore 17 del giorno 16 ottobre, mentre Forte Monte Ricco, poco discosto dal primo, subì tre esplosioni, rispettivamente alle 17.30 dello stesso giorno, alle 16 del 17 e alle 10.30 del giorno 28, con una esiziale pioggia di detriti sull’abitato di Sottocastello. Col Vaccher saltò invece alle 10.45 del giorno 18 dopo ché gli austriaci avevano fatto evacuare la popolazione di Tai e Valle. Al momento dello scoppio, ricordavano alcuni testimoni, si vide la parte superiore del forte aprirsi a mò di garofano seguita, qualche secondo dopo, da un rumore sordo. Col Piccolo, presso Vigo, fu distrutto alle 11 del 19 con spicchi delle corazze finiti a 500 metri di distanza e notevoli danni alle case. Non servì infatti far notare al nemico che si trattava di opere di difesa ormai inutili, la cui distruzione non rivestiva più alcun senso tattico, e nulla potè nemmeno la presenza nelle case vicine di molti civili ammalati di spagnola ed impossibilitati ad abbandonare i loro letti. Il sindaco di Vigo, nella “Relazione sulle violazioni ai diritti delle genti”, datata 27 dicembre 1918 avanzò l’ipotesi che le esplosioni fossero state volute dagli austriaci per distruggere il maggior numero possibile di edifici civili e poter così espletare con agio l’ultima spoliazione, quella della “staffa”. Analoga sorte, sempre nel periodo compreso tra il 16 e il 26 ottobre 1918, toccò ai forti di Pian dell’Antro e di M. Tudaio, dove le operazioni conobbero qualche intoppo, costringendo gli artificieri austriaci a salire più volte sulla cima e perfino a litigare tra loro per le difficoltà incontrate nell’indovinare il “botto” vincente. Come si può desumere anche da queste notizie, il nemico “programmò” davvero la sua ritirata, facendo con calma e con largo anticipo sui tempi dell’Addio al Cadore ciò che noi, nel bailamme del dopo Caporetto, non fummo in grado di fare, per ragioni di ordine materiale e psicologico. Quando, tra le 14 e le 14.30 del 4 novembre 1918, arrivarono a Pieve le nostre autoblindomitragliatrici Lancia (15^ squadriglia della 5^ Sezione della I Divisione) trovarono tutti i nostri forti distrutti, ed anzi già divenuti meta di “escursioni” da parte dei locali, alla ricerca di qualche cosa utile in mezzo alle macerie. Non sappiamo se nel fumo delle esplosioni tutti i cadorini abbiano riconosciuto, come voluto da un cronista dell’epoca, la figura di Cecco Beppe balzante dagli abissi, ma certo possiamo constatare comunque che quella fine ingloriosa poneva davvero fine al capitolo della Fortezza Cadore-Maè, alla cui ombra e sotto la cui egida il Cadore tutto conobbe, dal 1882 in poi, solo amarezze e delusioni. Walter Musizza Giovanni De Donà

 

 

l Comune sta diventando più Forte

 

la Nuova di Venezia — 10 ottobre 2008 pagina 24 sezione: CRONACA


ZELARINO. Il Comune ora non può tirarsi indietro sulla partita dei forti Mezzacapo, Gazzera e Pepe. Nei giorgi scorsi è stato siglato il rogito che segna il passaggio all’amministrazione comunale del lotto comprendente le tre basi, finora sotto il controllo del Demanio militare. L’ultimo passaggio perché la vicenda si possa definire conclusa spetta alla Corte dei Conti, che dovrà solo registrare l’avvenuto accordo tra le parti derivante dal rogito. Una formalità, insomma, visto che ora l’attenzione si sposta tutta sull’utilizzo dei forti, in particolare Mezzacapo e Gazzera. Quelli all’interno del territorio di Chirignago-Zelarino. Situazione attuale. Tralasciando forte Pepe, tra le altre due ex basi dell’esercito quella in condizioni migliori è senza dubbio forte Gazzera. Da anni è diventato un punto di aggregazione e promozione culturale, tanto che domenica scorsa ha ospitato le iniziative cittadine legate alla giornata mondiale dell’alimentazione. Diversa la situazione del Mezzacapo, situato in via Scaramuzza a Zelarino. La struttura è in stato di abbandono da anni e in occasione di un’ondata di maltempo che ha colpito la città un paio di mesi fa è crollata una delle baracche, aumentando il rischio di inquinamento da amianto. Azione urgente. Questo ultimo fatto è a conoscenza di Municipalità e Comune, con quest’ultimo che già sta predisponendo un piano di azione. L’assessore al Patrimonio Mara Rumiz, infatti, ha spiegato che si sta già pensando di inserire nel bilancio 2009 le adeguate risorse economiche per effettuare la bonifica al Mezzacapo. Sui costi relativi all’operazione non ci sono ancora stime, in passato però era stato ipotizzato un esborso di 20.000 euro. Somma che rischia di non poter bastare, visto che le condizioni della parte interna con il passare del tempo si sono fatte sempre più precarie. Futuro prossimo. Il passaggio effettivo dei forti porterà a un aumento delle attività svolte al loro interno. E per il Mezzacapo Chirignago-Zelarino ha già qualche idea. Una potrebbe essere la riconversione della vecchia base dell’esercito in un polo per l’agricoltura locale. «Il principio è quello della farm - spiega Maria Teresa Dini, presidente della Municipalità - ovvero un punto dove le esperienze degli agricoltori possono essere messe in rete e dove può anche essere prevista la possibilità della vendita diretta dei prodotti». In ogni caso, tutti i progetti potranno essere valutati ed eventualmente applicati solo dopo la bonifica in profondità dell’intera area di forte Mezzacapo. (Maurizio Toso)
 

 

«Lido ciclabile, ecco tre percorsi da attuare»

 

la Nuova di Venezia — 13 settembre 2008 pagina 19 sezione: NAZIONALE

LIDO. Una serie di piste ciclabili e percorsi di durata e lunghezza variabile per permettere a chi - turista o abitante - vuole trascorrere una giornata in bicicletta nelle isole del Lido e, in seguito, anche al Pellestrina, di farlo in tutta tranquillità. Questa è la proposta che, in seguito anche agli ultimi gravi incidenti avvenuti nelle isole, lanciano gli addetti ai lavori dei noleggi biciclette dell’isola. «L’idea è nata dalle continue lamentele dei clienti, specialmente stranieri - spiega la signora Patrizia di «lidoonbike», ideatrice dell’iniziativa - che si rammaricano del fatto di arrivare in un’isola adatta alle piccole scampagnate su due ruote e trovare solo piccoli tratti adibiti alle biciclette. In più, troppo spesso, quando riportano i mezzi che noleggiamo, tornano da noi con escoriazioni dovute a cadute per evitare scontri con le automobili o per lo stato a tratti pessimo del manto stradale». Da queste considerazioni è nata l’idea - per ora semplice proposta «su carta» ma con la possibilità concreta di una futura attuazione - di individuare dei percorsi alternativi alle zone di maggiore traffico di vetture, ma che tocchino l’intera isola mostrando ai turisti le bellezze del Lido. «Abbiamo disegnato tre percorsi - dice ancora Patrizia - con itinerari da una, due e tre ore, che vanno in pratica a coprire l’intero arco del Lido, dall’aeroporto alle fortificazioni degli Alberoni. Per ora le distribuiamo ai nostri clienti come possibili «idee», specificando che non si tratta ancora di percorsi specifici per le biciclette, ma ci piacerebbe che l’idea avesse un seguito, e che almeno alcune delle idee da noi proposte diventassero realtà, a partire magari dalla futura riorganizzazione della porta acquea del Piazzale». «Le piste ciclabili attrezzate intorno a Venezia si fermano per adesso a Punta Sabbioni - spiega Claudio, trentenne cicloamatore udinese che ha già girato in bicicletta mezza Europa - e sarebbe decisamente bello avere la possibilità, una volta lì, di imbarcare il proprio mezzo sulla motonave e proseguire il viaggio con Lido e Pellestrina per giungere a ricongiungersi, passata Chioggia, alle zone del Padovano». (Massimo Tonizzo)
 

 

la Nuova di Venezia — 11 settembre 2008 pagina 14 sezione: ALTRE

Stupendi i forti ma perché tutto quel degrado? Da sei estati trascorro le mie vacanze al campeggio Stella Maris, assieme ad un gruppo di connazionali e, sempre più, abbiamo imparato a frequentare e conoscere il territorio di Cavallino-Treporti iniziando a conoscerne le caratteristiche e la storia. Dall’ufficio informazioni del campeggio avevamo saputo delle molte fortificazioni ex-militari qui esistenti, con un maestoso forte costruito durante la reggenza asburgica del Lombardo-Veneto da parte dell’Austria, nostro Paese d’origine. Ho poi acquistato alcune copie del buon libricino-guida, fortunatamente per i miei amici scritto anche in tedesco e intitolato «La batteria Amalfi nella Grande guerra» di Furio Lazzarini e pubblicato dalla locale associazione «Forti e musei della costa». Assieme ad una decina di altre persone interessate, ho quindi organizzato una gita sui forti, seguendo la mappa e le puntuali indicazioni e avvertenze contenute nel libro. Tutti i partecipanti hanno espresso sorpresa e meraviglia per l’importanza di queste opere militari, a molti di noi del tutto sconosciute, alcune di imponenti dimensioni e dalle architetture più disparate, ma nel frattempo abbiamo anche verificato le pessime condizioni in cui giacciono questi edifici storici, tra incuria, vandalismi e vegetazione che li stanno distruggendo. Come per noi, pensiamo risulterebbero molto interessanti per le migliaia e migliaia di turisti che scelgono Cavallino per le vacanze, e abbiamo chiesto spiegazioni rivolgendoci a vari interlocutori. Le risposte sono state le stesse dell’anno scorso o del precedente ancora dove, sostanzialmente, la questione del recupero e fruizione pare dipendere dalla burocrazia, dalla mancanza di fondi o piuttosto dalla volontà politica, ma ci rassicurano che, prima o poi, partiranno dei progetti e cominceranno dei lavori. A noi resta invece la sensazione che si farà poco, oppure proprio niente, e ci chiediamo quindi se possiamo in qualche modo renderci utili. Torneremo ad ogni modo qui in vacanza, anche nella prossima estate, ma stavolta sperando cambi davvero qualcosa! Gottfried Niedrist Austria Kriminalpol Innsbruck Il maestro unico: mille insegnanti in meno A pochi giorni dall’apertura dell’anno scolastico, quasi a tradimento, è comparso sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legge che contiene un articolo che reintroduce la figura dell’insegnante unico nella scuola elementare riportando indietro il mondo della scuola d’un sol colpo, senza alcuna discussione nel Paese e in Parlamento. Il Dl 137/08 cancella i moduli e il tempo pieno nella scuola elementare. Hanno fatto una «riforma» di «nascosto», con un decreto legge, cosa senza precedenti, un disastro fatto solo per fare cassa a spese delle opportunità e delle speranze dei bambini. Nell’anno scolastico 2009/2010, nel solo Veneto, verranno lasciati a casa 320 insegnanti in relazione alla prima classe delle primarie e se il provvedimento dovesse rimanere in essere, si prevede, a regime, la riduzione di altri 1000 insegnanti nel quinquennio, mentre l’attuale complessità culturale richiederebbe, in modo più pressante che mai, la disponibilità di persone che collaborino ad una formazione integrale e integrata, fatto completamente ignorato da questo governo. Ci chiediamo cosa intenda fare la giunta del Veneto qualora il Dl venisse malauguratamente convertito in legge e come intende evitare il declino della scuola veneta valorizzando la tanto auspicata e sbandierata voglia di autonomia nell’organizzazione scolastica regionale. Claudio Rizzato Andrea Causin consiglieri regionali Pd L’ora di religione confronto interculturale La proposta dell’assessore all’Istruzione della Regione, rendere l’ora di religione (tutte) obbligatoria, inserita nell’educazione civica, è sicuramente valida a patto che venga insegnata da docenti laici. Quanti di noi conoscono bene la religione cattolica, e quanti conoscono le differenze dalle altri religioni se non a grandi linee? In primo luogo penso, indipendentemente dalla propria fede, sia giusto e doveroso anche per i non credenti conoscere le varie religioni, anche in prospettiva che l’Italia diventerà sempre di più una società multiculturale e multietnica. Al mondo esistono religioni monoteiste e non (dal greco unico, un solo Dio): ebraismo, cristianesimo e islamismo. Il cristianesimo, nato nel 200 d.C., nel tempo ha subìto delle scissioni ed è nata l’ortodossia, diffusa in Grecia e in Russia. L’ora di religione, più che insegnare quanto precedentemente detto, si dovrebbe focalizzare soprattutto nella storia di Gesù come uomo e non come Profeta. Chi era Gesù? Dove è nato? Qual è il suo vero nome? Esistono studi da parte di biblici di fama mondiale, che attraverso reperti e documenti storici sono riusciti a dare delle risposte. Le varie religioni, poiché sono di parte, ci raccontano ciò che loro hanno selezionato e non tutto: per esempio la Chiesa cattolica ci parla dei Vangeli canonici ma non ci dice quanti sono (attualmente sono almeno dieci), l’ultimo è stato ritrovato negli anni ’50 del secolo scorso. Ai contrari e agli scettici, a tale proposta dico: l’ora di religione inserita nell’educazione civica è quantomeno un arricchimento del proprio bagaglio culturale. Pertanto auspico che la proposta diventi legge regionale. Gennaro D’Ambrosi Venezia

 

 

Pasubio 2008 Gara Unuci tra militari in congedo

da Il Giornale di Vicenza del 10 settembre 2008

In occasione della ricorrenza del 90° dalla fine della Grande Guerra la sezione Unuci di Schio organizza una gara di orientamento denominata "Pasubio 2008", il 12 e 13 settembre. La gara riservata a pattuglie militari in servizio e in congedo ha visto l'adesione di squadre straniere, di molte Sezioni Unuci d'Italia e delle Associazioni Combattentistiche e d'Arma.

L'impegno delle Squadre sarà con una marcia notturna e con la ricerca di vari punti dal Passo di Pian delle Fugazze al rifugio Papa dove sarà allestito il pernottamento per i partecipanti alla suggestiva gara. Il giorno dopo le pattuglie si cimenteranno con cartina topografica, bussola e goniometro nel ritrovamento e descrizione di vari obiettivi di cui alcuni Sacri alla Patria sul Pasubio ed infine con la discesa attraverso le 52 gallerie dove anche qui avranno diversi obiettivi da ricercare e illustrare nella scheda di gara.

Giudici della gara saranno Gianfranco Ciancio, i Cap. Fabrizio Frassoni, Cap. Antonio Garello e il Ten. Carlo Bettanin unitamente al Cap./le Marco Tirapelle. L'organizzazione sanitaria sarà assicurata dal S.Ten.di Vasc. Salvatore Bartolomeo e dalla Croce Rossa Italiana di Schio.

 

A villa Dolfin onore al Grappa e alla sua Armata

da Il Giornale di Vicenza del 10 settembre 2008

Il parco antistante la settecentesca villa Dolfin di Rosàha fatto da cornice, nella serata di venerdi scorso, ad una riuscita commemorazione dei 90 anni della canzone del Grappa. L'inno, divenuto un simbolo nazionale, è stato eseguito per la prima volta il 24 agosto del 1918, nel parco di villa Dolfin, in occasione di una parata militare svoltasi in onore degli eroi della IV Armata del Grappa, alla presenza del re Vittorio Emanuele III, del Generale Diaz e del vescovo di Vicenza, mons. Rodolfi.

L'iniziativa, che ha registrato un pubblico numeroso, è stata portata avanti dalla banda locale e dal Teatro Montegrappa, con il contributo dell'Amministrazione comunale che ha stanziato la somma di mille euro per le spese organizzative. Si è trattato di una rievocazione storica, poetica e musicale del celebre evento, con un omaggio particolare ai Caduti  rosatesi della Grande Guerra, fra cui Nicodemo Bertorelle e Antonio Alessio, a cui sono state dedicate due importanti strade di Rosà.

Gli artisti del "Teatro Montegrappa" hanno interpretato in modo magistrale alcune pagine di storia tratte dal libro "Diario di guerra di un parroco di campagna", edito nel 1978. Si tratta di una testimonianza viva, quotidiana, legata sia ad episodi di Caporetto, che alla controffensiva che ha registrato l'eroismo dei nostri arditi sul Grappa e sull'Altopiano. Negli intervalli, poesie legate alla Grande Guerra. A rendere più suggestiva la serata, la riproduzione dell'ospedale militare, allestito dai figuranti del quadro militare della Ballata del Millennio dell'Associazione Pro Bassano, con la rievocazione della visita della regina Elena. Una voce di gioia e di speranza per un futuro migliore è giunta dal coro "Voices of Joy" di Cusinati, diretto da Marianna Bordignon, che ha incantato il pubblico con la presentazione di brani tratti dal repertorio di Bepi De Marzi e dei Beatles.

Non poteva mancare il concerto della banda Montegrappa, diretta da Mario Bonzagni, che ha concluso il repertorio con l'inno nazionale. Il gruppo musicale ha avuto in consegna dai Dolfin, gli strumenti usati per la prima esecuzione della canzone del Grappa. Poi, questi, passarono alla banda parrocchiale che giustamente ha preso il nome di Montegrappa, da quel celebre evento del 1918. La serata si è conclusa con una fiaccolata che ha accompagnato la banda fino al centro di Rosà. I festeggiamenti sono proseguiti domenica con il ritrovo nel parcheggio della palestra Balbi e la sfilata e l'omaggio al monumento dedicato al cap. Meneghetti, autore della canzone del Grappa, su testo del gen. Emilio De Bono. E' seguita la sfilata e la commemorazione ufficiale in piazza Card. Baggio. Messa solenne in duomo e poi rinfresco nella sede degli alpini di via Schallstadt.

 

I forti entrano nella guida del Touring

la Nuova di Venezia — 03 settembre 2008 pagina 18 sezione: CRONACA

Al via l’operazione di promozione del campo trincerato di Mestre. L’operazione, costata 20 mila euro, è stata presentata ieri mattina a Forte Marghera dall’assessore comunale alle Politiche ambientali Pierantonio Belcaro e dal presidente di Marco Polo System Pietrangelo Pettenò. Il campo trincerato, 10 forti presenti nel territorio comunale e due nell’hinterland (Mira e Spinea), sarà pubblicizzato a livello nazionale entrando a far parte delle nuove edizioni del manuale del Touring Club Italiano e della guida Mondadori Musei d’Italia. Entrambe le pubblicazioni saranno pronte entro ottobre. Per la promozione a casa nostra è stato predisposto un dépliant informativo che sarà distribuito in 5.000 copie. Con la stessa tiratura è stata avviata la pubblicazione di una newsletter, che darà spazio a tutte le iniziative culturali e ricreative che saranno promosse nei vari forti. Entro fine settembre sarà aggiornato il sito www.campotrincerato.it. A Forte Carpenedo e a Forte Marghera saranno inoltre messe a disposizione dei visitatori delle guide audiovisive in Mp3 in italiano, inglese e tedesco. Finita la fase sperimentale l’idea è estendere l’iniziativa a tutti gli altri forti. Sono state inoltre formate tre guide con corsi di 40 ore, che renderanno più interessanti le visite guidate alle storiche fortificazioni. «Il 19 settembre - hanno spiegato Belcaro e Pettenò - scadrà il pre-bando per la gestione di Forte Marghera». Ma alcune ali della fortificazione napoleonica sono fortemente danneggiate, ci sono dei fondi per i restauri? «Il bando - precisa l’assessore - prevede che chi gestirà il forte lo debba anche restaurare, con lavori da 60 milioni di euro». Una cifra notevole, ci sarà qualche soggetto con tale disponibilità e l’interesse ad investire? «Noi abbiamo lanciato il bando, poi valuteremo le proposte». Per Pettenò «sono 20 mila all’anno i visitatori richiamati complessivamente dal campo trincerato». Una cifra a cui secondo l’assessore vanno aggiunte le 15/20 mila presenze paganti richiamate ad aprile dalla fiera «Nature». (Michele Bugliari)

 

Tondo: il forte del Monte Festa è un sito di valore mondiale

Messaggero Veneto — 03 settembre 2008 pagina 10 sezione: UDINE

CAVAZZO CARNICO Il 26 ottobre 1917, mentre le truppe italiane si ritiravano da Caporetto, il capitano di complemento Riccardo Noel Winderling eseguì un ordine del Comando d'Artiglieria del XII Corpo d'Armata, lasciando la guida di un gruppo di artiglieri sul Pal Piccolo per assumere quella del Forte di Monte Festa (a quota 1050 metri), tra il lago di Cavazzo e la conca di Carnia, con l'incarico di renderlo immediatamente operativo per opporre la massima resistenza all'avanzata austriaca. Quei duecento uomini che presero possesso della fortificazione sul Monte Festa, fatta costruire nel 1910 proprio allo scopo di assicurare la difesa dei confini orientali da un'eventuale invasione nemica e dotata di otto cannoni a lunga gittatae di altri armamenti secondari, riuscirono a proteggere adeguatamente, dal 30 ottobre al 7 novembre, la ritirata delle divisioni italiane verso Vittorio Veneto.Oggi, a distanza di oltre novant'anni da quella storica impresa, il presidente del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, accompagnato dal consigliere regionale Luigi Cacitti, dal sindaco di Cavazzo Carnico, Dario Iuri, e dalla Guardia Forestale, ha visitato il Forte di Monte Festa che si vuole recuperare quale sito storico mondiale, rendendolo ufficialmente accessibile alle visite anche grazie alla riapertura, qualche mese fa, della strada di accesso da Interneppo. «Non esistono altre testimonianze così rilevanti della I Guerra Mondiale come quelle che si trovano sul nostro territorio - ha affermato Tondo durante il sopralluogo - e proprio per questo abbiamo il dovere e l'interesse di valorizzarle al massimo, recuperando e mettendo a disposizione di tutti i visitatori siti ad alto impatto storico come quello del Monte Festa che, tra l'altro, fa parte dell'affascinante compendio del lago di Cavazzo Carnico».
 

