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ANNO 2005

Pagina dedicata ad articoli inerenti al tema delle fortificazioni e della prima guerra mondiale

Lo Stato fa cassa con il Risorgimento. Offerti ai privati i fortini di Radetzky Gian Antonio Stella
Dal Corriere della Sera del 16/12/2005

Nella Finanziaria la vendita di roccheforti del Quadrilatero lombardo-veneto L’Ardietti di Peschiera, monumento nazionale, definito un deposito munizioni

PESCHIERA (Verona) — Restituiamoli agli eredi di Radetzky, piuttosto, i forti austriaci del Quadrilatero messi in vendita con la Finanziaria. Restituiamoli a Vienna, e chissà che non li tratti meglio di quanto abbiamo fatto noi.
Noi che abbiamo sfregiato la memoria di quelle migliaia e migliaia di giovani idealisti che morirono sui colli lombardo-veneti nelle guerre del nostro Risorgimento. Restituiamoli agli Asburgo-Lorena, piuttosto che vedere sotto le nobili volte nascere una pizzeria. Non è solo una faccenda di finanze, quella che si sta svolgendo intorno alle fortificazioni austro-ungariche che la legge di bilancio sta piazzando in questi giorni sul mercato. E molto di più. È la prova di come un passaggio centrale della nostra storia, la formazione dello stato unitario, sia ormai considerato poco più importante che un vecchio comò in soffitta coperto di polvere e di muffa. Bello e nobile, magari. Ma stonato rispetto all'arredamento.
Per carità, le filastrocche di una volta («Io vorrei che a Metternicche / gli tagliasser le basette / vorrei farne le spazzette / per le scarpe del su' re») non divertono più nessuno. I bambini delle elementari non mandano più a memoria le poesiole in rima sui colori della bandiera. L'odio patriottico di certe canzoni («Suona la tromba: ondeggiano / le insegne gialle e nere. / Fuoco! perdio, sui barbari, sulle vendute schiere!») si è disciolto in un rapporto di amicizia europeo. E lo strazio di tante madri («Dio! chi sa quante madri a San Martino / Fatte avrà il piombo dei lor figli prive! / Chi sa ch'una di quelle io pur non sia!») è troppo lontano per dare ancora dolore. Ma il rispetto per la nostra storia, almeno quello!
Zero. Una ad una, il decreto legge n.211/2005, ha burocraticamente deciso di fare cassa con le fortificazioni del Quadrilatero a cavallo tra la Lombardia e il Veneto la cui conquista fu uno dei temi centrali delle guerre di indipendenza. E ha messo su piazza il Porte di Monte Tesoro a Verona, il forte Pietole a Mantova, lo stupendo forte a picco sull'Adige di Rivoli Veronese e mezza Peschiera. Cioè la Caserma della Rocca, che ha elementi tardoromani, l'ex ospedale d'armata asburgico più lo straordinario Forte Ardietti, già «Lagerwerfe n.6», un capolavoro assoluto di architettura militare.
Fateci un salto, se potete. E chiedete a Giorgio Capone, il segretario del Centro di documentazione storica della Fortezza di Peschiera, che da anni si fa carico di arginare il degrado con un gruppetto di pensionati che lavorano gratis per uno stato molto distratto, di fare un giro. Camminate lungo il ridotto, infilate la teste nelle feritoie, guardate la pianura di sotto, lasciatevi incantare dalle volte, scendete giù per le scalinate, visitate le casematte, risalite le poterne. E magari fermate lo sguardo sulle fughe tra mattone e mattone, fughe in rilievo, fatte da fantastici artigiani al servizio di un fantastico architetto. E poi, dopo esservi resi conto del valore eccezionale di questa opera, andate a guardare come viene definita nella leggina che vorrebbe cederla a qualche speculatore per farne magari un grande hotel bellavista con sale convegni e grande parco intorno per un totale di 110 mila metri quadri. La definizione scelta per la cartolarizzazione è: «ex deposito munizioni».
Domanda: come si fa a definire così un complesso militare intatto e strepitoso qual è Forte Ardietti? Che faccia ha il passacarte che ha scritto così nel decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale? Ha mai messo piede non diciamo nel forte ma almeno nei suoi dintorni? È mai uscito dal suo ufficio, si è mai alzato dalla sua scrivania, ha mai levato il monocolo dalle scartoffie che tiene tra le mani accanto al calamaio? E quale sarebbe, per curiosità, il prezzo di vendita di questa formidabile opera architettonica?
Boh.. Nonostante siano già scaduti i termini, il prezzo non è stato ancora fissato. Misteri.
La domanda fondamentale tuttavia è un'altra ancora: come è possibile che sia stato messo in vendita, denunciano gli architetti Francesco Biondani, Oscar Cofani e Lino Vittorio Bozzetto (autore del libro Peschiera, storia della città fortificata), se è tutelato come del resto gli altri edifici di cui parliamo da un vincolo monumentale sancito, confermato e ribadito mille volte? Non ci avevano giurato, i ministri competenti, che le cartolarizzazioni non avrebbero riguardato questi beni? Non se l'era fatto solennemente giurare Giuliano Urbani, girando poi l'impegno a tutti gli italiani?
Chi cerchi lumi nelle norme, si accomodi. È tutto all'articolo 3 della leggina
citata (che si occupa anche di «disposizioni in materia aeroportuale») e firmata Berlusconi, Tremonti e Lunardi: «L'Agenzia del demanio è "autorizzata, con decreto dirigenziale del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con le amministrazioni che lì hanno in uso, a vendere con le modalità di cui all'articolo 7 del decreto-legge 24 dicembre 2002, n.282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27, i beni immobili ad uso non abitativo appartenenti al patrimonio dello Stato, ivi compresi quelli di cui ai commi 13, 13-bis e 13-ter dell'articolo 27 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla, legge 24 novembre 2003, n. 326». Capito, qualcosa? Noi niente. I difensori dei forti neanche.
Tema: chi lo fa, l'affare? Lo Stato o chi si accaparrerà la Rocca e l'ex ospedale d'armata asburgico (che sono nel pieno centro e insieme coprono un'area di 50 mila metri quadrati, quasi il doppio dei 30 mila occupati dal cuore medievale della bellissima cittadina) trasformandoli magari in alberghi per poi vendere bilocali pezzo per pezzo come appartamentini per le vacanze, cosa che già stanno facendo proprio a Peschiera usando le fessure che leggi ambigue hanno spalancato ai furbi? E che ne sarà del magnifico Forte di Rivoli Veronese che svetta sulla valle dell'Adige se il Comune cercava da anni di comprarlo ma ora l'acquisto gli è vietato proprio dalla legge sulle cartolarizzazioni sennò finirebbe in una partita di giro di soldi pubblici? E che se farebbe un privato del fantastico Forte Ardietti se non gli fosse garantito il cambio di destinazione d'uso? Immaginatevi l'insegna: Grand Hotel Radetzky. Ma per favore...

 

I Forte del Bernadia, cantiere chiuso per la neve. Ma entro il 2006 sarà concluso il primo lotto
Da  Il Gazzettino di venerdì, 9 Dicembre 2005

Tarcento Per il cantiere del forte Bernadia il più è fatto. Nonostante i lavori abbiamo subito uno stop a causa del freddo e delle precipitazioni nevose cadute nei giorni scorsi a quota 800 metri, le opere di messa in sicurezza e recupero della struttura sono state quasi completamene ultimate. «Per la parte interna - dice Giannino Di Betta della Alpina Costruzioni, la ditta che si è aggiudicata l'appalto - la tabella di marcia è stata rispettata in ogni dettaglio, con buon anticipo sui tempi. Abbiamo operato sotto il profilo degli intonaci, per l'impermeabilizzazione della copertura, per la recitazione del complesso con una lunga palizzata in legno e per tutto ciò che attiene al consolidamento strutturale». Per l'impiantistica sono state predisposte le tubazioni sotterranee ove presto passeranno i cavi elettrici. «Attendiamo adesso la posa di una nuova centralina da parte dell'Enel, a circa 400 metri dal fortino.

Entro i primi mesi del prossimo anno procederemo al completamento delle opere mancanti tra cui la pittura della muratura esterna, la fissazione dei parapetti in metallo zincato, la predisposizione del vano ascensore che collega tecnicamente il primo lotto con il secondo». Il cantiere ha aperto alla fine del mese di marzo di quest'anno non appena il piazzale è stato sgomberato dalla neve. «Per l'approvvigionamento idrico necessario alle opere di consolidamento abbiamo sfruttato le acque contenute nelle cisterne sotterranee. Questo ci ha permesso di svuotare i grandi contenitori e di ripulirli dal materiale di cedimento e dalle macerie. È prevista la riattivazione dell'ingegnoso sistema di conservazione delle acque meteoriche così come studiato dai costruttori del complesso. Parte dell'acqua, comunque, è stata portata sul monte con i mezzi della ditta attraverso la strada che si stacca da Sedilis. Non abbiamo registrato problemi di viabilità». La ristrutturazione ha permesso di mettere in luce le vecchie scritte lasciate sui muri interni dagli alpini che risalgono ai primi decenni dello scorso secolo; nomi, cognomi, date e motti. «Il forte, al termine dei lavori, si presenterà come un complesso di grande valenza storica: una testimonianza del periodo bellico che, diciamo, costituirà di per sé vero e proprio museo, senza la necessità di aggiungere null'altro».


 

I Consegnati a enti e associazioni. Sabato un convegno con autorevoli relatori per promuovere il progetto Parco della Grande guerra, distribuiti tremila dépliant

Oltre tremila depliant distribuiti ad associazioni ed enti della regione ma non solo testimoniano l'interesse che si è creato attorno al Parco della Grande guerra, inaugurato dal Comune sul Carso solo pochi mesi fa. E ora, per il Parco, arrivano un convegno specialistico e i nuovi cartelli tematici, la cui mancanza aveva causato alcune critiche. I cartelli posizionati sono otto, riportano un'introduzione storica in italiano e in inglese, con prescrizioni antincendio, una mappa del luogo, immagini storiche e una descrizione degli eventi, sempre bilingue.

"I cartelli sono arrivati dopo qualche tempo - ammette l'assessore Silvia Altran -, ma sappiamo che, per avere qualcosa di qualità, è necessario penare un pò". Infatti anche l'aspetto visivo dei cartelli è d'impatto, realizzati in uno speciale metallo che sembra arrugginito, in sintonia con il luogo. Il Parco tematico sarà anche al centro del convegno che si terrà sabato e che vede tra le presenze autorevoli relatori, tanto che sono giunte adesioni da parte di numerose associazioni della regione e non (ad esempio, la Società storica per la Guerra Bianca di Milano, il Gruppo di Ricerca e Studi sulla Grande Guerra di Trieste). Si tratta di una serie di studi che valorizzeranno non solo l'aspetto militare, ma anche quello istituzionale.

"Il patrimonio storico della Grande Guerra, ipotesi di promozione territoriale: esperienze a confronto", è il titolo dell'appuntamento, organizzato dal Comune di Monfalcone nella sala conferenze della biblioteca comunale. Dopo il saluto dell'assessore ai Progetti europei Silvia Altran e l'introduzione del coordinatore del gruppo di lavoro Finanziamenti europei Marco Mantini, si alterneranno gli interventi di Maurizio Anselmi della Soprintendenza regionale dei Beni ambientali e archeologici, John Ceruti e Antonio Trotti del Museo della Guerra Bianca di Temù (Brescia), Davide Tonazzi dell'Associazione Amici di Valbruna, Zeljko Cimpric del Museo di Caporetto, Simon Kovacic dell'Associazione fronte dell'Isonzo di Nova Gorica, Roberto Todero dell'Associazione culturale Zenobi di Trieste, Annamaria Bonato e Gianpaolo Cuscunà del Consorzio culturale del monfalconese, Roberto Lenardon dell'Associazione austriaca Dolomiten Freunden, Michele Piteo della pro loco di Fogliano Redipuglia e Silvio Stok, l'architetto a cui è stata affidata la direzione progettuale del recupero dei due ettari di porzione carsica adibiti a parco tematico.

 

Progetti bloccati, fermo da due anni il cantiere della strada che porta al monte Festa
Da Il Gazzettino di mercoledì, 7 Dicembre 2005

Cavazzo Carnico Sono bloccati ormai da due anni i lavori per la sistemazione della strada che permette di raggiungere il monte Festa partendo da Cavazzo. «Abbiamo sollecitato più volte l'amministrazione regionale - dice il sindaco Dario Iuri -. Abbiamo ricevuto rassicurazioni e garanzie ma, fino a oggi, il cantiere non è ancora ripartito». Lo stop si è verificato in concomitanza con un grave incidente accaduto nel tratto in cui ha perso la vita un giovane operaio. L'area, per dar modo alla magistratura di indagare sull'incidente, era stata posta sotto sequestro. «La misura, chiaramente necessaria, è venuta meno già alla fine dello scorso anno - spiega il sindaco - Non riusciamo quindi a comprendere l'ulteriore prolungarsi dell'attesa. Sollecitiamo le autorità competenti affinché provvedano, nel minor tempo possibile, a riattivare il cantiere. È nostro intento, infatti, realizzare una celebrazione ufficiale, nel 2008, in occasione nel 90. della Grande Guerra». Il monte Festa custodisce importati testimonianze belliche di quel periodo. «Sulla sommità della montagna i soldati italiani dimostrarono grande coraggio resistendo a lungo contro gli austriaci. Il luogo è assume quindi grande rilevanza storica e non solo».

Già la passata amministrazione aveva avviato un progetto globale di recupero, a fini turistici. L'obiettivo era di rendere accessibile il sito militare, che conserva caserme e postazioni di difesa, partendo dalla sistemazione della via di accesso e arrivando fino alla conservazione delle strutture. La richiesta di contributo avanzata allora alla Regione era di 400 mila euro. Il piano non è stato cestinato: ha preso avvio dall'erogazione di un fondo, gestito direttamente dall'Ispettorato foreste, per il recupero della strada di accesso. «Di recente - spiega il sindaco - abbiamo ricevuto un finanziamento di circa 30 mila euro dalla Provincia. Se la via fosse stata già sistemata, avremmo impiegato i soldi per eseguire una manutenzione straordinaria sul piazzale. Il sito, infatti, è avvolto dalla vegetazione e l'erba alta non permette nemmeno di camminare». Visto il blocco dei lavori sulla pista, però, la somma è stata dirottata a favore della sistemazione di un sito panoramico che guarda al lago di Cavazzo.

 

Assalto a Forte Carpenedo per degustare il radicchio
Da la Nuova di Venezia — 05 dicembre 2005 pagina 23 sezione: NAZIONALE

Si è conclusa ieri pomeriggio a Forte Carpenedo la rassegna «Sapori sotto assedio», iniziativa organizzata da Compagnia Teatrale Koinè e Cooperativa sociale «La città del sole», giunta alla terza edizione, e che ha complessivamente raccolto l’adesione di oltre mille persone. Primo appuntamento a settembre all’Azienda agricola La Fagiana Torre di Fine, poi Villa Widmann Foscari a Mira, Mulino di Belfiore a Pramaggiore e conclusione a Forte Carpenedo. Spettacoli teatrali organizzati dalla Compagnia Teatrale Koinè, per la direzione artistica di Marzia Bonaldo, ideati per scoprire le tipicità agroalimentari, la cultura e i luoghi più particolari della provincia di Venezia. Il pubblico numeroso, due turni da più di 100 persone per volta, è stato accompagnato alla luce delle fiaccole alla scoperta delle particolarità dello storione e di «sapori forti» della nostra tradizione in particolare del radicchio. Davide Giraldo, direttore della cooperativa sociale «La città del sole», traccia un bilancio molto positivo della manifestazione. «La partecipazione è sempre alta, abbiamo raggiunto in ogni appuntamento il numero massimo consentito, cioè cento persone a turno. La rassegna comincia ad essere conosciuta. Molte sono state le prenotazioni. Quest’anno c’è stata una famiglia che si è prenotata per tutti e quattro gli appuntamenti».

Dato il successo crescente dell’iniziativa, gli organizzatori hanno intenzione di riproporla anche per il prossimo anno, coinvolgendo nuovi siti e prodotti. Alla fine della visita degustazione per tutti di pasta e radicchio. Ma non di storione, specie protetta. «L’intento - spiega Giraldo - è anche quello di richiamare l’attenzione e di proporre un uso pubblico delle fortificazioni del territorio, numerose e spesso poco sfruttate». «Forte Carpenedo è un’oasi in questo quartiere - dice Paolo Marchioli, volontario del Gruppo di Iniziativa per il recupero di Forte Carpendo - c’è anche un punto di ristoro, è un luogo di socializzazione. Ci sono molti pensionati che si recano qui, danno una mano a tagliare l’erba, a ripulire, a mantenere vivo questo forte. Abbiamo organizzato diverse iniziative per rivitalizzare questo luogo stupendo, ma accettiamo volentieri anche altre proposte». (Francesca Bellemo)

 

E anche Mezzacapo fa discutere causa l'amianto
Da la Nuova di Venezia — 04 dicembre 2005 pagina 26 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. E’ dal 2003 che chiedono di gestire il forte Mezzacapo, con iniziative culturali e ludiche da organizzare in particolar modo durante l’estate. Peccato, però, che la struttura della Gatta risulti ancora inagibile, soprattutto a causa dell’amianto. Adesso però, l’associazione «Dalla Guerra alla pace», che in Municipalità ha come rappresentante Ivo Chinellato, chiede proprio alla neopresidente Maria Teresa Dini un po’ di chiarezza. «Vorremmo avere una copia del preliminare d’acquisto del Forte - è l’invocazione di Vittorino Darisi, uno dei più attivi responsabili dell’Associazione -. Oltre alla copia del capitolato di bonifica dell’area da ordigni bellici e al preventivo di spesa per l’eliminazione dell’amianto». Il gruppo, come detto, è dal 2003 che propone una serie di iniziative che possano animare forte Mezzacapo.