 

Il Vallo Alpino attira visitatori

il Corriere delle Alpi — 02 settembre 2008 pagina 26 sezione: PROVINCIA

VIGO. Sono state diverse centinaia le persone che tra luglio ed agosto hanno visitato gli impianti militari del Vallo Alpino del Littorio a “Rin de Soandre”, sotto il Tudaio. Lo testimoniano le firme ed i complimenti riportati quotidianamente sul piccolo registro che i volontari di Vigo hanno collocato presso uno degli ingressi. Tra i visitatori anche un ottantenne che aveva prestato servizio in queste opere come “Guardia alla Frontiera” durante il secondo conflitto mondiale. Grazie al paziente lavoro di tanti volontari, durato diversi mesi, le postazioni blindate e gli osservatori possono essere visitati in sicurezza grazie ad un impianto di illuminazione che si attiva automaticamente dalle 10 del mattino alle 18 pomeridiane, mentre tutti i punti più pericolosi, come i pozzetti per la raccolta delle acque, sono stati sigillati con della rete metallica. Le opere militari si trovano nel Comune di Vigo e si possono raggiungere sia da Laggio che da Piniè lungo la strada che porta al “Pino Solitario” e quindi alla base del monte Tudaio. Attraversato il Rio Soandre, invece di proseguire sulla strada militare del forte Tudaio si piega a sinistra e dopo 200 metri si giunge all’ingresso della postazione alta. Un corridoio scavato nella roccia porta direttamente ad un osservatorio e a due cannoniere e proprio in una di queste è stata collocata la copia di un cannone puntato su Cima Gogna. Ritornati all’esterno si scende poi per una scalinata detta dei “400 scalini” che conduce all’opera principale dove si possono vedere il ricovero del presidio (40 uomini circa), l’alloggio per l’ufficiale comandante, la sala radio, i depositi viveri, le cucine, i servizi igienici, l’infermeria, le cisterne per l’acqua, i depositi munizioni, la sala per il gruppo elettrogeno per l’illuminazione e il funzionamento del sistema di ventilazione e filtraggio dell’aria. Il tutto compartimentato da porte stagne, che garantivano ai locali l’isolamento da ogni tipo di esalazione prodotta all’interno o da eventuali gas immessi dal nemico. Una serie impressionante di corridoi conduce poi alle cannoniere e alle postazioni blindate per mitragliatrici il tutto sotteso al controllo della vecchia strada del Comelico. Queste moderne fortificazioni sono nate sulle rovine della così detta Fortezza Cadore Maè, crollata inopinatamente nel 1917, nei tristi frangenti di Caporetto. Realizzate alla vigilia del secondo conflitto mondiale, in gran parte blindate e in caverna, rientravano in un ampio sistema definito Vallo Alpino del Littorio, ma più comunemente noto come Linea non mi fido, voluta da Mussolini fin dal 1931 ed estesa lungo tutta la frontiera italiana da Nizza a Trieste. L’armamento era previsto in cannoni di medio calibro (57/43, 75/27 o 47/32) in casamatta protetta, mitragliatrici (Fiat 14/35), mortai da 81 mod. 35 e anche lanciafiamme. L’osservazione e la direzione del tiro erano garantite da torrette metalliche, da impianti fotofonici, stazioni radio e collegamenti telefonici in cavo protetto. Come già avvenuto nella prima guerra mondiale, le fortificazioni vennero però via via sguarnite di cannoni, mitragliatrici, materiali e truppe e nel 1942 tutti i lavori furono sospesi. Oggi la maggior parte delle opere realizzate nell’alto Bellunese appaiono in gran parte abbandonate, in parte smantellate dai recuperanti o danneggiate da qualche vandalo, ma ancora in buono stato. Queste in territorio di Vigo sono state le prime ad essere recuperate e valorizzate in chiave turistica e in questa estate hanno certamente costituito un’attrattiva ulteriore per gli ospiti del Cadore. Walter Musizza Giovanni De Donà

 

Fagagna: degrado nel forte attesi fondi per il restauro

dal Messaggero di Udine del 27.08.2008


FAGAGNA. La situazione di abbandono in cui versa il forte di Fagagna, situato vicino alla Baita degli alpini, desta preoccupazione tra i cittadini: all'interno della struttura, la cui costruzione risale ai primi anni del 1900, ci sono vari pozzetti scoperti che conducono alle sottostanti vasche dove confluisce l'acqua piovana. Vasche simili si trovano pure sul terrapieno del forte, nascoste dalla vegetazione che, negli anni, ha occupato l'area. Anche il fossato che circonda la struttura rappresenta un pericolo; non c'è nessuna protezione a tutela di chi voglia avvicinarsi. Sono in molti a spingersi fin nei pressi dell'imponente manufatto, durante le loro passeggiate, e le preoccupazioni maggiori giungono dai genitori che temono che i loro figli, impegnati magari in quelle "escursioni sul territorio" che hanno riguardato un po' tutti da bambini, finiscano per introdur-si nel forte e farsi male. Se qualcuno cadesse in uno dei pozzetti rischierebbe l'annegamento o-male minore- qualche frattura.
Se il forte di Fagagna è caratterizzato dal degrado, però, altre simili strutture nei comuni limitrofi sono, invece, state recuperate com'è accaduto al Forte Col Roncone di Rive D'Arcano, uno splendido esempio di recupero possibile grazie alla legge regionale 2/2002: la gente perciò si chiede come mai a Fagagna non si sia realizzato un intervento simile.
«E' bene far sapere ai cittadini che come Comune abbiamo inoltrato due domande di contributo, una alla Regione e l'altra al Ministero dei Beni culturali, all'inizio di quest'anno- annuncia il sindaco Gianluigi D'Orlandi- e attendiamo che ci vengano concessi questi contributi. Ci permetterebbero di pensare al progetto di ristrutturazione del forte, per il quale abbiamo già coinvolto l'architetto Cuttini, autore del progetto di ristrutturazione del Forte di Rive D'Arcano. Abbiamo realizzato un ponte d'ingresso, ma abbiamo anche transennato l'area. L'accesso al forte è quindi vietato», (r.s.)

 

MANIFESTO IN DIFESA DI FORTE MARGHERA e per la sua riprogettazione in forma partecipata 

13-08-2008 dal blog su Internet del WWF di Venezia


PREMESSO 

a) che Forte Marghera, così come l’intero Campo Trincerato di Mestre, costituisce un bene pubblico di indiscutibile valore storico, paesaggistico e ambientale per il territorio, non solo comunale, di cui per troppo tempo la popolazione non ha potuto fruire, e dunque una opportunità unica ed eccezionale per migliorare la qualità della vita di un vasto pubblico di cittadini;

b) che tale riconoscimento è sancito da tutti gli strumenti urbanistici vigenti, dal PALAV (Piano di Area della Laguna e dell’Area Veneziana) alla Variante al PRG (Piano Regolatore Generale) per la Terraferma, dal PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) al Piano Guida per il Parco di San Giuliano (approvato all’unanimità dall’Amministrazione Comunale il 19 gennaio 1996), nonché da una serie di vincoli di tutela ex D.Lgs. 42/2004, parte II, quali il D.M. 07.03.1980 e la declaratoria del 10.11.2002;

c) che l’area di Forte Marghera, parte integrante del Parco di San Giuliano, è posta sul bordo lagunare costituendo elemento strategico di connessione tra Venezia e la Terraferma, nonché elemento centrale sia del Campo Trincerato di Mestre che del sistema di aree verdi che secondo il PRG dovrebbe attorniare i centri di Mestre e Marghera (cosiddetto “Progetto Ambientale”);

d) che Forte Marghera è posto all’interno della conterminazione lagunare, fa parte dell’ecosistema lagunare tutelato con specifico decreto ai sensi del D.Lgs. 42/2004 parte III, è adiacente al Sito di Interesse Comunitario denominato “Laguna superiore di Venezia” costituisce il nodo centrale del “corridoio verde” previsto dal PTCP;

e) che su tale area in passato sono stati sviluppati numerosi studi e svolte attività di grande interesse, tra i quali si ricordano in particolare quelli di Marco Polo System GEIE, del 2007, che hanno dato luogo alla definizione di Linee guida, sia al Piano per il riuso e la valorizzazione del Campo Trincerato di Mestre, sia per una Progettazione sostenibile dell’area di Forte Marghera, rispetto al quale la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna ha recentemente (06.06.2008) espresso “un sostanziale assenso e apprezzamento”;

f) che è disponibile un importante contributi di studi, proposte e linee guida, prodotti dalle tante associazioni di volontariato che si sono occupate di Forte Marghera, compreso quello redatto da un raggruppamento di 14 associazioni del territorio (culturali, ambientaliste, pacifiste e di volontariato), e denominato Laboratorio di Progettazione Collettiva F.A.S.E. 1, che ha elaborato in un anno di lavoro (aprile 2007 – marzo 2008) con modalità partecipative il documento “Linee guida per Forte Marghera e per la sua progettazione partecipata”, proponendo di adottare tale modalità partecipativa nella definizione del futuro di Forte Marghera, già a partire dalla stesura del Bando per l’assegnazione in concessione d’uso pluriennale dell’area;

g) che il Comune di Venezia è in procinto di perfezionare l’acquisito la proprietà di Forte Marghera, come di altri forti facenti parte del Campo Trincerato di Mestre, con un importante impegno per la collettività (9,5 milioni di Euro);

h) che lo stesso Comune di Venezia ha emesso alla fine del mese di giugno 2008 un “Avviso pubblico per la ricerca di soggetti interessati a concessioni d’uso a fronte dell’assunzione degli oneri di valorizzazione urbano – architettonica relativamente al compendio Ex Forte Marghera”, ipotizzando la possibilità di insediare “attività a valenza economica” tra le quali quelle fieristiche, di pubblico esercizio e ricettive, nonché la costituzione di un “gruppo di studio” presso la Direzione Interdipartimentale Patrimonio, al fine di “predisporre un bando di gara finalizzato all’individuazione di uno o più soggetti a cui concedere un uso la totalità o parte del compendio dell’Ex Forte Marghera a fronte del suo integrale recupero urbano – architettonico”.

tutto ciò premesso le sottoscritte associazioni, attive in ambito locale, e i sottoscritti cittadini, fruitori attuali e potenziali dell’area pubblica di Forte Marghera

CHIEDONO

1) che vengano rispettate le disposizioni presenti negli strumenti urbanistici e di tutela vigenti, senza eccezioni o varianti “in corso d’opera”, ed in particolare venga mantenuta la destinazione pubblica e garantita la fruibilità dell’intero bene costituito da Forte Marghera, evitando di promuovere una gestione del bene dove possano prevalere logiche di privatizzazione e quindi di alienazione collettiva del forte;

2) che vengano pienamente riconosciuti e tutelati i valori storici, paesaggistici, ambientali e sociali insiti in Forte Marghera, con tutte le sue enormi potenzialità, in termini di pubblica utilità, derivanti dalla posizione strategica, dalla vastità ed eterogeneità degli spazi e degli edifici presenti, dal suo grande pregio naturalistico-ambientale e storico-culturale;

3) che per giungere alla definizione delle scelte sull’utilizzo e sul futuro dell’area vengano adottate modalità riconducibili alla progettazione partecipata, non solo per la selezione e successiva definizione “di dettaglio” del progetto, ma già a partire dalla definizione stessa del bando di gara, coinvolgendo con gli strumenti adeguati la cittadinanza stessa ed i portatori di interessi – sociali, culturali, di categoria ed economici – che vi volessero partecipare, secondo un processo di progettazione aperto, già ampiamente sperimentato in altri analoghi contesti, non solo nazionali;

4) che vengano valutate opportunità alternative a quella, prevista dall’avviso pubblico, della concessione quarantennale di Forte Marghera a privati investitori;

5) che venga garantita la sostenibilità ambientale degli interventi previsti, relativamente ad accessibilità, restauro conservativo, valorizzazione, infrastrutturazione, destinazioni d’uso dell’edificato;

6) che sia attentamente valutato il rischio dell’inquinamento dei terreni e dei canali (rischio concreto, per la specificità dell’utilizzo dell’area nel recente passato e, più in generale per la contiguità con aree industriali e di colmata), e che i conseguenti e probabili costi di bonifica possano giustificarsi ed essere posti a carico della collettività locale solo nell’ottica di un utilizzo pubblico;

E CHE QUINDI


venga rispettato il Piano Guida del Parco di San Giuliano (approvato all’unanimità dal Consiglio Comunale il 19 gennaio 1996), ed in particolare il punto in cui si dice che “poiché la sua attuazione richiederà tempi lunghi, duranti i quali potrebbero succedersi diverse amministrazioni cittadine, una chiara visione del suo futuro dovrà essere condivisa da tutti i membri della comunità: per essere usufruito ed avere successo, il parco necessiterà, infatti, di riflettere appieno le aspirazioni dei suoi utenti. In altri termini, esso sarà espressione di una progettazione dal basso, partecipata e condivisa dal pubblico, non il frutto della convinzione di pochi individui”, e che perciò si avvii fin da subito, avvalendosi anche della collaborazione degli istituti universitari e di ricerca presenti e operanti nell’ambito cittadino, un processo di progettazione partecipata in grado di coinvolgere la più ampia fascia possibile della popolazione interessata al futuro del Forte.


hai tempo fino al 15 settembre per firmare e far firmare il manifesto on line al seguente indirizzo: http://www.petitiononline.com/progpart/petition.html

 

La Grande Guerra ora è online

Alto Adige — 24 agosto 2008 pagina 49 sezione: SPETTACOLO CULTURA E SPETTACOLI

La Grande guerra ora s’impara online In un sito le notizie sui forti, le trincee, i reperti e le schede personali dei trentini caduti A novant’anni dalla fine del conflitto il progetto curato dal Museo delle Guerra che aggiorna in tempo reale il patrimonio Il forte di Cadine al Bus de Vela, a pochi chilometri da Trento verso la valle dei Laghi, sarà pronto il prossimo anno. In ritardo rispetto ai tempi previsti che, nero su bianco nella pubblicazione «Beni culturali 2003», segnalava il 2005. Diventerà il «baluardo», è proprio il caso di dirlo, informativo, sulle fortificazioni trentine realizzate a partire dalla metà dell’Ottocento fino allo scoppio dell Prima guerra mondiale. Qui si potrà consultare la mappa completa di un sistema che comprende 114 forti alcuni dei quali restaurati e visitabili, altri in sistemazione e parecchi ormai irrimediabilmente compromessi dai bombardamenti e dall’opera dei recuperanti nel primo dopoguerra. Ma pure dei camminamenti, delle trincee, delle postazioni e batterie che fecero del Trentino il sanguinoso fronte meridionale del conflitto. «Tra un mese e mezzo circa - riferisce Sergio Flaim, soprintendente ai beni architettonici della Provincia - termineranno i lavori di restauro del forte di Cadine. Poi si dovrà passare all’allestimento». Intanto, a 90 anni dalla conclusione delle ostilità, il patrimonio trentino sulla Grande guerra finisce in internet. E’ infatti pronto e visitabile on-line il sito www.trentinograndeguerra.it curato dal Museo della guerra di Rovereto e che fa parte del più ampio progetto”Grande guerra” promosso dalla Provincia che intende valorizzare forti, camminamenti, trincee, reperti sull’onda della memoria. Ieri la presentazione in piazza Dante presenti l’assessore provinciale alla cultura Margherita Cogo, il presidente e il direttore del museo della guerra Alberto Miorandi e Camillo Zadra, il soprintendente Flaim ma anche i rappresentanti di molte associazioni interessate all’iniziativa e che, in diversi casi, hanno portato il loro contributo. «Il sito - ha detto il direttore Zadra - ha l’obiettivo di documentare, informando in maniera sintetica, su tutto ciò che in Trentino si sta facendo, e c’è, sulla Grande guerra». Da settembre saranno consultabili nel sito - come anticipato dal Trentino nei mesi scorsi - anche le schede, una sorta di”memoriale”, dei trentini caduti (più di 10 mila) con la divisa austro-ungarica, ma anche con quella italiana, durante la Grande guerra. Un lavoro in progress, continuamente aggiornabile, è stato sottolineato a più voci alla presentazione. All’home page del sito si aprono alcune grandi finestre sulle fortificazioni, le visite e le escursioni, gli eventi, le mostre, i musei. Cliccando si apre un mondo di informazioni, appuntamenti, schede tecniche sul sistema delle fortificazioni e sui restauri dei forti (complete le news, peccato che non ci sia alcun riferimento temporale sull’inizio e la fine dei lavori previsti). «Non si tratta di un sito turistico», ha precisato il presidente del museo Miorelli. «Quello sulle orme della grande guerra - ha aggiunto Flaim - è un turismo di nicchia ma in crescita». Zadra ha delineato il panorama trentino della Prima guerra mondiale, ciò che resta sul terreno. «In cinquant’anni, a partire dalla meta dell’Ottocento - ha affermato - si è preparato il territorio alla guerra. Dal 1860 in poi si sono costruiti forti e fortificazioni per poi smantellarle e riedificarle secondo le più aggiornate tecniche di costruzione bellica. Adesso si sta ricostruendo un paesaggio storico unico in Europa e, anche attraverso l’attivazione di questo sito, si realizza un progetto di sistema unico in Italia». «Internet è una soluzione ideale - ha aggiunto l’assessore Cogo - per una comunicazione completa dell’operazione». - Paolo Piffer

 

Due musei, sentieri opere militari e il lago di Raibl

Messaggero Veneto — 22 agosto 2008 pagina 13 sezione: CULTURA - SPETTACOLO

La storia di Cave spiegata in due musei, ma anche in una serie di opere militari disseminate sul territorio e raggiungibili grazie a una miriade di sentieri. Non solo. Il paese è un esempio mirabile di archeologia industriale, un vero e proprio museo a cielo aperto. Cave è dunque una meta obbligata per i turisti, che l'anno scorso sono giunti in questo paese del Tarvisiano ben in 7 mila. Tappa numero uno, la visita alla Mostra Museo della tradizione mineraria. Realizzata grazie al grande lavoro dei volontari della cooperativa Nuova Raibl, è divisa in due parti: in un edificio esterno si racconta la storia del paese attraverso l'ausilio di pannelli illustrativi e di decine e decine di cimeli. Dentro la miniera, invece, un percorso illuminato permette al turista di avventurarsi lungo 500 metri di gallerie. Solo la mancanza di una serie di autorizzazioni impedisce ai volontari di inaugurare un vero e proprio parco geominerario, con centinaia di metri di cunicoli visitabili all’interno della montagna. «Manca una firma o poco più», spiega con rammarico Valerio Rossi, ex presidente della cooperativa. Il museo è aperto ogni giorno dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18 (fino alla fine del mese anche di lunedì). Nell’ex scuola elementare invece è ospitato il Museo storico militare delle Alpi Giulie gestito dall’associazione Gruppo storico tarvisiano: in cinque sale si snoda un excursus dalle guerre austro-napoleoniche, fino alla prima e alla seconda guerra mondiale, con un sacco di reperti e pannelli illustrativi. Il museo è visitabile fino a metà settembre da martedì a sabato con orario 10-12, 15-18 e la domenica dalle 10 alle 12. A integrazione poi è possibile, e consigliabile, la visita alle diverse opere militari presenti in zona come la Batteria di Sella Predil, il forte del lago e il Vallo Littorio. Sosta d’obbligo al lago di Raibl, angolo incantevole delle Alpi Giulie dove negli ultimi anni d’estate è sempre più diffusa la pratica del windsurf. (a.s.)
 

 

Crollate le baracche al forte

la Nuova di Venezia — 21 agosto 2008 pagina 21 sezione: CRONACA


ZELARINO. Diventa ancora più difficile la situazione di Forte Mezzacapo, la struttura militare in procinto di passare al Comune situata in via Scaramuzza a Zelarino. L’ondata di maltempo che si è registrata la scorsa settimana, infatti, ha causato una serie di danni all’interno del complesso, con il crollo di due delle tre strutture in legno e la caduta di grossi rami che sono andati a rovinare su altri edifici. A creare la maggiore preoccupazione è il fatto che le «baracche» crollate facevano già parte dei siti da bonificare dall’amianto, sostanza nociva presente in forti quantità in molte vecchie basi militari. In sostanza, l’intervento ora si fa ancora più urgente, visto che il rischio che polveri vengano rilasciate nell’aria è maggiore. «Questa non è una buona notizia», commenta l’assessore ai Lavori pubblici, Laura Fincato, «in ogni caso la bonifica al Mezzacapo era già prevista, come era già noto che anche il terreno avrebbe avuto bisogno di una pulizia speciale. Il crollo delle due baracche non è da sottovalutare, dalla prossima settimana metterò in moto gli uffici del mio assessorato per partire con la bonifica». Il problema di qualunque intervento a Forte Mezzacapo, però, è legato all’effettiva proprietà dell’area: sulla carta, infatti, l’intero complesso è ancora nelle mani delle forze armate, come recitano i cartelli appesi lungo la recinzione esterna. Il passaggio del forte, che fa parte di un lotto che comprende anche il Gazzera e il Pepe, dovrebbe essere formalizzato entro la fine del mese, in ogni caso non è da escludere che il Comune parta con le operazioni di rimozione dell’amianto anche prima di essere entrato effettivamente in possesso della struttura. Poco tempo fa, tra l’altro, all’interno della struttura era stato effettuato un sopralluogo presenti gli assessori Fincato, Rumiz (Patrimonio), la presidente municipale Maria Teresa Dini e i rappresentanti dell’associazione «Dalla guerra alla pace». (Maurizio Toso)

 

Tudaio, una risorsa abbandonata

Il Corriere delle Alpi — 20 agosto 2008 pagina 26 sezione: PROVINCIA

VIGO. Il Tudaio è divenuto oggi meta turistica ambita, sia per l’indubbia attrattiva costituita dai ruderi, almeno in parte visitabili, sia per il vasto panorama offerto. Dal 2001, in seguito a stanziamenti europei e all’entusiasta opera di volontari, il monte costituisce l’attrattiva principale di un percorso culturale opportunamente documentato da guide e pannelli esplicativi. Peccato però che sia bastato un lustro per portare alla fatiscenza e al completo degrado tutto l’apparato allestito, finito preda sì di condizioni climatiche sfavorevoli, ma pure di un triste vandalismo tipico della nostra epoca. Fatto certo non incoraggiante, ma che non esime dalla responsabilità di ripristinare convenientemente in nome dei diritti sacrosanti della cultura e del turismo. Nel 1998, al Comune di Vigo veniva concesso un finanziamento dalla Regione Veneto per la realizzazione e lo sviluppo di un itinerario turistico sul Tudaio (spesa totale 73 milioni di vecchie lire, di cui 51 di contributo e 22 a carico del Comune, che li ha poi ottenuti dal BIM). Il percorso da valorizzare rientra nella cosiddetta “Via dei forti del Cadore” e si proponeva di stimolare non solo il turista ma anche la popolazione locale alla conoscenza del territorio, dell’ambiente naturale e della sua storia, con la collocazione di una serie di pannelli riportanti i toponimi originali, talvolta vecchi di secoli, in quei luoghi che fino a qualche decennio fa erano interessati dalle attività silvo-pastorali. Un’altra serie di pannelli aveva invece riguardato i vari manufatti di uso militare sulla vetta del monte, corredata da disegni e fotografie d’epoca con sulla vetta un punto di inquadramento storico geografico: una rosa dei venti indicante gli obbiettivi militari del forte, le cime principali e l’ubicazione degli altri impianti fortificatori cadorini. Sulla cima il vento e il sole hanno rovinato completamente i pannelli grandi e tre pannelli piccoli; lungo la strada sono stati asportati da vandali diversi pannelli; a Laggio, infine, sul piazzale-posteggio presso l’arena, ormai da 5 anni manca l’intero grande pannello esplicativo. Il monte Tudaio rappresenta oggi una meta turistica davvero interessante: durante la sua risalita ci sono punti nei quali davvero non si sa se dedicare tutta la propria ammirazione al panorama o piuttosto alle testimonianze dell’opera umana, spesso mirabili proprio sotto i piedi. Muri di scarpa e controscarpa, scavi nella roccia, riservette, postazioni e gallerie stanno ancora là, a ricordare il patrimonio di tecnica e volontà speso da soldati e civili per permettere all’arte della guerra di arrampicarsi fino alla cima, di piazzare le sue potenti batterie a 2114 metri di quota. Sulle immense pareti di roccia occhieggiano ancora i grossi anelli che permettevano lo scorrere delle funi necessarie per il traino dei cannoni. Quassù, sotto la svettante Cima Bragagnina, sembra che la storia si sia fermata: le lastre di cemento, affastellate una sull’altra, sembrano immortalate per sempre nell’istantanea dell’esplosione, voluta dal nemico invasore nell’ottobre 1918 per non lasciare il forte intatto come l’aveva ereditato dopo Caporetto. In tante pietre ad arte connesse, in tanto cemento, puoi cogliere la preparazione doviziosa ed ambiziosa alla Grande Guerra, all’inanità dello sforzo, al fallimento strategico e tattico di tali apparati nel momento del bisogno. E forse quassù la potenza della natura e la caducità dei disegni umani acquistano un sapore nuovo, quello di una comprensione intuitiva ed immediata, al di là di ogni contingenza causale o temporale. (w.m./g.d.d.)

 

DIFESA MISSILISTICA: WASHINGTON E LA POLONIA PORTANO IL MONDO VERSO LA GUERRA

Da comedonchisciotte.org del 18 agosto 2008

La firma il 14 agosto di un accordo tra i governi degli Stati Uniti e della Polonia per lo spiegamento sul suolo polacco di ‘missili intercettori’ Usa è la più pericolosa mossa verso una guerra nucleare che il mondo abbia visto dalla crisi cubana dei missili del 1962. Lungi dall’essere una mossa difensiva per proteggere gli Stati europei della Nato da un attacco nucleare russo, come hanno fatto notare gli strateghi militari i missili Usa in Polonia pongono una minaccia esistenziale totale alla futura esistenza della nazione russa. Il governo russo ha rilasciato ripetuti avvertimenti su questo fatto a partire dal momento in cui per la prima volta i piani Usa vennero svelati all’inizio del 2007. Oggi, nonostante ripetuti tentativi diplomatici da parte della Russia di raggiungere un accordo con Washington, l’amministrazione Bush, in seguito all’umiliante sconfitta Usa in Georgia, ha esercitato pressioni sul governo polacco perché infine firmasse l’accordo. Le conseguenze potrebbero essere impensabili per l’Europa e per il pianeta. L’accordo preliminare per posizionare gli elementi dello scudo di difesa missilistica globale Usa è stato firmato dal viceministro degli esteri polacco Andrzej Kremer e dal capo dei negoziatori Usa John Rood il 14 agosto. In base ai suoi termini Washington prevede di posizionare 10 missili intercettori in Polonia accoppiati con il sistema radar della Repubblica ceca che afferma risibilmente essere volto a contrastare attacchi da quelli che definisce “Stati canaglia”, compreso l’Iran. Per raggiungere l’accordo Washington ha acconsentito a rinforzare le difese aeree polacche. L’accordo deve essere ancora approvato dai governi dei due paesi e dal Parlamento polacco. Il primo ministro polacco Donald Tusk, durante un commento televisivo, ha affermato che “gli eventi nel Caucaso mostrano chiaramente che tali garanzie di sicurezza sono indispensabili”. Le discussioni tra Polonia e Stati Uniti riguardanti i missili si sono trascinate per mesi prima delle recenti ostilità in Georgia. Il portavoce stampa della Casa Bianca di Bush, Dona Perino, ha affermato ufficialmente: “crediamo che la difesa missilistica sia un contributo sostanziale alla sicurezza collettiva della Nato”. Funzionari affermano che la base di intercettori in Polonia verrà aperta nel 2012. L ’otto luglio la Repubblica ceca aveva firmato un accordo per ospitare un radar Usa. La firma assicura ora un’escalation di tensioni tra la Russia e la Nato e una nuova corsa agli armamenti da guerra fredda in piena potenza. È importante che i lettori comprendano, come descrivo in modo estremamente dettagliato nel mio libro che uscirà in autunno Full Spectrum Dominance: The National Security State and the Spread of Democracy [“Dominio ad ampio spettro: lo stato di sicurezza nazionale e la diffusione della democrazia”], che la capacità da parte di una delle due fazioni opposte di mettere dei missili antimissile entro 90 miglia dal territorio dell’altra, anche solo con una batteria di missili antimissile primitiva di prima generazione, fornisce a tale fazione una virtuale vittoria in un equilibrio nucleare e costringe l’altra parte a prendere in considerazione una resa incondizionata o a reagire preventivamente lanciando un suo attacco nucleare prima del 2012. Anziani legislatori russi hanno affermato venerdì che l’accordo danneggerebbe la sicurezza in Europa, e hanno ripetuto che la Russia dovrà intraprendere passi per assicurare la sua sicurezza. Andrei Klimov, vice presidente del comitato affari internazionali della Duma russa, ha affermato che l’accordo è pensato per dimostrare “la lealtà di Varsavia agli Usa e ricevere benefici materiali. Per gli americani è un’opportunità per espandere la loro presenza militare nel mondo, anche in vicinanza della Russia. Per la Nato si tratta di un rischio aggiuntivo… Molti paesi Nato non ne sono contenti, tra cui Germania e Francia”. Klimov ha definito l’accordo un “passo indietro” verso la guerra fredda.

La risposta russa

I piani USA di costruire un radar nella Repubblica ceca e posizionare i 10 missili intercettori nella Polonia settentrionale come parte di uno scudo missilistico a controllo Usa per l’Europa e il Nordamerica sono stati ufficialmente venduti sotto la risibile spiegazione che fossero volti contro possibili attacchi da “Stati canaglia” tra cui l’Iran. La scorsa primavera, l’allora presidente russo Vladimir Putin, mostrò la superficialità della propaganda Usa offrendo ad uno sconcertato presidente Bush l’uso da parte della Russia di stabilimenti radar russi in Azerbaijan sul confine iraniano per meglio monitorare possibili lanci di missili da parte dell’Iran. L’amministrazione Bush ha semplicemente ignorato l’offerta, mostrando che il vero obiettivo è la Russia e non “stati canaglia come l’Iran”. La Russia vede giustamente lo schieramento dello scudo missilistico Usa come una minaccia alla sua sicurezza nazionale. Quest’ultimo accordo con la Polonia anticipa una risposta russa. Funzionari russi hanno precedentemente detto che Mosca avrebbe schierato i suoi missili tattici Iskander e i bombardieri strategici in bielorussia e nella più occidentale provincia russa di Kaliningrad se Washington avesse portato a compimento i suoi piani sullo scudo missilistico in Europa. Mosca ha anche avvertito che potrebbe prendere come obiettivo i missili sul suolo polacco. Secondo un esperto militare russo, la Russia sta anche discutendo la messa in orbita di un sistema di missili balistici di risposta ai piani di difesa missilistica Usa per l’Europa centrale. Il colonnello generale Viktor Yesin, ex capo di stato maggiore delle Forze Missilistiche Strategiche Russe, attualmente vice presidente dell’Accademia per gli Studi sulla Sicurezza, la Difesa e la Giustizia, ha affermato: “potrebbe essere implementato un programma per creare missili balistici in orbita capaci di raggiungere il territorio Usa tramite il polo sud schivando le basi Usa di difesa aerea”. L’unione sovietica aveva abbandonato tali missili seguendo quanto stabilito dal trattato START I, parte di accordi post guerra fredda con gli Usa, accordi che sono stati “significativamente ignorati da Washington, dal momento che ha spinto i confini della Nato sempre più vicino alle porte di Mosca”.

Anche Obama appoggia la difesa missilistica

L’accordo dividerebbe ulteriormente i paesi europei tra quegli Stati che il consigliere per la politica estera di Barack Obama, Zbigniew Brzezinski, definisce apertamente “vassalli” Usa e stati che cercano politiche più indipendenti. [Barack Obama e il suo consigliere per la politica estera, il falco Zbigniew Brzezinski.] Qualunque illusione che una presidenza democratica di Obama significherebbe un passo indietro su tali provocatorie mosse militari di questi ultimi anni da parte degli Usa e della Nato dovrebbe essere abbandonata dal momento che la squadra di politica estera di Obama comprende altri pericolosi pensatori in aggiunta a Zbigniew Brzezinski, quali il figlio dello stesso Brzezinski, Ian Brzezinski, attuale Vice Assistente Segretario alla Difesa per gli Affari Europei e la Nato. Ian Brzezinski è un devoto sostenitore della politica di difesa missilistica Usa così come dell’indipendenza del Kosovo e dell’espansione della Nato in Ucraina e Georgia. Titolo originale: ” Missile Defense: Washington and Poland just moved the World closer to War” Fonte: http://www.globalresearch.ca
 

Germania. Ostalgia. Folla in visita al bunker di Monecker

Da americaoggi.info del 3 agosto 2008

BERLINO. Nome in codice: ‘Bunker 17/5001'. Destinazione d'uso: quartier generale per operazioni belliche in caso di guerra. Il super-bunker atomico voluto dall'ex dittatore della Germania comunista, Eric Honecker, è aperto al pubblico, ma questa storica occasione di visitare una delle più controverse reliquie della Guerra Fredda durerà poco: presto scomparirà per sempre sotto una colata di cemento. Da venerdì, folle di turisti, curiosi e storici hanno l'opportunità di entrare - per la prima volta - nel bunker che secondo Honecker avrebbe dovuto mettere al riparo l'elite dell'ex Rdt da un eventuale attacco nucleare. La maxi-struttura, situata a una profondità di 24 metri e pensata per resistere anche all'esplosione di una bomba atomica più potente di quella sganciata a Hiroshima dagli americani, si trova a Prenden, una località a circa 40 km a Nord di Berlino. Costruita all'apice della Guerra Fredda, tra il 1978 e il 1983, con l'aiuto di ben 85.000 tonnellate di cemento armato, rimarrà aperta al pubblico solo per tre mesi, fino al 31 ottobre, quando sarà sigillata per sempre. I tour vanno a ruba, riportava ieri la stampa tedesca. Segno che rimane alta nel Paese la cosiddetta ‘Ostalgia', un gioco di parole tra Ost - cioé Est in tedesco - e nostalgia. Dopotutto, secondo un sondaggio pubblicato lo scorso settembre dal settimanale Super Illu, quasi due tedeschi dell'ex Germania dell'Est su tre hanno buoni ricordi della vecchia Rdt socialista, anche se pochi vorrebbero rivivere quel periodo. E la ‘Ostalgia', lo scorso maggio, ha dato agli appassionati di questo genere un hotel stile comunista nella capitale - un cosiddetto ‘Ostel' - con tanto di fotografie di Honecker appese alle pareti. L'ex dittatore, da parte sua, non avrebbe apprezzato molto il super-bunker. "Alcuni testimoni ci hanno raccontato che Honecker rimase spaventato o scioccato" quando lo visitò, ha detto Sebastian Tenschert, il fondatore della Berlin bunker network, l'associazione che ha contribuito ai lavori di restauro della struttura in vista dell'apertura. Non a caso, sembra che lo visitò solo una volta e solo per un quarto d'ora. Non è così, invece, per i visitatori di questi giorni. Si può scegliere infatti tra due tipi di tour: uno da due ore al prezzo di 20 euro e un altro più impegnativo da quattro ore, per 100 euro. Il primo offre un ‘assaggio' del super-bunker a tre piani e accompagna i visitatori attraverso circa 300 stanze e centinaia di pesanti porte d'acciaio; il secondo prevede anche passaggi più difficili attraverso le condotte per l'aerazione e i locali delle macchine. Tra i primi a visitare la struttura, venerdì, c'era Falko Schewe, un tecnico che dal 1987 al 1991 ha lavorato in gran segreto alla manutenzione del bunker, tanto che solo i famigliari più stretti sapevano come si guadagnasse da vivere. Nella Germania occidentale non si sapeva dell'esistenza del bunker atomico di Prenden, ha raccontato alla stampa internazionale un membro dell'ex governo della Rdt, così come il pubblico è venuto a conoscenza dell'esistenza di un bunker sotterraneo a prova di bomba atomica nella Germania Ovest solo dopo la fine della Guerra Fredda.

 

Berlino, l' ultima visita al bunker di Honecker il rosso

Da il Corriere della Sera del 3 agosto 2008

Costato 230 milioni di marchi, sarà coperto di cemento. In caso di attacco nucleare, 14 giorni di sopravvivenza. Un «telefono verde» per parlare con il Cremlino

DAL NOSTRO INVIATO BERLINO - Adesso dicono che al compagno presidente Honecker non piacesse: «Era un po' spaventato e scioccato quando è venuto a vederlo». Una sola volta, all' inaugurazione, nel 1983, quindici minuti per risalire subito a prendere aria. Ma il bunker anti-atomico, che doveva salvare il leader Erich Honecker e gli alti gradi comunisti della Germania Est nel caso di un attacco nucleare o d' una improvvisa guerra con l' Occidente, è la prima «sala di comando» del blocco sovietico ad essere aperta - e per soli tre mesi - al pubblico. Logico che nel week-end i tour siano andati esauriti (www.bunker5001. com). Prenden, quaranta chilometri da Berlino: qui la piatta campagna del Brandeburgo coperta dai pini nascondeva uno degli obiettivi più sensibili della guerra fredda. Nome in codice: 17-5001, una città sotterranea grande meno di un campo di calcio (49x60m), che poteva accogliere 400 persone. Venti metri sotto terra, un soffitto spesso 4,6 metri in grado di reggere le onde d' urto d' una bomba atomica di 100 chili - s' è calcolato - che cade a 500 metri di distanza. Erano gli anni della paranoia e della tensione: per costruirla hanno speso 230 milioni di marchi, più che per il palazzo presidenziale. Si accede da un precario ingresso. Tutto è rimasto intatto, solo è sporco, umido e incrostato di muffa. Fa freddo. Le docce per la decontaminazione all' ingresso. Corridoi blindati da porte di ferro come sui sottomarini, 170 stanze. E una serie di giganteschi impianti: per l' aria condizionata perché con i macchinari accesi il bunker diventava un forno, per pressurizzare l' aria, per raccogliere l' acqua. La cucina (mai usata), e la grande sala di comando, da dove dirigere tutte le operazioni, salvo quelle guidate dai sovietici. La stanza di Honecker è piccola e spoglia, tappezzeria rossastra, ma gli arredi se li sono portati via i ladri che conoscono il bunker da anni. Letto singolo: non c' è spazio nel Consiglio di guerra e, nell' ora dell' apocalisse, per la moglie Margot. Un telefono verde, non rosso, per chiamare il Cremlino. Potevano resistere sottoterra per 14 giorni, poi - prevedeva il piano - dovevano raggiungere Mosca in auto (chiaramente, speciali). Tra i primi visitatori, operai ed ex militari che il bunker l' hanno costruito. Come Falko Schwehe, militare della Stasi, addetto ai telefoni che ci ha lavorato fino al ' 91. Sua moglie sapeva dell' impiego, sua madre anche. «Ma nessun altro». Dal ' 78 all' 83, i muratori venivano portati lì coi bus alla mattina e riportati a casa la sera. Consigliato non fare amicizie. Eppure, era davvero così segreto l' ultimo rifugio dei capi della Ddr? Un bunker che si trova a pochi chilometri da Wandlitz, la celebre colonia delle alte gerarchie comuniste? Per giunta protetto da un villaggio abitato dalle spie della Stasi? Alcuni ricercatori sono sicuri che la rete satellitare Nato avesse individuato il sito, ma l' avesse ritenuto una base missilistica. O forse gli Usa sapevano di più. Da anni, da quando nel ' 93 era stata rilevata la sua esistenza, il bunker era diventato un luogo underground di culto. Attirava appassionati, avventurieri, ladri. Non i turisti «ostalgici» che ci fanno ritorno in questi giorni. «Negli ultimi 6 mesi abbiamo avuto 50 incursioni - dice Sebastian Teschert del Berlin Bunker Network -. Per questo l' abbiamo aperto al pubblico». Ma la manutenzione è difficile, impossibile tenere in vita questo relitto della Ddr con il costo dei biglietti (20 euro al tour). Resterà aperto fino a ottobre, poi ci getteranno sopra una spessa colata di cemento. * * * La storia Due Germanie Nel secondo dopoguerra la Germania fu divisa in due: a Ovest, la zona occupata dagli alleati occidentali, venne restituita alla sovranità di un governo tedesco con sede a Bonn mentre a Est, nella zona di occupazione sovietica, il 7 ottobre 1949 venne proclamata la Repubblica Democratica tedesca a regime comunista. Nel 1990, un anno dopo la caduta del Muro di Berlino, le due Germanie si riunificarono Bunker Il super bunker atomico voluto da Honecker si trova a Prenden, 40 km a nord di Berlino. Da ieri è aperto al pubblico che lo potrà visitare fino a quando, tra tre mesi, scomparirà per sempre sotto una colata di cemento di Gergolet Mara