«La nostra idea sarebbe quella di creare una piccola area pic-nic - continua Darisi -. Una fattoria degli animali per i bambini, un’area dove collocare i campi estivi. Vorremmo organizzare visite guidate per scolaresche e cittadini, individuare locali per esposizioni e per manifestazioni, realizzare un museo, allestire alcune stanze con mostre sulle fortificazioni, sui volantini e sui manifesti del ’68, sulla fotografia». Molte altre sono le proposte dell’associazione, anche se nessuno sa se potranno prima o poi diventare realtà. «Intanto - continua Darisi -, siamo preoccupati dalla presenza di amianto, anche per chi abita nei pressi del forte». (g. cod.)

 

L' invasione austriaca ad Auronzo
Da il Corriere delle Alpi — 29 novembre 2005 pagina 41 sezione: SPETTACOLO

Travolta dal bailamme del dopo Caporetto, anche la IV Armata del generale Di Robilant dovette, nella prima decade di novembre 1917, sottrarsi affannosamente alla stretta nemica e puntare ogni speranza sul Grappa e sul Piave.
La nostra ritirata, dolorosa e sofferta, fu scandita da tutta una serie di testimonianze, civili e militari. Una di queste è assicurata senz’altro dal diario del pievano d’Auronzo don Antonio Puliè, il quale ebbe parte importante nelle trattative con i primi invasori austriaci e visse l’angoscia, tutta auronzana, di vedere il proprio paese minacciato di completa distruzione dai potenti e incombenti cannoni italiani del Monte Tudaio, che, ironia della storia, erano stati voluti, invece, proprio per garantire la difesa di tutta la regione.
Il grosso delle nostre ultime truppe abbandonò Auronzo la sera del 5 e contemporaneamente o quasi gli austriaci entravano a Cortina. In questo modo il I Corpo veniva sottoposto a una pressione nemica convergente su di esso dalle valli del Boite e dall’Ansiei. Mentre la 275ª compagnia, coperto il ripiegamento delle truppe provenienti dall’alto Comelico, raggiungeva Pieve di Cadore nelle prime ore del 6 novembre, la 268ª attendeva lo sfilamento del 53º Reggimento fanteria e alle 0.30 del 5 iniziava il ripiegamento alla volta di Auronzo, dove giungeva alle 9 del giorno 6.
I nostri fecero allora saltare il ponticello di Campo sull’Ansiei sotto Cima Gogna e il manufatto di Tre Ponti, per il quale fu sufficiente un solo, peraltro violentissimo, colpo di dinamite, alle 11 antimeridiane.
Nella notte del 6 e per tutto il giorno 7 i cannoni del forte del Tudaio entrarono in azione e bombardarono le posizioni nemiche di monte Croce e di monte Cavallino. Alcuni proiettili, però, caddero su Santo Stefano e incendiarono le case di otto famiglie: il fuoco investì anche i vicini baraccamenti militari e seminò il panico in tutto il paese.
Ma seguiamo il racconto del nostro pievano. «6 novembre 1917. Notte oscura da tagliare col coltello; manca la luce; per le strade non si vede, né si sente anima viva. Tutti sono tappati in casa a meditare, incerti dell’avvenire. I cannoni del Tudaio ci incutono un gran terrore: il cuore palpita forte, forte; ognuno esclama: “Gesù, Maria, cosa sarà di noi?” E nessuno osa dare una risposta sicura, confortante. Quand’ecco sento il tin tin del campanello, e il punf punf del bastone al portone delòla canonica. Sono le 11.30. Maria salta alla finestra e domanda: “Chi è?” Una voce rispose: “Sono un ufficiale austriaco”. Apro il portone e si presenta un sottotenente austriaco: è viennese, parla l’italiano abbastanza bene; aveva visto altra volta Padova, Venezia e ora sperava vivamente di rivederle. Mi stringe la mano, domanda da mangiare, da bere, da dormire, poiché da tre notti non dorme. Caterina riaccende il fuoco e prepara da mangiare. Il tenente mangia e sorseggia un po’ di vino e fa un po’ di conversazione con me. Io l’assicuro che in Auronzo non ci sono più soldati, che non ci sono armi, che manca ogni autorità, che quel giorno era stata costituita una Commissione provvisoria comunale, che il paese è tranquillo, che gli austriaci non hanno nulla da temere, che saranno rispettati, ma che noi desideriamo anche il rispetto a tutti i cittadini, specialmente alle donne e ragazze. Mi assicura che le persone saranno rispettate.
Domanda d’andare a letto: prima di accompagnarlo in stanza, gli domando: “Signor tenente, verranno molti soldati in Auronzo?” “Domani sera un reggimento” mi risponde. E se ne va a letto.
“Un reggimento!” penso tra me e me. E se il Tudaio rivolge il suo fuoco verso Auronzo? Poveri noi, povero paese! Mi viene un’idea: non sarebbe buona cosa avvertire l’ufficiale del pericolo? Mando a chiamare Marco Bonel, che già è considerato Capo Comune, ci parliamo e fra il sì e il no di disturbare l’ufficiale che dorme, andiamo in camera, lo svegliamo e gli esponiamo il gravissimo pericolo che corre il paese. Anche l’ufficiale era impensierito per il fragore del Tudaio. Non parliamo ad un sordo; la mattina per tempo si alza, prende il caffé e se ne va fino alle miniere dove un reggimento aspettava l’ordine di avanzare.
Il Tudaio continua il suo fragore tutto il giorno 7, e dà da pensare per la sera, in cui non si sa se arriverà o meno il reggimento austriaco. Bisogna trovare il modo di mettere al sicuro la gente, nel caso che qualche proiettile capiti ad Auronzo. Ordino che, col mezzo delle nostre guardie, venga invitata la popolazione a ritirarsi nei sotterranei o su per le valli riparate dalle coste.
Viene la sera: i colpi del Tudaio si fanno più rari, e poi più rari ancora. Alle 10 il cannone tace: silenzio di tomba. Sulla via non si vede anima viva. Corro dal sagrestano di Villagrande e di Villapiccola perché non si suonino campane per nessun conto. Mi dicono che è caduto ponte Nuovo e che di là del Piave sono rimasti prigionieri degli austriaci molti bersaglieri; che la ferrovia non accetta più passeggeri, che l’ultimo treno è partito. Addio patria! Quando ti riabbracceremo?
Detta la messa, faccio un giro pel paese; quale spettacolo impressionante! Gli austriaci saccheggiano la Cooperativa di lavoro, i negozi Bombassei e Giacobbi. Con la scure rompono porte, finestre, portano via robe d’ogni genere. Il paese sembra un avanzo d’incendio. E nessuno osa aprire bocca, tutti tacciono; lasciano fare. Hanno paura della scure e del fucile. E gli altri fanno e tacciono».
Walter Musizza Giovanni De Donà

L'amianto costoso di forte Mezzacapo
Da la Nuova di Venezia — 27 novembre 2005 pagina 26 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Potrebbe costare 150.000 euro bonificare dall’amianto forte Mezzacapo, la struttura militare di via Scaramuzza a Zelarino in fase di passaggio dal demanio al Comune. Nessuno conferma la cifra, ma si sa già che prevedendo costi altissimi per rimuovere i materiali tossici l’assessorato comunale all’Ambiente ha rinunciato a ospitare all’interno del Mezzacapo il progetto City Farm. Un problema quello dell’amianto che rischia di far slittare ancora di più la consegna, e l’utilizzo del forte. Sotto il punto di vista formale, è già pronto un preliminare di vendita della struttura, che passerebbe dai militari al Comune. Una volta avvenuto il «cambio della guardia», a forte Mezzacapo dovranno partire una serie di lavori di manutenzione, intervento che comprende anche la bonifica dei materiali considerati pericolosi. Tra questi c’è anche l’amianto, che in tutte le strutture di competenza comunale (scuole al primo posto) è in corso di rimozione. Il problema è quanto costerà l’operazione. «Centocinquantamila euro mi sembra una cifra alta», spiega l’assessore all’Ambiente Laura Fincato, «da parte mia avevo sentito ipotizzare una spesa di 100.000 euro, somma comunque alta. La questione di forte Mezzacapo è legata proprio a questo punto, quanto costerà la bonifica dell’amianto. Non abbiamo ancora fatto un preventivo preciso, ma comunque prevedendo dei costi elevati abbiamo deciso di cancellare il progetto City Farm, che comportava un percorso di educazione alla cura degli orti con la possibilità per i cittadini di portarsi a casa quanto coltivato. Spero che il passaggio di forte Mezzacapo al Comune si concluda al più presto, queste strutture militari rappresentano una ricchezza per tutto il territorio». Oltre a questioni burocratiche, il futuro del Mezzacapo potrebbe essere legato a quelle economiche: tanto il Comune dovrà sborsare per riqualificare l’area, tanto potrà investire per progetti al suo interno. Ora forte Mezzacapo versa in condizioni difficili, questa estate è stato utilizzato per fare brillare al suo interno due bombe, due residuati bellici. C’è un cartello plurilingue che racconta la storia del forte, ma a un passo è presente ancora l’indicazione che proibisce di fare riprese cinematografiche o scattare fotografie. E le cose non vanno meglio nell’altro forte di Chirignago-Zelarino, il Gazzera. Da un anno l’ex postazione di artiglieria è chiusa al pubblico per un intervento di bonifica in profondità non ancora terminato, nonostante le forze armate avessero assicurato a suo tempo che tutto si sarebbe concluso in settanta giornate lavorative. «Mi auguro», dice Maria Teresa Dini, presidente di Chirignago-Zelarino, «che per i nostri forti si arrivi al più presto a una soluzione positiva». (Maurizio Toso)

 

I forti altoatesini della grande guerra
Da Alto Adige — 18 novembre 2005 pagina 39 sezione: SPETTACOLOCULTURA E SPETTACOLI

«Lo sviluppo delle fortificazioni in caverna nel Sudtirolo. L’attività del Genio militare di Riva 1911-14» è il tema dell’incontro che si tiene oggi a Trento a cura dell’Istituto Italiano Castelli. A tenerla, Nicola Fontana, archivista del Museo Storico della Guerra di Rovereto, in via Dordi 8, alle 17.30.

 

GEMONA Intervento del Comune per la pulizia del luogo, ma per il progetto di museo mancano soldi  Forte di Ospedaletto, parte il riordino
Da Il Gazzettino di martedì, 8 Novembre 2005

Forte di Ospedaletto: si inizia a intervenire per la messa in ordine del zona, ma si è ancora lontani dall'obiettivo dell'amministrazione comunale e cioè la realizzazione di un museo della Prima guerra mondiale. Di fatto l'assessorato alla cultura della Regione ha stanziato un contributo di 10 mila euro per intervenire sul luogo che ha una notevole importanza storica: su quel colle, verso la fine dell'800, era stato costruito un forte che in seguito divenne luogo di difesa e di scontri durante la Grande Guerra del 1915-18. Il forte, con le sue ferritoie da cui si sparava, è ancora lì, ma da molto tempo versa in uno stato di degrado. Proprio in questa struttura l'amministrazione comunale desiderebbe realizzare un museo della Prima guerra mondiale e con questo fine aveva presentato già l'anno scorso un progetto che tuttavia, con sole 10 mila euro, non è certo realizzabile. «Avevamo chiesto un finanziamento di circa un miliardo e mezzo delle vecchie lire precisa l'assessore all'ambiente Davis Goi presentando un progetto preciso: con i soldi che abbiamo ricevuto e ai quali aggiungeremo un ulteriore contributo di mille euro, per il momento potremo soltanto effettuare un'opera di disboscamento e sistemazione della zona, visto che oltretutto il luogo non è neppure acessibile. I lavori saranno svolti dalla Comunità montana che interverrà sul sito già nelle prossime settimane. Purtroppo negli ultimi anni i contributi per questo tipo di opere sono diminuiti e di certo l'intera spesa non può essere sostenuto dal nostro Comune che ha altre priorità a cui provvedere come ad esempio la piscina e il nuovo palazzetto dello sport».Ma quel forte, situato sopra il lago Minisinis all'interno di una grande zona Sic che comprende anche il comune di Venzone, ha una certa importanza anche per la comunità di Ospedaletto: lassù, dagli anni '30 ai '50, vi abitò addirittura una famiglia, quella di Pietro Zilli. «Mio papà ricorda la signora Teresina, figlia di Pietro Zilli e ultima rimasta a Ospedaletto della famiglia Zilli era mutilato di guerra: a lui e alla nostra famiglia affidarono il compito di custodire il forte. Ci costruirono una casa dove abitammo in cinque persone. Lassù la mia famiglia ha vissuto per vent'anni, sostenendosi con la piccola pensione di mio padre e con quello che ci dava la terra». Piero Cargnelutti

 

L'università studia i forti di Cavallino
Da la Nuova di Venezia — 07 novembre 2005 pagina 17 sezione: PROVINCIA

CAVALLINO. Settanta studenti di architettura e conservazione saranno chiamati a ideare e proporre soluzioni progettuali per il recupero di Lio Piccolo e delle fortificazioni di Cavallino-Treporti. Inaugurato ai Tolentini, a Venezia, il nuovo corso di laurea specialistica dello Iuav in architettura per la conservazione con il titolo «Il borgo di Lio Piccolo e le fortificazioni austriache e italiane a Cavallino-Treporti nella laguna di Venezia». Il corso si svolgerà ogni venerdì fino al 23 dicembre in forma di laboratorio integrato. A coordinarlo i docenti Eugenio Vassallo, Pierluigi Grandinetti e Giorgio Lombardi. «Sarà un’occasione per far conoscere e rivalutare il territorio dai suoi stessi residenti - ha commentato il sindaco Erminio Vanin - Non mi spiacerebbe che Cavallino-Treporti fosse inserito in un percorso ciclabile integrato del Veneto Orientale». (f.ma.)

 

Un corso universitario su borgo Lio Piccolo
Da la Nuova di Venezia — 04 novembre 2005 pagina 35 sezione: PROVINCIA

CAVALLINO. Sarà presentato oggi alle 10 allo Iuav ai Tolentini a Venezia un corso di laurea sul borgo di Lio Piccolo e le fortificazioni austriache e italiane a Cavallino-Treporti. L’avvio del «laboratorio integrato», corso universitario di laurea, è parte integrante del progetto «Lio Piccolo. Cultura e ambiente tra laguna e mare» promosso dal Comune nell’ambito del programma Italia-Slovenia. Agli studenti, con il contributo disciplinare dei docenti, spetterà il compito di mettere a punto specifici temi di studio che privilegino gli aspetti paesaggistico-ambientali del territorio di Cavallino-Treporti. Sono una cinquantina i siti di interesse storico-architettonico e testimoniale sui quali si articoleranno i progetti degli studenti universitari. Tra questi, le torri telemetriche, le caserme militari, le batterie i forti e i bunker distribuiti lungo il litorale. Per il borgo di Lio Piccolo, il palazzo Boldù, il campanile, le costruzioni rurali e i casoni lagunari. Il laboratorio integrato si svilupperà nove lezioni, dalle 9 alle 19 di tutti i venerdì. L’ultima lezione è per il 23 dicembre e dal 16 al 20 gennaio 2006 è fissato, invece, un workshop intensivo finale al quale parteciperanno gli studenti. I progetti saranno poi esposti in una mostra e pubblicati. (f.ma.)