 

Due incendi a Forte Tron e in rudere abbandonato

la Nuova di Venezia — 02 agosto 2008 pagina 20 sezione: CRONACA

CA’ SABBIONI. Incendi in case coloniche abbandonate a Ca’ Sabbioni e a ridosso di Forte Tron. I residenti chiedono più controlli contro il degrado. A Forte Tron e nel rudere di una casa colonica si sono sviluppati ieri dei piccoli incendi. Per uno di questi, in via Colombara ieri alle 15, sono stati fatti intervenire i pompieri. Si è visto un gran fumo levarsi dall’edificio abbandonato a pochi passi da via Padana e i residenti hanno chiesto soccorso viste le fiamme. Il fuoco di sterpaglie e materiale abbandonato è stato spento con il contributo dei residenti. Un incendio alle prime ore dell’alba si era sviluppato anche nell’area di Forte Tron dove sono depositati rifiuti alla rinfusa che spesso vengono incendiati da balordi che dormono nel forte di notte. «La situazione da qualche tempo - spiega il consigliere della Municipalità di Marghera Nilo Dal Molin - è pesante. In diversi ruderi abbandonati nell’area di via Colombara e nella zona di Forte Tron - dice Dal Molin - dormono di notte ma sostano anche di giorno nomadi e sbandati, spesso immigrati clandestini o barboni. Gli incendi si sviluppano perché questi lasciano a terra su giacigli improvvisati mozziconi di sigarette o accendini. Queste aree vanno controllate più assiduamente dai vigili urbani che devono sloggiare questi abusivi. Spesso sono addirittura i residenti che spengono le fiamme con secchi l’acqua ed estintori per evitare che le fiamme intacchino gli edifici vicini. (Alessandro Abbadir)

 

Le fortificazioni belliche passato e futuro, guerra e pace

il Corriere delle Alpi — 30 luglio 2008 pagina 21 sezione: PROVINCIA

LIVINALLONGO. Una giornata tra la memoria delle follie passate e la speranza per il futuro, rappresentata dalle fortificazioni belliche che sono state ripristinate in chiave turistica: questa la chiave di lettura del Convegno “Guerra e Pace”, che il Circolo Cultura e Stampa Bellunese ha in programma il 18 agosto, per celebrare i novant’anni dalla fine del primo conflitto mondiale. L’appuntamento è per le 10 nella “Sala Bersaglio”, alle pendici del Col di Lana, ed avrà una scaletta di ospiti accreditati, che cominceranno con i contributi sulla guerra, per sfociare nella pace. Per capire meglio l’ottica del Convegno, vediamo una sintesi del programma. L’apertura sarà affidata a Edoardo Pittalis, che narrerà le parti più toccanti del libro “Lettere di Guerra di un Ufficiale del Genio”, di Caetani. Libro che è stato il motivo ispiratore dell’intero evento, e che ne ha anche scandito la data del 18: l’ultima lettera del Caetani trascritta, è infatti del 17 agosto 1945. Dopo Pittalis, un confronto tra due storici sulla guerra per mine: da un lato quella sul Col di Lana, narrata dal Tenente Colonnello Giuseppe Magrin, dall’altro, quella sul versante austriaco, riportata invece da Robert Striffler. E poi, la Pace: Floriano Pra, come presidente di Dolomiticert ed ex assessore regionale per il turismo, proporrà una carrellata degli interventi che hanno rivalutato le opere di guerra in attrazioni turistiche di pace. Quindi il finale, che vedrà la scrittrice ed alpinista Antonella Fornari con l’intervento, ispirato ad uno dei suoi volumi, “La voce del silenzio - Appunti di storia di montagna sui sentieri di Guerra”. L’appuntamento è realizzato con il contributo di Dolomiticert, del Centro Studi Transfrontaliero del Comelico e Sappada e della Cm Agordina, con il patrocinio del Comune di Livinallongo del Col di Lana e delle Cm e con la collaborazione del Comando regionale per il Veneto del Corpo forestale dello Stato e l’unità periferica del Servizio forestale regionale di Belluno. Info Circolo Cultura e Stampa Bellunese: tel. e fax 0437/948911,
info@ccsb.it.


 

La basi Usa in Italia
Da limesonline.it del 28 luglio 2008

Le basi americane in Italia
Sono rimaste sei le principali basi militari americane in Italia, dopo la recente chiusura della base nell’arcipelago della Maddalena in Sardegna, e formano due assi operativi. Il primo è quello settentrionale e collega la base dell’aeronautica di Aviano con quelle dell’esercito di Camp Ederle a Vicenza e di Camp Darby tra Livorno e Pisa. L’altro asse invece è delle marina Usa che può contare sulla base di Napoli (dove c’è anche il quartier generale della Nato), sulla base aeronavale di Sigonella in Sicilia e a Gaeta sulla nave comando della VI flotta. Bombe nucleari B61, eredità della guerra fredda, sarebbero poi conservate dagli americani ad Aviano e a Ghedi, base dell’aeronautica italiana con compiti Nato, ma su questo tema non ci sono conferme ufficiali, anche se ci sono diversi studi che affermano la loro presenza. Una base importante in stand by è poi quella di San Vito dei Normanni in Puglia. Ogni base si compone di più installazioni distribuite sul territorio attorno a quella principale. Per questa ragione nel rapporto del Pentagono sulle basi americane nel mondo (Base Structure Report 2007), si elencano 49 siti (+40 siti minori). Non è corretto però dedurre che si tratta di 89 basi. Ad esempio la base di Vicenza conta ben 6 installazioni elencate nel documento americano, che comprendono anche il villaggio delle famiglie e i depositi degli autoveicoli. La presenza militare americana in Europa ha da sempre una doppia connotazione: multilaterale, sulla base degli accordi Nato, e bilaterale con i singoli paesi. A lungo è stata una distinzione poco più che formale, ma dopo la guerra fredda ha assunto una valenza anche molto concreta. Ciò ha ingenerato anche l’equivoco tra basi Nato e basi americane. In realtà l’Alleanza atlantica non dispone di basi proprie. Ha solo i quartier generali (in Italia è rimasto quello di Napoli), una serie di installazioni come antenne e radar e alcune istituzioni particolari come il Nato Defense College a Roma. Per le proprie attività utilizza le basi e i mezzi messi a disposizione dei paesi membri. In teoria tutte le basi militari italiane possone essere messe a disposizione dell’Alleanza e quindi essere considerate basi Nato. Ad esempio durante la guerra del Kosovo furono ben 12 le basi italiane messe a disposizione della forze Nato per gli attacchi aerei contro la Jugoslavia. Per quanto riguarda le basi cosiddette americane, si tratta sempre di basi italiane in cui sono ospitati truppe e mezzi americani. C’è sempre un comandante italiano e una forza di sicurezza italiana. In pratica però in molte di queste basi la presenza americana è preponderante. Ad esempio nella base aerea di Aviano non ci sono aerei italiani. Ciò non toglie però che l’Italia può esercitare il controllo sulle attività degli alleati americani nella base, come è precisato nel memorandum d’intesa del 1995 tra Italia e Stati Uniti. di Alfonso Desiderio

 

Forte Tron, bonifica conclusa A fine estate sarà ceduto al Comune

la Nuova di Venezia — 25 luglio 2008 pagina 25 sezione: CRONACA

MARGHERA. «La fase della bonifica di Forte Tron si è conclusa questa settimana. Entro l’autunno il forte sarà ceduto al Comune e diventerà un punto di aggregazione per tutta la città. Intanto in questi due mesi di lavoro dei militari il forte è stato recuperato dal degrado e dall’incuria in cui era piombato». Ad annunciare la fine dello sminamento sono i delegati della Municipalità Valdino Marangon e Andrea Badon. «In questi mesi di giugno e luglio - spiega Badon - il Ministero della Difesa ha incaricato una ditta specializzata per recuperare il materiale bellico. La presenza di militari è stata elevata e ha evitato che sbandati e incivili aumentassero il degrado. L’operazione è conclusa e la struttura, dopo l’iter di assegnazione, potrà essere a disposizione del Comune e della Municipalità di Marghera che hanno intenzione di farne un luogo di aggregazione per il quartiere». «Il collegamento con il forte è stato interrotto in questi mesi dai militari che hanno scavato un fossato tutto intorno - dice Marangon - Avremmo piacere che questo fossato restasse lì ed isolasse l’area almeno fino a quando a settembre non sarà consegnata ufficialmente al Comune e alla municipalità». (a.ab.)
 

I forti passano al Comune entro agosto

la Nuova di Venezia — 24 luglio 2008 pagina 30 sezione: CRONACA

ZELARINO. I più ottimisti sul futuro di forte Mezzacapo, l’ex base dell’esercito di via Scaramuzza, per una volta sono i militari. Già, perché il Comune ha ricevuto dal quinto Reparto infrastrutture, l’unità delle forze armate di stanza a Padova che gestisce le risorse immobiliari, la comunicazione che il passaggio effettivo di forti dal Demanio Militare a Ca’ Farsetti sarà effettuato entro fine agosto. Il lotto comprende i forti Mezzacapo, Gazzera e Pepe. Sulla vicenda Mara Rumiz, assessore al Patrimonio, preferisce andarci cauta: conferma la scadenza di fine agosto ma aggiunge anche che «prima di cantare vittoria aspetto che il passaggio avvenga effettivamente». Scaramanzia? Viste tutte le traversie che hanno accompagnato la partita forti, in particolare per quanto riguarda il Mezzacapo, pare piuttosto giusta prudenza. Nel caso, augurabile, che alla fine del prossimo mese i tre forti divengano a tutti gli effetti proprietà del Comune, però, questo sarà solo un primo risultato incassato. Ieri, infatti, è stato effettuato un sopralluogo al Mezzacapo, presenti gli assessori Mara Rumiz e Laura Fincato (Lavori pubblici), la presidentessa di Chirignago-Zelarino, Maria Teresa Dini, i rappresentanti dell’associazione «Dalla guerra alla pace» e tecnici dei due assessorati. Guarda caso, le opinioni delle istituzioni presenti grosso modo coincidono: l’area di Forte Mezzacapo ha grandi potenzialità, da sfruttare nel migliore dei modi, ma l’intero complesso necessita, dopo il passaggio di consegne tra forze armate e Comune, di una seria operazione di bonifica. Il problema, infatti, è la presenza massiccia di amianto, localizzato soprattutto nelle costruzioni più recenti del forte. Il suo smaltimento sarà la mossa preliminare del recupero della struttura, azione che si preannuncia non solo complessa, ma anche onerosa per le casse comunali. Tanto per rendere l’idea, all’assessorato ai Lavori pubblici era già stato approntato un piano per la bonifica di uno dei magazzini, operazione per quale era stata prevista una spesa di 20.000 euro, cifra quest’ultima che ora viene considerata di molto inferiore a quella che sarà necessario sborsare per ripulire il complesso dall’amianto. Una volta bonificato il forte, poi, bisognerà dare il via a una manutenzione generale, per poi decidere quale uso fare del complesso. (Maurizio Toso)
 

 

Il Forte Marghera è del Comune

Silvano Bottaro Mercoledì, 23 Luglio 2008

Dopo dieci anni di carte bollate il Forte Marghera è proprietà comunale.

Finalmente la plurisecolare costruzione appartenente al demanio militare passa di fatto alla città, a confermarlo è l’assessore al patrimonio Mara Rumiz che però avvisa: ci vogliono 60 milioni per sistemarlo e lancia un appello a i privati per una “cordata”. L’idea è di appaltarlo agli stessi per una quarantina d’anni, in modo che possano così iniziare una serie di attività di natura economica per poter far fronte a tutte le spese che la sistemazione del forte richiede. Nel frattempo il Forte rimane aperto ogni giorno dalle 12 alle 24.

 

A Malborghetto la storia è protagonista Conferenze, guide e libri sull'Alto Friuli

Messaggero Veneto — 09 luglio 2008 pagina 11 sezione: GORIZIA

MALBORGHETTO. Storia protagonista nel palazzo Veneziano di Malborghetto. Hanno preso il via, a cura della Comunità Montana di Gemona, Canal del Ferro e Valcanale, le serate a tema dedicate ad alcuni avvenimenti che nel corso del primo e del secondo conflitto mondiale (ma non solo) hanno profondamente segnato l’Alto Friuli. Dopo il primo appuntamento con Elvio Pederzoli e le descrizioni delle fortificazioni esistenti nel territorio montano, domani, domani, toccherà allo storico Davide Tonazzi raccontare l’esperienza di Julius Kugy come referente alpino della Grande Guerra. Il 18 luglio alle 20.45 è poi in programma la presentazione delle guide turistiche “Sulle orme di Napoleone”, a cura di Paolo Foramitti e “Sulle tracce della Grande Guerra” di Davide Tonazzi. Uno strumento, il primo, realizzato in occasione del 199esimo anniversario delle battaglie napoleoniche in Valcanale e della presa del forte di Malborghetto in particolare. La guida di Tonazzi si inserisce, invece, nell’ambito delle celebrazioni per i 90 anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale. Due gli appuntamenti in calendario nel mese di agosto: il 7 alle, 20.45, Marco Mantini interverrà sul tema dei “Siti della Grande Guerra in Friuli Venezia Giulia”, mentre il 21, sempre alle 20.45, Claudio Zanier, dell’Associazione Tiliaventum, racconterà l’invasione tedesca in Friuli. Chiuderà il ciclo di incontri, venerdì 5 settembre alle 20.30, la presentazione del libro di Michele D’Aronco,“Ali sull’alto Friuli”, dedicato ai bombardamenti alleati durante la Seconda Guerra Mondiale. Alessandro Cesare
 

 

Premio a chi ha recuperato le trincee

il Corriere delle Alpi — 07 luglio 2008 pagina 07 sezione: CRONACA

PASSO FALZAREGO. Con il naso all’insù, a cercare tra cengie e dirupi, creste e ghiaioni i fumogeni rossi e verdi che indicano le linee dove si combattè la guerra di trincea. Si è conclusa così, al passo Falzarego, la settimana di celebrazioni, tagli di nastri, onori ai caduti e picchetti militari chiamata «Dolomiti - dalla Grande guerra all’Europa unita». C’erano migliaia di persone ieri mattina, per il momento più importante: la consegna del premio Ana «Fedeltà alla montagna» e l’inaugurazione del museo all’aperto del Sass de Stria, reticolo di trincee e fortificazioni, ultimo tra quelli che sono stati recuperati dalla Lombardia al Friuli. Un lungo, spettacolare e commovente museo che celebra il coraggio, il sacrificio, la morte, la speranza. Alpini in armi e alpini in congedo assieme, in tutti i momenti della mattinata: dagli onori alle 12 bandiere di popoli che hanno partecipato alla prima guerra mondiale, agli onori al labaro dell’Associazione nazionale degli alpini (era presente il presidente Corrado Perona) e al comandante delle Truppe alpine generale Petti che ha passato in rassegna una compagnia del 7º; al racconto delle gesta di 90 anni fa, alla consegna del premio Fedeltà alla montagna, all’accompagnamento musicale (fanfara della Julia) e corale (Coro Cortina). La messa è stata celebrata in latino dal vicario del vescovo, monsignor Del Favero, insieme a due cappellani delle Truppe alpine. Ha aperto gli interventi il sindaco di Cortina, Franceschi, che ha ricordato le sofferenze patite dalla popolazione ampezzana, finita sul fronte di guerra. E dopo aver condannato chi non è riuscito a trovare soluzioni diverse per il conflitto, Franceschi ha esortato a guardare avanti in un clima di pace e serenità. Il presidente nazionale dell’Ana Corrado Perona è stato sabato al sacrario militare di Pocol: «E’ stato emozionante visitare quel piccolo cimitero austriaco» e ha ricordato come gli avversari di ieri siano gli amici e i fratelli di oggi. Perona ha dato appuntamento al 3 novembre a Trento dove tutti i gruppi Ana dalla Sicilia al Brennero si ritroveranno per una fiaccolata «che dia luce ad una patria che ne ha bisogno e che ci faccia ricordare chi si è sacrificato 90 anni fa». Perona si è rivolto ai giovani militari schierati sul piazzale del Falzarego: «Voi portate l’Italia in terreni difficili, dove occorre essere militari ma anche uomini». E sul futuro dell’Italia ha aggiunto: «Dobbiamo risorgere: per questo guardiamo alla montagna, alla sua purezza e ai suoi valori». Sia Perona, che il generale Petti hanno ricordato le migliaia di ore di lavoro di alpini in congedo ma anche di militari, per recuperare chilometri e chilometri di trincee e fortificazioni, su tutto l’arco alpino, per non dimenticare il sacrificio di chi combattè per difendere i confini e «per far valere l’onore dei propri stendardi» come ha detto il generale. Al termine c’è stata la consegna del premio Fedeltà alla montagna, istituito 28 anni fa dall’Ana e andato quest’anno alle sezioni Ana che nel corso degli anni hanno lavorato per recuperare le trince. Attestato consegnato anche allo stesso comandante delle truppe alpini per il contributo dato all’opera di recupero. Premiata anche la Fondazione Cengia Martini che ha curato la zona dolomitica.
 

I misteri irrisolti della «Linea Gialla»

il Corriere delle Alpi — 04 luglio 2008 pagina 41 sezione: SPETTACOLO

Ci sono ancora molti punti da chiarire sulla famosa «Linea Gialla», cioè su quel poderoso sistema di fortificazioni della prima Guerra mondiale nelle Dolomiti che avrebbe dovuto costituire la linea di massima resistenza in caso di sfondamento nemico ma che, quando questo avvenne a Caporetto, fu saltata a piè pari. Ad affrontare il problema è Roberto Mezzacasa che, su «Le Dolomiti Bellunesi», rivista del Cai, anticipa alcune questioni oggetto di uno studio di prossima pubblicazione che sarà anche una guida della Linea Gialla. Mezzacasa, insieme con un gruppo di amici ed esperti di questioni militari, ha «esplorato» i resti della Linea Gialla nel corso di una serie di ricognizioni nel 2006 e 2007. Si tratta di resti, ma occorre intendersi sulla parola: in realtà si tratta di una incredibile serie di forti (già ben studiati) del sistema Cadore, di gallerie e camminamenti, di strade militari, fortificazioni e trincee. Per capirne l’importanza e l’estensione, basterà ricordare che le fortezze in caverna, gallerie e anfratti scavati nella roccia sono circa un migliaio, lungo un’estensione che andava dalla Carnia all’Altopiano di Asiago. Comprendeva numerosi forti, progettati ben prima della guerra, la cui scarsa utilità fu tuttavia subito chiara nei primi mesi di guerra anche perchè pensati per armamenti ben diversi da quelli poi utilizzati, sicché si passò subito a realizzare opere in roccia, con l’utilizzo di decine di migliaia di operai, soprattutto donne locali. La Linea Gialla non era dunque un semplice segno tracciato sulla carta, ma una vera e propria linea di difesa che avrebbe dovuto arginare uno sfondamento della Linea Rossa, quella del fronte dolomitico. Una ventina di chilometri separavano la prima linea da questa linea più arretrata. Sono note al grande pubblico soprattutto le opere militari che hanno per nomi famosi, come Cavallino, Tofane, Marmolada, Col di Lana, Colbricon. Altrettanto note alcune postazioni che facevano parte della Linea Gialla, come i forti del Tudaio, del Rite, di Col Vacchèr, di Col Vidàl, cioè la Fortezza Cadore-Maè, e in parte, come la Tagliata di San Martino, la Fortezza del Cordevole. Quasi sconosciuti invece gli altri punti chiave della Linea Gialla, come Forcella Piccola (Antelao), Bosconuovo (Vinigo), Forcella Cibiana, Pradamio, Col del Salera, Spiz Zuel, Col Bajon, Crep de la Casamatta ed altri. Quella linea non venne in realtà mai utilizzata. Nei giorni di Caporetto, a causa anche delle incredibili incomprensioni tra Cadorna e Di Robilant (il primo che insisteva nell’ordinare l’arretramento del fronte dolomitico, il secondo che non ne capiva la necessità e tergiversava), quando finalmente fu chiaro cosa stava succedendo nella pianura friulana, la Linea Gialla venne saltata e la IV Armata finì per arroccarsi sulla linea del Piave. I cannoni del monte Rite non spararono mai contro il nemico, vennero usati solo sui paesi della valle del Boite per ritardare l’avanzata austriaca. Poiché quella linea non divenne mai teatro di combattimenti, le opere sono ancor oggi ben conservate. Alcuni lavori di consolidamento furono effettuati dai tedeschi nella seconda guerra mondiale, per attrezzare una linea di resistenza a oltranza «alla rovescia», cioè diretta ad arginare la prevedibile avanzata degli anglo-americani da sud. Ma anche in questo caso le fortificazioni riattate dalla Todt non vennero mai utilizzate. Si possono dunque oggi recuperare e visitare, con una certa cautela perché in alcuni casi possono essere pericolanti. Però gallerie e trincee ci sono ancora tutte, e sarebbe molto interessante realizzare un progetto di recupero anche ai fini turistici. Tra le questioni irrisolte, Roberto Mezzacasa annota la vera genesi dell’idea della Linea Gialla (chi, quando, con quali criteri venne disegnata); l’esistenza o meno dell’idea di una fortezza unica, ovvero se la Linea Gialla fosse stata concepita come un insieme unitario dipendente da un comando unico; se oltre alla semplice «linea» tracciata sulle carte, esista anche una mappa vera e propria delle opere; quali furono i reparti militari che parteciparono alla sua costruzione e quale il contributo della popolazione civile; infine quale uso fu fatto dopo la Grande guerra. (ts)
 

Le basi militari in Italia
Da affariinternazionali.it del 2 luglio 2008

di Alfonso Desiderio 

Meno basi in Europa occidentale, ma più grandi e confortevoli per poter essere una valida retroguardia alle basi ancora troppo scomode e insicure per gli standard americani nei vicini fronti caldi del Caucaso, del Golfo e dell’Africa. È una delle esigenze delle forze armate statunitensi in Europa. Il problema è che gli accordi con i paesi europei sono rimasti quelli della guerra fredda, fondati essenzialmente sull’Alleanza atlantica, che però al momento non è più centrale nell’operato delle forze armate americane. Urge quindi ridefinire il legame militare tra Paesi europei e Stati Uniti anche alla luce dell’evoluzione dei rapporti con la Russia, oltre che dell’evolversi delle crisi nel Grande Medio Oriente e in Africa.