 

Alla ricerca delle trincee perdute
Da il Corriere delle Alpi — 02 novembre 2005 pagina 14 sezione: CRONACA

BELLUNO. Alla ricerca delle trincee perdute. Sono riprese nei giorni scorsi le ricerche effettuate dal gruppo di studiosi della Grande Guerra, dei quali il “Corriere delle Alpi” ha varie volte illustrato le ricognizioni alle opere militari costruite tra il 1904 e il 1914 sulla linea difensiva italiana. È una ricerca sistematica, sulla base di alcune mappe dell’epoca, delle strade militari, dei forti e delle trincee.
In particolare, sull’allineamento Monte Zélo, Monte Valaràz, Forcella Moschesìn, Passo Duràn, Spiz de Zuèl detto anche Agnellezze, Col de Salèra, che poi proseguiva coi Forti di Monte Rite, di Pian dell’Antro e con gli altri Forti del Cadore, muti testimoni della Grande Guerra.
Roberto Mezzacasa, Ermanno Laveder e Antonio Zanetti hanno recentemente effettuato un nuovo sopralluogo sul Col Pradamìo. Dall’imbocco di una carrareccia militare poco dopo Mezzocanale di Zoldo, inizia un percorso che s’inerpica su un costone roccioso: la strada è in parte scavata nella roccia e in parte sostenuta da alti muretti a secco. L’opera più significativa di questo primo tratto rimane l’ardita arcata di un ponte che scavalca un profondo dirupo, ponte visibile anche dalla sottostante strada che porta a Forno di Zoldo. Successivamente i tre hanno ispezionato i resti delle sovrastanti opere militari, in particolare un osservatorio che domina l’intera valle e una galleria con due accessi, in parte franata ma ancora percorribile con qualche cautela.
Superato questo alto gradone roccioso, la carrareccia, col suo selciato originario, continua a salire dolcemente tra i boschi, fino alla spianata di Pradamìo, coi ruderi dell’omonima casera.
Poco oltre, sul Col Pradamìo, ecco la meta dei ricercatori: il Forte costruito tra il 1909 e il 1912 per scongiurare il pericolo di un aggiramento a sud-ovest delle fortificazioni del “Ridotto Cadorino” attraverso la Valle del Maè. Il Forte è diviso in due tronconi, di cui uno completamente scavato in galleria, collegati tra loro da un trincerone protetto. Oltre al Forte esisteva un corpo di guardia in località Casoni, con un piccolo ricovero.
Anche la Fortificazione di Col Pradamìo, come tutte le altre realizzate sulla “Linea Gialla”, non fu mai utilizzata ai fini bellici perché, all’inizio della Grande Guerra, il fronte si costituì molto più avanti, spesso addirittura oltre il precedente confine, ben lontano dalla gittata delle artiglierie che avrebbero dovuto essere collocate in tali postazioni.
Appena sopra il Forte si spalanca all’improvviso l’ampia soleggiata radura di Pian Grant cui fanno da corona i maestosi spalti del gruppo del Bosconero e le aguzze guglie delle cime della Serr

 

Il recupero dei forti? Solo in Trentino
Da Alto Adige — 02 novembre 2005 pagina 36 sezione: SPETTACOLOCULTURA E SPETTACOLI

L’Alto Adige è una terra straordinaria. Per lo meno in questo senso: vi accadono fenomeni che vanno al di là dell’ordinario. Esempio ne sia il modo con cui spesso viene affrontata la storia. Non che venga falsificata, questo no, ma falsata probabilmente sì. Il procedimento adottato (da entrambe le parti) è alquanto sottile, quasi elegante: non si raccontano falsità, ma si tende piuttosto a falsare la realtà raccontandone solo una parte, rimuovendo cioè i particolari indesiderati. Un caso eclatante in questo senso riguarda il primo conflitto mondiale: in Alto Adige nei confronti della Grande guerra, per ovvi motivi, non esiste una memoria storica collettiva e comune. In altre parole, la popolazione tedesca ha di quegli avvenimenti una visione affatto diversa da quella della popolazione italiana. E anche per questo la Provincia, contrariamente a quella di Trento, non ha ancora recepito la legge nazionale di riordino del patrimonio storico della Prima guerra mondiale. «Un fatto piuttosto grave» come sottolinea in una nota la Società storica della Grande guerra di Bolzano. «La I Commissione legislativa del Consiglio provinciale - chiarisce il comunicato dell’associazione che si occupa di studi e ricerche sul campo in tutta la regione - ha volutamente lasciato scadere i termini per la trattazione del disegno di legge che doveva dichiarare patrimonio storico tutte le vestigia della Prima guerra mondiale. Il tutto nel mancato rispetto della legge nazionale n. 78 del 7 marzo 2001, là dove, nell’articolo 7, comma 2, prevede per le province a statuto speciale l’approvazione delle relative norme di attuazione. Il Trentino già nel 2001 aveva approvato - all’unanimità - una legge che ha permesso di avviare una lunga serie di interventi a salvaguardia del patrimonio bellico presente sul territorio. In Alto Adige, al contrario, sulla legge non è si nemmeno discusso». «Il disegno di legge - prosegue la nota della Società storica - è stato presentato dal consigliere Alessandro Urzì di Alleanza nazionale, ma non ha una valenza squisitamente politica, quanto piuttosto culturale. Si desiderava solamente seguire l’esempio trentino, recependo la normativa nazionale per la salvaguardia e la valorizzazione del territorio. Il disegno di legge è stato boicottato dalla Svp per due anni di fila. Ora i termini per la discussione in Commissione legislativa sono decaduti. Un episodio unico nella storia dell’Autonomia: per la prima volta la Provincia, da sempre insaziabile in fatto di competenze e contributi, sta inspiegabilmente rinunciando ai finanziamenti statali che, secondo la normativa nazionale, possono poi essere concessi anche alle associazioni private e utilizzati per attività culturali di vario genere». Mancando una norma provinciale, la Società bolzanina, per potersi impegnare nel ripristino e nella valorizzazione di manufatti della Grande guerra, si è vista costretta a bussare alle porte dell’amministrazione trentina. Lo conferma l’assessore regionale alle Minoranze linguistiche, Luigi Chiocchetti: «La Società bolzanina ha ideato il restauro e il ripristino di alcune postazioni di guerra sopra Passo Fedaia, in Marmolada. I lavori sono stati sovvenzionati dalla Regione Trentino-Alto Adige e dal comune ladino di Canazei. Insieme all’amministrazione comunale, di recente abbiamo effettuato un sopralluogo in occasione della fine dei lavori nel primo lotto. I volontari bolzanini si sono impegnati in maniera davvero encomiabile. Oltre alle trincee, in futuro verranno ripristinati diversi altri manufatti, in modo tale da recuperare un’intera area completamente abbandonata. Lo scopo è creare un percorso fruibile dai turisti, recuperando al contempo un frammento di storia della Ladinia». In Trentino iniziative del genere sono all’ordine del giorno, come dimostra il censimento dei forti (che sono risultati ben 114), o l’iniziativa “Dolomiti di pace” (la manifestazione estiva che ha portato scrittori, filosofi e intellettuali in alcune fortificazioni, simboli di guerra, a parlare di pace) o, ancora, il progetto pilota “Grande guerra” tramite il quale si stanno restaurando diverse fortificazioni. «I trentini hanno capito l’importanza culturale ed economico-turistica della legge nazionale - precisa il consigliere provinciale Urzì, autore del disegno di legge -. Da noi, invece, non si fa nulla, come dimostra la tragicomica vicenda della Società storica. Il problema è che, se venisse recepita, la legge tutelerebbe qualunque aspetto riguardante il primo conflitto mondiale: trincee, forti, cippi, steli, cimiteri, così come toponomastica e odonomastica. E allora si fa presto a capire perché siano in molti a non volerla». E, in effetti, il disegno di legge crea imbarazzo, tanto che la referente culturale della Svp, Martha Stocker, dichiara: «Da noi questa legge non serve, anche perché il poco che c’era da preservare è già stato preservato. E poi, che io sappia, in Alto Adige non esistono nemmeno fortificazioni». «Vero niente - fanno sapere dalla Società storica della Grande guerra - sono molti i manufatti abbandonati o comunque da valorizzare: basti pensare al forte di Gomagoi ai piedi dell’Ortles, a quello di Mitterberg a Sesto Pusteria, o a quello di Landro nelle Dolomiti di Sesto. Qui venne girato il film tratto dal romanzo “Addio alle armi” di Hemingway. Oggi è in totale stato di abbandono. Noi, comunque, non abbiamo perso le speranze. Ora il disegno di legge verrà esaminato nelle sessioni invernali del Consiglio provinciale, dove l’assessore competente dovrà per lo meno spiegare perché non vuole che la legge venga approvata». - Davide Pasquali

 

Una perla da valorizzare
Da Messaggero Veneto — 07 ottobre 2005 pagina 09 sezione: GORIZIA

Ho ricevuto diverse telefonate per quanto ho scritto sul Forte Hensel di Malborghetto e tra queste mi pare interessante quella del generale a riposo Aldo Treu, di Tarcento, un friulano ex elicotterista, esperto anche in storia militare.Egli mi segnala che l’episodio dell’assedio al forte è riportato anche nell’Enciclopedia militare del 1935, vol. IV pag. 761, nota corredata da una mappa del forte all’epoca dell’assedio, che mi ha trasmesso e che io a mia volta vi allego caso mai sia possibile la sua pubblicazione.Ne deduco che ai fini turistici, il forte, se adeguatamente ripristinato, potrebbe diventare anche la meta estiva d’istruzione per gli allievi ufficiali dell’Accademia militare di Modena. Molto interessante ai fini storici quanto scrive Adamo Franz di Tarvisio (Messaggero Veneto, 29 settembre) per informare che esiste una lettera del capitano Hensel del 23 agosto 1805, 200 anni fa, scritta in occasione di un suo viaggio di servizio anche in Ungheria nell’allora Ofen, prima che diventasse Buda a cui poi fu aggiunto Pest, per essere infine Budapest, la capitale dell’Ungheria.Erano quindi passati 4 anni dal suo licenziamento dall’Accademia austriaca del genio e mancavano solo quattro anni alla sua morte a Malborghetto. Chissà se fosse possibile avere la fotocopia della suddetta lettera?  Nello San Gallo Udine

 

Fort Hensel, tutto fermo finché resta al Demanio
Da Messaggero Veneto — 07 ottobre 2005 pagina 13 sezione: PORDENONE

Sono apparsi di recente sulla stampa diversi articoli sul Fort Hensel, ma ho avuto anche il piacere di ricevere in copia una nota di un cittadino di Trieste che ha scritto direttamente al presidente del consiglio – Silvio Berlusconi – sul perché del mancato trasferimento di questo bene al Comune. Considerato che il forte ricade all’interno del territorio amministrativo del nostro comune ritengo opportuno presentare la situazione di fatto e le ipotesi di utilizzo che erano state valutate in questi anni.Come forse sarà noto il Fort Hensel appartiene ancora al Demanio militare - ramo guerra. Già dal mio predecessore era stata avanzata una richiesta di trasferimento al patrimonio comunale, ma a tutt’oggi non abbiamo avuto ancora alcuna risposta.Sia la precedente amministrazione, sia l’attuale sono interessate ad avere il forte non tanto per incrementare il patrimonio immobiliare comunale, ma per riuscire a veicolare il bene a favore di un potenziale suo utilizzo e sviluppo turistico-culturale-storico. Una prima ipotesi prevedeva la semplice messa in sicurezza, l’illuminazione, la pulizia dai rovi e la realizzazione di un percorso didattico con opportune tabelle in modo da ricordare la storia del forte e di conseguenza quella della valle. Detto intervento non avrebbe richiesto un forte intervento finanziario – circa 300.000 euro – ma avrebbe consentito la fruibilità dello stesso e della zona.Una seconda ipotesi, molto più onerosa, prevedeva la messa in sicurezza e, quindi, oltre a tutto il resto, anche la realizzazione di un centro visite ai piedi dello stesso ed eventualmente anche un punto di ristoro e panoramico verso la Val Canale.Fino a ora però, dato che non è nostro, non abbiamo potuto fare niente e tanto meno abbiamo potuto coinvolgere eventualmente anche investitori privati che secondo noi sarebbero interessati a uno sviluppo turistico. Speriamo che tutte le sollecitazioni esternate in questi ultimi tempi facciano accelerare il processo di passaggio dei beni dallo Stato alla Regione Friuli Venezia Giulia e quindi al Comune o ad altro ente che sia in grado di sviluppare nuove iniziative e non vincolare un’altra parte del nostro territorio.Alessandro OmansindacoMalborghetto-Valbruna

 

Recuperare il forte Hensel per il turismo tarvisiano
Da Messaggero Veneto — 26 settembre 2005 pagina 14 sezione: PORDENONE

Se può far piacere a R.Z., di Tarvisio, che si domanda (“Messaggero Veneto, Posta dei lettori, 9 settembre 2005): «Perché non aprire il Fort Hensel al pubblico?», lo informo che questo risultato se lo erano proposto anni fa, purtroppo senza riuscirci, il sindaco di allora Florit, se ricordo bene il cognome, lo storico locale di Malborghetto, maestro Domenig, e anche il parroco di allora, depositario del libro storico della parrocchia Malborghetto-Valbruna, il dottor Corrado Zucchiatti, preside anche della scuola media di Tarvisio.Avevo scritto, dopo un incontro con queste personalità del luogo e su loro invito, che Malborghetto, che era stata in passato sotto Bamberga l’importante sede del Marksrichter l’amministratore della giustizia per tutto il territorio (mentre Tarvisio, contemporaneamente, era stata la sede del Waldmeister, l’amministratore della foresta, l’altra figura amministrativa chiave del governo locale, di cui si conservavano, come avevo potuto constatare, i protocolli giudiziari) ben meritava di essere inserita in uno degli itinerari turistici della Valcanale, che era allora nei piani degli operatori, di cui doveva far parte la visita al forte che, perciò, doveva essere preventivamente sistemato e adeguato con un percorso attraverso i diversi livelli delle sue fortificazioni di cui esistevano solo le rovine.Ai piedi della rupe dal curioso nome di Cialava o Cialavai, o Tschlawa, dove anticamente, secondo i resoconti, veniva eseguita la sentenza dei condannati alla pena capitale, c’era anche ben visibile dalla strada il bel monumento eretto dall’Austria, un lastrone piramidale e un leone, con il quale l’imperatore Ferdinando I onorava gli eroici caduti nella difesa del forte. Nel maggio del 1809, infatti, il forte austriaco era stato teatro di un furioso assalto dei francesi di Napoleone diretti verso Vienna.Coglievo l’occasione di dire che nelle immediate vicinanze, uno del posto, Zanardi mi pare si chiamasse, aveva già dato vita e avviata una promettente attività economica: uno dei primi allevatori di trote di tutta la zona che si avvaleva anche della presenza di un caratteristico ristorante di proprietà dello stesso Zanardi dove le trote venivano servite appena pescate. Una curiosità del luogo era senz’altro anche una palla di cannone sparata, come si leggeva sull’iscrizione, il 17 maggio 1809, dalle batterie del forte e immurata, poi, a ricordo, sopra la porta del civico 71. I De Paola nella cui casa la palla era caduta da allora erano conosciuti come i “dalla palla”.I forti costruiti in Valcanale per impedire l’accesso in Austria erano due: uno a Malborghetto, l’altro al Passo del Predil. Troviamo un resoconto dettagliato sui combattimenti che li riguardano nel libro “Malborghetto, Tarvisio, Predil” (Wien c.w. Stern 1909) del capitano austriaco Alois Velfzè. Friedrich Hensel, a cui è intitolato quello di Malborghetto, era un ufficiale del Corpo austriaco degli ingegneri, licenziato dall’omonima prestigiosa Accademia nel 1801. Era stato il progettista della fortificazione e in seguito, solo poco tempo prima che il forte fosse espugnato dai francesi, era stato nominato comandante con il grado di capitano. Morì a soli 28 anni, il 17 maggio 1809. Si racconta che venne trafitto dalla baionetta di un soldato francese mentre, chino sulla mappa delle fortificazioni, studiava il modo come opporre un’ultima disperata resistenza. Quel tavolo, intriso del suo sangue, secondo gli abitanti del posto, era conservato a Malborghetto prima della venuta dell’Italia.Solo a poche ore di distanza dall’espugnazione del forte di Malborghetto si era concluso anche il destino di quello del Passo del Predil, comandato dal capitano del genio Johann Hermann von Hermannsdorf, alla cui memoria è stato eretto sul Passo un analogo monumento. Per raggiungere questo forte e sorprendere la sua guarigione i francesi, dopo aver percorsa la Val Raccolana, si erano aperti, lavorando l’intera notte, nella viva roccia dello sbarramento roccioso che divide la valle dalla sovrastante Sella Nevea, un’improvvisata scalinata, che anch’io, guidato da uno del posto, ho potuto vedere. Del resto per chi interessa questa storia bisogna anche aggiungere che a Malborghetto, in passato, non veniva negata un’importanza commerciale soprattutto per la ricchezza dei legnami, il cui sfruttamento era agevolato dal corso della Fella idoneo alla fluitazione. Ma non mancavano neppure le industrie e le fucine. Dagli antichi documenti: contratti di compravendita, obbligazioni, risulta che sul posto erano presenti oltre che commercianti anche industriali, molti dei quali di origine italiana e veneziana. Questi personaggi hanno lasciato una loro traccia nella preziosità architettonica che hanno dato alle loro case, segno delle loro floride condizioni economiche. Sono, infatti, di una squisita esecuzione artistica gli stemmi di casato e di nobiltà dei portali e delle pietre funerarie. C’era addirittura una pregiata bottega di argenterie che produceva di preferenza cucchiai molto ambiti dal patriziato austriaco e veneziano.Tra le famiglie di rango di quel ricco e operoso periodo, appartamenti a questa aristocrazia industriale, si deve menzionare Volfango Paul I di Nagerschigg, il cui nipote Giorgio fece edificare nel 1610 il nominato Palazzo veneziano, ancor oggi il più importante edificio del posto. Però, come si legge, fu un Bartolomeo Canal-Ehrenberg, capostipite della linea Canal, presidente a Malborghetto fino al 1876, che avrebbe dato anche il nome all’intera valle, a valorizzarlo pubblicamente come il simbolo di una destinazione gentilizia che si rifaceva allo stile e all’architettura veneziana.Nello San GalloUdine

 

Fort Hensel aperto al pubblico
Da Messaggero Veneto — 09 settembre 2005 pagina 16 sezione: PORDENONE

Perché non aprire il Fort Hensel al pubblico? Perché non risistemarlo, ripulirlo, riordinarlo?Mi sono sempre chiesta, percorrendo la statale e arrivando a Malborghetto, come mai non si tenti di dare una sistemata a questa bellissima e valorosa struttura che sovrasta la strada e che oramai è ricoperta quasi totalmente dalla vegetazione. Il Fort Hensel rappresenta per la nostra zona un reperto storico importantissimo; meriterebbe di essere valorizzato; è posto in un punto davvero “strategico”, di passaggio, molta gente si fermerebbe a visitarlo; il posto per il parcheggio ci sarebbe, un’area dove predisporre una biglietteria ci sarebbe; occorre solo dare una sistemata al tutto; creare un percorso di visita, con delle guide che illustrino la storia del Forte ai visitatori, così anche persone volonterose riuscirebbero a trovare un lavoro attorno a tutto il sistema gestionale che si creerebbe intorno al Forte.La mia non vuole essere una critica, ma solo una domanda e credendo di non essere l’unica persona a essersi posta questa domanda, spero che qualcuno possa rispondere anche pubblicamente per soddisfare questa mia curiosità.R.Z.Tarvisio

 

Grande furto al museo di forte Belvedere – Werk Gschwent a Lavarone

I reperti della Grande Guerra come opere d’arte? Si direbbe di sì dato il furto perpetrato da ignoti delinquenti a spese delle collezioni del forte Belvedere – Gschwent sull’altopiano di Lavarone. I ladri, penetrati nottetempo nell’edificio grazie anche ad un sistema di allarme non adeguato come giustamente evidenziato dalla stampa, hanno rotto svariate vetrine asportandone il contenuto. Molto del materiale rubato è di grande rarità a livello collezionistico-museale ma proprio per questo non facilmente commerciabile; l’episodio quindi fa pensare ad un vero e proprio furto su commissione. E’ la prima volta che un fatto del genere accade su così vasta scala nel campo dei musei della Grande Guerra ed è un primo campanello d’allarme per tanti altri piccoli o grandi musei sparsi sull’arco alpino così come pure peri non pochi collezionisti che hanno in casa una raccolta od un museo privato. E’ un fatto grave; chiunque frequenti mercatini o fiere di militaria è certamente

consapevole dei livelli eccessivi cui sono arrivate le quotazioni dei pezzi da collezione. Un esempio: se un elmetto austriaco (M 17) in condizioni di nuovo si poteva acquistare per circa un milione di lire fino a qualche anno fa, oggi – trovandolo!- per lo stesso oggetto vengono chieste cifre che superano i mille euro. Una vetrina come quella che a Lavarone conteneva i reperti dellaGuerra Bianca aveva un valore non quantificabile in quanto composta da svariati oggetti che messi a quel modo tutti assieme costituivano un unicum nel loro genere. Quindi vale la somma: valore dei singoli pezzi + valore della collezione. Chi è il o i ladri? Uno o più collezionisti malati e disonesti? Commercianti ricettatori? Chiunque sia con questo gesto ha apportato un danno gravissimo alla collettività degli appassionati, all’immagine del collezionista e del commerciante di militaria ed infine – ma non ultimo – al Comune di Lavarone che, con entusiasmo coraggio e grandi spese aveva saputo lavorare in maniera intelligente per creare questo ormai irripetibile museo. Appena avremo un elenco degli oggetti rubati lo metteremo in rete almeno per i pezzi più importanti, rari e quindi facilmente riconoscibili. Se infatti una Lakos è uguale ad un’altra, così non si può dire per pezzi quali il soprabito impermeabile d’alpino o altri simili capi che lo scrivente conosce molto bene avendoli maneggiati con cura ed attenzione ai tempi della loro acquisizione per le collezioni del forte Belvedere – Werk Gschwent al fine di catalogarli, restaurarli ed esporli all’interno della mostra.

Roberto Todero restauratore delle collezioni del forte consulente tecnico per l’allestimento

 

Allarme amianto al forte Mezzacapo del Tarù
Da la Nuova di Venezia — 27 agosto 2005 pagina 20 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Millesettecento metri quadrati di coperture in amianto. Davvero troppi. Eppure, da un primo sopralluogo dei tecnici di Vesta all’interno del forte Mezzacapo, ex struttura militare di Santa Lucia Tarù, è proprio quello il quantitativo di materiale usato per costruire i tetti delle fabbricazioni interne. Materiale che verrà analizzato in questi giorni, ma sulla cui natura in pochi nutrono dubbi: si tratta di eternit. Ne è certo Vittorino Darisi, presidente dell’associazione «dalla guerra alla pace», che dovrebbe prendere in gestione il terreno. «In quel forte c’è amianto e in quantità notevole. Fosse per me, lo farei chiudere immediatamente, recitandolo, e apporrei al suo esterno un cartello che indica una situazione di pericolo». Nei prossimi giorni Vesta andrà a fondo su una faccenda che si può rivelare dannosa anche per chi abita nei dintorni della struttura. Le coperture, infatti, abbandonate a loro stesse, lasciano cadere scaglie e polvere: queste possono essere trasportate dal vento nelle aree che circondano la proprietà militare. «Mezzacapo ha bisogno di una bonifica con i fiocchi - commenta ancora Darisi -. Bisogna eliminare almeno mezzo metro di terra, visto che, in questi anni, dai tetti sono cadute molte scorie. Un lavoro per il quale, a prima vista, serviranno circa 250 mila euro». Proprio a causa della presenza di millesettecento metri quadri di materiale composto (quasi certamente) da amianto all’interno del forte, Ivo Chinellato, delegato della municipalità, è tornato a polemizzare con l’Esercito per le bombe fatte brillare al suo interno qualche settimana fa. «Abbiamo scoperto che gli ordigni fatti saltare a Mezzacapo senza avvertire nessuno, non provenivano da forte Gazzera, ma da altri forti di Mestre, come forte Rossariol. - racconta Chinellato -. Il guaio è che gli scoppi danneggiano ancora di più le coperture: se queste sono davvero in amianto, come si teme, allora un gesto così inconsulto può rivelarsi molto pericoloso». Insomma: fra qualche giorno si potrà finalmente capire a quali operazioni sarà sottoposta la struttura di santa Lucia Tarù. Una struttura che doveva divenire già da tempo patrimonio dei cittadini del Comune. Al suo interno, infatti, l’intenzione era quella di incentivare, anzitutto, la cultura biologica, progetto finanziato da fondi europei; ma l’idea portata avanti dall’associazione «dalla guerra alla pace» era anche quella di creare un polo ludico-culturale, un luogo di aggregazione, di incontro e di dibattito. Per forte Mezzacapo, l’amministrazione comunale, a ottobre 2003, aveva firmato un contratto nel quale si affermava che l’antica polveriera abbandonata sarebbe passata in mano a Ca’ Farsetti entro e non oltre sei mesi. L’impegno era stato confermato dall’anticipo sborsato sul costo totale: il 5% di 2 milioni, ovvero circa 100 mila euro.

 

Memorie dal fronte, una riscoperta
Da Alto Adige — 26 agosto 2005 pagina 39 sezione: SPETTACOLOCULTURA E SPETTACOLI

Sono ben 114 i forti costruiti dall’Impero austro-ungarico in Trentino tra la seconda metà dell’800 e la Prima guerra mondiale quando, all’entrata nel conflitto dell’Italia nel 1915, il territorio provinciale divenne linea del fronte meridionale. Senza contare camminamenti, trincee, postazioni e reperti vari. Un patrimonio considerevole, quasi tutto di proprietà pubblica, in gran parte da valorizzare. Qualche intervento è stato fatto nel corso degli anni, il più rilevante a forte Belvedere a Lavarone, poi al Cherle e al Sommo Alto di Folgaria, a Luserna si sta lavorando come nelle Giudicarie ai forti Corno e Larino. Ma, perlopiù, si tratta di strutture poco accessibili e prive di manutenzione. Un esempio dell’imponenza delle fortificazioni si è avuta quest’estate nel corso di “Dolomiti di pace”, l’iniziativa che ha portato scrittori, filosofi, intellettuali in alcuni forti, simboli di guerra, per parlare di pace. Già da qualche anno, la Provincia ha impostato, insieme al Museo della guerra di Rovereto, ma anche con il contributo di quello di Trento, il progetto pilota “Grande guerra”. Si tratta, come prima fase, di recuperare e restituire a tutti 5 forti che hanno una particolare importanza storica ed architettonica. E’ un disegno coordinato e seguito dall’ufficio beni monumentali e architettonici, basato sullo studio dell’architetto Francesco Collotti dell’Università di Firenze e per il quale sono stati stanziati, per adesso, 4 milioni 175 mila euro. “C’è una richiesta sempre più forte da parte di Comuni, associazioni, gruppi di studio e appassionati - dicono Sergio Flaim, soprintendente ai beni architettonici e Michela Favero, che si occupa del progetto - di interventi per recuperare e valorizzare le memorie della Grande Guerra superando la logica dell’esaltazione nazionalistica e arrivando alla memoria come bene culturale”. Fulcro dell’operazione è il forte di Cadine, al Bus de Vela. Una struttura complessa e articolata, realizzata tra il 1860 e il 1862 a difesa della città di Trento. I lavori - 1 milione 150 mila euro il costo preventivato - dovrebbero iniziare entro l’anno. L’inaugurazione è prevista nel 2008, in ritardo di tre anni rispetto a quanto scritto nella pubblicazione “Beni culturali 2003” che segnala il 2005 come termine.

Qui verrà realizzato un vero e proprio centro di documentazione e informazione riguardante tutto il sistema delle fortificazioni che insistono sul territorio provinciale. Nei Comuni di Trambileno e Vallarsa si trova forte Pozzacchio, ideale porta d’accesso al massiccio del Pasubio, parco della memoria per eccellenza. E’ una fortezza sotterranea che sarà resa agibile e messa in sicurezza. Il costo previsto è di 813 mila euro. Per ora siamo al progetto preliminare. La fine delle operazioni è fissata per il 2009. Più vicino nel tempo, nel 2007, il recupero del Dossaccio, nel Comune di Predazzo, a 1838 metri di quota nel parco Paneveggio Pale di San Martino da dove si gode uno splendido panorama sulla catena del Lagorai. Per il primo lotto di interventi sono stati stanziati 612 mila euro. Si lavorerà sulla conservazione dell’esistente, anche dei ruderi. Perché ciò che rimane di queste fortificazioni è spesso il risultato delle spoliazioni che nel dopoguerra subirono ad opera delle popolazioni locali con l’opera dei recuperanti, resi celebri da uno splendido film di Ermanno Olmi. Acciaio, ferro, legno, suppellettili facevano comodo, vista la penuria di cibo e l’estrema povertà. “Anche questi aspetti - affermano Flaim e Favero - fanno parte del recupero della memoria e della storia del territorio”. Forte Dossaccio è destinato a diventare lo scenario di rappresentazioni teatrali legate alla sua storia e al paesaggio alpino. Più problemi, invece, comporterà la sistemazione del forte di San Rocco alle porte di Trento. L’area dell’ex polveriera è infatti occupata da un allevamento di asini e cavalli. Si dovrà quindi risolvere questo problema prima di mettere mano al progetto, “non attuato”, come scrivono le carte. San Biagio, sul colle delle Benne a Levico, è l’ultimo intervento. Si arriverà al 2009 per la fine dei lavori per i quali sono stati stanziati 1 milione 600 mila euro. In questo caso, verranno ospitati allestimenti legati alla vita nel forte, le tecniche di difesa, l’evoluzione delle regole delle fortificazioni austriache. “Oltre a questo progetto pilota - afferma Sergio Flaim - stiamo preparando lo studio per un sentiero della memoria sull’Adamello-Presanella, teatro della guerra bianca, e un progetto per la tagliata del Ponale, chilometri e chilometri di gallerie ma anche un’azione di coordinamento scientifico per gli interventi sugli Altipiani di Folgaria, Lavarone e Luserna”. - Paolo Piffer

 

Nebbiù, volontari al lavoro per la pulizia di San Dionisio
Da il Corriere delle Alpi — 25 agosto 2005 pagina 28 sezione: PROVINCIA

NEBBIU’. Volontari al lavoro per la manutenzione e la pulizia di San Dionisio. In questa occasione, l’operazione di pulizia non ha riguardato solo l’antica chiesetta, ma tutta la sommità del monte, a quota tra 1930 e 1960 metri. In questa parte della montagna, oltre alla chiesetta dedicata al Santo protettore di Nebbiù e della vallata, all’inizio del secolo scorso l’esercito italiano ha realizzato alcune postazioni che sono entrate a far parte delle fortificazioni comprendenti i forti molto più consistenti ed agguerriti del cosiddetto “Ridotto Cadore”. Di queste postazioni, tra l’altro mai utilizzate a fini militari, oggi rimangono solamente alcune trincee, conservate come memoria storica. Inoltre, sulla quota più elevata del monte, è stata eretta una croce che segnala la vetta. Nel corso degli anni quella che era una radura si è riempita di cespugli, e sotto a questi cespugli sono stati gettati anche dei rifiuti. Il lavoro che in queste settimane d’agosto è stato eseguito dai volontari che curano anche la manutenzione della chiesetta, ha riguardato essenzialmente la pulizia della zona dai cespugli e dalle erbacce. Ora il luogo si presenta molto ordinato e pulito. Un recupero storico-ambientale considerato necessario. Come conseguenza, la croce è nuovamente visibile anche da chi osserva San Dionisio dal fondovalle. Lo stesso si può dire per quanto riguarda le trincee che sono state riportate alla situazione iniziale, con l’unica variante che allora non erano ricoperte d’erba. Favorevoli i commenti anche da parte dei numerosi turisti che salendo dal rifugio Costapiana transitano per San Dionisio per poi raggiungere il rifugio Antelao. (v.d.)

 

Fortino, il "no" dell'Ana al bunker    Gli alpini di Tarcento contestano la seconda parte del piano di recupero del "loro" simbolo
Da Il Gazzettino di martedì, 23 Agosto 2005

Tarcento Nuova polemica per il restauro e l'adattamento a nuovo uso del fortino del Bernadia. A far sentire la loro voce questa volta sono le penne nere di Tarcento, un gruppo composto da dodici sezioni che della vecchia fortificazione militare, su in cima alla montagna, ha fatto il suo simbolo. Insieme al monumento-faro, che sorge lì accanto, l'edificio storico fa da teatro ogni anno al raduno Ana, nei primi giorni di settembre. Nell'annunciare l'anticipazione dell'evento al 28 agosto, il capogruppo Italo Rovere non fa mistero del malumore diffuso tra i soci riguardo il progetto di ripristino del forte. Le sue parole sono di amarezza: «Tutti noi siamo d'accordo per il recupero della struttura previsto dal primo lotto dei lavori - dice - Da tempo era necessario mettere in sicurezza il sito, simbolo importante per tutta la comunità. Quel che ci lascia senza parole è il progetto di trasformazione previsto dalla seconda tranche, con creazione di bunker sotterranei e servizi igienici interrati. Non sappiamo ancora con cosa abbiamo a che fare. Più volte abbiamo chiesti chiarimenti all'amministrazione comunale, anche tramite lettera. Desideravamo conoscere in dettaglio i contenuti del progetto. Siamo ancora in attesa di risposta, come la maggior parte della popolazione. Quel che ci addolora forse, in realtà, è proprio questo: la carenza totale di informazione. Parlo a nome di tutti i soci dei gruppi Ana tarcentini. Non nascondo poi che questo pensiero è condiviso da molti residenti del paese».

Ana e Comitato monumento-faro, coordinato quest'ultimo da Luciano Trusgnach, curano da anni la manutenzione dello slargo sul Bernadia. Ogni qualvolta si rende necessario un intervento di miglioria, salgono sulla montagna armati di decespugliatori, rastrelli e pale, così da rendere accogliente e dignitoso un luogo che ricorda, per tutto il Friuli, i caduti di tutte le guerre. Il loro impegno si estende anche alla luce del faro. Il meccanismo, che alterna il tricolore, visibile anche di notte, è stato riparato, negli ultimi dodici mesi, già quattro volte. Il gruppo infine, un sodalizio che raccoglie dodici sottosezioni locali, tra cui Collalto, Coja e Ciseriis, opera per mantenere costantemente in funzione l'annessa area festeggiamenti.