I due assi operativi delle basi militari in Italia

Di questo dibattito non c’è quasi traccia in Italia. Da noi si discute poco, se non nei centri specializzati, su come far evolvere il sistema militare a livello individuale e nell’ambito delle alleanze e di come meglio far valere i nostri assets a livello internazionale. Il livello della discussione sembra ancorato a due questioni di fondo: il numero della basi americane in Italia e addirittura la presunta extraterritorialità di dette basi. Non si è quindi mai sviluppata una reale discussione sul loro utilizzo ai fini dell’interesse nazionale. Nel 1999 in un articolo di Limes, la rivista italiana di geopolitica, ho avuto la possibilità di pubblicare il contenuto di tre articoli dell’accordo segreto del 1954, il Bia (Accordo bilaterale sulle infrastrutture) in cui è specificato che: – gli Usa non possono servirsi delle basi a scopi bellici se non a seguito di accordi Nato o con il governo italiano; – le installazioni sono poste sotto comando italiano e i comandi Usa detengono il controllo militare su equipaggiamento e operazioni; – le strutture costruite con fondi Usa su terreni italiani diventano proprietà italiana. Ho avuto poi modo di verificare questa situazione nel corso di un viaggio iniziato nel 2007 nelle principali basi americane in Italia e di cui viene dato conto in una apposita rubrica di limesonline (http://www.limesonline.com/), il sito di Limes. Oggi sono sei le principali basi americane in Italia, dopo la chiusura della base nell’arcipelago della Maddalena in Sardegna, e formano due assi operativi. Il primo è quello settentrionale e collega la base dell’aeronautica di Aviano con quelle dell’esercito di Camp Ederle (paracadutisti) a Vicenza e di Camp Derby (uno dei più importanti depositi di munizioni Usa in Europa) a Livorno. L’altro asse invece è delle marina Usa che può contare sulla base di Napoli (dove c’è anche il quartier generale della Nato), sulla base aeronavale di Sigonella in Sicilia e a Gaeta sulla nave comando della VI flotta. La presenza delle forze armate Usa in Italia è cambiato nel tempo, ma gli allegati dell’accordo del 1954 sono rimasti segreti. Oggi molti elenchi di basi americane che circolano comprendono basi dove la presenza americana c’è stata solo in passato. Un’altra e più importante fonte di equivoci è la confusione tra basi e installazioni. Ogni base si compone di più installazioni. Il Base Structure Report 2007, il rapporto del sottosegretario alla Difesa Usa che ogni anno elenca la presenza delle truppe e dei mezzi militari americani nel mondo, conta 49 installazioni (più 40 siti minori) in Italia (La Maddalena compresa). Ma, per fare un esempio, la base di Vicenza consiste di sei installazioni, oltre alla base operativa, depositi di munizioni, la vecchia zona di lancio dei missili, il villaggio delle famiglie dei militari e il deposito degli autoveicoli. È bene poi considerare che l’estensione totale di tutte le installazioni militari Usa in Italia è pari a un diciottesimo dell’estensione di quelle in Germania, e a un quattordicesimo di quelle in Giappone. Chi vuole quindi mettere in rilievo una spropositata presenza americana elenca ben 89 basi citando il documento americano. Ma basta una lettura del documento, guardare le estensioni e il numero dei militari americani per capire che la presenza Usa si concentra essenzialmente nelle sei basi principali.

Arsenali nucleari?

A queste basi bisogna però aggiungere il distaccamento militare americano nella base dell’aeronautica italiana di Ghedi. Non c’è conferma ufficiale, ma avrebbe in custodia alcune bombe nucleari B61, presenti anche ad Aviano, come ripetutamente riportato in studi non ufficiali soprattutto americani. Si tratta di un’eredità della guerra fredda e sono conservate in speciali depositi. Se ad Aviano però gli americani potrebbero disporre sia delle bombe sia degli aerei (anche se ci sono molti dubbi sull’effettivo ruolo nucleare degli aerei di stanza in quella base), ma il governo italiano potrebbe opporsi a un loro utilizzo, quelle di Ghedi, nel caso fossero effettivamente presenti nella base, dovrebbero poter essere lanciate dagli aerei italiani Tornado, perché non ci sono aerei americani normalmente presenti in quella base. La presunta esistenza di bombe nucleari a Ghedi rappresenta l’eredità di quella porzione dell’arsenale nucleare che gli americani avevano condiviso con gli alleati. Nel caso della Germania e dell’Italia, aveva anche lo scopo di impedire che questi paesi si volessero dotare autonomamente dell’arma nucleare. Un’altra parte però dell’arsenale nucleare americano in Europa era saldamente ed esclusivamente nelle mani delle forze armate Usa. Infatti la presenza militare americana in Europa ha da sempre una doppia connotazione. Le truppe Usa sono presenti sulla base di accordi bilaterali con i paesi ospitanti conclusi nell’ambito degli accordi multilaterali dell’Alleanza Atlantica. È importante poi sfatare un altro mito sulla differenza tra basi italiane, basi Nato e basi Usa nel nostro paese. L’Alleanza atlantica non dispone di basi proprie, se non per quello che riguarda i quartier generali (in Italia è rimasto solo quello di Napoli), una serie di installazioni (antenne, radar e così via) e alcune istituzioni particolari come il Nato Defense College a Roma. Per le proprie attività operative utilizza le basi militari (oltre che le truppe e i mezzi) dei Paesi membri, che le mettono a disposizione della Nato. Non c’è quindi un numero definito. In teoria tutte le basi militari italiane potrebbero essere messe a disposizione dell’Alleanza e quindi essere considerate basi Nato. Ad esempio durante la guerra del Kosovo furono ben 12 le basi italiane messe a disposizione della forze Nato che usarono il nostro paese come base di partenza per gli attacchi aerei contro la Serbia. Sul piano giuridico la presenza americana è regolata dal Trattato del Nord-Atlantico, firmato il 4 aprile 1949, dal Trattato di Londra del 1951 (il cosiddetto Sofa, riguardante lo status delle forze militari dei paesi Nato), e dagli accordi bilaterali Usa-Italia del 1950 e del 1952. L’accordo che elenca le basi è il citato Bia del 1954, mai ratificato dal Parlamento italiano perché si disse che era un accordo tecnico in applicazione agli accordi atlantici già ratificati. Il Bia poi è stato più volte integrato da successivi allegati tecnici, riguardanti le modifiche intervenute in alcune basi, l’apertura di altre e così via, dando vita a un sistema molto complesso e confuso. Per mettere ordine fu approvato nel 1995 un Memorandum d’Intesa, un accordo quadro – poi reso pubblico dal governo D’Alema nel 1999 dopo la tragedia del Cermis – per uniformare la redazione degli accordi tecnici, ma che per i principi generali sull’uso delle basi rimandava agli accordi precedenti. Durante la guerra fredda (e nella parentesi della guerra del Kosovo) le basi sul territorio nazionale sono state il principale contributo italiano alla sicurezza collettiva. Oggi, in una situazione completamente nuova, dobbiamo decidere che funzione attribuire alle basi e discutere con gli americani la ridefinizione degli accordi, consapevoli però di non poter più contare sulla rendita geopolitica che la nostra posizione geografica ci ha garantito nei lunghi anni della guerra fredda.

 

E' morto Mario Rigoni Stern cantò la tragica ritirata in Russia

da LA REPUBBLICA SPETTACOLI & CULTURA 17 giugno 2008

Il grande scrittore aveva 86 anni. Già svolti funerali nella sua Asiago Scrisse meravigliose pagine sulle montagne che conosceva bene

"Il sergente nella neve" è la sua opera più nota: frutto della terribile esperienza personale durante il dramma degli alpini mandati a morire in Siberia

 E' morto Mario Rigoni Stern cantò la tragica ritirata in Russia

Mario Rigoni Stern

ASIAGO (VICENZA) - Lo scrittore Mario Rigoni Stern è morto ad Asiago, all'età di 86 anni. Malato da tempo, è mancato ieri sera. I funerali si sono svolti oggi, in forma strettamente privata, nella piccola chiesa del centro dell'altopiano. C'erano la moglie Anna, i tre figli con i due nipoti ed il fratello Aldo dietro la bara, Nella cappella non più di 10 persone. Nessuna autorità e nemmeno amici del celebre autore autore del 'Sergente nella neve'.

Mario Rigoni Stern ha scritto pagine indimenticabili sulle sue montagne che amava e conosceva profondamente (Il bosco degli urogalli, Storia di Tonle, Le stagioni di Giacomo...) e ha raccontato in uno dei romanzi più letti del secolo scorso, la tragica ritirata degli italiani in Russia. "Il sergente nella neve", tradotto in diverse lingue e utilizzato in tutte le scuole italiane come testo di lettura, è una storia straordinaria frutto dell'esperienza personale dell'autore che partecipò alla campagna di Russia e riuscì a tornare vivo.

"Era uno scrittore grandissimo aveva la grandezza che hanno i solitari". E' il primo commento di Ferdinando Camon, collega e amico di Rigoni Stern: "Quando sono stato presidente del Pen Club italiano - ricorda - è stato il primo italiano che ho candidato al Nobel: era uno scrittore classico, dalla visione lucida e dalla scrittura semplice ma potente; aveva carisma anche come uomo. Aveva un carattere buono e mite - rileva - se ne fregava dei convegni e delle società letterarie".

Rigoni Stern era nato ad Asiago il primo novembre del 1921. L'infanzia trascorsa nelle malghe dell'Altipiano, tra la gente di montagna, a contatto con i pastori, lui, Mario, una famiglia numerosa e di tradizione commerciale. Alpino, per scelta quando si arruola volontario alla scuola militaree di Aosta e la guerra non è all'orizzonte, viene chiamato alle armi nel '39 e la sua vita cambia per sempre. Impegnato nel fronte albanese, poi in quello russo, sperimenta la tragedia della ritirata, dell'abbondanono e della morte nella gelida neve e poi della deportazione.

Ritorna, dopo due anni di lager, nel '45 all'Altipiano, e comincia a riversare nella scrittura la tragedia che ha vissuto in prima persona. 'Il sergente nella neve' lo pubblica grazie ad Elio Vittorini che lo segnala ad Einaudi. Negli anni '60 arrivera' poi 'I recuperanti' sceneggiatura per il film di Ermanno Olmi. Ma è lungo il silenzio tra 'sergente' e le altre opere. I racconti naturalistici de 'Il bosco degli urogalli' arrivano nel 1962. Tanti poi i suoi lavori e i suoi scritti apprezzati da critica e pubblico. Ancora, sui ricordi del fronte, nel 2000, insieme all'allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, cura il volume '1915-1918 La guerra sugli altipiani'.

"Il sergente nella neve", è stato nell'ottobre scorso un grande successo televisivo attraverso la piece "Il sergente" di Marco Paolini. Paolini interpretò la tragica avventura bellica di Rigoni Stern in diretta tv (La7, senza interruzioni pubblicitarie) dalla cava Arcari di Zovoncedo (Vicenza), sui Colli Berici, ipnotizzò la platea televisiva con 1 milione 200 mila spettatori e il 6 di share.

Paolini aveva già raccolto 1200 persone sull'Adamello per la stessa interpretazione, questa volta nello scenario delle Alpi, presenti molti alpini reduci della guerra che in commosso assoluto silenzio seguirono quella storia di uomini mandati allo sbaraglio con armi e vestiti inadeguati e cibo scarso, un lacerante inno contro la guerra ancora più forte perchè scritto da un ex soldato.

 

LIBERAZIONE ROMA, ALEMANNO: A FORTE BRAVETTA PARCO IN MEMORIA DEI MARTIRI

Roma, 04 giugno - Forte Bravetta potrebbe diventare un parco in memoria dei martiri caduti in quel luogo durante gli anni della Liberazione di Roma. Ne ha parlato il sindaco Gianni Alemanno che questa mattina ha deposto una corona d'alloro davanti al monumento a ricordo della liberazione della capitale del 4 giugno 1944. Un annuncio che è arrivato mentre il sindaco si intratteneva a parlare con i rappresentanti delle associazioni dei partigiani e dei reduci convenuti alla cerimonia per il  64esimo anniversario.

"C'è la paura - ha detto il sindaco - che Forte Bravetta possa essere concesso alla trasformazione edilizia, mentre i parenti, i reduci chiedono di trasformarlo in un parco che ricordi tutti i martiri di quel luogo. Una richiesta intelligente". Alemanno ha spiegato quali possono essere i passaggi per arrivare a soddisfare la richiesta: "Avevamo già previsto, quando sono andato a visitare le fosse Ardeatine, di fare un incontro in Campidoglio con tutti coloro che sono stati attori della liberazione di Roma e della Resistenza - ha affermato - In quella sede, fatte le dovute valutazioni, potremmo preparare una delibera da portare in consiglio comunale per dedicare quel parco e garantirlo rispetto a qualsiasi fenomeno di speculazione edilizia".

 

Forte Mezzacapo, sopralluogo fantasma

la Nuova di Venezia — 13 giugno 2008 pagina 22 sezione: CRONACA

ZELARINO. Se ci siete, battete un colpo. O meglio, venite a dare un’occhiata in via Scaramuzza. Tocca all’associazione «Dalla guerra alla pace» riaprire il capitolo forte Mezzacapo, l’ex postazione del campo trincerato di Mestre da tempo in stato di profondo abbandono. In soldoni, il presidente dell’associazione, Vittorino Darisi, chiede una maggiore attenzione sia da parte del Comune, in particolare dall’assessore all’Ambiente, Pierantonio Belcaro, sia da parte dell’Arpav, l’agenzia regionale che si occupa della salvaguardia dell’ambiente. «È da tempo che ci promettono un sopralluogo in via Scaramuzza - ricorda Darisi - eppure non se n’è fatto ancora nulla, pare che le sorti di forte Mezzacapo non interessino a nessuno». La questione della struttura di via Scaramuzza è legata a due fattori. Da una parte, il fatto che come altri forti anche il Mezzacapo è al centro di un iter che prevede il passaggio dell’area dal demanio militare all’amministrazione comunale, operazione che si sta rivelando più lunga e complessa del previsto. Dall’altra, in questo forte è ancora aperto il capitolo della bonifica dell’amianto, materiale ampiamente utilizzato in passato all’interno delle basi militari. È per questo che l’associazione «Dalla guerra alla pace» sollecita un sopralluogo all’interno del forte, area che a differenza di quanto succede in via Brendole alla Gazzera è ancora completamente interdetta ai civili. Va ricordato che in passato a suscitare qualche ottimismo era stato il fatto che la pratica riguardante il Mezzacapo era passata dagli uffici romani del ministero della Difesa a quelli del quinto reparto infrastrutture dell’Esercito, unità di base a Padova. Per il momento, però, il Mezzacapo resta off limits per la cittadinanza, con il concreto rischio che più si va avanti più una sua risistemazione diventa onerosa per le casse di Ca’ Farsetti. (m.t.)

 

Montericco, il bando per il restauro

il Corriere delle Alpi — 07 giugno 2008 pagina 30 sezione: PROVINCIA

PIEVE DI CADORE. Il Comune di Pieve di Cadore ha emesso il bando di gara per l’appalto dei lavori di primo stralcio per il “restauro consolidamento e valorizzazione del complesso storico architettonico del Forte di Montericco e della Batteria Castello”. L’apertura dell’asta si terrà nell’ufficio tecnico comunale, in Piazza Municipio, alle 9 del 2 luglio, mentre le offerte dovranno pervenire entro le 12 del 30 giugno all’ufficio protocollo del municipio. Si tratta di un bando che prevede l’aggiudicazione anche in caso di unica offerta valida. L’esecuzione dell’opera sarà affidata alla ditta che proporrà l’offerta economicamente più vantaggiosa. L’appalto ha per oggetto l’esecuzione di tutte le opere necessarie al consolidamento e al restauro conservativo del complesso architettonico Forte di Montericco, posto sul colle omonimo nel comune di Pieve di Cadore. L’importo dei lavori è di 1,4 milioni di euro. La durata del recupero è stabilita in 450 giorni, che saranno conteggiati dalla data di consegna dei lavori. Responsabile del procedimento è l’ing. Diego Olivotto. Il forte di Montericco e la Batteria Castello facevano parte del “Ridotto fortificato Cadore - Maè” insieme con i forti di Col Vaccher, di Landro, di Monte Rite, di Col Vidal e del Monte Tudaio. Il forte è stato costruito sull’area dove dall’inizio del primo secolo i Romani avevano costruito il Castello di Pieve, conglobando dentro le sue mura anche le costruzioni realizzate dai Caturigi. Alla fine della prima guerra mondiale, il forte fu distrutto dagli austriaci in fuga ed è rimasto un rudere fino ai giorni nostri. Da tre anni a questa parte, grazie ad un progetto elaborato dall’architetto Girardini della Sovrintendenza di Venezia, è nata la possibilità di salvare la vecchia struttura, ed utilizzare i suoi ampi spazi per usi culturali e turistici. Già lo scorso anno, grazie ad un finanziamento della Fondazione Cariverona, fu possibile fermare il degrado del forte. (v.d.)
 