  

Le guerre nel Tarvisiano da Napoleone al 1945
Da Messaggero Veneto — 22 agosto 2005 pagina 10 sezione: PORDENONE

Con l’inizio della stagione estiva il Tarvisiano ha posto a disposizione degli ospiti una struttura di grande valenza per la conoscenza del territorio. È il Museo storico militare di Cave del Predil, alestito dal generale degli alpini Bruno La Bruna, presidente del Gruppo storico tarvisiano, nel ristrutturato edificio dell’ex scuola elementare messo a disposizione dall’amministrazione comunale e aperto ufficialmente dai primi giorni di giugno.C’è voluto un grande lavoro di ricerca e di raccolta cui ha dato il suo apporto anche il direttore Silvio Trangoni per creare un punto di riferimento importante ai fini della conservazione delle documentazioni che ora avvantaggia i visitatori che hanno modo di approfondire la conoscenza di un’area caratterizzata dalla presenza del valico più accesibile dell’arco alpino, che fa da spartiacque fra i bacini del Mediterraneo e del Mar Nero e che, quindi, ha sempre rivestito grande rilievo strategico fin dall’epoca dell’impero romano.Di recente il museo è stato visitato dagli ufficiali dei carabinieri della regione guidati, dal comandante generale di brigata Silvio Ghiselli, ma la struttura ha suscitato interesse anche negli studiosi austriaci e sloveni ed è visitata dai tuististi ospiti. La visita comincia dalla sala del sito o dei plastici dove si prende contatto con la realtà geo-topografica del territorio e la collocazione dei manufatti militari del percorso esterno. La situazione ambientale viene poi focalizzata nella sala del comprensorio di Raibl dove, foto, disegni e mappe, permettono di conoscere la realtà sociale ed urbanistica di Cave del Predil.

Quindi, l’itinerario invita alla visita della sala delle guerre austro-napoleoniche, con ragguagli importanti sottolineati da mappe e piantine, ma anche da oggetti storici, armi, uniformi e araldica, sulle campagne napoleoniche nell’alto Friuli (da 1797 al 1814), Valcanale, alto Isonzo e Carinzia. Due ampie sale “raccotano” le guerre mondiali. Nella prima si evidenzia il periodo dal 1914 al 1917 che ha interessato la zona di guerra compresa fra l’alto Isonzo e l’Alta Carnia includendo la val Raccolana e la val Fella (in visione reperti, armi ed uniformi, nonchè foto e mappe inerenti le battaglie del Monte Nero, monte Rombon, Due Pizzi e Jof di Miezegnot). Vi sono anche gli albi d’onore dei caduti di entrambi i fronti e completano l’esposizione le note sulle operazioni del novembre 1918, del dopo Vittorio Veneto.Da lì si passa alla sala dedicata alla seconda guerra mondiale dove si tratta il periodo del trapasso dei poteri dalla monarchia asburgica a quella italiana, dell’avvento e presenza fascista nel tarvisiano, della conseguente situazione geo - etnico - politica delle opzioni e della mobilitazione di guerra sino all’occupazione alleata del 1945. Qui si evidenziano anche i tragici accadimenti che il 9 settembre del 1943 videro protagonisti i militi della Gaf che, alla Caserma Italia di Tarvisio si opposero alla resa alle truppe naziste e il brutale assassinio dei dodici carabinieri di servizio alla centrale elettrico di Bretto di cui furono artefici i partigiani titini. Una ricca biblioteca-emeroteca (a ricordo di Carlo Melzi) mette a disposizione dei visitatori anche testi legislativi riguardanti la giurisdizione asburgica e quella italiana.Inoltre, il museo è pure dotato di sala polifunzionale per proiezioni e conferenze. Per di più il percorso museale può essere ampliato con la visita esterna alle opere militari come la Batteria di Sella Predil, Forte del lago e Vallo Littorio, che offrono un quadro aggiuntivo sui modelli di difesa in zona di montagna. Apertura: nei giorni feriali dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18 e nei festivi dalle 10 alle 12.Giancarlo Martina

Esplosioni al forte, residenti impauriti
Da la Nuova di Venezia — 20 agosto 2005 pagina 20 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. La chiamano «bella sberla» ma l’effetto è stato ben differente da quello provocato da un ceffone. Nei giorni scorsi, nel tratto di via Scaramuzza che si trova a ridosso di forte Mezzacapo sono state fatte brillare le bombe d’aereo e gli altri materiali esplosivi trovati durante la bonifica di forte Gazzera. Una pratica normale, con una piccola variante: nessuno è stato avvisato delle esplosioni. Esplosioni controllate ovviamente, ma sempre in grado di causare un bello spavento. Ne sanno qualcosa gli abitanti delle casette con vista sulla struttura di proprietà del Demanio militare, sorta nel 1909 per completare il campo trincerato di Mestre. Molti abitanti sono proprio arrabbiati. Le versioni coincidono tutte: mese fa circa, all’una, si è sentita una forte esplosione e scoppi del genere si sono ripetuti nei giorni successivi. Senza, ovviamente, che qualcuno sentisse il bisogno di segnalare l’operazione in corso. «Era circa l’una, abbiamo sentito un gran botto - racconta Delfina Gubbati - mio marito stava riposando, si è svegliato di colpo. Paura? Un po’, piuttosto non capiamo perché non abbiano avvertito». L’esplosione si è sentita anche pochi metri più avanti, alla «Trattoria da Marton»: il locale era chiuso per ferie, in casa però c’era Simone Antonello, che lavora nella trattoria di famiglia. «Una cosa incredibile - racconta, - abbiamo sentito un terribile botto, abbiamo visto i muri tremare. Avvisi? Niente di niente, c’erano i carabinieri e un’ambulanza ma nessuno è venuto a parlare con gli abitanti». «Mi sembrava di essere tornato indietro nel tempo - dice Aldo Cazzador - quando avevo dieci anni e c’era la guerra e le bombe le sganciavano gli aerei. Spaventato? Certamente, all’improvviso abbiamo sentito questo boato e i muri hanno cominciato a tremare, non ho ancora controllato ma dev’essersi spostata anche qualche tegola del tetto. Ho chiamato subito i carabinieri per avvisarli. Capirete, la mia casa ha più di cento anni, non voglio che mi crolli addosso».

 

In cima al monte Rite c'è il museo più alto d Europa, è stato ideato da Messner, re degli 8.000
Da il Corriere delle Alpi — 23 luglio 2005 pagina 20 sezione: ALTRE

E’ il museo più alto d’Europa e, dalla cima del monte Rite, permette di volgere lo sguardo a 360 gradi, verso alcune delle vette più belle della provincia: Moiazza, Civetta, Marmolada, Pelmo, Tofane, Sorapis, Antelao, Marmarole, Tudaio. L’idea del Museo nelle nuvole nasce nel 1997. Il suo fondatore è il «re degli 8.000», Reinhold Messner, che ne ha curato l’allestimento dell’esposizione. Dopo i lavori di recupero del fortino, una complessa struttura della Grande Guerra, il Museo è stato inaugurato il 29 giugno del 2002, nell’Anno internazionale delle montagne. Al suo interno ospita numerose testimonianze, italiane e straniere, dell’arte, della cultura, della tradizione, legate in corda doppia alla montagna. Nella galleria e nelle numerose stanzette ricavate ai suoi fianchi sono ospitati quadri, fotografie, disegni, ma anche oggetti di alpinismo e riconducibili alla vita in alta quota. Accanto al Museo, c’è posto per la sala multimediale, per il ristorante e l’ostello per la gioventù. Dal Museo parte un sentiero tabellato che ripercorre anche le vecchie vie scavate nella roccia. Quest’estate saranno ospitati una serie di eventi legati alla manifestazione «Oltre le nuvole», dedicata alle pratiche di volo senza motore, ovvero aliante, parapendio e deltaplano. Una saletta, inoltre, conterrà le leggende delle Dolomiti, nelle parole di Anita Pichler, autrice di «Leggende di Fanis», e nei loro interpretazioni ad opera degli artisti Marcus Vallazza, incisore, e Sammlung Infeld, pittore. Il Museo è aperto, fino al 14 settembre, dalle 10 alle 18.

 

Un sentiero storico tra le fortificazioni militari di Italia e Austria
Da Messaggero Veneto — 23 luglio 2005 pagina 14 sezione: PORDENONE

PALUZZA. Il passo di Monte Croce Carnico è già di per se un museo a cielo aperto, tante sono le testimonianze della Grande Guerra. Vediamo gli insediamenti più importanti che si trovano in zona, come indicano molto bene le mappe del Cai. Dopo il passo si incontra subito una serie di postazioni in caverna dove è possibile osservare i resti di quella che doveva essere la linea elettrica. Si sale a svolte abbastanza ripide in una faggeta rocciosa. Il sentiero storico ci conduce quindi a visitare il complesso di opere militari austriache che sorgeva lungo il versante occidentale del Pal Piccolo fino alla grande trincea situata sulla sommità del Naso delle mitragliatrici. C’è la possibilità di visitare baraccamenti difensivi, camminamenti in trincea e postazioni di mitragliatrici con le feritoie protette dagli originali scudi metallici, una postazione lancia torpedini ed infine il caposaldo difensivo sulla sommità, il tutto corredato da cartelli bilingue. Il percorso poi si sviluppa all'interno di una umida e rada boscaglia. Prima di proseguire verso la vetta è possibile compiere una breve deviazione per visitare alcune postazioni discoste dal percorso principale e raggiungibili tramite una cengia attrezzata ed esposta che richiede maggiore attenzione (ala destra austro-ungarica).Dalla cima del Pal Piccolo (m 1866, croce) si apre un ampio panorama sul tormentato pianoro sommitale disseminato di resti di opere belliche e sulla vicina Creta di Collinetta. Dalla vetta si percorre l’intricato sistema di fortificazioni austriache passando al di sotto di una cupola blindata che fungeva da osservatorio sulle vicinissime linee italiane. Dopo aver attraversato la cosiddetta “terra di nessuno” si perviene al Trincerone italiano, una linea difensiva particolarmente fortificata che distava solo poche decine di metri dall’avamposto nemico. Successivamente da una mulattiera che scende a regolari tornanti tra muretti a secco ancora ben conservati si attraversata un'ultima piccola macchia boschiva che chiude l'anello ricongiungendosi al punto di partenza.

 

Dentro il forte per interrogarsi sulla pace
Da Alto Adige — 13 luglio 2005 pagina 37 sezione: SPETTACOLOCULTURA E SPETTACOLI

Il Busa Verle guarda dal basso verso l’alto forte Verena che troneggia oltre i 2000 metri, dall’altra parte del vecchio confine tra Trentino e Veneto, tra la monarchia asburgica e il Regno d’Italia. Dalla Vezzena - a poco più di 1500 metri di quota - fino alle vette dell’altopiano di Asiago, è giusto un tiro di cannone. Durante la Prima guerra mondiale, partirono dal Busa Verle oltre 20.000 proiettili diretti ai forti italiani. Da una parte, quella austriaca, una massa di fortificazioni compatte, ricche di calcestruzzo, postazioni esterne, campi trincerati e reticolati: Doss del Sommo, Sommo Alto, Cherle, Belvedere, Luserna, Busa Verle, Pizzo Vezzena. Dall’altra, quella del Regio esercito, fortezze fatte al risparmio e ormai vecchie ancora prima di essere finite, incapaci di resistere alle granate da 305 millimetri: Verena, Campolongo, Campomolon, Lisser, Interrotto, Corbin, Casa Ratti. Si spararono addosso per poco tempo, ma furiosamente. Nonostante le differenze, da entrambe le parti i danni furono enormi. Il primo a cannoneggiare fu il Verena, il “dominatore degli altipiani” alle 3.55 del 24 maggio 1915. Poi, assalti degli italiani e guerra di posizione fino alla sfondamento, nel 1916, della Strafexspedition e lo spostamento del fronte fino all’Ortigara ma anche al Pasubio e al Grappa. A Forte Busa Verle, sull’altopiano della Vezzena, uno dei luoghi simbolo della guerra dei forti, oggi alle 14 é in programma il nuovo incontro di “Dolomiti di pace”, il ciclo promosso da Trentino spa in collaborazione con la fondazione Opera campana dei caduti, il Forum trentino per la pace e l’Azienda per il turismo Valsugana vacanze. Salirà alla fortezza il filosofo Giulio Giorello, milanese, titolare della cattedra di filosofia della scienza all’Università degli studi di Milano. Non un filosofo dell’accademia ma uno studioso, allievo di Ludovico Geymonat, che si “sporca le mani” con le contraddizioni della modernità, anzi, della contemporaneità, dalla guerra alle cellule staminali, dalla pace al relativismo. Insieme a lui, a moderare, Paolo Catella, condirettore del nostro giornale Trentino. Prima, suoneranno i Radiodervish, gruppo italo-libanese costituitosi nel 1997 la cui musica affonda le radici sia nella tradizione araba che in quella occidentale. Parlare proprio qui di pace, ma non solo, in mezzo ai crateri delle granate ricoperti di rododendri e muschio, mette in luce, ce ne fosse bisogno, l’assurdità di ogni conflitto, passato, presente e futuro, pone dubbi e domande sulla follia del genere umano, ma pure sulla sua capacità di rigenerarsi, da sempre. Sulle creste di confine si fronteggiarono, una in faccia all’altra, due catene di “mostri” immobili, impiantati per terra, e sottoterra, indifesi perché fatti per stare fermi, agnelli sacrificali. Aspettavano di essere colpiti. Cercavano di ferire e distruggere. Accorciavano e allungavano il tiro, prendevano la mira, prima di poter essere mirati. Un “gioco” al massacro, una roulette all’ultima granata, verso la follia, alla mercé di un fato baro. Dentro Busa Verle si fermarono anche il regista altoatesino Luis Trenker e lo scrittore Fritz Weber. L’austriaco, nel suo “Tappe della disfatta”, così descrive quell’infermo dantesco: “Il tenente Gimpelman, dai bottoni sempre lucidi e dalla punizione facile, al primo colpo si rifugia al piano più basso e chiamato il suo sottoposto medico si fa rilasciare un certificato di prostrazione nervosa e fisica fino a scomparire dal forte per servizi sedentari. L’aria umida e calda ostacola il respiro. Le bare di zinco accatastate per tempo sono ormai tutte utilizzate dai morti, bisogna seppellire fuori i nuovi... Siamo sordi, ci riesce anche difficile sentire di nuovo i colpi in arrivo. Il pagliericcio su cui dormo è imbrattato del sangue dei feriti che ha accolto”. Dal vicino forte Luserna sventola bandiera bianca e l’“amico” Belvedere - quello che aveva come motto “Per Trento basto io” - quasi a “sanare l’onta”, spara sui “traditori”. Sull’altro fronte, il 12 giugno 1915, il forte Verena viene colpito da una granata da 305 millimetri e si apre come un panino. Una strage, più di 40 morti. Oggi, in un’ala di forte Verena, c’è un bar-rifugio, approdo degli sciatori che salgono in quota con la cabinovia. Busa Verle, smantellato negli anni Trenta, spogliato dell’acciaio e venduto nel 1933 al comune di Levico per 2600 lire, rimane lì a memoria di giorni tremendi, fortezza in attesa di restauro. In occasione dell’incontro con Giulio Giorello, è possibile effettuare un’escursione a Forte Busa Verle e al Pizzo di Levico con le guide alpine. Ritrovo alle ore 9.30 a passo Vezzena, prenotazioni al tel. 0461 706101. In caso di maltempo ci si trasferisce a Villa Sissi a Levico. - Paolo Piffer

 

LA PICCOLA «GUERRA FREDDA» DALLA MURGIA CONTRO L'URSS
Da peacelink.it del 30 giugno 2005

Palazzo Chigi, 44 anni fa, scelse di mantenere un terribile segreto: sui cinquanta megatoni ospitati nel Tacco d'Italia. La prova? «It clearly makes no sense to continue to classify the existence of the Jupiters and their locations, but the Italian Government seem to want it that way for political reasons». Lo scrisse il 18 settembre 1961 Alan G. James, funzionario dell'Ufficio per gli Affari europei del Dipartimento di Stato Usa, in un rapporto finora inedito. Traduzione: «Non ha evidentemente senso continuare a mantenere segreta l'esistenza degli Jupiter e il loro dislocamento, ma il governo italiano sembra volere questo per motivi politici» . Cinquanta megatoni sono, nelle scala della guerra nucleare, equivalenti a 50 milioni di tonnellate di tritolo; e alla potenza di 3.500 bombe atomiche uguali a quella che nel 1945 distrusse Hiroshima, in Giappone, uccidendo 127.000 persone. Quei megatoni, all'inizio degli anni ' 60, costituivano la potenza di trenta missili statunitensi Jupiter dislocati in Puglia. Pronti ad essere lanciati verso l'Urss e i Paesi del blocco sovietico. Da dieci siti, nel raggio di 45 chilometri dall'aeroporto militare di Gioia del Colle. Quel rapporto, custodito dagli archivi statunitensi del NSA (National Security Archive) e ora desegretato, racconta la storia dei missili allineati da Nord Ovest a Sud Est, tra Spinazzola, Gravina, Acquaviva delle Fonti, Altamura, Irsina, Matera, Laterza, Mottola. Circostanza di cui s'era a conoscenza ufficiosamente, ma sempre coperta dal segreto di Stato e con contorni poco nitidi. Nel 1999, sulla Gazzetta del Mezzogiorno, ne scrisse Giorgio Nebbia, professore emerito di Merceologia a Bari e padre dell'ecologismo italiano: «La storia è stata raccontata con grandi dettagli, ricavati dai documenti segreti militari, resi accessibili grazie ad una speciale legge americana sulla " Libertà di accesso alle informazioni"».