 

Dai cannoni ai ciclisti

il Corriere delle Alpi — 07 giugno 2008 pagina 42 sezione: SPETTACOLO

Sarebbe veramente una bella soddisfazione per i cibianesi veder sfilare il prossimo anno gli assi del pedale sulla loro strada, gustarsi il Giro d’Italia su quella stessa strada Venas-Forcella Cibiana che per secoli costituì il loro calvario, la remora prima a un sacrosanto sviluppo economico e sociale. «E per una stradella, che si diparte dalla strada d’Alemagna sotto la chiusa di Venas, scesi al Boite, lo passai sopra un ponte di legno e incominciai la salita lungo una misera via che si disperde in tanti sentieruoli a somiglianza d’una fune disfatta”. Così Antonio Ronzon descriveva l’accesso a Cibiana nel suo celebre Almanacco Cadorino del 1875, mettendo subito il dito sulla piaga del paese: la mancanza di una vera arteria di collegamento con l’Oltrechiusa e il resto del Cadore. Una mancanza che il buon professore attribuiva ad una “cibianada”, ovvero a una delle tante ingenuità, vere o presunte, allora attribuite ai locali. Va ricordato che fu proprio la realizzazione del forte corazzato del Monte Rite, che oggi ospita il “Museo nelle nuvole” di Messner, a regalare a Cibiana all’inizio del ‘900, prima ancora che un accesso alla vetta, soprattutto un collegamento finalmente accettabile con il fondovalle. La storia di questa importante arteria, dalla Val Boite fino alla cima del Rite, si collega naturalmente alle sofferte diatribe tecniche che caratterizzarono la realizzazione dell’impianto corazzato d’alta quota, sia in merito alla sua esatta ubicazione, sia alla sua valenza strategica. Anzi, si può dire che per la strada i problemi furono ancora maggiori, in quanto sui calcoli squisitamente militari intervennero considerazioni di ordine politico e sociale, ovvero le ragioni stesse della popolazione civile, che peraltro erano lungi dall’essere univoche e concordi. Il primo accenno ad una “strada” risale al 16 febbraio 1415, allorché il marigo Cristoforo da Pianezze ottenne dalla Magnifica Comunità di aprire una strada consorziale dal Boite a Cibiana, ma non si sa se essa finisse a Valle o a Venas, e quanto inoltre si discostasse dal percorso del precedente sentiero. Di una strada verso il Boite si parlò anche nel 1481, quando venne data facoltà di apertura a Bartolomeo Da Col, ma una vera arteria rimase per quattro secoli mera utopia. Cibiana contava alla fine dell’800 230 case e meno di 1400 abitanti: le tre contrade (Cibiana, Pianezze e Masariè), vicinissime tra loro ed ugualmente povere, videro nell’arrivo dei militari, impiegati nei lavori di fortificazione del Cadore, un non indifferente beneficio, giacché portavano lavoro sicuro e soprattutto il sospirato collegamento con la strada d’Alemagna. Decadute infatti le superstiti attività legate all’estrazione e fusione del ferro e alla fabbricazione di chiodi, chiavi e lime, in passato assai fiorenti, i cibianesi (o cibianoti) considerarono le fortificazioni prima di tutto un surrogato all’emigrazione proprio per la maggior richiesta da esse indotta di maestranze specializzate e non, e secondariamente una singolare occasione per migliorare le condizioni di lavoro silvo-pastorale sul Rite e dintorni e per godere di qualche introito supplementare con i vari spacci per la truppa e con l’affitto di locali agli ufficiali qui di stanza. Importanti lavori militari interessarono il tratto Cibiana-Venas nell’aprile 1905, su progetto dell’ingegner Pivetta, quando erano in pieno corso ancora le discussioni ai più alti vertici militari circa la fattibilità di un impianto corazzato sulla cima del Rite e il Capo di Stato maggiore Pollio doveva ancora chiedere alla Sottodirezione del Genio di Belluno lo studio per una carrareccia che mettesse in comunicazione la Val Boite fino alla cima del monte. Negli anni seguenti fu avanzata all’ufficio Scacchiere Orientale l’ipotesi di sfruttare il tronco di strada già esistente tra il ponte de “La Chiusa” e il ponte sul torrente Tarù, svolgendo quindi il tracciato per forcella Suncoste fino alla Croce del Rite, ma il Comando del V Corpo d’Armata riteneva preferibile il tracciato da Valle per il ponte di Pocroce a Cibiana, e da qui, oltrepassato il torrente Rite, fino alla regione tra monte Roan e Croce di monte Rite, attraverso forcella Suncoste. Furono fatti allora nuovi studi e preventivi e fu steso anzi un progetto di massima per una strada con partenza da Valle, ma alla fine, dopo un intervento dello stesso ministro della Guerra Spingardi, l’ufficio Fortificazioni di Belluno fece cadere l’ipotesi di Valle e preferì, per motivi tecnici ed economici, la partenza da Venas, già del resto in gran parte realizzata. Quanto poco sia servita questa strada e quale infelice esito abbiano avuto le portentose cupole corazzate Armstrong sullo sbarramento della Val Boite nei frenetici giorni del dopo-Caporetto, è cosa fin troppo nota. L’unica valenza positiva delle fortificazioni cadorine fu qui, come dappertutto, di stampo esclusivamente civile, vale a dire sotto forma di occupazione assicurata per molte maestranze al momento della costruzione, e di patrimonio di strade e sentieri lasciati in eredità al momento del fallimento strategico e tattico. Un’eredità che indubbiamente è arrivata fino a noi, ma che oggi, rivisitata dal Giro, costituirebbe davvero l’estinzione di un debito, il definitivo risarcimento della storia a una comunità che non ebbe mai, né dalla pace, né dalla guerra, la giusta mercede ai suoi sacrifici. - Walter Musizza e Giovanni De Donà

 

 

Vermiglio - Recuperare i forti di Vermiglio

da l'Adige - quotidiano indipendente del Trentino Alto Adige - del 3 giugno 2008.

Lara Zavatteri - Vermiglio - Recuperare i forti di Vermiglio senza stravolgerne l'aspetto strutturale e valorizzandone la storia. L'associazione «Storia e memoria di Vermiglio» guidata da Marcello Serra mira a recuperare, con dei lavori che potrebbero iniziare il prossimo anno, forte Zacarana, forte Pozzi Alti e forte Mero, le fortificazioni austroungariche presenti sul territorio oltre al già restaurato forte Strino.

Un progetto di massima curato dall'architetto Daniele Bertolini (in precedenza presidente del Comitato Forte Strino, poi soppiantato dall'associazione) è già stato presentato alla Provincia, dalla quale l'associazione spera di ottenere i finanziamenti per poter partire il prossimo anno con i lavori per circa 300.000 euro. Si tratta di un progetto di massima, quindi occorrerà predisporre poi l'esecutivo, che una parte prevede la messa in sicurezza e l'agibilità dei forti ai visitatori, dall'altra prevede il posizionamento di tabelle illustrative. I forti, sostiene Marcello Serra, non saranno rimessi a nuovo, ma dovranno continuare ad essere testimonianza degli eventi di cui furono protagonisti. Per fare un esempio, forte Zacarana (la fortificazione più grande e più recente, terminata a guerra già iniziata) dovrà «parlare» della sua parziale distruzione, sia a seguito del bombardamento da parte dell'artiglieria italiana, sia per l'opera dei recuperanti che negli anni '20 e '30 depredarono la struttura facendo incetta di materiale. La proprietà dei forti passò infatti dall'autorità militare al Comune negli anni Trenta: da lì iniziarono i saccheggi, che contribuirono al decadimento delle fortificazioni. Per l'estate alle porte, Serra auspica un'implementazione della cartellonistica per i forti, ricordando che all'ufficio turistico locale sono disponibili mappe degli stessi. Per il futuro si penserà anche a progetti mirati comprendenti le caserme, gli «stoi» (bunker per il deposito d'armi e munizioni) e il fortino Velon, collegamento di forte Strino realizzato nel 1890. Peraltro c'è da ricordare che all'epoca del Comitato Forte Strino alcuni interventi erano stati attuati per la sentieristica e in zona Canaletti, dove sorgono alcuni stoi. Anche in questi casi si tratterà eventualmente di un recupero parziale come per i forti, proprio per consentire al visitatore di capirne la storia. In sostanza l'idea è di creare una sorta di museo a cielo aperto con approfondimenti disponibili sul percorso, anche per sviluppare un turismo di tipo culturale. A tale proposito l'associazione si è resa disponibile a collaborare per visite guidate con realtà che offrono pacchetti turistici in cui è compreso, appunto, un viaggio alla scoperta della storia e della memoria di Vermiglio

 

4 percorsi sui luoghi delle battaglie

il Corriere delle Alpi — 23 maggio 2008 pagina 37 sezione: SPETTACOLO

In occasione del novantesimo anniversario della conclusione del primo conflitto mondiale, le province di Belluno, Treviso, Vicenza e Venezia, con il coordinamento della Regione e il supporto del ministero dei Beni culturali, hanno realizzato una “Guida ai luoghi della Grande guerra”, una brochure dedicata ai principali luoghi della memoria bellica della regione. La guida assolve sia lo scopo di celebrare e onorare la memoria di quanti morirono nel conflitto, sia quello di rendere visibili i luoghi in cui si tennero i fatti bellici. «Molte persone sono interessate a conoscere questo argomento storico», ha spiegato il presidente della Provincia, Sergio Reolon. «Quindi questa guida può essere uno strumento molto utile per incentivare un turismo particolare su questi percorsi, che porti a una valorizzazione del territorio». L’opuscolo racchiude alcuni luoghi simbolo della Grande Guerra, come i campi di battaglia, le fortificazioni, i cimiteri e i sacrari, ed è suddiviso in quattro percorsi che seguono la logica storico-temporale degli eventi. Il primo, “L’inizio delle ostilità”, porta il turista a visitare le fortificazioni che furono realizzate all’inizio del conflitto per tutelare il territorio nazionale dalle possibili aggressioni nemiche: forte Lisser, Verena, Coldarco, Campolongo e la cintura dei forti veneziani che venne modernizzata e potenziata per proteggere la città, raccontano come l’Italia, e il Veneto in particolare, cercò di adattarsi alle funzioni logistiche e operative imposte dalla “nuova” guerra. Il secondo percorso, “Gli altipiani e la Strafexpedition” consente di vedere i campi di battaglia dove i soldati italiani lottarono strenuamente contro l’avanzata delle truppe austro-ungariche, e conduce anche ad alcuni musei storici e ai sacrari del Cimone, del Leiten e del Pasubio, costruiti per dare degna sepoltura a quanti morirono combattendo valorosamente. Anche il terzo percorso, “Le Dolomiti e la ritirata del 1917”, è organizzato attorno ai campi di battaglia, ai sacrari e ai musei, con particolare attenzione, però, al fronte dolomitico, teatro di numerosi scontri tra gli eserciti tra il 1915 e il 1917, come quelli sull’Ortigara o sul Col di Lana. Molte le località del bellunese interessate, da Quero, col suo cimitero germanico, ai musei che si trovano nei comuni di Sedico, Cortina, Auronzo, Sappada e Rocca Pietore. Il quarto percorso, infine, “Il Grappa e il Piave”, racconta la resistenza e l’offensiva italiana tra l’inverno del’17 e l’autunno del’18. La guida, che si trova a disposizione negli uffici di informazione turistica delle quattro province, è stata stampata in 23200 copie, in italiano, ma verrà tradotta anche in inglese, francese e tedesco. Reolon ha sottolineato la valenza politica del progetto: «E’ importante che quattro province si siano unite per realizzare questa guida», ha spiegato, «perché in un sistema che rivendica autonomia le province devono sapersi coordinare per attuare progetti comuni». (a.f.)

 

Il via ai lavori di recupero del forte Badin a Chiusaforte

Messaggero Veneto — 22 maggio 2008 pagina 15 sezione: UDINE

CHIUSAFORTE. Sarà completato il recupero del forte sul colle Badin, a Chiusaforte. Grazie ad uno stanziamento regionale di 420 mila euro infatti, l’amministrazione comunale potrà portare a compimento la sistemazione degli interni e degli esterni dell’opera unitamente agli allestimenti e alla segnaletica. L’obiettivo finale del Comune guidato da Luigi Marcon è quello di dar vita ad un luogo dove i giovani possano rendersi conto delle atrocità della Grande guerra, soggiornando nelle stanze occupate nei primi anni del ’900 dai soldati italiani. Per questo la fortezza che sorge sul colle Badin sarà creando una zona di accoglienza per scolaresche con camerate e punto di ristoro. Potranno così trovare ospitalità a basso costo tra le mura del forte, studenti e comitive, che avranno la possibilità di conoscere da vicino gli allestimenti di un’ex struttura difensiva e l’ambiente circostante. L’intero intervento, finanziato dalla Regione, ha un costo di 1,6 milioni di euro e della parte progettuale si è occupata la società C&C di Venezia. In autunno è prevista la gara per l’affidamento dei lavori, con l’apertura del cantiere programmata per la primavera 2009. Poi serviranno altri 15-18 mesi prima di veder rinascere il forte di Monte Badin.Intanto però questo fine settimana, il forte sarà visitabile grazie all’Istituto Italiano dei Castelli (sezione Friuli Venezia Giulia). Nell’ambito della 10° edizione delle Giornate Nazionali dei Castelli infatti, domenica 25 maggio dalle 15,30, lo storico dove Davide Tonazzi porterà gli appassionati alla scoperta del forte sul colle Badin. L’appuntamento è nel piazzale sulla statale 13 in località Villanova di Chiusaforte. Alessandro Cesare

 

«Puntare sul turismo culturale per prolungare la stagione»

la Nuova di Venezia — 21 maggio 2008 pagina 35 sezione: PROVINCIA

CAVALLINO. «Per prolungare la stagionalità del litorale bisogna investire sul turismo culturale trasformando in percorso museale d’eccellenza le imponenti ex fortificazioni militari di Cavallino-Treporti». Ne è convinto Furio Lazzarini, presidente dell’associazione «Forti e Musei della Costa». «L’obiettivo - spiega - è creare un circuito di contenitori museali, tra cui le torri telemetriche, la Vettor Pisani, la batteria Amalfi, il Forte Vecchio, nel quale, oltre ai contenuti che possono essere storici, etnografici - come pesca tradizioni, caccia, agricoltura - naturalistici e artistici, gli edifici storici diventerebbero essi stessi oggetti di approfondimento culturale delle visite». «E’ ora - ha continuato - di partire con la pianificazione del percorso museale smettendo di bloccare gli unicum del litorale. Le difficoltà iniziali sono legate alla proprietà degli immobili stessi che appartengono ai demani marittimo e quello militare, all’intendenza di finanza. Alcuni di questi come il Forte Treporti, sono ora occupati da abusivi che prima o poi dovranno trovare un’altra sistemazione, altri come la Vettor Pisani necessitano di almeno 3.5 milioni di euro di ristrutturazioni». «Purtroppo la titolarità delle torri e dei forti non è ancora del Comune - ha commentato l’assessore al turismo e urbanistica Roberta Nesto - siamo in contatto con l’agenzia del demanio di Venezia da tempo e auspichiamo che al più presto ci sia data la possibilità di metterli in sicurezza prima e di usarli poi. Ci piace pensare che le torri telemetriche possano diventare frubili da vari punti di vista collegandole ai percorsi ciclabili e segnalandole con segnaletica adeguata». (f.ma.)

 

Saranno recuperate le fortificazioni

Messaggero Veneto — 26 aprile 2008 pagina 13 sezione: UDINE

AMPEZZO. Saranno recuperare in chiave storico-turistico i fortilizi militari dismessi presenti sul territorio comunale di Ampezzo.Le fortificazioni del Vallo Littorio presenti nel comune di Ampezzo, diverranno presto un sito di attività culturale con percorsi storico didattiche che accrescerà l’offerta della Carnia.Nel mese di dicembre infatti il Demanio militare ha formalizzato il passaggio delle opere militari al patrimonio dello Stato.L’agenzia di Udine quindi è entrata in possesso di queste fortificazioni, presenti in diverse zone dell’Alto Friuli, che ad Ampezzo sono conosciute come “lis operis” un complesso di fortificazioni creato a difesa del territorio durante gli anni fra le due guerre mondiali dell’altro secolo, lungo il confine nord orientale dall’Alto Adige sino alla Venezia Giulia e conosciuto come Vallo del Littorio.Ora l’amministrazione comunale di Ampezzo, guidata da Eugenio Benedetti, che da anni ha richiesto il passaggio di questi beni al patrimonio comunale, attende che si proceda con l’iter burocratico che prevede la valutazione delle opere per il passaggio di proprietà al comune stesso.Assumendo la proprietà di tali opere, di indubbio valore storico, il comune carnico potrà avviare i processi per la loro rivalutazione nell’ambito di attività culturali con forme museali, percorsi didattico-storico-naturalistico che valorizzeranno l’offerta, anche turistica, del paese.Un progetto che di rivalutazione del territorio che il Comune ha fatto suo a seguito dell’interesse dimostrato per queste fortificazioni da parte di un gruppo di volontari coordinati da Elio Bullian.
 

 

Il miraggio dell Alpenfestung

il Corriere delle Alpi — 22 aprile 2008 pagina 33 sezione: SPETTACOLO

Fin dai primi giorni dell’occupazione tedesca dell’Italia nel settembre 43, Rommel aveva avviato l’esplorazione di una “Posizione Prealpina” in cui si progettava di far rientrare le già esistenti fortificazioni italiane. La linea difensiva partiva dal confine svizzero, toccava la parte settentrionale del Lago di Garda, attraversava le Alpi a nord di Belluno, risaliva le Alpi Giulie e si portava infine su Tolmino e Gorizia, lungo le vecchie posizioni orientali della “Grande Guerra”. Aveva la lunghezza di 400 km, avrebbe dovuto essere inattaccabile dai carri armati e non concedere possibilità di manovra ad un avversario superiore per forze. A tale studio furono chiamati vari ufficiali, tra cui i colonnelli Nobiling e Seitz. Dopo la decisione di resistere quanto più a lungo possibile nell’Italia meridionale e di ritardare la costante avanzata alleata, non solo vennero potenziate le posizioni appenniniche (linea verde), ma si pensò di costruire una difesa nell’Italia settentrionale che prevedeva, oltre alla posizione prealpina, pure una linea difensiva che attraversasse l’Istria da Trieste a Fiume e delle opere di sbarramento nella zona di Ala e di Belluno. I lavori di sbarramento dovevano essere eseguiti dall’”OB.” (“Oberbefehlshaber” - Comandante supremo), mentre la costruzione della posizione prealpina e di quella istriana spettava ai due Supremi Commissari, e cioè a Hofer e a Rainer. Man mano che la linea appenninica veniva ultimata, le truppe specializzate del “Genio Militare” furono messe a disposizione di tali nuovi lavori e l’“O.T.” ebbe la responsabilità della parte tecnico-costruttiva, mentre l’aspetto squisitamente militare dell’intera faccenda fu curato dal generale von Zangen. Vennero tra l’altro previste, fin dal dicembre 1944, delle installazioni sotterranee da destinare alla produzione bellica e nel Bellunese le località scelte furono Cave di Tisoi (7500 mq), Feltre (2000 mq) e Cismon del Grappa (4500 mq). Dal lato operativo erano previste diverse linee di avanzata nemica, con costruzioni collocate sui due lati delle valli e delle strade di transito nei settori dei fiumi Adige e Piave. Il Commissario Hofer, che puntava molto sulla zona Passo dello Stelvio-Limone, aveva a disposizione per il compimento del sistema Prealpi circa 100.000 lavoratori. L’“OB.” Sud-ovest dava la precedenza alla costruzione della linea di collegamento più breve tra il confine svizzero e l’Adriatico ed erano stati pure promossi degli studi per la ricognizione e possibile integrazione in essa dei già esistenti impianti fortificatori italiani, per i quali l’esercito fascista italiano aveva fornito documentazione già nel settembre 44.

Era intervenuto poi il “Reichsfüher” delle “SS” ordinando l’istituzione di un ufficio studi delle fortificazioni presso il Comando supremo delle SS e della Polizia, ma l’incarico di coordinare i lavori restò al Col. Nobiling. Gli sviluppi del conflitto, nonché varie diatribe intercorse tra parecchi generali nazisti vanificarono alla fine siffatte speranze, ma va ricordata comunque un’ulteriore appendice al discorso della “Ridotta alpina”, in quanto sappiamo che anche per Mussolini ed il suo governo si prospettò ad un certo punto una ritirata tra le Alpi. Davanti all’avanzata delle truppe alleate sugli Appennini e di fronte alla prospettiva di una loro penetrazione nella pianura padana, si poneva anche per la Repubblica di Salò il problema di ritirarsi verso il confine settentrionale sulle Alpi o addirittura in territorio germanico. Fin dal primo colloquio tra Rahn e Mussolini, il 9 settembre 44, furono prospettate tre ipotesi di ritirata: la Valtellina, il Sudtirolo o la zona intorno ad Udine, soluzione quest’ultima caldeggiata dal plenipotenziario tedesco. Mussolini nei giorni seguenti nominò Pavolini direttore della commissione speciale “Ridotta alpina repubblicana” e il 18 settembre Rahn venne invitato a far pressioni su Hitler a favore della soluzione Valtellina. Sembra che a Mussolini non dispiacesse nemmeno l’ipotesi del Friuli o del Cadore, anche per l’evocazione di gloriose memorie della “Grande Guerra”, ma solo nel caso che l’intera zona fosse stata sgomberata dalla diretta amministrazione civile tedesca. Per quanto riguarda il Cadore, esso ispirava qualche ipotesi strategica in virtù non solo delle realizzazioni fasciste in chiave antitedesca della fine degli anni 30, ma addirittura per la presenza dei ruderi della Fortezza Cadore-Maè risalenti alla fine dell’800 e dei primi del ‘900. Forse qualcuno nutriva la speranza, invero assai peregrina, di riciclare i “forti corazzati” del Tudaio, del Rite, del Vidal... Rahn peraltro ribadiva l’impossibilità di effettuare rapidamente un trasferimento dell’apparato governativo in Friuli o in Cadore, in quanto il territorio in questione avrebbe dovuto essere anzitutto ripulito completamente dalle bande partigiane. I timori di doversi spostare precipitosamente in una zona ancora non convenientemente preparata, indussero Mussolini il 24 settembre a scrivere personalmente a Rahn, prospettando un trasferimento di pochi chilometri, nella zona a nord di Riva del Garda, a Stenico. Hitler rifiutò tale scelta, soprattutto perché la concentrazione di formazioni fasciste in vicinanza della via principale di rifornimenti del Brennero costituiva un non lieve disturbo alle operazioni militari. Hofer da parte sua propendeva per assegnare subito a Mussolini una zona in territorio germanico, precisamente a Colle Isarco, non troppo lontano dal progettato quartier generale dell’“OB.” Sud-ovest a Brunico. Il desiderio del Duce di trasferirsi in un territorio delle zone d’operazione fu stornato infine dalla decisione di recarsi a Milano per tentare da lì l’estrema resistenza in Valtellina. Walter Musizza Giovanni De Donà
 

 

Il monte Rite non può prescindere dal forte

il Corriere delle Alpi — 06 aprile 2008 pagina 40 sezione: SPETTACOLO

Non sappiamo fino a che punto certe dichiarate perplessità fiorite sulla stampa regionale circa il futuro del Museo nelle nuvole sul monte Rite rispecchino davvero il pensiero e la volontà di Messner e dell’amministrazione comunale cibianese guidata da Guido De Zordo. Diciamo anzitutto che abbiamo sempre seguito con interesse e ammirazione quanto il grande Reinhold, Regione Veneto, Provincia di Belluno e Comuni di Cibiana e Valle sono riusciti a realizzare sul Rite in questi ultimi anni. Anzi, possiamo dire in qualche modo di aver dato un modesto contribuito all’impresa, sia partecipando al convegno organizzato nel Palazzo della Magnifica comunità a Pieve di Cadore il 28 giugno 2002, sia curando la pubblicazione di un nuovo libro dedicato al forte di monte Rite, sia, infine, curando la parte storica di un fascicolo illustrato stampato per l’inaugurazione del museo.
Anche noi eravamo presenti domenica 30 giugno 2002 per quell’autentica festa della montagna, che vide presenti duemila persone in vetta e non abbiamo potuto sottrarci al fascino di una realizzazione che sapeva coniugare originalmente passato e futuro, valorizzando intelligentemente opera della natura e attività dell’uomo. E del resto come non apprezzare il coraggio e la lungimiranza con cui era stata perseguita la sinergia tra la “poesia” dei monti Pallidi, ovvero i quadri, i libri, i reperti alpinistici ospitati nel corridoio e nelle riservette della batteria del forte, e la “prosa” dell’imprenditorialità turistica, ovvero gli efficienti servizi di ristoro ed albergo offerti nella vicina e restaurata caserma?
Va detto d’altra parte con altrettanta sincerità che chi come noi, che da più di 20 anni si occupa di storia cadorina in generale e di fortificazioni della Grande Guerra in particolare, guarda oggi con una certa delusione allo spazio riservato alle pagine militari e civili del Rite e del suo forte, concepito finora, nel contesto del museo, più come contenitore che come autentico protagonista, nonostante esso si palesi degno di visita e di studio per le sue stesse caratteristiche storiche ed architettoniche. Siamo convinti che ciò che la logica, pur spietata, della guerra ha voluto costruire quassù costituisca oggi un’autentica risorsa, che certo deve essere coniugata e declinata intelligentemente in sinergia con tante altre iniziative, ma comunque mai bypassata. I forti di monte Tudaio, di col Vidal, di monte Miaron, di pian dell’Antro, di col Vaccher sono per il Cadore altrettante risorse turistiche, che chiedono di essere degnamente valorizzate e sfruttate, eppure ben poco abbiamo potuto vedere in tal senso finora sul più bel balcone della val Ansiei. Sul Rite il “miracolo” prospettato 6 anni fa, ovvero il riuscito accordo tra politica, cultura ed affari, non sembra aver puntato molto sulle potenzialità offerte dalla storia delle fortificazioni e della guerra preparata.
Il forte è stato finora utilizzato come mero “contenitore” e non si è manifestata una congrua attenzione al suo valore storico e documentario. Il nostro sogno è stato invece sempre quello di un forte corazzato “filologicamente” restaurato, con cupole girevoli, apparati e locali vari riportati alle loro fattezze originali del 1915, ma - lo ammettiamo - questo non era e non è possibile per molte ragioni. Ma ciò non toglie che non si posa sfruttare e valorizzare al massimo quanto rimane, sia a livello di pietre, sia per ciò che concerne le memorie orali e scritte.
Secondo noi, la prima domanda che si pone l’escursionista salito in cima è: “Cos’è questo immane impianto? chi l’ha voluto? A che fine?”. Non ci sembra che dirgli “se vuoi c’è un libro in proposito”, sia risposta valida e sufficiente. Per noi ogni costruzione del forte (caserma, magazzino, batteria, depositi, laboratori...) dovrebbe avere un pannello esplicativo all’esterno in grado di fornire succinte informazioni su funzione, caratteristiche ed epoca di costruzione, nonché una descrizione dell’aspetto originale e degli interventi ora effettuati, mentre non dovrebbe mancare una saletta, ovvero ex-riservetta, dedicata esclusivamente alla storia del forte, alla sua planimetria, al materiale documentario esistente, ai recuperi degli anni’20...
Ciò non solo in omaggio alla storia militare che ha coinvolto tutto il Cadore fin dalla conclusione della III guerra d’indipendenza, ma pure in ricordo di quelle maestranze locali che, come muratori e scalpellini, trovarono nella guerra preparata un surrogato all’emigrazione.
Allorché pubblicammo, con altri amici e collaboratori, nel 1988, il primo libro sul Rite, volemmo fosse dato ampio spazio alle piante, alle sezioni e ai fronti di ogni costruzione, con rilevamenti fatti apposta e per la prima volta da professionisti su ogni rudere esistente e credo che con la ristrutturazione ora effettuata ancora più ricchi materiali siano disponibili per una “presentazione” consona ed adeguata di quello che fu alla vigilia della Grande Guerra l’impianto corazzato più moderno dell’intera Fortezza Cadore-Maè.
Non crediamo che una documentazione in tal senso fornita dal vivo e sul posto al visitatore, con possibilità di accedere pure agli immensi e suggestivi depositi sotterranei, possa togliere alcunché al patrimonio storico e artistico offerto da Messner. Anzi, la storia vera del Rite e del suo forte non potrà che essere un arricchimento. Un valore aggiunto insomma.Walter Musizza Giovanni De Donà


 

Belcaro promuove le associazioni «Avranno la gestione dei fondi»

la Nuova di Venezia — 02 aprile 2008 pagina 22 sezione: CRONACA

GAZZERA. Non sarà la rivoluzione che tutto cambia, ma di certo potrebbe rappresentare un nuovo modo di vedere la gestione dei forti dell’ex campo trincerato di Mestre, con conseguenze pesanti per i forti Gazzera e Mezzacapo. La conferma arriva dall’assessore all’ambiente Pierantonio Belcaro. Il Comune sta pensando di dare i fondi per la gestione e la manutenzione delle strutture direttamente alle associazioni del vecchio campo trincerato. Notizia che non può che soddisfare il comitato di gestione di Forte Gazzera e l’associazione «Dalla guerra alla pace», realtà che vuole recuperare il forte Mezzacapo di via Scaramuzza a Zelarino. «Stiamo pensando a questa soluzione, affidando i finanziamenti direttamente alle singole realtà» ammette Belcaro, sottolineando che sul territorio l’interfaccia del Comune per la partita forti sono già le associazioni. Resta da capire, però, come verrà messa in atto la novità in tutti i forti che sono ancora off-limits (ad esempio il Mezzacapo) per i civili. In ogni caso i referenti dell’associazione accolgono l’intenzione di Ca’ Farsetti come «una buona notizia». La questione del passaggio dei forti dal demanio militare all’amministrazione comunale è seguita in particolare dall’assessore al Patrimonio Mara Rumiz. Ad accelerare la procedura, tra l’altro, dovrebbe contribuire il fatto che la pratica delle strutture dell’ex campo trincerato di Mestre è stata trasferita dalla sede centrale del Ministero della Difesa a Roma al quinto reparto infrastrutture dell’Esercito a Padova. Al momento, a essere utilizzato è il solo forte Gazzera di via Brendole, che da tempo ospita una serie di iniziative culturali nel corso dell’anno, con spazi al suo interno dedicati a vari musei, uno dei quali dedicato agli antichi strumenti di lavoro. Diversa, invece, la situazione di Forte Mezzacapo, dove, tra l’altro, pesa ancora la questione della bonifica dell’amianto, con parecchie delle strutture presenti all’interno del perimetro che nel corso del tempo hanno accusato cedimenti. (Maurizio Toso)
 

Importante

Riceviamo la segnalazione della scomparsa della targa che potete vedere in allegato.

Si tratta dell’ennesimo danno perpetrato contro il patrimonio storico della Grande Guerra e, purtroppo, di un fenomeno già radicato in altre aree del vecchio fronte italo - austriaco che adesso si sta affacciando anche nell’area compresa tra Friuli Venezia Giulia, Austria e Slovenia.

Per cercare di limitare l’azione di questi “ladri di Storia” e comunque per dare un segnale forte, un’associazione locale molto attiva nel campo della ricerca storica provvederà a sporgere denuncia così come previsto dalla normativa in materia.

Vi ringraziamo anticipatamente se potrete darci delle informazioni a riguardo

 

 

Forte Larino torna strategico

Da Vita Trentina - 26 Marzo 2008

 
LARDARO -Lavori in corso a Forte Larino - marzo 2008
 

Tre milioni e mezzo investiti nel “progetto forti”

 

Non solo artigianato e piccole industrie. In Valle del Chiese in questi ultimi anni, si lavora per integrare la non floridissima economia con una serie di “progetti” per stimolare lo sviluppo turistico. A questo fine i comuni hanno dato vita all'Ecomuseo Valle del Chiese Porta del Trentino. La sua “missione” primaria sarà quella di mettere in rete e valorizzare le peculiarità storiche, culturali e paesaggistiche del territori, realizzando una serie di percorsi che attirino l'attenzione del turismo culturale.

Uno di questi percorsi è il “progetto forti”, che prevede notevoli interventi per il recupero e la valorizzazione della “cerniera” fortificata del Chiese. Patrimonio monumentale della grande Guerra, capofila tra le imponenti fortezze austroungariche dell'Alto Chiese (forti Cariola, Danzolino, Revegler e Corno), oggetto di restyling, è forte Larino, nel comune di Lardaro, acquisito da privati nel 1997, per 290 milioni di lire. La serie di lavori realizzati sin qui a Forte Larino (altri sono in corso peraltro presso il vicino forte Corno nel comune di Praso), costituisce l'importante prologo, al cosiddetto “paesaggio fortificato. Nell'ambito dell'Accordo di programma pluriennale per la valorizzazione dell'Ecomuseo della Valle del Chiese, sottoscritto lo scorso dicembre, gli interventi relativi al “paesaggio fortificato” riguardano il completamento del restauro e la sistemazione dei residui spazi esterni di forte Larino, per un investimento totale di oltre 800 mila euro.

La prima fase dei lavori di recupero di forte Larino (anni 1999-2000), ha riguardato le attività di pulizia, di messa in sicurezza delle parti pericolanti, di ripristino del fossato attorno al forte e della casamatta ai margini della grande area fortificata, per una spesa complessiva di oltre 300 mila euro. Contestualmente il Servizio Ripristino e Valorizzazione ambientale della PAT ha svolto uno specifico intervento di impermeabilizzazione e copertura della struttura e dell'area esterna. Altra tappa, il I lotto funzionale – opere di sistemazione interna ed aree espositive - (215 mila euro), concluso nel 2006. Nel 2007 sono iniziati i lavori del II lotto (oltre un milione), riguardanti il recupero delle casermette. Sono stati realizzati inoltre la strada d'accesso all'area ed il risanamento della palazzina situata a nord ovest del forte (640 mila euro). L'intervento rientra nell'ottica di fornire un'area di servizio per i visitatori ed un riferimento importante per l'ipotizzato percorso equestre. Complementare a questo intervento sarà il recupero, in fase d'appalto per 360 mila euro, della terza casermetta da adibire a foresteria-alloggi.

 

 

Marzo il nostro amico Luigi Tamborrino dell' Associazione Culturale Campo Trincerato di Roma, ci informa che ha deciso di candidarsi alle elezioni comunali di Roma, nelle liste della Sinistra-Arcobaleno.

Dopo aver fondato l'associazione e aver tentato in tutti i modi possibili di essere ascoltato dalle autorità, ha deciso di tentare la elezione al consiglio comunale. Se questo avverrà, ci sarà realmente nella capitale la possibilità di varare un piano di qualificazione del Campo Trincerato di Roma.

Tanti auguri

Col Piccolo, il forte in vendita

il Corriere delle Alpi — 29 febbraio 2008 pagina 29 sezione: PROVINCIA

VIGO. Sarà valutata anche l’opportunità da parte di soggetti privati locali, di acquisire dal demanio militare il comprensorio di col Piccolo, sul quale il comune vanta diritto di prelazione. L’indagine conoscitiva volta a chiarire vantaggi e problematiche di dar corso ad un’eventuale azione in tal senso, su richiesta del consigliere Giuseppe Barreca, è tra i punti all’ordine del giorno della riunione del consiglio comunale prevista per stasera nella Biblioteca storica cadorina.
E in effetti sarebbe ora che l’Oltrepiave si riappropriasse di una pagina importante della sua storia contemporanea, di un comprensorio che costituisce un singolare spaccato di architettura militare, ovvero dell’evoluzione della scienza e della politica difensiva e fortificatoria del Regno d’Italia dalla III guerra d’indipendenza alla Grande Guerra.
Oltre a essere intonso documento e fonte di studio, il forte corazzato di Col Piccolo, situato in linea d’aria a poca distanza dal centro abitato e dalla stessa Pieve di San Martino, sommerso dalla vegetazione e soprattutto celato gelosamente per decenni dagli interessi militari che gli ruotavano intorno, è ricco di curiosità e potenzialità economiche per l’intera collettività locale.
Con esso la strategia italiana di fine ’800 concepì uno dei suoi progetti più eclatanti e dispendiosi: la realizzazione di un forte corazzato che, con le sue quattro cupole corazzate e la sua batteria a prova di bomba, avrebbe dovuto contrastare qualsiasi provenienza nemica dalla Val Ansiei e dal Comelico, proprio davanti al nodo strategico di Cima Gogna e al crocevia di Tre Ponti.
Anzi, si può riconoscere nel forte di Col Piccolo il progenitore di ogni sforzo difensivo esplicato successivamente in Cadore, a cominciare dagli imponenti ed altissimi forti del Tudaio (m. 2114) e del Vidal (m. 1900), voluti quali opere alte, destinate ad integrare appunto la più antica opera bassa e ad agire in sinergia con essa contro le citate, e sempre paventate, penetrazioni nemiche.
Dopo che già nel 1898 lo Stato maggiore aveva affermato la necessità di un’opera robusta alla stretta di Tre Ponti, nel 1904 ci si decise ad occupare stabilmente Col Piccolo con 4 cannoni da 149 G in pozzi a copertura metallica, e negli anni 1906-1907, grazie a nuovi finanziamenti, fu realizzata un’interessante opera corazzata con polveriera in caverna. Negli anni successivi fu completato il forte, dotato di ricoveri, riservette, depositi sotterranei, nonché di un’intricata rete di camminamenti e difese accessorie. Si trattava di una vera e propria cittadella fortificata, in grado di far fronte a qualsiasi assalto nemico, e di resistere pure nel contesto di un Cadore completamente invaso dal nemico.
Purtroppo anche il forte di Col Piccolo fu abbandonato, come del resto tutti i suoi “fratelli” d’alta quota, il 7 novembre 1917, davanti all’incalzante avanzata austro-tedesca. Il presidio si allontanò da Vigo senza nemmeno avere il tempo di sabotarlo e di prelevare da esso le notevoli scorte di viveri e di munizioni colà depositate.
Tutto fu lasciato al saccheggio della popolazione locale prima e delle truppe d’occupazione nemiche poi, truppe che nel 1918, a ritirata invertita, finirono col fare loro ciò che i nostri non avevano saputo fare un anno prima, cioè far saltare in aria il “cuore” del forte. Alle ore 11 del 21 ottobre 1918 gli austriaci collocarono al suo interno 40 quintali di gelatina e provocarono un’esplosione enorme, che fece volare a 500 metri di distanza gli spicchi delle corazze pesanti quintali e che provocò nella popolazione indescrivibile spavento.
Nel dopo guerra il forte di Col Piccolo vegetò a lungo, solo parzialmente rivisitato in chiave strategica negli anni’30, nel contesto dei timori di Mussolini per l’Anschluss tedesco e del relativo potenziamento delle difese italiane sulle Alpi orientali.
Ma una sorpresa era riservata al nostro forte tra gli ineffabili meandri della storia. Quella che doveva essere un’importante opera di difesa contro l’invasore austriaco, divenne invece un punto di forza dell’occupazione tedesca nel 1944. L’11 settembre il forte fu conquistato dai partigiani della Calvi e i 28 difensori fatti prigionieri. La rappresaglia tedesca non si fece attendere: il 12 settembre un centinaio di uomini, dopo aver minacciato di distruzione l’intero paese di Vigo, riconquistò il forte, sottoposto in quell’occasione ad un pesante bombardamento di mortai.
Alla fine del ‘900 l’impianto fu ampliato, modernizzato e trasformato in centro di trasmissioni dati, ma da anni ormai la sua valenza militare è divenuta nulla o quasi in seguito ai nuovi equilibri internazionali e ai tagli operati alle spese militari. Walter Musizza Giovanni De Donà

 

 

Recupero delle Sentinelle delle Alpi

28 febbraio 2008

Testimonianza storica dell'ingegneria militare e strategica, le Sentinelle delle Alpi - questo il nome del progetto europeo di sviluppo turistico dell'area transfrontaliera - sono le destinatarie di azioni di "recupero funzionale e valorizzazione del sistema delle fortificazioni alpine italo-francesi", lanciate nella scorsa programmazione di Interreg Italia-Francia "Alcotra" e oggi ribadite nella nuova ondata di progetti transfrontalieri europei del periodo 2007-2013.

Gli interventi riguarderanno 5 fortificazioni situate sul versante italiano (Bard in Valle D'Aosta e Bramafan, Exilles, Fenestrelle e Vinadio in Piemonte) e ben 29 siti storici militarizzati sul lato alpino francese (il più settentrionale è il "Fort du Mont" vicino ad Albertville, in Savoia ed il più meridionale a Sainte-Agnès, nel dipartimento delle "Alpes Maritimes", a pochi chilometri dalla Costa Azzurra). Costruite e modificate nei secoli da grandi geni dell'ingegneria militare e strategica come il Marchese di Vauban o l'architetto Ignazio Bertola, per le "Sentinelle delle Alpi" si conclude l'epoca dell'isolamento e si passa alla fase in cui, per riconquistare e promuovere il patrimonio comune della storia alpina, si passa alla logica di messa in rete delle fortificazioni

Il recupero delle opere sarà ispirato alle seguenti linee guida:

- Gli interventi architettonici avranno caratteri di tipo minimalistico (interventi di tipo leggero, filologica mente orientati, ricerca, analisi e applicazione di tipologie analoghe coeve); interventi di tipo impiantistico e tecnico studiati con gli accorgimenti utili ad evitare ogni invasività; ripristino delle parti mancanti, rovinate o improprie con utilizzo di elementi desunti dalla manualistica o realizzazioni coeve.

- L'intervento sarà articolato secondo due fasi tra loro strettamente correlate e complementari: la conservazione e il restauro del bene. Secondo i principi del restauro integrato, si eseguiranno tutti gli interventi utili per la corretta conservazione del monumento, ma anche condotti con attenzione per il recupero degli assetti tipologico-costruttivi di componenti specifici delle tecniche costruttive e dei materiali.

- Gli assetti esterni della fortificazione saranno mantenuti invariati, con semplici interventi di restauro e integrazioni filologica mente orientate;

- Ogni intervento di recupero sarà guidato da una attenta analisi storico-filologica del bene, tale da formulare precisi indirizzi per il loro recupero.

La realizzazione del progetto vede protagonisti la Regione Piemonte (capofila del progetto) e l'organismo francese "Mission Développement Prospective". Ad essi si aggiunge come partner la Regione Autonoma Valle d'Aosta che insieme alle province di Torino e Cuneo e ai dipartimenti francesi "Savoie", "Hautes Alpes", "Alpes de Haute Provence e "Alpes Maritimes", vede il proprio territorio coinvolto come pressoché l'intera frontiera italo-francese.

La progettazione è partita con l'analisi della situazione pregressa che evidenziava frammentazione, mancanza di comunicazione tra gli enti operanti nei luoghi delle fortificazioni ed anche esigenze di miglioramento della gestione dei siti e dell'accessibilità alle "Sentinelle". Ciò ha spinto verso la realizzazione di interventi concreti (con un costo complessivo di oltre 6 milioni di euro ottenuti dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale e da contributi pubblici ed autofinanziamenti da parte italiana e francese), che hanno visto lavorare fianco a fianco sui due versanti decine di responsabili con l'obiettivo ultimo di legare il recupero dei siti alla loro funzione di diversificazione turistica trainante per l'intera area transfrontaliera.

La rete si è attivata negli scorsi anni, in concomitanza con l'ondata di visite attesa anche dalle Olimpiadi Invernali di Torino 2006 e ha portato sullo spazio dei 34 siti fortificati alla nascita di esposizioni, stagioni di spettacoli musicali, escursioni e visite guidate "teatralizzate", tutte iniziative sorte dalla comune identità dei siti strategici di frontiera, caratterizzati da una indiscutibile monumentalità. Fra le iniziative più recenti figurano la nascita di un percorso museografico all'Esseillon (Savoie), le giornate di scoperta al Tenda (Alpes Maritimes) e l'allestimento del "Museo delle Alpi" e della mostra "Alpi di Sogno" presso il Forte di Bard (Valle d'Aosta). Nota di colore è anche la creazione dei "menus Vauban", con ricette ispirate ai secoli XVII e XVIII. "Dal prossimo giugno - annuncia Muriel Faure di Mission Développement Prospective - dovrebbe avere inizio il seguito di Sentinelle delle Alpi che si baserà su un programma di azioni ed eventi nei forti nel periodo 2008-2010". Si preannunciano iniziative a forte impatto turistico come itinerari "di forte in forte", possibilità di visite virtuali ed organizzazione di esposizioni itineranti nel circuito delle Sentinelle alpine. Che anziché attendere i nemici, oggi aspettano sempre più i turisti.