Di recente è tornato sull'argomento il professor Nicola Pedde, direttore di Global Research : «Dall'archivio Usa esce un interessante documento storico nel quale per la prima volta si parla, e si descrive nel dettaglio, della gestione dei missili Jupiter dislocati in Puglia» . Siamo riusciti a ritrovare le copie fotostatiche del documento partendo da una traccia lasciata nel sito di Peacelink (http://italy.peacelink.org), in una nota all'articolo di Nebbia; siamo quindi risaliti al sito http://www.gwu.edu/~nsarchiv/nsa/NC/nuchis.html (Nuclear History at the National Security Archive) della George Washington University. Il rapporto di James (intitolato «Note del mio viaggio presso i siti italiani degli Jupiter») spiega tutto nei dettagli, compresa la contrarietà del terzo Governo Fanfani con ministro della Difesa Giulio Andreotti a divulgare il segreto. Era il 1960 quando i missili iniziarono a giungere in Puglia, dagli Stati Uniti, nella distrazione generale. La storia racconta Nebbia «era cominciata nel settembre 1958, quando gli americani, allora era presidente Eisenhower, insistettero presso il governo italiano perché accettasse testate nucleari in grado di colpire l'Urss e paesi satelliti come Albania, Romania, Bulgaria». «I militari americani spiega erano meno di quattrocento». Poi, all'inizio del 1961, a Eisenhower successe Kennedy, con una politica di distensione nei confronti dei sovietici. Nell'ottobre 1962 gli americani scoprirono che una nave russa stava portando missili nucleari a Cuba. Nebbia: «Kennedy minacciò la guerra contro l'Urss. Ci furono frenetici contatti fra Kennedy e Krusciov. Intervenne anche Papa Giovanni XXIII: alla fine i missili sovietici tornarono indietro e l'America si impegnò a ritirare gli Jupiter da Puglia e Turchia». «Curiosamente aggiunge il professor Pedde l'aver mantenuto i missili costantemente armati ed averne condiviso le procedure di lancio con gli italiani, costituiva una violazione dell'Atomic Energy Act, così come esplicitamente ricordato dallo stesso autore del documento recentemente declassificato» . Nel rapporto James riferiva dunque la storia del modo in cui furono piazzati gli Jupiter IRBM presso la 36 ˚ Aerobrigata d'Interdizione strategica. L'addestramento degli italiani fu svolto nella base Usa di Lackland. I missili furono portati in Puglia con dieci voli dagli Stati Uniti, tra l' 1 aprile e il 10 giugno 1960. «Gioia scrisse il funzionario è il centro di controllo. A Gioia c'è un precedente piccolo aeroporto Nato, comandato da un brigadiere generale italiano e da un colonnello dell'Us Air Force» . Raccontò che il personale americano è di stanza per lo più a Taranto, a «50 minuti d'auto da Gioia». In caso di emergenza, i militari Usa hanno a disposizione alloggi in sede. I missili erano entro il raggio di 10/30 miglia da Gioia, in dieci siti che ospitavano, ciascuno, tre ordigni: «Alcuni sulle colline, altri nei campi deserti, uno molto vicino alla linea ferroviaria e visibile dalla strada». «I carabinieri perlustrano sporadicamente i boschi e i campi intorno alla basi, ma di solito non c'è perlustrazione fuori dalla doppia recinzione». «Nessun testata nucleare è attualmente immagazzinata a Gioia; sono tutte sui trenta missili». A Gioia, James vide «la costruzione destinata a custodire le testate» : «una struttura in cemento armato quadrata, situata a non più di cento yarde (90 metri, ndr) dalla pista di atterraggio...

Penso che per sicurezza potrebbe essere posta più lontano dalla pista» . Ogni installazione era custodita da due ufficiali Usa e da due aviatori italiani. Con turni di 48 ore. Per il funzionario, i turni degli italiani non erano gestiti in maniera efficiente. Comunque «tutte le posizioni possono ricevere simultaneamente le istruzioni». James descriveva la procedura di lancio, delegata a due ufficiali uno italiano e uno americano attraverso chiavi separate. «Ma per il supporto tecnico gli italiani sono pesantemente dipendenti da noi», scriveva. Insomma, non erano in grado di lanciare i missili autonomamente. Anche se i nostri ufficiali erano considerati competenti sul piano teorico, «alcuni a livello di quelli americani» . James era però preoccupato per quel sarebbe potuto succedere in caso di situazioni d'emergenza o di un incidente: anche perché la gente comune ufficialmente non doveva sapere nulla dei missili, a causa delle scelte del Governo italiano: «Naturalmente è una situazione anomala, perché gli italiani sanno chiaramente che ci sono: emerge quando i mezzi si muovono, in occasione di imprevisti e durante l'esercitazioni per prevenire incidenti nucleari». E c'erano rischi: «sebbene la custodia da parte italiana sia ben effettuata», i missili «rimangono vulnerabili al sabotaggio». James ipotizzava una più intensa vigilanza da parte dei carabinieri nelle zone adiacenti: «Un sabotatore potrebbe colpire i missili anche con un colpo di fucile... Un piccolo aereo veloce potrebbe penetrare e colpirne uno o due. E nelle vicinanze non c'è alcuna difesa antiaerea» . «Non ho idea di quali siano le probabilità che questo possa accadere», scrisse il funzionario». Con un finale agghiacciante: «Riassumento, i nostri soldati e gli italiani stanno correndo dei rischi, visto dove sono poste le basi; ma è un rischio calcolato e non può essere così serio da mettere in discussione l'essenziale utilità degli Jupiter». Firmato: Alan G. James (segret). Per fortuna, finita la crisi con l'Urss, nel giro di poco tempo i poligoni pugliesi furono smantellati. Alla fine di giugno 1963 non rimasero che i ruderi. E restò pure, nella coscienza di tanti che conoscevano il segreto (italiani e americani) la consapevolezza del rischio terribile e dell'apocalittico ordigno «ospitato» in Puglia. di Marco Brando

 

«In tra i sass», museo aperto
Da il Corriere delle Alpi — 29 giugno 2005 pagina 17 sezione: AGENDA

CORTINA D’AMPEZZO. Conoscendone la storia, non si può proprio dire solo tre sassi. Sul passo Valparola, è stato convertito a Museo della Grande Guerra un edificio protagonista degli eventi bellici del’15 -’18, il forte austriaco Tre Sassi. Il Museo, dopo novant’anni dall’inizio del conflitto, permette di accedere alle testimonianze lasciate dalla Grande Guerra, in un forte che è una delle testimonianze intatte più interessanti. E’ stato aperto al pubblico il 15 giugno e chiuderà il 30 settembre. Il forte austriaco Tre Sassi è una fortificazione costruita nel 1897 dall’esercito austrungarico per la difesa del passo Valparola e della Val Badia. Quando nel 1915 venne colpito da alcuni fuochi d’artigliera, rimase talmente danneggiato da essere inserivible come rifugio. Evacuato, rimase sempre illuminato, affinchè le truppe italiane continuassero a considerarlo un bersaglio per il loro fuoco, in modo tale da dare tempo alle truppe austriache di ricostruire indisturbate le proprie fortificazioni. L’edificio rappresenta oggi un documento delle vicende militari e civili che vissero gli abitanti della zona e chi ha combattuto sul Col di Lana, sul Settsass, sul Sass de Stria, sulle Cinque Torri e sul Lagazuoi.

Visitare oggi il forte, le sue spesse mura originali, le feritorie e le finestre dalle quali altri uomini quasi un secolo fa si sporgevano, è una esperienza emozionante. Il restauro è stato finanziato in parte dalle Regole d’Ampezzo, dalla sovrintendenza ai beni architettonici e ambientali del Veneto orientale, Fondazione Cariverona e altri, pubblici e privati, si sono impegnati a partecipare. Grazie al progetto «La Grande Guerra sulle montagne di Cortina d’Ampezzo», con i finanziamenti dell’iniziativa comunitaria Interreg II Italia-Austria, nel forte sono state arredate due sale e un bookshop. Il materiale esposto è stato raccolto nel corso di sessantacinque anni dalla famiglia Lacedelli di Cortina d’Ampezzo e proviene dal circostante duplice fronte di guerra. E’ possibile vistare il museo tutti i giorni con il seguente orario: 10-12.30 e 13.30-17. Per gruppi composti da un minimo di 15 persone e con prenotazione obbligatoria il museo è aperto tutto l’anno. Non lontano, vale la pena di visitare anche i Musei all’aperto Cinque Torri e Lagazuoi e il Museo Paleontologico e Pinacoteca alla «Ciasa de ra Regoles».

 

Isolotti e strutture militari All'asta un pezzo di laguna
Da la Nuova di Venezia — 23 giugno 2005 pagina 16 sezione: CRONACA

Va all’asta un pezzo di laguna, con isolotti, forti e fortificazioni militari soprattutto concentrati nella zona del Lido e di Pellestrina. Sono dodici immobili nell’area lagunare - tutti di proprietà delle Forze Armate - che i militari cederanno alla Cassa Depositi e Prestiti (controllata dal Ministero dell’Economia) in cambio di anticipazioni finanziarie sulla stima del loro valore. Poi i beni - come spiega il decreto della Gazzetta Ufficiale che ne prevede la dismissione di 240 in tutta Italia e - finiranno all’Agenzia del Demanio che li metterà sul mercato o deciderà se valorizzarli ai fini della vendita. E questi pezzi di laguna finiranno in mani private, perché la Legge Finanziaria 2005 prevede che non possano essere gli enti locali - come il Comune di Venezia - ad acquistarli. Tra gli immobili che saranno ceduti - che riportiamo nella tabella pubblicata in questa pagina - ci sono luoghi ed edifici di importante valore artistico, architettonico e ambientale. E’ il caso, ad esempio, dell’ottagono di Ca’ Roman, con il vicino Forte Barbarigo, in un’area della laguna di alto pregio ambientale, vicino all’oasi naturalistica protetta. Ma il caso più eclatante è certamente quello della cinquecentesca caserma Guglielmo Pepe del Lido, recentemente aperta anche al pubblico, il più importante e il meglio conservato manufatto storico, architettonico e militare dell’isola.

Sempre utilizzata negli anni come struttura militare, in ultimo come caserma dei Lagunari fino al 2000, l’edificio, oggi inutilizzato, ha alle spalle una storia plurisecolare. Eretta infatti alla fine del ’500 per volere del Doge Marino Grimani per ospitare i Fanti da Mar della Serenissima, truppe scelte che scortavano le Mude (flotte di navi commerciali che seguivano rotte ben stabilite) del Levante, la caserma Pepe rappresenta il primo esempio europeo di edificio destinato unicamente all’acquartieramento delle truppe. Prima della sua costruzione infatti le milizie erano accampate un po’ ovunque senza avere edifici specifici a loro destinati. L’unicità della Caserma Pepe sta inoltre nel fatto che ha mantenuto invariate nel tempo le sue peculiarità architettoniche. Oggi la Caserma Pepe, dopo anni di abbandono, versa in uno stato di incuria preoccupante. Il Comune, all’interno del Piano Direttore del Lido, aveva già iniziato a ipotizzare il recupero della Caserma Pepe, che poteva diventare un appoggio all’attuale centro del Master Europeo sui Diritti Umani nell’ex convento di San Nicolò. Ma ora tutto finirà in mano al miglior offerente. Tra gli altri beni messi all’asta di rilevanza storica e architettonica, anche la Batteria Rocchetta degli Alberoni e il Ridotto ottocentesco di San Nicolò in un’area strategica fortificata che comprende tutta la parte settentrionale dell’isola di Lido. C’è inoltre da segnalare - a margine della vicenda - che il Comune - come ricorda il vicesindaco Michele Vianello - ha invece stanziato 2 milioni e 1666 mila euro già da due anni per esercitare il diritto di prelazione di un’altra struttura fortiticata del Lido, il Forte Alberoni, anch’esso posto in vendita ai militari, ed ha avviato un’azione giudiziaria nei confronti del Ministero dei Beni Culturali perché l’esercizio del suo diritto è rimasto senza risposta. (e.t.)

 

Riscoperta delle fortificazioni
Da Messaggero Veneto — 08 giugno 2005 pagina 11 sezione: UDINE

TOLMEZZO. «È indispensabile far emergere la rete di fortificazioni presente sul territorio carnico, con lo scopo di valorizzarla e farla conoscere». Così il presidente della Provincia di Udine, Marzio Strassoldo, si è espresso in occasione del convegno “Territorio e fortificazioni della Carnia. Quale futuro per il nostro passato”, svoltosi nel salone d’onore di Palazzo Campeis, a Tolmezzo. «Il sistema difensivo della Carnia - ha aggiunto Strassoldo - consentiva un trasferimento molto rapido delle informazioni, a tal punto che nel giro di qualche minuto le segnalazioni potevano raggiungere la pianura. L’obiettivo della Provincia sarà quello di promuovere la riscoperta di questo patrimonio difensivo, importante sia per approfondire la storia della Carnia, che per creare flussi turistici sul territorio».Al convegno, ospitato nella sede del Museo carnico delle arti e tradizioni popolari “Luigi e Michele Gortani” di Tolmezzo, sono intervenuti anche Adriano Cattelan e Marialisa Valoppi, rispettivamente presidente e direttore del museo, Alberto Candolini, biologo e guida turistica, Andrea Pessina e Fabio Piuzzi della Soprintendenza ai beni archeologici del Friuli Venezia Giulia, Aurora Cagnana, direttore archeologico della campagna di scavi di Illegio, e gli amministratori Sergio Cuzzi, Donatella Da Rin Chiantre e Marino Corti.

 

TARCENTO I lavori di recupero portano alla luce passaggi segreti e grandi cisterne  Il forte Bernadia rivela i suoi misteri
Da Il Gazzettino di Martedì, 17 Maggio 2005

Enormi cisterne per la raccolta delle acque e un cunicolo di collegamento sotterraneo che non si sa ancora bene dove conduca. Sono i primi misteri che il forte del Bernadia svela ai tecnici responsabili della sua messa in sicurezza. Dopo decenni di abbandono, la struttura è ancora in grado di stupire e affascinare. Il cantiere di sistemazione, che segue il progetto dell'architetta Claudia Bettaino di Tavagnacco, ha messo in luce un piano segreto della fortificazione, quello più a contatto con le profondità della montagna. «Non sapevamo esistesse perché la letteratura sull'argomento non lo aveva mai citato dice la professionista È un'area non accessibile e si trova sotto gli scantinati. Si compone di grandi vasche per la raccolta di acqua piovana che funzionano ancora oggi». Il lago sotterraneo rendeva indipendente la struttura, nata per sopravvivere isolata dal resto del territorio, anche per l'elettricità, garantita da generatori autonomi. «Impiegheremo quella grande quantità di acqua per il cantiere di messa in sicurezza. Al termine dei lavori poi, quando il forte sarà utilizzabile per altre attività, le vasche faranno parte integrante in un ciclo di recupero per l'acqua di servizio, ad esempio per i bagni. Per questo sarà necessario recuperare il meccanismo di raccolta, ancora oggi esistente».

Incuriosisce poi il cunicolo segreto, un passaggio che probabilmente venne costruito come via di fuga e che, al momento, non è chiaro dove vada a concludersi. «Per ora dice l'architetta abbiamo proceduto con il suo parziale svuotamento da detriti e materiale di ostruzione. La storia del forte racconta di questi passaggi. Ciò però non toglie nulla al loro fascino». Il cantiere manterrà l'aspetto attuale della costruzione. Il progetto, realizzato di concerto con la Soprintendenza dei beni, conserverà le formazioni cristalline create dalla percolazione d'acqua negli interni. Non saranno cancellati scritte i graffiti più vecchi né tolti ganci e parti in ferro. L'obiettivo primario è comunque di impedire che la fortificazione possa subire ulteriori danni a causa delle infiltrazioni di acqua. La copertura sarà impermeabilizzata grazie a uno speciale procedimento tecnico. È poi prevista la ricostruzione del solaio così come della scala di accesso al primo piano. In pratica verranno ripristinati i collegamenti originali tra vani e piani.