Per altre informazioni, consultare il sito web: www.sentinellesdesalpes.com

 

19 febbraio L'amico Marco Mantini ci segnala che sul sito www.grandeguerrafvg.org si possono vedere le immagini relative ad un episodio spiacevole. Ignoti vandali hanno imbrattato nottetempo tutta la segnaletica del parco transfrontaliero del Kolovrat recentemente realizzato nell’ambito del progetto Sistema difensivo della prima guerra mondiale 1915 - 1918 – 2ª - 3ª linea di resistenza (INTERREG IIIA IT/SLO).

Gli autori hanno reso inservibile la cartellonistica posizionata su entrambi i lati del confine italo-sloveno dimostrando un’idiozia transfrontaliera non comune mascherata da slogan pseudo pacifisti.

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Mezzacapo e Gazzera, forti ora più vicini

la Nuova di Venezia — 13 febbraio 2008 pagina 23 sezione: CRONACA

GAZZERA. Il termine tecnico, magari, è bruttino. Ma sono in molti, tra amministrazione comunale e associazioni, che speranto tanto nei futuri sviluppi dello «sclassificare». Già, perché questa parola significa soprattutto una cosa: che si accelerano i tempi per un reale passaggio del lotto di forti che comprende Gazzera, Mezzacapo e Pepe dal demanio militare al Comune. Al momento tutte le aree sono ancora di proprietà dell’esercito, ma con una (decisiva) differenza: ora la partita non è più trattata a Roma dal ministero della Difesa, ma a Padova, negli uffici del V Reparto Infrastrutture. Lo spostamento geografico è stato determinato proprio dalla sclassificazione del lotto, un’operazione che ora dovrebbe creare meno ostacoli alla cessione definitiva dei tre forti al Patrimonio. Anzi, pare proprio che il V Reparto infrastrutture abbia tutto l’interesse a chiudere al più presto il passaggio delle strutture, circostanza che, ben inteso, non dispiace nè al Comune nè alle associazioni. Restando a quella che è la prassi, detto che già esiste un contratto preliminare di vendita ora bisogna passare a quello definitivo, firmare il tutto: da quel momento la cessione sarà operativa, con tempi dettati soprattutto da Padova. Per quanto riguarda Chirignago-Zelarino, l’attesa maggiore riguarda i forti Gazzera e Mezzacapo di Zelarino, quest’ultimo in condizioni precarie. Una volta che sarà chiusa l’operazione di passaggio con la firma del contratto definitivo, tra l’altro, sarà possibile rendersi conto finalmente di quali interventi siano necessari per risanare la parte interna della struttura di via Scaramuzza, dove tra l’altro c’è ancora da risolvere il problema dello smaltimento dell’amianto. Diversa la posizione di Forte Gazzera, invece, con ogni probabilità una delle postazioni militari dell’ex campo trincerato di Mestre più utilizzate dalla collettività. In questo caso la cessione effettiva del forte non comporterà una sua riapertura al pubblico, ma potrebbe in futuro aprire nuovi scenari relativi al suo utilizzo. Spiegato meglio: finora l’accesso alla parte interna del forte, dove si sono già svolte molte manifestazioni culturali, era regolato da una convenzione, da un accordo che poteva essere revocato. Superata una situazione di precarietà, insomma, l’utilizzo del forte, ora curato da un comitato di gestione formato da volontari, potrà essere incrementato, non a caso è già stata ipotizzata la creazione di nuovi percorsi per le visite guidate, con tanto di richieste di lavori di manutenzione all’assessorato all’Ambiente. Detto questo, però, va sempre ricordato che gran parte delle aspettative per il futuro sono legate alle prossime mosse del V Reparto Infrastrutture di Padova.
 

 

«Togliete l'amianto dal forte»

la Nuova di Venezia — 10 febbraio 2008 pagina 26 sezione: CRONACA

ZELARINO. Non chiedono tanto quelli dell’associazione «Dalla guerra alla pace». Solo di capire perché l’amianto presente a forte Mezzacapo, la struttura militare di via Scaramuzza a Zelarino che dovrebbe passare al Comune, non viene bonificato. Per questo hanno chiesto, e ottenuto, un incontro con Paolino D’Anna, presidente della commissione Ambiente del Comune. «Ci vedremo nei prossimi giorni», spiega da parte dell’associazione Vittorino Darisi, «vogliamo capire a che punto è la situazione, visto che l’impressione è che negli ultimi tempi non si sia mosso nulla per Forte Mezzacapo. In questi mesi abbiamo chiesto chiarimenti un po’ a tutti, dal Comune all’Arpav, senza avere però risposte». Il nodo di Forte Mezzacapo è tra i più complessi all’interno della partita delle ex postazioni dell’esercito che sono in procinto di passare nelle mani dell’amministrazione comunale. La parte interna del forte, infatti, è ancora interdetta ai civili, circostanza che però in passato non ha impedito che malinenzionati penetrassero all’interno della struttura. Non bastasse questo, più volte il Comune ha espresso la preoccupazione che, nel caso non si provveda al più presto al restauro del forte, si rischi di avere alla fine a disposizione una struttura molto compromessa. Problema amianto a parte, il rischio è che alla fine il Comune si trovi per le mani uno spazio che prima di essere riconsegnato alla collettività richieda una grossa spesa in manutenzioni. (m. t.)
 

"Cermis, patto segreto dietro il processo"

da repubblica.it del 2 febbraio 2008

di ANDREA VISCONTI

NEW YORK - A dieci anni dalla tragedia del Cermis il pilota e il co-pilota del Prowler che il 3 febbraio 1998 tranciò i cavi della funivia di Cavalese non sono ancora convinti di meritare di essere radiati dai Marines con disonore. È in corso infatti una procedura in appello per Richard Ashby e Joseph Schweitzer che quel giorno erano ai comandi di un aereo decollato da Aviano che aveva sorvolato Cavalese in maniera spericolata.Velocità eccessiva e violazione dei limiti minimi di altitudine di volo furono i fattori esaminati dalla Corte marziale  he scagionò i due Marines dall'accusa di omicidio colposo. Furono però radiati con disonore dalle forze militari per avere interferito con la giustizia. Avevano nascosto un videotape che riprendeva le manovre spericolate di quel giorno e lo avevano distrutto gettandolo il un falò. Una punizione all'acqua di rose: Ashby fu condannato a sei mesi di reclusione, di cui ne scontò solo quattro per buona condotta, e Schweitzer non passò neppure un giorno in carcere. Andando in appello i due Marines hanno dimostrato di non accettare neppure questo verdetto così benevolo. Vorrebbero vedere rovesciata la radiazione con disonore per ottenere la pensione e altri vantaggi amministrativi. Richard Ashby ha chiesto che il giudice conceda la clemenza: bisognerà aspettare il 15 febbraio per vedere se l'autorità giudiziaria militare è intenzionata a concederla. Ashby basa la sua richiesta su quello che secondo lui fu un vizio nelle procedure giuridiche. Sostiene infatti che ai tempi del processo che si tenne a Camp Lejeune, in North Carolina e durò quasi un anno - ci fu un patto riservato fra accusa e difesa per scagionare lui e il co-pilota delle accuse più gravi riservando però loro una bacchettata sulle mani, forse per soddisfare le pressioni che venivano dall'Italia. Ashby e Schweitzer ritengono che dieci anni fa i due team legali si erano messi d'accordo per mettere sotto il tappeto l'accusa di omicidio colposo multiplo. Ma l'accordo prevedeva di tenere duro per quanto riguarda l'accusa di avere occultato e distrutto le prove. La loro colpevolezza significava perdere tutti i benefici di una carriera militare. Non soltanto la pensione ma anche condizioni favorevoli come il diritto a mutui a tassi agevolati, assicurazioni mediche e sulla vita basso costo e l'accesso a banche che offrono prodotti finanziari attraenti esclusivamente per militari sia attivi che in pensione. Ad Ashby, che oggi ha 42 anni, non andava giù di perdere tutti questi privilegi ed è andato in appello. A prendere in mano la situazione è stato il generale Joseph Weber, comandante del Marine Corps Forces Command, che ha messo in moto un procedimento per rivisitare il caso di Ashby e Schweitzer. Nel caso di quest'ultimo la decisione è arrivata il 28 novembre scorso. Il generale Weber ha deciso che la procedura giuridica fu corretta e non c'era motivo di cambiare il verdetto. Era stato questo giovane di Long Island a distruggere le prove qualche giorno dopo la tragedia. Schweitzer il 1 novembre scorso aveva testimoniato davanti al tribunale di Camp Lejeune facendosi perfino venire le lacrime agli occhi. Aveva dichiarato di non aver mai visionato le immagini del videotape girate quel lontano 3 febbraio. "Accetto la responsabilità per le mie azioni e rispetto la decisione che fu presa dalla giuria", aveva detto Schweitzer. Per Ashby invece la questione è ancora aperta e non è detto che Weber debba pronunciarsi in modo analogo. Una cosa il generale non ha il potere di fare: non può aumentare la sentenza che fu imposta allora. Potrebbe eventualmente ridurla eliminando le conseguenze amministrative negative. Si saprà solo dopo il 15 di febbraio se la clemenza è una strada percorribile. Quel giorno di dieci anni fa c'erano altri due piloti dei Marines a bordo del Prowler. Anche loro furono sottoposti a Corte marziale ma sia William Rainey che Chandler Seagraves furono giudicati non colpevoli in quanto non solo non erano ai comandi ma, seduti dietro, avevano anche scarsa visibilità delle manovre. Nonostante questo sorprende perfino coloro che seguono da vicino il sistema di giustizia militare Usa il fatto che Seagraves abbia continuato a volare. Anzi nel settembre 2002 gli fu data addirittura l'opportunità di distinguersi diventando pilota d'élite con i cosiddetti "Angeli Azzurri". Da allora ha accumulato oltre 1900 ore di volo ottenendo tre medaglie e vari riconoscimenti. Una volta ha perfino partecipato al noto David Letterman Show in tarda serata facendo battute sui privilegi riservati a questi piloti.

 

Il laboratorio di marghera

da altraeconomia del 30 gennaio 2008

Il futuro utilizzo di Forte Marghera è al vaglio delle associazioni di Mestre, contrarie alla destinazione fieristica pensata dalla Marco Polo System. Negli ultimi due anni hanno animato l’estate del Forte (l’iniziativa si chiamava “Vivi il Forte”), sperimentando le possibilità offerte dalla struttura.
A fine agosto presenteranno al Comune il risultato del laboratorio di progettazione partecipata che da metà aprile ha visto coinvolte 15 realtà territoriali -tra le altre il Venezia Social Forum- con l’aiuto di un gruppo di supporto formato da un architetto, un urbanista e tre esperti in scienze ambientali e naturali.
“Il nostro obiettivo è che il Forte sia destinato esclusivamente a usi sociali, a ciò che la cittadinanza vuole e non a quello che il Comune decide per la cittadinanza. Vorremmo chiedere al Comune di attivare un laboratorio di progettazione partecipata” spiega Angela Granzotto, dottoressa in Scienze ambientali e membra dei gruppo di supporto. “Tra le idee emerse -racconta Stefano Giorgetti, l’architetto del gruppo- ci sono l’educazione e la protezione ambientale, legati al tema dei consumi e della sostenibilità. Vorremmo fare del Forte anche una casa per le associazioni e un museo della città e delle trasformazioni della laguna, che ad oggi non esiste. Un’altra possibilità è quella dell’ospitalità sociale: un campeggio, anche nautico, a basso impatto ecologico”.
Il processo ha attraversato tre fasi: l’informazione delle associazioni (culturale, sul forte e la sua storia), la discussione (su quello che si dovrebbe fare del forte) e la fase decisionale (in cui si è fatta una sintesi delle proposte emerse).

 

«Abbattuto il bunker C'erano i permessi?»

la Nuova di Venezia — 12 gennaio 2008 pagina 21 sezione: NAZIONALE

ALBERONI. Un’istanza al Magistrato alle Acque, alla Soprintendenza e alla Procura per sapere se esiste l’autorizzazione alla demolizione del bunker degli Alberoni, di proprietà demaniale, raso al suolo dalle ruspe del Consorzio Venezia Nuova per far posto a una strada a lato del molo (notizia riportata in questi giorni dalla Nuova). L’ha annunciata l’avvocato Mario d’Elia, rappresentante dell’Associazione consumatori. «Mi stupisco che questa cosa passi sotto silenzio», dice, «certo il bunker era in cemento e non aveva particolare valore architettonico. Ma faceva pur sempre parte di un periodo storico della nostra città che non deve andare perduto. Si potevano pensare visite guidate a questo tipo di fortificazioni, portare gli studenti. E’ rimasto lì per mezzo secolo e adesso viene demolito». Nell’istanza che sarà inviata per conoscenza anche alla Procura, l’avvocato chiede di sapere se ci fossero i permessi per abbattere l’edificio di proprietà dello Stato. E infine, «se i lavori di demolizione siano stati svolti in completa sicurezza». «Sappiamo tutti», continua il legale, che ha casa al Lido, «come fino a qualche decennio fa il cemento armato fosse fatto con dentro anche amianto, sostanza molto pericolosa per la salute. Gli operai sono stati tutelati a sufficienza? E che fine hanno fatto quei materiali? Le particelle possono essere state disperse in laguna». Il bunker degli Alberoni forse non era vincolato e non aveva valore di pregio architettonico. Ma la sua demolizione ripropone con forza, secondo il legale, la questione dei controlli sui grandi lavori in corso in laguna per le opere preliminari del Mose alle bocche di porto. (a.v.)
 

I recuperanti”, un film di Ermanno Olmi (1970).

 

Questa recensione ha lo scopo di ricordare la principale causa del degrado in cui, al giorno d’oggi, vessano la maggior parte delle fortificazioni del fronte alpino della Grande Guerra.

Una causa che, nonostante abbia lasciato a noi un ammasso di monumentali ruderi, ha permesso ai nostri nonni e ai nostri padri di ricavare il materiale necessario a costruire e riprendere la vita nei paesi devastati dalla guerra.

 Lo splendido realismo con cui il film che andrò ora a descrivervi si ambienta nella storia e nel paesaggio dell’Altopiano di Asiago e delle valli circostanti è il motivo principale per cui ho deciso di scrivere questo articolo.

Al realismo del contesto si affianca quello dei personaggi, e in particolare della loro relazione: una perfetta pennellata che in un movimento disegna l’incontro di due uomini, un anziano reduce della prima guerra e un giovane alpino appena tornato a casa dalla campagna di Russia del 1943. Entrambi legati alla propria terra e segnati dalla necessità di affrontare una nuova vita, anche se in direzioni diverse.

La scenografia del film è scritta da Mario Rigoni Stern, che nel 1995 parlerà ancora di recuperanti nel suo “Le stagioni di Giacomo”.

 L’inizio del film vede Gianni, il giovane alpino, rientrare sull’Altopiano a piedi: non vengono effettuate digressioni sui suoi trascorsi nella campagna di Russia, ma il giovane è istantaneamente proiettato nella dimensione del presente e del suo paese. Viene immediatamente riconosciuto dai suoi compaesani che gli dimostrano subito affetto, ma altrettanto presto si accorge che qualcosa è cambiato: il padre vedovo si è risposato con una ragazza di molto più giovane e il fratello sta per partire alla volta dell’Australia. L’unico affetto che rimane presente e costante è quello della fidanzata. Ma come fare per costruirsi una nuova vita assieme a lei e ottenere la sicurezza economica necessaria? Partire per l’Australia significherebbe un nuovo allontanamento, ma restare sull’Altopiano, già fortemente impoverito dalla distruzione che la popolazione aveva dovuto affrontare venticinque anni prima, equivale ad andare incontro a problemi economici apparentemente senza uscita.

Gianni decide di rimanere, e prova, assieme ad altre persone che vivono la sua stessa situazione, a mettersi al lavoro in una vecchia segheria dismessa durante la guerra, affidandosi, come da sempre nella tradizione dei Cimbri, ai boschi di Asiago per la propria sopravvivenza. Purtroppo, se la natura è benevola nei suoi confronti, non lo è certo la burocrazia che li costringe a fermare l’attività.

Fortuitamente una sera, dopo una sofferta discussione con la fidanzata e quasi deciso a partire, incontra per strada quello che sembra un vecchio ubriacone che canta sguaiatamente seduto in un vicolo. Gianni lo riconosce: è il Du. Gianni si stupisce che sia ancora vivo. Il Du è un uomo che ne deve avere passate sicuramente delle belle: lo si capisce dal suo comportamento schietto e dissociato, dal suo rapporto con il vino, la grappa e il tabacco e dal modo disinvolto in cui ostenta un patrimonio di banconote stropicciate tirate fuori dalla tasca della giacca. Non parlerà mai chiaramente di sé durante il film, ma farà capire molte cose: se l’è sempre cavata in situazioni difficili, non crede nei confini, ha conosciuto austriaci, francesi, americani (parla bene il tedesco, il suo stesso soprannome, Du, significa “tu”, in tedesco), non si capisce con chi abbia combattuto fino al 18, se con gli italiani o con gli austriaci, ma sicuramente ha combattuto, e molto probabilmente sulle sue stesse montagne.

Inizia così la seconda parte del film, che vede i due cimentarsi nella più redditizia (e pericolosa...) delle attività possibili in quel contesto: il recupero di materiali bellici.

 E’ veramente documentaristico il loro movimento sul territorio alla ricerca di metalli e bombe inesplose.

Una lunga scena di disinnesco avverrà nel forte Corbìn, uno dei pochi forti ancora ben conservati proprio perché risparmiato dai recuperanti: come la maggior parte delle fortificazioni italiane, infatti, non era costruito con cemento pesantemente armato, ma piuttosto con semplice cemento e pietre. Ben altra sorte toccherà a certi ben progettati forti austriaci, come il Luserna o il Cherle.

Altre scene saranno ambientate tra le montagne, le trincee e i camminamenti, ripercorrendo, con brevi incisi e narrazioni, episodi della guerra.

Anche la storia raccontata da Du sulla corazzata smontata e nascosta tra le trincee, storia che lo stesso spettatore del film potrebbe identificare come di fantasia ed esagerazione, si basa su un fatto reale. Negli anni precedenti al conflitto l’impero Austro-Ungarico aveva stanziato nuovi fondi per finanziare la Marina Militare Asburgica ed era stata avviata la produzione di nuove navi ed armamenti navali (cosa che a noi potrebbe sembrare alquanto strana, dati gli odierni confini dell’Austria; dobbiamo però ricordare che fino al 1918 comprendeva anche Croazia e Slovenia). Questo materiale, ancora non completo e assemblato all’inizio del conflitto, è stato poi letteralmente “riciclato” tra le alpi, come dimostra la presenza in Valsugana di un enorme cannone da marina (soprannominato poi “Georg”) che dalla ferrovia nei pressi del lago di Caldonazzo batteva tranquillamente i paesi di Gallio e Asiago con l’aiuto di un biplano da ricognizione austriaco per ottenere i dati di aggiustamento del tiro. Una sorte simile sarebbe toccata anche alla Valsugana, dove cadevano per errore i colpi sparati con alzo troppo elevato dal forte italiano di Campolongo a quello austriaco di Cima Vezzena.

 Il film procede con alcune avventure, alcune particolarmente tristi.

Viene prima seguita la fase di disinnesco di un’enorme bomba da mortaio, eseguita magistralmente da Du che sembra prendersi una rivincita nei confronti di quell’oggetto che ha portato via fin troppe vite umane.

Poi il resoconto di un incidente: due altri ragazzi della zona perdono la vita per colpa di un’esplosione durante un tentativo di recupero.

Infine il ritrovamento di alcuni cadaveri di soldati in una trincea emersa grazie all’utilizzo di un metal detector, reperito tra i materiali dismessi dall’esercito americano penetrato in Italia nel 1943.

Tutti questi episodi convinceranno Gianni a trovarsi una meno pericolosa attività da manovale nei cantieri delle nuove case costruite da grandi imprese edili nella zona di Asiago nel secondo dopoguerra. Il Du continuerà invece a vivere come ha sempre fatto, concedendosi un ultimo sguaiato e riflessivo saluto al nuovo operaio impegnato nella costruzione di un edificio.

 Un film, questo, assolutamente da conoscere per tutte le persone che hanno cari i luoghi e gli avvenimenti accaduti sul fronte alpino della Prima Guerra Mondiale.

Daniele Roat

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