 

Il Forte sbarca con un sito in Internet
Da la Nuova di Venezia — 11 maggio 2005 pagina 21 sezione: NAZIONALE

GAZZERA E il Forte sbarcò sulla rete. Da qualche giorno, infatti, digitando www.fortegazzera.it è possibile trovare una miriade di informazioni su quello che da anni è diventato un punto di aggregazione non solo per il quartiere, ma per l’intera città. Diviso in più sezioni, il sito racconta la storia di una struttura militare nata all’inizio del’900 come postazione di artiglieria a difesa di Venezia, diventata poi polveriera e infine abbandonata a sé stessa, prima che dell’area si prendesse cura un gruppo di volontari. Esplorando il sito è possibile trovare parecchie informazioni sul gruppo di fortificazioni che formavano il campo trincerato di Mestre, sulla storia e sulle attività del comitato di gestione di Forte Gazzera e su tutte le iniziative in cartellone. Uno spazio è dedicato anche alle manifestazioni che si sono tenute in passato, chi ha realizzato il sito poi non ha tralasciato di inserire il regolamento per usufruire dell’area picnic che si trova in prossimità del vecchio corpo di guardia. Un sito utile, insomma, non solo per gli appassionati di storia mestrina (belle le cartine dedicate ai forti) ma anche a quanti vogliono passare una domenica all’aria aperta. Già da domenica scorsa i membri del comitato di gestione hanno rimesso in funzione l’area esterna per i picnic, dopo che la stessa era stata chiusa al pubblico come il resto del forte in seguito ai lavori di bonifica in profondità commissionati dall’esercito. A giorni la situazione di Forte Gazzera si potrebbe sbloccare: ieri alcuni artificieri del genio hanno visitato l’area di via Brendole. (m.t.)

 

Tettoie in amianto nel forte Mezzacapo
Da la Nuova di Venezia — 30 aprile 2005 pagina 22 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. Per il forte Mezzacapo di Santa Lucia Tarù quello dell’amianto è divenuto un problema serio. In effetti, la bellissima struttura militare già acquisita formalmente dal Comune ma ancora in mano al Ministero della difesa, ospita alcuni capannoni con coperture in eternit, come quasi tutti i forti. E’ sempre stato chiaro, dunque, che le tettoie dovevano essere sostituite con altro materiale, onde evitare di minare la salute delle persone. Il problema, però, è che gli stessi capannoni, essendo vecchi, fanno cadere a terra scaglie di amianto, sottili ma micidiali. «Anche se sarà un’operazione costosa, questa bonifica interna deve essere fatta - dice Vittorino Darisi, vicepresidente dell’associazione Dalla guerra alla pace, che ha chiesto in gestione la struttura militare di santa Lucia Tarù -. Ci vuole una bonifica adeguata, considerando che il forte dovrebbe diventare un punto di incontro soprattutto per ragazzi e bambini. Ci sono almeno due capannoni di 200 metri quadrati ciascuno, con muratura in pietra e arredamento interno in legno che devono per forza essere recuperati, perchè molto belli e spaziosi». Intanto, la stessa associazione, assieme al gruppo Amina che a Mezzacapo porterà avanti un progetto di cultura biologica finanziati dall’Unione Europea, attende con ansia la consegna del forte all’amministrazione comunale, che ha già sborsato una parte della cifra richiesta per l’acquisizione completa della struttura. «Cominciamo a spazientirci - incalza Claudio Zanlorenzi, presidente di Dalla guerra alla pace -. Dovremmo essere dentro al forte già da un anno». (g.cod.)

 

Pressioni sul Demanio per forte Mezzacapo
Da la Nuova di Venezia — 17 aprile 2005 pagina 27 sezione: NAZIONALE

ZELARINO. «L’amministrazione ha tutte le intenzioni di accelerare i tempi per l’acquisizione di forte Mezzacapo: per questo sta facendo una forte pressione sul demanio militare, affinchè venga finalmente firmato il rogito definitivo». Pietrangelo Pettenò, capogruppo uscente in consiglio comunale di Rifondazione Comunista, conferma il grande impegno da parte del Comune per mettere al più presto nelle disponibilità dei cittadini la preziosa struttura militare che si trova nella zona di santa Lucia Tarù. Una struttura per la quale la stessa amministrazione ha già sborsato a ottobre del 2003 un quinto della cifra (circa 100 mila euro) necessaria per la sua acquisizione. In teoria dovevano passare solo otto mesi da quel momento, poi forte Mezzacapo sarebbe dovuta diventare proprietà dell’amministrazione veneziana. In realtà i tempi si sono allungati oltre ogni peggiore previsione: la scorsa estate si è proceduto alla bonifiche da ordigni bellici, adesso la burocrazia sta facendo (lentamente) il suo corso. Intanto, qualche giorno fa, l’associazione Amina, che si occupa di coltura biologica e l’associazione «Dalla guerra alla pace» di Zelarino, che ha chiesto in concessione l’area per iniziative culturali e ludiche che coinvolgano i cittadini, hanno effettuato un sopralluogo per capire com’è la situazione. «Attendiamo con fiducia la definitiva acquisizione del forte - dice Claudio Zanlorenzi - mentre l’associazione Amina sta già per cominciare, in un altro luogo, il progetto di cultura biologica, per non perdere i finanziamenti europei». In ogni caso, se tutto andrà come deve andare, forte Mezzacapo potrà essere aperto per l’inizio dell’estate. (Gianluca Codognato)

 

Da il Corriere delle Alpi — 13 aprile 2005 pagina 33 sezione: SPETTACOLO

Una copertina tutta primaverile è quella del numero di aprile della Rivista Dolomiti. L’editoriale ha come titolo: “Antidoto” e con ciò vuole chiarire che la cultura locale è nello stesso tempo contraria alla stagnazione e all’innovazione sconsiderata. Proprio per rispettare tale linea vengono proposti argomenti che sono sempre stati graditi dai lettori. Per esempio sono sempre presenti gli argomenti di storia. Leonardo Malatesta scrive di “Fortificazioni austro-ungariche fino alla Prima Guerra Mondiale”. Augusto Burlon e Laura Pontin presentano altri “Stemmi di rettori veneti nella città di Feltre”. Ferruccio Zago è presente con una sua nota: “Una chiesa, un dipinto, una famiglia”. Sempre interessante è il lavoro di Antonia Da Ronch che in questo numero tratta “Aspetti amministrativi nella scuola elementare dell’Agordino dal 1943 al 1960”. Un aspetto di cultura antropologica è quello offerto da Arrigo De Martin Mattiò con il suo lavoro: “Il culto dei morti a Dosoledo”. Antonella Fornari si sofferma invece su “La roccia del terrore, Schreckenstein (Castelletto di Tofana, m 2656)”. Germano Dal Farra, invece, ci fa conoscere la seconda parte del suo lavoro sui “Campanili dell’Alpago”. Miriam Curti fa conoscere a molti bellunesi una scrittrice famosa in Argentina, originaria di Pieve di Cadore, e lo fa attraverso una prospettazione globale della sua figura nel lavoro: “Syria Poletti, scrittrice dal Cadore all’Argentina”. Alcune puntate saranno necessarie per riportare completamente il lavoro di Massimo Facchin: “Da Feltre al Don: i miei ricordi di Russia”.

 

Da Il gazzettino di Sabato, 9 Aprile 2005 

MORUZZO Procedono spediti i lavori per il recupero della struttura militare di Santa Margherita del Gruagno

L'ex forte sarà centro polifunzionale. Acquisito nel 2002. Il progetto di ristrutturazione prevede una spesa di quasi 600 mila euro 

Procedono spediti i lavori per il recupero del forte di Santa Margherita del Gruagno. Ex proprietà militare, acquisita dal Comune nel 2002, l'area in cui sorge viene attualmente utilizzata dal gruppo giovanile della Pro loco di Brazzacco per ambientarvi la sagra annuale. Da qui si gode infatti uno splendido panorama che spazia dai monti fino al mare. Questa posizione fu scelta proprio per la particolare collocazione geografica, per difendere la zona del Medio Tagliamento dalle incursioni del nemico durante la prima guerra mondiale.

Il forte ristrutturato verrà dunque adibito a centro di aggregazione polifunzionale. Come prima fase dei lavori è prevista la realizzazione di opere esterne, come il palco per gli spettacoli e la pista polivalente, nonché i lavori di urbanizzazione primaria, in modo che le strutture possano venire utilizzate durante l'estate. È inoltre prevista la costruzione di servizi igienici.

Internamente al forte verranno demolite alcune pareti divisorie in calcestruzzo e saranno realizzati gli impianti idrico-sanitari ed elettrici. A pianterreno le stanze disponibili sono ben nove, delle dimensioni dai 25 ai 50 metri quadrati. Il progetto di recupero riguarda poi il primo piano, in cui si potrà usufruire di 5 stanze di 30 metri quadrati l'una. Gli spazi ricavati, che hanno il soffitto a volta, costituiranno degli spazi ideali per realizzare mostre ed esposizioni. Il forte ha inoltre un ulteriore piano con quattro cupole un tempo adibite a postazioni per l'artiglieria.

Il progetto di ristrutturazione del caratteristico edificio prevede una spesa di 596.000 euro, in parte derivanti da un finanziamento dalla Regione per centri di aggregazione giovanile, in parte (242.000 euro) derivano invece da fondi propri dell'amministrazione comunale di Moruzzo. Maria Paola Colucci

 

I «Più controlli a Forte Cosenz»
Da la Nuova di Venezia — 05 aprile 2005 pagina 36 sezione: CRONACA

FAVARO. Riti satanici a Forte Cosenz. Dopo la recente scoperta di lumini da morto, simboli religiosi e il ritrovamento dell’agnello sventrato, segni evidenti di un’attività non ordinaria all’interno dell’area demaniale, anche i carabinieri di Favaro stanno indagando sul forte situato all’interno dell’area del costituendo Bosco di Mestre. Questa mattina alle 9 sarà sentito dal comando di Favaro Maurizio Chirico, presidente di Venice Rock Eventi, che sabato pomeriggio si è recato al forte. Chirico ha visitato Forte Cosenz in vista del Festival del Rock che si svolgerà tra luglio e agosto, rinvenendo assieme alla sua troupe segni evidenti di vita notturna e pratiche occulte che hanno messo in allarme i residenti. «Racconterò quello che ho visto assieme ai miei collaboratori», dice Chirico. Sconvolto il parroco della chiesa di S. Andrea Apostolo, don Michele Somma, che non nega l’ipotesi che nell’area del forte la notte qualcosa di strano avvenga davvero: «Forte Cosenz è totalmente abbandonato, la strada che porta all’area demaniale è buia e sterrata, nel forte c’è un sacco di spazio libero e ci sono capannoni vuoti, se qualcuno riesce ad entrare di certo nessuno si preoccupa di controllare quello che fa. Attorno non c’è nulla», continua il parroco, «non ci sono locali, non c’è assolutamente niente, lì abitano solamente tre famiglie di numero». Insomma - lascia intendere il sacerdote - da quelle parti non si va certo per chiacchierare. Che poi si svolgano o meno riti satanici e pratiche occulte questo non è dato saperlo, certo è - aggiunge don Michele - «che queste cose esistono, ne abbiamo le prove, e non è da escludere che possano avvenire anche dalle nostre parti». Il sacerdote pensa più ad azioni di strambi e persone poco a posto: «Bisognerebbe fare delle verifiche e capire cosa succede davvero all’interno». Quello che però preoccupa don Michele sono movimenti strani di automobili con targhe sconosciute che a notte fonda girano per la zona della parrocchia e del campo sportivo. Le stesse che poi magari proseguono verso l’ex zona militare. «La polizia ne è già a conoscenza», dice, «perché lo abbiamo segnalato più volte. Da queste parti c’è poco controllo, la notte si vedono auto che corrono ad alta velocità anche in via Ca’ Solaro e si fermano nello spiazzo davanti al cimitero della chiesa, non entrano perché è chiuso, ma non vengono neppure a trovare me. Può darsi», conclude il parroco, «che siano appuntamenti amorosi, ma è anche possibile che si tratti di altro». - Marta Artico

 

Sette sataniche a Forte Cosenz
Da la Nuova di Venezia — 03 aprile 2005 pagina 29 sezione: NAZIONALE

FAVARO. Messe nere a Forte Cosenz: tutto lo lascia intendere. Il luogo isolato, lontano da occhi indiscreti e senza alcuna sorveglianza. II buio pesto della notte. I resti di falò all’esterno, lumini cosparsi per tutto il bastione all’interno del forte. Ma c’è dell’altro. Un agnello sventrato e lasciato marcire in mezzo allo spiazzo che circonda l’ex zona militare di proprietà del demanio. Vittima sacrificale di un probabile rito satanico. Che Forte Cosenz la notte sia teatro di pratiche occulte qualcuno lo sa di sicuro, eppure non dice nulla, forse per paura. I primi ad accorgersi di quello che dopo una certa ora avviene nel Forte e a nutrire qualche sospetto, sono stati gli aiutanti di Maurizio Chirico, presidente di Venice Rock Eventi. Ieri Chirico e la sua troupe composta da addetti alle luci, al palco, alla security si è recato al Forte per «accantierare» l’area e sgomberarla dalla spazzatura in vista del Venice Rock Festival, il mega evento osteggiato dalla municipalità che si dovrebbe svolgere proprio al Forte nel mese di agosto. La troupe di Chirico è andata a perlustrare la zona fortificata e si è trovata davanti segni evidenti di vita. Non proprio ordinaria a dire la verità. La notte, questo è certo, il Forte è abitato. Gli organizzatori dell’evento rock che si sono presi la briga di ripulirlo, ne sono convinti: «Qui dopo una certa ora - dicono - si fanno le messe nere. Non c’è alcun dubbio». Fuori della zona fortificata c’è una discarica. Meno noto è che dentro, all’interno delle stanze buie del bastione militare della prima guerra mondiale, lungo i corridoi e i cunicoli che si diramano all’interno dell’antica caserma, ci sono una quantità enorme di lumini, quelli che si utilizzano nei cimiteri e nelle chiese. Il bastione militare è aperto, è vecchio e umido ma in buone condizioni e non è per nulla difficile intrufolarsi all’interno attraverso qualche buco o per l’entrata principale. Alcune finestre sono sprangate, altre semi aperte. In quasi tutte le stanze e i cunicoli del Forte, abbandonati probabilmente non a caso per terra, lungo i corridoi, tra le fessure delle fortificazioni, o quello che ne è rimasto, in cima agli scalini che portano ai piani superiori, sparsi ovunque ci sono i classici lumini che si trovano in chiesa e nei cimiteri. Che qualcuno sia entrato all’interno della fortificazione e abbia acceso un lumino è possibile, più difficile che la stessa persona ne abbia comprati a decine e li abbia sparpagliati per bene all’interno del bastione. Di certo non risalgono alla festa di Halloween. Lo scenario che si presenta a chi entra, è davvero lugubre. Oltre a resti di lumini, bottiglie e spazzature, vicino ad una finestra, in una delle tante stanzette buie del bunker, ci sono simboli a forma di croce fatti con sale da cucina. Evidentemente qualcuno ci ha perso del tempo. Ma c’è di più. Uscendo dal forte e andando verso le altre costruzioni, tra i rifiuti e i falò spenti, all’interno di un tubo di cemento di grandi dimensioni è stato gettato un agnello sventrato. Un piccolo agnellino, probabile vittima sacrificale di pratiche esoteriche. Forse era all’interno del Forte, e poi è stato gettato via perché nessuno se ne accorgesse. Più in là in un altro bunker all’interno di una stanzina di due metri per due, sacchi a pelo abbandonati. Segno che qualcuno la notte la passa a Forte Cosenz. - Marta Artico

 

I volontari ripuliscono il forte
Da il Corriere delle Alpi — 03 aprile 2005 pagina 29 sezione: PROVINCIA

ARSIE’. Riscoprire il Forte della Tagliata di Fastro e le famose scale di Primolano. Valorizzare una testimonianza del passato che non ha nulla da invidiare alle altre fortificazioni presenti sul territorio. Questo l’obiettivo dell’operazione congiunta che vedrà oggi in campo il Gruppo Alpini di Fastro e la Protezione Civile di Arsiè. Il Forte è oggi in mano a tre distinti privati; per questo motivo non è stato inserito nel piano dei finanziamenti previsti per il recupero e la valorizzazione della Cmf nell’ambito del progetto Interreg III per il Massiccio del Grappa. Ma i volontari non demordono e oggi saranno all’opera per ripulire l’area e renderla più visibile ai passanti. In questi mesi, poi, proprio il Forte di Fastro è oggetto di ricerca da parte di uno studente feltrino, laureando in architettura. Dal canto suo Dario Dall’Agnol sta portando avanti nell’ambito della Cmf e dell’Interreg III un percorso turistico che tocca la fortificazione fastrese. (cr.ar.)

 

RIVE D’ARCANO  "Col Roncone" diventerà meta turistica
Da da Il gazzettino di venerdì, 1 Aprile 2005

Un esempio di architettura della Grande guerra, destinato a diventare meta importante per il turismo locale, e non solo. È il forte "Col Roncone", opera in calcestruzzo armato che sorge sull'omonimo colle (256 metri sul livello del mare) e che da quasi un secolo caratterizza il territorio di Rive d'Arcano. Bene di Demanio miltare dismesso, anni fa è stato trasferito gratuitamente al Comune di Rive d'Arcano, che ora intende ristrutturarlo per destinarlo ad importante meta turistico-culturale. Molto simile dal punto di vista architettonico alle limitrofe fortezze di Santa Margherita del Gruagno, Tarcento, Tricesimo e Fagagna, Col Roncone era dotato di quattro cupole che ospitavano altrettanti cannoni d'artiglieria con gittata di 20 chilometri. Dal 1909 al 1911 ha fatto parte della linea difensiva "Medio Tagliamento", prevista dall'allora Regno d'Italia, per contrastare eventuali invasioni austro-ungariche. Ma non fu mai teatro di vere operazioni di guerra, ma solo di esercitazioni e durante la Resistenza (inverno 1944-45) fu utilizzato dalle forze partigiane che operavano in zona.

L'allora sindaco, Enzo d'Angelo diede avvio alla procedura di recupero, oggi giunta alla fase di progetto esecutivo su redazione dell'architetto, Roberta Cuttini. Al dibattito suscitato alla recente seduta del Consiglio comunale proprio in occasione della presentazione ufficiale del documento, non sono mancate le osservazioni riguardo alla gestione da dare all'immobile. Il progetto di recupero e ristrutturazione prevede una spesa globale di 863 mila euro, che sarà coperta in parte (682 mila euro) con fondi dell'Obiettivo 2, mentre i rimanenti 181 mila sono a carico del Comune attraverso la stipula di un mutuo. In corso di seduta sono stati approvati due progetti preliminari; uno inerente un centro di raccolta differenziata dei rifiuti ingombranti ed un'area sosta automezzi a Rodeano Basso. Il secondo afferisce i lavori di manutenzione straordinaria sulla provinciale 66 "del Corno", nel tratto compreso fra Giavons e San Daniele.Ivano Mattiussi

 

Ripuliti i fortini di Ognina
Da La Sicilia del 19 marzo 2005

I bunker della Seconda Guerra Mondiale "adottati" da due associazioni.

Alcuni siti storici sono stati oggetto di cure e valorizzazione "fa da te". Le associazioni Lamba Doria e Paracadutisti d'Italia, come fatto anche in passato, hanno ripulito dalla vegetazione alcune postazioni militari riportandole alla luce.

In particolare sono stati oggetto di cura le fortificazioni militari dell'ultimo conflitto mondiale costruite a Capo Ognina e destinate alla difesa personale e della costa. A Capo Ognina, infatti, si trova un complesso di fortificazioni realizzate in varie epoche e in situazioni storiche diverse, essendo di prima necessità strategica attuare un sistema in grado di difendere il porticciolo da attacchi provenienti dal mare e da terra.

Le opere difensive di Capo Ognina comprendono una torre cilindrica quattrocentesca, appartenente all'antico sistema difensivo della costa attraverso l'avvistamento da diverse torri, e quattro postazioni militari, tre nidi di mitragliatrice e un fabbricato con tre feritoie risalenti alla seconda guerra mondiale. "Purtroppo - afferma il presidente della Lamba Doria, Alberto Moscuzza - sono pochi i siracusani a conoscere la zona e la considerevole presenza di fortificazioni, anche per la fitta vegetazione spontanea e per l'incuria dell'uomo che le hanno nascoste per circa un trentennio. Per la passione alla memoria storica della nostra Patria siamo fermamente convinti che averne cura è un modo di difendere l'identità di una nazione, e ricordare ai contemporanei ed ai posteri che anche le opere minori, oggetto di scarsa attenzione da parte degli enti pubblici, sono testimonianza di una storia recente da molti dimenticata o trascurata". Le note storiche, tratte dalle ricerche di Moscuzza, parlano del personale militare dislocato a Capo Ognina, appartenente alla 206° divisione costiera con armi e buffetteria d'ordinanza italiana e buffetteria francese come i fucili Lebel.

Mille furono le difficoltà da superare nella realizzazione di tali opere, erette nella piazzaforte Augusta-Siracusa, per i trasporti, i lavori in zone malariche e soprattutto per la difficoltà a reperire cemento o altri tipi di malta. Le fortificazioni di Ognina, come si diceva, comprendono tre nidi di mitragliatrice composte da un semplice pozzetto circolare profondo poco più di un metro per la protezione dei militari e un fabbricato adiacente alla torre quattrocentesca restaurato da qualche anno dalla soprintendenza di Siracusa. Quest'ultimo, come altre volte ribadito dai rappresentanti delle due associazioni, è spesso meta di vandali.

 

Un pugliese al comando del Col Vidal
Da il Corriere delle Alpi — 16 marzo 2005 pagina 28 sezione: PROVINCIA

LOZZO. Oggi i forti corazzati del Vidal e del Tudaio appaiono giganti vinti e prostrati, piegati su se stessi ed abbandonati dopo le crudeli esplosioni che li devastarono, per mano tedesca, nell’ottobre del 1918. Eppure, quegli impianti costituirono il vanto di un’Italia ambiziosa e bellicosa, capace di investire in faccia all’“aquila bicipite e grifagna”, il meglio delle proprie risorse tecniche, economiche ed umane. Tale immane apparato di scienza fortificatoria, dimostratosi inutile al momento dell’entrata in guerra per la lontananza del fronte, risultò ancor più deludente nel momento topico del bisogno, dopo Caporetto, allorché perfino Cadorna sembrò credere per qualche ora a una resistenza ad oltranza “fino all’ultima galletta”, imperniata sui forti e sull’insuperabilità della cosiddetta “linea gialla”. Alla costruzione prima e alla gestione poi della modernissima Fortezza Cadore-Maè furono delegati ingegneri, tecnici e maestranze di vaglia, quasi a significare che su queste “crode”, vicino a questi contestati confini, l’“Italietta” carducciana s’impegnava in un autentico braccio di ferro con l’alleato-nemico, ostentando le proprie ambizioni magnifiche e progressive. Uno dei comandanti del forte di Col Vidal, sopra Lozzo, era il capitano (poi maggiore) Francesco Ostuni. Il nipote, suo omonimo, leggendo la storia del forte, ha potuto ricostruire alcune vicende dell’ufficiale e ha fornito interessanti note biografiche. Nato l’11 marzo 1880 a Monopoli, Ostuni frequentò il regio istituto tecnico “Pitagora” (sezione di agrimensura) di Bari, con risultati eccezionali: nel 1897 fu promosso con sette 10 e due 9, media di 9,77. Abbracciata la carriera militare, Ostuni si classificò al primo posto nel corso d’Accademia e fu ancora primo assoluto alla Scuola di applicazione dell’arma dell’artiglieria. Dopo aver insegnato matematica e balistica all’Accademia militare, venne assegnato al 2º Reggimento artiglieria da fortezza, 2ª frazione del Parco d’assedio a Pieve di Cadore, e fu comandante del forte di Col Vidal (5º cp. del 9º Fortezza) dal febbraio 1915 fino al 26 giugno 1915, allorché passò le consegne al nuovo Comandante Giovanni De Luca. Dalle lettere di Ostuni a parenti ed amici si evince un senso del dovere ammirevole, che sembra calzare bene con il “sempre ed ovunque” che campeggiava nel motto del 9º reggimento, da lui spesso citato ed esaltato.

Così scriveva al padre il 12 febbraio 1915: “Carissimo papà, vi scrivo dal forte di Col Vidal dove mi son stabilito fin dal 1º corrente. Siamo seppelliti nella neve e non si fa altro tutto il giorno che aprirsi un varco attraverso alla neve fino al punto in cui una teleferica aerea ci porta i viveri. Fa un freddo intensissimo ma purché non tiri vento esso non dà fastidio perché tutti siamo ben coperti. L’aria è purissima e quindi la salute è buona, c’è soltanto la neve, la quale in una notte distrugge tutta l’opera faticosa di due giorni. Questa notte ad esempio, n’è caduta più di un metro e mezzo dimodoché stamattina, alzandoci, abbiamo trovato distrutti tutti i sentieri già a fatica tracciati ieri”. Trasferito a Castagnevizza, vicino a Gorizia, il 9 luglio dovette sentire la morte molto vicina se, a due passi dalla sontuosa tomba dei Borboni, così scriveva nel testamento: “La mia sepoltura sia la più modesta possibile, in vicinanza del luogo ove la morte mi coglierà, in luogo appartato, in modo che il mio corpo non disturbi alcuno, né sia disturbato”. Divenuto maggiore, fu essere impiegato in compiti di altissima responsabilità, probabilmente nei servizi segreti, tanto che neppure i parenti lo vennero mai a sapere. Si sa solo che morì proprio nell’ora della vittoria, il 4 novembre 1918, a S.Martino Buon Albergo, in provincia di Verona, dove i suoi resti sono rimasti fino a pochi mesi fa, quando sono stati portati con una solenne cerimonia nel sacrario di Monopoli. I suoi scritti indicano un’alta preparazione intellettuale e morale e ci fanno riflettere sull’amaro destino del nostro apparato militare dopo Caporetto. Non mancarono certo al fronte capacità e volontà di tanti ufficiali e soldati, ma esse finirono travolte in un bailamme troppo grande, proprio come gli impianti corazzati del Cadore, caduti senza proprie colpe. Il nostro artigliere forse morì di “spagnola”, vittima di una guerra che tanti danni fece all’Europa in ogni senso, ma che soprattutto tolse al dopoguerra e alla pace la fervida intelligenza, la migliore energia di tanti giovani, troppo presto rapiti al futuro, loro e della nazione stessa. Una guerra che, pur vinta, negò al singolo e alla Patria il meglio della mente e del cuore di tanti Ostuni, fondamentali per il paese nella difficile opera di ricostruzione post-bellica. - Walter Musizza e Giovanni De Donà

 

Sui monti bellunesi il sogno di Hitler della Fortezza Alpina
Da il Corriere delle Alpi — 11 febbraio 2005 pagina 41 sezione: SPETTACOLO

Dopo la decisione di resistere quanto più a lungo possibile nell’Italia meridionale e di ritardare la costante avanzata alleata, Hitler nel 1944 non solo volle potenziate le posizioni appenniniche (linea verde), ma pensò pure di costruire una difesa nell’Italia settentrionale che prevedeva, oltre alla posizione prealpina, una linea difensiva che attraversasse l’Istria da Trieste a Fiume e delle opere di sbarramento nella zona di Ala e di Belluno. I primi lavori dovevano essere eseguiti dall’”OB.” (“Oberbefehlshaber” = Comandante supremo), mentre la costruzione della posizione prealpina e di quella istriana spettava ai due Supremi Commissari, e cioè ad Hofer a occidente del Piave e a Rainer a oriente. Man mano che la linea appenninica veniva ultimata, le truppe specializzate del “Genio militare” furono messe a disposizione di tali nuovi lavori e l’Organizzazione Todt (O.T.) ebbe la responsabilità della parte tecnico-costruttiva, mentre l’aspetto squisitamente militare dell’intera faccenda fu curato dal generale von Zangen. Dal lato operativo erano previste diverse linee di avanzata nemica, con costruzioni collocate sui due lati delle valli e delle strade di transito nei settori dei fiumi Adige e Piave: il Commissario Hofer, che puntava molto sulla zona Passo dello Stelvio-Limone, aveva a disposizione per il compimento del sistema Prealpi circa 100.000 lavoratori. Come è risultato anche da diversi rapporti dell’“OSS” di Washington (i servizi segreti americani dell’epoca), gli americani credettero veramente alla progettazione da parte tedesca di una “ridotta” analoga a quella che la Svizzera aveva costruito nel 1940, tanto da dare credito all’ipotesi che se i tedeschi, oltre agli impianti difensivi meridionali, fossero riusciti a fortificare anche il versante settentrionale delle Alpi, avrebbero potuto resistere ancora a lungo. Da un rapporto steso per Hitler dall’SS Sturmbannführer C. Gontard nel settembre 1944, risulta che la rappresentanza diplomatica americana in Svizzera faceva più o meno questo ragionamento: se ai tedeschi fosse riuscito di costruire i loro impianti difensivi a sud delle Alpi e anche a nord, c’era il pericolo che si creasse una vera “Ridotta Alpina”, per il cui abbattimento sarebbero occorsi dai 6 agli 8 mesi in più che per i restanti territori. Una battaglia per la sua conquista avrebbe causato più morti e feriti di quanti ne avesse causato fino allora agli americani la guerra in Europa. E non solo: gli occhi di tutti gli attivisti tedeschi sarebbero stati comprensibilmente puntati pieni di speranza su una ridotta che non cessava di combattere, alimentando il sabotaggio e la resistenza in tutta la Germania.

Le molteplici difficoltà incontrate dagli Alleati avrebbero acuito ancor di più la già esistente tensione est-ovest, già nutrita dall’evidente timore di un bolscevismo mondiale, favorendo non poco le possibilità di trattative per la Germania. In particolare la zona “Piave” era attraversata da tre importanti linee di comunicazione: la Bassano-Primolano, la Cornuda-Feltre e la Conegliano-Ponte nelle Alpi, linee di fondamentale importanza per la ritirata delle forze tedesche dalla pianura veneta, per la quale erano a disposizione soltanto altre due importanti linee, la Pontebbana e il Brennero. Per impedire che l’avanzata alleata potesse successivamente sfruttare tali linee, furono avviati da parte tedesca importanti lavori di fortificazione nella valle del Piave (Castellavazzo e Termine di Cadore), in Val Zoldana (zona di Forno di Zoldo), Val Cordevole (zona della Muda), in valle del Mis, Val Cismon, al Ponte Serra, lavori consistenti in postazioni per mitragliatrici ed artiglieria, peraltro con uso eccezionale di cemento, in collegamento con gallerie, ricoveri e depositi in caverna. In tale contesto vanno inquadrate le fortificazioni realizzate nella zona di Termine di Cadore, dove stazionavano circa 200 uomini della “Wehrmacht” ed operava l’OT Einsatzgruppe Alpen-Italien affidato all’impresa Kirner Hartsteinwerke Albert Pfeifer con sede a Kirn nel Palatinato al comando dell’ingegner Iessacher con alle dipendenze alcune centinaia di uomini impiegati nei lavori di difesa. Costoro in parte affluivano giornalmente con treni ed autocarri dalle zone limitrofe, in parte venivano alloggiati in baracche di legno. Sulle pendici montane rimangono oggi i segni delle postazioni, gallerie e fortificazioni e, in concomitanza coll’abbassarsi del livello delle ghiaie sul greto del Piave, si possono notare ancora le massicce piramidi di calcestruzzo realizzate per spezzare i cingoli dei mezzi corazzati alleati, scopo questo perseguito pure dalle putrelle metalliche infisse nella sede stradale, ogni punto strategicamente significativo era minato. Va detto che ci furono anche dei cadorini, impegnati con il movimento partigiano, che scelsero, anche su indicazione dei loro reparti allo scopo sia di fornire indicazioni precise sui lavori sia di recuperare esplosivi, di andare volontariamente con la “Todt” a Termine, fatto questo ben accolto da parte dei tedeschi, che, con una sorta di “tolleranza”, accettarono il tutto senza infierire troppo, soddisfatti già di tenere sotto controllo tanti potenziali nemici, piuttosto che saperli nascosti in montagna. Tutto il progetto di fortificazione tedesca alla fine abortì, sia per l’evoluzione del conflitto, sia per le trattative che rientravano nella cosiddetta “Operazione Sunrise” e che, avendo lo scopo di aprire il fianco meridionale attraverso una capitolazione parziale, escludevano la prosecuzione di qualunque specie di guerra in una “Fortezza Alpina”. - Walter Musizza e Giovanni De Donà

 

Forte Gazzera, la bonifica non inizia La nuova data prevista è il 15 febbraio
Da la Nuova di Venezia — 05 febbraio 2005 pagina 22 sezione: NAZIONALE

GAZZERA La bonifica di forte Gazzera inizierà martedì 15 febbraio. O almeno dovrebbe, visto che finora le assicurazioni del 5º Reparto Infrastrutture dell’Esercito sull’avvio dei lavori nell’ex struttura militare di via Brendole si sono rivelate inattendibili. Quello che si sa per certo è che il presidente del consiglio di quartiere di Chirignago - Gazzera Ruggero Moschetta si è messo in contatto con il reparto che ha sede a Padova e che segue tutte le pratiche relative alle caserme e fortificazioni passate dal demanio militare al Comune. Risultato, l’Esercito assicura che la data buona per vedere finalmente in via Brendole gli operai della ditta sarda Tecneur è il 15 febbraio, data che se verrà rispettata vedrà il cantiere di forte Gazzera aprire con un mese di ritardo sul giorno fissato dagli stessi responsabili dell’azienda sarda. Resta da capire come reagiranno quartiere e comitato di gestione in caso di un ennesimo rinvio, specie se come nelle altre due occasioni (15 e 24 gennaio) non verrà fornita alcuna motivazione all’inizio dei lavori. La Tecneur ha sempre detto che per terminare la bonifica saranno necessari 70 giorni lavorativi, l’area di via Brendole quindi sarà interdetta al pubblico, salvo imprevisti, fino alla metà di maggio. (m.t.)


 

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